Notiziario 244 - Frati Minori di Lombardia

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Anno XXXVI – n. 244 – Maggio 2014 NOTIZIARIO Provincia di Lombardia “S. Carlo Borromeo” dei Frati Minori

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Notiziario della Provincia dei Frati Minori di Lombardia S. Carlo Borromeo: Anno XXXVI - n. 244 - Maggio 2014

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Anno XXXVI – n. 244 – Maggio 2014

NOTIZIARIO

Provincia di Lombardia “S. Carlo Borromeo” dei Frati Minori

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Colombe, tempera su cartone, 1945. (Collezione privata)

La colomba, per la sua semplicità e la sua profonda valenza simbolica, fu uno dei soggetti preferiti da Padre Costantino. Egli raccoglieva in un grande quaderno tutte le immagini di questo soggetto che lo colpivano, creando così una grande collezione che affiancava, fotografie e ritagli di giornale, opere di artisti famosi e di sconosciuti, insieme a suoi disegni ed elaborazioni. Indagherà questo soggetto con diverse tecniche, e apparirà spesso nelle vetrate di chiese e spazi mistici. Fr. Carlo Cavallari

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Indice

Dall’Ordine

Omelia del Ministro generale al funerale di fr. Giacomo Bini 5 Mons. Sigalini ricorda di fr. Giacomo Bini 10

Il saluto a frate Giacomo 11

Consiglio di Cooperazione Provincie Nord Italia 15

Dal Definitorio Milano Curia provinciale 6 maggio 2014 19

Vita Consacrata e formazione permanente – II Parte Mons. Giafranco Agostino Gardin ofm conv. 21

Testimonianze di Vita Fraterna

Esercizi spirituali del Definitorio nella Terra dei Fioretti 28 Omelia funerale di fr. Nazareno Panzeri 32

Poesia per fr. Nazareno Panzeri 35 FilmiAmo 36 Notizie di Casa 39

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Grottaferrata Roma 5 maggio 2014 Chiesa Suore Francescane Missionarie di Maria

Dall’Ordine

Omelia del Ministro generale fr. Michael Perry OFM per il Funerale di Fr. Giacomo Bini

«Un antico proverbio cinese dice: ‘Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito’. Il nostro compito sarebbe quello di indicare la luna, di indicare la direzione; al centro sta la luna, non il nostro dito. Non siamo in grado di ribaltare il mondo subito, qui e ora; ma nonostante l’apparente lentezza la nostra vita parla. Siamo seminatori instancabili di semi d’eternità, di amore, di carità: se abbiamo questa passione, sappiamo che l’essenziale è seminare... è la nostra vita che deve essere significativa».

(Giacomo Bini, Ritorno alla intuizione evangelica francescana, Milano, 2010, p. 36)

Oggi, nel Vangelo abbiamo sentito il Signore che ci ha

ricordato: «Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 9-12).

Ci siamo radunati qui, oggi, in questa chiesa delle Suore Francescane Missionarie di Maria, ben conosciuta da Giacomo, da suo fratello Carlo, da tutta la sua famiglia e anche da parecchi frati. Siamo qui come popolo di Dio per celebrare la vita, la fede e la rinascita del nostro fratello e amico Fra Giacomo Bini. Giacomo ha cercato per tutta la sua vita di rimanere nell’amore e nella misericordia di Dio, di osservare il comandamento dell’amore e di gustare la gioia e la libertà che provengono solo dall’essere radicati in Dio. Nella sua relazione al Capitolo generale 2003 Giacomo parlava di “Utopia francescana”, motivata dalla speranza. E continuava dicendo che un frate – e credo che intendesse comprendere anche ogni discepolo di Gesù Cristo – deve nutrire una profonda passione per Cristo, cercando di mettere Dio al centro di tutta la sua vita. Se centriamo la nostra vita in Dio, ci ritroviamo su un cammino di fede e di scoperta che offre possibilità sempre nuove e inedite per la nostra vita, per la vita dei fratelli e delle sorelle e per la vita del mondo.

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Per Giacomo il contesto specifico in cui noi Frati Minori possiamo scoprire la volontà e la strada che Dio ha pensato per la nostra esistenza è proprio l’esperienza intensa della fraternità. «La fraternità è la condizione e il dovere fondamentale che definisce la nostra identità e la nostra missione». E per promuovere la comunione fraterna, una comunione che è radicata nella relazione con Dio, siamo chiamati a diventare esperti delle nuove forme di relazione evangelica e interpersonale con tutti. L’esperienza profonda e continua che godiamo con Dio diventa la sorgente della speranza e delle possibilità inedite per la nostra vita in fraternità come Fratelli del Vangelo, una fraternità che si apre verso l’esterno e si rivolge al mondo e a tutto il creato. Se coltiviamo e facciamo crescere la nostra consapevolezza e il nostro impegno rispetto a relazioni evangelicamente fondate, scopriremo in noi una passione per il popolo di Dio, per l’umanità in crisi e bisognosa dell’amore e della misericordia di Dio che tutti abbraccia. Giacomo era convinto che l’«itineranza, la volontà e il senso di minorità che sgorgano da una passione per l’umanità ci aprono all’altro, chiunque esso sia». Era anche convinto che il nostro impegno alla conversione permanente, ossia la conformazione al cammino di Gesù Cristo, ci offre gli strumenti per approfondire la nostra fede, la nostra vocazione e la nostra passione per impegnarci nella missione di Dio per il bene del mondo. «Rimanete nel mio amore». L’invito che Gesù nel Vangelo secondo Giovanni rivolge ai suoi discepoli riflette l’esperienza che Gesù stesso ha sperimentato e goduto con il Suo e nostro Padre. Tutto il Vangelo secondo Giovanni ci mostra che Gesù è costantemente in contatto col Padre Suo. In nessuna azione, in nessun incontro di Gesù, narrati da Giovanni, Dio Padre è assente. Gesù gode di una ininterrotta comunione di mente, di cuore e di spirito col Padre. Attraverso questa intensa relazione Gesù si fa mediatore della misericordia di Dio, rendendola disponibile ad ogni persona. «Misericordia io voglio, non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori», sentiamo anche nel Vangelo secondo Matteo (Mt 9,13). E nel capitolo terzo di Giovanni Gesù afferma: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Dio, attraverso Gesù, cerca di attirare nuovamente il mondo a sé, affinché il mondo e tutti coloro che vi abitano sperimentino il suo perdono, la sua misericordia, il suo amore e la sua vicinanza. In tutta la sua vita Giacomo ha testimoniato l’amore e la misericordia di Dio, all’opera nella sua vita e nel suo cammino di risposta vocazionale. Come ci ha detto fra Paul sabato sera, Giacomo non si stancava mai di aprire il suo cuore per ricevere, benedire e ascoltare un fratello o una sorella che a lui si rivolgevano in cerca di qualcuno che ascoltasse attentamente, in cerca di una parola saggia di conforto, in cerca di un abbraccio amorevole.

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Ma in Giacomo c’era anche qualcosa in più, qualcosa di contagioso, che riusciva a toccare il cuore e l’anima di ogni persona che lo incontrava. Giacomo era un autentico credente. Credeva fermamente che Dio credeva in lui e in tutta l’umanità. Proprio per questo, cioè credendo che la sua persona aveva la sua origine solo nell’amore e nella misericordia di Dio, Giacomo è stato in grado di credere con tutto il suo cuore nella possibilità di vivere la vita evangelica proposta da Francesco d’Assisi, un’autentica utopia. Credeva possibile vivere dipendendo solamente da Dio, la sorgente di tutto ciò che esiste, la sorgente dell’amore e della speranza per il futuro del mondo.

Credeva possibile vivere in libertà, una libertà che ci permette di andare per il mondo a due a due come fratelli, condividendo tra noi l’amore e la libertà che vengono da Dio, condividendo con tutte le persone che si incontrano lungo il cammino questa stessa verità. Ancora, come abbiamo sentito da Fr. Paul, Giacomo

credeva possibile vivere la radicalità del Vangelo, fare esperienza della grazia radicale di Dio che è all’opera nella fraternità, una fraternità infiammata dall’amore di Dio, sperimentato attraverso semplici atti di gentilezza e di premurosa attenzione. Giacomo credeva che il Vangelo ci rende liberi da ogni sentimento di possessività e di ossessione nei confronti delle strutture e del possesso delle cose materiali, e ci rende capaci di intraprendere il viaggio che ci conduce all’autentica libertà evangelica. Giacomo credeva! Si fidava e confidava in Dio e nella bontà insita in ogni persona, a cominciare dai frati della sua fraternità. E siccome osava credere in modo semplice ma totale, era capace di muoversi con assoluta libertà, cercando di trovare e di coltivare un autentico incontro con Dio e un autentico incontro con i fratelli e le sorelle, che sono figli amati di un Dio tenero e misericordioso. Come Giacomo stesso ha scritto: «La vita francescana è vita evangelica quando nella nostra vita quotidiana siamo in grado di incarnare lo stile di vita di Cristo: vita in fraternità, annuncio al mondo, minorità, servizio, dono di sé» (G. Bini, Ritorno alla intuizione evangelica francescana, Milano, 2010, p. 39).

Poche ore prima del suo ritorno alla casa del Padre, alcuni frati di Palestrina, alcuni parenti di Giacomo e alcuni di noi frati della Curia abbiamo avuto la grazia di trascorrere alcuni brevi momenti con lui. Anche nell’ora della morte Giacomo annunciava la vita! Ci ha parlato della misericordia di Dio e del suo personale e intenso desiderio di dissetarsi ancora di più alla sorgente di questa misericordia, per la sua vita, per la sua famiglia, per la fraternità francescana universale e per tutta l’umanità. Nonostante la stretta della morte, Giacomo proclamava la bontà di Dio, rendendo grazie per tutto quello che Dio aveva compiuto nella sua vita e per tutto quello che Dio continuava a fare nella e per la vita dei fratelli dell’Ordine.

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Parlava con tenera gratitudine del dono della sua famiglia, che egli amava e curava con profondo affetto. Parlava della sua gratitudine per aver potuto sperimentare l’energia e la passione per il Vangelo tra i fratelli e le sorelle in Africa, dove è stato come missionario. Parlava di altri religiosi, in particolare delle Clarisse, delle Suore Francescane di Maria e di altre congregazioni femminili francescane. E parlava del futuro, della speranza che Dio nutre per il mondo, tendendo in alto il suo braccio destro, verso il soffitto, verso il paradiso, e ripetendo: «La vita continua!».

Non posso farmi interprete del significato di queste parole, «La vita continua!», a nome del fratello Carlo o degli gli altri membri della sua famiglia, o dei Frati di Palestrina. Ripensando, però, a queste parole, che Giacomo ripeteva ad ogni persona che entrava nella sua stanza, per godere ancora di qualche momento benedetto con lui, mi si è chiarito il messaggio che Giacomo stava dicendo a me, Michael, e che stava dicendo anche ad ognuno di quelli che hanno potuto incontrarlo in quel momento. Giacomo mi e ci stava dicendo che lui aveva fatto tutto quello il possibile per rispondere con libertà e gioia a quello che spettava a lui fare. E questo messaggio è come quello il serafico padre san Francesco ha detto ai suoi fratelli quando si preparava ad accogliere sorella morte. Sono convinto che Giacomo stesse dicendo a ciascuno, a tutti noi presenti qui oggi, ai suoi amati parenti, a tutti Frati dell’Ordine dei Frati Minori, dei Conventuali, dei Cappuccini, a tutte le Clarisse, a tutti le Suore francescane, ai tutti i fratelli e le Sorelle dell’Ordine Francescano Secolare e ad ogni discepolo del Signore Gesù: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Questo è il momento in cui ciascuno di noi deve accogliere il Vangelo senza condizioni, in libertà e gioia. Questo è il momento in cui noi come Giacomo dobbiamo amare «il Signore nostro Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente e con tutte le nostre forze» (Dt 6,5).

Voglio concludere con le parole della preghiera di san Francesco d’Assisi, Alto e glorioso Dio, parole che colgono ed esprimono il cuore e l’anima della nostra vocazione evangelica, che ci invitano a riporre ancora più radicalmente la nostra fiducia in Dio e ad abbracciare la nostra vocazione evangelica con tutte le sue esigenze di radicalità.

Attraverso queste parole possiamo comprendere meglio le parole di Giacomo: «La vita continua!». Le preghiamo assieme:

Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per tuo amore,

ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace,

affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati, e accesi dal fuoco dello Spirito santo,

possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo,

e con l’aiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo,

che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni e sei glorificato,

Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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Mons. Sigalini ricorda fr. Giacomo Bini

Omelia IV Domenica di Pasqua La vita è quella parola magica che ci riempie sempre di mistero. È la somma di tutti i

beni che desideriamo e nello stesso tempo è vita tutto ciò che li rende possibili. È un’insieme di promesse affascinanti e di incognite oscure. È tutto quel che possiamo avere e nello stesso tempo amare; tutto da riempire e godere. Il mondo, l’universo è il regno della vita. È il bene massimo per me, ma nello stesso tempo è il bene massimo per tutti. Ebbene, dice il Vangelo, la vita è popolata di ladri che non vengono se non per rubare uccidere, distruggere.

C’è tanta gente che vuole solo succhiarti e rubarti la vita. È il potente che ti avvelena anche l’aria che respiri, è l’ingannatore che a poco a poco, te la sottrae fino a farti schiavo, è chi te la usa per i suoi vantaggi e crede di pagartela con qualche spicciolo; è chi la uccide per mestiere perché fabbrica solo armi: ha già deciso che qualcuno dovrà togliere la vita a qualcun altro; ma ci siamo anche noi che la buttiamo per leggerezza, la soffochiamo in noi e negli altri per egoismo, per vizio; la facciamo nascere senza saperlo e la rinneghiamo e cancelliamo come se fosse un pezzo delle cose che abbiamo.

Però c’è anche chi la dona, chi la cura, chi la fa crescere. L’umanità è la culla della vita. Accanto a tanti che la rubano uccidono e distruggono ci sono molti papà e mamme che la coltivano con assoluta dedizione, che non calcolano sacrifici per farla crescere. Dove trovano questa forza questa convinzione, questa decisione che non ha bisogno di tante prove razionali?

Dice Gesù: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. È la pienezza della vita scritta dentro i nostri giorni. Hanno tentato in tutti i modi di ucciderla, rubarla, distruggerla ma Lui, la vita, non l’hanno potuta scalfire. Ci avevano messo una pietra credendo di averla cancellata ma la pietra è saltata. La vita è Lui; l’universo è imparentato con Lui, dove c’è vita, c’è invocazione e segno della sua presenza.

E Lui ha il segreto della pienezza per ogni vita. E lo è stato e oggi lo è ancora di più per la vita di padre Giacomo, una vita piena di donazione, di pazienza, di bontà, di serenità, di fede, di tenerezza. Perdiamo un consolatore qui in terra, perdiamo una guida spirituale serena. Non posso più dire a qualche anima di prete, di suora, di papà e mamma di famiglia, a qualche giovane in cerca di chiarezza per la sua vocazione: vai da padre Giacomo Bini, vai su dai frati e cerca di lui. Se c’è e ha tempo, ti aiuterà, ti darà serenità, ti accoglierà e ti fascerà le ferite dell’anima.

Per noi non era il ministro generale, non era il responsabile del personale, che è un lavoro delicato, impegnativo e molto esigente, come tocca essere ad ogni autorità ecclesiale; per noi prenestini era una presenza e una compagnia, il volto della tenerezza di Dio.

Quando papa Francesco ci entusiasmava e ci toccava il cuore parlando della tenerezza di Dio, io pensavo a lui che ne era il volto più vicino; quando ci parlava di uscire, sapevano di incontrare nei progetti e nelle scelte di padre Giacomo la concretezza di una missione nelle periferie esistenziali.

Oggi lo piangiamo assente nel suo corpo ,sentite ancora di più la sua mancanza al convento, la sento perché sono terziario francescano o almeno tento di essere, ma lo sentiamo presente nello Spirito, lo pensiamo nelle braccia del Padre a intercedere per noi, a ridarci tenerezza e il coraggio della missione.

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Il saluto a frate Giacomo Bini

Una volta superati il dolore e la sorpresa provocati dalla notizia che frate Giacomo

era partito, questa volta in modo definitivo e senza lasciare molto preavviso, mi è sembrato di sentire che in qualche modo per me si trattava di una convocazione. Fra Giovanni Rinaldi mi ha assicurato la possibilità di essere accolto in Curia generale, così nel pomeriggio di sabato 10 maggio sono partito per Roma; masticavo tra me una sensazione amara, il presentimento che mi aspettava una lotta feroce, la stessa sensazione di quando, bambino, sognavo di dover combattere contro un drago spaventoso. Giacomo, il nostro fratello e ministro, era morto la mattina di venerdì 9: mercoledì mattina (7 maggio) aveva un’ultima volta condiviso la sua esperienza e i suoi sogni con i frati (questa volta erano quelli della Provincia romana riuniti per un incontro in preparazione al Capitolo provinciale); in serata era stato ricoverato al Policlinico Tor Vergata; giovedì 8 gli era stata diagnosticata una forma di leucemia particolarmente aggressiva che alle prime luci del venerdì l’ha riportato al Signore.

Per tutti la notizia della morte è stata un fulmine a ciel sereno: per i suoi fratelli di Palestrina, che aveva salutato normalmente mercoledì mattina, e per le tante persone che gli volevano bene in tutto il mondo (praticamente tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo di persona). Ritrovarsi per condividere l’incredulità e il ricordo è sembrato a tanti un buon modo per non lasciare al dolore l’ultima parola. Già sabato sera la piccola chiesa di Palestrina si è riempita di gente per salutare il corpo di fra Giacomo, racchiuso nella bara appoggiata sul pavimento ai piedi dell’altare, sovrastata da un’imponente icona della resurrezione e affiancata da una bella immagine di Giacomo sorridente. C’è stata tanta gente, si è pianto molto e si è pregato altrettanto, in modo semplice e spontaneo come sono abituati da quelle parti: tanti hanno preso la parola per ricordare gli incontri con Giacomo significativi per la loro vita e per ringraziare il Signore. Un frate che ho incontrato in Curia la mattina seguente mi confidava di essere rimasto stupito: per il clima certamente segnato dalla sofferenza, ma insieme anche pieno di grande fede e di serenità che si poteva respirare.

Per tutta la domenica è continuata la processione di persone provenienti da tante parti del mondo per dare un ultimo saluto a fra Giacomo. Alle 18.30 il vescovo di Palestrina ha voluto che la celebrazione domenicale d’orario in cattedrale assumesse anche il carattere di ricordo e di ringraziamento per il bene svolto dal nostro fratello nei sette anni della sua presenza in quella comunità cristiana. Tra le altre cose mons. Sigalini ha detto con semplicità quanto era stata importante la presenza di questo frate semplice e sereno a cui aveva indirizzato molte persone sfiduciate o in ricerca. Anche in cattedrale tanta gente, tante lacrime, tanta fede e riconoscenza. Alla messa erano presenti i fratelli di Palestrina, il Ministro generale e altri frati provenienti soprattutto da conventi della Provincia romana.

Tornati in convento, abbiamo condiviso una cena un po’ improvvisata, mentre la chiesa rimaneva aperta per consentire a chi voleva di dare un saluto tranquillo a Giacomo.

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Abbiamo sperimentato la generosità degli abitanti di Palestrina; secondo la tradizione nelle case segnate dal lutto non ci si deve preoccupare per le faccende quotidiane, come cucinare: così in tanti si sono presentati al convento portando da mangiare in quantità... Abbiamo poi scoperto che proprio quel giorno era anche il compleanno di frate Jacopo, il guardiano della fraternità. Ho potuto respirare, quasi incredulo, un clima di serenità, di gioia del ritrovarsi insieme, di sofferenza reale ma resa sopportabile dalla consapevolezza che è condivisa, che non pesa solo sulle tue spalle. È stata una serata che mi ha davvero fatto bene: quasi un invito a lasciar da parte il mio star male e a tenere gli occhi aperti sul tanto bene costruito da Giacomo, bene che niente e nessuno può cancellare, anzi, che rimane come base solida su cui provare a costruire una vita degna lì dove siamo. Dopo la compieta, celebrata insieme alla gente, che composta e silenziosa continuava ad affollare la chiesa, ho passato una notte tranquilla, come se vedere quel luogo, quella fraternità e quella comunità cristiana così unite e solidali mi avesse aperto il cuore ad una speranza, come se si trattasse di un invito a non pretendere di capire tutto subito, ad aspettare, ad avere fiducia nel Signore che, in modo misterioso, anche attraverso quel dolore si stava facendo presente...

Il lunedì siamo partiti dopo aver celebrato le lodi in chiesa insieme a Giacomo, per l’ultima volta tra la sua gente. Siamo arrivati a Grottaferrata, nella casa delle Suore FMM, immersa in un grande parco, con la possibilità di accogliere le numerose persone aspettate. E davvero sono stati tanti a voler dare un ultimo saluto al nostro fratello: i frati, anzitutto, venuti non solo dell’Italia; una rappresentanza significativa di sorelle Clarisse di diversi monasteri, a ricordare un legame speciale con il Ministro generale che nel 2002 aveva scritto la lettera «Chiara d’Assisi un inno di lode» e con il fratello che da sempre ha vissuto la convinzione del legame inscindibile tra vocazione francescana e dimensione clariana; i familiari, sorella, fratelli, e nipoti che hanno testimoniato la cura discreta ma fedele di Giacomo per le relazioni di famiglia; e tante donne e uomini, anziani e giovani, riconoscenti e addolorati per questo lutto che sembrava toccare ciascuno in modo particolare. Anche durante la messa, inevitabilmente lunga (quasi due ore), l’impressione è stata quella di trovarsi in una cerchia familiare, nonostante il numero imponente delle presenze. Il Ministro generale presiedendo la celebrazione ha tratteggiato la figura del suo predecessore facendosi aiutare da parole prese dagli scritti di Giacomo, oltre che dalla parola di Dio proclamata. Ci sono stati momenti di emozione profonda soprattutto nei minuti seguenti la comunione, quando sr. Anna, delle Suore Operaie di Botticino, ha cercato di dar corpo, attraverso la danza, ai sentimenti di tutti: il dolore di un distacco troppo rapido, il desiderio di trattenere con sé fra Giacomo, la certezza dell’abbraccio misericordioso del Signore, la voglia di continuare a camminare sulla strada di una relazione autentica con Dio e i fratelli. Il tutto in tre minuti, segnati da un silenzio impressionante e da un’attenzione spasmodica, mentre la commozione rigava di lacrime i volti di tante persone... Poi hanno preso la parola fra Jacopo e frate Paul, che sono stati accanto a Giacomo nelle ultime ore, condividendo con tutti i presenti la sofferenza bruciante di quei momenti per l’evolversi incalzante del male, ma anche lo stupore e l’ammirazione per l’atteggiamento sereno, disponibile, da vero credente di Giacomo, che nell’ultima sera ha coscientemente partecipato alla celebrazione dell’unzione, arricchendo il rito con le sue riflessioni e le sue preghiere a Dio, oltre che con le esortazioni ai fratelli (“La vita continua...” e “Per la messa, facciamo una cosa tra noi...”).

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Al termine dell’eucaristia si è formato un corteo che ha accompagnato il corpo di frate Giacomo al luogo della sepoltura, a Marino, dove già si trova la mamma. Infine tutti siamo tornati a Grottaferrata, dalle suore, che avevano messo a disposizione un grande salone per condividere quello che la gente di Palestrina, su invito dei frati, aveva portato da mangiare. Così il funerale si è naturalmente trasformato in un momento intenso di comunione e di fraternità, come fosse l’ultimo regalo che il buon frate Giacomo avesse voluto lasciare a quanti gli erano stati vicini sino alla fine.

Sono stati giorni difficili, densi di dolore e di speranza, di commozione e di memoria, di incontri e di sorprese. Sicuramente mi rimarranno impressi alcuni momenti particolari, tanti volti, qualche parola fra le tante… Ma la cosa più preziosa che mi sono portato a casa, che certamente mi farà compagnia a lungo, è la sensazione di aver capito qualcosa in più del “segreto” di Giacomo. Ci sono persone che sembrano quasi ossessionate dal male, il male che vedono in sé (raramente), negli altri (più spesso), in tutto quello che succede nel mondo… Giacomo è stato uno che ha creduto nel bene, ne ha fatto esperienza e l’ha annunciato a tutti: il bene sommo che Dio è e ha nei confronti di ciascuna delle sue creature; il bene che è ogni persona, bene magari limitato, ma reale, garantito dallo stesso creatore («Dio ha un’immensa fiducia in noi», gli piaceva ripetere); bene umile e nascosto compiuto da tanti anonimi sorelle e fratelli senza far rumore, che per essere visto ha bisogno di uno sguardo attento, paziente, non superficiale... Ricordo alcune sue parole, all’inizio del nostro servizio, che mi avevano colpito: «Non ci vuole grande intelligenza o fantasia per vedere le cose negative; non è necessario essere dei geni per dire quello che non va, per evidenziare i problemi. Ma è più importante cercare il modo per risolverli, i problemi; è più impegnativo mettersi a lavorare perché le cose vadano per il verso giusto; è più fruttuoso non perdere l’orientamento verso il bene».

A me sembra che in questo atteggiamento positivo, costruttivo, ostinatamente concentrato sul bene possibile stia la caratteristica più bella di quel meraviglioso fratello che è stato Giacomo Bini. E in questo sta anche il “segreto” della simpatia che riusciva a suscitare in ogni persona che incontrava, frati, suore, laici, credenti o no, giovani o anziani, professori o contadini, cardinali, ambasciatori, povere vecchiette e papi: la sua fiducia profonda nel positivo presente in chi gli stava di fronte, la sua capacità di vedere il bene possibile, invece di fermarsi alla constatazione del male inevitabile. L’impressione più forte di quei giorni è che Giacomo è stato un “catalizzatore di bene”: per me è stato evidente guardando la commozione e l’affetto con cui è stato accompagnato in quei momenti. Dio solo conosce la moltitudine di legami, amicizie, rapporti cresciuti attorno a quest’uomo; ma una cosa è apparsa evidente nel saluto finale, e cioè che la relazione con Giacomo è stata per tutti quelli che l’hanno conosciuto l’occasione per tirare fuori il meglio di sé, una chiamata a prendere sul serio il bene possibile a cui ciascuno è chiamato nel suo stato di vita e nelle sue condizioni concrete. Per questo, alla fine, il sentimento più forte non può che essere la gratitudine per il dono grande della sua presenza semplice e fraterna, del suo modo di essere, prima ancora che delle sue parole e del suo insegnamento.

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Riposa in pace, fratello Giacomo: la terra ti sia lieve e san Francesco ti accolga tra i suoi fratelli, accompagnandoti a gustare la bellezza e la dolcezza che sei stato capace di indicarci con la tua vita. Non dimenticarti delle tue sorelle e dei tuoi fratelli che rimangono: continua a sostenerli con il tuo sguardo attento, rasserenante e pacificante. Il Signore ti benedica, Giacomo. E tu non smettere di benedire noi. Amen!

Fr. Paolo Canali

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Consiglio di Cooperazione Province Nord Italia

Baccanello di Calusco d’Adda 14-15 aprile 2014

Consiglio di Cooperazione Province Nord Italia

Presiede l’incontro fr. Massimo Fusarelli. Tutti i Ministri sono

presenti: fr. Bruno Bartolini, fr. Francesco Bravi, fr. Francesco Patton, fr. Antonio Scabio, fr. Maggiorino Stoppa, fr. Mario Vaccari.

1) Dopo aver condiviso il generoso pranzo con la fraternità di noviziato, alle ore 15.00 iniziamo la prima unità di lavoro che prevede un momento di preghiera ispirato al Vangelo della unzione di Betania (che ricorre nella Messa odierna, lunedì santo), e l’incontro dei Ministri con il Maestro e il Guardiano di Baccanello. Al termine della preghiera fr. Massimo introduce brevemente i lavori e accoglie fr. Marco Tomasi, Guardiano di Baccanello e fr. Lorenzo Roncareggi, Maestro dei novizi, per un incontro di verifica del cammino della fraternità e del delicato compito formativo che le è affidato. I cambiamenti che si sono verificati in questo nuovo anno sono notevoli (il trasferimento di fr. Enzo Maggioni e di fr. Andrea Nico Grossi, l’inizio del servizio di Maestro di fr. Lorenzo, la morte di fr. Fortunato, l’arrivo di fr. Ivan Dalpiaz e fr. Luigi Dima) ma costituiscono anche una sfida che la fraternità sta cogliendo per una ristrutturazione e una crescita nel servizio che le viene chiesto. Con il venir meno anche di fr. Fortunato, infine, la fraternità sente la mancanza di un frate anziano, come componente importante anche dal punto di vista del compito formativo. Vengono poi concordate insieme alcune date:

sabato 6 settembre: ammissione all’Ordine dei probandi e Professione dei novizi; sabato 27 settembre: Ordinazioni diaconali a Chiampo; sabato 11 ottobre: Professioni solenni a Verona s. Bernardino.

Si ringraziano e si congedano fr. Marco e fr. Lorenzo. 2) Dopo una breve pausa il lavoro riprende con il discernimento sulla collocazione delle Case di formazione… La discussione che emerge viene collocata nel discorso globale di discernimento e di progettazione che riguarda l’intera realtà del Nord Italia nella sua complessità. Si riconosce altresì alle Case di formazione un primato di importanza e di valore che rende prioritaria la loro scelta. La prospettiva che si delinea viene formulata concordemente dal Consiglio in una lettera che sarà poi inviata a tutti i frati del Nord, il cui testo viene riportato qui di seguito:

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Cari Fratelli, Il Signore vi dia pace! Mentre gustiamo la gioia della Pasqua di Cristo, nostra Vita, sono lieto di comunicare, a nome del Consiglio di Cooperazione, un’importante decisione presa nel recente incontro tenutosi a Baccanello. Secondo il mandato dell’Assemblea dei Definitori del 2013 il Consiglio era chiamato a dare corpo all’impianto della formazione iniziale secondo il ripensamento di tempi e modi avviato nel Segretariato per la Formazione e gli Studi, maturato al contempo nella COMPI e fatto proprio dai diversi Definitori e Capitoli provinciali celebrati l’anno scorso. Siamo voluti arrivare a questa decisione con calma, inserendola nel contesto più ampio della mappatura delle Case, ripresa in mano nel Consiglio di febbraio, e nel pensare la rete di Fraternità a più spiccata composizione interprovinciale. Nelle prossime giornate interprovinciali di formazione permanente consegneremo a voi tutti un testo che riassume questi intenti. Il confronto nel Consiglio e l’ascolto delle Fraternità di formazione che ho visitato in questi mesi e del Segretariato per la Formazione e gli Studi, ci ha confermato che è prioritario curare la composizione e l’accompagnamento delle fraternità di queste Case e potenziare la rete delle Fraternità dedicate alla pastorale giovanile e alla cura pastorale per le vocazioni, per una presenza sempre più incisiva di annuncio ai giovani, soprattutto nei territori del Nord Italia attualmente più poveri di presenza e di proposta a questo livello. Tale è l’indicazione dei Capitoli provinciali e dell’Assemblea dei Definitori del 2013. Mentre abbiamo iniziato il discernimento per giungere a questo obiettivo e nel confronto schietto e libero su possibilità e posizioni diverse, siamo giunti alla decisione di avviare dal prossimo settembre la Fraternità di Accoglienza Vocazionale stabile e di Postulato ad Arco di Trento e di continuare il Noviziato a Baccanello di Calusco d'Adda, sino ad avviare da qui al 2016 il ripensamento, nei modi e negli spazi, del tempo della Professione Temporanea. Se c'era attesa per un cambiamento anche fisico di luogo, evidenzio che nella decisione abbiamo voluto tener conto responsabilmente sia del cammino già consolidato in queste due Case sia di non privare il territorio trentino di una presenza a forte progettualità, in linea con le scelte degli ultimi anni che hanno cercato di collocare sul territorio di ciascuna delle attuali Province una presenza o un progetto significativo a livello interprovinciale. La novità maggiore è l'avvio dell'unica Fraternità di Accoglienza Vocazionale stabile e di Postulato, che chiede un passo in avanti nel rivedere gli itinerari formativi e l'animazione vocazionale. Il nostro cammino continua nella gioia e nella fatica della ricerca paziente, specie quando tocchiamo con mano la sproporzione tra quanto ci è chiesto e affidato e le nostre reali possibilità. Questo divario non può che renderci umili nello scorgere anche in questo oggi i segni della presenza operante dello Spirito del Signore, che alimenta in mezzo a noi la speranza che non delude. I prossimi passi di discernimento che attendono il Consiglio saranno la delineazione dei componenti delle fraternità delle tre Case di formazione, la costituzione della Casa di Evangelizzazione e Missioni al popolo , il proseguimento del discernimento sulla mappatura delle Case, e il programma per la Visita Canonica. Viene infine stabilito che la consulenza richiesta a Diathesis non sia più continuativa ma solo su richiesta, al bisogno. Terminiamo i lavori alle 19.05 per poter pregare il Vespro con la fraternità di Baccanello.

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Martedì 15 aprile: Iniziamo i lavori alle 8.45 dopo aver pregato le Lodi con la fraternità ed aver celebrato insieme l’Eucaristia del martedì santo nella cappellina adiacente alla Chiesa. Ha presieduto fr. Lorenzo, Maestro di Baccanello. 1) Fr. Massimo introduce il primo punto all’OdG, cioè l’aggiornamento sui primi passi della Segreteria del Nord Italia. Fr. Stefano, segretario, relaziona sul lavoro che ha cominciato a fare per raccogliere il DataBase dei frati dalle 6 Province (per ora limitato agli indirizzi email e ai numeri di telefono cellulare), e dà indicazioni riguardo alla casella mail della Segreteria OFM Nord Italia da poco attivata. Si rende necessario a breve un incontro dei segretari provinciali con fr. Stefano per uniformare i criteri e impostare il lavoro di catalogazione del DataBase personale di tutti i frati. L’incontro dei segretari dovrebbe anche mettere a tema una verifica sulla Newsletter dei frati del Nord, ed un confronto tra i siti Web delle varie Province al fine di pensare per tempo al nuovo sito della Provincia unitaria. 2) Si passa quindi a considerare la richiesta fatta pervenire da fr. Fabio Piasentin, Moderatore FoPe, in merito ad alcuni chiarimenti sulla conduzione delle prossime giornate di Formazione Permanente a zone e sulle giornate di formazione per i Guardiani in programma per il mese di ottobre. 3) Accogliendo la rinuncia di fr. Silvestro Arosio a far parte della commissione GPIC, vengono ipotizzati alcuni nomi per la sostituzione. La decisione viene rimandata al prossimo incontro. 4) Dopo una breve pausa riprendiamo i lavori alle 10.40 con la presenza, in quest’ultima parte della mattina, dei dr. Maurizio Serofilli ed Enrico Delama di Diathesis, che presentano un testo formulato con fr. Massimo e proposto al Consiglio, che delinei la prospettiva globale che non deve essere persa di vista per costruire la nuova Provincia secondo una mentalità di unione, al fine di cogliere - nel dare forma al nostro discernimento - le sfide evangeliche che ci vengono dalla realtà in cui viviamo e dalle stesse indicazioni del magistero della Chiesa, nella persona di papa Francesco. Questo testo verrà riveduto e presentato in forma sintetica ai frati nelle giornate FoPe a zone del 5-7 maggio, e sarà poi oggetto di analisi approfondita da parte dei 6 Definitòri nella Assemblea di Bardonecchia dei prossimi 25-29 agosto. A questo proposito mi sembra bello e doveroso segnalare una constatazione che cordialmente ci veniva posta da Diathesis: nel loro accompagnarci in tutti questi anni hanno rilevato come dato significativo che il cammino lungo e graduale che ci sta portando verso la nuova Provincia è stato dovuto anche ad un lavoro paziente non calato dall’alto e neppure dovuto solo alla buona iniziativa dei frati, ma anche e soprattutto ad un sapiente utilizzo ed intelligente trasformazione delle strutture intermedie (ad esempio il ruolo sempre più importante che hanno svolto le Assemblee dei Definitòri o le varie commissioni di lavoro) viste come risorse per poter davvero operare un cambiamento non solo amministrativo o burocratico ma soprattutto nel modo di pensare e di agire. 5) Diathesis a questo punto presenta uno schema riassuntivo del progetto che si sta delineando a Bologna in merito agli immigrati . Si tratta di un progetto organico e dettagliato che cerca di unire insieme l’attenzione alla Missione ad Gentes con la pastorale ai Migrantes, per guardare agli immigrati con una prospettiva missionaria anziché semplicemente caritativo-assistenziale e con una offerta di formazione per ambedue i

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livelli e di integrazione dei giovani coinvolti nelle esperienze missionarie e di frati operanti nei due settori in tutto il territorio del Nord Italia. A questo punto ci fermiamo, dopo aver salutato e ringraziato Maurizio Serofilli ed Enrico Delama di Diathesis, e pranziamo con la fraternità gustando la loro squisita ospitalità. Riprendiamo alle 14.30 solo come CdC. 6) Fr. Massimo Fusarelli introduce i lavori focalizzando l’attenzione sul punto 4.1 del Documento Finale della Assemblea dei Definitòri 2013, che chiede al CdC - “avvalendosi del lavoro del Segretariato F&S” - di “nominare un responsabile per la formazione ai Ministeri come indicato dalla Ratio Formationis Interprovincialis”. Detto responsabile viene indicato nella persona di fr. Giampaolo Cavalli; vengono delineati i compiti specifici di questa figura e l’iter che ogni frate dovrà seguire per il discernimento e la formazione necessaria in vista del conferimento dei Ministeri ordinati ed istituiti. Il tutto viene esposto in una lettera che sarà inviata ad ogni Guardiano. 7) Viene deciso all’unanimità che dal prossimo Avvento i 6 Ministri scrivano per i frati una unica lettera alle 6 Province controfirmata da tutti, come segno di unità. 8) Fr. Mario Vaccari relaziona sull’ultima riunione degli Economi del Nord, a Bologna, lo scorso 28 marzo. Come verbalista è stato scelto fr. Gianluigi Ameglio. E’ stato approntato uno schema comune per il bilancio dell’economato provinciale. In riferimento al “Promemoria per il lavoro del Triennio 2013-2016” approvato dal Collegio dei Ministri ad Arco lo scorso 24 maggio 2013, che proponeva di “avviare nel 2014 la sperimentazione del fondo comune”, si mette a tema per il prossimo incontro CdC di giugno una riflessione sul fondo comune e sulla gestione degli immobili, che richiede una stretta interazione tra il gruppo degli Economi e il CdC. 9) Vengono messi all’ODG per il prossimo incontro di maggio la formulazione dei temi per la Assemblea dei Definitòri a Bardonecchia del 25-29 agosto, e un programma di massima per la Visita canonica. A questo punto i lavori sono conclusi e ci si augura Buona Pasqua per i giorni santi che ci attendono, e un arrivederci al prossimo 16 e 17 maggio ad Arco di Trento. I lavori terminano alle ore 17.00 di martedì 15 aprile… fr. Stefano Dallarda ofm Segretario

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Milano Curia Provinciale 6 maggio 2014

Dal Definitorio

Alle ore 9.15, si iniziano i lavori recitando una preghiera a Maria, composta da papa Francesco. I lavori proseguono con l’approvazione unanime del verbale dell’VIII Congresso definitoriale. Il Ministro ricorda la visita di sorella morte alla fraternità provinciale. Oltre ai frati defunti si ricorda il transito al cielo della mamma di fr. Aristide Cabassi e del papà di fr. Stefano Recchia. Si ricorda in particolare fr. Nazareno Panzeri, i cui funerali saranno celebrati il 7 maggio nella chiesa di s. Gaetano. Il Ministro chiede la verifica della settimana di esercizi spirituali vissuta insieme nella Terra dei Fioretti, dal 22 al 27 aprile 2014, sotto la guida di fr. Ferdinando Campana, Ministro provinciale delle Marche. E’ stato molto apprezzato il clima fraterno e di condivisione all’interno del Definitorio. Tutti si sono detti favorevolmente stupiti dell’accoglienza e dell’ospitalità dei frati e delle sorelle clarisse delle Marche, per molti è stata anche un’occasione per riflettere sul modo che hanno i frati lombardi di accogliere i frati ospiti. Il Ministro comunica di aver partecipato, il 30 aprile u.s., all’Assemblea CISM della Lombardia. Nel corso dei lavori si è sviluppato un interessante confronto sul cammino di ridimensionamento in atto in tutti gli Istituti religiosi lombardi. Interessante anche il confronto sulla gestione delle infermerie provinciali. Il 1 maggio u.s., in occasione della festa con le famiglie dei professi temporanei, fr. Almiro Modonesi, Delegato del Ministro provinciale, ha conferito a fr. Cristiano Castegnaro il Ministero istituito dell’Accolitato. Il Ministro consegna la Carta di Intenti del Consiglio di Cooperazione sulle linee di lavoro del triennio 2014-2016 e sul loro significato. Chiede ai definitori di prenderne visione, specificando che questo testo sarà la base del lavoro della prossima Assemblea dei Definitòri. Una versione abbreviata dello stesso documento verrà presentata e consegnata a tutti i frati in occasione della partecipazione alle giornate interprovinciali di Fo.Pe. Il Ministro presenta alcune questioni emerse nel corso dell’ultimo Consiglio di Cooperazione che richiedono la collaborazione dei Definitòri provinciali: composizione della Fraternità Arco di Trento, di Baccanello e di Verona; riflessioni sulla collocazione e composizione della Fraternità per l’evangelizzazione.

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Il 16 maggio 2014 si terrà un incontro tra la Provincia e la Fondazione che rileverà il ramo d’azienda del Liceo Luzzago per sottoscrivere un accordo relativo al passaggio dei dipendenti. All’incontro saranno presenti anche i rappresentanti dei sindacati. Il Definitorio incarica fr. Michele Cafagna, Procuratore del Legale rappresentante, a rappresentare la Provincia. Vengono designati come referenti per la “chiusura” del Franciscanum fr. Paolo Dozio e fr. Michele Cafagna. I conventi che desiderano ricevere mobili, attrezzature… dovranno fare riferimento esclusivamente ad uno dei due frati indicati. Si stabilisce inoltre che fr. Michele Cafagna, attuale Economo del Franciscanum, sia il referente per tale struttura per ogni problematica amministrativa e gestionale anche per il periodo successivo a settembre 2014. Fr. Marco Fossati, Economo provinciale, presenta al Definitorio le riflessioni del CAE sui bilanci delle fraternità e delle amministrazioni personali autorizzate. Dopo un breve confronto si incarica l’Economo provinciale di predisporre una lettera con le osservazioni esposte, tale lettera sarà inviata alle fraternità a firma del Ministro provinciale insieme all’approvazione del contributo e degli eventuali lavori richiesti. Il Ministro ammette fr. Enrico Russotto al Ministero del diaconato. L’ordinazione si terrà il 27 settembre 2014 a Chiampo (VI). Fr. Paolo Guzzi è rientrato da Gibuti e verrà assegnato Paolo alla fraternità di Sabbioncello, dove aveva vissuto fino a qualche mese fa, prima di partire per il breve soggiorno a Gibuti. Vengono presentati alcuni suggerimenti per la redazione del Libro della storia recente della Provincia dei frati minori di Lombardia, da pubblicare in occasione dell’unione del 2016. Si suggerisce di inserire anche le riflessioni dei quattro Ministri provinciali viventi, come lettura della storia della Provincia dalla prospettiva del loro ministero. Tutti i suggerimenti vengono accolti e verranno inviati a fr. Francesco Metelli perché continui il lavoro di redazione, tenendone conto. Si fissa il prossimo incontro del Definitorio per il 9 giugno 2014 presso il Convento di Cermenate. Il Ministro comunica che il 6 settembre 2014, nel Convento di Baccanello si terranno le vestizioni e le prime professioni. I lavori del Congresso definitoriale si concludono alle ore 15.45 circa. A laude di Cristo e del Poverello Francesco. Amen!

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Mons. Gianfranco Agostino Gardin ofm conv. Già Ministro generale OFM Conventuale

Vita consacrata e formazione permanente Intervento all’Assemblea generale dei Frati Minori Conventuali

II PARTE

2. ALCUNE RAGIONI DELLA FORMAZIONE PERMANENTE NELLA VITA RELIGIOSA

Mi sono praticamente già introdotto a questo tema, incentrato sulla domanda: perché la vita religiosa ha bisogno di formazione permanente? Su questo punto temo di ripetere delle ovvietà. Mi esprimerò dunque sinteticamente, traendo anche spunto da alcune dense affermazioni di documenti magisteriali.

a) Totalità e progressività

Potremmo partire da una semplice constatazione: la vita religiosa non è né una professione, né un ruolo da svolgere accanto ad altri, né un’attività in cui impegnare parte del proprio tempo e delle proprie energie. Un brano di VC 65 esprime in maniera assai lucida il modo di porsi dell’impegno formativo di fronte alla vc:

«La formazione dovrà raggiungere in profondità la persona stessa, così che ogni suo atteggiamento o gesto, nei momenti importanti e nelle circostanze ordinarie della vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio. Dal momento che il fine della vita consacrata consiste nella configurazione al Signore Gesù e alla sua totale oblazione, è soprattutto a questo che deve mirare la formazione. Si tratta di un itinerario di progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre. Se questo è lo scopo della vita consacrata, il metodo che ad essa prepara dovrà assumere ed esprimere la caratteristica della totalità. Dovrà essere formazione di tutta la persona, in ogni aspetto della sua individualità, nei comportamenti come nelle intenzioni».

In questo testo vi sono due elementi importanti, i quali ci

riconducono alle due ragioni fondamentali della formazione permanente: quello della totalità della vita religiosa, nel senso che investe tutta la persona, e quello della progressività necessaria per raggiungere, appunto, tale totalità.

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Anzitutto la totalità: tutte le dimensioni della persona consacrata sono coinvolte nella sua risposta alla chiamata: mente, cuore, volontà. La persona consacrata prende sul serio il “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza” di Gesù (cf. Lc 10,17). Tuttavia VC 16 precisa: «Nella vita consacrata non si tratta solo di seguire Cristo con tutto il cuore, amandolo “più del padre e della madre, più del figlio o della figlia” (cf. Mt 10, 37), come è chiesto ad ogni discepolo, ma di vivere ed esprimere ciò con l’adesione “conformativa” a Cristo dell’intera esistenza, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo e secondo i vari carismi, la perfezione escatologica».

L’essere religioso non è dato

semplicemente da ciò che è esteriormente assumibile e visibile, ma dalle convinzioni radicali, quelle che si situano là dove si compiono le scelte di fondo, dove si attua la “regìa”, o si decide l’orientamento della vita intera, dove si delinea l’identità profonda. Talora vi sono esteriorità marcatamente religiose alle quali però non corrisponde un “cuore”, una opzione fondamentale, da religioso. Nel passato ci si è talora accontentati troppo di ciò che appariva (specie nel discernimento vocazionale): si tratta invece di capire ciò che realmente c’è.

Ma si deve dire che anche qui, come in altri ambiti, il tutto subito non esiste. E se anche tale

“subitaneità” ci potrebbe essere da parte di Dio – dal momento che tutto ciò è anzitutto opera sua – Egli accetta che la totalità della configurazione al Signore Gesù si persegua mediante processi spesso lunghi, attraverso quella gradualità che è propria di ogni acquisizione profonda.

Perciò già nello stesso numero di VC – il citato 65, il quale, si noti, descrive ancora la formazione iniziale – si aggiunge: «È chiaro che, proprio per il suo tendere alla trasformazione di tutta la persona, l’impegno formativo non cessa mai».

Tutto questo viene ribadito con forza, naturalmente, là dove si dichiara la ragione fondamentale della formazione permanente:

«La formazione permanente (...) è un’esigenza intrinseca alla consacrazione religiosa. Il processo formativo, come s’è detto, non si riduce alla sua fase iniziale, giacché, per i limiti umani, la persona consacrata non potrà mai ritenere di aver completato la gestazione di quell’uomo nuovo che sperimenta dentro di sé, in ogni circostanza della vita, gli stessi sentimenti di Cristo. La formazione iniziale deve, pertanto, saldarsi con quella permanente, creando nel soggetto la disponibilità a lasciarsi formare in ogni giorno della vita. (...) Nessuna fase della vita può considerarsi tanto sicura e fervorosa da escludere l’opportunità di specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona» (VC 69).

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Credo che queste nitide affermazioni illustrino come meglio non si potrebbe le ragioni della formazione permanente.

Potremmo chiederci: fanno parte del bagaglio delle convinzioni di tutti? Credo che si potrebbe rispondere:

- non tutti le hanno fatte proprie. Permane in alcuni l’idea che, una volta completata la formazione iniziale, si è abilitati ad esercitare il “ruolo” del religioso, e i doveri formativi sono conclusi;

- diversi religiosi si rendono conto della verità di queste affermazioni e dunque della plausibilità della formazione permanente, ma poiché la formazione è, in ogni caso e in ogni forma, impegnativa, esigente, laboriosa, l’idea rimane convincente ma di fatto lontana dall’essere veramente attuata;

- altri manifestano uno sforzo reale nel perseguire una reale formazione permanente, ma spesso non trovano un ambiente favorevole; soprattutto quando la formazione permanente comporta necessariamente che venga sottratto tempo ad altre attività, ci sono resistenze anche accese da parte di chi non crede nella formazione permanente.

b) Affrontare i cambiamenti

La vita è fatta di mutamenti, di stagioni diverse, nelle quali la fede, l’amore, la sequela di Gesù, la pratica dei consigli evangelici, l’attuazione delle intuizioni di Francesco (nel nostro caso), ecc. non sono, non possono essere sempre gli stessi. Il n. 70 di VC, come pure i nn. 76-77 di PDV per quanto riguarda la vita del presbitero diocesano, sono assai efficaci nel mostrare i cambiamenti che si verificano nelle principali fasi della vita. Ognuno poi ha la propria storia e i propri modi di porsi di fronte a Dio, a se stesso, agli altri, alla vocazione, alla Chiesa, alla comunità religiosa, ecc. Immaginare di aver appreso una volta per sempre a gestire la vita, più o meno come si è appreso a guidare un veicolo, è irreale e ingenuo.

Ma vi sono poi cambiamenti che non dipendono tanto dall’età diversa, dallo scorgere il tempo più lungo della propria vita davanti o già dietro di sé. Ci sono circostanze particolari. VC 70 ricorda che, «indipendentemente dalle varie fasi della vita, ogni età può conoscere situazioni critiche per l’intervento di fattori esterni – cambio di posto o di ufficio, difficoltà nel lavoro o insuccesso apostolico, incomprensione o emarginazione, ecc. - o di fattori più strettamente personali - malattia fisica o psichica, aridità spirituale, lutti, problemi di rapporti interpersonali, forti tentazioni, crisi di fede o di identità, sensazione di insignificanza, e simili».

Voglio solo accennare alla circostanza

“crisi”, prendendo lo spunto da un libro di prossima uscita di A. Cencini (che me ne ha

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chiesto la prefazione) proprio sul tema della crisi. L’autore sostiene che un percorso di vita religiosa o presbiterale esente da ogni crisi non solo non è realistico, ma anzi, se proprio vi fosse, sarebbe sospetto. Chi non sperimentasse mai una crisi – non necessariamente drammatica o devastante – potrebbe rivelarsi semplicemente incapace di riconoscerla: come chi non avverte dentro di sé una malattia subdola, proprio perché non diagnosticata o non manifesta attraverso sintomi clamorosi. Cencini arriva, quasi provocatoriamente, a concludere che, se è problematico il fatto che si diano molte crisi, non lo è meno il fatto che vi siano troppi presbiteri o consacrati che dovrebbero essere in crisi e non lo sono. Ora, si deve riconoscere che è una solida e sistematica formazione permanente quella che consente non solo di far fronte alle piccole o grandi crisi che la vita può produrre, ma può addirittura aiutare a trasformarle in preziose occasioni di crescita.

c) Essere fedeli

Un’altra ragione della formazione permanente si collega al tema della crisi: è la scelta e l’atteggiamento di fedeltà. Si tratta di un concetto e di una opzione che ha scarsa accoglienza e rilevanza nella attuale cultura occidentale, dove sembra rappresentare una autentica controsfida.

A mio giudizio è abbastanza urgente, nella vita religiosa, mettere meglio a fuoco il significato della fedeltà, la quale si situa al cuore stesso della sequela di Gesù. Questa infatti non può essere intesa e vissuta ad intermittenza, solo nei giorni favorevoli, per venir meno o attenuarsi ad ogni piccolo calo di tensione spirituale. Non posso tacere la perplessità creata in me nel prendere atto – altro non si può fare – delle ragioni che motivano la richiesta di dispensa dai voti: in vari casi si riducono ad un “non sentirsi più felici”.

Non mi addentro nel tema, complesso e dalle mille sfumature, ma proprio questa motivazione di richiesta di uscita dalla vita religiosa mi fa ritenere che, probabilmente, dovremmo capire meglio il rapporto tra fedeltà alla chiamata e felicità. Dovremmo comprendere maggiormente che cosa corrode la gioia della perseveranza. Sono solo circostanze esterne che mutano? O vi è un insufficiente prendersi cura della propria fedeltà, così che tante più o meno piccole infedeltà quotidiane sfociano inevitabilmente, e quasi per una loro coerenza (una fedeltà al negativo), nell’abbandono della strada intrapresa. Senza mai dimenticare che vi sono coloro che lasciano sul piano dell’appartenenza istituzionale, ma vi è anche chi lascia di fatto pur rimanendo in convento, e deteriorando non poco il clima generale della comunità cui appartiene.

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d) “Vedano il tuo progresso” Un’altra ragione che vorrei segnalare, forse poco considerata, la potremmo esprimere

come un diritto della Chiesa alla nostra testimonianza. In 1 Tim 4,14-16 si legge: «Non trascurare il dono che è in te ... Abbi cura di queste cose, dèdicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano».

Il religioso è debitore verso la comunità cristiana di una esemplarità di vita, caratterizzata da un livello spirituale alto e da uno stile evangelico genuino. Di fronte ad una cultura che talora ama addirittura esaltare la trasgressione, o raccomandarla quasi fosse“terapeutica”, da noi ci si attende, per riprendere ancora Paolo, che tutto nella nostra vita, «spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,23). Ma come è possibile tutto ciò senza quella cura assidua di noi stessi che è la formazione permanente?

Interessante la raccomandazione a Timoteo: «vedano il tuo progresso». Il religioso

dovrebbe mostrare che la sequela di Gesù è una via di crescita, in cui si può constatare anche dall’esterno che anni di esercizio della fede e della carità, di assiduo ascolto della Parola e di preghiera, di impegno di vita fraterna, di donazione di sé nella missione, producono frutti visibili, che diventano ricchezza per tutta la comunità cristiana. Il religioso dovrebbe per sua natura essere nella Chiesa maestro di cammino spirituale, proprio a partire dalla sua seria esperienza di formazione incessante.

e) Fare la verità su ciò che si è

Ancora una ragione. La formazione permanente, rettamente intesa, comporta un fare la verità su ciò che si è (cf. PDV 73). Si può riflettere molto sull’identità oggettiva del religioso – tema oggi avvertito come importante –, ma se i connotati oggettivi e universali dell’identità del consacrato non prendono forma concreta in quelli soggettivi e particolari, ovvero in ciò che ciascuno singolarmente è, si crea una dicotomia pericolosa. Cencini, nel volume in uscita citato, parla di un possibile «esilio dell’individuo dalla sua propria verità». Abbiamo tutti bisogno, per esempio, di smascherare il male (psicologico, morale, relazionale...) camuffato in molti modi dentro di noi, ma anche di riconoscere più apertamente un bene oscurato da letture insufficienti o distratte che noi facciamo di noi stessi.

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Richiamo questo aspetto perché un fenomeno a mio giudizio abbastanza diffuso è il modificarsi progressivo, ma non sufficientemente avvertito, del proprio modo di pensare, di vivere la fede, di relazionarsi a Dio e agli altri, di vivere l’affettività, la preghiera, l’apostolato, ecc. Si creano così trasformazioni che, a distanza di anni, hanno cambiato non poco la persona, senza che questa sperimentasse traumi o cadute verticali di tono. Si perde così a poco a poco la gioia della vocazione e ci si dice: “se rinascessi, sceglierei un’altra strada”.

D’altro canto, la formazione permanente è sempre un tentare di raccorciare le distanze tra

la propria condizione reale e gli ideali che si intendono (e si devono) perseguire: la distanza tra l’io reale e l’io ideale. Ma come incamminarsi verso una meta precisa che è, appunto, l’io ideale, quando non è chiaro il punto di partenza, cioè l’io reale. Come stabilire un itinerario se conosco il punto verso cui andare, ma non conosco il punto da cui partire?

Voglio ribadire che questo fare la verità su ciò che si è consente di verificare non solo i

regressi, ma anche i progressi, le crescite spirituali, le acquisizioni positive. Io credo che tutto ciò talora sia presente nella vita di molti religiosi più di quanto non sembri loro a prima vista. E per fortuna, poiché si deve credere davvero alla verità dell’antico adagio: non progredi, regredi est: il non progredire è di fatto un regredire.

f) Il senso della missione

Un’ultima ragione della formazione permanente (ma senza dubbio ve ne sono altre) nasce dalla necessità di «rimettere costantemente a fuoco il senso della missione» (PDV 75).

La missione non rappresenta semplicemente il fare della vita religiosa, ma appartiene al suo essere. Del resto, non ha senso disgiungere troppo, o addirittura contrapporre, l’essere e il fare: ciò che facciamo, e anche la maniera in cui lo facciamo, ci “fa essere” in un certo modo, plasma la nostra identità. Se li possiamo distinguere in sede di analisi, nella vita concreta essere e agire si intrecciano e si confondono.

“Rimettere a fuoco il senso della missione” significa comprendere sempre più in profondità

che la missione non è qualcosa che si aggiunge alla condizione del consacrato, non è semplicemente la sua attività (visto che qualcosa bisogna pur fare!), ma è qualcosa che appartiene alla sua natura profonda. VC 72 afferma chiaramente che «la persona consacrata è in missione in virtù della sua stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio istituto»; perciò «la missione è essenziale per ogni istituto» (VC 75); e ancora: «la missionarietà è insita nel cuore stesso di ogni forma di vita consacrata» (VC 25).

Di fatto anche nel nostro Ordine la missione, attuata in forme e ambiti diversi, rappresenta

un grande spazio nel quale si esprimono la fede, l’impegno di evangelizzazione, la capacità di donazione, il servizio ecclesiale di moltissimi frati. Anche in termini di tempo l’apostolato, con annessi e connessi (preparazione, organizzazione di attività, ecc.), rappresenta spesso la magna pars della vita di molti religiosi. Che cosa avviene di sé in tutto questo tempo dedicato alla missione? È davvero tempo di annuncio di Dio o è tempo di ricerca di sé; di crescita spirituale propria e altrui o di ripiegamento su bisogni creati dalle proprie immaturità; di autentico servizio agli altri o di affannosi tentativi di alimentare il proprio narcisismo?

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Ancora nel volume già citato, Cencini osserva che se il prete è sacerdos in æternum, qualche prete sembra essere un puer æternus, un bambino mai cresciuto; ed esemplifica con il caso di colui che alimenta in sé il «desiderio di essere il centro del mondo, il primo e l’unico, di essere amato e ammirato come nessun altro (specie da chi comanda), di primeggiare tra fratelli e colleghi, ... caricando d’invidia e gelosia i rapporti e sottovalutando la realtà della propria debolezza (e di fatto subendola)». Casi patologici, si dirà, che certo non guariscono grazie ad un breve corso di formazione permanente. Tuttavia, anche senza arrivare ad estremi clamorosi, si deve pensare quante persone

caratterizzate anche leggermente da quanto appena descritto possono danneggiare il senso e l’efficacia della missione. La quale non è per la nostra personale affermazione o soddisfazione, ma per rispondere al preciso mandato che il Signore affida a coloro che Egli chiama.

PDV 75 ricorda che, per quanto riguarda la missione, con la formazione permanente «il sacerdote [così pure il religioso] è aiutato ad avvertire tutta la gravità, ma nello stesso tempo la splendida grazia, da un lato, di un’obbligazione che non lo può lasciare tranquillo – come Paolo deve poter dire: «Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16) – e, dall’altro lato, di una richiesta, esplicita o implicita, che prepotente viene dagli uomini, che Dio instancabilmente chiama alla salvezza».

Come ho già detto, si possono certamente individuare anche altre ragioni che motivano la necessità assoluta di una seria formazione permanente. Potremmo ricordare ancora la necessità di: - perseguire una maturità umana sempre maggiore; - «ravvivare il dono di Dio che è in noi» (2 Tim 1,6); - «formarsi progressivamente una coscienza evangelicamente critica verso i valori e i disvalori della propria cultura» (VC 67); - «esercitarsi nella difficile arte dell’unità di vita» (VC 67), superando così le disarmonie o le fratture, o addirittura le contrapposizioni, tra fede e vita, preghiera e azione, fraternità e missione, apertura al mondo e vigilanza nei confronti della mondanità, ecc.

In tutto ciò la formazione permanente costituisce un mezzo indispensabile. Concludo allora questo punto con un’altra densa citazione di VC 65:

«Dire “sì” alla chiamata del Signore assumendo in prima persona il dinamismo della crescita vocazionale è responsabilità inalienabile di ogni chiamato, il quale deve aprire lo spazio della propria vita all’azione dello Spirito Santo; è percorrere con generosità il cammino formativo, accogliendo con fede le mediazioni che il Signore e la Chiesa offrono».

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S. Severino Marche 22-28 Aprile 2014

Testimonianze di vita fraterna

La nostra settimana di esercizi spirituali inizia con la visita alla santa Casa di Loreto. Qui contempliamo il mistero dell’incarnazione, così ben evocato dalla scritta che ci accoglie: hic Verbum caro factum est.

Procediamo il nostro viaggio fino ad arrivare a San Severino Marche, campo base dei nostri esercizi semi itineranti. In serata celebriamo i vespri e la S. Messa con le sorelle del monastero non lontano. La preghiera è ben curata e ordinata; le sorelle sono molto accoglienti. Rimaniamo tutti molto ammirati dal clima di familiarità e di benevolenza che le caratterizza. A introdurre la prima proposta di riflessione di fr. Ferdinando Campana è il brano di Gv 20, 11-18. È un invito a guardare alla Maddalena per imparare da lei quelle lacrime che ci aprono all’incontro autentico con il Signore risorto. Non lacrime lagnose di chi è così ripiegato su se stesso da non accorgersi dell’altro; non lacrime di disperazione che rendono la vista opaca e incapace di vedere i segni della presenza di Dio. Lacrime che nascono dall’amore, che rivelano la consapevolezza di essere veramente voluti bene da Dio: è lui che ci chiama e di lui noi sentiamo la nostalgia. Nella nostra preghiera siamo così invitati a chiedere il dono di queste lacrime, frutto della consapevolezza di quanto Gesù ha fatto per noi. Gesù chiama Maria per nome e lei risponde con una professione di fede: Rabbuni. Maria è riconosciuta da Gesù, si sente voluta bene e importante agli occhi del suo maestro. La coscienza di questa benevolenza spinse Francesco, sul monte della Verna, a chiedere al Signore il dono di sentire l’intensità dell’amore con il quale era amato! A noi viene rivolta l’esortazione a fare altrettanto: contemplare, ringraziare e chiedere di conosce e partecipare all’intensità di questo amore.

Il secondo giorno inizia con la celebrazione eucaristica e le lodi mattutine presso il monastero delle sorelle clarisse. Fr. Ferdinando ci propone la seconda riflessione che prende spunto dal cammino compiuto dai discepoli di Emmaus: Gesù cammina con noi, ma spesso i nostri occhi sono incapaci di riconoscerlo. Dopo colazione ci rechiamo a Forano, dove fr. Ferdinando ci propone una meditazione sulla preghiera francescana delle origini. Evidenzia quella che sarebbe la sua peculiarità: la preghiera è un’esperienza sensibile del mistero di Cristo e di sua Madre; è entrare nella vita stessa di Cristo, viverne le vicende e partecipare ai suoi medesimi sentimenti, affetti, intenzioni, gioie e dolori. La preghiera francescana non è solo mentale, ma anche affettiva e fisica, capace di coinvolgere la totalità della persona. Da qui l’invito ad entrare con tutto se stessi nel mistero di Cristo e a lasciare che la

ESERCIZI SPIRITUALI del DEFINITORIO nella TERRA dei FIORETTI

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preghiera diventi uno stile di vita, una realtà che coinvolge e pervade tutto del credente. Dalla preghiera, allo stile di vita!Proseguiamo il nostro pellegrinaggio fino a Treia, dove condividiamo il pranzo con la fraternità locale. Dopo pranzo rientriamo a San Severino.

Il terzo giorno comincia con la celebrazione eucaristica e la preghiera delle lodi. Fr. Ferdinando ci invita a meditare su At 3, 11-26. In questo episodio si nota la fermezza di Pietro: annuncia il Cristo e invita a cambiare

vita proprio perché lui stesso ha sperimentato la forza della sua misericordia. Infatti, solo colui che ha toccato con mano la bontà di Dio ne potrà essere testimone; solo colui che è stato guarito potrà annunciare la guarigione e far conoscere il guaritore. La nostra meditazione prosegue con un altro momento con le sorelle clarisse. Il predicatore ci presenta alcuni episodi dei Fioretti e di altre biografie di san Francesco. Il primo episodio raccontata la conversione di Guglielmo da Lisciano di Ascoli, sopranominato il “re dei versi”. La sua conversione è paradigmatica: viene colpito dalla spada delle predicazione, quindi Francesco lo avvicina con dolcezza per ammonirlo e inviarlo ad abbandonare le vanità del mondo, infine gli parla del giudizio finale (2Cel 106). Il secondo episodio proposto è tratto da 1Cel 28 e racconta della pecorella acquistata da Francesco e donata alle sorelle povere. Di questo racconto vengono proposte alcune sottolineature: il mercante che passa dalla logica del profitto a quella della gratuità; l’ecclesiastico che abbandona la logica del potere per conformarsi a quella evangelica; infine, Francesco che dona l’agnello alle sorelle. Con la lana dell’agnello le sorelle povere confezionano una maglia di lana: scambio che dice la relazione di reciproca condivisione che deve animare i rapporti tra frati e suore.

Il quarto giorno è dedicato a riflettere sulla predicazione francescana. Fr. Ferdinando richiama la nostra attenzione su alcuni aspetti particolari. Il primo è in riferimento all’andare a “due a due”: evoca la dimensione sociale del vangelo e la sua capacità di coinvolgere. Questo sarebbe già un primo segno della veridicità del vangelo. Un secondo aspetto è in riferimento ai momenti o fasi della predicazione. Ci sarebbe un primo momento dedicato alla lode a Dio: Francesco si comporta come un giullare che canta, loda e invita alla gioia proprio perché lui stesso ne ha fatto l’esperienza. Come un giullare, sa coinvolgere la gente, parla un linguaggio

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da tutti compreso. Il secondo momento della predicazione sarebbe l’invito a fere penitenza e a convertirsi. La riflessione si è arricchita con la lettura del capitolo 21 della Regola non Bollata e di un passaggio della Legenda dei Tre Compagni (n° 33). Da qui alcune domande per verificare la nostra predicazione: nasce da un vero incontro con il Cristo? Si può dire che la nostra predicazione canta e loda la misericordia di cui abbiamo fatto esperienza? Sappiamo parlare un linguaggio comprensibile alla gente?

A sera siamo invitati dalle sorelle clarisse di Camerino per vespro e celebrazione eucaristica. La piccola comunità ci accoglie con calore, ci presenta la figura della santa di Camerino e ci guida per una breve visita della chiesa, del coro e del museo. Il ricordo della Santa Camilla Battista Varano è occasione per affermare che la vita dei santi è una delle testimonianze più eloquenti della risurrezione di Gesù. In più, guardando a questa santa, siamo invitati a chiedere il dono di saper affrontare le prove e sopportare i dolori della vita con quella letizia che è segno di amore e desiderio di partecipare alla passione stessa del Signore.

Il quinto giorno è dedicato alla sosta presso l’eremo di san Liberato, roccaforte degli “spirituali”. La natura ci avvolge e le parole del predicatore ci conducono a quando i frati erano rigorosi nel ripartire il loro tempo tra attività di predicazione nelle città e ritiro in solitudine e povertà. L’ambiente è suggestivo e i racconti carichi di spunti e allusioni che fanno nascere domande antiche e sempre nuove: sarà davvero necessario dividersi e contrapporsi per poter vivere il carisma di Francesco? Le così grandi differenze che si sono sviluppate in seno al nostro Ordine, non sono piuttosto da leggersi come spunto per un’apertura e una comprensione polifonica del carisma? Queste mura, con le sofferenze di cui sono testimoni, non invitano forse a non cristallizzare una solo forma francescana di vita?

Lungo la strada del ritorno rievochiamo la fraterna accoglienza che i frati delle Marche ci

hanno riservato in ogni luogo e situazione; ricordiamo l’ottima cucina di fr. Roberto, animatore vocazionale della Provincia, la disponibilità di fr. Ferdinando, la delicata affabilità di Massimo, postulante in attesa di cominciare l’anno della prova. Ancora, condividiamo con ammirazione la bella esperienza vissuta tra le clarisse di San Severino: oltre all’affabile accoglienza, ci rimane vivo il ricordo della loro elasticità e disponibilità a cambiare i loro orari per rendere le nostre giornate più fruttuose. Pensiamo ai molti luoghi visitati: ricchi di storia e di spiritualità. Il ricordo di quei posti, se da una parte ci arricchisce della testimonianza della santità da essi evocata, dall’altra ci ammonisce a non cercare la stabilità e la gloria della nostra vita nell’imponenza della costruzioni. Ormai alle porte di Milano, che dire ancora? Che san Francesco ci aiuti ad essere sempre frati minori, servi del Vangelo della gioia e della misericordia che abbiamo ricevuto quale forma di vita. A laude del Signore e del Poverello Francesco. Amen.

I fratelli del Definitorio.

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S. Gaetano (BS) 7 maggio 2014

Testimonianze di vita fraterna

Fr. Francesco Bravi Ministro provinciale

“ Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”, così

dissero i due di Emmaus al Signore risorto che si era loro affiancato; “ Resta con noi”, diciamo noi frati minori di Lombardia mentre diamo l'ultimo saluto a frate Nazareno. “ Resta con me” ha sicuramente detto lo stesso fr. Nazareno per vivere con il Risorto il passaggio attraverso la morte per giungere “ alla terra dei viventi”. E il Signore prontamente ci risponde; ci risponde con il dono della sua Parola e dell'Eucaristia, ci risponde con la sua presenza e riscalda il nostro cuore che di fronte alla morte ha bisogno di essere confortato e sostenuto. Ancora una volta sorella morte visita la nostra fraternità e in particolare questa fraternità di S. Gaetano, ancora una volta tutti noi veniamo posti di fronte a questo mistero che interroga la nostra vita e misura la nostra fede.

La liturgia della Parola, quella della terza domenica di Pasqua, quando frate Nazareno rendeva la sua anima a Dio, ci ha fatto chiedere “ Mostraci, Signore, il sentiero della vita”. Il sentiero della vita, il Signore Gesù che è “ Via, Verità e Vita”, percorso con fedeltà e perseveranza conduce, come ci ha ricordato il salmo responsoriale, “ alla gioia piena della tua presenza e alla dolcezza senza fine alla tua destra”. É questa la speranza che sostiene la nostra preghiera di suffragio per il nostro confratello, frate minore e sacerdote, ed è questa la speranza che ha sostenuto i giorni della sua vita terrena; ora infatti siamo certi che può dire, sempre con le parole del salmo: “ anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa”. La fede che ha sostenuto la vita di frate Nazareno lo ha reso capace, come l'apostolo Pietro nel discorso di Pentecoste che abbiamo sentito negli Atti degli Apostoli, di rendere testimonianza viva del mistero di Cristo risorto. La sua vita di frate minore e sacerdote è stato un continuo annunciare “ a voce alta e francamente”, come ci dice il testo degli Atti di Pietro, il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù. Rileggendo il salmo di Davide, Pietro annuncia la risurrezione di Cristo, che Dio “ ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”.

Omelia del funerale di fr. Nazareno Panzeri

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La certezza della fede ci fa ora credere che nella luce della risurrezione frate Nazareno, che ha vissuto, celebrato e testimoniato questo mistero, ora possa dire anche lui insieme a Cristo Signore: “ anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi, né permetterai che il tuo santo subisca la corruzione”. É infatti l'apostolo Pietro che nella sua prima lettera, annunciandoci Cristo risorto, ci ricorda che la nostra fede e la nostra speranza, sono fisse in Dio.

La seconda lettura ci ha ricordato: “ comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri”. Il nostro fratello Nazareno ha vissuto questo invito e ci ha aiutati a contemplare, attraverso l'arte, la bellezza di una vita vissuta nella consapevolezza “ del sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”, che “ ci ha liberati” dalla nostra “ vuota condotta”. Il Ministro provinciale del tempo, quando fr. Nazareno presentò un catalogo illustrativo di alcune sue opere, così lo ringraziava: “ E' una bella presentazione di alcune tue opere. O meglio di ciò che il Signore ha seminato in te e che tu hai coltivato con pazienza, tenacia, sensibilità e creatività. Compiere un'opera d'arte significa avere convinzioni profonde, averle maturate dentro se stessi anche attraverso la sofferenza; significa crederci così intensamente da farle emergere e plasmare anche la materia. Così l'opera d'arte diventa via a Dio, la Bellezza increata”. L'essere pellegrino e forestiero in questo mondo, come richiede la Regola dei frati minori professata da fr. Nazareno, lo ha reso capace di farci contemplare, nelle sue opere, una scintilla della divina bellezza, quella bellezza che ora contempla a viso aperto, lui che ci ha aiutato a contemplarla attraverso le sue sculture, le sue vetrate e le numerose opere. Il Signore in questi ultimi mesi della sua vita lo ha poi chiamato a preparare una Via Crucis segnata dalla malattia e dalla sofferenza, una Via Crucis sulla propria pelle: l'opera d'arte più faticosa da progettare e da realizzare. La divina bellezza non l'abbiamo così contemplata solo nelle sue opere ma nella sua carne crocifissa che solo nel “ sangue prezioso di Cristo” trova il suo significato profondo.

In un catalogo del 1989 dal titolo “ La scultura bresciana fra realtà e idealità” che presentava una mostra di diversi autori, dell'opera di frate Nazareno si scrive: “ Il tempo, si dice, è un giudice inesorabile. É nostro convincimento che l'opera scultorea di Padre Nazareno Panzeri, affrontando pure il ruotare delle sperimentazioni estetiche, resterà un

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segno della sua attenta creatività e della sua serafica umanità per chi vuole vedere nell'Arte l'impronta divina dell'Assoluto”. Per questo vale la pena dire qualcosa del vissuto del nostro confratello e ricordarlo con affetto anche se lui nella sua ben nota ritrosia si schermirebbe e ci chiederebbe di non dire altro. E comunque aldilà delle parole parlano le sue opere, parla la sua vita di frate minore e sacerdote.

Ringrazio di cuore tutti coloro che sono stati vicini a fr. Nazareno in questi mesi, confratelli e amici, personale medico e infermieristico; ringrazio la fraternità di S. Gaetano e di Sabbioncello. Grazie di vero cuore a sua Eccellenza Mons. Olmi che ha voluto presiedere questa celebrazione esequiale che vede la presenza di tanti confratelli e sacerdoti; saluto in particolare i confratelli di Chiampo e i compagni di ordinazione sacerdotale. Permettete poi un saluto speciale ai parenti ultimamente così provati da diversi lutti famigliari. Utilizzando il testo dell'orazione alla comunione della celebrazione eucaristica di domenica scorsa, giorno in cui frate Nazareno celebrava il suo transito, chiediamo al Signore: “ Guarda con bontà, o Signore, il tuo servo Nazareno, frate minore e sacerdote, che hai rinnovato con i sacramenti pasquali, e guidalo alla gloria incorruttibile della risurrezione”. Amen.

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4 maggio 2014

…lungo la strada…

Alba nuova Quel mattino;

Il primo della settimana!

Camminano i due…

Li accompagna il peso della notte E le voci dell’alba che rimbalzano.

La buona novella di luce Non mette le ali alla Speranza!

Chiuso è il cuore Nel silenzio della Solitudine!

Camminano i tre…

Chiara la Sua voce!

Nella dolcezza del suo suono Svela il cammino della vita!

Si fermano i due…

“Resta con noi, perché si fa sera E il giorno volge al tramonto!”

Si siedono i tre…

Soave la sua voce! Compagna sicura

Ti prende per mano, Ti apre gli occhi allo spezzare il pane!

Corrono i due…Corrono…

La gioia mette le ali. Vinta è la Solitudine:

giorno senza tramonto, Alleluia!

Fr. Pierangelo Pagani

In memoria del Transito dalla terra al Padre di frate Nazareno Panzeri

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FilmiAmo… Scheda a cura di Fr. Davide Sironi Ida di Pawel Pawlikowski Drammatico Durata 80 min. Polonia-Danimarca 2013

Ida

La fede nella Polonia di inizi anni ’60. Quella religiosa di una giovane suora, Anna, alla vigilia di emettere i voti perpetui in un monastero di suore cattoliche e quella politica della zia Wanda giudice e membro del partito comunista. Le due donne si incontreranno per la prima volta, si conosceranno e insieme faranno un viaggio nella memoria, nel dolore e nella verità di sé. Il proprio credo e la propria visione del mondo dovranno confrontarsi con il passato, con i desideri, le speranze, le sconfitte. La vita chiede di scegliere senza sconti.

Pawel Pawlikowski, regista polacco formatosi a Londra, torna nella sua terra d’origine per raccontare una storia di rara poesia. Siamo nel 1962 e una giovane suora è prossima a professare la propria consacrazione al Signore per tutta la vita. Vive nel convento fin da quando era neonata, affidata alle suore cattoliche dopo la morte dei genitori. I rumori del mondo sono sempre arrivati attutiti dalle mura del monastero, come la coltre di neve rende silenziosi i movimenti. Ma è arrivato il tempo di ascoltare ciò che sta oltre. La madre superiora ritiene opportuno che prima della professione perpetua Ida conosca l’unica parente rimastale: la zia Wanda, sorella di sua madre. A malincuore Ida obbedisce e raggiunge la zia a Varsavia. Inizia per entrambe le donne un’esperienza nuova di conoscenza, non solo dell’altra ma di sé.

Wanda è un giudice inflessibile che serve la causa del partito comunista, ma si mostra subito come una donna che nella vita privata non è così integerrima: abusa di alcool e di sesso con rapporti occasionali. Alla sua esistenza scissa, al suo volto segnato dalla malinconia e dalla durezza, si contrappone la vita innocente, semplice, il volto candido di Ida. Afferma Wanda: io sono una prostituta e tu una santa.

Due sguardi diversi sul mondo e sugli altri, due credenze - quella ideologica comunista e quella cristiana - due esistenze che entrano in contatto, con qualche frizione, ma in fondo unite non solo dai legami di sangue ma dal desiderio di ritrovare le radici, gli affetti, di sciogliere le colpe in lacrime. Insieme intraprendono un viaggio nello spazio di città umide, nebbiose, e nel tempo, nella storia personale e nazionale.

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Wanda rivela freddamente a Ida che è di origine ebrea, rimasta orfana durante la guerra è stata affidata alle suore, il suo nome è Anna. La giovane religiosa decide di andare nel suo paese d’origine per avere notizie dei genitori, per sapere dove sono seppelliti. Partono insieme attraversando paesaggi quasi lunari, luoghi senz’anima, tra i fermenti di chi cerca di aprirsi ad altri mondi, ad altre melodie: alla musica straniera che fa ballare, al jazz e restituisce anche le inquietudini del cuore e le speranze.

Ida scoprirà le efferatezze della guerra, l’odio, le vendette, gli incomprensibili tradimenti di cui l’uomo è capace. I genitori sono stati uccisi non dalla follia nazista, ma dall’avidità dei connazionali. Ritrova la casa di famiglia e grazie alla determinazione della zia, che mette alle strette chi ha usurpato la loro proprietà terriera, ritrova anche i resti del padre e della madre. Ma anche per Wanda è il momento di guardare in faccia il suo passato, le sue scelte: anche il suo bambino è stato ucciso insieme agli zii mentre lei era a combattere come militante della resistenza. Ne ritrova le spoglie, lì in una fossa scavata dal suo assassino nel bosco.

Le due donne si recano al cimitero ebraico ormai abbandonato per seppellire i resti dei loro cari nella tomba di famiglia. A mani nude scavando nella terra, quella terra che ha custodito il passato, da cui è riemersa la memoria, la verità, il dolore.

Questo viaggio chiede a Ida e Wanda di fare i conti con la storia, le proprie origini, le convinzioni, le scelte fatte e da fare. Il presente non può essere senza un passato con cui riconciliarsi. Il futuro non può essere rimozione di ciò che è stato, esclusione degli errori, di ciò che inquieta e che è meglio non vedere, delle emozioni che è meglio non sentire.

Wanda non riesce a sostenere la verità, a perdonarsi e l’alcool non basta più a riempire il vuoto. Ida non dà più per scontate le sue scelte, la vita religiosa non può essere sottrazione dalla vita reale, anestetizzazione dei sentimenti. Cerca di capire cosa desidera davvero, si mette alla prova, assaggia gusti nuovi, si scioglie i capelli. Ci può essere per lei anche un altro futuro, una concreta vita di affetti, ma la sua domanda: e poi cosa d’altro? rivela che nell’essenzialità di una vita donata, nei gesti semplici e per questo potenti e carichi di senso che si compiono in un convento, nel rapporto con Cristo, c’è molto di più. C’è il perdono, la riconciliazione, la pace.

Pawlikowski realizza un’opera essenziale, da un bianco e nero struggente, da una fotografia incantevole, dove la forza delle immagini è data dalla sottrazione: dal togliere tutto ciò che è inutile. Si spogliano le immagini per mettere a nudo i sentimenti, i desideri, l’animo delle protagoniste. Le due attrici sono bravissime, capaci di comunicare con l’intensità del volto, degli sguardi, con il non detto, l’interiorità di Ida e Wanda. E’ un film come pochi, dove ogni gesto, ogni inquadratura, ogni espressione hanno un valore, un peso, una bellezza.

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Notizie di Casa

A cura di fr. Enzo Pellegatta

01- Verona 05-06-07 Torino-Lonigo-Bologna

06 - Milano

07 - Brescia

07-18 Ossona (MI)

08 - Busto Arsizio

10 - Monza

16 – Monza 16 – 17 Arco di Trento

Maggio

S. Bernardino: in occasione della festa con le famiglie dei professi temporanei, fr. Almiro Modonesi, Delegato del Ministro provinciale, conferisce a fr. Cristiano Castegnaro il Ministero istituito dell’Accolitato. Lunedì a Torino, martedì a Lonigo (VI), mercoledì a Bologna si svolgono le Giornate Interprovinciali, che hanno come punto di riferimento la figura di papa Francesco e che complessivamente vedono la partecipazione di circa 300 frati. Curia Provinciale: il Definitorio si raduna per il suo IX Congresso. Nella Chiesa di s. Gaetano si celebrano alle ore 10.00 i funerali di fr. Nazareno (Fernando) Panzeri, sacerdote, di anni 78. Nativo di Cornate d’Adda (MI), ha arricchito la sua testimonianza francescana e il suo ministero con le opere d’arte scultorea e architettonica. Riposa nel cimitero del paese natale. Nella locale Parrocchia si svolgono le Missioni al popolo. Nella chiesa del Sacro Cuore si celebrano in mattinata i funerali del sig. Silvio Recchia, papà di fr. Stefano. Convento delle Grazie: nell’ambito dell’ “Open Hospice” si svolge nel salone del Convento una tavola rotonda sul tema “Volontariato e Cure Palliative”. Nel Santuario delle Grazie in serata il coro “Modus Novus Ensemble” di Monza diretto dal m. Gianfranco Freguglia e con all’organo e al pianoforte il m. Andrea Sarto, esegue una elevazione musicale in onore di Maria dal titolo “Beata Mater”, un programma che spazia dal gregoriano ai tempi nostri. Nel locale Convento i sei Ministri Provinciali del Nord Italia con il Delegato fr. Massimo Fusarelli e il Segretario fr. Stefano Dallarda si riuniscono per il Consiglio di Cooperazione.

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Notizie di Casa

30 - Cermenate 31 – Monza

Cinquanta amici del locale convento, accompagnati da fr. Enzo Pellegatta, si recano per la tradizionale gita-pellegrinaggio di tre giorni a Orvieto e Bolsena, dove si celebra il Giubileo per il 750° del Miracolo Eucaristico, visitando anche Civita di Bagnoregio e Montefiascone. Piazza s. Paolo: si celebra una Veglia cittadina, preparata come ogni anno in collaborazione con l’OFS e la GiFra, sul tema “il Signore mi diede di compiere meraviglie”.