Mag 12 "Vis à Vis con Ilaria Legato" di Stefania Buonavolontà - Menthalia

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m agaz i ne numero 2 - Anno I/maggio 2012 Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012 in questo numero © Menthalia La marca che ho in mente Vis à Vis con Ilaria Legato Web e medicina Navigare in tempesta Guerra e pace in Irlanda sui muri di Belfast Ascoltare, un duro lavoro Curiosità

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Menthalia è una Rvista rivolta al mondo e ai professionisti della Comunicazione e del Marketing. Questo articolo propone uno sguardo ravvicinato al mondo delle Public Relations nel settore dell'ospitalità attraverso la spiegazione degli skill più importanti da tenere in considerazione per coloro che intendono intraprendere la professione.

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Editoriale

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Registrazione al Tribunale di Napoli N. 27 del 6/4/2012

Direttore Responsabile: Fabrizio PonsiglioneDirettore Editoriale: Stefania Buonavolontà

Art Director: Marco IazzettaGra! ca & Impaginazione: Menthalia Design

Hanno collaborato in questo numero:Stefania Buonavolontà, Martina Dragotti, Stefania Stefanelli, Riccardo Michelucci,

Loredana Romano, Piercarlo Salari

Menthalia srl direzione/amministrazione 80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio

Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445Sede legale: 80121 Napoli – 30, Piazza dei Martiri

Sedi di rappresentanza: 20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro

50132 Firenze – 17/A, Via degli Artisti

Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari

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Il viaggioLa celebre guida Lonley Planet, compagna di strada di molti viaggiatori, compie 40 anni. Per festeggiarli, la famosa casa editrice, ripropone il diario del primo viaggio-avventura del suo fondatore Tony Wheeler e di sua moglie, dal quale prese vita l’ambizioso progetto che aveva in mente.

Quel primo viaggio fatto negli anni ’60, l’Hippy Trail, parti-va da Londra ! no a raggiungere l’Australia, barattando pas-saggi, utilizzando mezzi di fortuna, proprio come racconta lo stesso Wheeler: “Il nostro piano era semplice, io e mia moglie Maureen avremmo comprato una vecchia macchi-na a Londra, l’avremmo portata il più lontano possibile in direzione est, avremmo continuato con qualsiasi mezzo di trasporto sarebbe saltato fuori, saremmo arrivati in Australia dopo sei mesi circa, dopo di che avremmo lavorato qualche mese per risparmiare abbastanza denaro per poter ritornare in Europa in aereo”.

“Una grande passione divenuta un lavoro di successo”.

Perchè il viaggio, quello vero, non è solo uno spostamento da un luogo all’altro, ma un’esperienza che arricchisce mente ed anima, talvolta a danno del portafogli, per scoprire la realtà da un punto di vista di" erente, per osservare vite, storie e racconti che continuano ad accadere, ogni secondo, ogni stante, lenti o veloci, ma che scrivono la storia dell’umanità. Un modo per ridimen-sionare la nostra visione del mondo, per mettere in discussione un equilibrio, per aprirsi al dialogo. Perché viag-giare è come sfogliare le pagine di un libro, saltando da un capitolo all’altro, segnando con una piega le pagine ancora da leggere, viaggi ancora da fare, personaggi ancora da scoprire, con il vantaggio di esserne sempre l’autore, e po-ter così cadenzare il ritmo e modulare lo stile, attraverso punti e virgole raccolti qui e là per le strade del mondo.

Marco IazzettaGeneral Manager

MENTHALIA

itinerario

escursioneesplorare

navigazionetour inne

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di Martina Dragotti, Copywriting & Communication

La marca che ho in menteL’interessante mondo del Brand Image visto dall'occhio dei consumer

Signore e signori ecco a voi il Brand. Sì, la marca. Sì, intendo proprio quel-la scritta più o meno grande che ci

condiziona durante gli acquisti e per la quale saremmo disposti a follie ! nanziarie, pur di averla stampata su di una scarpa o una borsa. Sì, esattamente, proprio quella scritta o etichetta che individua uno status o un modo di essere e di sentirsi, quella che oltre prodotti e servizi ha etichettato un’epoca; quella che Andy Warhol, senza, avrebbe dipinto i ! ori, quella che condizio-na anche coloro che la snobbano. Quella che non lascia superstiti e che non ammet-te eccezioni, quella che detta le regole, in-somma, proprio lei, la marca.

“Ma cosa signi! ca esattamente marca?!”

Nel lontano 1960, l’American Marketing Association (AMA) de! niva il brand come “un nome, un termine, un segno, un sim-bolo, un disegno o una loro combinazione che identi! ca un prodotto o servizio di un venditore e che lo di" erenzia da quello del concorrente”. La de! nizione è ancora ac-cettata ed insegnata, anche se con qualche variante che mira solo ad ampliarne l’ac-cezione.È, dunque, il bisogno di di" erenziarsi la principale prerogativa che connota il si-gni! cato della parola marca. Questo, però, è un signi! cato portatore di un punto di vista perlopiù unilaterale, quello dei pro-duttori, che vogliono a tutti i costi marcare la linea di con! ne che li separa dai concor-renti.

“Ma cosa signi! ca marca per i consumatori?!”

Procediamo ancora con riferimenti acca-demici. L’assunto fondamentale è che la marca nasce nella mente del consumatore. Tutto può costituire o divenire brand se come tale viene percepito, se diviene og-getto di un insieme di percezioni, come nella de! nizione fornita poco prima.Quindi possiamo a" ermare che il brand ha una vita propria: oltre a trasmettere quello che le aziende intendono comunicare, esso

si amplia e vive delle per-cezioni dei consumer, delle loro esperienze e dei loro ricordi, delle loro abitudini di consumo, ! no a costruire quell’immagine percepita che caratterizza ogni singola esperienza di marca.

A tal proposito, con uno studio molto interessante l’illustratore “MyHotJuly” ha reinterpreta-to alcuni dei loghi più famosi, svestendoli della loro immagine tradizionale e mettendo in evi-denza, invece, ciò che viene per-cepito dai consumer. È diverten-te, ed anche sorprendentemente verosimile, scoprire come il logo Facebook venga visto come una scritta bianca che recita “droga on line” sull’ormai famoso sfondo bleu, o come Google sia istantaneamente associato alla parola “Cerca”, e che dire del simbolo Lacoste che nel-la mente dei consumatori identi! ca l’intera categoria merceologica delle polo.

Questo avviene quando un brand è ra-dicato così a fondo nelle abitudini e nei consumi collettivi, da entrare a pieno titolo nell’immaginario comune, esten-dendo il signi! cato di marca ! no a mo-di! carne la percezione nella realtà. Ed è così che per moltissimi consumer il web è divenuto sinonimo di Facebook, una bevanda dissetante corrisponde ad un bic-chiere di CocaCola ed una corsa in libertà equivale ad un total look ! rmato Nike.

E non pensate di scampare a questa logica schiacciante, se non rientrate in qualcuna di queste categorie. Badate bene che se non fate parte della massa di Facebook, magari è perché il vostro mood si confà maggior-mente a quello snobistico di Twitter, o sta-chanovistico di Linkedin. E se non siete web addicted?! Niente paura, magari qual-cosa di voi sarà scritto, che lo vogliate o no, nella marca delle vostre scarpe o emanerà dall’odore del vostro profumo.

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In questo numero vi proponiamo uno sguardo ravvicinato al mondo delle Public Relations. Lo facciamo attraverso un’interessante in-tervista alla Dott.ssa Ilaria Legato, PR Ma-nager, comunicatrice, interprete e amba-sciatrice delle ultime tendenze nel mondo dell’ospitalità e del networking sociale.

Le Relazioni Pubbliche nel settore HO-RECA, il mondo del Food & Beverage in tutte le sue declinazioni... raccontaci un po’ di questo tuo splendido mestiere.

Il compito di chi si occupa, come me, di Relazioni Pubbliche per il mondo Horeca (Hôtellerie, Restaurant, Ca-tering o Café) è quello di “vestire” il brand che si rappresenta, accompa-gnando molto spesso il cliente “per mano” facendogli comprendere i pun-ti di forza e di debolezza della sua im-magine e reputazione, con l’obiettivo di migliorare la visione di “se stesso” e di conseguenza la percezione che gli opinion leader ed il pubblico di inte-resse hanno di lui. Cuochi, albergatori e Food Designer disegnano e svilup-pano sapori, accoglienza ed emozio-ni; io seleziono, correggo e ampli! co le loro arti per farli conoscere al loro pubblico di riferimento in modo che

raggiungano notorietà e consenso sul lungo periodo.

Oggi essere esperti di comunicazione equi-vale a dire di essere dei tuttologi. La comu-nicazione ha ampliato moltissimo la sua accezione, nonché i mezzi attraverso i quali essa si manifesta. La necessità di avere degli esperti in materia va di pari passo a quella di avere una formazione specializzata e spe-cialistica. Tu cosa ne pensi?

Intraprendere una carriera di esperto in Relazioni Pubbliche signi! ca inoltrar-si in un ambito che richiede oltre che doti relazionali, competenze strategiche e che può o" rire davvero delle s! de in-teressanti, eppure in Italia sopravvivono ancora pregiudizi, a tal punto che molti identi! cano chi “fa PR” in maniera im-propria come colui che “organizza feste e aperitivi… fa cose e vede gente!”. Le relazioni pubbliche sono un lavoro e richiedono sempre più competenze ma-nageriali. A Roma mi occupo della Di-rezione della Scuola IED Management Lab (www.ied.it) che cerca di costruire diverse delle competenze che andranno a formare il futuro comunicatore di do-mani, dove l’aspetto progettuale e mana-geriale sono basilari.

di Stefania Buonavolontà, Marketing & Communication

Vis à Vis con Ilaria Legato

Organiz

Events

FooHospitality

Public Relati

Ilaria LegatoPR Manager

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pagina 5numero 2 - maggio 2012®

Parliamo proprio di Public Relations. Oggi è più che mai necessario per le azien-de investire in esperti del networkingsociale per gestire la propria reputazione, veicolare le informazioni giuste ed am-pliare la propria rete di contatti. Quan-to puntano le aziende su questo aspetto, considerato il panorama economico at-tuale?

Un piano di RP non può sostituire una campagna pubblicitaria ma è co-munque in grado di produrre ottimi risultati, dando un contributo essen-ziale alla costruzione della reputazio-ne dell’azienda e all’organizzazione del brand: dunque rappresenta per l’azienda uno strumento strategico con grandi potenzialità e con un inve-stimento più contenuto di quello pub-blicitario. Molte aziende oggi si sono accorte che appoggiarsi ad un esper-to di RP può rappresentare nel lungo periodo un vantaggio competitivo in termini di incremento di consenso e notorietà sia sull’azienda che sui rela-tivi prodotti e servizi.

Come è cambiata questa professione con l’evoluzione tecnologica? Conta ancora molto il “face to face”?

Le RP on line, oggi rappresentano un’at-tività fondamentale: attraverso gli stru-menti web dell’azienda si possono mo-nitorare e coinvolgere opinion leader e pubblico d’interesse, con la possibilità di creare connessioni potenzialmente vastissime e di interagire con clienti, consumatori e target ad hoc. La regola è sempre quella del dialogo e dell’ascolto. Utilizzare la presenza del nostro cliente on line per fare una mera pubblicità non porta lontano, molto meglio sfruttare internet per raccogliere informazioni sui clienti attuali o potenziali, per creare connessioni che si possono tradurre in conoscenze reali. Grazie a internet il servizio di ufficio stampa oggi è maggiormente facilita-to: ad esempio, i blogger costituisco-no un pubblico nuovo su cui interve-nire con le PR e sono di fatto usciti da quella diffidenza che pativano qualche anno fa, per diventare figure attuali e ricercate (io stessa ne ho aperto unowww.ilarialegato.com) per dialogare più facilmente con gli opinion leader del mio ambito. Attraverso i blog, infatti, ci sono più opportunità di far circolare una noti-zia e creare passaparola positivo.

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Web e medicinaDermatite atopica: il rapporto mamma-bambino-pediatra nell’era di internetdi Piercarlo Salari, Medico chirurgo specialista in Pediatria

Nei primi anni d’età la dermatite atopica (DA) è un prototipo di malattia che fa rifl ettere sull’im-

portanza della comunicazione e del rap-porto con il medico. Un rapporto che negli ultimi anni ha visto infi ltrarsi alla triade mamma-bambino-pediatra il condiziona-mento di internet. La DA, com’è noto, è gravata non soltan-to da implicazioni cutanee (arrossamento, desquamazione, prurito, sovrainfezioni batteriche) ma anche da molteplici riper-cussioni sul benessere psicofi sico del bam-bino e sulla serenità entro le mura dome-stiche, in particolare a carico della madre, come dimostrato da una recente indagine italiana (Monti F, et al. Ital J Pediatr 2011 22; 37: 59.).

“Ma quali sono gli e" etti dei condizionamenti, talvolta subdoli, fuorvianti e privi di autorevolezza,

di internet?”Senza dubbio essi insinuano ul-teriori incertezze nei genitori, già provati per l’impatto della DA, alimentando per esempio diچ denza, timori – paradig-matica a tale riguardo è la cor-ticofobia, cioè la paura di usare

preparati cortisonici – oppu-re sfi ducia nei riguardi

delle terapie di com-provato impiego.

Al 15 marzo, sol-tanto digitando “dermatite atopi-ca”, si ottengono circa 309mila

risultati e 85,5 mila abbinan-do il termi-

ne “terapia” alla chiave di ricerca. In in-

glese i risultati ammontano inve-ce a 3,2 milioni per “atopic dermatitis” e a 1,5 milioni per “atopic eczema”. È evidente che con tale volume di siti, che esprimono altrettante opinioni, è diچ cile per chiunque orientarsi e che la preceden-

za su Google non è sintomo di qualità, ma talvolta solo di investimenti: sono

molti infatti i siti pseudo-scientifi ci che vogliono vendere qualcosa. Un criterio da suggerire può essere senz’altro la certifi ca-zione “HON” (Health On the Net Founda-tion, istituita a Ginevra nel 1995, che ha stabilito un codice comportamentale e al tempo stesso una garanzia dei contenuti per chi naviga in internet). Purtroppo, però, non sempre siti autorevo-li presentano il codice HON: quello della National Eczema Society, americana, per esempio (www.nationaleczema.org), lo ha ottenuto soltanto di recente, mentre quello della società europea (www.eczema.org) e quello dei Centers for Disease Control and Preve ntion (CDC, www.cdc.gov) ne sono addirittura sprovvisti. Altre insidie della rete sono rappresentate da siti che propongono informazioni accattivanti che mascherano proposte subdole di vendita, per esempio di test diagnostici non certifi -cati, oppure da siti che, citando riviste non accreditate nell’Index Medicus, sollevano preoccupazioni, come nel caso dei cortico-steroidi, o propugnano messaggi terrori-stici o fuorvianti, sostenendo per esempio la necessità di far ritirare dei farmaci dal commercio.

“La consultazione di siti autorevoli, come quello dell’European Medicines Agency (EMA), potrebbe consentire a chiunque di e" ettuare le opportune

veri! che, ma è pur vero che di# cilmente i genitori, senza

opportuna indicazione, possono acquisire tali informazioni”.

Ci sono poi siti che promettono il gratui-to patrocinio in caso di denuncia alle in-dustrie produttrici di cosmetici, salvo poi esigere una percentuale ragguardevole su eventuali indennizzi. Alla luce di queste premesse si delinea quanto mai fondamentale e imprescin-dibile il ruolo del pediatra, unica fi gura in grado di identifi care gli strumenti me-todologici e operativi per un corretto in-quadramento, per l’orientamento verso so-luzioni terapeutiche personalizzate, per il follow-up e la prevenzione di complicanze nel lungo termine.

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Bisognerebbe avere più faccia tosta.Prendersi il lusso di essere imperti-nenti, dire quello che si pensa esatta-

mente come lo si pensa senza farsi proble-mi per le reazioni e i sentimenti degli altri, trasgredire le regole del buon vivere civile e della corretta comunicazione e fare proprio come ci pare.Vi sembra un abominio? In e" etti lo è.Eppure c’è chi ha trovato un luogo anzi, un non-luogo, dove potersi sbizzarrire tirando fuori indisturbato il peggio di sé: la rete. In rete nessuno ti guarda negli occhi mentre parli (pardòn, scrivi) quindi non ci saranno occhi in cui potrai leggere indignazione e di-sapprovazione per aver sfogato il tuo più bas-so istinto. Puoi non rispettare nessuno, dare fastidio, essere invadente, creare scompiglio nelle comunità urtando la sensibilità altrui.Perché sì, lo scompiglio lo crei comunque, anche in una realtà virtuale. Non è a" atto vero che la rete è una giungla perché men-tre navighi, esattamente come mentre vivi la tua giornata, sei inserito in un contesto fatto di persone, di tempi e situazioni che hanno le loro regole e che i più rispettano: le regole della Netiquette. E tu che non le rispetti crei un problema a tutti gli altri.Qualcuno si domanderà cosa sia questa Ne-tiquette ma se è un frequentatore della rete in realtà lo sa già, anche se forse gli è nuovo il termine. La Net (rete) – étiquette (buona educazione) è quell’insieme di regole di com-portamento da adottare mentre si interagisce virtualmente con altri individui attraverso forum, siti, social network. Questioni di buon senso, non doveri soggetti a sanzio-ni. Così come nel quotidiano sarebbe, per esempio, buona norma togliere la suoneria del telefonino in biblioteca oppure lasciare il passo ad una signora davanti ad un porto-ne, così in rete dovremmo evitare di scrivere un messaggio in un forum in stampatello, perché ciò equivale ad urlare; sarebbe molto meglio chiarire nell’oggetto di una email qual è l’argomento di cui tratta, per evitare che il destinatario ci metta un quarto d’ora a capire che non gli interessava a" atto leggerla; biso-gnerebbe evitare di rendere pubblico ciò che qualcuno ci ha detto in privato. Questo, in e" etti, anche nella vita di tutti i giorni, ma il fatto è che il con! ne tra dentro e fuori la rete non esiste più: quel che accade

on line in# uenza la nostra vita quotidiana e quel che facciamo nella nostra vita quotidia-na può ! nire on line per colpa ad esempio di una foto taggata senza permesso.Ebbene, ci sono un bel po’ di utenti che si divertono a fare i guasconi e queste regole non le rispettano, minando la tranquillità della navigazione. Poca roba, direte. Basta un buon lavoro fatto dall’amministratore e il guastafeste viene bannato, segnalato, elimi-nato, salvo ricomparire a far danno con un nuovo nickname o una nuova falsa identità per poi essere di nuovo beccato.Ma cosa accade quando questi elementi appro! ttano del ! ltro della rete per avvi-cinare e importunare pubblicamente un personaggio famoso?Se un ammiratore o disturbatore che sia non ha il coraggio di gridare oscenità ad una ve-lina incontrata per strada per paura di essere preso a calci dai suoi bodyguards o dal suo ! danzato calciatore, non avrà remore a farlo su Twitter mentre è al sicuro nel silenzio di camera sua. Ed ecco che i pro! li di molti vip, che si erano avvicinati ai social network per dialogare con i propri fans, vengono giorno dopo giorno disattivati perché per loro il rischio ormai è quello di darsi la zappa sui piedi da soli e ! nire vittime di innumerevoli stalkers (che oltretutto attraverso la tua pagi-na pubblica sanno quando esci, sanno quan-do torni e ti vengono anche a rubare in casa nel frattempo. Ma questa è un’altra storia).Bacheche piene di insulti impossibili da ge-stire, indirizzi di residenza forniti pubblica-mente, caselle private intasate da quelle che non sono vere minacce denunciabili, ma continue sgradevoli “attenzioni” che tolgono il gusto ad una cosa bella.Rischi del mestiere? Certamente. Ma il fa-stidio resta, o dovrebbe restare, perché se si mina la libertà di qualcuno, quello è un problema di tutti. Anche se quel qualcuno è diverso da noi perché è più famoso ed ha un conto in banca molto più # orido del nostro. Che voi siate vip o meno, siamo tutti sulla stessa barca e navighiamo rischiando di in-cappare in indesiderati pirati. Tutto però sta a ridimensionare il problema e a non dargli troppa importanza.Perché sì, in rete c’è mol-ta più faccia tosta, ma i maleducati sono una razza che abbiamo già imparato a conoscere fuori da questo schermo.

di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva

Navigare in tempesta

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Guerra e pace in Irlanda sui muri di BelfastL’iconogra! a del con$ itto sta lasciando spazio a nuove rappresentazioni

di Riccardo Michelucci, Giornalista

Da decenni le mura dei quartieri di Belfast sono le pagine di un enor-me libro di storia a cielo aperto

che ra$ gura odio, disprezzo vendetta ma anche memoria, sacri! cio e spirito di ap-partenenza. Esprimere i sentimenti della propria comunità dipingendo le facciate delle abitazioni, i muri divisori, le pareti dei palazzi è una tradizione che contraddi-stingue le strade e i quartieri più popolari di Belfast, ma anche quelle di Derry, Ar-magh e dei centri minori.

Un’usanza che i quartieri unionisti inau-gurarono per primi all’inizio del XX se-colo, per cercare di coagulare la propria identità comunitaria di fronte a quelli che venivano percepiti come attacchi alla loro condizione di privilegio da parte dei cattolico-nazionalisti. Protagonista assolu-to dell’iconogra! a muraria di inizio secolo – tuttora ricorrente nelle moderne rappre-sentazioni – è il famoso 12 luglio del 1690, giorno che vide il re protestante Guglielmo d’Orange scon! ggere il cattolico Giacomo II nella storica battaglia della Boyne, da sempre considerato uno spartiacque fon-damentale della storia d’Irlanda.

Molto più recente è invece l’esperienza dei murales nei quartieri cattolico-nazio-nalisti, risalente perlopiù all’epoca degli scioperi della fame in carcere dei primi anni ‘80, un periodo di grandi mobilita-zioni a sostegno dei militanti incarcerati che protestavano per ottenere lo status di prigionieri politici. Sono talvolta un modo di “segnare il territorio” – non senza esplicite dimostrazioni di violen-za, specie nei quartieri unionisti – ma sono spesso dedicati anche alla memo-ria delle vittime del con# itto.

Gli a" reschi murali esprimono con eloquenza i di" erenti sentimenti delle due comunità: molto più violenti e mi-nacciosi i murales dei quartieri unioni-sti, assai più distesi, commemorativi e legati a temi storici e tradizionali quelli della parte nazionalista. I dipinti a sfon-do politico continuano a essere un tratto caratteristico del con# itto nordirlandese anche dopo la sua conclusione, seguita agli Accordi di pace del 1998. Da allora, molti di quelli inneggianti alla violenza sono stati sostituiti con altri, dedicati a campioni dello sport o a divi dello spet-tacolo.

Un confortante segno dei tempi che non ha sacri! cato la qualità artistica degli a" reschi murali, ormai diventati anche un’attrazione turistica.

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di Loredana Romano, Regional Sales Manager, IBI Lorenzini

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l principale assioma della comunica-zione, enunciato da Paul Watzlawick sul ! nire degli anni ’60, decreta l’im-

possibilità di non comunicare. Un concet-to universalmente riconosciuto, enfatiz-zato e talvolta dato per scontato, sul quale si sono innestate le più moderne tecniche comunicazionali. È altrettanto vero, seb-bene scarsamente praticato, che alla base di una comunicazione e$ cace ci sia l’a-scolto, sul quale pure si a" astellano de! -nizioni e “consigli per l’uso”. L’ascolto è un vero e proprio processo continuo di sele-zione, raccolta e catalogazione delle infor-mazioni. Essere centrati sull’interlocutore e sulle sue esigenze è assolutamente fon-damentale per una comunicazione e$ cace e l’ascolto implica un’accurata percezione di quanto si sta comunicando. Insomma, è il vero e proprio momento ricettivo della comunicazione.Già nel I secolo d.C., Epitteto aveva conia-to un buon modello per la comunicazio-ne e$ cace, secondo cui la natura ha dato all’uomo una lingua ma due orecchie, così che si possa ascoltare il doppio di quanto si parli. Molti, moltissimi secoli più avanti, verso la ! ne degli anni Ottanta dello scor-so millennio, Kevin Murphy, volle preci-sare che “ascoltare è un processo in conti-

nuo movimento, che ha inizio quando una persona sente ed osserva cosa viene detto, continua quando questa persona immagazzina e correla le informazioni, e inizia di nuovo con la sua reazione. Ascoltare non corrisponde alla semplice abilità di decodi! care le informazioni: è uno scambio a due nel quale entrambe le parti coinvolte devono essere sem-pre ricettive ai pensieri, alle idee e alle emozioni degli altri.

“Ergo, ascoltare è veramente un lavoro di$ cile”

Ma ascoltare non basta, occorre qualcosa di diverso, e qui il gioco si fa davvero duro: bisogna saper ascoltare attivamente. L’ascol-to attivo si basa sull’empatia e sull’accettazione. Esso si fonda sulla creazione di un rapporto po-

sitivo, caratterizzato da “un clima in cui una persona possa sentirsi

empaticamente compresa’’ e, comunque, non giudicata. Ascoltare attivamente, e dimostrare che lo si sta facendo seriamente, rende più tangibile la propria partecipazione nella comunicazione e permette di captare l’es-senza delle informazioni, anche quelle non evidenti, ed i segnali deboli, come quelli emessi attraverso il linguaggio del corpo. L’ascolto attivo, insomma, potrebbe essere considerato il modo più sicuro per veri! -care l’e" ettiva ed e$ cace trasmissione del messaggio nel contesto della conversazione.In un bel testo di Marianella Sclavi, dove l’ascolto è paragonato ad una vera arte, ho letto che un “buon ascoltatore è un esplora-tore di mondi possibili.”Per diventare “attivo”, l’ascolto deve essere quindi aperto e disponibile non solo ver-so l’altro e quello che dice, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del pro-prio punto di vista e per accettare di non sapere o di non capire. Ascoltare in modo attivo signi! ca assumere il punto di vi-sta dell’altro, sia pure temporaneamente e provvisoriamente. Ascoltare in modo attivo signi! ca, quindi, sintonizzarsi pro-fondamente con lo stato emotivo dell’altro e lasciarsi coinvolgere e interrogare da ciò che dall’altro ci proviene, quindi, un ascol-to reale è un ascolto empatico. Ascoltare in modo attivo signi! ca accettare di farsi “cambiare” dal dialogo instaurato e far ta-cere se stessi per dare la precedenza all’al-tro. Ascoltare attivamente signi! ca, in ! n dei conti, mettersi “nei panni dell’altro”, ri-conoscere e accettare il suo punto di vista, accogliendo e comprendendo le emozioni, i dubbi, le preoccupazioni che manifesta, così che la comunicazione possa procede-re senza barriere e secondo un quadro di riferimento nel quale poter poi collocare le informazioni ricevute. È raramente qualità personale, bensì una vera e propria abilità relazionale di cui si può bene! ciare in ogni ambito della co-municazione, dal lavoro alla vita socia-le, nei rapporti con i propri capi come in quelli con i propri ! gli. È un insieme di tecniche che si possono apprendere ed al-lenare. E per farlo, potrebbero anche essere molto utili le pagine di un Magazine dedi-cato alla comunicazione!

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Curiosità

Il mio amico Whisky

In questo numero, vi sottoponiamo l’in-teressante strategia di marketing del Whisky scozzese Laphroaig. All’acqui-

sto di una bottiglia, gli amanti del rinomato scotch trovano un talloncino con un codice identi! cativo unico. E" ettuando la registra-zione sul sito internet www.laphroaig.comed inserendo il codice si diventa automati-camente Friend di Laphroaig, ricevendo di diritto un piccolo pezzo di terra, il “Plot” dove viene prodotto il Whisky. Ogni amico di Laphroaig ha una porzione di questa terra e può raccogliere l’a# tto di questa piccola proprietà: un assaggio del bic-chierino più pregiato. La zolla può essere visitata, monitorata attraverso il satellite e, cosa ancora più allettante, si entra a far parte di una comunità di appassionati ed intenditori realmente a$ atata; sul sito i fondatori raccontano di come nel corso de-gli anni abbiano assistito ad alcuni eventi straordinari sul “sacro manto erboso”: un matrimonio tra due seguaci, la dispersione delle ceneri di un membro e, addirittura, l’adesione di un membro reale. È il Princi-pe Carlo d’Inghilterra ad avere l’unico Real Plot, segnalato con tanto di stemma araldi-co! Il marketing delle relazioni. Ci piace!

% ink PurpleIl viola, non solo colore

In redazione abbiamo pensato di sotto-porre alla vostra attenzione qualche cu-riosità sul colore viola. Non solo colore

sociale della nostra azienda, ma vero e pro-prio way of life...Il viola è, infatti, il colore della creatività e dell’eccentricità: risultato della mescolanza tra rosso, attivo e dinamico, e blu, calman-te. Un ponte tra caldo e freddo, un’unione dicotomica e fatale.Colore di buon senso e di profondità spiri-tuale, da sempre è de! nito come un colore mistico. Gli aggettivi associati al colore viola sono: indipendente, intuitivo, intellettuale, spi-rituale, creativo, misterioso, saggio. Co-lore della ra$ natezza, della passione, della ricchezza, del romanticismo e della sensi-bilità. In cromoterapia: depurativo del sangue, rallenta l’attività cardiaca e favorisce la mi-crocircolazione cerebrale.Insomma indossate qualcosa di viola quan-do volete incoraggiare la vostra fantasia!

Plot, segnalato con tanto di stemma araldi-co! Il marketing delle relazioni. Ci piace!

Page 12: Mag 12 "Vis à Vis con Ilaria Legato" di Stefania Buonavolontà - Menthalia

Un Progetto per 100 viteCome ci puoi aiutare:

Adozione di un bambino o di un progetto?Adottare un bambino è un gesto nobilissimo, ma aiuta un solo

bambino. Adottare un progetto vuol dire creare le condizioni per dare unfuturo migliore a centinaia di bambini. Ed una vecchia massima dice: “se daiun pesce ad un povero lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo haisfamato per tutta la vita”.

E lo scopo di questo progetto Villaggio è dare una professione a centinaia di bambini affinchèpossano prendersi responsabilmente carico del proprio futuro

L’Associazione cerca di aggregare tante famiglie disposte ad adottare il progetto Le Vil-lage des Enfants, con donazioni tramite bonifico bancario (le donazioni sono deducibili)

destinando il 5 per mille alla nostra Associazione direttamente e tramite quanti più amici possi-bile.

Come si fa a devolvere il 5x1000a Queen of Peace Onlus?

Se presenti il 730, il Modello Unico, o ricevi il CUD daltuo datore di lavoro puoi scegliere la destinazionedel tuo 5x1000 nel riquadro riservato al "Sostegnodelle organizzazioni non lucrative di utilità sociale,delle associazioni di promozione sociale...".Indica il codice fiscale di Queen of Peace Onlus:97572990154 e apponi la tua firma.

AFFINCHÈ GLI OCCHIDEI BAMBINI CONTINUINOA SORRIDERE

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Le coordinate bancarie dell’Associazione Queen of Peace Onlus sono:IBAN: IT55X 03069 09545 100000 000565

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