Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

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ideogramma cinese CONFLITTO GRUPPI DI LAVORO TRA TEAM BUILDING E CONFLITTI di Claudio Funes

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L’idea di fondo è che la costruzione e il rafforzamento di un gruppo di lavoro passa per una serie di iniziative piacevoli, residenziali, stravaganti e, perché no, anche moderne e innovative.

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i d e o g r a m m a c i n e s e C O N F L I T T O

GRUPPI DI LAVORO TRA TEAM BUILDING E CONFLITTI

di Claudio Funes

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Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori

traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio

peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

GRUPPI DI LAVORO TRA TEAM BUILDING E CONFLITTI

di Claudio Funes Sono le 11.00 di un giovedì mattina quando, nell’ufficio del consulente della società di formazione e consulenza organizzativa “People Going”, squilla il telefono. “Buongiorno sono il Dottor Rocca, Responsabile della Formazione della società Evolution. Ho ricevuto l’incarico di fare un bel team building per il gruppo di direzione e mi piacerebbe sapere come la vostra società lo imposterebbe. Fissiamo un incontro?” “Certamente, va bene martedì della prossima settimana?”, risponde il consulente. Il Responsabile racconta: “Dunque, vorremmo fare un intervento per dare energia ai direttori e anche per favorire le buone relazioni. Ogni tanto ci sono delle tensioni tra di loro, nulla di grave eh…, però, diciamo, ogni tanto non c’è molta armonia, scoppiano dei diverbi per nulla, alla macchinetta del caffè ci sono un po’ di lamentele… Inoltre, specialmente in questo periodo di “vacche magre”, vorremmo infondere un po’ di motivazione e voglia di fare, di engagement… Insomma, motivare le persone e serrare le fila per tenere duro con la convinzione che arriveranno tempi migliori e che ora è importante tenere duro, non mollare e… “fare squadra”. Pensiamo a un intervento esperienziale appunto, energizzante, anche magari un po’ fuori dal comune, cabaret, teatro, rafting, … ho sentito anche di una bella avventura nello spazio con delle repliche di navicelle spaziali: ne fate anche voi?

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Ecco, poi vorremmo che l’erogazione fosse nella prima metà di aprile, subito dopo la Pasqua ed evitando il lunedì e il venerdì. Poi anche la location vorremmo fosse d’effetto... Ha qualcosa di “pronto” da propormi?” “Bene, mi sembra di aver capito” risponde il consulente, “credo di avere già qualche idea che è in linea con la sua richiesta. Noi siamo specializzati in attività esperienziali e abbiamo messo a punto un paio di soluzioni molto innovative e d’impatto. Le propongo di vederci settimana prossima per un paio d’ore per presentarle tre, quattro idee tra le quali scegliere insieme quella che ci sembrerà più efficace. Cosa ne pensa?” risponde il consulente. “Benissimo, allora ci vediamo settimana prossima.” Questo può essere, con buona approssimazione, un ipotetico colloquio tra un consulente e un responsabile della formazione di un’azienda che ha come tema la realizzazione di un intervento di team building. L’idea di fondo dietro questo colloquio è che la costruzione e il rafforzamento di un gruppo di lavoro passa per una serie di iniziative piacevoli, residenziali, stravaganti e, perché no, anche moderne e innovative. Oltre ad un’evidente e piuttosto nota ormai confusione tra mezzi e fini, nel senso che l’attività effettivamente realizzata diventa lo scopo per il quale tutta l’iniziativa è messa in cantiere e successivamente progettata, rimangono due questioni di fondo che, nel colloquio descritto, sono state “dimenticate” e sulle quali, durante la mia personale esperienza professionale, mi sono spesso imbattuto; la prima è rappresentata dalla grande assente in tutto il dialogo: la “questione” organizzativa che sollecita un’iniziativa di formazione. La seconda ha a che fare con la pericolosa e molto attuale equazione che se un gruppo lavora in modo efficace, è perché il gruppo ha buone relazioni, mantiene e sostiene l’armonia tra i suoi membri, esprime “quanto sia meraviglioso lavorare tutti insieme” e, soprattutto, non litiga. Vediamole insieme.

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La “questione” organizzativa

Nella mia esperienza professionale, talvolta, le richieste di

interventi formativi dedicati ai gruppi mi appaiono essere un

po’ deboli di un’analisi socio-organizzativa volta a mettere a

fuoco l’esigenza sottostante la domanda di intervento,

costituita certamente da aspetti concernenti la qualità delle

relazioni interpersonali nel gruppo, il clima interno, la

fiducia, la coesione, il senso di appartenenza, ma anche da

questioni più afferenti, in modo diretto, il business quali, ad

esempio, un aumento degli scarti nella produzione,

l’accorciamento del ciclo di produzione del prodotto finito, un

incremento del tasso di assenteismo del personale, un

aumento degli infortuni nel reparto, la crescita delle

lamentele dei clienti, i ritardi nelle consegne della

produzione alla distribuzione.

Anche la consulenza, qualche volta, fa fatica a sottrarsi a

queste richieste molto “fashionable”;; si adatta alla proposta

del cliente e risponde in modo collusivo, con “pacchetti” e

“prodotti” sempre “up-to-date” e scoppiettanti di energia ed

entusiasmo.

Ecco che in questi casi la proposta di intervento tende a

concentrarsi su aspetti di gruppo, di tipo relazionale, per i

quali sovente si fatica a trovare collegamenti con il contesto

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organizzativo nel quale il gruppo agisce, il “là ed allora”. La

tesi sottostante è che un gruppo in formazione lavora sulla

dimensione “soft” con pochi riferimenti a quella “hard” che

attiene ai compiti, ai ruoli, alle risorse, ai metodi e agli

obiettivi per i quali esso esiste e agisce nella dimensione

organizzativa che gli dà forma, che ne sostanzia la sua

stessa ragione di vita. E l’intervento formativo può aiutare

l’azienda cliente solo su questa dimensione del gruppo senza

occuparsi, o potersi occupare un granché, dell’altra. Si

registra quindi una tendenza, nella richiesta che le

organizzazioni rivolgono alle società di formazione, sia a

concepire e vivere un gruppo di lavoro come se la sua

dimensione del contenuto fosse indipendente da quella

occupata dalle relazioni, sia a porre un’attesa di output da

queste iniziative di team building, spesso proposte in modo

episodico e frammentato, qualche volta idealizzata1.

Svyantek, Goodman, Benz e Gard, nel loro studio “The

relationship between organizational characteristics and team

building success”2 hanno verificato l’impatto, in termini di

produttività, di svariati interventi di team building su oltre

130 aziende e hanno individuato alcuni spunti di riflessione 1 Qualche anno fa un Direttore Generale alla mia domanda “Quali obiettivi intende raggiungere con questo intervento dedicato al suo gruppo?”, mi rispose: “…che dalla prossima settimana si vada tutti d’accordo tutti, senza litigare più”. 2 Pubblicato sul Journal of Business and Psichology, 14, 2. e già citato da L. Amovilli in “Noi e Loro”, Raffaello Cortina Editore.

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rilevanti che possono anche essere spendibili in termini

operativi per chi, come la committenza e la consulenza, si

accinge a realizzare un percorso di team building dedicato

ad un gruppo di lavoro3. Vediamo, in estrema sintesi, cosa

hanno scoperto.

1. Innanzitutto sembra che mettere al centro un problema

di tipo operativo, una situazione di crisi derivante da

questioni legate all’esecuzione di compiti e al

perseguimento degli obiettivi del gruppo, sia più efficace

rispetto ad una focalizzazione su un piano di

miglioramento della coesione, dei processi di

comunicazione, della fiducia; in breve, delle relazioni;

2. progettare l’intervento in modo partecipativo e inclusivo,

consulenti, committenza e utenza insieme è meglio che

affidare l’iniziativa solo ai consulenti oppure solo agli

“interni”. In altri termini, la progettazione partecipata4

funziona molto meglio rispetto al classico rapporto

azienda cliente-consulente esperto;

3. paga di più un approccio del tipo ricerca-azione con i

noti passaggi pianificazione-azione-osservazione-

3 Per la definizione di gruppo di lavoro si veda “Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo” di Quaglino, Casagrande e Castellano (pag. 25-28) - Raffaello Cortina Editore (1992). 4 Per approfondire il tema rimando il lettore all’ideogramma “Codesign organizzativo” dei miei colleghi di Mida, Bussi, Carpaneto, Peretti Griva.

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riflessione, nei quali il gruppo produce conoscenza di se

stesso, anziché altre metodologie formative;

4. l’iniziativa promossa e visibilmente sostenuta e

incoraggiata da attori apicali dell’organizzazione rende

di più rispetto a quella attivata da un membro del

gruppo in questione;

5. il team building collocato in un insieme di azioni

organizzative più ampie e interconnesse rispetto

all’iniziativa isolata ed episodica (e talvolta anche

esotica), oltre a contenere un messaggio implicito ad

alto impatto nei confronti dei futuri partecipanti

(l’azienda crede così tanto a questa iniziativa che ha

concepito una serie di azioni fortemente diverse e

interdipendenti), favorisce la coabitazione dei problemi

organizzativi con la formazione anziché la loro drastica

separazione proposta dai “pacchetti”.

Il quadro complessivo che emerge da questa ricerca, e che

gli autori sostengono, ci informa che la richiesta generica di

lavorare sulla bontà delle relazioni sia meno efficace rispetto

a un innesco fondato su un problema concreto di

performance del gruppo.

Potrebbe quindi essere poco profittevole, da parte della

funzione sviluppo e formazione dell’azienda, dar seguito alle

domande di team building della committenza “passandola”

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alla consulenza senza approfondirne le origini e le cause, le

aspettative implicite.

Il team building, inoltre, potrebbe risultare – come talvolta

affermano gli stessi partecipanti a valle dell’esperienza -

fuori contesto, avulso dalla realtà organizzativa vissuta dalle

persone alle quali è poi chiesto dalla consulenza, durante la

formazione, di “portare dentro” l’esperienza fatta. Voglio

dire che talvolta la richiesta di trasmettere, negli eventi di

team building, alcune dichiarazioni in favore di una

collaborazione trasversale, di una leadership partecipata, in

prospettiva interfunzionale, favorendo l’appiattimento delle

gerarchie, potrebbe essere un messaggio fuorviante,

confusivo, quando non addirittura controproducente, in

quanto molto poco corrispondente ai messaggi trasmessi, ai

comportamenti agiti, alle esplicite intenzioni del top

management, alla cultura dell’azienda e alle caratteristiche

del settore nel quale essa opera. E spesso la conclusione

dell’esperienza converge sulle difficoltà dei partecipanti di

trasferire l’esperienza fatta nel proprio contesto di

riferimento e, sulla necessità, per la committenza e la

funzione formazione, di trovare, per la prossima occasione,

un mezzo, un’altra idea innovativa, un “qualcosa” per

mantenere “vivi” i contenuti delle giornate, un “follow-up”,

da consumare e ancora confondere con il fine, per aiutare le

persone a “fare gruppo”.

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Talvolta mi sono state fatte richieste esplicite di non

intervenire su questioni interne legate agli obiettivi di

business, ma di lavorare su aspetti legati al benessere e alla

cura del gruppo, al miglioramento dell’efficacia dei processi

di comunicazione. Non importa approfondire quali siano le

questioni problematiche del gruppo, le difficoltà che affronta

nel realizzare gli obiettivi posti dall’organizzazione. Spesso il

team building ha l’obiettivo di “aggiustare” le relazioni nel

gruppo magari perché, in particolare, ci sono due direttori

che si parlano poco, si evitano, e fare un po’ di “amalgama”

potrebbe aiutare tutti…

Ma in un gruppo di lavoro non esistono le relazioni tout

court. Esistono, come descrivo più avanti, relazioni

finalizzate, ovvero funzionali agli scopi dell’organizzazione

per i quali il gruppo esiste, agli obiettivi che ha, alla cultura

organizzativa di cui fa parte. Scindere il contenuto dalla

relazione significa correre il rischio di trattare la seconda

componente in modo assoluto, come esercizio di stile, come

richiesta ai suoi membri, esplicita o implicita, di aderire ad

un modello idealizzato senza relativizzarlo alla reale

dimensione socio-organizzativa nel quale il gruppo vive e

agisce.

E ora veniamo alla seconda questione.

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Il gruppo “buono”

Il mito dell’armonia è duro a morire.

Sin dalla sua nascita, la psicologia ha considerato il conflitto

come un’anomalia, una turbolenza, uno squilibrio rispetto ad

uno stato di quiete e di benessere.

La psicoanalisi confina il conflitto nella dimensione della

nevrosi con punte che approdano all’area della

psicopatologia grave. Non c’è nulla di utile nel conflitto,

secondo questa prospettiva.

La formazione più diffusa si accoda e propone di lavorare sul

conflitto in termini di sviluppo delle capacità di negoziazione

quasi sempre con un obiettivo di tipo riparatorio, risolutivo.

Ovvero le relazioni conflittuali non vanno bene, sono

dannose e occorre “raddrizzarle”. Il conflitto non è inteso

come una risorsa, una traiettoria di apprendimento, di

evoluzione e di potenziamento di alcune competenze

specifiche, sia delle persone, sia dei gruppi nelle

organizzazioni.

Eppure l’idea di conflitto come forza progressista risiede

nelle prime forme del pensiero filosofico occidentale e

orientale. “Occorre sapere che il conflitto è comune, che il

contrasto è giustizia, e che tutte le cose accadono secondo

contrasto e necessità”, afferma Eraclito (544-483 a.C.).

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Anche il filosofo John Locke (1632-1704) esprime una

definizione positiva del conflitto come vera espressione di

uno stato liberale e come opportunità, da parte

dell’individuo, di esercitare una forma di controllo verso il

potere delle istituzioni.

La sociologia, con Georg Simmel (1858-1918), sostiene che

il conflitto ha una funzione sociale importante in quanto

consente il riconoscimento reciproco delle diverse parti

sociali in campo.

L’ideogramma cinese in uso è quello che significa “in

ascolto”.

Un altro significato, sempre per i cinesi, da attribuire al

termine è duplice: rischio e opportunità. Questa

definizione rende in modo efficace l’idea che l’esito possibile

del conflitto dipenda molto sia da come lo percepiamo, sia

da come lo agiamo.

Quando il padre della moderna psicologia dei gruppi, Kurt

Lewin, attraverso il suo noto adattamento della teoria del

campo ai processi psicosociali, definisce il gruppo come

“campo di forze in equilibrio quasi-stazionario” e afferma

che queste forze si attraggono e si respingono e sono sia

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soggettive (vissuti affettivi), sia più oggettive (strutture di

potere, forme gerarchiche, vincoli), “sdogana”

definitivamente il concetto di conflitto come fenomeno

fisiologico e descrittivo della fenomenologia stessa del

gruppo, oltre a spiegare, in modo molto efficace, come

avvengono i processi di cambiamento sociale.

Oggi, nelle richieste che le organizzazioni fanno alla

consulenza in tema di conflitti nelle relazioni tra i membri di

un gruppo, l’idea predominante è legata alla richiesta di

lavorare sulla loro gestione di tipo risolutivo, che

corrisponde più o meno alla seguente prescrizione

impossibile: il problema – conflitto - sarà risolto quando non

ci sarà più il problema – conflitto -.

Il conflitto, in questa prospettiva, è quindi vissuto come una

turbolenza5 che non va bene, come un granello di sabbia

estraneo che occorre espellere dal sistema. Il “fare squadra”

è perciò associato all’idea che il conflitto sia da evitare, che

non sia permesso e che sia, quando accade, un incidente di

percorso verso una visione armoniosa delle relazioni

interpersonali efficaci nei gruppi di lavoro.

Siamo quindi molto lontani da un quadro che vede nel

fenomeno conflittuale una preziosa fonte di informazione, di

5 L’autore ricevette un incarico, da parte di una nota multinazionale, di realizzare un corso sul conflitto utilizzando, sia nel materiale didattico in uso ai partecipanti, sia nel linguaggio utilizzato in aula, il termine “conflitto” il meno possibile. Molto meglio il termine “negoziazione”, fu suggerito.

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avvio di processi di innovazione e creatività, un’opportunità

di apprendimento delle persone, dei gruppi e delle

organizzazioni. Sì, soprattutto un’occasione di

apprendimento. Quindi la richiesta della committenza

include, in modo, più o meno implicito, di lavorare sul

gruppo per farlo diventare “buono”;; un buon gruppo

“buono”.

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Si apprende dal conflitto?

E adesso la domanda sorge spontanea.

Quali sono gli apprendimenti possibili dal conflitto?

L’idea che vorrei condividere è di pensare al conflitto come

ad un’opportunità di apprendimento profonda per sé e che

solo le situazioni conflittuali possono offrire, anziché

occuparsene per ricercare in modo spasmodico “la

soluzione” a tutti i costi.

Ne cito due che, nelle organizzazioni e nelle società attuali, a

me appaiono cruciali e irrinunciabili.

Il contenimento della deriva narcisistica: se è vero che le

statistiche ci informano che, nonostante la rilevanza data dai

mezzi di informazione, i casi di violenza nel nostro paese

sono in calo, le occasioni di litigiosità tra gli individui sono in

progressivo aumento6. Il livello di intolleranza nei confronti

dell’altro da sé, di difficoltà a gestire mediante processi di

ricomposizione il dissenso, l’opposizione, è in continua e

preoccupante crescita.

Il conflitto vissuto come opportunità permette, nelle

relazioni con gli altri e nei gruppi soprattutto, di cogliere il

6 Nel 2010 le cause pendenti nel settore auto (tra civili e penali) sono infatti arrivate quasi a quota 300.000, con un aumento del 9% rispetto al 2009 (fonte: www.asaps.it).

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limite (sconfinato) del nostro agire narcisistico che preme

per volere tutto e subito e ad ogni costo, per soddisfare,

istantaneamente, i nostri bisogni.

Nel conflitto vissuto come opportunità, la pretesa che l’altro

faccia, dica, pensi, agisca come voglio io, è sostituita

dall’attesa (dello scambio, della possibilità, della

decantazione emotiva, dell’elaborazione della richiesta

“possibile” che faccio all’altro).

L’opposizione che l’altro mi pone, i suoi “No”, sono dei mezzi

regolativi delle relazioni interpersonali che attivano la

capacità di gestire internamente il senso di frustrazione che

ne deriva, di differire la gratificazione dei nostri desideri,

necessaria ad esercitare una convivenza sociale appagante e

funzionale al lavoro di gruppo e, più in generale, alla vita

nell’organizzazione. L’assenza di qualsiasi limite, la bassa

tolleranza che abbiamo per l’altro da sé, ci fa accedere allo

sviluppo della nostra onnipotenza che ci porta a non riuscire

più a gestire gli insuccessi e i fallimenti e, soprattutto, senza

avere la possibilità di riflettere su questo tipo di esperienze

al fine di ristrutturarne i significati e consapevolizzarne gli

apprendimenti.

L’apprendimento di competenze: nell’incontro-scontro con

l’altro affino le mie competenze relazionali e la gestione

delle mie emozioni. Raggiungere in modo efficace un

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obiettivo anche quando nel gruppo di lavoro c’è disaccordo

significa agire quelle competenze di leadership volte a

ricercare comunque l’impegno di tutti i membri, ad

individuare il percorso possibile anche nella difficoltà che le

relazioni nei gruppi inevitabilmente comportano, ad

assumere e agire il compito e l’obiettivo per il quale il

gruppo stesso è stato costituito. La creatività delle soluzioni

inedite, delle vie nuove verso il raggiungimento dell’obiettivo

nasce dalle occasioni talvolta più impervie, dagli ostacoli,

dall’espressione delle diversità delle connessioni possibili che

vivere il conflitto nella sua dimensione potenziante,

permette.

Nelle relazioni interpersonali chi mi dà ragione mi fa piacere,

ma mi lascia lì dove sono, in termini di apprendimento…

Colui che invece si oppone, mi “punge”, non mi dà una

ragione che non mi compiace a tutti i costi, non collude con

me, mi offre una possibilità ulteriore, un punto di vista

inedito al quale, magari, non ero ancora arrivato.

Errare significa, in fondo, uscire dalle proprie incrollabili

certezze, da una visione manichea delle esperienze che

viviamo, per sperimentarsi nuovamente e la formazione

deve essere costellata di buone dosi di fatica, di

sbandamenti, di dubbi e di ripensamenti, delle inevitabili

cadute che qualsiasi fenomeno di apprendimento porta con

sé. Con le parole di Massimo Recalcati: “Il fallimento è uno

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zoppicamento salutare dell’efficienza della prestazione. E, in

questo senso, la giovinezza è il tempo del fallimento o,

meglio, è il tempo dove il fallimento dovrebbe essere

consentito”.

Un gruppo dove il livello di conflitto è basso è a forte rischio

di conformismo, di reciproca compiacenza, di lassismo, di

bassa creatività, di appiattimento relazionale, di

sfilacciamento progressivo del senso di appartenenza dei

suoi membri che non trovano più in esso il luogo dove le

loro “emergenze psicologiche”7 possono trovare

accettazione, ascolto, espressione, talvolta accoglimento,

talvolta contenimento. “E’ molto più interessante e produttivo discutere di cose sulle quali si hanno opinioni differenti. Io personalmente non mi diverto molto nelle discussioni in cui tutti concordano con me: non ci sono ostacoli da superare, non c’è tensione, non viene fuori niente di nuovo. Le divergenze di opinione possono essere feconde; e anche i litigi. Sono come ostacoli sulla strada verso il sentirsi uniti, e bisogna metterci impegno per superarli: mentalmente, moralmente, fisicamente…” 8

7 Si veda “Lavoro di gruppo, gruppo di lavoro”, Quaglino, Casagrande e Castellano - Raffaello Cortina Editore (1992). 8 Tratto da “Jung parla” interviste e incontri a cura di William McGuire – Gli Adelphi - pag. 315.

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4 punti di attenzione per un intervento con i gruppi di lavoro

Cosa significa realizzare un intervento di formazione

dedicato ai gruppi di lavoro che tenga insieme sia obiettivi di

potenziamento dell’efficacia nei comportamenti, di possibilità

di generare apprendimento, di aumento della coesione,

della compattezza e della fiducia, della gestione delle

relazioni interpersonali, dei conflitti, con aspetti che

riguardano il raggiungimento dei risultati di prestazione che

l’organizzazione richiede?

La mia pratica professionale, maturata nel lavoro con gruppi

di aziende impegnate nelle industries più diverse, mi

suggerisce che il consulente mantenga 4 punti di

“attenzione” per aiutare il cliente da una parte ad aumentare

la sua consapevolezza rispetto alle esigenze che lo portano a

rivolgersi alla consulenza, dall’altra a concepire, insieme9 al

consulente, un intervento organizzativo che sia

contemporaneamente un’opportunità per raggiungere

prestazioni efficaci per l’organizzazione e un’occasione di

apprendimento per i partecipanti coinvolti.

9 Mi riferisco all’adozione dell’approccio “contrattuale” nella definizione fornita dall’Analisi Transazionale e rimando il lettore alla nutrita letteratura a riguardo.

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1. Non “buone relazioni”, ma “relazioni funzionali”:

un gruppo che non confligge rischia di avere una bassa

capacità creativa, con poco pensiero originale e con

poca autonomia. E’ un gruppo a rischio in quanto la

divergenza di pensiero al suo interno potrebbe essere

fatale per la sua stessa esistenza. In un gruppo

siffatto, le differenze non sono un valore e il conflitto è

considerato un’anomalia, un impedimento, una grave

minaccia, una deviazione pericolosa da un’immagine

ideale fatta di relazioni pacifiche e armoniose. In

questo gruppo il dissenso è minaccioso in quanto

mette a rischio i legami tra i membri. Se un gruppo

esiste, dal punto di vista organizzativo, per trovare

soluzioni a problemi, una certa dose di conflittualità ad

uno stadio specifico dell’azione del gruppo verso il

perseguimento dello scopo per il quale esso esiste è

necessaria, anche auspicabile. Un gruppo i cui membri

agiscono relazioni funzionali è un gruppo che utilizza i

processi di comunicazione in modo specifico rispetto al

compito e in modo sostenibile rispetto alla qualità delle

relazioni tra i suoi membri. Certo, il termine

“funzionali” si presta facilmente ad essere frainteso,

manipolato. Suona anche un po’ “aziendalese”. Vuol

dire freddo, arido e calcolatore, smaccatamente

utilitaristico? No di certo. Con relazioni funzionali

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intendo affermare che i gruppi, in azienda, esistono

per raggiungere scopi organizzativi e che gli enunciati

del tipo “Siamo come una famiglia qui” rischiano di

contenere delle aspettative implicite impossibili da

raggiungere (il gruppo felice come la famiglia del

“Mulino Bianco”) e confondono gli scopi delle relazioni

nel gruppo di lavoro con quelle di altri tipi di gruppi (la

famiglia, come esempio appunto, sempre che di

famiglia “felice” si tratti!, il gruppo di amici) per i quali

la qualità dei rapporti interpersonali è (molto) più

importante degli obiettivi (che spesso non ci sono).

Questo passaggio ritengo sia chiave in quanto

permette di riconoscere (e de-contaminarsi) dalla

confusione (spesso implicita) del gruppo di lavoro

come luogo delle buone relazioni, del vogliamoci bene,

della scarsa possibilità, da parte dei suoi membri, di

esercitare il pensiero divergente, il dissenso senza

correre il rischio di mettere a repentaglio il legame10.

In questi gruppi il significato semantico del termine

appartenenza è confuso e sovrapposto a quello di

fusione. C’è una convinzione potente e dicotomica: o

10 E’ chiaro qui il riferimento all’imago del gruppo come luogo che riattualizza il meccanismo simbiotico intrauterino e all’adozione di modalità comportamentali, di tipo fusionale, appartenenti al codice materno (cura, ascolto, accoglienza, comprensione, protezione) come pattern regolativo delle relazioni tra i membri.

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tutto o niente. O siamo tutti d’accordo oppure non va

bene. Coloro che non sono d’accordo con la

maggioranza sono sospetti, e tendono ad essere

progressivamente isolati, marginalizzati. I processi di

separazione e di differenziazione sono vissuti in modo

minacciante11.

2. Obiettivi di risultato: il consulente aiuta la

committenza a mettere a fuoco obiettivi di risultato e il

gruppo a individuare gli obiettivi di performance

correlati.

Vediamo un caso reale.

Vado a trovare un’azienda, con l’obiettivo di avviare

un’analisi dei fabbisogni relativa ad un percepito

“malessere” nelle relazioni tra alcuni membri di un

gruppo di lavoro.

Durante il colloquio, il Responsabile delle RU racconta

che:

11 Durante una sessione di debriefing di un gruppo di lavoro di una società multinazionale, un partecipante ha scritto sulla lavagna, nella colonna dedicata agli aspetti da migliorare come gruppo, “Non fare sottogruppi, stare sempre insieme, fare gruppo”.

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il gruppo ha una mole di attività molto elevata che

causa un’oggettiva pressione sia sulle persone che

sull’organizzazione del lavoro;

le relazioni interne sono conflittuali sia all’interno

dei gruppi, sia tra i gruppi, le cui cause scatenanti

immediate sono spesso risibili, tanto da essere

facilmente interpretabili come manifestazioni di

malessere che ha origini diverse e più profonde

nelle relazioni “storiche” tra le persone.

Al termine del colloquio, il cliente dichiara che

l’obiettivo organizzativo dell’intervento è formulabile in

questi termini: migliorare il servizio all’utenza

attraverso una maggiore/più efficace collaborazione

interna.

Questo obiettivo – dai contorni ancora molto sfumati -

si traduce nella richiesta di “fare squadra” realizzando

un intervento di team building sulla fiducia, la

coesione, lo “spirito di gruppo” e la gestione dei

conflitti con modalità outdoor.

Propongo al mio committente un approfondimento

rispetto a come il gruppo svolge i suoi compiti legati al

servizio che offre all’utenza, ovvero sugli aspetti

chiave, le cause, le disfunzionalità che provocano un

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 21

Page 23: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

livello di servizio12 inferiore alle attese. E apprendo che

poche settimane prima era stata realizzata

un’approfondita e molto ben curata analisi, condotta

dall’interno, dell’attività svolta dal gruppo nel biennio

precedente dalla quale si evidenziavano le seguenti

aree di criticità:

a. si verificano alcuni “tempi morti” nel ciclo del

servizio di assistenza al cliente;

b. i carichi di lavoro tra i membri del gruppo sono

molto sbilanciati;

c. vi è la presenza di diverse attività a scarso valore

aggiunto (troppi controlli intermedi; attesa di

firme; scrittura manuale degli indirizzi etc.) che

allungano i tempi di evasione delle pratiche;

d. c’è un basso livello di formazione sul campo, con

percorsi strutturati e definiti di affiancamento a chi

il lavoro già lo sa fare e un successivo periodo di

verifica sul lavoro svolto;

e. ci sono pochi stimoli ad alimentare nelle persone le

iniziative e le proposte di miglioramento.

12 Il gruppo in questione fa parte di un ente pubblico e realizza servizi di consulenza con uno sportello al quale l’utenza si rivolge.

22 Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes

Page 24: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

A questo punto, propongo di zoomare sull’obiettivo

dell’intervento per renderlo il più possibile SMART13.

L’attenzione così si concentra sulla riduzione dei

cosiddetti “tempi morti” che hanno un diretto e visibile

impatto sul grado di soddisfazione dell’utenza

rispetto ai servizi offerti dal gruppo di lavoro.

Concordiamo che l’obiettivo di risultato dell’intervento

in questione può essere formulato in questo modo:

“Entro il prossimo 30 ottobre, ridurre i tempi di attesa

del cliente per accedere al servizio del 15% durante le

ore di non-picco e del 10% durante le ore di picco”.

Il percorso può così essere avviato con il lancio

dell’iniziativa che prevede una riunione di mezza

giornata nella quale committenza e Coach propongono

al gruppo l’obiettivo sul quale lavorare, lo negoziano e

lo ratificano, descrivono la struttura generale del

programma e la metodologia di teamcoaching

applicata e chiariscono i ruoli degli attori protagonisti:

Committenza, Coach, Gruppo.

3. Obiettivi e indicatori di prestazione: la prima

sessione di teamcoaching è dedicata all’identificazione

sia degli obiettivi di prestazione che sorreggono

13 S.M.A.R.T.: Specific-Measurable-Attainable-Relevant-Trackable.

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 23

Page 25: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

l’obiettivo di risultato, sia di alcuni indicatori utili per

verificare direzione e progressione del lavoro del

gruppo rispetto agli obiettivi individuati. Sempre nel

caso citato, il Coach pone alcune domande-stimolo al

gruppo per facilitare la ricerca delle aree-obiettivo.

Eccone un parziale esempio: “Per quali ragioni è

importante e urgente intervenire ora?”;; “Quali sono gli

aspetti più impegnativi che state affrontando della

vostra attività?”;; “Su una scala da 0 a 10, indicando

con 0 il livello minimo e con 10 il massimo, qual è

livello di servizio che offrite all’utenza?”;; “Cosa serve

per fare in modo che il gruppo vada avanti di un

punto?”;; “Supponete che accada un miracolo: andate a

letto una sera e la mattina dopo vi svegliate, uscite di

casa, arrivate qui in sede e vi accorgete che siete

arrivati al punteggio desiderato. Cosa succede di

diverso? Cosa fate di diverso? Chi se ne accorge? E

cosa si dice di voi?”; “Quali sono le tre azioni più

urgenti e importanti che, se eseguite, farebbero la

differenza tra adesso e dopo?”14.

Dopo una fase di ricerca in sottogruppi, le proposte

emergenti, connesse alle aree di criticità identificate

dalla ricerca interna, sono le seguenti:

14 Libero adattamento della “Miracle question” di Steve De Shazer.

24 Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes

Page 26: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

- individuare un sistema che permetta un’omogenea

distribuzione del carico di lavoro secondo

l’adozione di specifici criteri – anch’essi da

identificare -. L’indicatore corrispondente è il

numero di pratiche assegnate per operatore,

suddivise per tipologia, misurato nella settimana e

nel mese e il relativo calcolo della media per

operatore;

- mettere a punto e testare per 4 settimane

continuative, una DO-CONFIRM15 checklist che aiuti

a verificare, al termine di ogni settimana,

l’omogenea distribuzione dei carichi di lavoro per la

settimana entrante;

- mettere a fuoco le 3 attività di scarso valore

aggiunto più dispendiose in termini di tempo e

proporre soluzioni per ridurne l’impatto sulla

funzione in tempi certi. Indicatore: calcolo del

tempo medio di evasione delle pratiche;

- preparare e rendere operativa una proposta – entro

il… - di un percorso di formazione strutturato su

15 E’ utilizzata dai piloti di aviazione civile e consiste nel verificare che una una serie di operazioni-chiave sia stata precedentemente eseguita dai membri dell’equipaggio prima del decollo. L’altro tipo di checklist è la READ-DO, che consiste nel leggere il punto-istruzione della checklist, eseguirlo e passare al successivo. Come una ricetta. Per approfondimenti, suggerisco la lettura di “The checklist manifesto: how to get things right” di Atul Gawande - Profile Books Ltd.

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 25

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più moduli interdipendenti che supporti

un’adeguata preparazione tecnica del personale in

tempi certi. Indicatore: numero di operatori che

accedono al percorso rilevato su base mensile;

- predisporre un questionario che misuri la qualità

del servizio percepito dall’utenza e renderlo

operativo entro il... Indicatore: numero di

questionari compilati dall’utenza e produzione di un

documento di sintesi della qualità del servizio

percepita su base trimestrale.

4. Proporre al cliente un percorso di teamcoaching,

a tappe e strutturato in un numero di “riunioni

osservate”. Dopo aver determinato il “as is” (lo stato

attuale) e il “to be” (lo stato desiderato) rispetto ad un

progetto, ad un problema-obiettivo per il quale il

gruppo ha ricevuto il mandato organizzativo di

occuparsene, propongo e concordo con la committenza

di lavorare su un periodo significativo, da definire

rispetto alla complessità dell’obiettivo, alle risorse

messe a disposizione (i.e.: tempo) e ai vincoli di

mandato (i.e.: termine di tempo entro il quale il

progetto deve essere realizzato), organizzato in

sessioni di lavoro di cadenza normalmente mensile. Le

sessioni sono riunioni reali durante le quali il gruppo

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Page 28: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

ascolta, discute, crea, si confronta, analizza, prende

decisioni, etc. I ruoli sono tre e sono chiaramente

esplicitati all’inizio del percorso: il responsabile del

gruppo (Team leader) e i membri del gruppo hanno la

responsabilità diretta del mandato organizzativo per il

quale il gruppo esiste e agisce e organizzano l’agenda

e la gestione delle riunioni mentre il consulente16

(Coach) ha la funzione di aiutare la lettura dei

processi psicosociali del gruppo e stimolare - senza

suggerire - interventi funzionali al superamento di

empasses di carattere operativo e relazionale. E’

fondamentale che il Coach dichiari in modo esplicito di

non fare parte del gruppo e che agisca in modo

coerente a questa regola durante tutto l’intervento. La

principale finalità di questa attenzione nel contratto di

lavoro tra il Coach e il gruppo è volta ad attenuare sia

l’eccessiva dipendenza/controdipendenza dei membri

del gruppo dal Coach, sia i potenziali fenomeni

transferali disfunzionali17. 16 Per approfondimenti su ruolo e approccio del consulente rimando all’irrinunciabile “La consulenza di processo” di E.H. Schein – Raffaello Cortina editore. 17 Il transfert è un meccanismo psicologico secondo il quale un individuo tende appunto a trasferire gli schemi comportamentali, relazionali e affettivi da una relazione arcaica ad una presente. Nelle organizzazioni, un tipo di relazione interpersonale che spesso e facilmente riattiva fenomeni transferali è il rapporto capo-collaboratore nel quale è evidente la presenza della dimensione dell’autorità come elemento scatenante il meccanismo proiettivo: il collaboratore tende ad attualizzare, a livello inconscio, la

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 27

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La mia pratica professionale si concentra sull’osservazione e

sulla successiva restituzione18 al gruppo di contenuti

afferenti le seguenti tre dimensioni:

- il contenuto – realtà oggettiva: rappresenta il livello

visibile e manifesto dell’azione del gruppo. Esprime ciò

che il gruppo fa e dice. Il funzionamento del gruppo è

efficace/inefficace rispetto al conseguimento del

compito. Se, ad esempio, il gruppo concorda di

prendere una decisione in un intervallo di tempo

piuttosto breve e discute con il metodo della ruota

libera, il Coach sollecita i membri e il Team leader a

riflettere sui vantaggi e gli svantaggi di questo metodo e

li stimola nella eventuale ricerca di uno più funzionale

allo scopo; in questo caso, probabilmente, il giro di

tavolo con scelte progressive e vincolanti che non

consentono, cioè, di tornare indietro rispetto alle

decisioni prese. Il livello di contenuto rappresenta la

parte visibile, più superficiale, e comprende tutto ciò che

relazione presente come se fosse simile ad una passata e significativa (i.e.: la relazione con il proprio padre durante l’infanzia). Il transfert è un processo psichico la cui attivazione è inevitabile, non per forza negativo. Lo può essere se riattualizza contenuti emotivo-affettivi disfunzionali (gelosia, invidia, eccessiva aggressività, opposizione ostinata) rispetto al tipo di relazione e di contesto. 18 La restituzione comprende non solo dati oggettivi – i.e.: “Chi ha parlato di più in queste due ore di riunione?” ma anche stimoli al gruppo nel fare delle inferenze – i.e.: “Ci sono state molte issues che avete portato sul tavolo in questa riunione, con pochi approfondimenti. Cosa significa secondo voi?”.

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i membri del gruppo dicono e fanno con la

comunicazione verbale e non verbale esplicita. L’ordine

del giorno, gli obiettivi enunciati, le regole manifeste, la

suddivisione del lavoro per ruoli, sono alcuni degli

elementi di questa dimensione;

- le dinamiche – realtà fantasmatica: è il livello

implicito costituito dai contenuti affettivi del gruppo. La

dinamica di gruppo influenza ed è a sua volta

influenzata dalla dimensione del contenuto. La relazione

tra le due dimensioni è di tipo circolare, non lineare. La

dinamica non è osservabile in modo diretto. Il Coach

può solo fare delle inferenze rispetto a ciò che osserva

della dimensione di contenuto. Due tipici esempi

fenomenologici, molto frequenti di dinamica di gruppo

che colgo nel mio lavoro con i gruppi, sono la fusione e

la dipendenza19. La prima è intesa come la ricerca da

parte del gruppo di ridurre le differenze, appiattire le

diversità di opinione e di pensiero. L’individualità,

l’affermazione di un pensiero originale, il contributo

“fuori dal coro”, come già detto, possono essere

percepiti come minacciosi per l’unità. Un

comportamento-spia più evidente di questo tipo di

19 Fusione e dipendenza, come altre dinamiche di gruppo, non sono, per definizione, solo disfunzionali. Nel presente scritto ne ho volutamente tratteggiato la sola funzione (spesso inconscia) difensiva.

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 29

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dinamica accade quando un gruppo deve prendere una

decisione importante e i membri convergono verso una

tra le pochissime alternative proposte e spesso con

un’urgenza non reale. La decisione presa è unanime con

pochissima discussione, spesso superficiale. La seconda

dinamica è intesa come la cessione, da parte del

gruppo, del potere di decidere del proprio mandato e

della responsabilità ad esso connessa di prendere

decisioni, di compiere delle azioni, di portare avanti e a

compimento anche scelte impopolari ma necessarie per

il gruppo e per l’organizzazione. La cessione avviene

spesso verso il Team leader e anche, talvolta, verso il

Coach. La cessione della piena responsabilità e potere di

scegliere e di portare avanti le decisioni ha a che fare

con il senso di colpa, di impotenza, di inadeguatezza, di

aspettative magiche riposte nel Leader (percepito come

figura onnipotente che ci toglie dai guai, che risolve i

problemi). Il Coach che osserva i comportamenti-spia

agiti dal gruppo, invita i suoi membri a prendere

consapevolezza dei possibili significati e li stimola ad

indagarne l’efficacia e la coerenza rispetto al

perseguimento del compito specifico che il gruppo ha

assunto e sul quale è impegnato;

-

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Page 32: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

- i ruoli: mi riferisco a quelli presenti e agiti nei gruppi

su due livelli:

di contenuto, più direttamente visibile e osservabile

del gruppo. Ne cito alcuni tra i molti: l’organizzatore,

l’esperto di “tempi e metodi”, il finalizzatore, il risk

taker, l’avvocato del diavolo, l’ideatore, il

decisionista, il progettista, l’addetto al “controllo &

qualità” dei processi, il negoziatore, l’innovatore, il

responsabile della comunicazione esterna al gruppo,

etc.;

di relazione (implicito); mothering: che significa cura,

disponibilità, accessibilità, accoglienza,

comprensione, ascolto. Ma anche tentativi di

carattere fusionale, soffocamento per la troppa

affettività che impedisce il distacco, la separazione e

la crescita, l’assunzione di responsabilità; di

fathering: che vuol dire socializzazione, controllo,

stimolazione, autonomia, efficienza, crescita, rispetto

delle regole e delle decisioni prese, senso del limite.

Ma anche prevaricazione, dispotismo, autoritarismo,

giudizio, svalutazione; di brothering: ovvero

apprendere dall’esperienza, sviluppare relazioni sia di

competizione sia di collaborazione tra i pari. E anche

ipercompetizione, sabotaggio, invidia, gelosia; di

Mida SpA – Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, di Claudio Funes 31

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childing: creatività, ironia, divertimento, gioco,

sperimentazione, adattamento, adesione alle regole.

E anche incapacità, opposizione ottusa,

manipolazione, esibizionismo, egocentrismo, sfiducia

in se stesso, senso di impotenza, ansia, insofferenza

nei confronti delle regole e degli altri.

Per questa dimensione il Coach, ancora una volta,

introduce momenti di feedback strutturato e

generativo che stimola, attraverso specifiche

domande di problematizzazione e ricerca, la

consapevolezza di questi ruoli agiti nel gruppo, dei

loro vantaggi e svantaggi ed un loro utilizzo

funzionale rispetto al problema-obiettivo.

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Page 34: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

Conclusioni

Siamo giunti al termine di questo scritto e desidero mettere

a fuoco quali, a mio avviso, possono essere gli aspetti più

significativi da assumere quando consulente e cliente si

avvicinano al concepimento di un intervento di sviluppo

dedicato al team.

1. Hard e soft insieme: definire il problema-obiettivo

dell’intervento in modo che sia valido l’assunto che

considera, in un gruppo di lavoro, la dimensione del

contenuto come connessa alla dimensione socio-affettiva

in un rapporto circolare e non lineare.

2. Attenzione al bias del gruppo come “Mulino Bianco”:

questo, mi rendo conto, è il punto che rischia di essere

più controverso. Un gruppo coeso, con un alto livello di

fiducia e di stima tra i suoi membri, con relazioni

interpersonali gratificanti è un gruppo che ha ottime

potenzialità di “stare” bene e di “fare” bene. Tuttavia, a

mio avviso, talvolta il rischio è che se questi auspici

diventano prescrizioni che l’organizzazione comunica,

sostiene e promuove, è molto probabile che il gruppo

non sia, come ci suggerisce Lewin, un intero, diverso

dalla semplice somma delle parti. E che quindi non possa

essere un luogo dove invece continui processi di

divergenza, negoziazione e convergenza portino

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Page 35: Mida Ideogrammi - Gruppi di lavoro tra team building e conflitti, Claudio Funes

contributi di eccellenza per l’organizzazione e occasioni

di apprendimento per le persone.

3. Identificare obiettivi di risultato e di prestazione.

L’intervento di coaching si concentra sugli elementi

prestazionali in modo che il “prima” e il “dopo” sia

rilevante per il gruppo e per l’organizzazione.

4. Attenzione al rischio “dipendenza” del gruppo e del Team

Leader dal Coach. Quest’ultimo lavora con l’obiettivo di

sviluppare una relazione che faciliti l’autonomia

operativa e psicologica del gruppo, non sostituendosi al

Team Leader e resistendo alla gratificazione del suo “Io

esperto”20. Non dà una direzione e dei consigli su “cosa

occorre fare”;; la sua finalità è triplice e consiste nel:

– facilitare la lettura dei processi di contenuto rispetto

al compito, delle dinamiche e dei ruoli agiti dai

membri del gruppo;

– stimolare azioni di cambiamento che sciolgano le

empasess e aiutino il gruppo ad aumentare la sua

efficacia rispetto al suo mandato organizzativo;

– progettare la formazione secondo l’utilizzo di

metodologie21 e dispositivi specifici che favoriscano

20E’ la condizione di selflessness, di rinuncia della ricerca della soddisfazione del proprio Ego. 21 Come l’action learning.

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sia il potenziamento del funzionamento del gruppo

sia il livello di apprendimenti per le persone.

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Claudio Funes Consulente e formatore, ho sviluppato una competenza specifica su per la gestione sostenibile dei conflitti nelle organizzazioni. Laureato in Economia e Counselor certificato in Analisi Transazionale. Mi sono specializzato nella gestione maieutica dei conflitti. Docente a contratto presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Parma. Ho maturato una consolidata esperienza nella funzione commerciale e risorse umane in società multinazionali. In Mida dal 2010. Il mio obiettivo è potenziare le persone affinché possano esprimere il meglio di sé. Mi occupo di formazione ai comportamenti di personal e people leadership e sono specializzato nella gestione sostenibile dei conflitti nelle aree della negoziazione, mediazione e consulenza maieutica. Sono autore del libro “Gestire i conflitti”, De Vecchi editore, 2009. [email protected]

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Tel. 026691845 - Fax 026697220 www.mida.biz – [email protected]

In copertina

L’ideogramma cinese weiji che ha il significato di conflitto è composto da due simboli: il primo (wei) significa problema

e il secondo (ji) opportunità. Il conflitto nasce quindi da un problema e possiamo scoprire che

dietro al problema si nasconde una valida opportunità di miglioramento.