La Lente - Numero 26

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Gruppo Scout Agesci Loreo 1° - La Lente - Edizione Numero 26

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MARZO 2011 - N. 26

ciclostilato in proprio - distribuzione gratuita

AGESCI - LOREO 1

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SOTTO LA LENTE%. SOCIAL NETWORK E COMUNICAZIONE

Discutere oggi di social network e comunicazione è quasi inutile. La facilità con cui face book o twitter sono entrati a far parte delle nostre vite ha dell’incredibile e mostra una forza democratica d’espansione per cui non si può nem-meno circoscrivere ad alcune fasce di popolazione o ad alcune modalità di utilizzo. Tuttavia la comunicazione non si analizza a partire dal mezzo. La volontà di “aprire un profilo” o “chattare” nasce da un bisogno più profondo, una necessità sociale, una ricerca di “reti” che molto probabilmente sono venute a mancare. L’estrema diffusione del fenomeno lo ha reso comune, eticamente accettabile, è diventata insomma un’abitudi-ne. Eppure a volte ci si stupisce di come le persone pen-sano di trascorrere un’esistenza così avvincente ed entu-siasmante da doverne lasciare le tracce ovunque. Esisto-no bacheche zeppe di attività del tutto inutili: si ha fame, si prende un bel voto, si va dall’estetista a rifarsi le un-ghie, si partecipa ad una festa in discoteca e si taggano centinaia di foto assolutamente identiche. Questo per dire che si è vivi, né più né meno degli altri. Sulle vite degli altri si indaga, forse si gode che un “amico” (di face book, ndr) secchione oggi non ha ancora trovato lavoro; come deve dar soddisfazione vedere la foto dell’ex ingrassata e invecchiata. A face book si attribuiscono anche intenti nobili: basti pensare che il tam tam di scontenti per la situazione del Maghreb, sfociata in una sanguinosa rivolta, ha sfruttato questo mezzo. Bisogna però aggiungere che quando manca il pane e la benzina arriva a costi spaventosi, la rivoluzione la si fa anche senza connettersi al PC: è il bisogno di comunicazione che sta alla base, il dover cre-are una rete per essere più forti. Più forti e meno soli. E’ la solitudine del cittadino globale che ha cresciuto i social-network in cui sfoghiamo la forsennata voglia di parlare di sé agli altri e di mostrare quello che non si rie-sce a far capire. E se face book riesce a far sentire la gente meno sola, ben venga.

In questo numero i nostri corrispondenti indagheranno da diverse prospettive il fenomeno: approfittando della nuo-va pagina de “La Lente” su face book, Marco darà un po’ di dritte sul lessico multimediale; Nicola tratterà la comu-nicazione dal punto di vista sociologico; Massimo conti-nua sull’onda della storia dello scoutismo raccontandoci di come la squadriglia delle Aquile Randagie abbia con-trastato le imposizioni fasciste con un sistema antico ma efficace di scambi comunicativi. Lupetti e E/G illustrano le istruzioni sul come lo scoutismo “adoperi” le nuove tecno-logie. Infine, Don Antonio spiega come la Chiesa sta sfruttando il fenomeno dei social network, tentando di dare una direzione e un limite a questo tornado di cui, prima o poi, tutti ne dobbiamo parlare.

(F.M.)

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SOCIAL NETWORK E LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE

Anna aspetta quel messaggio ansio-samente. Ormai il suo rapporto è un filo diretto tra cuore e telefonino. E pensare che fino a qualche mese fa le sue idee erano del tutto differenti; Anna era diffidente, scettica, una di quelle che non credevano nelle po-tenzialità sociali della tecnologia. Studi, ricerche e sondaggi hanno però confermato che le relazioni in-terpersonali nell’era digitale sono cambiate, e anche tanto. Anna, come tutte le ragazze della sua età, ha un bisogno impellente di espressione; non parlo di mettersi in vetrina, ma di comunicare i propri sentimenti nel mezzo migliore a pro-pria disposizione. Dagli sms ad internet, dai lucchetti dell’amore a Facebook: tutti i giovani nei giorni più tosti e belli della loro vita si interfacciano con il mondo e-sterno per comunicare il loro stato emotivo, le loro esperienze, il loro piccolo bagaglio di conoscenza inter-na attraverso una moltitudine di lin-guaggi ed espressioni creative. Probabilmente il grande disorienta-mento che molta gente riscontra an-cora oggi nelle nuove forme di comu-nicazione sta tutto nel mostrare e decodificare i sentimenti e stati d’ani-mo. Per molti i “medium” digitali pec-cano di interpretazione razionale; il fatto di non riconoscere il reale, a discapito di una dimensione multidi-mensionale della vita quotidiana che consiste nel navigare, toccare, vede-re ed associare le informazioni per-cepite dai nostri sensi. Ed è proprio questa la svolta dei nuovi media: il virtuale e la telecomunicazione di-

ventano gli stru-menti di un nuovo approccio verso l’altro/a e la ricer-ca di nuovi feed-back, ossia i mes-saggi che noi per-cepiamo dai no-stri mittenti. Ma attenzione: cambiano i modi, non il contenuto. L’aspetto sociale segue sempre la stessa lunghezza d’onda, ossia la voglia di conoscere, confrontarsi e, perché no, innamorarsi. È solo che il mezzo di comunicazione, qualsiasi esso sia, taglia l’elemento principe di ogni contatto e comunicazione non verbale: l’imbarazzo. La comunicazione digitale nasconde tutto questo, lo nasconde sotto il tap-peto, rendendoci molto più aperti e “coraggiosi”. Sarà dunque più “vero” un incontro virtuale di uno rea-le? Probabilmente no, anche perché solitamente all’uno segue anche l’al-tro, ma c’è una considerazione da fare: parlare e “frequentarsi” senza guardarsi negli occhi maschera noi stessi. Nonostante sia la cosa più traumatica al mondo, far emergere i nostri lati caratteriali, brutti e belli essi siano, ci rende più insicuri e prevedibili, ma certamente più “veri”. La grande svolta dei nuovi media digitali non va, dunque, inquadrata nella comunicazione a distanza o simultanea tra uomo – macchina – uomo, ma nel nostro ego. Che si par-li di amore, politica o altro, la comuni-cazione digitale ci costringe tutti quanti a spingerci oltre, ad aprire i nostri spazi ad una nuova dimensio-ne dove noi tutti siamo soggetti pen-

santi e interagenti tra di loro. Il tanto osannato e criticato Facebo-ok e gli altri social network sono ago-rà moderne dove le già menzionate interazioni sono create da linguaggi e dialoghi di qualsiasi natura, con le conseguenze che essi comportano. Quello che un adolescente percepi-sce nel mondo virtuale sono i lin-guaggi che lo condizionano anche al di fuori del monitor: sta nell’educazio-ne messa in campo dai genitori e dall’esperienza di noi capi dimostrare dove il gioco finisce per lasciare spa-zio all’intelligenza. I ragazzi hanno bisogno di oggettivare la propria real-tà, e noi “adulti” di sfogare le nostre esigenze, entrambi abbiamo bisogno di esprimere un nostro disagio o en-tusiasmo. Alla fine Anna riceverà quel tanto atteso messaggio, anche se la felici-tà per la risposta ricevuta si mescole-rà con una certezza: “Possiamo ave-re tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell'essere umano”.

(Nicola Forzato)

CELLULARE E LUPETTI: ISTRUZIONI PER L’USO

Il cellulare...oggi questa parola è una delle più usate dai giovani; così il cellulare è ormai usato da tutti, perciò an-che noi scout ne facciamo uso. Lo scautismo però vieta l’uso del cellulare durante le attività domenicali, durante i campi e soprattutto durante la messa perché si ritiene sia una distrazione. Per noi lupetti è difficile essere d’accordo

con i Capi sul fatto di tenere o no il cellulare perché per noi è quasi indispensabile ormai. Infatti con esso comunichiamo, navighiamo in internet e a volte giochiamo anche: in-somma per noi è difficile separarcene! Tut-

tavia penso che i capi in parte abbiano ragione, poiché spesso noi ragazzi riusciamo a parlare solo attraverso gli “sms”, creando molte volte equivoci, perché diciamolo: il cellulare è una macchina e non può far capire le emozioni di chi invia i messaggi! Comunicare con il cellulare crea barriere tra le persone e impedisce una comunicazione “faccia a faccia”, che è molto più chiara e spontanea. No-nostante ciò può anche essere utile , poiché nei campi serve per le emergenze o per parlare con i cari; durante la comunicazioni settimanali tra i componenti delle sesti-glie o delle squadriglie è indispensabile come nelle comu-nicazioni tra i capi del Branco.

(Beatrice Crocco)

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UNA “GUIDA” PER I SOCIAL NETWORK I social network sono dei siti in cui ognuno di noi può iscri-versi e fare delle amicizie virtuali, mettersi in contatto con amici che abitano a parecchi chilometri da noi. Sono molto facili da usare: io per esempio, come molti ragazzi della nostra generazione, uso Facebook, uno dei social network più utilizzati e famosi al mondo. Quando mi sono iscritta è stato semplicissimo, visto che la procedura da attuare era tutto fuorché complicato: infatti all’inizio si è aperta la homepage dove ho inserito tutte (o quasi) le informazioni richieste (nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza, ecc.). Sarò onesta: come inizio era una “figata” e mi sono subito calata nella parte. Però col tempo si scopre che non è così, ma perché? Si è talmente eccitati dall’idea di cono-scere nuova gente che ad un certo punto si comincia a rimanere su internet delle giornate intere, abbandonando momentaneamente l’idea di uscire con gli amici realiAsi preferisce restare nel proprio piccolo universo “virtuale”.

Inoltre bisogna fare i conti con un ulteriore effetto collaterale. Come dicevo prima, per creare la propria pagina “Profilo” bisogna inserire le proprie generalità e quindi qualsiasi persona, grazie a dei programmi appositi, potrebbe entrare nel vostro account e rubarvelo! Magari stringendo amicizie pericolo-se, oppure scrivendo semplicemente ciò che vuole nei profili altrui e facendovi passare o identificare con frasi o descrizioni fuorvianti, creando giudizi di sicuro poco favo-revoli.. La conclusione? Io penso che se una persona vuole a tutti i costi possedere un social network, bisogna farne un “Buon Uso”, quindi vivere una vita Reale e non Virtuale. Credo che se dovessi descrivere i social network con una parola sceglierei Virtuali, perché gli amici sono reali e non finzione.

(Irene Doni)

Dopo solo tre anni dalla sua nascita anche in Italia si cominciò a parlare di scautismo: era il 1910. Le prime sperimentazioni furono ab-bastanza rapide e già da subito si cominciò a sviluppare, ma una vera associazione nazionale nacque solo nel 1913 ed era un’associazione di impostazione laica il CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani) fortemente aiutata dallo Stato al pun-to che ufficialmente lo raccomanda nelle scuole con circolare del Ministe-ro della Pubblica Istruzione n° 26 del 14 aprile 1915. L’ambiente cattolico fu molto restio ad aprirsi a questo nuovo metodo educativo ma la cosa non deve stu-pirci: siamo negli anni immediata-mente successivi al patto Gentiloni, al primo superamento dei “non expe-dit” di Papa Pio IX, al primo riavvici-namento dei cattolici all'assetto istitu-zionale dello Stato e dei suoi derivati. Ma la continua ed insistente richiesta dei giovani a volersi avvicinare a questo movimento spinse la Società della Gioventù Cattolica, progenitrice dell’attuale Azione Cattolica Italiana, a far nascere in proprio seno una nuova associazione scout confessio-nale; era il 1916. Nacque quindi ASCI Associazione Scautistica Cattolica Italiana. Nel 1923 la riforma voluta da papa Pio XI porterà alla Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC), di cui gli scouts dell’ASCI ne fanno parte co-me settore dipendente. Quando nel 1922 salì al potere il Par-tito Nazionale Fascista il capo del Governo, Mussolini, appariva come

un normalizzatore e le stesse prime legislazioni in fatto di religione (i cro-cefissi tornarono nelle scuole e nelle aule giudiziarie; istituzione di cappel-lani militari; eliminazione della propo-sta di legge sul divorzio) non poteva-no che essere accolte con simpatia dagli ambienti cattolici. Inoltre Musso-lini cercò di riuscire dove i precedenti governi democratici e laici avevano fallito: risolvere la questione romana. Cominceranno nel 1926 i primi con-tatti con la Santa Sede. Ma la storia era appena cominciata. “Tutto nello Stato, attraverso lo Stato, con lo Stato, niente fuori dello Stato”. Con queste parole di Mussolini co-minciarono ad essere emanate leggi che portassero lo Stato a controllare l’individuo in tutti gli aspetti della sua vita. Saranno le leggi “fascistissime”. Tra le altre con la legge n° 2247 del 3 aprile 1926 nasce l’ONB Opera Na-zionale Balilla. La legge stabiliva che tutti i ragazzi e le ragazze, dai 6 ai 18 anni fossero iscritti con obbligo all’ONB. Inoltre, la legge prevedeva che tutte le associa-zioni giovanili esistenti, se in contra-sto con l’ONB o che si aggiungano ad essa, dovessero essere sciolte. Agli inizi del 1927 il CNGEI fu chiuso e anche l’ARPI (Associazione Ragaz-zi Pionieri Italiani) un’altra associazio-ne scout cattolica. Tale decreto creò preoccupazioni anche nella Santa Sede che intravve-deva l’ipotesi di un’azione dello Stato

anche nei confronti dell’Azione Catto-lica (di cui gli scout facevano parte), ed interruppe le trattative per i Patti. Il governo si affrettò ad assicurare che la cosa riguardava solo gli scout cattolici essendo un settore non “prevalentemente religioso”. La Segreteria Vaticana pretese che fosse fatta emanare una circolare che chiariva a tutti i Prefetti che il decreto riguardava esclusivamente gli esploratori e non i circoli cattolici, cosa che avvenne puntualmente. Per la Curia Romana si potevano continuare le trattative per porre in atto quegli accordi che da mezzo secolo dividevano lo Stato Italiano dalla Chiesa; inoltre, l’Azione Cattoli-ca era salva. Il 6 maggio 1928 l’ASCI chiudeva i propri Gruppi consegnando le Fiam-me ai Vescovi delle rispettive Dioce-si. La battaglia per salvare l’Azione Cat-tolica era vinta ma per gli scout catto-lici non fu mai cominciata e questo resterà nel cuore di molti giovani. L’11 febbraio 1929, festa della Ma-donna di Lourdes, fu firmato l’accor-do tra Stato Italiano e Chiesa; nasce-va lo Stato Città del Vaticano. Le associazioni scout erano disciolte ma lo scautismo non morì. Tra difficoltà e rischi alcuni gruppi continuarono a svolgere attività scout: era cominciato il periodo della GIUGLA SILENTE.

(segue)

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Le esperienze dei gruppi clandestini, si svolsero, tranne rare eccezioni, in modo isolato: spesso si ignoravano agendo nella stessa città. Diversa fu anche la loro durata: al-cune esperienze si esaurirono dopo pochi anni, altre giunsero sino alle soglie della guerra, quando i Dirigenti furono chiamati alle armi. Alcune per-durarono sino alla liberazione; quella lombarda operò direttamente nel movimento partigiano. Milano, 1928, tutti i Gruppi ASCI si riuniscono in Curia e consegnano le Fiamme al Vescovo. Giulio Cesare Uccellini è un giovane Capo ven-tenne, con lui sono anche Binelli e Toffoloni. Non ci stanno: raggrup-pano una ventina di ragazzi dagli 11 ai 17 anni provenienti dai gruppi Mi-lano 2°-6°-11°-26° e formarono il primo nucleo. E’ una pazzia, sanno bene a cosa vanno incontro eppure: “Anessuna concessione, nemmeno formale” dirà Uccellini. Ad un giorno dalla chiusura accetta la promessa di un lupetto. Si chiameranno AQUILE RANDAGIE Non hanno sede, si spostano di con-tinuo sul “sentiero dei passi per-duti”(randagi); si chiamano con nomi di battaglia; le comunicazioni avven-gono tramite foglietti lasciati in giro sui monumenti di Milano, senza firma e data. Non danno riferimenti e per questo che la polizia stenta a trovare il ban-dolo della matassa. Le Aquile Randagie non aderiscono

a nessuna struttura fascista perdendo diritti, carriera: a volte la vita. Le Aquile Randagie furono la prima “resistenza” in or-dine cronologico di giovani e di cattolici al fascismo. La fedeltà al metodo di B.P. non fu solo nostalgia di un pas-sato associativo ma volontà di conser-vare quei principi che lo scautismo affermava. Fu un rischio, scelto e consapevole, di ragazzi e famiglie. L’attività delle Aquile fu quella di un Riparto e si svolse in tutto per tutto come se non fosse successo nulla: uscite, attività, campi tutti gli anni e sempre in uniforme. Come posto per i campi avevano trovato una bella valle sopra il Lago di Lecco, Val Codera, che aveva una caratteristica importantissima: non c’era strada per arrivarci (tutt’oggi è così) bisognava solo salirci attraverso un sentiero, a piedi. Al loro primo campo clandestino si unirono anche 5 ragazzi del Monza Parteciparono a tutti i Jamboree, us-cendo dall’Italia clandestinamente. Uccellini, o meglio Kelly, ebbe modo di incontrare personalmente B.P. che gli consigliò molta attenzione ma gli

conferì l’IPISE ossia la possibilità di accettare Promesse scout anche fuori da ogni forma associativa. Dopo i fatti del 1943 le Aquile Randa-gie formarono l’OSCAR Organizzazi-one Scout Collegamento Assistenza Ricercati. Passarono in Svizzera 2166 persone tra ebrei, renitenti e ricercati. Pro-dussero quasi 3.000 documenti falsi-ficati. La loro audacia ma soprattutto la loro astuzia li portò a compiere azioni esaltanti. Molti di loro vennero bastonati, altri inviati ai campi di concentramento, altri fucilati. Ma alla rinascita dell’ASCI le Aquile erano ancora al loro posto.

(MAX FORSYTE)

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UN PRETE E IL WEB L’ho trovata sull’ultimo numero nella rivista di attualità religiosa (‘Il Regno) a cui sono abbonato da più di vent’-anni. È di Luigi Accattoli, vaticanista in pensione di Repubblica e poi del Corriere. Come un motto con cui defi-nisce come è vista la Chiesa da chi ci sta fuori, siano essi credenti che si rifanno ad essa solo in termini di ‘utenti’ (vengo quando mi serve, prendo, vado viaA) siano non cre-denti o indifferenti all’aspetto religio-so: «Il cristianesimo oggi in Italia è accolto per il servizio all’uomo, ma è respinto per il richiamo a Dio.» Della serie: la Caritas, le emergenze uma-nitarie, i servizi ai poveri e ai migranti nelle grandi città, don Ciotti e Libera, vanno benissimo; a patto e nella mi-sura in cui fanno ‘del sociale’, senza alcun esplicito riferimento all’espe-rienza di fede (che sorregge anche tutte le esperienze appena citate). Se è vero questo, si fatica allora a vede-re che diavolo (!) ci facciano preti o argomenti religiosi sul web. Per non parlare dei social network, sempre più di moda. Non sei su Facebook? Di moda, appunto. Sono ‘un faceboo-kiano’ pentito. C’ero entrato fra i pri-mi, prima che diventasse un status symbol dei nostri giorni, al punto che oggi, ragazzi e giovani mi guardano con una puntina di perplessità appe-na affermo che ‘non ho un profilo’. Una signora figlia di due pugliesi, sposata a un francese con un cogno-me olandese (Van den Hauwaert; e auguri per la pronuncia) che mi ci aveva tirato dentro. Una maniera per restare meglio in contatto, una volta rientrato: così l’avevo inteso. Quando poi mi ritrovai nella piccola parrocchia di campagna, ovviamente risposi ‘sì’ a tutte le ‘richieste di amicizia’ che da gente del luogo mi arrivavano. Anche ragazzi e giovani che non conosce-vo. Mi dicevo, bon, sarà uno stru-mento per entrare in contatto, per avviare un incontro. Non è stato così. Anzi risultava un po’ imbarazzante leggere sulla pubblica piazza virtuale di cose, eventi e opinioni da bollino rosso, che evidentemente manco si sognavano di arrivare dalle parti del confessionale (quello in chiesa, non quello del Grande Fratello!) e avreb-bero meritato quantomeno una chiac-chierata abbondante, e mi risparmio di raccontare i dettagli. E se poi capi-tava di incrociarsi con le persone ‘tue amiche’, di conoscerle per davvero e di persona, in maniera del tutto ca-

suale? Niente; anzi, in qualche occa-sione pure delle svicolate clamorose e, a dirla tutta, per niente simpatiche. Sono venuto fuori da facebook, sen-za fare tragedie o scandali, rimetten-do in circolazione il mio indirizzo mail: se uno di quelli che ‘erano miei amici’ mi volesse contattare, poteva farlo. Inutile dire che l’hanno fatto in pochi. Quei pochi per i quali io già c’ero, a prescindere dal social network, per quanto vissuto insieme, per quanto si vive insieme, condividendo l’amicizia come si può con le incombenze e le cose da fare che ci ritroviamo ad ave-re, ‘da grandi’. Ne avrei altre di mini-esperienze da raccontare. Sono regi-strato fra i ‘preti-on-line’. L’ho fatto, con quattro righe di presentazione tranquille tranquille. In tre anni ho ricevuto una mail di una persona che chiedeva sostegno nella preghiera. Ho risposto volentieri. Niente altro. Lungi da me l’idea di trarre dalle mie vicende personali in rete degli inse-gnamenti generali. Ma mi pare impor-tante partire da qualche dato di espe-rienza concreta, per affrontare il tema dei preti e il web, social network e compagnia. La prima riflessione, banale fin che si vuole, viene fuori da sé: il mezzo in se stesso non è né buono né cattivo. Lo strumento può essere utile o no. Dipende dall’uso che se ne fa, da come concretamen-te poi ci si sta dentro. Nativi ed emigrati virtuali Un’altra cosa che ho imparato sul tema è che ci vuole anche tanto spiri-to di adattamento da parte di chi se ne serve. Durante un incontro di ag-giornamento (ebbene sì!...) del clero, nell’ottobre scorso, una signora mila-nese che insegna all’Università Cat-tolica di Milano (e vi faccio notare non tanto dove insegna, ma che una donna è venuta a parlare a un centi-naio di pretiA wow!) parlando di sé e di noi che l’ascoltavamo, diceva che noi siamo degli ‘emigrati virtuali’: sia-mo nati in un altro contesto e siamo entrati in un universo nuovo. Nel qua-le –e se capisco bene trova posto la maggioranza dei lettori de ‘La Lente’- ci sono invece dei ‘nativi’ virtuali: ra-gazzi e ora giovani che invece di gio-care a pallone in calle o per strada, già da bimbi smanettavano sul pc; e che se vedono un telefilm del tenente Colombo con i primi cellulari grandi quanto un hard-disk esterno, si chie-dono: cos’è quella roba? Cosa voglio dire? Nella nostra dioce-si di Chioggia ci sono due (dico due) preti sotto i trent’anni. Questi sono ‘nativi virtuali’. Gli altri, tutti gli altri?

Sono ‘emigranti virtuali’. Hanno impa-rato, sono entrati quando avevano già il loro bagaglio umano, la loro maniera di sentirsi e di stare, nel mondo, fra la gente, come ministri della chiesa. La signora professores-sa milanese, in quella lezione ai preti, ha detto una cosa che smentisce i luoghi comuni: un prete non va sul web ‘per sfruttare un mezzo laico per comunicare idee religiose’. Un prete entrando in rete ‘si spoglia’ del suo ruolo; è uno in mezzo a tanti. E le sue parole sono alcune fra le tante. Perché il mezzo, la rete, orizzontaliz-za tutto. Quanta fatica allora, per noi preti, non di cogliere questa idea (che pure quando ce lo si è fatto no-tare, ha creato un po’ di shock in noi che ascoltavamo); ma, psicologica-mente, di accettarlo: di entrare e di restare senza ‘le protezioni del ruolo’, senza il ‘dovuto rispetto’. Dovessi cercare un’analogia, terra terra, direi che un prete sta in rete come può capitare che va al bar del paese. Se ci va tutti i giorni e a tutte le ore del giorno, comincia a destare delle legittime domande: ma questo che fa? Non visita le famiglie? Quan-do lo posso incontrare per parlarci con calma se sta sempre qua? Come potrei parlargli di quella situazione seria che mi angustiaA? oppure dir-gli che c’è in quella casa un proble-ma e sarebbe da far qualcosaA Certo, il prete ‘da bar’, nell’immagina-rio della gente, esiste. Così come ci sono le strombazzate figure di ‘preti da web’, diventati famosi per lo spritz, per le ‘messe ganze’ (eeehhhh???) , per le riunioni esoteriche da folle nu-merose tutte le settimane, per i tour in bici. Magari saranno capaci anche di rela-zioni umane vere, con la gente che li affianca.

(segue)

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Ma lasciano temere a volte una ricen-tratura su se stessi pericolosa, su cui poi anche i giornali e settimanali non pregiudizialmente contro, ci si danno a pieno cuore, qualora (e vi abbiamo assistito spesso in questi anni) acca-desse qualcosa di storto. Invece può capitare che il prete ci vada, fuori dal recinto sacro, senza la protezione del ruolo. Semplicemente sta un po’ di tempo con la gente. Di cui condivide luoghi e alcune sempli-ci necessità. Lo fa ‘gratis’ senza cer-care un riscontro per la sua missione, né immediato né alla lunga. Semplicemente va per stare là dove c’è la gente, la sua gente. Al bar ci va, pagando pure la consumazione, e pure offrendo a volte a qualcuno incontrato al banco. Così come va a fare qualche spesetta al minimarket del paese; il prete si fa la sua brava coda alla Posta. Al caffè del bar non è legato, ci mancherebbe; ma poco alla volta si rende conto che quella presenza non sistematica, eppure reale, diventa qualcosa di prezioso; magari non per lui, ma per gli altri sì. Perché gratuità di presenza, chiama altrettanta stima disinteressata. La Chiesa, allora, cosa ne dice? Ma allora un prete ci può stare su Facebook? Può twittare? Dunque, vediamo. Quand’ero piccolo, prima metà degli anni ’70, ricordo di un car-tello nella sagrestia della mia chiesa. Lo ricordo perché il titolo grande era una parola che non conoscevo, e per questo mi rimase impressa: ‘Monito’. Il vescovo di allora (mons. Piasentini) ricordava con forza ai preti che pas-savano da quelle parti che non dove-vano andare in spiaggia a Sottomari-na (‘Monito’A cioè: state bene atten-ti)A con tanto di sanzioni per chi tra-sgrediva. I tempi sono cambiati, per-ché di regole non ce ne sono più? Diciamo che c’è l’intelligenza e il buon senso delle persone. Non c’è una norma che dica se faccio giusto io che un paio di volte la settimana andavo a prendere un caffè al bar o il confratello che non ci va proprio; o quell’altro che ci va tutti i giorni. I pastori della Chiesa pensano che sia loro dovere indicare linee e priorità, certamente anche sulla condotta. Non ci sono, quindi, norme a regola-mentare la presenza dei preti sul web o nei social network. Cosa ne dice la Chiesa? Quali sono queste linee e priorità? C’è stato un Convegno nazionale sul tema, giusto un anno fa , dal titolo ‘Testimoni digi-tali: Volti e Linguaggi dell’era cross-mediale’. Non statemi a chiedere

quale sia il significato dell’aggettivo conclusivo del titolo (potrei andare a naso, ma non mi fido). Prendetevi nota del link http://www.chiesacattolica.it/sicei/siti_di_uffici_e_servizi/sicei___servizio_informatico/ 00011-846_Testimoni_Digitali.html a cui potete accedere se avete voglia di andare a leggere non dico –solo- il discorso del papa ma pure le diverse relazioni, dai titoli fra l’avvincente e il disperante (un esempio? Essere i-permediali: vecchi e nuovi linguaggi tra integrazione e cambiamento, Ni-cholas Negroponte, Fondatore del Media Lab del Massachussets Insti-tut of technology, e scusate se è po-co!). Per stare dentro alla cultura at-tuale, dove è la parola e l’immagine del ‘leader’ che pesa, non posso esi-mermi da riportare una citazione del Papa, Benedetto XVI. La pubblicisti-ca pretende che egli sia schiacciato fra l’immagine del predecessore e la sua ‘presunta’ freddezza. Sarà pure. Intanto, però, a papa Wojtyla gli ha voluto un bene dell’anima; e poi co-me vanno calorosamente le cose quando la gente va a trovare lui, a Roma; e quando lui si muove a visita-re i cristiani in giro per il mondo, ma-gari tanti di voi lettori lo vedranno, quando verrà a Mestre, prossima-mente. Ebbene, a pagina 96 del libro-intervista uscito nell’autunno scorso, rispondendo al giornalista che gli po-neva una domanda super-tosta ‘sulla nostra società malata che ha una nostalgia di salvezza e redenzione’ e si chiede e chiede al papa se c’entra qualcosa questo con il ritorno di Cri-sto (tradotto: con la fine del mondo), nella sua risposta svicola via dal tono apocalittico della domanda e invece la gira in tono positivo e come esem-pio delle potenzialità dell’epoca in cui viviamo, porta proprio le nuove forme di comunicazione: “Questo è un tem-po d’avvento che offre anche molto di buono. Le enormi possibilità di comu-nicare, per esempio, che abbiamo oggi, da un lato possono condurre alla più completa spersonalizzazione: si finisce per nuotare soltanto nel mare della comunicazione, le perso-ne non si incontrano più. Dall’altro può trattarsi anche di un’opportunità. Nel senso che diventiamo coscienti gli uni degli altri, ci incontriamo, ci aiutiamo, usciamo da noi stessi.” Mi piace pensare -modesto che sono- con lo stesso stile: un grande disin-canto nel guardare la realtà dei nuovi media; ma anche la serenità di chi sa che non c’è luogo dell’umano, nem-

meno quello virtuale, che non sia estraneo al lavoro positivo di umaniz-zazione e di incontro. E che avere tanti possibilità in più per comunicare è un grande dono, di cui farne buon uso. Mai al posto dei sacramenti Concretamente, per finire, arriveremo a forme di incontro virtuali di stampo ecclesiale, che fanno strabuzzare occhi e testa a chi legge? Tipo le confessioni via web? Che se lo ripor-ta Libero, pensi che è una ‘bip’; se il giorno dopo lo riscrive il Corriere una qualche domanda pure te la fai (anche se, invece di bertela senza fiatare, magari uno potrebbe anche provare ad informarsi per bene, ad esempio, su questo caso: http://passineldeserto.blogosfere.it/ 2006/12/confessione-on-line-e-una-bufalae-noi-siamo-andati-alla-fonte.html Ora, ammettendo che sono un esper-to nel patire deformazioni giornalisti-che, risulta evidente che non esiste per la Chiesa qualcosa che sia diver-so dalla celebrazione personale. Gli anziani o gli ammalati che non pos-sono partecipare alla Messa domeni-cale, si uniscono spiritualmente alla loro comunità che celebra, assisten-do (non partecipando) alla Messa ripresa dalla televisione, in particola-re approfittando della Liturgia della Parola che altrimenti resterebbe loro preclusa. Anche a me è capitato in una chat di vivere qualcosa di simile alla direzione spirituale, con temi af-frontati che nell’arco di un’ora, sono usciti fuori con una facilità impensabi-le in un faccia a faccia. Ed è bello, è una possibilità inedita da giocare be-ne, nel fare da sponda, poi, verso l’esperienza sacramentale della con-fessione, nei tempi che la coscienza di ciascuno detterà, una coscienza magari illuminata anche grazie a un dialogo ‘in chat’ con ‘il don’. Anzi, quasi quasi, anzi decisamente sì, mi pare quasi doveroso finire questi pensieri con le mie coordinate virtua-li: la posta elettronica, [email protected] e invece su Messen-gers [email protected] . Ma nel caso, badate bene a specificare bene l’ar-gomento della mailA perché, esatta-mente come faremmo con un estra-neo che suona alla porta di casa no-stra, se non conosco, non aproA

don Antonio Chiereghin parrocchia Buon Pastore Sottomarina

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“LA LENTE” SUL WEB Un paio d’anni fa, appena entrato nel ristorante dove si sarebbe svolta la cena della mia classe del liceo, notai subito gli sguardi di numerosi mieI ex compagni, che sembravano in un certo senso attendere il mio arrivo. Sorriso da copertina in faccia, già mi aspettavo di sentire i “Che bello rive-derti!” ed i “Sono contento/a ci sia anche tu!”, quand’è che invece mi ritrovai le orecchie piene della do-manda che meno mi sarei aspettato, dopo diversi anni che non vedevo certe persone: “MA COME MAI TU NON CI SEI SU FACEBOOK?!?!”. Facebook, ed i social network in ge-nerale, hanno avvicinato alla tecnolo-gia ed al mondo di internet. Io, che nel mio piccolo con l’informatica ci sono cresciuto e ci lavoro ogni gior-no, non ho potuto di certo negare a “La Lente”, a cui sono legato da un passato di articoli, impaginazioni e fotocopie, la possibilità di avere un proprio spazio sul web. Da qui l’idea di creare un piccolo sito internet, a dir poco spartano, dove sia possibile leggere il nostro giorna-lino da qualsiasi parte del mondo (anche per il nostro ex direttore in quel del Sud-Est asiatico!), standose-ne tranquillamente seduti in poltrona!

Ma non ci siamo fermati alla possibi-lità di leggere “La Lente”: abbiamo pensato anche di inserire una bache-ca ed un forum su cui ognuno di voi possa pubblicare la propria opinione sul giornalino, sui temi trattati, sugli articoli o su quant’altro, e di creare anche una pagina di Facebook su cui ci possano raggiungere tutti gli iscritti al più diffuso social network! Purtroppo per ora il tutto è ancora in

fase di costruzione, ma come si sa non tutti i mali vengono per nuocere: è infatti in questo modo possibile per tutti voi essere protagonisti attivi nel-la gestione di tutte queste pagineAnon avete che da offrirvi, contattando la redazione! Buona lettura eAbuona navigazione! (Marco Milani)

GLOSSARIO INTERNET E SOCIAL NETWORK Visto che non tutti i lettori di questo giornalino sono rego-lari frequentatori di internet e social network, mettiamo a vostra disposizione un veloce glossario, dove trovate nu-merosi termini presenti nel mondo di internet ed in questo numero de “La Lente”. Bacheca: come dice la parola stessa, è uno spazio di un sito internet su ogni persona può “appendere il proprio messaggio”, in via anonima o lasciando il proprio nome e cognome, in base alle restrizioni del sito. Anche sul no-stro sito, è possibile lasciare un messaggio in bacheca, che verrà letto (e magari commentato) anche da altri u-tenti! Browser: programma per il computer che permette di visualizzare i siti internet. I più diffusi browser sono Internet Explorer, Mozilla Firefox, Google Chrome, Safari, Opera. Forum: particolare tipo di sito internet in cui ogni utente può interagire con gli altri, spesso dietro nickname (cioè uno pseudonimo), partecipando a discussioni su un parti-colare argomento. Normalmente un forum è regolato da uno o più moderatori, il cui ruolo è generalmente quello di

mantenere i toni delle discussioni entro i limiti. Sul sito de “La Lente” trovate il link per il nostro forum!

Link: letteralmente “collegamento”, si tratta della possibi-lità, con un click del mouse su una parola o un’immagine, di spostarsi ad un'altra pagina o addirittura ad un sito e-sterno. Social network: particolare tipo di sito internet, dove o-gni persona si può registrare con la propria identità reale o fittizia ed interagire con altre persone. In particolare, lo scopo di numerosi social network (letteralmente “rete so-ciale”) è quello di tenersi in contatto con i propri cono-scenti, condividendo stati d’animo, novità nella propria vita, foto, video e quant’altro. I più popolari social network sono: Facebook, Twitter, Myspace, Flickr. Taggare: azione che permette, in alcuni social network, di inserire un riferimento diretto ad un altro utente. E’ pos-sibile ad esempio “taggare” una persona in una foto, quindi indicare chi sono i vari componenti di una partico-lare foto caricata su un social network.

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SONDAGGIO PER LE “FOTO DEL MESE” DEI PROSSIMI NUMERI Sul nostro sito www.lalenteloreo1.altervista.org puoi già trovare una serie di foto da votare per il prossimo numero della lente, mentre se avete fotografie che volete far selezionare per i sondaggi dei prossimi numeri inviatele all’indirizzo mail [email protected]