Mida Ideogrammi - Come migliorare l'efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

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COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE E VENDERE DI PIU’ di Silvio Trombetta 1 Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di piu, di Silvio Trombetta Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti. COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE E VENDERE DI PIU’ di Silvio Trombetta

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La richiesta di migliorare l’efficacia commerciale di singoli individui e, più in generale di intere reti commerciali, è di assoluta attualità.Le sempre più difficili condizioni concorrenziali e di mercato richiedono capacità sempre più sviluppate di gestione commerciale e di relazione con il cliente.Sono quindi molto frequenti richieste da parte sia di singoli sia di organizzazioni, le quali ci chiedono interventi per lo sviluppo delle competenze commerciali.

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COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE

E VENDERE DI PIU’

di Silvio Trombetta

1

Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di piu, di Silvio Trombetta

Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori

traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio

peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE

E VENDERE DI PIU’ di Silvio Trombetta

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1. Vendere di più e vendere “meglio”: come si fa?

La richiesta di migliorare l’efficacia commerciale di singoli

individui e, più in generale di intere reti commerciali, è di

assoluta attualità.

Le sempre più difficili condizioni concorrenziali e di mercato

richiedono capacità sempre più sviluppate di gestione

commerciale e di relazione con il cliente.

Sono quindi molto frequenti richieste da parte sia di singoli

sia di organizzazioni, le quali ci chiedono interventi per lo

sviluppo delle competenze commerciali.

Le richieste portano con sé esigenze diverse, riferite alla

capacità di migliorare le vendite sia da un punto di vista

quantitativo (vendere “semplicemente” di più), sia da quello

qualitativo, che significa “vendere meglio”, ossia riuscire a

curare tutti i dettagli del processo di vendita in modo così

accurato da costruire e mantenere una buona relazione

commerciale con i clienti. Vendere meglio può significare,

per esempio, migliorare le capacità di esplorazione e di

analisi delle esigenze, oppure, sempre per fare esempi, di

gestire con efficacia le obiezioni dei clienti. Va da sé,

d’altronde, che soddisfare queste e altre esigenze di tipo

qualitativo significa migliorare anche il volume delle vendite:

far crescere la qualità ha dunque impatto anche sulla

quantità.

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Il punto è pertanto: come si fa a vendere di più e/o a

“vendere meglio”?

Sperimentazioni effettuate da illuminati Autori e le nostre

modeste esperienze sul campo convergono nel concordare

che vi sono alcuni comportamenti maggiormente adeguati

per vendere con maggiore efficacia: “commerciali” che

adottano determinati comportamenti vendono di più e

gestiscono con maggiore qualità il processo di vendita e la

relazione con i clienti.

Quali siano nel dettaglio i comportamenti opportuni dipende

da una serie di fattori:

– qual è l’oggetto della vendita: servizi o prodotti? E quali

servizi o quali prodotti?

– lo stile aziendale nella gestione del processo di vendita

– le dinamiche del mercato di riferimento

– ecc.

Ciò che in questa sede ci interessa non è tanto definirli,

quanto, piuttosto, far comprendere in che modo crediamo

che un intervento consulenziale e formativo possa avere un

reale impatto nel modificare i comportamenti commerciali

dei venditori (anche esperti).

I comportamenti possono essere modificati attraverso un

approccio per fasi:

– spiegando perché un determinato modo di fare non è

congeniale al raggiungimento di obiettivi specifici;

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– proponendo una o più alternative, magari

argomentando, anche qui, sui vantaggi di questa

soluzione;

– facilitando l’applicazione del “nuovo” modo di operare.

Questa modalità d’intervento intuitiva e di semplice

attuazione a volte – ma sarebbe più adeguato scrivere:

spesso – non è efficace. Stiamo dicendo che frequentemente

non basta affermare che un certo modo di fare e di

comportarsi non va bene e che sarebbe più opportuno avere

un approccio diverso.

Ciò non è sufficiente soprattutto quando il comportamento

che si vuole modificare è abituale, è frequentemente

praticato, fa ormai parte della persona che lo adotta.

Complica ulteriormente la situazione il fatto che quel

comportamento abbia prodotto, in passato, risultati

apprezzabili.

Insomma, l’abitudine e l’esperienza, per giunta positive, non

facilitano il processo di cambiamento.

Quando, pur spiegando loro quali comportamenti ci

aspettiamo, le persone non si uniformano a quanto ci

attendiamo da loro, questa strada non ci porterà da nessuna

parte.

La spiegazione è più profonda di quanto non possa

sembrare. L’abitudine e le esperienze di successo personali

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o di altri hanno consolidato il comportamento e la

convinzione della sua efficacia.

In questi casi, che sono invero la maggior parte, per

modificare i comportamenti è indispensabile ristrutturare le

convinzioni che “sostengono” quei comportamenti.

Vediamo più in dettaglio, nei paragrafi seguenti, quali siano

le ragioni di questo meccanismo mentale.

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2. Le convinzioni e il loro impatto sull’autoefficacia

 a tesi che vogliamo qui sostenere è che le convinzioni che

ognuno di noi attiva all’interno della sua mente influiscono

significativamente sul livello delle prestazioni che

eroghiamo.

Sosterremo che la direzione dell’influenza è tale per cui,

quando le convinzioni sono “potenzianti”, così come in

letteratura1 vengono definite, il livello della prestazione è

mediamente più elevato rispetto al caso in cui l’erogazione

della stessa prestazione avviene quando i pensieri attivati da

chi mette in atto la performance sono di tipo

“autolimitante”2.

Dimostreremo quindi che, per sviluppare livelli di

prestazione più elevati, è fondamentale acquisire la

consapevolezza, innanzitutto, dell’influenza che le

convinzioni hanno sul nostro agire quotidiano; e che, una

volta sviluppata questa consapevolezza, la focalizzazione

dovrà essere posta su come fare per riuscire ad agire

influenzati da convinzioni potenzianti invece che

autolimitanti.

1 Questo termine viene utilizzato da molti Autori ed è consolidato nella letteratura sul tema. 2 Si definiscono convinzioni autolimitanti quelle in cui le persone non si percepiscono capaci di raggiungere un determinato risultato, anche perché tendono a non percepire di poter influenzare il raggiungimento dell’obiettivo.

L

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Per argomentare la nostra tesi forniremo, innanzitutto, un

inquadramento teorico del tema, all’interno del più ampio

costrutto del potenziamento del sé (o empowerment) e, in

particolare, con riferimento alla teoria dell’autoefficacia

(self-efficacy).

Proporremo, inoltre, i risultati di alcuni interventi di successo

realizzati presso Aziende di settori merceologici differenti

che hanno dimostrato come la tesi che sosteniamo sia in

pratica efficace nello sviluppare le prestazioni commerciali.

La teoria che sosteniamo è, infatti, applicabile in concreto,

ed è stata appunto sperimentata con successo in moltissimi

ambiti: medico, sportivo, commerciale3, ecc.

3 Cfr. per i diversi ambiti di applicazione, tra gli altri, gli studi di Cervone e Bandura.

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3. La relazione fra convinzione e comportamento

Come copiosa letteratura dimostra4, esiste ormai unanime

consenso sul fatto che le convinzioni siano un elemento

fondante per il nostro agire quotidiano.

Ciò che facciamo in ogni momento, e il modo con il quale

agiamo, è determinato dai pensieri che si sono sviluppati

nella nostra mente.

Le azioni che mettiamo in atto sono la conseguenza del fatto

che pensiamo che fare quella cosa sia giusto, etico,

opportuno, dovuto, ecc., a seconda dei casi.

Compiamo quell’azione perché ci siamo convinti che sia, qui

e ora5, quella che va compiuta. E che le modalità con le

quali la stiamo mettendo in atto siano quelle più opportune.

Ci interessa sottolineare qui la forza del legame fra la

convinzione e l’azione conseguente: è importante affermare

che l’azione o il comportamento che conseguono alla

convinzione devono essere coerenti. Si tratta di una

coerenza, ovviamente, non assoluta, ma dal punto di vista

soggettivo di chi la mette in atto.

4 Cfr., fra gli altri, Il senso di autoefficacia, a cura di A. Bandura, Erickson 1997. 5 Con l’espressione convenzionale “qui e ora” s’intende tipicamente denotare che quanto stiamo dicendo è vero se contestualizzato in un determinato momento, contesto e situazione. La stessa azione o lo stesso comportamento, pur con riferimento alla stessa persona “agente” potrebbero cambiare, mutando il momento, il contesto e la situazione.

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Questa coerenza è - potremmo dire - “sana”, nel senso che

se, viceversa, non intervenisse, le persone dimostrerebbero

sintomi di patologie simil-schizofreniche.

“Teorici di spicco come Leon Festinger, Fritz Hieder e

Theodore Newcomb considerano il bisogno di coerenza un

fattore centrale nella motivazione del comportamento”6.

A favore della coerenza gioca, d’altronde, l’apprezzamento

sociale e la sua utilità, mentre l’incoerenza è considerata un

tratto di personalità negativo se non, addirittura come

accennavamo, persino patologico.

Se alzandosi al mattino una persona, guardando fuori dalla

finestra, si convincesse che in quella giornata pioverà, è

altamente probabile che quella persona prenderà delle

decisioni che le faranno assumere dei comportamenti

coerenti con la sua convinzione: per esempio, è probabile

che indosserà scarpe “chiuse” anziché sandali, una giacca

impermeabile e che porterà con sé l’ombrello.

L’esempio serve per affermare che anche comportamenti (e

azioni) abituali e quotidiani sono influenzati dalle convinzioni

che sono state attivate, ancorché questo passaggio non sia

esplicito e consapevole. Infatti, quello stesso giorno, due

persone che abbiano osservato lo stesso cielo nuvoloso

potrebbero aver agito diversamente: l’una portandosi dietro

l’ombrello; l’altra no.

6 In Cialdini R.B. Le armi della persuasione, Giunti 2010 pag. 67.  

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Senz’altro, ciò sarà dovuto al fatto che le convinzioni relative

alle evoluzioni meteorologiche di quella giornata siano state

diverse: in un caso si sarà attivata la convinzione “pioverà”,

nel secondo caso quella opposta.

E’ interessante questa diversità di comportamento per

comprendere come la produzione della convinzione sia

davvero un processo soggettivo.

Se intervistassimo la persona che ha portato con sé

l’ombrello, in quanto convinta che pioverà, e le chiedessimo

perché si è persuasa che il tempo volgerà al brutto,

certamente ci spiegherà le sue ragioni facendo riferimento

alla sua esperienza, al suo vissuto precedente in situazioni

similari. Scopriremmo quindi che la sua convinzione ha

preso forma utilizzando il dato di realtà-cielo nuvoloso (che

è sempre - va ricordato - una percezione della realtà

stessa), il ricordo che in situazioni analoghe avesse piovuto,

il bisogno di assumere una scelta coerente a quelle adottate

in precedenza, ecc.

Anche l’altra persona ci risponderebbe tuttavia che

l’elaborazione dei dati a sua disposizione l’ha portata, dal

suo punto di vista con identica forza, a conclusioni opposte

perché attivate da una diversa convinzione.

Questa digressione per affermare che le convinzioni sono

tutte basate su elementi (percepiti come) reali: tuttavia

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ciascuno fa rifermento a schemi di pensiero e di ricordo

diversi.

Per spiegare con maggiore profondità questo aspetto, ci

viene in soccorso il concetto rappresentato dalla scala delle

inferenze.

Con questo termine si fa riferimento alla circostanza in base

alla quale, partendo da fatti che rappresentano una realtà

oggettivamente uguale per tutti, ognuno di noi seleziona

quella parte della realtà che percepisce come maggiormente

importante e significativa, in funzione della propria cultura di

riferimento, dei valori e del peso che a questi viene affidato,

della propria personalità.

Se la selezione dei fatti è quindi soggettivamente differente,

anche il significato che a quei fatti viene dato è diverso da

persona a persona.

Ciò che è importante sottolineare è che, in base al

significato che abbiamo assegnato ai fatti percepiti come

maggiormente rilevanti, costruiamo le nostre convinzioni

attivando il processo già descritto che determina le azioni

conseguenti.

Per esemplificare, proponiamo nella pagina successiva, nella

Figura 1, una rappresentazione grafica della scala delle

inferenze. Sulla sinistra, inclusi nell’ovale, vi sono gli

elementi soggettivi che influenzano la selezione dei dati

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osservati, il significato che a questi viene assegnato, le

conclusioni che ne derivano, e così via.

Il resto della figura va letto dal basso verso l’alto: partendo

dai dati, dal fatto accaduto, si arriva a trarre conclusioni e a

derivarne le conseguenti convinzioni che, a loro volta,

determinano l’agire individuale, in un senso o nell’altro.

Figura 1

Facciamo due esempi, per dimostrare la grande

significatività, nella realtà, della scala delle inferenze.

La prima ipotesi è rappresentata dalla seguente tabella e

ambientata solo esemplificativamente in una filiale bancaria.

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Naturalmente, analogo processo mentale può essere

presente in qualsiasi settore di attività:

 Gradini  della  scala  delle  

inferenze  Processo  del  filtro  percettivo  

Fatto   Una  persona  di  circa  ottant’anni  entra  in  una  filiale  di  una  importante  banca  

Selezionare  i  fatti  Ecco  uno  che  vuole  un  libretto  di  risparmio  o  accreditare  la  pensione  

Aggiungere  significato   E’  la  tipica  persona  anziana  che  non  sa  come  passare  la  mattinata  …  

Presumere   Sarà  venuto  a  chiedere  informazioni  tanto  per  fare  qualcosa  

Trarre  conclusioni   Non  è  certo  qui  per  concludere  

Adottare  convinzioni  Non  devo  perdere  tempo  nel  dedicarmi  a  lui,  ma  fare  qualcosa  di  più  produttivo  

Agire   “Mi  dispiace,  in  questo  momento  sono  impegnato,  può  tornare  nel  pomeriggio?”  

Dunque, in questa ipotesi, il “consulente-privati” si è trovato

di fronte a una situazione oggettiva costituita dalla visita di

un anziano. La conclusione che ha tratto, le convinzioni che

ha maturato e, infine, la sua azione, sono state tutte

determinate dalla selezione del dato oggettivo che ha fatto:

la percezione del cliente come persona che gli farà perdere

tempo. Con questa percezione di riferimento, è altamente

coerente che si convinca a dedicarsi ad altro, piuttosto che

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utilizzare il suo tempo per aprire una “posizione” bancaria

che non ritiene produttiva di risultati. La sua comunicazione

di diniego ne costituisce la naturale azione conseguente.

Immaginiamo adesso una seconda ipotesi. Il punto di

partenza è identico, ma la conclusione sarà di tenore

opposto perché diversa immagineremo che sia la selezione

del fatto accaduto.

Gradini  della  scala    delle  inferenze  

Processo  del  filtro  percettivo  

Fatto  Una  persona  di  circa  ottant’anni  entra  in  una  filiale  di  una  importante  banca  

Selezionare  i  fatti  Chissà  che  non  siano  in  cerca  di  un  partner  bancario  affidabile  in  questo  momento  di  grande  incertezza  …  

Aggiungere  significato   Devo  comprenderne  bene  le  esigenze  

Presumere  Presumo  che  se  svilupperò  in  lui  fiducia  in  me,  potrò  acquisirlo  come  cliente  

Trarre  conclusioni   Dovrò  dimostrarmi  competente  e  assecondarne  le  ansie,  rassicurandolo  

Adottare  convinzioni   Un  atteggiamento  accudente  e  sicuro  è  quello  che  serve  per  conquistarlo  

Agire  “Certo  che  curiamo  gli  interessi  dei  clienti  che  hanno  solo  bisogno  di  accreditare  la  pensione,  i  clienti  per  noi  sono  tutti  importanti  …”  

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Nel primo caso, aver dato a quel fatto un significato

negativo rispetto alla potenzialità del cliente, ha indotto il

primo venditore a scongiurare l’incontro; nel secondo,

l’incontro avviene e il consulente si mette nella condizione di

fare ciò che serve per acquisire un nuovo cliente, il cui

“valore” potrà essere compiutamente valutato soltanto ex-

post: chi dice che un pensionato, dopo una vita di lavoro,

non abbia invece denaro da investire, ecc.; egli, se trattato

bene, parlerà di noi in modo positivo ad amici e parenti e

potrebbe contribuire a farci conquistare uno o più nuovi

clienti.

Possiamo ulteriormente arricchire l’inquadramento del

costrutto teorico in discorso parlando dell’azione delle

convinzioni di controllo, cui è dedicato il prossimo paragrafo.

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4. Le convinzioni di controllo

Alla base dei comportamenti descritti vi sono quelle che

Flammer7 e altri definiscono convinzioni di controllo, la cui

analisi è importante perché queste convinzioni costituiscono

“il prerequisito per la pianificazione, l’inizio e la regolazione

delle azioni”8 e ci permetteranno di ampliare

successivamente il nostro discorso.

Le convinzioni di controllo contengono sia la credenza che

alcune azioni specifiche porteranno a produrre un

determinato risultato, sia quella relativa alle proprie capacità

riferite al compimento di quelle determinate azioni9.

Come vedremo, ciò spiega efficacemente la relazione che

esiste fra il livello e la tipologia della convinzione attivata e

la prestazione che viene erogata da parte del soggetto preso

in esame.

Un elemento fondamentale è il concetto di consapevolezza.

La percezione o meno della convinzione di controllo

determina la presenza (o assenza) dell’autocoscienza di

riuscire a produrre determinati effetti.

L’efficacia del commerciale che deve sviluppare le sue

vendite dipende in effetti, innanzitutto, dalla sua capacità di

“credere” di poter influenzare, con il suo comportamento e

7 August Flammer in Control beliefs and self-knowledge, in Rivista di Psicologia, 1990. 8 Cfr. Flammer A. in Il senso dell’autoefficacia, pag. 72. 9 Flammer le definisce, rispettivamente, convinzioni di contingenza e convinzioni di competenza.

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le sue azioni, le scelte dei suoi clienti e, più in generale, di

poter produrre ciò che desidera o ciò che gli serve per

raggiungere i suoi obiettivi commerciali.

Essere convinto, viceversa, che certi effetti avvengono al di

fuori del suo controllo10 non lo aiuta a impegnarsi verso

l’obiettivo.

Non riuscire a sviluppare convinzioni di controllo non

influisce soltanto sull’efficacia della prestazione, ma anche

sul proprio benessere psicologico, come dimostrato da

numerosi studi empirici11. Sia molti cognitivisti che teorici

dell’azione12 e psicoanalisti convergono nel ritenere vera

questa condizione, al punto che si spingono a considerare

salutare persino la sovrastima delle proprie convinzioni di

controllo13 perché sembra che questa favorisca lo sviluppo

personale.

Ciò su cui dibattono gli Autori che si occupano del tema delle

convinzioni di controllo è relativo alla genesi delle

convinzioni di controllo: riuscire a definire quale sia il

processo che le attiva è fondamentale per permetterne lo

sviluppo soggettivo. In altri termini, la questione centrale è:

10 Rispetto al concetto di controllo e alla sua distinzione con le convinzioni di controllo, Flammer propone “una distinzione fra il controllo (cioè la regolazione effettiva di un processo), il controllo inteso come la possibilità di controllare (o di regolare un processo qualora ciò si rendesse necessari) e le convinzioni di controllo (cioè le rappresentazioni soggettive delle proprie capacità di esercitare un controllo)”. Aggiungiamo che è quest’ultima definizione che ci interessa riguardo alla nostra tesi. 11 Cfr. in particolare gli studi, in disegni teorici differenti, di Rotter, Seligman e Bandura.

12 La teoria dell’azione focalizza l’attenzione sui significati che le persone attribuiscono alle loro

azioni. 13 Cfr. Alloy e Abramson, Dunning e Story, Seligman e Taylor e Brown.

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perché, messe di fronte ad un compito, le persone

concludono il loro ragionamento riguardo al saperlo o al non

saperlo fare?

La risposta a questa domanda ci interessa molto perché le

convinzioni influenzano significativamente le prestazioni

individuali, come abbiamo già affermato e come

dimostreremo più avanti.

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5. Le convinzioni e il loro effetto sulle prestazioni

Se analizziamo infatti le prestazioni individuali che sono

finalizzate al raggiungimento di un obiettivo specifico,

scopriamo che il meccanismo di funzionamento delle

convinzioni segue lo schema seguente:

pensiero à convinzione à livello e qualità della prestazione

dove livello e qualità della prestazione risentiranno del tipo

di convinzione che si sarà attivata: avremo prestazioni

migliori se supportate da convinzioni potenzianti; prestazioni

di qualità e quantità inferiori se, viceversa, le convinzioni

che le hanno accompagnate sono state tali da aver de-

potenziato l’efficacia di chi le ha messe in atto.

Scrivere questo documento presuppone che chi scrive

s’impegni nell’impresa e la qualità della prestazione erogata

presuppone necessariamente che alcune convinzioni si siano

attivate:

– innanzitutto, che scrivere un documento relativo a questi

contenuti sia utile e interessante per i destinatari cui mi

rivolgo;

– nel merito, convinzioni fondamentali sono quelle che:

– chi scrive sia in grado di argomentare in modo utile

a sostenere la tesi proposta;

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– che il tempo disponibile sia sufficiente;

– che gli strumenti a disposizione siano sufficienti;

– che quelli eventualmente necessari, ma assenti,

siano reperibili, ecc.

Proviamo a immaginare che, viceversa, la seconda

convinzione non si attivi: ipotizziamo che chi scrive non sia

convinto di riuscire a dimostrare la tesi che sta sostenendo.

Questa convinzione è de-potenziante, ossia riduce la

“potenza” di energie e risorse che verranno impiegate

nell’impresa.

Ciò avverrà per un’inconsapevole riduzione dell’impegno: è

un comportamento molto coerente, che rispetta

assolutamente il vincolo prima esposto, in base al quale è

necessaria una coerenza fra convinzione e azione (o

comportamento). Se chi scrive non è convinto di poter

sostenere una tesi, inconsapevolmente ma certamente,

ridurrà l’intensità del proprio impegno.

L’esempio ci aiuta a capire anche

perché le convinzioni vengono

definite auto-limitanti: la

produzione della stessa è infatti

auto-indotta, costituisce un limite

che la stessa persona attiva verso

di sé, pur se in maniera

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inconsapevole.

Il concetto di limite o di limitazione è depotenziante perché

riduce le energie a disposizione della persona che ne è

imprigionata. Costituisce una vera e propria perdita di

potenza: l’individuo potrebbe fare molto di più, ma non

riesce (direi addirittura che non può, non ha accesso) a

mettere in atto tutte le sue potenzialità.

Nella letteratura è dimostrato14 che questa “perdita di

potenza” influenza al ribasso il livello della qualità e della

quantità della prestazione, come già abbiamo avuto modo di

accennare.

Albert Bandura15 ha dimostrato che le persone che non

attivano convinzioni potenzianti, attraverso le quali le

persone sentono un senso di autoefficacia16, si comportano

così:

– tendono a faticare maggiormente nel raggiungimento

degli obiettivi;

– ne raggiungono in misura minore, se confrontati con

gruppi “di controllo” che attivano pensieri potenzianti;

– si assegnano obiettivi meno sfidanti;

– erogano, nel complesso, prestazioni di livello più basso. 14 Cfr. nella bibliografia i testi citati di Bandura, Bates e Skinner. 15 Noto in tutto il mondo per i suoi studi sull’apprendimento imitativo, ha concettualizzato per primo, a partire dal 1977, il costrutto teorico dell’autoefficacia in un articolo, divenuto storico, sulla Psycological Review. 16 Per senso di autoefficacia si intende “la convinzione delle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in un particolare contesto, in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati” in Il senso di autoefficacia a cura di A. Bandura, 1997.  

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L’attivazione di convinzioni negative su di sé e sulle proprie

capacità di fare qualcosa e di riuscire a

raggiungere gli obiettivi desiderati

influisce, più in generale, anche sulle

modalità con le quali le persone guardano

il mondo, sulla loro visione delle cose: la

maggior parte di coloro che “pensano

negativo” vivono male i propri insuccessi

e sono tendenzialmente pessimisti.

Martin Seligman17 alimenta questa concezione con il

costrutto dello stile esplicativo: con questa locuzione, egli

intende un’abitudine di pensiero appresa durante l’infanzia e

l’adolescenza e che deriva direttamente dal modo con il

quale le persone vedono il mondo.

Lo stile con il quale le persone spiegano a se stesse gli

eventi (questo il senso di “esplicativo”) può essere

tendenzialmente ottimista o pessimista. Le persone che

denotano una tendenza esplicativa pessimista attivano,

molto più frequentemente di altri, convinzioni autolimitanti,

recuperano più difficilmente dagli insuccessi e sviluppano un

locus of control esterno18.

17 In Imparare l’ottimismo, Giunti Editore. 18 Possiamo definire il locus of control ciò che le persone pensano in riferimento alle cause di ciò che gli accade. Il locus of control può essere interno o esterno. Nel primo caso le persone si sentono responsabili delle loro azioni e sentono di poter incidere e determinare il corso degli eventi, ne avvertono la responsabilità e si attribuisco meriti e “colpe” di ciò che accade. Nel secondo caso avviene l’opposto: la tendenza è a esternalizzare le cause degli eventi. Ciò comporta una percezione di responsabilità lontana da sé, ma “affibbiata” costantemente agli altri, a seconda delle circostanze.

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Infatti, chi spiega a se stesso gli eventi con una declinazione

pessimista tende a convincersi che:

– le cause degli eventi negativi che capitano loro sono

permanenti e attivano convinzioni che Seligman

esemplifica così19: “Sono un fallimento totale”; “Le diete

non funzionano”; “Mi rimproveri sempre” (…);

– il fallimento in un ambito della loro vita “pervade”20 tutto

il resto: ciò accade perché le persone danno “spiegazioni

universali ai loro fallimenti”: “Sono uno che non piace”;

“Tutti i professori universitari sono ingiusti”;

– ciò che non va è fondamentalmente effetto delle proprie

(in)capacità mentre, di fronte ad un successo, tendono a

non attribuirsene i meriti.

Spostando il discorso verso un’esemplificazione pratica, che

ci permette di anticipare l’ambito di applicazione dello

sviluppo delle competenze attraverso la formazione e altre

modalità didattiche, possiamo dire che quanto descritto fa

accadere e può determinare una situazione di questo

genere: immaginiamo un commerciale il quale, in un periodo

recessivo dell’economia, vede ridurre la quantità dei suoi

contratti conclusi e quindi il suo reddito, se commisurato in

tutto o in parte alle vendite realizzate. 19 Cfr. Imparare l’ottimismo, infra, pag. 50. 20 Seligman spiega lo stile esplicativo attraverso tre dimensioni riferite, rispettivamente, al tempo, allo spazio e al locus of control: chiama la prima permanenza, la seconda pervasività e la terza personalizzazione. Ecco perché abbiamo utilizzato il termine pervade compreso fra le virgolette.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

Di fronte a questo dato di realtà,

egli potrà prendere “strade

mentali” diverse, che

produrranno convinzioni diverse

e, in conseguenza,

comportamenti e azioni differenti.

Se sarà capace di sviluppare convinzioni “potenzianti”, pur

nell’oggettività della difficoltà di contesto, potrà riuscire a

pensare, per esempio, che “Il momento è difficile, per cui

devo impegnarmi di più”: la sua convinzione è che,

nonostante la difficoltà, si possa fare qualcosa per

contrastare la minore propensione all’acquisto dei suoi

clienti.

Convinto di questo, coerentemente, si darà un gran da fare

per progettare e proporre promozioni, attiverà contatti verso

altri mercati, costruirà relazioni cui prima non aveva

dedicato energie, si sforzerà di pensare a categorie di clienti

che, per la tipologia di attività svolta, non siano fortemente

coinvolti dal trend recessivo, assumerà un comportamento

diverso rispetto a quando accadeva che, in periodi più

floridi, molti clienti venivano spontaneamente a trovarlo: per

esempio, andrà a visitarli a domicilio, offrendo loro soluzioni

e proposte per invogliarli all’acquisto, ecc.

L’altra strada sarà invece preferita se le convinzioni che egli

attiverà si connoteranno come di tipo autolimitante.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

In quanto tali, queste convinzioni ne limiteranno appunto

l’azione: lo indurranno paradossalmente a fare di meno,

perché tanto nulla serve in questo momento, aggravando

inevitabilmente la situazione e concretizzando la

conseguenza temuta di minore penetrazione commerciale,

secondo il classico schema della “profezia che si auto-

avvera”.

Pensando che non ci sia niente da fare, non farà

coerentemente di più e poco o niente di nuovo. Poiché

questo suo comportamento produrrà l’effetto che le vendite

seguiranno il trend negativo temuto, egli potrà in futuro

convincersi ancora di più che “in effetti non c’era niente da

fare: il mercato è in crisi”, proprio verificando di aver

concluso un minor numero di contratti.

Questo radicamento della convinzione basato sull’esperienza

appena vissuta è un aspetto molto rilevante perché spiega la

perversa relazione che si instaura fra:

– la convinzione limitante originaria la quale, attivando

prestazioni inefficaci, eleva la probabilità di risultati non

soddisfacenti;

– il riscontro dei quali costituirà la base di ragionamento di

successive convinzioni che si alimenteranno

dell’esperienza di insuccesso per costituirsi, nuovamente,

in una forma limitante ancora più radicata.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

Possiamo così dire che questo meccanismo innesca un

circolo vizioso che può essere interrotto soltanto attraverso

un percorso che permetta a chi ne sia prigioniero di averne,

innanzitutto, piena consapevolezza e di comprendere, in

seconda battuta, come “uscirne”.

Identico ciclo viene attivato ovviamente anche nel caso in

cui la prima convinzione sia stata invece di tipo potenziante.

Il “gran darsi da fare” del nostro commerciale auto-

potenziato avrà prodotto l’esito di “convincerlo” che

impegnarsi, invece che arrendersi, aiuta a raggiungere ciò

che si vuole e questa esperienza costituirà il presupposto

per sviluppare in futuro convinzioni ulteriormente

potenzianti. Il circolo è, in questo caso, virtuoso.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

6. Esempi di casi di successo

Per dare evidenza pratica di come interventi basati su

questo costrutto teorico abbiano prodotto esiti molto positivi

non soltanto nel modificare i comportamenti, ma anche sui

risultati che i comportamenti modificati hanno, in ultima

istanza, prodotto, presentiamo in sintesi tre esempi di

intervento la cui efficacia sia dimostrabile.

Il primo caso riguarda un intervento per la rete commerciale

della Filiale italiana di un noto marchio del settore Premium

dell’Automotive.

Gli obiettivi che ci erano stati chiesti di raggiungere

riguardavano sia il vendere di più che il “vendere meglio”.

Con riferimento al primo aspetto, la committenza voleva che

favorissimo un’evoluzione positiva dei volumi di vendita. Il

“vendere meglio” richiedeva invece che crescessero, da un

lato le azioni di proposta di test drive (ossia le prove dei

veicoli cui i clienti erano interessati) e, dall’altro, quelle di

chiusura attiva della trattativa, attraverso una “mossa” che

inducesse i clienti indecisi a concludere l’acquisto.

La ragione per la quale erano stati identificati questi

parametri come meritevoli di sviluppo risiedeva negli esiti di

numerosi mystery shopping, che avevano rivelato un

comportamento un po’ “pigro” da parte dei venditori della

rete italiana al confronto con quella del resto d’Europa, con

riferimento a entrambe le situazioni di lavoro.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

La progettazione dell’intervento ha previsto, sin da subito,

che venissero misurati, attraverso successivi mystery shop,

gli effetti prodotti dall’intervento formativo21.

Ciò che ci interessava verificare (e, possibilmente,

dimostrare) era che le persone sulle quali si era agito allo

scopo di demolirne le convinzioni depotenzianti, dopo aver

fatto loro acquisire consapevolezza dell’influenza delle stesse

sul loro agire quotidiano e professionale, avrebbero

conseguito prestazioni specifiche e risultati di vendita

migliori rispetto ai colleghi sui quali non si era viceversa

intervenuti.

Gli esiti sono stati decisamente incoraggianti:

– i venditori che in aula erano stati incoraggiati a destituire

di fondamento le convinzioni autolimitanti relative ai

vincoli che riducevano la proposta di test drive, hanno

offerto al 44,4% in più di clienti la possibilità di testare

su strada il veicolo di loro interesse, rispetto ai colleghi

ai quali il corso di formazione su questi temi non era 21 Per consentire una misurazione del lavoro svolto garantendo che non fosse influenzata da altri fattori (per esempio, andamento infra-annuale del mercato, campagne pubblicitarie di particolare efficacia, stagionalità, ecc.), si è deciso di iniziare ad erogare il seminario solo ad un campione di venditori, per la precisione a circa metà del totale della rete. In tal modo, sono stati costituiti un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo, così da poter elaborare i dati attraverso il metodo dell’analisi della varianza. L’ANOVA, acronimo di “Analysis of Variance”, consiste nel trattamento dei dati provenienti da due popolazioni o da campioni statistici allo scopo di confrontare le rispettive medie e determinare la significatività statistica del risultato. Utili approfondimenti in Barbaranelli C. Analisi dei dati, Led. Il gruppo sperimentale è risultato formato in tal modo da 39 venditori (su 84) provenienti dalle 17 concessionarie estratte. Il gruppo “di controllo”, che non ha partecipato a questa prima fase, ma che è stato successivamente coinvolto (anche per effetto dei risultati raggiunti dal gruppo sperimentale), era costituito dai rimanenti 45 venditori appartenenti alle altre 21 concessionarie.  

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stato erogato; in particolare, i risultati medi che si sono

ottenuti nei due gruppi sono stati i seguenti: partecipanti

al seminario: 89,7; non partecipanti: 55,3, su una scala

da 0 a 100 che misurava la frequenza della proposta al

cliente;

– anche rispetto alla propensione a compiere azioni utili

per chiudere in modo attivo la vendita, la differenza fra i

venditori sui quali si era lavorato per rimuovere quelle

convinzioni che inibivano tali azioni e i colleghi non

coinvolti nella formazione, è stata significativa: 62,1 vs.

38,3;

– quanto questi e altri comportamenti abbiano influito

sull’efficacia commerciale è stato infine testimoniato da

un +28% nei risultati di vendita da parte dei partecipanti

al corso rispetto ai colleghi.

In tutti i casi, dal punto di vista statistico, le probabilità che

le differenze tra il gruppo sperimentale e il gruppo di

controllo non fossero legate al caso, ma derivassero dal

lavoro sulle convinzioni, sono risultate superiori al 95%,

denotando quindi un’altissima significatività. La

certificazione del dato è del Dipartimento di Statistica

dell’Università degli Studi di Milano.

I risultati ottenuti sono stati prodotti da un intervento

formativo di due giornate consecutive, così strutturato:

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Prima  giornata   Seconda  giornata  

Il  processo  di  vendita  Autoefficacia  e  attività  commerciale  (lezione  interattiva)  La  relazione  fra  autoefficacia  e  prestazioni  Esercitazione  finalizzata  a  verificare  il  formarsi  e  il  modo  di  funzionare  delle  proprie  convinzioni;  debriefing  dopo  ogni  fase          

“Questionario  sullo  stile  esplicativo”  (test)  Lo  stile  esplicativo:  cos’è,  come  funziona,  come  influisce  sul  comportamento  del  venditore    (lezione  interattiva)  Lettura  dei  risultati  individuali  del  test  (debriefing)  Come  migliorare  il  proprio  stile  esplicativo  (lezione  interattiva)  La  tecnica  ABCDE  (esercitazione  a  coppie)  finalizzata  a  ristrutturare  le  convinzioni  autolimitanti  e  ad  agire  sulla  scala  delle  inferenze  

La  sequenza  convinzioni-­‐comportamento-­‐prestazioni  (lezione  e  discussione)  Simulazioni  sulla  vendita  con  la  metodologia  degli  auto-­‐casi  (role  play  con  protagonisti  un  partecipante  nel  ruolo  di  venditore  ed  un  cliente  “vero”,  ossia  in  target,  appositamente  preparato)  Debriefing  finalizzato  a  suggerire  comportamenti/azioni  alternativi  a  quelli  evidenziati  come  migliorabili    Saluti  ed  appuntamento  al  giorno  successivo  

Simulazione  di  vendita  sullo  stile  esplicativo  (role  play  finalizzato  alla  verifica  del  proprio  modo  di  gestire  successi  e  insuccessi)  Accurato  debriefing  finalizzato  a  migliorare  la  gestione  di  successi  e  insuccessi  Stesura  di  un  piano  personale  di  miglioramento  Chiusura  del  seminario  e  saluti      

La medesima struttura d’intervento ha aiutato a migliorare

la “media-vendita” e il “mix-prodotti” di un’azienda leader

nella distribuzione di apparecchi acustici.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

Il mercato degli apparecchi acustici vede protagonisti gli

audioprotesisti, una figura professionale che dai primi anni

2000 è entrata a far parte delle professioni sanitarie.

L’approccio che queste persone utilizzano nei confronti dei

loro clienti è frequentemente molto tecnico e poco

“consulenziale” e orientato al servizio.

La relazione commerciale risulta condizionata da questo

approccio in quanto i clienti, tra l’altro in maggior parte

anziani con problemi ovviamente di udito, comprendono con

fatica le ragioni che sostengono le proposte che gli

audioprotesisti fanno loro.

Gli apparecchi acustici sono, infatti, di diverse tipologie e, a

seconda dei “modelli”, garantiscono un ausilio all’apparato

auricolare molto diverso: i benefici che le soluzioni più

sofisticate permettono di ottenere non sono lontanamente

ottenibili con apparecchi più semplici.

Naturalmente, le soluzioni più efficaci sono anche quelle più

costose, che risultano pertanto difficilmente commerciabili

se i clienti non comprendono il legame che c’è fra la

proposta che viene fatta e le loro esigenze di vita. Accade

così che i clienti tendano a desiderare soluzioni più

economiche e meno efficaci, perché non riescono a

percepire il vantaggio di soluzioni più costose. La limitata

efficacia delle soluzioni economiche che hanno scelto

fortifica, d’altronde, la convinzione di limitata utilità dei

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

dispositivi di ausilio acustico, inducendoli a non acquistare

nuovamente altre soluzioni in futuro.

L’Azienda committente, alle prese per queste ragioni con

una media-vendita insoddisfacente, un tasso di

fidelizzazione inferiore a quanto desiderato, ci ha quindi

chiesto di stimolare gli audioprotesisti a utilizzare un

approccio più orientato al cliente e, soprattutto, di incidere,

con il nostro intervento, sulla media vendita e sul mix dei

prodotti venduti.

Ci siamo presto accorti come il comportamento degli

audioprotesisti fosse governato da alcune convinzioni sia

riferite a sé, che relative allo status dei loro clienti.

Con riferimento alle prime, era molto forte il convincimento

che il linguaggio tecnico, l’approccio medicale e il camice

contribuissero ad attribuirgli lo status che meritavano.

Riguardo ai clienti, emergeva una convinzione che svalutava

le capacità di discernimento degli stessi, rispetto a una

scelta ritenuta molto tecnica. Più di ogni altra era forte la

convinzione che dovessero essere gli audioprotesisti a poter

scegliere per il cliente la soluzione migliore, invece che

pensare di dover dare al cliente tutte le informazioni

necessarie affinché egli potesse condividere la miglior

soluzione possibile.

Lavorando quindi sulla ristrutturazione delle convinzioni cui

risultavano “ancorati” i comportamenti non desiderati degli

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

audioprotesisti, abbiamo potuto registrare una crescita della

media-vendita individuale superiore al 20% e, in alcuni casi,

picchi vicini al 35%.

Gli audioprotesisti che non hanno partecipato alle sessioni

formative hanno manifestato invece risultati diversi,

mantenendo questi indicatori di prestazione al livello

consueto, pur avendo partecipato, nello stesso periodo, ad

un corso per lo sviluppo delle competenze su un altro tema

professionale.

Anche in questo caso abbiamo potuto così dimostrare che

rimuovere convinzioni che agiscono come inibitori di

comportamenti ritenuti opportuni, genera un effetto nella

direzione attesa, non solo nella modifica dei comportamenti

stessi, ma anche sui risultati che quei comportamenti hanno

influenzato.

Citiamo infine un ulteriore caso di successo, relativo ancora

all’azienda automotive presso la quale avevamo realizzato

l’intervento descritto per primo.

In questo caso, siamo intervenuti per potenziare l’efficacia

commerciale dei venditori perché avevano dimostrato scarsa

convinzione nell’effettuare il ricontatto telefonico dei clienti

“passati” in Concessionaria per chiedere informazioni o per

ricevere un preventivo, ecc.

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

Profonde convinzioni relative alla dimensione del ruolo

(“Faccio il venditore e non l’operatore di telemarketing”) e il

disagio relativo allo svolgimento di questa attività, connesso

inoltre con l’idea che i clienti non avessero voglia di essere

disturbati, concordavano nel radicalizzare comportamenti

refrattari a questa azione che l’Azienda riteneva invece, con

ottime ragioni, molto efficace dal punto di vista

commerciale.

L’intervento formativo – questa volta di una sola giornata

per ogni gruppo in apprendimento – prevedeva due

momenti logici:

– la preparazione della telefonata, partendo dall’assunto

che chiamare i clienti con un obiettivo chiaro potesse

produrre un effetto decisamente migliore, rispetto alla

telefonata priva di una chiara finalizzazione;

– la realizzazione della stessa, che avveniva da parte del

venditore provvisto del “canovaccio”.  

Le persone coinvolte hanno guardato all’attività di ricontatto

dei clienti con occhi nuovi

nel momento nel quale

hanno compreso che si

trattava di un’attività

strutturata, che prevedeva

la definizione di una

strategia, la costruzione di

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

una tattica e una rigorosa progettazione della stessa

telefonata. E che abilità linguistiche e retoriche peculiari,

competenze relazionali e tecnico-commerciali notevoli

costituivano gli elementi differenziali per il successo.

Scardinata quindi la convinzione che fosse loro richiesto di

“fare delle telefonate” e sostituita dall’idea che si trattava di

attivare una prestazione professionale qualificata e

qualificante, i venditori hanno avviato questa pratica con

costanza acquisendo risultati eccellenti. Quelli che è stato

possibile registrare consistono in un esito pari a circa 8

contratti di vendita portati a termine con successo a fronte

di circa 80 chiamate a clienti ritenuti dagli stessi venditori

non particolarmente potenziali.

Gli esiti dell’intervento hanno quindi prodotto una media di

una vettura venduta ogni dieci telefonate effettuate, per un

controvalore di circa 700.000,00 euro di fatturato.

L’evidenza del dato ha costituito un’importante leva sui

processi mentali dei venditori, nella direzione di sviluppare

la convinzione che l’attività fosse invece molto utile e

commercialmente efficace.

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7. Non solo formazione in aula  

E’ possibile potenziare l’approccio commerciale dei venditori

anche quando il bisogno formativo riguarda un piccolo

gruppo di persone.

In questi casi funziona molto bene un intervento di

coaching, individuale o di piccolo gruppo, intendendo come

tale un team composto da non più di quattro persone.

Il percorso può prevedere da quattro a sei incontri di circa

mezza giornata ciascuno, ma il dimensionamento viene

tarato, a seconda dei casi, sulle specifiche esigenze dei

partecipanti e in ragione degli obiettivi da raggiungere e

delle circostanze di contorno.

Il coach affianca i venditori preferibilmente presso il loro

luogo di lavoro. Il primo incontro viene dedicato a definire

gli indicatori di performance che si vogliono influenzare

positivamente e quindi gli obiettivi che si desidera o che è

necessario raggiungere.

Il coach trasferisce al partecipante il costrutto teorico che

abbiamo proposto in queste pagine nel corso del primo e del

secondo incontro. A partire dal quale il percorso prevede un

affiancamento durante l’attività lavorativa.

Le modalità dell’affiancamento sono funzione del tipo di

attività svolta dal coachee: nel suo ufficio o negozio, se

riceve i clienti presso di sé; facendo con lui il cosiddetto

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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta

“giro clienti” se questa è la modalità di vendita prevista;

un’alternanza delle due modalità se è ciò che serve.

L’affiancamento serve al coach per osservare il

comportamento del venditore di fronte al cliente, ma anche

nelle fasi di preparazione di un incontro, di un contatto

telefonico o del suo piano commerciale e di visite. In questo

modo, il coach può restituire al venditore un feedback su

come si è comportato, confermando ciò che di positivo ha

fatto o detto e facilitandone la consapevolezza rispetto a ciò

che, viceversa, non ha funzionato bene.

L’applicazione dei suggerimenti e lo sviluppo della

consapevolezza da parte del venditore favorisce

l’implementazione di comportamenti sempre più in linea con

quanto desiderato, affiancamento dopo affiancamento e

incontro dopo incontro.

Naturalmente, il venditore lavora sui feedback del coach

anche al di fuori dei momenti di affiancamento. Vengono

concordati con il coach, infatti, “compiti” da svolgere nei

periodi di lavoro intercorrenti fra un incontro e l’altro, che il

venditore applica anche quando incontra i suoi clienti senza

il coach a fianco.

Il percorso, che dura da due a quattro mesi, a seconda degli

obiettivi e delle situazioni di contesto, permette un’effettiva

discontinuità dei comportamenti non graditi e influenza

positivamente i risultati che sono attesi.

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Bibliografia

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A. Flammer, Control beliefs and self-knowledge, in Rivista di Psicologia, 1990

M. Seligman, Imparare l’ottimismo, Giunti, 1996

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Silvio Trombetta

Mi occupo di persone, della loro efficacia manageriale e professionale e del loro benessere lavorativo… Offro un contributo che si realizza attraverso diverse forme di intervento: consulenza, formazione in aula, coaching, outdoor. I clienti per i quali lavoro sono primarie aziende, enti ed istituti nazionali e multinazionali. Questo è ciò che faccio da più di quindici anni nel corso dei quali mi sono specializzato, per quanto riguarda la formazione, nello sviluppo di competenze personali, relazionali e organizzative che amo declinare in un’ottica di potenziamento del sé, per migliorare l’efficacia delle persone. Credo molto nello sviluppo dell’autoefficacia personale e sulla possibilità che questa determini i le prestazioni e i risultati desiderati. Il potenziamento delle persone che svolgono attività commerciale è un’attività cui ho dedicato molto impegno a partire dal 2008. Non so fare soltanto formazione: ho realizzato infatti anche progetti di consulenza finalizzati all’analisi e alla diagnosi organizzativa e all’implementazione e allo sviluppo di sistemi delle competenze e di compensazione retributiva. Ho pubblicato numerosi articoli sui temi del cambiamento, della relazione interpersonale, delle tecniche di vendita e sono autore dei libri: Come gestire l’ansia sociale nei rapporti di lavoro (F.Angeli, 2007) e Valutazione delle prestazioni e sistema premiante (F.Angeli, 2010) Certificazioni LEA – Leadership Effectiveness Analysis Coach U – Wiesbaden (D) Silvio [email protected]

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