Paura di vendere? Dove nasce

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18 - Vendere di più DOSSIER MA CHI TI CREDI DI ESSERE? PER VENDERE, BISOGNA BUSSARE E POI PROMETTERE. MA SE CEDIAMO ALLA PAURA E ALL’ARROGANZA, CORRIAMO IL RISCHIO DI NON SAPERE PIÙ CHI SIAMO. TERZA PARTE DELLO SPECIALE “VENDITORE O COMMERCIALE: TU COME TI CHIAMI?” IL MAL DI VENDITA di Lorenzo Cavalieri Quanto l’idea che nell’immaginario collettivo si ha di un agente immobiliare o di un direttore commerciale è influenzata dal pregiudizio cultu- rale che associa “l’accumulazione del vil denaro” all’ingiustizia? Non poco, soprattutto se partiamo dalla considerazione che la vendita è il «braccio armato» di ogni processo di creazione e distribu- zione di valore economico. Da questo punto di vista è plausibile legare me- taforicamente il venditore al soldato (soldato vie- ne da soldo). Entrambi sono protagonisti attivi in prima linea di un meccanismo che molti giu- dicano perverso e iniquo. Entrambi rischiano in prima persona. Entrambi hanno un margine di libertà piuttosto limitato. Sono vittime o complici? Siamo portati a consi- derarli complici osservandoli nel momento cinico dell’azione, vittime nel momento della solitudine e dello scoramento. Di certo sarà emotivamente difficile considerarli come normali salariati che erogano una prestazione e ricevono una paga. Fuor di metafora, in un contesto culturale in cui accumulare denaro è vissuto come ingiusto o quantomeno volgare, fare un mestiere che impli- ca passare le giornate a parlare di prezzi, sconti e sistemi di pagamento significa portarsi dietro un handicap nei meccanismi di riconoscimento sociale. L’archetipo del denaro inteso come sterco di Sa- tana è uno dei principali motivi per cui, con rare eccezioni, i giovani, nella loro fisiologica ignoran- za delle dinamiche del mondo del lavoro, storco- no il naso di fronte a prospettive occupazionali Niente è più dificile che accettare se stessi. (Max Frisch) connesse all’attività commerciale. Non a caso da alcuni anni si è sviluppata negli organigrammi e negli annunci di lavoro la tendenza a mascherare dietro formule genericamente consulenziali ruoli e mansioni tipicamente legati alla vendita. Così, quando parla di sé con gli amici, chi sta alla cassa in libreria preferisce dire «faccio il libraio», piuttosto che «gestisco una libreria» o peggio «vendo libri». È una sfumatura, ma ha molta im- portanza. Con la prima frase si enfatizza l’oggetto di cui ci si occupa, con la seconda si fa riferimento a un’attività di gestione mercenaria, di compra- vendita. Per lo stesso motivo, è molto più facile sentir dire «mio figlio sta nell’informatica» piut- tosto che «mio figlio è responsabile commerciale in una software house». Ed è sempre per lo stesso motivo che, se chiediamo al medico quant’è il suo onorario, è molto probabile che allarghi le brac- cia e con aria quasi infastidita risponda: «Ne parli con la mia assistente quando esce, grazie». È pre- sumibile che il libraio, il padre dell’informatico e il medico appartengano a quella categoria di sog- getti che non trattano sul prezzo quando compra- no le scarpe e non controllano il conto il sabato sera in pizzeria. Sarebbe decisamente poco chic. Incontrando i professionisti delle reti di vendita di tanti settori diversi, mi convinco sempre di più che “l’obiezione etica” sia spesso solo una giusti- ficazione. Il mal di vendita (“vendere non fa per me”, “non so vendere”, “vendere è da furbacchioni”, “vendere è da squali”) spesso è semplicemente e solamente figlio di due naturali meccanismi di fuga: la “fuga dalla porta in faccia” e la “fuga dalla promessa”. Quando ho cominciato la mia carriera commer- ciale, ero terrorizzato dall’idea di dover distur-

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18 - Vendere di più

DOSSIER

MA CHI TI CREDI DI ESSERE?PER VENDERE, BISOGNA BUSSARE E POI PROMETTERE. MA SE CEDIAMO ALLA PAURA E ALL’ARROGANZA, CORRIAMO IL RISCHIO DI NON SAPERE PIÙ CHI SIAMO. TERZA PARTE DELLO SPECIALE “VENDITORE O COMMERCIALE: TU COME TI CHIAMI?”

IL MAL DI VENDITA

di Lorenzo Cavalieri

Quanto l’idea che nell’immaginario collettivo si ha di un agente immobiliare o di un direttore commerciale è influenzata dal pregiudizio cultu-rale che associa “l’accumulazione del vil denaro” all’ingiustizia? Non poco, soprattutto se partiamo dalla considerazione che la vendita è il «braccio armato» di ogni processo di creazione e distribu-zione di valore economico.Da questo punto di vista è plausibile legare me-taforicamente il venditore al soldato (soldato vie-ne da soldo). Entrambi sono protagonisti attivi in prima linea di un meccanismo che molti giu-dicano perverso e iniquo. Entrambi rischiano in prima persona. Entrambi hanno un margine di libertà piuttosto limitato.Sono vittime o complici? Siamo portati a consi-derarli complici osservandoli nel momento cinico dell’azione, vittime nel momento della solitudine e dello scoramento. Di certo sarà emotivamente difficile considerarli come normali salariati che erogano una prestazione e ricevono una paga.

Fuor di metafora, in un contesto culturale in cui accumulare denaro è vissuto come ingiusto o quantomeno volgare, fare un mestiere che impli-ca passare le giornate a parlare di prezzi, sconti e sistemi di pagamento significa portarsi dietro un handicap nei meccanismi di riconoscimento sociale.L’archetipo del denaro inteso come sterco di Sa-tana è uno dei principali motivi per cui, con rare eccezioni, i giovani, nella loro fisiologica ignoran-za delle dinamiche del mondo del lavoro, storco-no il naso di fronte a prospettive occupazionali

Niente è più dificile che

accettare se stessi.

(Max Frisch)

connesse all’attività commerciale. Non a caso da alcuni anni si è sviluppata negli organigrammi e negli annunci di lavoro la tendenza a mascherare dietro formule genericamente consulenziali ruoli e mansioni tipicamente legati alla vendita.Così, quando parla di sé con gli amici, chi sta alla cassa in libreria preferisce dire «faccio il libraio», piuttosto che «gestisco una libreria» o peggio «vendo libri». È una sfumatura, ma ha molta im-portanza. Con la prima frase si enfatizza l’oggetto di cui ci si occupa, con la seconda si fa riferimento a un’attività di gestione mercenaria, di compra-vendita. Per lo stesso motivo, è molto più facile sentir dire «mio figlio sta nell’informatica» piut-tosto che «mio figlio è responsabile commerciale in una software house». Ed è sempre per lo stesso motivo che, se chiediamo al medico quant’è il suo onorario, è molto probabile che allarghi le brac-cia e con aria quasi infastidita risponda: «Ne parli con la mia assistente quando esce, grazie». È pre-sumibile che il libraio, il padre dell’informatico e il medico appartengano a quella categoria di sog-getti che non trattano sul prezzo quando compra-no le scarpe e non controllano il conto il sabato sera in pizzeria. Sarebbe decisamente poco chic.

Incontrando i professionisti delle reti di vendita di tanti settori diversi, mi convinco sempre di più che “l’obiezione etica” sia spesso solo una giusti-ficazione.Il mal di vendita (“vendere non fa per me”, “non so vendere”, “vendere è da furbacchioni”, “vendere è da squali”) spesso è semplicemente e solamente figlio di due naturali meccanismi di fuga: la “fuga dalla porta in faccia” e la “fuga dalla promessa”.Quando ho cominciato la mia carriera commer-ciale, ero terrorizzato dall’idea di dover distur-

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bare telefonicamente un signore, che nella mia immaginazione era grande, arrabbiato e super impegnato, per proporgli un prodotto che nella mia percezione era del tutto superfluo. Nella mia testa il mio interlocutore aveva potere e io non avevo potere. Lui poteva respingermi, io non po-tevo respingerlo. Inoltre per vendere avrei dovuto “promettergli valore”. E se poi non fossi stato in grado di onorare la promessa?A distanza di un po’ di anni, quando chiamo un cliente sento sia quel brivido del bussare che quel brivido del promettere. Con intensità diverse da allora sento comunque ancora entrambi i brividi. E ho l’impressione che li sentirò sempre. Sono brividi che fanno parte del gioco. Per vendere bi-sogna bussare e poi bisogna promettere.

Per governare la “paura di bussare” e la “paura di promettere”, credo sia fondamentale capire cosa c’è dietro. E molto semplicemente dietro ci sono da un lato il rischio e il terrore di essere respin-ti, dall’altro il rischio e il terrore di deludere. Qui sta il cuore della questione. Psicologicamente non siamo attrezzati per vivere il “no, guarda, non mi interessa il tuo prodotto” come un no alla nostra proposta commerciale. Purtroppo emotivamente

Se non puoi essereun pino sul monte,sii una sagginanella valle,ma sii la migliorepiccola sagginasulla spondadel ruscello.

(Martin Luther King)

Si occupa di corporate coaching e formazione ma-

nageriale, di sviluppo e la gestione di reti vendita.

Nel 2011 ha pubblicato per Vallardi Vendere mi pia-ce, tradotto in Spagna. Sempre per Vallardi ha pub-

blicato nel 2013 Mi vendo (bene) ma non sono in vendita. Il suo blog è www.emozioniinformazione.it

LORENZO

CAVALIERI

siamo portati a prenderlo come un “no, guarda, non mi interessi tu”. Idem per la promessa. Non siamo in grado di vivere il “sono deluso” come un “il tuo prodotto mi ha deluso”. Lo viviamo come un “tu mi hai deluso”.

Se facciamo i conti con questa dimensione del “poter essere respinti” e del “poter deludere” ri-usciamo a fare una diagnosi corretta del nostro “mal di vendita”. Solo in questo modo possiamo prendere le contromisure, in primis con un lavoro personale sulla consapevolezza dei nostri obiettivi e del nostro valore personale.