LE FORME DEL MOBBING

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LE FORME DEL MOBBING 1. Alle origini del mobbing: stress, eustress e distress. Tra stress e mobbing vi è una sorta di continuità temporale e logica. La definizione di stress è molto controversa: 1 - Il termine stress, mutuato dal gergo delle fabbriche inglesi negli anni della rivoluzione industriale, indicava la resistenza che le strutture metalliche oppongono all’applicazione di determinate forze. 2 - Successivamente il termine si è caricato di connotazioni negative con un generico riferimento di pericolo per la salute psicofisica degli individui. Esso tende a coincidere, nel linguaggio comune, con un senso di malessere, tensione, preoccupazione e ansia, spesso associato a conseguenze negative per l’organismo e per il proprio stato emotivo e mentale. 3 – Più correttamente, invece, lo stress deve essere considerato come condizione capace di migliorare le capacità prestazionali dell’individuo, di esercitare cioè, entro certi limiti, un effetto training (addestramento, apprendimento e capacità che l’individuo ha di imparare a fare qualcosa). È infatti dimostrato che l’individuo sottoposto a un certo livello di stress, che non deve superare certi limiti – cioè le capacità che il soggetto ha di affrontarlo – migliora le prestazioni; infatti performance peggiori si hanno sì in caso di eccessiva attivazione, ma anche in caso di attivazione insufficiente. In condizioni abituali lo stress risulta funzionale alla sopravvivenza: l’assenza di meccanismi di stress – e quindi di adattamento – è incompatibile con la vita. 4 – Un ulteriore motivo di confusione di definizione di questo termine, deriva dal fatto che stress viene indifferentemente impiegato tanto in riferimento allo stimolo inducente (stressor), quanto alla risposta grazie alla quale l’organismo si adatta agli stimoli. Più che come stato, appare opportuno considerare lo stress in termini di processo: lo stress dev’essere inteso come una risposta integrata dell’organismo a modificazioni operate su di esso, con l’obiettivo di mantenere o ristabilire l’omeostasi. Questo fine può essere raggiunto grazie all’uso di strategie di coping (insieme di strategie che permettono di affrontare adeguatamente gli stimoli stressogeni) e di mastering (atteggiamento di controllo e dominio nei confronti di situazioni potenzialmente distressanti). 5 – Vi sono poi termini che rimandano ad ulteriori distinzioni. - Eustress (stress buono): definisce una risposta fisiologica, adattativa. - Distress (stress cattivo): viene applicato a condizioni di eccessiva discrepanza tra lo stimolo (richiesta) e la risposta (reazione). Quando le richieste ambientali vanno oltre le reali capacità di coping e mastering dell’individuo, determinano in quest’ultimo una maggiore vulnerabilità. Il termine stress sembra avere origine dal latino stringere. Successivamente, è stato utilizzato nella lingua inglese col significato di difficoltà o avversità, in seguito con quello di forza, pressione o sforzo. Ma è solo in seguuito ai lavori di Selye (anni 40) che l’uso del termine passa dalle scienze fisiche a quelle mediche e psicobiologiche per indicare lo stato di tensione o resistenza di una persona che si oppone a forze esterne che agiscono su di essa. Lo stress – o sindrome generale di adattamento (SGA) – è stato definito da Selye come: una risposta (generale) aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente. Questa definizione non fa riferimento al suo supposto carattere nocivo, ma focalizza l’attenzione sul concetto di stress come risposta adattativa a stimoli, necessaria alla sopravvivenza e all’adattamento.

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LE FORME DEL MOBBING

1. Alle origini del mobbing: stress, eustress e distress.

• Tra stress e mobbing vi è una sorta di continuità temporale e logica.

La definizione di stress è molto controversa:1 - Il termine stress, mutuato dal gergo delle fabbriche inglesi negli anni della rivoluzione industriale, indicava la resistenza che le strutture metalliche oppongono all’applicazione di determinate forze. 2 - Successivamente il termine si è caricato di connotazioni negative con un generico riferimento di pericolo per la salute psicofisica degli individui. Esso tende a coincidere, nel linguaggio comune, con un senso di malessere, tensione, preoccupazione e ansia, spesso associato a conseguenze negative per l’organismo e per il proprio stato emotivo e mentale.3 – Più correttamente, invece, lo stress deve essere considerato come condizione capace di migliorare le capacità prestazionali dell’individuo, di esercitare cioè, entro certi limiti, un effetto training (addestramento, apprendimento e capacità che l’individuo ha di imparare a fare qualcosa). È infatti dimostrato che l’individuo sottoposto a un certo livello di stress, che non deve superare certi limiti – cioè le capacità che il soggetto ha di affrontarlo – migliora le prestazioni; infatti performance peggiori si hanno sì in caso di eccessiva attivazione, ma anche in caso di attivazione insufficiente. In condizioni abituali lo stress risulta funzionale alla sopravvivenza: l’assenza di meccanismi di stress – e quindi di adattamento – è incompatibile con la vita.4 – Un ulteriore motivo di confusione di definizione di questo termine, deriva dal fatto che stress viene indifferentemente impiegato tanto in riferimento allo stimolo inducente (stressor), quanto alla risposta grazie alla quale l’organismo si adatta agli stimoli.

Più che come stato, appare opportuno considerare lo stress in termini di processo: lo stress dev’essere inteso come una risposta integrata dell’organismo a modificazioni operate su di esso, con l’obiettivo di mantenere o ristabilire l’omeostasi. Questo fine può essere raggiunto grazie all’uso di strategie di coping (insieme di strategie che permettono di affrontare adeguatamente gli stimoli stressogeni) e di mastering (atteggiamento di controllo e dominio nei confronti di situazioni potenzialmente distressanti).

5 – Vi sono poi termini che rimandano ad ulteriori distinzioni.- Eustress (stress buono): definisce una risposta fisiologica, adattativa.- Distress (stress cattivo): viene applicato a condizioni di eccessiva discrepanza tra lo stimolo (richiesta) e la risposta (reazione).Quando le richieste ambientali vanno oltre le reali capacità di coping e mastering dell’individuo, determinano in quest’ultimo una maggiore vulnerabilità.

• Il termine stress sembra avere origine dal latino stringere. Successivamente, è stato utilizzato nella lingua inglese col significato di difficoltà o avversità, in seguito con quello di forza, pressione o sforzo. Ma è solo in seguuito ai lavori di Selye (anni 40) che l’uso del termine passa dalle scienze fisiche a quelle mediche e psicobiologiche per indicare lo stato di tensione o resistenza di una persona che si oppone a forze esterne che agiscono su di essa. Lo stress – o sindrome generale di adattamento (SGA) – è stato definito da Selye come:

una risposta (generale) aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente.Questa definizione non fa riferimento al suo supposto carattere nocivo, ma focalizza l’attenzione sul concetto di stress come risposta adattativa a stimoli, necessaria alla sopravvivenza e all’adattamento.

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Con il concetto di “aspecificità” Selye mette in luce l’esistenza di un meccanismo complesso di risposta dell’organismo che elude la tradizionale visione deterministica che un effetto (risposta biologica) sia sempre riconducibile a una sola causa. Selye enfatizza il fatto che questi stimoli possano indurre una risposta stereotipata (SGA) in cui non viene dato risalto alla natura dello stimolo, quanto alla sua intensità. Quindi, anche uno stimolo intensamente piacevole è in grado di attivare una SGA. La risposta dell’organismo è aspecifica in quanto la sua finalità è favorire un generale adattamento dell’organismo.Con il termine “qualsiasi”, Selye intende indicare che stimoli diversi sono in grado di attivare una medesima risposta. Non sono solamente gli eventi straordinari a essere in grado di attivare una SGA, ma anche richieste ambientali ordinarie, se accentuate, sono potenzialmente in grado di attivare una risposta di stress.Lo stress è uno stato fisiologico normale, che non può e non deve essere evitato. Invece, è possibile trarne vantaggio sviluppando efficaci strategie di coping e di mastering.

• Oggi le conclusioni di Selye, pur rimanendo valide, sono state parzialmente modificate: da un lato si tende ancora a considerare la risposta dell’organismo allo stress come reazione aspecifica, dall’altro però si pone l’accento sulla sua specificità e si tende a collegare determinate alterazioni fisiologiche con le caratteristiche particolari dello stimolo e con quelle specifiche e individuali della persona soggetta a stress.

- A stressor fisici monomodali, locamente somministrati, corrispondono risposte puntuali e specifiche. Questo è vero in paprticolare per stimoli fisici “estremi” (rumore, calore).

- Via via che lo stimolo stressorio richiama una risposta che si avvale di substrati biologici più evoluti e complessi, la reazione dell’organismo si presenterà con modalità probabilistica anzichè deterministica. A questra trasformazione probabilistica della risposta di stress, dà un contributo fondamentale il versante soggettivo, cioè il valore personale che un individuo attribuisce a un singolo evento. In questo senso è possibile parlare di differenze individuali nell’insorgenza di una risposta di stress e nella tendenza delle persone a considerare certi ogogetti, eventi, situazioni come stressanti.

Esistono persone – i cosiddetti sensation seekers – che sono alla ricerca continua di stimoli e cambiamenti in grado di far provare loro sensazioni forti ed emozioni diverse, e di farli sentire vivi e stimolati. Si distinguono quindi persone amanti di situazioni estreme (high sensation seekers) da persone che cercano invece un livello di stimolazione più basso (low sensation seekers). In ogni caso, non è raro che lle persone, dopo una pesante giornata di lavoro intellettuale, si dedichino a stressanti attività fisiche: indurre nell’organismo un certo tipo di stress fa sì che, spesso, a livello di vissuto e di sensazione, ci si senta meno stressati. Anche fare attività fisica o impegnarsi nella lettura di un libro sono situazioni che inducono una risposta di stress nell’individuo, anche se queste attività sono ricercate, volute e desiderate dall’individuo stesso. Evidentemente, su queste situazioni l’individuo ha un controllo (mastering) maggiore che su altre e la richiesta di messa in campo di energie non supera le capacità di farvi fronte (coping). Tuttavia, si tratta pur sempre di situazioni che inducono stress, solo che gli effetti benefici e positivi di questo tipo di stress (eustress) non vengono categorizzati dalle persone comuni.

Il contributo che il modello dello stress fornisce è quello di emttere in luce tre punti fondamentali:1) A fronte di stimoli, in particolare fisici, l’organismo risponde in primo luogo localmente e

specificamente, ma tali reazioni confluiscono in una reazione generale complessiva alla quale partecipano sistemi fisiologici e neurofisiologici sempre più evoluti e complessi, che giungono al coinvolgimento delle funzioni psichiche ed emozionali.

2) Al di là di stimoli estremi, esistono interazioni quotidiane tra l’individuo e l’ambiente con stimoli di media o bassa intensità in grado di attivare risposte prepatologiche.

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3) Esistono specificità di risposta a stimoli complessi di natura psicosociale o lavorativa, in cui situazioni ambientali o relazionali che interagiscono col tipo di compito svolto corrispondono a configurazioni umorali specifiche.

La reazione di stress può configurarsi come eustress in un caso e distress in un altro, a seconda del tipo di controllo che l’individuo sente di poter esercitare su quello stimolo, del sostegno ricevuto a livello sociale (social support), della tollerabilità specifica individuale.

2. Il mobbing come distress relazionale.

• In ogni contesto in cui una persona si trova a doversi mettere in relazione con altre persone (lavoro) ognuno desidera ricevere lodi, complimenti e riconoscimenti, mentre teme critiche, rimproveri e valutazioni negative. Ne consegue che l’individuo cercherà di moltiplicare le occasioni in cui poter ottenere premi o rinforzi positivi, cercando contemporaneamente di evitare punizioni o rinforzi negativi. Queste sono motivazioni sufficienti a guidare i nostri comportamenti in ogni contesto sociale. Tutto ciò è supportato da varie teorie e studi:

- Studi di Tajfel e Turner: la semplice e persino casuale appartenenza di due individui allo stesso gruppo sociale attiva dinamiche di sostegno reciproco e valorizzazione, mentre vengono messi in atto comportamenti di svalutazione nei confronti di invidui appartenenti a gruppi sociali diversi.

- La teoria darwininana sottolinea la necessità di eliminare specie concorrenti, senza nemmeno la percezione di aver trasgredito una norma, ma anzi è necessario provare un sentimento di soddisfazione perchè è un’azione utile alla propria esistenza.

- Festinger ha messo in evidenza come il confronto sociale sia un potente incentivo al miglioramento, che induce nella gente sentimenti come l’invidia, la gelosia o all’opposto l’ammirazione.

Il costrutto teorico di riferimento per capire queste dinamiche, è quello di autostima (valutazione di tipo cognitivo-affettiva che ognuno di noi dà di sè e che deve essere di un certo tipo/livello affinchè si possa avvertire un senso di benessere) che è influenzata anche dal giudizio degli altri (anche se dipende da “chi dice cosa”). L’individuo, in quanto ha bisogno di mantenere alta l’immagine di sè (autostima) tende a sostenere i membri del proprio gruppo (ingroup) e svalutare i membri di altri gruppi (outgroup) e questo è alla base della sopravvivenza stessa del gruppo che, come il singolo individuo, necessita di una certa immagine di sè. Tutto questo è vero per tutti i gruppi sociali, ma sembra assumere connotazioni di particolare pregnanza nelle realtà lavorative, in quanto sul lavoro la principale fonte di stima e riconoscimento viene facilmente individuata nel superiore, che ha il potere di decidere promozioni, avanzamenti. Cooperare con gli amici e competere con i nemici sembrano atteggiamenti del tutto naturali e conseguenti ai sentimenti provati nei confronti degli altri. D’altra parte, il conflitto “fisiologico”, che si mantiene entro certi limiti, risulta accettabile all’interno di gruppi e organizzazioni e rientra nel concetto di eustress. Diventa però patologico quando supera una certa soglia, minando sia le relazioni interpersonali (clima organizzativo) sia i processi produttivi: è in questo tipo di conflitto, distressante e distruttivo, che va ricercata l’origine e lo sviluppo del mobbing.

• Il termine mobbing viene ancora oggi utilizzato in modo improprio e generico.- Sotto la dicitura mobbing vengono riunite tutte quelle azioni compiute ripetutamente sul

posto di lavoro da una o più persone ai danni di uno o più lavoratori, finalizzate a ridurre questi ultimi in una situazione di emarginazione e isolamento, fino all’esclusione dal mondo del lavoro. Le azioni possono assumere la forma di comportamenti aggressivi (verbali/non verbali) e di violenze psicologiche protratte nel tempo.

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- Il termine mobbing deriva dall’inglese to mob che significa accerchiare, assalire, attaccare ed è stato utilizzato per la prima volta dall’etologo Lorenz per indicare il comportamento di alcuni animali della stessa specie che, coalizzati contro un membro del proprio gruppo, lo attaccano ripetutamente al fine di escluderlo dalla comunità di appartenenza; in questo modo, il gruppo cerca di proteggere se stesso e la propria integrità (autostima). Quando all’interno di un gruppo viene individuato un individuo che non viene più considerato degno di appartenere al gruppo stesso, ma anzi viene vissuto come una minaccia all’integrità/immagine del gruppo, esso viene attaccato fino a quando non decide deliberatamente di andarsene o di autoeliminarsi. La durata e la ferocia degli attacchi dipendono da molti fattori, tra i quali la capacità di resistenza della vittima: più essa resiste, maggiori e maggiormente violenti divengono gli attacchi da parte dei membri.

- Il termine mobbing viene adottato negli anni Settanta in Svezia per descrivere un tipo di comportamento ostile, di lunga durata, riscontrato tra gli scolari, in seguito mutato in bullying (anche se ciò ha generato confusione, in particolare in Gran Bretagna, dove il mobbing viene tutt’oggi definito bullying at work e gli “aggressori da ufficio”, i mobber, sono definiti bullies).

- Leymann, negli anni Ottanta, è il primo ad applicare il termine mobbing all’ambito lavorativo: il mobbing è definito come un tipo di vessazione di natura psicologica, esercitata sul posto di lavoro, ripetuta e prolungata nel tempo, che provoca disturbi postraumatici da stress (o, più correttamente, disturbi dell’adattamento). Leymann vedeva nel conflitto il presupposto fondamentale per la nascita del mobbing. Il termine conflitto non deve essere inteso nell’accezione fisiologica che sta alla base dello sviluppo onto/filogenetico, bensì nella sua accezione patologica, in grado di mettere a dura prova l’equilibrio interno all’ambiente di lavoro. Il conflitto può essere generato, a partire da una situazione di stress, nell’individuazione di un capro espiatorio su cui spostare l’aggressività e sfogarsi. Può anche accadere che, in certe aziende, la concorrenza e la competizione tra i membri siano favorite e stimolate dall’azienda stessa, la quale pensa, così facendo, di ottenere da ciascuno i più alti livelli di prestazione lavorativa: questo è vero fino ad un certo livello, ma quando l’equilibrio tra richieste e capacità di farvi fronte viene meno, ci si addentra in una situazione di conflitto che col tempo può sfociare in una situazione di mobbing.

- La definizione di mobbing, fornita dallo stesso Leymann, può essere così riassumbile: “Comunicazione ostile e non etica perpetrata in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (almeno sei mesi). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il mobbing crea seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.

• Gli attori del mobbing, intesa come situazione psicosociale, sono tre: il mobber, la persona che attua il mobbing; il mobbizzato, colui che subisce; il side-mobber o co-mobber, che è lo spettatore-complice del mobber. Il ruolo del mobber può essere interpretato da un’unica persona oppure da due o più, fino a comprendere un’intera organizzazione. In quest’ultimo caso, il mobbing viene definito bossing. Nel caso di una singola persona si parla in genere di un superiore del mobbizzato (mobbing dall’alto); nel caso di due o più persone si tratta in genere di colleghi (mobbing tra pari); infine, vi è la forma del mobbing dal basso, in cui il mobbizzato è un superiore dei mobber, sistematicamente boicottato e scavalcato per trasmettergli il messaggio di non essere più legittimato nella sua posizione. Assieme a queste tre direzioni di mobbing, si usa distinguere anche un mobbing attivo (azioni di aggressione che incutono ansia, timore, paura, insicurezza nella vittima e che prendono la forma di un comportamento visibilmente e intenzionalmente

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teso alla svalutazione della vittima per mezzo i rimproveri eccessivi e continui, offese, umiliazioni) da uno passivo (azioni che assumono la forma dell’isolamento, dell’evitamento della vittima, nell’ignorarla sistematicamente e volutamente per trasmetterle il messaggio di essere del tutto inutile. Alcuni autori distinguono inoltre tra mobbing diretto (comportamenti verbali aperti e manifesti o aggressioni fisiche) e indiretto (comportamenti più sottili e subdoli, quindi meno evidenti, come l’esclusione sociale).Il mobber agisce attraverso diverse azioni mobbizzanti:1 – Attacchi ai contatti umani: limitazioni alle possibilità di espressione, interruzioni del discorso, critiche e rimproveri, sguardi e gesti minacciosi.2 – Isolamento sistematico: trasferimento della vittima in un luogo di lavoro isolato, comportamento di evitamento, divieto ai colleghi di parlare con il mobbizzato.3 – Cambiamenti delle mansioni: revoca di ogni mansione da svolgere, assegnazione di lavori senza senso, nocivi o al di sotto delle capacità della vittima.4 – Attacchi contro la reputazione: calunnie, pettegolezzi, turpiloquio.5 – Violenza e minacce.Tutte queste azioni sono finalizzate all’allontanamento della vittima. Spesso, la portano all’uscita definitiva dal mondo del lavoro e in alcuni casi estremi, anche al suicidio o all’omicidio del mobber.Le motivazioni che possono indurre una persona ad assumere il ruolo di mobber sono varie e molteplici: fare carriera a tutti i costi, paura di perdere il proprio lavoro o la posizione raggiunta, invidia, autodifesa. Non di rado il mobber è convinto di agire all’interno di una normale azione di difesa dei propri diritti, convinto di essere stato provocato/minacciato nella sua identità/integrità di persona e lavoratore. Se il mobber non smette di vessare la sua vittima, è perchè è intimamente convinto di poter ricavare vantaggi dalla sua eliminazione. Quando la sua azione è intenzionale, egli escogita sempre nuove strategie per perseguire il suo scopo: si delinea una sorta di “lavoro parallelo” che lo porta a trascurare le sue mansioni, fino ad un abbassamento sensibile della qualità del suo vero lavoro. Esiste tuttavia anche la possibilità che il mobber agisca inconsapevolmente nei confronti del mobbizzato. Il mobbizzato è la vittima del mobbing. Leymann afferma che tra personalità della vittima e coinvolgimento in una situazione di mobbing non vi è correlazione, anzi, il mobbing può essere subito da chiunque in quanto dipende dalle circostanze e dall’ambiente sociale e organizzativo in cui si verifica. I fattori organizzativi spiegano l’insorgere del mobbing meglio dei tratti di personalità o di certi gruppi di appartenenza (tipo le donne).In molti casi, la vittima è consapevole di subire mobbing e questo le provoca un forte distress. A volte attribuisce a sè la causa del mobbing; altre volte è convinta di non avere colpa, ma, tuttavia, non sa come affrontare la situazione, reagendo con scarsa fiducia in sè e paura. Dal momento che i tentativi messi in atto dalla vittima finalizzati ad uscire da una situazione di disagio avranno come effetto quello di aggravare una situazione già di per sè insostenibile, arriverà un momento in cui la destabilizzazione vissuta sul posto di lavoro avrà dei risvolti sensibili anche in famiglia e nella società in genere. A questo punto la persona sentirà di aver esaurito le risorse disponibili. L’evoluzione della situazione dipenderà molto dalle caratteristiche personali e dal sostegno su cui il soggetto può contare.Il danno più frequentemente subito dalla vittima consiste nel ricordo angoscioso e rivissuto dell’evento, accompagnato da un ridotto senso di responsabilità, mancanza di interesse nei confronti del mondo esterno e disturbi neurovegetativi e cognitivi (tra i disturbi psicologici: ansia, depressioni, attacchi di panico; tra i disturbi fisici: emicrania, bruciori di stomaco, difficoltà respiratorie).Il mobbizzato divene presto psicologicamente vulnerabile e per questo comincia a rispondere con reazioni psichiche, emotive e comportamentali spesso inadeguate ad affrontare la situazione. Una reazione adeguata al mobbing, invece, si avrebbe utilizzando una o più delle seguenti strategie:

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- Adeguata adutodifesa verbale (frasi ferme e dirette; stile verbale assertivo e fermo): lo scopo del mobbizzato dovrebbe essere quello di dimostrare l’infondatezza delle accuse che gli vengono mosse e portare contemporaneamente l’attenzione sulla situazione in cui versa a causa delle azioni intraprese a suo sfavore.

- Ricorso ad associazioni che si occupano di prevenire/fronteggiare situazioni di mobbing.- Ricorso alla legislazione- Ricorso a tutto ciò che può rivelarsi utile per porre fine al mobbing (trovare un altro lavoro).

Per non crollare a causa del forte distress, il mobbizzato usa spesso strategie di coping, ovvero un insieme di processi cognitivi che permettono all’individuo di adattarsi all’ambiente o di cambiarlo. Esso non si identifica con l’adattamento o il cambiamento in sè, quanto con gli sforzi per raggiungere uno di questi obiettivi. Il soggetto può ricorrere inoltre ad una serie di strategie cognitive con lo scopo di prevenire/ridurre/risolvere il distress e le sue conseguenze. Quando l’individuo non è sicuro di poter trovare una soluzione fra le tante informazioni che lo investono, l’organismo risponde in termini di maggiore attivazione (arousal), fornendo maggiori energie affinchè l’individuo prosegua in modo efficace verso la soluzione del problema. È possibile arrivare a una soluzione creativa del problema, ma se l’individuo non vi perviene in breve tempo e utilizza soluzioni di evitamento o di rinvio, si verifica un conflitto nei confronti della situazione, che lo porta a tentativi parziali di decisione e a una progressiva attivazione dell’organismo. Egli prova così un senso di incapacità e di impotenza che lo conduce ad attraversare le fasi di allarme e di resistenza della sindrome generale di adattamento (stress). Con il passare del tempo, questa situazione può giungere alla fase di esaurimento e determinare forti stati di distress psicologico.

• Si possono distinguere varie tipologie di mobbing.- Il mobbing dall’alto è perpetrato da un superiore che abusa del proprio potere per rendere

chiaro il suo ruolo, incutendo soggezione alla sua vittima. Sembra essere determinato dalle caratteristiche culturali, sociali e organizzative dell’ambiente in cui avviene. Una particolare tipologia di mobbing dall’altro è il bossing (to boss = spadroneggiare, comandare) che consiste in una forma di terrorismo psicologico attuato dall’azienda o dai vertici dirigenziali come strategia per ridurre/riorganizzare il personale, o semplicemente per eliminare una persona sgradita. Lo scopo del bossing è quello di indurre il dipendente ad andarsene mediante sabotaggi, minacce, critiche.

- Il mobbing tra pari vede il lavoratore vittima dei suoi stessi colleghi. Può avere diverse cause (antipatie, competizione, invidia).

- Il mobbing dal basso può essere spiegato sulla base della non accettazione della figura imposta come leader. Si tratta di una forma di mobbing che richiede un elevato livello di allenza tra il mobber e i side-mobber; si tratta infatti di esautorare una persona a un livello gerarchico superiore rispetto ai suoi mobber. La strategia prevede il mancato svolgimento delle proprie mansioni, il rivolgersi per consigli ai diretti superiori della vittima o il rifiuto di eseguire ordini. Lo scopo è isolare la vittima fino a demoralizzarla facendola sentire inutile.

Le ricerche hanno evidenziato come i settori a più elevato rischio di mobbing sono la sanità, l’educazione, il privato e l’industria, le poste/telecomunicazioni e la pubblica amministrazione. Il mobbing ha costi elevati. La vittima, a causa dei problemi di salute, è costretta a chiedere permessi e ad assentarsi dal lavoro per lunghi periodi; inoltre il suo rendimento è molto inferiore rispetto al normale (calo fino all’80%). Il mobbing ha origine con il lavoro e la competizione: oggi sono le macchine a svolgere lavori meccanici e ripetitivi e quindi gran parte del lavoro svolto dall’uomo si basa sul coinvolgimento psicologico, situazione che aumenta la competizione e la concorrenza e quindi capace di innescare il mobbing.

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3. Le diverse forme di mobbing: doppio mobbing, bossing e bullying.

• Bullying. Le dinamiche che all’interno di un’azienda possono portare all’insorgenza del mobbing sono anche quelle che, all’interno di una classe scolastica o di un gruppo di ragazzi, possono sfociare in atteggiamenti/comportamenti vessatori continui da parte di uno o più individui ai danni di una o più vittime. Il potere del bullo cresce al crescere del timore e della sottomissione della vittima.I primi studiosi a utilizzare il termine bullying furono il medico svedese Heinemann e il norvegese Olweus; entrambi intendevano focalizzare un certo tipo di comportamento, aggressivo e distruttivo, legato al mondo giovanile. È nella fase primaria di costruzione di relazioni sociali che si manifesta più probabilmente questo fenomeno. Esso viene attuato per mezzo di una strategia di aggressione a lungo termine diretta verso un soggetto psicologicamente più debole, che presenta difficoltà ad arginare le forme di attacco e si trova sempre più coinvolto nel ruolo di vittima. Nel corso della sua azione, il bullying è sempre caratterizzato dalla comparsa di violenza fisica perpetrata allo scopo di instaurare una disuguaglianza di potere tra persecutore e vittima. Tutto questo è sintomo di un forte senso di inadeguatezza relazionale, sociale, personale e comportamentale da parte dell’aggressore. Il bullying quindi può essere visto come la manifestazione di un’inadeguatezza proiettata sugli altri attraverso il controllo e la sopraffazione, da parte dei (pre)adolescenti. Anche il bullying, come il mobbing, non è sempre intenzionale: sono molte le variabili che entrano in gioco (famiglia, scuola, società). Spesso, i piccoli bulli, attraverso le vessazioni, sfogano sui coetanei rabbia e disagio che possono derivare dalla loro situazione familiare e/o scolastica. Inoltre, anche la personalità del soggetto gioca un ruolo fondamentale: essa può essere di tipo conglittuale e quindi essere maggiormente predisposta al bullying.Il bullying è sia di tipo “uno contro uno” che di tipo “tutti contro uno”. In quest’ultimo tipo ci si trova davanti a vere e proprie gang di minori che prendono di mira le loro vittime e sentono di accrescere il loro potere vessazione dopo vessazione.È importante che le figure adulte di riferimento sappiano cogliere l’eventuale disagio dei ragazzi ed evitare che i bulli di oggi siano mobber di domani.

• Mobbing. Ege lo definisce come una “situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare a invalidità psicofisica permanente.”La ripetitività degli attacchi e l’accanimento con cui il mobber cerca di eliminare la vittima sono rimasti i parametri principali attraverso cui definire una certa azione come mobbing. Inoltre è necessario che le azioni mobbizzanti si verifichino almeno una volta alla settimana lungo un periodo di almeno sei mesi. È proprio a causa della frequenza e dell’eccessiva durata che questi maltrattamenti portano a conseguenze psicologiche, psicosomatiche e sociali negative.

• Bossing. È un tipo di mobbing che assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale di riduzione/razionalizzazione del personale, oppure di eliminazione di una persona indesiderata. In quanto strategia (azione voluta e intenzionale) il bossing viene compiuto dai dirigenti di un’azienda con lo scopo di indurre un dipendente divenuto scomodo a dare le dimissioni. Il bossing può attuarsi con varie modalità, che hanno in comune la creazione, attorno alla persona da eliminare, di un clima di tensione insopportabile, in modo da indurla ad andarsene. Esempi di questo clima sono atteggiamenti severi, minacce, rimproveri, sabotaggi, comportamenti come togliere i benefit raggiunti dalla vittima (auto aziendale) o affidare alla vittima lavori inutili, degradanti e insoddisfacenti. La vittima, all’inizio disorientata, può diventare col tempo incredula rispetto a ciò che le sta succedendo: in questo caso il mobber è l’azienda stessa che può disporre del dipendente

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come e quando vuole. Ege definisce il bossing come un tipo di mobbing politico in cui la linea politica del mobber coincide con quella aziendale e in cui il mobber può essere considerato l’organizzazione stessa, il datore di lavoro o comunque i vertici aziendali in genere.

• Doppio mobbing. Per la prima volta trattato da Ege, questo fenomeno tipicamente italiano riguarda il coinvolgimento della famiglia della vittima. Si possono distinguere due modelli familiari: le famiglie del modello nordeuropeo tendono ad educare i figli all’indipendenza e all’autonomia fin da piccoli, mentre quelle a modello mediterraneo sono più orientate a mantenere con i propri figli un rapporto privilegiato e stretto anche in età adulta (ad es. È permesso lasciare la casa dei genitori preferibilmente in caso di matrimonio). La famiglia, in questo caso, viene vissuta come culla e rifugio dal mondo esterno. Questo diverso ruolo assunto dalla famiglia può ripercuotersi anche su una situazione di mobbing: infatti il doppio mobbing avviene con molta più facilità nelle famiglie a modello mediterraneo, proprio a causa dei rapporti molto stretti che intercorrono fra i vari membri. Un coinvolgimento emotivo così forte può portare tutta la famiglia a vivere in maniera personale e intensa, anche se di riflesso, le situazioni che riguardano un singolo membro. Una vittima del mobbing sentirà la necessità di sfogarsi e ottenere l’appoggio e la comprensione delle persone che gli stanno intorno, al fine di “ricaricarsi” e dissipare le proprie insoddisfazioni e frustrazioni interiori, le quali però, a causa di un mobbing continuo, si aggiungono e si aggravano giorno dopo giorno. Questa lunga e dolorosa esperienza si ripercuote inevitabilmente sulla famiglia; le capacità di resistenza delle famiglie sono generalmente molto superiori a quelle dell’individuo, ma non sono comunque infinite. Quando la famiglia raggiunge la saturazione entra in crisi e, per difendere se stessa da un “mobbing indiretto” cessa, più o meno consciamente, di fornire il proprio supporto al membro stesso, considerato come minaccia all’equilibrio familiare.

Quando una persona cerca di prendere il sopravvento su un’altra con azioni sistematiche, ripetute nel tempo, che vanno nella direzione dell’annientamento dell’altro, allora si può configurare un tipo di dinamica interpersonale che può assumere i contorni, a seconda dei casi, del mobbing, del bossing oppure del bullying. In alcuni paesi europei è stata recentemente approvata una legislazione in materia di tutela dei lalvoratori a rischio di mobbing.

- In Francia è stata emanata la prima legge nazionale relativa specificatamente al mobbing in cui spetta all’accusato dimostrare di non aver mai posto in essere azioni dirette/indirette di violenza morale sul posto di lavoro.

- In Belgio esiste l’obbligo per il datore di lavoro di designare un consigliere per la prevenzione inserito in un équipe di esperti che si collocano in una prospettiva di tutela dei rischi e prevenzione.

- In nessuno dei cinquanta stati degli Stati Uniti d’America esiste una legislazione specifica in tema di mobbing.

- In Germania sono stati adottati provvedimenti a livello aziendale affinchè il bossing non si verifichi.

Il mobbing, il bossing e il bullying restano fenomeni complessi in cui interagiscono le individualità di ciascuno (insicurezza, frustrazione, fragilità), gli stili comunicativi e relazionali (insufficienti e insani), le emotività, gli atteggiamenti e i fattori organizzativi e sociali che li rinforzano.

4. Mobbing, culture e identità psicosociali.

• Gli attori sociali tendono a perseguire un bisogno di ordine e causalità; in particolare, per gestire il cambiamento, l’individuo produce attribuzioni causali sui processi responsabili del cambiamento stesso allo scopo di mantenere la coerenza e conservare integra l’immagine di sè. Semplificare la realtà inferendo può però condurre a categorizzazioni sbagliate. L’uomo, nell’interpretare i

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fenomeni sociali, utilizza stereotipi e attribuzioni che fanno si che egli non percepisca un mondo di cose, ma un mondo di significati. I fenomeni sociali possono essere studiati in modo privilegiato focalizzandosi sulle relazioni intergruppi.

• La relazione di causalità reciproca, tra processi psicologici individuali e ambiente, si attiva anche nelle organizzazioni. In questo contesto, si sviluppa la cultura organizzativa definita come “un insieme di assunti di base che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato quando è riuscito a far fronte ai suoi problemi di adattamento esterno o di integrazione interna. Tali assunti vengono acquisiti e trasmessi ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire quei problemi”(Schein).

La cultura organizzativa può essere differentemente articolata al suo interno: le sottoculture (sottoinsieme dei membri di un’organizzazione che interagiscono regolarmente tra loro, si identificano come un gruppo distinto all’interno dell’organizzazione, condividono un insieme di problemi che vengono considerati problemi di tutti e agiscono sulla base di schemi collettivi di comprensione specifici del gruppo) possono trovare la propria origine nei seguenti contesti:

- Automazione: può creare gruppi di lavoratori addetti a specifici macchinari, con una differenziazione basata su vicinanza e similarità delle condizioni di lavoro.

- Specializzazione: accomuna i lavoratori che svolgono lo stesso tipo di lavoro, differenziando i diversi settori all’interno di un’area.

- Processi di acquisizione e fusione: possono avere ricadute su compiti/ruoli/reti comunicative in quanto subentrano nuovi modelli organizzativi che soppiantano le vecchie consuetudini. In questi casi le sottoculture possono svolgere una funzione difensiva delle abitudini.

- Innovazione tecnologica: cambiamenti e trasformazioni dei cicli produttivi possono rafforzare vecchie sottoculture, crearne di nuove o portare all’estinzione di quelle obsolete.

- Differenze ideologiche: all’interno di sottoculture possono prendere forma altre sottoculture riguardanti la natura del lavoro o il modo di trattare con i clienti. Talvolta, l’antagonismo tra i sostenitori dei diversi modelli sottoculturali può portare al fenomeno dei gruppi congelati, caratterizzato dalla formazione di nuove subculture che si disprezzano reciprocamente.

Le sottoculture rappresentano una pseudopposizione: spesso si limitano a riproporre, sotto diverse forme, i medesimi modelli organizzativi e gli stessi valori della cultura dominante. In questo modo, le sottoculture tendono a risolversi in manifestazioni esteriori di opposizione, senza proporre modelli realmente alternativi, spesso risultando funzionali al mantenimento dello status quo. Questo è dovuto anche al fatto che la cultura dominante si presenta come una macrocultura eterogenea, al cui interno sono individuabili microculture omogenee.

Quando invece si parla di controculture, l’opposizione manifesta alla main culture propone forme e strutture organizzative realmente alternative, basate su modelli/valori autonomi. Nei movimenti controculturali viene esplicitamente approvato un comportamento improprio o normalmente vietato: ambizioni ostacolate, gratificazioni inadeguate, risorse carenti, obiettivi irrealistici sono condizioni che favoriscono l’insorgere di movimenti controculturali.

Tra le caratteristiche comuni a sottoculture e controculture troviamo quella per cui entrambe sono costituite da un insieme di lavoratori accomunati da uno o più dei seguenti fattori:

- vicinanza e similarità delle condizioni di lavoro;- svolgimento dello stesso tipo di mansione;- modi di operare legati a un’organizzazione obsoleta;- appartenenza a sottoculture minacciate di estinzione;- modi di pensare diversi e inconciliabili.

Un’altra caratteristica comune è la presenza, nell’ambiente in cui opera il gruppo, di almeno un altro insieme di lavoratori che, nel caso della sottocultura, operi secondo processi di lavorazione

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differenti, mentre, nel caso della controcultura, esprima culture aziendali diverse/in contrasto con quanto ritenuto valido dal primo gruppo.

• L’esistenza di risorse di cui appropriarsi – materiali o immateriali – mette gli individui e i gruppi interessati al loro possesso in reciproca competizione, favorendo l’insorgere di attacchi aggressivi (mobbing). Secondo la teoria dell’identità sociale (Tajfel) così come gli individui, a livello interpersonale prefericono valutazioni di sè favorevoli, allo stesso modo lo scopo del gruppo è quello di mantenere un’identità sociale positiva, che costituisce il motore psicologico alla base dell’individuo nel contesto intergruppi. È attraverso il processo di confronto sociale (Festinger, Tajfel) che l’individuo perviene a una valutazione dello status del proprio gruppo e della propria posizione sociale e, a livello intergruppi, tale confronto svolge un ruolo importante nel forgiare le azioni degli individui.

Questa situazione può essere interpretata alla luce della teoria del conflitto realistico (Sherif) secondo cui i membri di un gruppo sviluppano un senso di identità nel corso di un processo di collaborazione per scopi condivisi, mentre il conflitto sorge nel momento in cui nasce una competizione per scarse risorse (materiali o immateriali). È la rivalità tra gruppi per scarse risorse che conduce a errori sistematici di atteggiamento e di tipo percettivo verso il gruppo estraneo. Altre teorie di stampo più sociologico prendono come punti di riferimento Darwin e Lorenz e interpretano il comportamento sociale come finalizzato all’appropriazione di spazi vacanti; Lorenz in particolare esplora il ruolo dell’aggressione nell’ottenere l’assegnazione di spazi. La teoria del confronto sociale di Festinger parte dal presupposto che l’essere umano, per sua natura, tende a valutare le proprie opinioni e capacità. Qualora non fossero possibili criteri di valutazione oggettivi, non sociali, l’individuo valuta opinioni e capacità attraverso il confronto con l’altro, adottando un criterio relazionale piuttosto che oggettivo.

La difficoltà o l’impossibilità di accedere a benefici o opportunità diventa psicologicamente importante solo attraverso il confronto con altri gruppi. È da questo confronto che può nascere il sentimento di identità: il gruppo cioè diventa tale e acquista identità propria solo perchè nell’ambiente in cui agisce e interagisce esistono altri gruppi.Il conflitto psicologico nasce, dunque, dal confronto sociale ed è basato sull’ostilità che deriva dalla non-accettazione, da parte dell’out-group dei tratti positivi attribuiti alla propria identità. Tale inevitabile situazione di disagio, a livello di gruppo, può portare a distress vissuto a livello di singolo. L’individuo, in questa situazione, può scegliere se chiudersi all’interno del gruppo di appartenenza (per trovare social support) oppure staccarsi e accettare una minore identificazione col gruppo, decisione che potrebbe condurlo a solitudine e stigmatizzazione.

• Tre ipotesi di transazione tra cultura di riferimento e sotto- o controculture.1) Primo scenario. Gestione delle sottoculture. All’emergere di un conflitto potenziale

l’organismo sociale tenta il processo di acculturazione, ovvero il tentativo di inclusione forzata del “diverso” all’interno della cornice teorico-cognitiva della cultura dominante. Se il processo di assimilazione ha esito positivo, il conflitto è (temporaneamente) sedato; se il processo di assimilazione non è totale, questo può essere dovuto al fatto che le sottoculture sono in grado di offrire “puntelli ideologici” al mantenimento della cultura egemone. Qualora il processo di acculturazione dovesse interessare un singolo componente o una minoranza del gruppo, si aprirebbe la strada a un possibile conflitto interno, diretto verso un unico soggetto (capro espiatorio) o sottogruppo. A questo punto saremmo di fronte a un doppio conflitto intergruppi: il primo tra sottocultura e cultura egemone, il secondo fra un sottogruppo della sottocultura e la sottocultura stessa.

2) Secondo scenario. Controculture e resistenza. I gruppi controculturali non possono essere assimilati, e sono essi stessi che rifiutano l’assimilazione. In questo caso è probabile che il

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gruppo trasformi in positiva la valenza dei tratti specifici che gli sono propri e che gli permettono di enfatizzare la propria identità, differenziandolo dalla cultura ufficiale. È inoltre probabile che vengano ricercate nuove strategie di confronto/scontro.

3) Terzo scenario. Dal confronto allo scontro: verso il mobbing. A partire dal fallimento del confronto tra gruppi, il gruppo inferiore può ricercare nuove dimensioni di confronto. Se tale comparazione non viene accettata dalla cultura dominante potrebbero nascere i presupposti per il passaggio dal conflitto fisiologico a quello patologico (mobbing).

• Per quanto riguarda le concause che favoriscono l’escalation conflittuale che caratterizza il mobbing:

1) Presenza di una persona con una tendenza/predisposizione a usare violenza sugli altri (mobber);

2) Per l’aggressore può essere più facile usare violenza sul membro di un outgroup, per l’incapacità di quest’ultimo di integrarsi nel gruppo (mobbizzato);

3) Può essere più facile sopraffare qualcuno se le condizioni lavorative sono caratterizzate da alta incertezza e da un alto grado di problemi organizzativi (organizzazione come causa di mobbing);

4) La manifestazione del mobbing può essere supportata da tensioni nel gruppo di lavoro, per le quali un capro espiatorio è un buon mitigatore(sistema sociale come causa di mobbing).

E’ inoltre possibile supporre che alcuni fattori contribuiscano soprattutto all’emergere dei conflitti (condizioni organizzative, accettazione della violenza), mentre altri contribuiscano soprattutto alla sua intensificazione (caratteristiche psicologiche degli attori coinvolti).

Mobbing verticale (dall’alto e dal basso). In termini psicosociali, la vittima verrebbe percepita non tanto come singolo individuo, ma come membro dell’outgroup e, di conseguenza, detentore di tutte quelle caratteristiche negative attribuite al gruppo esterno. Il mobbizzato, perciò, diventa tale in base al principio di automatismo attribuzionale che accentua le caratteristiche distintive e le differenze intercategoriali. In alcuni casi, il confronto fra reparti/uffici può determinare forme di forte contrasto e conflitto, sia tra singoli appartenenti ai diversi gruppi, che a livello di collettività. Una delle cause di conflitto che possono portare al mobbing, infatti, è la dinamica sociale del gruppo di lavoro in quanto quest’ultimo, sottoposto a forti pressioni e a richieste insostenibili di esecuzione dei compiti, tende a sviluppare maggiori conflitti rispetto a un gruppo non sollecitato in tal senso. Il gruppo, che è costantemente alla ricerca di un proprio equilibrio, non appena sente la minaccia dello sbilanciamento, reagisce rinforzando le regole interne e cercando un capro espiatorio. Inoltre, è forte la tendenza all’esclusione dei membri che non si adeguino a tali regole interne, soprattutto nel caso di sottoculture e controculture. Una delle possibili spiegazioni è offerta dalla teoria del cambiamento sociale (Tajfel) che focalizza l’attenzione sull’estrema difficoltà di muoversi o spostarsi da un gruppo a un altro, riecheggiando l’immobilità delle caste in certe società. Tale difficoltà è presente laddove vi siano conflitti tra gruppi. In questo caso, infatti, il passaggio di un individuo da un gruppo a quello con il quale vi è conflitto, potrebbe essere percepito come un vero e proprio tradimento. Su questa base, il mobbing può essere letto come fenomeno di dialettica tra culture, sottoculture e controculture e l’azione del mobber viene svolta come membro di una cultura in confronto/scontro con individui marcati dall’appartenenza ad altre sotto/controculture. Il mobbing verticale si fonda su fenomeni attribuzionali per i quali la categorizzazione della vittima può poggiare su tratti specifici distintivi di appartenenza a particolari tipi di gruppi e di culture. Tale mobbing dall’alto si alimenta sulla base di informazioni discriminative di tipo congenito (razza, dialetto) sulle quali è difficile qualsiasi forma di intervento. Tali prospettive si aggiungono e completano quelle secondo le quali il mobbing è un fenomeno di ingroup.

Mobbing tra pari. Gli stessi marcatori discriminativi di tipo culturale o razziale possono valere anche per le azioni di mobbing interne al gruppo. Lo stimolo competitivo, così intensamente

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caldeggiato nelle moderne organizzazioni, può essere tra i fattori di innesco di conflitti non fisiologici che degenerano nel mobbing. Possedere caratteristiche diverse dai pari che costituiscono il gruppo i riferimento può essere determinante per alimentari risentimenti/gelosie personali verso il singolo. Nei gruppi a status basso, caratterizzati da frontiere permeabili, la consapevolezza di una potenziale ascesa sociale provoca una minore identificazione col proprio gruppo: ciò favorisce il confluire dell’ostilità del gruppo nei confronti di un singolo.Nella situazione di mobbing orizzontale, più che identificare un mobber che agisce attaccando un singolo, dobbiamo identificare un gruppo che può generare un mobber, ma costui non necessariamente è il membro più rappresentativo (leader).L’attribuzione disposizionale (cioè l’individuazione della causa di un comportamento nelle caratteristiche stabili della personalità, piuttosto che nei fattori esterni situazionali) è, in questi casi, automatica e vede la sua naturale prosecuzione nella percezione e attribuzione di responsabilità e di colpa. Questi processi attribuzionali, spesso inconsapevoli, possono sfociare in una serie di intenzioni/azioni ostili, mirate all’annullamento o all’esclusione della persona o del gruppo ritenuti responsabili del malcontento.Le modalità di socializzazione lavorativa rientrano anche nella possibile spiegazione del mobbing tra pari. Diverse sono le variabili che influenzano la trasmissione culturale nei gruppi di lavoro: chi ha pregresse esperienze lavorative in gruppi simili si proporrà al nuovo gruppo in maniera diversa rispetto a colui che è alla prima esperienza. Una volta enntrati nel gruppo, i newcomers saranno più o meno motivati ad acquisire una cultura “locale” a seconda del loro desiderio di essere accettati e a seconda delle competenze sociali/relazionali che saranno in grado di mettere in gioco. Se i “veterani” percepiscono l’ingresso di nuove leve come minaccia al proprio status, saranno portati a mantenere segrete certe informazioni, ostacolando l’integrazione dei nuovi. Una condotta frequentemente utilizzata prevede che i newcomers siano “incapsulati” all’interno del gruppo, per rendere impossibile a questi qualsiasi relazione con l’esterno.Il mobbing trova le radici della sua essenza nell’ambiente lavorativo, non nelle persone, e i comportamenti vessatori sono sconvenienti indipendentemente dalle caratteristiche personali degli attori che li agiscono. Quando profitto e over competition sono l’unico valore e quando viene alzato il livello di tolleranza di comportamenti aggressivi, il tentativo di integrazione delle sottoculture è soppiantato da dinamiche perverse che prendono il sopravvento all’interno delle organizzazioni.

Il conflitto culturale che si viene a creare interferisce con la possibilità, da parte del mobbizzato e del mobber, di sperimentare un’esperienza ottimale dal punto di vista soggettivo: l’esperienza flow. Si tratta dell’esperienza del flusso di coscienza (flow) come uno stato complesso in cui i processi cognitivi, motivazionali e affettivi interagiscono e funzionano in modo integrato sia rispetto alla struttura/richieste del mondo interno, sia rispetto alle sfide poste dal contesto esterno. L’esperienza flow è caratterizzata dalla compresenza di elementi relativi al mondo interiore del sooggetto ed elementi presenti nel contesto esterno. Dopo l’esperienza flow, il soggetto evolve verso un aumento della sua complessità e, di conseguenza, delle sfide da lui ricercate. In una situazione di mobbing viene impedita al soggetto qualunque possibilità di esperire un flusso di coscienza, dal momento che le condizioni ambientali ostacolano la piena immersione dell’individuo nel suo ambiente comportamentale. Se il lavoratore deve continuamente monitorare l’ambiente circostante e automonitorarsi, nel tentativo di proteggersi e reagire ad attacchi ostili, non sarà in grado di canalizzare le proprie energie al compito e percepirà le richieste provenienti dal mondo esterno come molto superiori rispetto alle abilità che sente di poter mettere in gioco. Questa situazione corrisponde allo stato di ansia, in cui la situazione esperenziale è negativa: è presente la tendenza a un’attivazione motivazionale che si accompagna a difficoltà di concentrazione e a uno stato affettivo negativo. La volizione provoca una sensazione di fatica da intendersi come peso derivante dal tentativo di resistere a una situazione emotivamente pressante.

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5. Le conseguenze del mobbing a livello personale.

• Nel lavoro, una persona cerca di soddisfare diversi tipi di bisogni: quelli fisiologici, attraverso il guadagno dei soldi necessari all’acquisto dei generi di prima necessità; quelli di sicurezza e appartenenza a un gruppo; quelli di autostima, e infine quelli di autorealizzazione (Maslow) attraverso la dimostrazione del proprio valore e i riconoscimenti. Il senso di autostima ci perviene soprattutto dal sostegno sociale e psicologico operato da coloro che ci infondono sicurezza e calore umano. La mancanza di questi elementi conduce a un ritiro dalla realtà, vissuta come penosa e priva di comprensione.Le conseguenze del mobbing che possono essere individuate sono:

- conseguenze a livello della singola persona;- conseguenze a livello del gruppo di lavoro;- conseguenze a livello organizzativo;- conseguenze a livello socioculturale.

• Le conseguenze del mobbing a livello personale.1) Problemi di ansia. Possono manifestarsi in modo generico (ansia libera, priva di un oggetto

specifico) ippure con attacchi di panico, sintomi ossessivo-compulsivi e fobici. L’ansia può essere una caratteristica tanto del mobber quanto del mobbizzato, anche se in questo secondo caso essa tende ad essere più invalidante, pervasiva e paralizzante. L’ansia del mobber è invece solitamente correlata con la sua non consapevolezza di star agendo da mobber nei confronti di una o altre persone e quindi con la sua idea di star soltanto difendendo le proprie posizioni. Inoltre il mobber, in qualità di agente di aggressione, possiede un maggior controllo sulla situazione e quindi anche sulla propria ansia.

2) Disturbi postraumatici da stress. Caratterizzati da dolori (“allarme psicosomatico”) anche molto intensi e continuativi, ricorrente ideazione intrusiva (pensieri ricorrenti e ossessivi). Possono essere considerati una somatizzazione patologica dell’ansia che può causare cefalee, vomito, dolore al petto, mialgie, eccessive preoccupazioni, ossessioni, idee fisse che possono portari a gravi disturbi delle funzioni vitali (sonno, assunzione di cibo/acqua).

3) Disturbi di adattamento. Si tratta di disturbi di tipo clinico meno gravi come dimenticanze, distrazioni, mancamenti o capogiri. Dal momento che tanto il mobber quanto il mobbizzato si trovano talmente coinvolti nella loro relazione patologica da non pensare ad altro, è facile che essi trascurino di occuparsi del loro lavoro come dovrebbero, dimentichino impegni o scadenze e siano distratti nelle loro relazioni sociali con altri (coniugi, figli, parenti, amici). In questo senso il mobbing causa problemi di adattamento alla realtà. Una situazione di mobbing può diventare infatti talmente pervasiva e totalizzante per le persone coinvolte che esse distolgono risorse cognitivo-affettive, attentive, percettive e mnestiche da alltri ambiti importanti per la loro vita, concentrandosi totalmente nell’unica relazione in grado di distruggerli.

4) Alterazioni dell’equilibrio psicofisiologico. Consistono in vertigini, nausea, senso di oppressione al petto, difficoltà respiratorie e disturbi nel prendere sonno e/o portarlo a termine, problemi di natura sessuale. Tutto questo, alla lunga, può portare a una debilitazione generale dell’organismo e a una vera e propria alterazione dell’equilibrio psicofisiologico con possibilità di allucinazioni sensoriali, perdita di senso di realtà, svenimenti. Il soggetto può a questo punto diventare vittima dell’impotenza appresa, condizione caratterizzata da apatia, ritiro e inattività in risposta a eventi incontrollabili.

5) Alterazioni dell’equilibrio emotivo. Consistono in difficoltà a controllare le proprie reazioni emotive o gli impulsi. La persona, messa a dura prova da una situazione mobbizzante e che adopera tutte le sue energie per fronteggiarla, può andare incontro al cosiddetto “esaurimento nervoso”, caratterizzato da pianto incontrollato e continuo nelle situazioni più diverse, difficoltà a mantenere un controllo sul proprio comportamento, da pensieri

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ricorrenti, dal desiderio di continuare a parlare dell’oggetto della propria sofferenza nel tentativo di espellerlo e quindi di controllarlo.

6) Disturbi del comportamento. Consistono in condotte alimentari in appropriate, alcolismo, tabagismo, assunzione smodata di farmaci, aggressività manifesta verso se stessi (autolesionismo) e/o gli altri. Il soggetto ha fallito nel controllo della propria ansia e del proprio stato emotivo interiore ed è sopraffatto da una situazione che lo induce ad azioni contrarie al senso di realtà: l’adattamento è compromesso.

7) Alterazioni dell’equilibrio sociale. Conseguenza di uno stato psicofisiologico alterato e di difficoltà psicologiche, emotive e comportamentali è il fatto di non riuscire più a gestire i rapporti sociali e quindi di introdurre/subire alterazioni nell’originario equilibrio sociale a scapito del senso di soddisfazione personale. È possibile che si verifichi un aumento del numero di litigi e che si arrivi alla rottura vera e propria con persone che pagano solo il peso di una situazione di cui non sono responsabili. Le vittime di mobbing possono scoprire di non avere più il sostegno delle persone su cui facevano conto e di aver esaurito anche la riserva di energia che potrebbe venire dagli altri: questo può portare all’isolamento, alla depressione, al senso di inutilità e, in ultimo, al suicidio (colpisce solitamente il mobbizzato, non il mobber, che invece può essere più frequentemente vittima di omicidio).

6. Mobbing e strategie di coping.

• Il coping individuale. È definito come l’insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi, volti alla gestione di specifiche richieste esterne e/o interne, valutate come situazioni che mettono alla prova o eccedono le risorse di una persona”. Questi sforzi sono finalizzati a ridurre, minimizzare, padroneggiare, sopportare tali richieste.Gli approcci attraverso cui il coping è stato studiato sono molteplici; si distinguono due prospettive:1 – Tradizione di sperimentazione animale fortemente influenzata dal pensiero darwiniano. In questo modello, il coping è definito come quell’insieme di azioni volte al controllo delle condizioni ambientali avverse, per diminuire le pulsioni in condizioni di deprivazione. Questo modello è stato considerato semplicistico e riduttivo, in quanto non considera la ricchezza delle emozioni cognitive e la complessità che caratterizza l’essere umano.2 – L’approccio psicanalitico definisce il coping come l’insieme di pensieri/azioni che mirano a risolvere i problemi e a ridurre lo stress. In questo modello il focus riguarda la centralità sui modi di recepire e pensare la relazione delle persone con l’ambiente. Questo approccio prevede diversi processi di coping:

- Le strategie (coping devices) che, nel corso della vita ordinaria, servono per ridurre le tensioni causate da episodi stressanti: self-control, humour, gridare, imprecare, piangere. Queste strategie, se usate in maniera non appropriata o portate all’estremo perdono la loro connotazione di strategie di coping, tramutandosi in sintomi di mancanza di controllo.

- Le forme di ritirata attraverso la dissociazione (narcolessia, amnesia), lo spostamento dell’aggressione, la sostituzione di simboli e delle modalità che favoriscono lo sfogo.

- Gli scoppi di energia aggressiva.- La crescente disorganizzazione.- La totale disintegrazione dell’ego.

Un’altra prospettiva importante riguarda la letteratura connessa allo stress lavorativo e organizzativo, che ha voluto evidenziare la differenza tra i processi di coping e i comportamenti automatici di adattamento. Le definizioni di coping, in quest’ottica, devono includere gli sforzi per affrontare le situazioni di stress: nessuna strategia è quindi considerata intrinsecamente migliore di un’altra, ma l’efficacia è determinata solo dai suoi effetti in una determinata situazione e dai suoi effetti a lungo termine. Inoltre, questa concezione, vede il coping come processo che indica un tentativo di adattamento, non un risultato. È un concetto strettamente connesso a quello di stress:

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infatti indica l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali messe in atto da una persona per fronteggiare una situazione di stress. Si riferisce sia a ciò che un individuo fa effettivamente (coping attivo) per affrontare una situazione difficile, sia al modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione (coping passivo). Il coping attivo offre riscontri positivi se la fonte di stress è modificabile oppure eliminabile. In caso contrario, è più efficace il coping passivo. Importante, in ogni caso, è la valutazione che facciamo dell’evento. Il coping è un processo dinamico, non è casuale e produce cambiamenti esterni (comportamento) o interni (pensiero). Si basa su tre fattori:

1) Osservazione e valutazione. Relative alle azioni o ai pensieri della persona in quello specifico momento.

2) Quello che la persona fa e pensa in quel momento viene analizzato in base al contesto specifico.

3) La persona lo mette in atto di fronte a dei cambiamenti, come strategia di difesa.È la valutazione ad operare mediazioni e negoziazioni fra richieste e risorse dell’ambiente da una parte e obiettivi e convinzioni personali dell’individuo dall’altra. La valutazione inizialmente è stata distinta in valutazione primaria (primary appraisal) che consiste nel prendere atto che si ha un problema da risolvere, e in valutazione secondaria (secondary appraisal), relativa all’identificazione di tutte le risorse di cui si è in possesso per affrontarlo. La secondary appraisal si attua attraverso due processi di adattamento: il controllo primario, relativo al tentativo di risolvere la situazione; il controllo secondario, inerente all’apprezzamento cognitivo della situazione. Tale fase precede quella finale di mastery, relativa al momento di padronanza della situazione, in cui vengono attuate le diverse strategie che sfoceranno nel cambiamento.

• Il coping organizzativo. In ambito organizzativo, il concetto di coping assume ulteriore importanza: le modalità con cui l’individuo tenta di adattarsi, di gestire la situazione o fronteggiare un problema producono effetti determinanti sulla qualità del suo lavoro, sul suo rapporto con l’ambiente organizzativo e sullo svolgimento della mansione. Il lavoro è infatti il luogo in cui la persona sperimenta in misura considerevole situazioni problematiche e stressanti, a cui deve cercare di far fronte, individuando strategie risolutorie.Svariati sono i meccanismi che enntrano in gioco nel processo di coping (Menaghan):

- Risorse di coping. Comprende gli aspetti relativi all’immagine che l’individuo ha di sè, alla sua autostima, al realismo, alla fiducia nelle proprie capacità (cognitive, relazionali, comunicative). Rientrano nella categoria delle risorse personali anche: il vigore, lo stato di salute, le concezioni di vita, il coinvolgimento e le possibilità economiche; l’autostima, la soddisfazione personale, la sensazione di possedere o meno delle doti; la padronanza, il controllo sugli eventi, la competenza, la capacità di influenzare il proprio futuro.

- Stili di coping. Riguardano le metodologie psicologiche impiegate dagli individui per risolvere un problema, indipendentemente dal problema stesso: ci sono persone che tendono sempre a predisporre un piano d’azione, altre che si affidano a terzi eccetera.

- Tendenze comportamentali. Comprende i tentativi che si mettono in atto per contenere gli effetti distressogeni di una situazione, come: tentare di autoconvincersi che non è accaduto nulla, dedicarsi ad attività alternative.

Se il mobbing è un’azione organizzativa e microsociale, importanti sono gli stili di coping e di mastering messi in atto dall’individuo per fronteggiare le frustrazioni (anche se il mastering fa riferimento proprio al momento di padronanza della situazione).

• Il modo in cui una persona fronteggia le situazioni di stress è in parte determinato dalle risorse che possiede (salute e energia), dalle credenze, dai valori, dagli impegni, dalle abilità di problem solving, dai rapporti sociali. È determinato anche da possibili costrizioni interne ed esterne che possono intervenire attenuando l’uso delle risorse. La letteratura, ha individuato tre momenti principali di coping:

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1) Anticipatorio: l’evento deve ancora accadere e la persona si chiede se il problema può essere previsto e valuta se può controllare la minaccia.

2) Impatto-confronto: la persona, di fronte alla minaccia, si confronta con le idee precedenti e valuta il danno.

3) Post-impatto. Il concetto di coping implica, quindi, l’insieme di strategie mentali e comportamentali che sono messe in atto per fronteggiare una certa situazione. Si può sottolineare una duplice modalità di gestione:

- Problem focused coping: tale strategia mira al controllo dei problemi che causano il distress. Si ricorre a questa modalità quando le situazioni difficili sono modificabili, si percepisce che l’evento è controllabile e il processo di coping è finalizzato a influenzare l’evento in sè. La persona cerca dunque di liberarsi dal problema.

- Emotion focused coping: è una strategia che mira a regolare le emozioni responsabili del problema; cerca di influenzare le reazioni emozionali. Viene impiegata quando le situazioni sono difficilmente modificabili; la persona tende allora ad affrontare l’impatto emotivo sull’evento, basandosi sulla rivalutazione cognitiva e sullo spostamento dell’attenzione.

Esiste comunque una terza possibilità: potrebbero entrare in azioni meccanismi disadattivi.

Lazarus (modello transazionale) ha messo in luce la relazione tra coping ed emozione. I diversi tentativi di fronteggiamento influiscono sul vissuto emozionale attraverso tre vie:

- attivazione dell’attenzione;- cambiamento del significato che si attribuisce all’evento;- azioni che modificano l’interazione persona-ambiente.

La focalizzazione sul problema e quella sull’emozione sono spesso in relazione fra loro. Di fronte a un evento traumatico si avrà:

1) Rifiuto o minimizzazione dell’accaduto (emotion focused coping);2) Considerazione del problema; tentativi per modificarlo/controllarlo (problem focused

coping);3) Attuazione delle azioni considerate risolutorie.

Le strategie di natura attiva, quindi, per Lazarus, sono focalizzate sul problema (coping strumentale), si verificano quando avviene un tentativo concreto di cambiare la situazione ed esercitano un effetto positivo sul benessere personale. Oppure, l’individuo può optare per strategie focalizzate sull’emozione (coping palliativo), che tendono a ridurre la tensione e che provocano un adeguamento psicologico a lungo termine.

In riferimento alle strategie, acquista grande rilievo il discorso delle risorse a cui una persona può attingere per fronteggiare gli eventi problematici:

- Il supporto sociale (social support): è la risorsa psicosociale maggiormente analizzata. La convinzione di avere a disposizione un supporto emotivo da parte di altri (famiglia, colleghi) è particolarmente importante per il benessere psicofisico. L’integrazione sociale è strettamente legata con la salute mentale e fisica, influendo su di essa in termini positivi.

- Il senso di controllo: ridue i disturbi psichici e le malattie fisiche, e compensa gli effetti deleteri dello stress.

- L’autoconsiderazione: ha effetto analogo al senso di controllo, soprattutto sulla depressione. Ne fanno parte le credenze specifiche e generali che sostengono gli sforzi di coping.

- Risorse di personalità (disposizionali): la salute, l’energia, la considerazione positiva di se stessi hanno conseguenze positive.

Le conclusioni di Lazarus hanno descritto il coping come fenomeno complesso, in quanto esso dipende dalla percezione o meno di ciò che può essere fatto, non subisce variazioni in funzione del sesso e funge da mediatore degli esiti emozionali. Valutazione dell’evento e stile cognitivo determinano il comportamento di coping che verrà adottato.

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• Un esempio: indagine di Portello e Long che analizza, su un campione di 157 donne manager canadesi, il potenziale stressogeno dei fattori interpersonali e le strategie di coping. Vengono analizzati:

- Il ruolo delle valutazioni cognitive: vengono distinte in valutazioni primarie, inerenti all’impatto dell’episodio stressante sul benessere personale, e in valutazioni secondarie, riferite alla stima delle risorse possedute per gestire l’evento.

- Le strategie di coping: distinzione tra strategie di coping entrate sulla componente emozionale e strategie di coping centrate sul problema, focalizzando l’attenzione sulla relazione fra queste.

- Le conseguenze psicosociali.I risultati di questo lavoro hanno messo in luce:

- Le donne manager scelte a campione, che presentavano livelli meno elevati di percezione di supporto professionale e di percezione di controllo, presentavano valori più elevati di problematiche psicologiche;

- Le donne sposate e con introiti lavorativi più consistenti consideravano i conflitti interpersonali stressanti sul luogo di lavoro come “più disturbanti”;

- Lo stato coniugale non risultava predittivo delle valutazioni cognitive e del clima lavorativo;- Le donne manager che nell’ambiente lavorativo percepivano un maggiore supporto,

attribuivano un valore meno minaccioso ai conflitti interpersonali.- La sensazione di controllo era correlata sia con lo stile di coping di evitamento sia con lo

stile di coping di fronteggiamento;- L’impatto delle caratteristiche di personalità e delle strategie di coping impiegate era

influenzato dalla relazione di queste dimensioni con il nevroticismo;- L’affettività negativa (sperimentazione di un’ampia gamma di stati di umore negativo –

rabbia, ansia, depressione) aveva il potere di amplificare quasi tutte le relazioni considerate;- Le donne manager con valide caratteristiche strumentali (competenza, razionalità,

assertività) hanno dimostrato di stimare i conflitti professionali come stressanti, forse perchè questi conflitti impedivano loro di controllare la situazione.

• Molto è cambiato nella vita lavorativa all’interno delle organizzazioni: di fronte a cambiamenti strutturali di ampia portata (ristrutturazione del lavoro e dei modi di produzione, forte competitività, richiesta di nuove abilità) i lavoratori si sono trovati a sperimentare difficoltà prima sconosciute (possedere doti specialistiche, capacità diagnostiche complesse e di problem solving). Questo ha portato i lavoratori a sperimentare un certo timore e diffidenza ; sempre più spesso viene richiesto di “mettersi alla prova”, vengono valutate le capacità in base alle richieste, è necessario modifcare gli atteggiamenti: non sempre le persone si sentono all’altezza di tutto ciò, e in molti casi viene a mancare il controllo della situazione. Inoltre, la flessibilità occupazionale, oltre a provocare ripercussioni sulle possibilità di carriera, rende più difficile l’instaurarsi di rapporti di amicizia e di collaborazione sul ruolo di lavoro, impedendo tutta una serie di confronti che influiscono sull’immagine di sè e sul senso di identità e di appartenenza al gruppo. Può così venire a mancare una delle reti sociali più importanti nella vita lavorativa: il gruppo di lalvoro. In questo modo, il lavoratore viene privato di un determinante calmieratore del distress. In questo modo, accanto a comportamenti adattivi, vengono sempre più spesso messi in atto comportamenti maladattivi:

Fonte di stress Comportamento adattivo Comportamento maladattivoEccessivo carico di lavoro Delega del lavoro ad altri Accettare il carico diminuendo

la performanceDifficili rapporti interpersonali con i colleghi

Disponibilità alla collaborazione

Continui conflitti

Ambiguità di ruolo Cercare una chiarificazione Accettare una riduzione di competenze

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Se l’individuo può far fronte allo stress attraverso le sue risorse personali, altrettanto importanti risultano le risorse dell’ambiente e le caratteristiche dello stressor. A ciò vanno aggiunte le notevoli fonti di stress legate all’ambiente esterno e alla vita privata.Di fronte a qualsiasi stimolo, interno o esterno, è importante la valutazione dell’individuo, cioè la sua percezione soggettiva, che fa scattare la risposta di stress. In questo processo di valutazione esercitano la loro influenza i registri di memoria personale, le sperienze, le caratteristiche personali e biogenetiche, gli apprendimenti e le appartenenze culturali. Quando la situazione valutata cognitivamente dal soggetto come distressogena è intesa e si protrae nel tempo, il logoramento individuale aumenterà, producendo danni a livello fisiologico, psicologico e comportamentale.Lo spartiacque che colloca da un lato il coping maladattivo e dell’altro il mobbing è difficile da individuare, dal momento che alcune manifestazioni sono simili e tendono a sovrapporsi.

7. Cambiamenti dei ruoli sociali e problematiche lavorative.

• La Social Readjustment Rating Scale (SRRS) di Holmes e Rahe. I lavori di questi due studiosi mettono in luce come la probabilità di un individuo di ammalarsi di stress è funzione diretta degli eventi di vita che lo hanno interessato negli anni precedenti (separazioni, divorzi, nuove unioni, figli). In questo senso propongono il concetto di life stress (stress di vita) e sottolineano il fatto che ciascun evento pregresso ha un potenziale vulnerante. La negatività di ciascun evento è determinata dalla quantità di adattamento sociale necessaria per permettere un adeguato cambiamento. La scala SRRS consiste in una lista di quarantadue accadimenti: gli eventi lalvorativi sarebbero quindi interconnessi con eventi familiari, relazionali e fisici. Un cambiamento nel proprio ritmo di vita, provocato sia da fattori “oggettivamente positivi”, sia da fattori “oggettivamente negativi” provocherebbe una reazione di stress. Lo stress, quindi, non andrebbe inteso come fenomeno esclusivamente lavorativo, bensì come “stress totale” o “life stress”. Sono stati condotti numerosi studi per indagare la relazione tra life stress e indici di salute e adattamento: ad esempio alcuni studi sottolineano come gli eventi di vita precedenti (morte/malattia di persone care, gravi problemi familiardi, economici..) possono provocare l’insorgenza di attacchi di panico e disturbi depressivi; altri studi indicano i life stress come fattori in grado di incrementare la predisposizione a particolari malattie; altri ancora hanno riscontrato correlazioni con sintomatologia psichiatrica. Inoltre, va evidenziato come le persone siano esposte anche a una grande varietà di stressor, fra cui quelli di tipo ecologico (affollamento, inquinamento acustico).

• Gli stili di vita a “basso stress” sono caratterizzati da sistemi di vita non convulsi, in cui viene previsto un certo spazio sia per i momenti di relax, sia per le relazioni sociali, vengono coltivati hobby e interessi personali, ci si applica in attività alternative al lavoro, si dedica cura al proprio fisico eccetera. Tutti questi aspetti eserciterebbero un’azione calmieratrice sugli effetti negativi dello stress. Chi è contraddistinto, invece, da uno stile di vita ad “alto stress” sopporta alti livelli di tensione per essere più produttivo, accetta in maniera passiva pesanti pressioni o situazioni di grave stress, soffrendo in silenzio, vive relazioni interpersonali difficili, ha cattive abitudini di vita, fatica a ritagliarsi spazi per il relax o il divertimento. Ciò sembra essere purtroppo in linea con la realtà odierna, caratterizzata da ritmi frenetici e da eventi/fattori che vanno a incidere pesantemente sullo stile di vita delle persone e a cui è difficile sottrarsi (famiglia instabile, minore solidarietà). Alla velocità dei cambiamenti va aggiunta una molteplicità di altri stressor: aumento del traffico, bombardamenti pubblicitari, fast food, rumore.

• Le personalità predisposte allo stress. La personalità di Tipo A è caratterizzata dalla cronica, incessante lotta per ottenere di più nel minor tempo possibile, e, se necessario, contro gli sforzi contrari di altre circostanze o persone. Il comportamento di Tipo A è una costellazione di tre fattori, che operano nei più svariati contesti sociali:

- una serie di convizioni circa se stessi e il mondo;

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- una serie di valori convergenti in un modello di motivazioni o impegni (sforzo, crescita professionale);

- uno stile di vita e comportamentale (urgenze e competizioni).Le persone di Tipo A sono caratterizzate da una forte attitudine al controllo delle situazioni, vulnerabilità alla perdita e all’assenza del controllo, velocità di lavoro superiore, maggiori prestazioni per carichi di lavoro più pesanti.

• La vigoria psicologica (hardiness). Le persone resistenti allo stress sarebbero contraddistinte da un quadro specifico di atteggiamenti verso la vita e presenterebbero una sorta di “vigoria psicologica” (hardiness) che le vede aperte verso il cambiamento, coinvolte in ciò che fanno e convinte di padroneggiare gli eventi. Questo senso di impegno/partecipazione/controllo sulla propria vita è risultato essenziale per la salute mentale. Gli individui più attivamente impegnati nel lavoro e nella vita sociale sarebbero dunque contraddistinti da alcuni “fattori protettivi”:

- Il committment: contraddistingue le persone in termini di impegno, interesse e di vivo coinvolgimento per l’attività lavorativa o per altre attività; facilita il coping e rende capace la persone di far fronte a obiettivi definiti.

- Il control: è quel fattore di personalità che fa sì che una persona sia convinta di poter influire in termini fattivi sugli avvenimenti, modificandone il corso. Gli individui caratterizzati da questo costrutto sono pronti, di fronte agli eventi, ad assumersi le loro responsabilità e rifuggono da atteggiamenti fatalistici.

- Il challenge: si riferisce alla disponibilità dell’individuo ad affrontare cambiamenti e nuove esperienze, mostrandosi disponibile a modificare i propri schemi di vita e comportamentali.

Queste caratteristiche psicologiche di vigore e resistenza possono intervenire a ridurre la probabilità di ammalarsi anche fino al 50%.

• Il costrutto del “Locus of control”. Nel corso della propria vita ogni individuo accumula una serie di esperienze positive e negative, di successi e di fallimenti, che lo portano a sviluppare, nei confronti degli avvenimenti futuri, un sistema di attese. Il costrutto del “locus of control” si riferisce al grado in cui una persona suppone di poter controllare gli eventi:

- Il “controllo interno” è inerente al convincimento dell’individuo di poter influire sugli avvenimenti in maniera fattiva e di poterli modificare facendo affidamento sulle sue risorse personali.

- Con il “controllo esterno”, invece, la persona è portata a considerare gli eventi come casi fortuiti, che non dipendono da un suo intervento diretto, dalle sue capacità o azioni, ma dal destino, dalla sorte o dal potere altrui.

L’uno o l’latro di questi due stili provocano reazioni differenziate di fronte agli stressor.- Gli individui caratterizzati da uno stile a controllo interno, quando si trovano a fronteggiare

una difficoltà, tendono ad assumere informazioni e a cercare di risolvere i problema.- Gli individui con controllo esterno assumono prevalentemente un comportamento passivo.

• Il ricercatore di sensazioni (sensation seeker). Gli studi di Zuckerman hanno analizzato la predisposizione di alcuni individui a ricercare sensazioni e impressioni forti, studiandone i fondamenti biologici e il loro impatto con i fattori sociali e ambientali. La scala di Zuckerman (Sensation Seeking Scale, SSS) considera quattro fattori:

1) Amore per la trepidazione e l’avventura (sport pericolosi).2) Desiderio/ricerca di esperienze forti (droga, esibizionismo).3) Desiderio di disinibizione sociale/sessuale (gioco d’azzardo, trasgressioni sessuali).4) Suscettibilità alla noia (rifiuto di tutto ciò che è monotono e ripetitivo).

Il punteggio della SSS tende ad abbassarsi col progredire dell’età e dell’assunzione di responsabilità.

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Chi ha maggiore bisogno di stimolazione sarà maggiormente stressato in situazioni di deprivazione sensoriale rispetto a coloro che hanno meno bisogno di tale stimolazione. La valutazione personale ha quindi una forte incidenza.

Le condizioni di vita particolarmente stressanti o alcuni tratti di personalità possono influire sul benessere dell’individuo al punto che le conseguenze di ciò arrivano a sconfinare sul lavoro, in termini di sensazione di fatica sproporzionata allo sforzo, stati di tensione/agitazione, sensazione di emarginazione, malessere generale. Questo può portare a comportamenti passivi e inadeguati, performance scarse: tuttavia non si tratta di mobbing. È bene dunque cercare di distinguere chi subisce situazioni di mobbing e chi invece enfatizza le normali condizioni conflittuali sperimentate nel lavoro e nella vita quotidiana.

8. I fattori organizzativi del mobbing.

• Perchè si scateni il mobbing deve verificarsi una congiunzione di precondizioni:1) Individuale (personalità, stili di coping).2) Microsociale (caratteristiche del gruppo lavorativo).3) Organizzativo (condizioni di lavoro, stress, competizione).4) Socioeconomico e culturale (globalizzazione, economia incerta, precariato).

I primi due strati individuano un livello micro di analisi e di intervento, gli altri due un livello macro. Individuo e gruppo sono gli aspetti a cui più facilmente viene data attenzione; tuttavia le condizioni organizzative sono ugualmente importanti, anche se meno riconoscibili: esse favoriscono il fatto che il mobbing diventi continuo nel tempo.

• Nella società industriale, nella quale le tradizionali certezze lavorative vengono messe in crisi e dove la capacità di generare competizione fra gli individui viene considerata un valore e uno stile di management, non è difficile incontrare individui collocati in posizioni in cui la competizione si avvicina allo scontro brutale. In tali circostanze l’umano organizzativo, che animale sociale resta, cercherà alleati per riuscire a sopraffare i suoi competitori. Il problema resta quello di capire qual è quella sottile linea di demarcazione fra una competizione fisiologica e la manifestazione di una situazione brutale di over competition. È compito della direzione aziendale intervenire per contenere, prevenire, ed evitare lo scontro selvaggio, attraverso, ad esempio, opportuni modelli di gestione delle risorse umane.

• Esistono condizioni organizzative che costituiscono premesse forti che possono favorire il manifestarsi del mobbing: il conflitto e l’ambiguità di ruolo, le caratteristiche del job design, lo stile manageriale, il clima organizzativo, l’insicurezza lavorativa, la mancanza di opportunità di crescita, le condizioni ambientali. Il peso dei singoli fattori è relativo alle caratteristiche peculiari di ogni organizzazione e dalla natura del lavoro: ad esempio insegnanti e impiegati accusano minori livelli di mobbing, mentre grafici e lavoratori di hotel/ristoranti maggiori. Non c’è differenza tra i sessi.

Le organizzazioni si manifestano su due fondamentali versanti: quello strutturale (ambienti fisici, condizioni oggettive di lavoro) e quello socio-relazionale (gruppi di lavoro, culture). Gran parte di queste dimensioni possono essere cause o concause dirette del manifestarsi del disturbo e questo indica che l’organizzazione è l’antecedente e il precedente di ogni manifestazione perniciosa sul piano individuale. Il compito dell’esperto è quindi quello di operare diagnosticando in anticipo che cosa accade in un’organizzazione e quali parametri possano facilitare il manifestarsi dell’effetto.

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• Le condizioni relative all’ambiente fisico, all’organizzazione dello spazio lavorativo, sono variabili molto importanti che agiscono sul benessere/malessere dell’individuo. In particolare, variabili che favoriscono lo scatenarsi del disagio sembrano essere:

- Spazio personale: l’individuo ha bisogno di concercaere un’adeguata distanza interpersonale per evitare di essere sottoposto a troppi stimoli sociali e fisici e per mantenere basso il livello di distress.

- Sovraffollamento sociale: legato alla variabile precedente, può provocare aggressività e reazioni emotive negative, tensione, ansia e stress.

• Cooper, uno dei maggiori esperti di stress organizzativo, ha messo in luce come, in qualsiasi tipo di organizzazione, ciascun individuo possa da un lato ricoprire funzioni e ruoli chiari e riconosciuti, mentre dall’altro, ricoprire ruoli la cui chiarezza è discutibile. Si tratta di quelle situazioni in cui viene attribuita ad un individuo una responsabilità senza che ad essa corrisponda una serie di atti formali, di attribuzioni di potere, di riconoscimento e professionalità che invece sono dovuti. Si ha:

- Ambiguità di ruolo quando il mansionario (insieme delle mansioni/compiti specifici relativi al ruolo) non è chiaro.

- Conflitto di ruolo quando le richieste di uno o più superiori risultano contraddittorie.Sembra essere soprattutto l’interazione tra questi due fattori organizzativi a favorire l’insorgere di situazioni potenzialmente distressanti di disagio lavorativo. Anche il contratto psicologico (insieme di credenze circa gli obblighi reciproci che si instaurano tra lavoratore e organizzazione) sembra essere una variabile importante correlata con il mobbing. Il contratto psicologico viene regolato sulla percezione di ciò che il lavoratore ritiene gli debba essere corrisposto dall’organizzazione, quindi sulle aspettative, e di ciò che egli ritiene possa offrire, quiondi sul proprio senso di autoefficacia. Quando il lavoratore si accorge che l’organizzazione non mantiene le promesse, contravvenendo al contratto psicologico, cambia la percezione del clima organizzativo e aumenta la probabilità soggettiva che possano accadere eventi di mobbing.

• Azioni di prevenzione organizzativa. Alcuni autori suggeriscono di attuare, a livello organizzativo, una serie di modifiche finalizzate alla prevenzione del mobbing, che si ramificano in più piste di lavoro:1 – La prima pista riguarda cambiamenti relativi al job design. Essi si riferiscono alle strategie di ricomposizione della mansioni (job rotation, job enrichment e job enlargment) che riducono il distress, aumentano il controllo sul lavoro e riducono la possibilità che le tensioni si sfoghino nell’individuazione di un capro espiatorio. Qualsiasi provvedimento che incrementi il controllo dei lavoratori in termini di discrezionalità, indipendenza e autonomia costituisce una misura di prevenzione.2 – La seconda pista individua nei cambiamenti dello stile di leadership un’altra importante leva, che deve essere fatta agire con alcune cautele:

- laddove sia stato modificato uno stile di leadership il cambiamento deve essere praticato in primis dal top manager che funge da modello: i valori proposti dal top management vengono più facilmente interiorizzati dalla cltura organizzativa;

- i nuovi stili di leaqdership devono essere appresi e sperimentati on the job;- i risultati del training di leadership, attuato nei confronti dei capi, devono essere valutati

direttamente dai lavoratori (feedback per definire l’efficacia del training stesso).3 – La terza pista consiste nel miglioramento della posizione sociale (social empowerment) di ogni individuo: si deve agire in modo da implementare procedure che proteggano il singolo anche qualora egli non fosse in linea col pensiero del gruppo.4 – La quarta pista prevede un aumento degli standard morali. Essa consiste in un’opera di marketing interno che si muove verso l’obiettivo di incrementare una maggiore sensibilizzazione di tutte le parti in causa, superiori e colleghi in primis, nel processo di prevenzione.

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E’ preciso compito (antimobbizzante) dell’organizzazione verificare, monitorare, controllare e formare i propri dirigenti. Un sistema organizzativo come sistema consapevole deve accogliere nella propria filosofia manageriale una grande attenzione a questa tematica in modo tale che possa mettere in atto azioni preventive forti ed efficaci.

9. Mobbing o semplice conflitto?

• Le persone di solito pensano alle organizzazioni come a luoghi dai quali debba essere bandita ogni forma di conflitto: tale pensiero poggia sul desiderio che i rapporti umani siano improntati al rispetto reciproco e alla collaborazione. Tale concezione risulta semplicistica, in quando il conflitto non è di per sè un fenomeno distruttivo. In particolare:- Il conflitto è fisiologico, cioè è parte naturale, sana e positiva tanto delle moderne società

complesse, quanto delle organizzazioni. Il conflitto fisiologico non prevede l’eliminazione dell’avversario, quanto la volontà di primeggiare su questo.

- Il conflitto è fonte di energia: una buona dose di non-adesione alle opinioni della maggioranza favorisce il pensiero divergente e la creatività.

- Il conflitto è fonte di cresciuta.

• French e Raven individuano cinque tipi di potere che un’organizzazione esercita:1) Il potere dell’esempio: l’organizzazione si pone come modello da emulare.2) Il potere di competenza: si fonda sul possesso, da parte dell’organizzazione, di conoscenze e

know-how che il lavoratore non possiede.3) Il potere di ricompensa: esercitato dall’organizzazione quando è nelle sue facoltà attuare

azioni premianti o sanzionatorie.4) Il potere coercitivo: si esplica in un atto di forza dell’organizzazione (licenziamento).5) Il potere legittimo: si manifesta nella generazione di norme/valori che influenzano le

condotte dei membri.

Non è detto che un individuo debba necessariamente sottostare alla cultura dominante: egli può mettere in atto strategie di difesa. Tuttavia, l’organizzazione tenderà a ridurre al minimo la soggettività, in modo da monitorare processi e uniformare procedure. È proprio a causa della volontà di escludere ogni personalismo che si è arrivati alla burocrazia. La burocrazia è un elemento tipico delle complesse società moderne ed è caratterizzata dalla spersonalizzazione e dal tentativo di limitare le innovazioni che prescindono da procedure standardizzate. La burocrazia è proprio il risultato non voluto del tentativo di abolire le diversità all’interno delle organizzazioni. Dal momento che gli individui hanno motivazioni diverse è naturale che le organizzazioni siano luoghi di congflitto; l’obiettivo deve diventare quello di evitare che il conflitto fisiologico e benefico, portatore di spinte positive, si trasformi in patologico. In particolare, il conflitto diventa deleterio nel momento in cui determina:- diminuzione della produttività;- abbassamento del morale dei lavoratori;- innesco a catena di altri conflitti;- reazioni inappropriate.Un’organizzazione che ammetta e pèreveda il conflitto deve contemplare e attuare modalità di gestione del medesimo (conflict management).

• Un’organizzazione, per poter sopravvivere e perpetuarsi, ha, tra le varie necessità, quella di appoggiarsi a una dimensione di autorità. È infatti l’autorità o il “potere” che garantisce coordinamento e integrazione tra le diverse attività che si sviluppano in un’organizzazione. Ogni volta che l’azienda manifesta l’azione autoritativa, si crea un certo grado di costrittività nel

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lavoratore. Tuttavia, questo comportamento autoritativo che è necessariamente costituito da una quota costrittiva di forza e di potere non è potenziale di mobbing.Alcuni ambienti e ambiti professionali, proprio per le loro caratteristiche costituenti, si prestano più di altri al fraintendimento nella percezione di una richiesta. Quando il clima organizzativo è caratterizzato da un alto tasso di conflittualità interna, anche una banale richiesta può essere percepita come un oltraggio e una persecuzione.

Se un individuo che ha diritto a ricevere un servizio, laddove abbia anche responsabilità e autorità maggiori nei confronti di un altro, chiede a gran voce che questo gli venga erogato, può accadere che tale richiesta venga fraintesa, e il mobbing chiamato in causa come chiave di lettura. Il fatto che a fare la richiesta sia una peprsona caratterizzata da un ruolo di maggiore responsabilità o collocata a un più elevato livello gerarchico, non giustifica che tale azione debba essere considerata solo per questo una forma di mobbing.

È necessario quindi distinguere tra una legittima azione autoritativa, a volte anche molto assertiva, e un’azione mobbizzante.

Una politica preventiva è l’insistenza su informazione e formazione, necessarie per dare maggiore consapevolezza, tanto ai potenziali mobber, quanto ai mobbiizzati o ai co-mobber.