LA DOMENICA - la Repubblica

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014 NUMERO 468 E adesso vi spiego perché Eminem non odia le donne Spettacoli CAMILLE PAGLIA Corrado Gini, il fascista che piace ai progressisti La storia PIERGIORGIO ODIFREDDI e FEDERICO RAMPINI NAPOLI « L o sto cercando. Sono sulle sue tracce da anni, ma non si lascia prendere facilmente. Perché è una figura in viaggio. Direi che è uno spirito in movimento. Per riuscire a incontrarlo ho dovuto perdere un treno. Successe nel 2011, qui a Napoli. Aspettan- do quello successivo andai nella libreria della stazione e mi cadde l’occhio sulle Operette Morali. Cominciai a leggerle, e per la prima volta mi apparvero come un testo di teatro. Fu una rivelazione. Le Operette sono drammaturgia pura, che parla già la lingua teatrale del Novecento. Piena di echi e di anticipazioni. Da un lato Molière e Shakespeare, dall’altro Beckett e Koltès». Mentre Mario Martone insegue Leopardi, io inseguo Martone per i meandri escheriani dell’antico convento di Suor Orsola Beninca- sa, oggi università, diventati set del suo film sul poeta dell’Infinito. (segue nelle pagine successive) MARINO NIOLA P erché Leopardi? È una domanda che qui negli Stati Uni- ti mi viene posta spesso. Perché dedicare il proprio tem- po a uno scrittore accademico che viene dal passato e non ha rilevanza nel presente? La mia attività di traduttore ha riguardato soprattutto l’opera del grande modernista Eugenio Montale, che ebbe sulla poesia ameri- cana un impatto decisivo e duraturo. Nessuno mi domanda mai “Perché Montale?”: la sua rilevanza appare ovvia. Si ritiene che Mon- tale abbia seguito le orme di Dante, considerato dagli americani, come dagli italiani, uno degli scrittori fondanti della civiltà occiden- tale. Il suo mito della donna angelica e irraggiungibile, la sua visione della guerra, considerata una lotta apocalittica tra bene e male, la sua attrazione agnostica verso una salvezza inaccessibile sono tutti te- mi danteschi, a noi profondamente familiari. Leopardi è diverso. (segue nelle pagine successive) JONATHAN GALASSI Prima a teatro poi al cinema (e da poco lo ha scoperto anche l’America) Mario Martone racconta Leopardi “Un giovane favoloso” CULT La copertina ROBERTO ESPOSITO e ANAIS GINORI Ultrademocrazia l’ultimo rischio per le società occidentali Il libro ANDREA BAJANI Le ragazze sulla nuvola nel cielo del Ruanda All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Giacomo Rizzolatti “Dalle purghe staliniane ai neuroni specchio” Il teatro ANNA BANDETTINI Quegli amori pericolosi di Malosti e Marinoni La serie WALTER SITI La Poesia del mondo Georg Trakl e il peccato DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI ELIO GERMANO DURANTE LE RIPRESE DEL FILM “IL GIOVANE FAVOLOSO”. FOTO © MARIO SPADA

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

NUMERO 468

E adesso vi spiegoperché Eminemnon odia le donne

Spettacoli

CAMILLE PAGLIA

Corrado Gini,il fascista che piaceai progressisti

La storia

PIERGIORGIO ODIFREDDIe FEDERICO RAMPINI

NAPOLI

«Lo sto cercando. Sono sulle sue tracce da anni,ma non si lascia prendere facilmente. Perchéè una figura in viaggio. Direi che è uno spiritoin movimento. Per riuscire a incontrarlo ho

dovuto perdere un treno. Successe nel 2011, qui a Napoli. Aspettan-do quello successivo andai nella libreria della stazione e mi caddel’occhio sulle Operette Morali. Cominciai a leggerle, e per la primavolta mi apparvero come un testo di teatro. Fu una rivelazione. LeOperettesono drammaturgia pura, che parla già la lingua teatrale delNovecento. Piena di echi e di anticipazioni. Da un lato Molière eShakespeare, dall’altro Beckett e Koltès».

Mentre Mario Martone insegue Leopardi, io inseguo Martone peri meandri escheriani dell’antico convento di Suor Orsola Beninca-sa, oggi università, diventati set del suo film sul poeta dell’Infinito.

(segue nelle pagine successive)

MARINO NIOLA

PerchéLeopardi? È una domanda che qui negli Stati Uni-ti mi viene posta spesso. Perché dedicare il proprio tem-po a uno scrittore accademico che viene dal passato enon ha rilevanza nel presente?

La mia attività di traduttore ha riguardato soprattutto l’opera delgrande modernista Eugenio Montale, che ebbe sulla poesia ameri-cana un impatto decisivo e duraturo. Nessuno mi domanda mai“Perché Montale?”: la sua rilevanza appare ovvia. Si ritiene che Mon-tale abbia seguito le orme di Dante, considerato dagli americani,come dagli italiani, uno degli scrittori fondanti della civiltà occiden-tale. Il suo mito della donna angelica e irraggiungibile, la sua visionedella guerra, considerata una lotta apocalittica tra bene e male, la suaattrazione agnostica verso una salvezza inaccessibile sono tutti te-mi danteschi, a noi profondamente familiari. Leopardi è diverso.

(segue nelle pagine successive)

JONATHAN GALASSI

Prima a teatropoi al cinema(e da pocolo ha scopertoanche l’America)MarioMartoneraccontaLeopardi“Un giovanefavoloso”

CULT

La copertina

ROBERTO ESPOSITOe ANAIS GINORI

Ultrademocrazial’ultimo rischioper le societàoccidentali

Il libro

ANDREA BAJANI

Le ragazzesulla nuvolanel cielodel Ruanda

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Giacomo Rizzolatti“Dalle purghestalinianeai neuroni specchio”

Il teatro

ANNA BANDETTINI

Quegli amoripericolosidi Malostie Marinoni

La serie

WALTER SITI

La Poesiadel mondoGeorg Trakle il peccato

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Il regista napoletano si materializ-za all’improvviso dal fondo di unlunghissimo corridoio, circonda-to da una folla di comparse vestiteda popolani dell’Ottocento. Sem-brano usciti da un quadro di Vin-

cenzo Migliaro. Sputati lì da una macchi-na del tempo. Gli studenti sono quasispaventati dall’irruzione inattesa di que-sta corte dei miracoli. Del resto, mi dico,non c’è Napoli senza popolo. Qui, nelventre di questa esuberanza vitale, Leo-pardi cercava rifugio. Si vestiva con unsoprabito azzurrino, vecchio e sdrucito,che lo faceva somigliare a un barbone, esi mescolava alla gente, che gli chiedeva inumeri del lotto perché era gobbo e quin-di portava fortuna. Martone sembra leg-germi nel pensiero perché mentre ci infi-liamo in una cella del monastero cheguarda il golfo, insiste con gli attori sul-l’effetto che ebbe sulla sensibilità di Gia-como la folla partenopea con i suoi umo-ri, rumori, colori. «Leopardi di questacittà amava proprio la coralità plebea, lateatralità di una marea umana che face-va da pendant alla spettacolarità dellanatura. Qui lui si abbandona ai sensi, per-ché ormai ha perso tutte le partite. Quel-la dell’amore e quella della gloria. E que-sto lo libera. Non ha più niente da ri-schiare. Credo che così si spieghi anche lasua passione compulsiva per il cibo, i dol-

ci, i gelati, che mangiava fino a stare ma-le, infischiandosene delle proibizioni deimedici. La città lo inebria. E poi lo sfini-sce». Viene interrotto da un assistenteche gli chiede come far pregare due po-polane che recitano il rosario. Mi guardacome dire “questa è roba da antropolo-gi”. Mi presto e suggerisco di sporcare illatino per renderlo dialettale. E azzardoAve Maria Grazia prena... E concludo ilRequiem con schiatta in pace, ammèn.

Poi riprendiamo guardando il Vesuvioche irrompe dalla finestra e i QuartieriSpagnoli che si srotolano come un tap-peto ai nostri piedi. È questa la scena do-ve si compie il destino di Giacomo Leo-pardi. Come avrebbe detto John Donne“il suo Occidente”. «Sì, proprio un tra-monto. La conclusione di una parabolache inizia nella “dipinta gabbia” del pa-lazzo nobiliare di Recanati e si concludesotto lo “sterminator Vesevo”, che diven-ta l’emblema dell’indifferenza di una na-tura bella e impassibile, estranea alle sor-ti umane». In questo senso Napoli è unluogo che gli assomiglia, perché il suomaterialismo senza speranza e senza tra-scendenza qui è pane quotidiano. Men-talità diffusa. «Sotto il vulcano Giacomotrova una sorta di rivelazione, al tempostesso disperata e vitale. Perché questacittà, ancora oggi, ti dispera però ti mo-stra il mondo com’è. “L’apparir del vero”sotto l’esuberanza della rappresentazio-ne, del colore, del teatro, del canto. Miverrebbe da dire che Napoli è una cittàleopardiana, perché vive profondamen-

te questo sentimento dell’ineluttabilitàdelle cose. In fondo fa proprio come Leo-pardi, che nel semplice movimento deirami di una pianta agitata dal vento ritro-va il senso della vita. E anche Napoli ti ri-porta continuamente alla vita. E alle sueragioni elementari. Sì, forse era fatale chela sua peregrinazione portasse Giacomoin una città come questa. E ci riportasseanche me. Da qui, infatti, è iniziato il mioinseguimento. E qui, grazie a lui, sonotornato a girare».

Ci portano il caffè. Questo ve lo mandail Rettore. Concludiamo con De Andréche così buono solo a Napoli o sanno fa’.Approfitto del buon umore per fargli ladomanda più banale. Il film s’intitolerà Ilgiovane favoloso. Vuole sfatare il mito delpoeta pessimista? «No. Senza malinco-nia e infelicità Leopardi non sarebbeLeopardi. Ma al tempo stesso la sua di-sperazione esprime un rapporto con lavita a una temperatura incandescente. Iltitolo viene da Anna Maria Ortese che inun bellissimo racconto, Pellegrinaggioalla tomba di Leopardi, parla di una grot-ta “in fondo alla quale in un paese di lucedorme da cento anni il giovane favoloso”.Questa immagine ha trafitto sia me che lasceneggiatrice, Ippolita di Majo. Ed è sta-to subito chiaro che il titolo del nostrofilm non poteva che essere questo. Ci sia-mo andati insieme. È un luogo stupendo,sotto la collina di Posillipo. Un’oasi poe-tica, dove accanto a Giacomo dorme an-che Virgilio». A interpretarlo sarà ElioGermano, mentre Massimo Popolizio

“Lo inseguo da anni, ma non è unoche si lascia prendere facilmente”L’ultima sfida di Mario Martoneè quella di trasformare in protagonistadi un film il poeta e filosofo di RecanatiPer questo il regista si è messo in viaggioDal “natio borgo selvaggio”allo “sterminator Vesevo”tra appunti, bozzettie foto di scenaecco cosa ha scoperto

La copertinaCercando Giacomo

MARINO NIOLA

APPUNTI Dai quaderni di Martone:“il giovane favoloso”,che diventerà il titolo del film,e note su location fiorentineNel foglio al centro indicazioniper l’Eremo al VesuvioA destra la biblioteca di casaLeopardi disegnata dal regista(e nella foto Elio Germano/Giacomo Leopardi davantialla celebre finestrache affaccia sulla piazzettaoggi ribattezzata “Sabatodel villaggio”)

VesuvioQui sull’arida schienadel formidabil montesterminator Vesevo,la qual null’altro allegraarbor né fiore,tuoi cespi solitariintorno spargi,odorata ginestra,contenta dei deserti

Da La ginestra(1845) di Giacomo Leopardi

Il Leopardi favolosoche non avevamo mai visto

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indosserà i panni del pa-dre, Monaldo. A teatro in-vece, nelle Operette Mora-li sempre per la regia di

Martone e prodotte dallo Sta-bile di Torino, Giacomo ha il volto di

Roberto De Francesco. «Bravissimo, loaveva già impersonato nel 2004 in Operasegreta, il mio primo spettacolo leopar-diano ispirato a Partitura, un magnificotesto di Enzo Moscato in cui il grandepoeta si aggira come un fantasma nei vi-coli di Napoli». Dal Leopardi fantasma alLeopardi drammaturgo il passo è statobreve? «Sì, perché questi dialoghi sonouna grande costruzione visiva, una tra-ma fitta di parole cristalline e di figure in-delebili. La Natura e l’Islandese, la Modae la Morte, Prometeo e Momo, il Gallo sil-vestre, il Venditore di almanacchi, Ercolee Atlante, Cristoforo Colombo e Pietro Gu-tierrez. In realtà le Operette sono una co-smogonia, come il Mahabharata o leMille e una notte. Puoi anche prenderleun pezzo alla volta, ma il vero senso è nel

loro insieme. Parola e immagine. Tutto ègià teatro, al punto che Leopardi si sdop-pia dando voce anche ai suoi avversari,con una capacità drammaturgica, mi-metica, oserei dire attoriale, che lo fa es-sere insieme se stesso e l’altro». Straordi-nario, sul palcoscenico, il Dialogo dellaTerra e della Luna, dove le astrazioni di-ventano visibili, e le due attrici si trasfor-mano in globi orbitanti nella notte, con ilcorpo della strepitosa Barbara Valmorin,che gira su una sedia a rotelle e diventauna specie di ingegno gravitazionale. «Lamodernità scenica di Leopardi è tale cheleggendo questo dialogo ci ho visto, co-me in sovrimpressione, Finale di partitadi Beckett. La Terra è come Hamm e laLuna come Clov. Però bisognava crearel’incanto visivo, la trasfigurazione dellameccanica celeste, quindi ho immagi-nato queste due figure nel buio con dellesfere luminescenti sulla testa e ho chie-sto a un grande artista come Mimmo Pa-ladino di realizzarle. La Scommessa diPrometeo è già un trattamento cinema-

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(segue dalla copertina)

Anche Italo Calvino affermò in un’occasione che «ol-tre i confini dell’Italia, Leopardi semplicemente nonesiste». In realtà Leopardi potrebbe essere, dopo

Dante, il poeta italiano per antonomasia. Tuttavia la sua au-sterità classica, il suo ateismo e il suo pessimismo — fon-damentalmente la sua cupezza — per noi risultano più dif-ficili da accettare. Inoltre, è veramente impossibile da tra-durre. Pur essendo un poeta dal suono mellifluo, il suoverso è un succedersi di tentativi di spiegare una conce-zione originale, complessa e infelice dell’esistenza: ilpensiero poetante. Pur essendo pervasi della nostra stes-

sa autoconsapevolezza i suoi idilli, i primi componimenti liricimoderni, rappresentano un tentativo da parte del poeta di risol-vere problemi esistenziali incentrati sul dolore, il piacere, leaspettative, il rimpianto e la terrificante solitudine dell’uomo nelmondo.

La sfida per me consisteva nel tentare di far meglio compren-dere l’arte idiosincratica di Leopardi ai lettori di lingua inglese.Delle opere del poeta esistono numerose traduzioni, a comin-ciare da quelle di William Gladstone; ogni generazione richiedeperò nuove letture dei grandi scrittori nella propria lingua. La miaprima traduzione dei Canti è apparsa nel 2010, dopo un decen-nio di travaglio. A questa si è aggiunta, nel 2013, la prima edizio-ne completa in lingua inglese dello Zibaldone, eroicamente cu-rata da Franco d’Intino e Michael Caesar, del Leopardi StudyCenter dell’Università di Birmingham.

Le difficoltà incontrate sono state innumerevoli, e come tutti itraduttori mi sono dovuto accontentare di una vittoria parziale.Per cominciare, c’era la varietà delle forme utilizzate: dalla can-zone civile alla satira oraziana, all’ode neoplatonica, al quasi-so-netto. Per non parlare dell’austera compressione neoclassicadello stile, e del liricismo non metaforico che in italiano producefraseggi insuperabili, ma che in inglese spesso appaiono dispe-ratamente artificiosi. Come Leopardi stesso affermò, l’espres-sione perfetta in una lingua non può essere trasposta in un’altra.Vi è poi il suo tono dolente, che non è affatto classico, bensì ine-rentemente romantico. Malgrado ci esorti a essere stoici, egli è,di fatto, lamentoso. Ed è forse questo il suo tratto più moderno.

Leopardi lo sentiamo vicino. Nel palazzo Leopardi di Recana-ti, a tutt’oggi abitato dai discendenti della famiglia e poco muta-to negli anni, è possibile visitare la biblioteca del padre, dove Gia-como da ragazzo si dedicava alle sue “sudate carte” e “ove il tem-po mio primo/ e di me si spendea la miglior parte” — come il poe-ta si duole in A Silvia. Una breve passeggiata conduce al colle deL’infinito, dove il giovane conobbe l’immortale scontro con l’a-bisso dell’immensità. Questi luoghi non sono stati disneyzzati,ma appaiono naturali, tranquilli, vitali. Leopardi, che non si af-francò mai dalla dipendenza dalla propria famiglia, consideravail suo “natio borgo selvaggio” una prigione. Tuttavia oggi noi viscorgiamo la bellezza e la dignità di un luogo semplice e reale, dacui il genio fuggì inspiegabilmente.

Leopardi era inconsolabile di fronte alla difficoltà e alla cru-deltà della vita. Amore e felicità, ci dice, sono illusioni; ma ag-giunge anche che sono ciò che rende la vita degna di essere vis-suta. E scrive nello Zibaldone che l’arte rende la vita più tollera-bile, anche quando tratta della fatuità della realtà — una realtà dacui persino l’agnosticismo che Montale si concedeva vieneescluso: “Hanno questo di proprio le opere di genio, che, quan-do anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando an-che dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabileinfelicità della vita... tuttavia a un’anima grande, che si trovi an-che in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità,noia e scoraggimento della vita... servono sempre di consolazio-ne, raccendono l’entusiasmo; e non trattando né rappresentan-do altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente,quella vita che aveva perduta”.

Perché Leopardi? Perché il vasto, profondo conforto che que-sta anima grande ci offre è tutto tranne che accademico o pro-vinciale.

(Traduzione di Marzia Porta)L’autore è presidente della casa editrice Farrar, Straus & Giroux

Di Leopardi ha tradotto in lingua inglesei Canti (2010) e lo Zibaldone (2013)

JONATHAN GALASSI

tografico, una sceneggiatura che fa pen-sare al Giro del mondo in ottanta giorni.Ci sono i cannibali, l’india misteriosa, l’e-sotismo». E c’è anche il disagio della ci-viltà occidentale che “ha tedio della vita”.Sembra un Montaigne straniato dal tea-tro, dalla comicità e dal sarcasmo. «So-prattutto dal sarcasmo. Leopardi in fon-do è anche una figura di disappartenen-za. È un uomo che è stato fondamental-mente incompreso, ma tollerato. Pasoli-ni diceva di sé “io sono un tollerato” equest’espressione, secondo me, calza apennello anche a Leopardi. Che è statoper l’Italia dell’Ottocento ciò che Pasoli-ni è stato per quella del dopoguerra. En-trambi hanno bucato come uno spillo lafiducia nelle “magnifiche sorti e progres-sive” su cui si edificava il nuovo senso co-mune italiano ed europeo. Sarebbe fintroppo facile dire che aveva previsto tut-to. E che le “magnifiche sorti e progressi-ve” si sono rivelate un castello di illusio-ni all’“apparir del vero”. Ideologie, rivo-luzioni, totalitarismi. E infine il capitali-smo finanziario che ha innescato un cir-colo vizioso tra società e natura, tra eco-nomia e umanità. E poi ci sono temiscottanti come il fine vita, il diritto al sui-cidio. Insomma quello che lui vede dalontano oggi brucia sulla nostra pelle».

Usciamo dalla cella e veniamo travol-ti da un fiume di studenti che festeggia-no un compagno appena laureato. Rico-noscono Martone, lo accerchiano. Fotodi gruppo con regista.

AL CINEMA E A TEATROIl giovane favoloso di Mario Martone con ElioGermano (Giacomo Leopardi), Michele Riondino(Antonio Ranieri) e Massimo Popolizio (il conteMonaldo) sarà nelle sale dal prossimo autunnoLo spettacolo teatrale Le Operette moraliper la regia di Mario Martone e le scene di MimmoPaladino (tra gli interpreti Renato Carpentieri, RobertoDe Francesco e Iaia Forte) è una produzione del TeatroStabile di Torino (2011). Dal 25 febbraioal 2 marzo sarà a Firenze al Teatro La Pergola e poia Brescia, Cremona, Salerno, Piacenza, Modena,Torino

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‘‘Terra e LunaTerra.Con tutto cotestoio spero bene:e oggi massimamente,gli uomini mi promettonoper l’avvenire molte felicitàLuna.Spero a tuo senno:e io ti prometto che potraisperare in eternoDa Dialogo della Terra e della Luna(1827) di Giacomo Leopardi

OPERETTEIl Dialogo della Terra e della Lunanel bozzetto di Mimmo Paladinoe nella rappresentazione a teatro

FOTO © SIMONA CAGNASSO

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Modernitàdel lamento

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Né City né United, né sceicchi né multinazionali: c’è una terza squadranella capitale del football inglese. Gioca in settimadivisione e appartiene “al popolo”. È quella fondatadai supporters fuggiti dall’Old Trafford dopo l’arrivo dei padroni americani:“Non veniteci a parlare di business: qui conta solo la maglia, come una volta”

Il reportagePoveri ma belli

MANCHESTER

R osso Bianco Nero 1878. La scritta èin italiano. Curioso, in uno stadio dicalcio inglese. Jane, biondissima,over 40, occhi azzurri, è venuta a ve-

dere l’Fc United of Manchester. Che è cosa ben di-versa dal glorioso Manchester United. Non sa per-ché la scritta sul suo cappello sia in italiano. «Soperò il motivo della data. È l’anno in cui fu fondatala mia squadra del cuore. Una squadra che, pur-troppo, per me è morta».

L’Fc United, il nuovo club di Jane, è nato dopouno straziante scisma dal Manchester United, al-lenato fino a poco tempo fa dal leggendario Sir AlexFerguson — la sua autobiografia, La mia vita, sta

spopolando ovunque — e fondato, appunto, nel1878. Le due squadre, stessi colori (“Rosso BiancoNero”, che è anche una marca di accessori sporti-vi), un tempo erano una cosa sola: tutti uniti con-tro i “cugini” del Manchester City, l’altra ricchissi-ma squadra di Manchester, ora in mano agli sceic-chi arabi. Fino a quando una frangia di tifosi ha det-to basta. E ha “rifondato” lo United. Questo perchéJane e gli altri sostenitori dell’Fc sono molto pas-sionali, nonché inorriditi dal calcio moderno,quello dei cento milioni di euro spesi dal Real Ma-drid per Gareth Bale. Alcuni loro slogan ricordanocerti ultras italiani. Ma qui nessuno pensa a di-struggere: niente minacce — da noi l’ultima vitti-ma è stato il presidente della Lazio, Lotito, in diret-ta — violenze o farse aberranti come nell’ultimo

derby Salernitana-Nocerina. Qui i fan pensano acostruire.

Il match comincia alle 19,45, tra mezz’ora. Dilu-via. L’Fc United deve vincere contro il Trafford persperare nella promozione in sesta serie. Intanto,nella città di Morrissey, Oasis e Joy Division, gli al-toparlanti (difettosi) dello stadio strepitano Kni-ghts of Cydonia dei Muse. Una canzone che fa:“Dobbiamo combattere per sopravvivere”. L’FcUnited è nato per questo: combattere per soprav-vivere al calcio moderno. Ma in nome della demo-crazia, della solidarietà e contro ogni razzismo o di-scriminazione, come si legge nel manifesto di fon-dazione e sugli striscioni. Perché il tifo, come hascritto Nick Hornby in Febbre a 90, “non è un pia-cere parassita. Il calcio è un contesto in cui guar-dare diventa fare”.

Per capire davvero la sfida dell’Fc United, però,bisogna scovare la sua sede sociale. Pollard Street,numero 77. Siamo negli Ancoats, ex cuore ultra-in-dustriale di Manchester. Qui, fino al secolo scorso,il cielo era trafitto da cocenti ciminiere rosse, mu-se di Friedrich Engels per La situazione della classeoperaia in Inghilterra (1844) e di Charles Dickensper Tempi difficili (1854). Oggi avanza invece unafalange di costruzioni trasparenti, postmoderne,multicolor. Giallo, verde, grigio. Blu. Poi però,spingendosi verso il 77, Pollard Street reindossa se-coli scaduti. Spuntano fabbriche ustionate e deso-late, rottami di storia che resistono in questa en-clave anacronistica e ribelle. Ribelle come tutta lastoria di Manchester, fortino dei primi congressisindacali, sinistra inglese, suffragette e movimen-ti femministi. Il numero 77 è una fabbrica di vesti-ti dismessa che si chiama “Hope Mills”, “mulinidella speranza”. Scheletro ocra, detrito dell’animaoperaia dell’Inghilterra. La strada è deserta, se nonfosse per un vecchio con una lattina di birra — e so-no le 11 di un mattino limpido. Trappole per topi,scale umide. Poi, una porta nera, con scritta rossae fiera: «Fc United of Manchester».

Andy Walsh, cinquantun’anni, fervido sociali-sta e sindacalista, è il presidente dell’Fc United, in

ManchesterSocialClub

Il controcalcio dei tifosi ribelliANTONELLO GUERRERA

SUGLI SPALTII tifosi dell’Fc Unitedritratti da Jason Downesallo stadio Gigg Lane di Bury,hinterland di ManchesterAttendono di avere un proprioimpianto da diecimila posti

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quanto eletto dai tifosi. Perché le entrate del club sibasano sulle donazioni dei suoi sostenitori che, aloro volta, hanno diritto di voto su ogni decisionedella società. «Questi sono i nostri principi», diceWalsh, «il calcio deve tornare ai tifosi. Perciò ab-biamo abbandonato il glorioso United. I Glazer so-no stati solo l’affronto finale. Ferguson era l’unicoche poteva opporsi, ma ha preferito piegarsi peravere più potere». Il 2005 è l’anno zero di questastoria. I Glazer, una ricchissima famiglia di im-prenditori americani, conquistano il ManchesterUnited. Contro «gli speculatori» si scagliano i tifo-si più tradizionalisti, esasperati dal rincaro dei bi-glietti, dalla «mercificazione dei valori», dal divie-to di tifare in piedi nel monumentale stadio OldTrafford, dalla mesmerizzante Sky Sports, dai piùdi venti milioni di euro all’anno per il bomber Way-ne Rooney. «Basta, ce ne andiamo». Detto, fatto:colletta di centomila sterline e nasce l’Fc United.Primo comandamento: niente sponsor. Altra dif-ferenza: «L’Fc United è una società fieramente no-profit», dice Walsh «poiché ogni ricavo viene re-in-vestito nella squadra». «Scopo di lucro zero», comerecita uno striscione, anch’esso in italiano, dei tifo-si dell'Fc, che barattano slogan con gli altri colleghiinternazionali. E ancora: la media ingaggio è di 600sterline al mese per i titolari (le riserve vengono pa-gate a gettone, ma tutti sono semi-professionisti).Infine, prezzi accessibili a tutti. L’abbonamentoannuale costa 150 sterline, quanto una trasferta aLondra per vedere Chelsea-United. «Ma», precisasubito Walsh, «se il tifoso non ce la fa, paga la metà.O anche meno. Perché noi siamo una comunità».Già, comunità. Per i tifosi dell’Fc United è questo ilverbo. Si va dal volontariato, cruciale per tenere inpiedi la baracca, ad audaci progetti di recupero digiovani scapestrati, alfieri dei «comportamenti an-tisociali» esorcizzati da Tony Blair e raccontati daMartin Amis. E poi sta arrivando uno stadio tuttonuovo, da diecimila posti — in gran parte finan-ziato da Stato e Comune. «Sarà il test decisivo pernoi», dice Walsh. Perché al momento l’Fc Unitedgioca, in affitto, sul campo del Bury, cittadina sa-

tellite della galassia metropolitana di Manchester.Allo stadio Gigg Lane sta per iniziare il match

contro il Trafford. L’Fc United, dopo molte pro-mozioni, è in settima serie. Ma negli ultimi tre an-ni ha drammaticamente perso tre finali di fila persalire di categoria. Il Gigg Lane, rispetto ai superbiOld Trafford e Etihad — lo stadio del City — è unmesto container blu, soffocato in una periferiaanestetica. La pioggia ora frulla furiosa. Ma questo— ed è un martedì sera — non scoraggia oltre due-mila tifosi. Uomini, donne, famiglie, bambini, vec-chi, ospiti, tutti insieme, senza recinti. Davanti al-l'ingresso centrale dello stadio c'è un candido ten-done di fortuna (dove però si può pagare con cartadi credito) che vende sciarpe e cappelli a 7 sterline.Tra i corridoi del Gigg Lane circola un’aria acida efritta, affogata in fiumi di birra ale. Sky Sports, no-nostante la fatwa purista, lampeggia tronfia suglischermi. Chris, donnona capelli mogano e cartoc-cio di patatine, è radiosa: «All’Old Trafford non era-vamo più tifosi, ma clienti. Il Manchester United èstato un grande amore. Ora amo l’Fc».

La partita contro il Trafford è l’appannato spec-chio di una stagione complicata. L’Fc pareggia 1-1, pur dominando. A fine gara scrosciano comun-que gli applausi. Prima di andar via, John Davies,poliziotto, padre del numero 6 Tom e tuttora tifo-so del grande Manchester United, ammette: «An-ch’io oramai comincio a preferire l’Fc. Qui il calcioè più vero. Qui mio figlio gioca per la maglia, nonper soldi». La folla, intanto, si sgretola verso le au-tomobili. Dal Gigg Lane, a differenza del comodoOld Trafford, il metrò per tornare a Manchester è acirca venti minuti a piedi. L’unico segno di vita lun-go il tragitto è un ristorante italiano, “Santino”. Lapioggia è cessata. Non il vento, che ruggisce l’ecodel coro più amato dai tifosi dell’Fc, oramai tatua-to su questa strana serata inglese. «Glazer whereever you may be, you bought Old Trafford but youcan’t buy me». E cioè: «Glazer, ovunque voi siate,avete comprato l’Old Trafford, ma non potrete maicomprare me».

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Un ultras chiamato Ken Loach“Riprendiamoci il pallone”

L’intervista

IN CAMPOLa squadra dell’Fc United,qui a destra, ha fallito tre finaliconsecutive per la promozionein sesta divisione:ora sta inseguendo la quarta

«L’FC United? Per quanto mi riguarda è un esempio non solo per il calcio, ma perl’intera società contemporanea». Ken Loach, il grande “regista operaio” in-glese, settantasette anni, appena insignito a Berlino dell’Orso d’oro alla car-

riera, è molto affezionato ai “ribelli rossi” dell’Fc. Nel suo Il mio amico Eric, anno 2009, pro-tagonista Eric Cantona, attaccante francese ed ex capitano del Manchester United, c’era-no anche loro. In un’esilarante scena del film, mentre in tv al pub c’è il Manchester Uni-ted, un tifoso dell’Fc critica gli ex sodali «rimasti con il più forte» per poi festeggiare insie-me a loro il gol della sua vecchia squadra. «È un’emozione che provano tanti tifosi dell’Fc,sa?», conferma Loach. «Io stesso tifo Bath City, la città dove vivo, ma non ce la faccio a nonseguire il grande calcio. È triste, ma è così. E poi del resto molti inglesi tifano per due squa-dre, una locale e l’altra ricca e famosa. Siamo fatti così».

Quando si è appassionato all’Fc United?«Ho seguito la vicenda dall’inizio, sin da quando, nel 1998, Rupert Murdoch provò, sen-

za successo, a comprare il Manchester United. Poi sono venuti i Glazer, la rivolta e tutto ilresto».

Che cosa l’ha colpita di più dei tifosi?«Il loro senso della comunità, la voglia di rigenerare la società aiutandosi l’un l’altro. Ma

anche il loro approccio politico. Si dice che la sinistra sia finita, invece è sempre lì, maga-ri meno visibile, ma sempre viva. Storie come queste rappresentano una grande speran-za di cambiamento contro il calcio degli speculatori e degli oligarchi. Perché il calcio hasenso solo se appartiene ai tifosi, suoi unici custodi».

Quanto ha influito secondo lei la storia ribelle della città di Manchester su quella del-l’Fc United?

«Non poco. Ma esperimenti simili stanno attecchendo anche in aree meno politicizza-te. Pensi solo all’Afc Wimbledon, una squadra rifondata dai tifosi a Londra, in un tipicoquartiere middle class».

Non teme che squadre “popolari” come queste, dovessero arrivare un giorno al cal-cio che conta, diventerebbero come le altre?

«No. Quando ci sono gli ideali questa eventualità non è possibile».(a. g.)

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

Un secolo fa, poco prima di scrivere “Le basi scientifichedel fascismo”, inventò un indice statisticoper calcolare il grado di diseguaglianzasociale.Un metodo ancora oggi usato in tutto il mondoda politici ed economisti. Soprattutto progressisti

La storiaParadossi

L’

È il coefficiente di Gini, quello che soprav-vive in modo davvero sorprendente. Anchecoloro che ne denunciano i limiti, finisconoper proporne una versione allargata. Cosìnegli ultimi decenni sono nati coefficienti diGini che oltre al reddito misurano le dise-guaglianze in termini di accesso all’istruzio-ne; di mobilità sociale; di opportunità. Laforza di quell’indice prescinde dal paese incui è nato: l’Italia figura molto male nelleclassifiche stilate con l’indice Gini, sia chemisuri le disparità nei redditi, sia per gli altriindicatori di mobilità e opportunità.

“eugenica”, derivata dalle sue idee sulla de-mografia e la natalità, ebbe ampia diffusionenel mondo intero. Gini dava una veste stati-stico-matematica alla visione di OswaldSpengler sul declino dell’Occidente. Per loscienziato italiano le nazioni nella loro giovi-nezza hanno alti tassi di fertilità e natalità,poi con il benessere subentra la denatalità, acominciare dalle classi sociali più elevate:donde lo stadio finale della decadenza, in cuile nazioni senescenti soccombono inevita-bilmente nella competizione con quelle piùgiovani.

Un altro aspetto curioso della biografia diGini, al crepuscolo del fascismo, fu la suaadesione al Movimento Unionista, che pro-poneva l’annessione dell’Italia agli StatiUniti. E non solo dell’Italia. In effetti per gliUnionisti, che adottarono come emblemi labandiera Usa a stelle e strisce, più quella ita-liana e una carta geografica mondiale, gliStati Uniti avrebbero dovuto annettersi tut-te le democrazie del pianeta e diventare difatto un governo mondiale. Il movimentoebbe breve durata, si sciolse nel 1948, e nonrisulta aver mai goduto di appoggi da partedi Washington.

za tutti i battelli, sia gli yacht che le barche deipescatori. Siamo comunque sempre all’in-terno di una realtà descritta da Gini.

Il paradosso che ricorda il Wall Street Jour-nalè che lo stesso statistico, riverito dal pen-siero progressista del terzo millennio, eral’autore di un saggio intitolato Le basi scien-tifiche del fascismo (1927). Fu ben ripagatodal regime: Benito Mussolini ne fece il presi-dente dell’Istituto Centrale di Statistica. IlDuce era influenzato dal pensiero di Gini so-prattutto sulla demografia. Già nel 1912,scrivendo I fattori demografici dell’evoluzio-ne delle nazioni, Gini aveva teorizzato l’im-portanza della natalità elevata, della crescitadella popolazione, come motore di dinami-smo. E il fascismo in seguito si sarebbe im-pegnato su quella strada, con politiche di in-centivo alle nascite. La fede fascista di Gini gliprocurò qualche guaio al termine della se-conda guerra mondiale: il 6 novembre 1944dovette dimettersi da tutti gli incarichi acca-demici in attesa della conclusione del pro-cesso sulle sue responsabilità durante il regi-me, il 24 gennaio 1945 fu sospeso senza sti-pendio per un anno. Ma al termine di un ri-corso, il 17 dicembre 1945, Gini fu di fattoprosciolto da tutte le accuse con la decisionefinale di non procedere nei suoi confronti.L’anno seguente riprese a insegnare, nel1949 tornò a presiedere la Società Italiana diStatistica, fino alla sua morte.

La riabilitazione di Gini non stupì nessu-no, né in Italia né all’estero. La sua staturascientifica era straordinaria, riconosciutaben oltre i confini d’Italia e d’Europa. Consi-derato come uno dei più grandi statistici ditutti i tempi, erede e continuatore della tra-dizione di Vilfredo Pareto, nel 1920 era statoeletto membro onorario della Royal Statisti-cal Society britannica. Ebbe lauree ad hono-rem da università di tutti i continenti, inclu-sa Harvard. Le sue teorie facevano presa benoltre i seguaci del fascismo. La cosiddetta

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NEW YORK

una delle frasi più celebri del-l’economista John MaynardKeynes. Esprimeva così il do-minio spesso inconsapevoleche le ideologie antiche eser-citano sui governanti: «Uomi-

ni pratici, che si ritengono immuni dalle in-fluenze intellettuali, sono spesso gli schiavidi qualche economista defunto». Che sor-presa, scoprire che i leader americani sonoschiavi di uno statistico defunto. Per di piùitaliano. E fascista. È il Wall Street Journal aricordarcelo cogliendone l’ironia, con un ar-ticolo intitolato “Obama’s Favorite Gini”. IlGini tanto amato da Barack Obama è Corra-do, lo scienziato nato giusto centotrenta an-ni fa, nel 1884, a Motta di Livenza in quel diTreviso, e morto nel 1965. Il presidente Usasi affida al “coefficiente Gini” ogni volta chevuole attirare l’attenzione sulle disegua-glianze sociali. E lo fa sempre più spesso.Nell’Obama-pensiero c’è stato un crescen-do, durante la seconda campagna presiden-ziale (2012), poi negli ultimi discorsi dell’I-nauguration Day (2013) e sullo Stato dell’U-nione (2014). «Il Sogno Americano non è piùalla portata di tutti, le diseguaglianze sonocresciute in modo abnorme», ripete il presi-dente. E giù a citare statistiche che sono tut-te riconducibili a quell’indicatore: il coeffi-ciente Gini, che dal 1912 è lo strumento sta-tistico più autorevole, più universale, più at-tendibile per misurare la distanza tra i ricchie i poveri. O meglio ancora la “dispersionestatistica” che descrive accuratamente le di-stanze tra tutti i redditi.

Più di recente Bill de Blasio, il neosindacodi New York, ha impostato la sua trionfalecampagna elettorale usando le stesse stati-stiche. Diversi premi Nobel dell’Economia,come Joseph Stiglitz, Paul Krugman,Amartya Sen, insistono sui pericoli di una“deriva delle diseguaglianze”, che non è sol-tanto inaccettabile eticamente e politica-mente, ma impedisce una ripresa economi-ca sana, solida e sostenibile. E giù a citare ilcoefficiente Gini, tutti quanti: è in quel nu-mero la conferma scientifica e indiscutibileche le diseguaglianze sono aumentate, sia inun trend secolare (dall’inizio del Novecen-to), sia in un arco di tempo più recente (l’ac-celerazione dagli anni Ottanta a oggi che haproiettato un’élite di ricchi verso la strato-sfera, mentre l’intero ceto medio ristagna).

Ma anche la destra neoliberista si guardabene dal contestare Gini. Il contro-argo-mento dei nipotini di Ronald Reagan è un al-tro: il coefficiente Gini ci dice che la Franciacon la sua aliquota marginale Irpef al 75 percento è meno diseguale degli Stati Uniti, maquesto non basta per combattere la disoccu-pazione giovanile francese. Meglio esserepiù diseguali, ma tutti un po’ più ricchi: è lametafora reaganiana dell’alta marea che al-

Uomocoefficiente

*CORRADO GINI

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I GRAFICIA destra la rappresentazione graficadell’indice creato da Corrado Gini(foto in alto): è un coefficiente che misurala diseguaglianza nella distribuzionedella ricchezza. A sinistra dal basso,una mappa del mondo colorata in baseai diversi indici nelle diverse aree;la classifica europea; l’indice Gini in Italiadal 1984 al 2010 (il diagramma in bassodimostra che, dopo la tassazione,il reddito medio viene ridistribuitoe diminuisce la sperequazione)

ÈFEDERICO RAMPINI

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Basta un semplice confronto tra due percentuali, adesempio tra il 20 per cento più ricco della popolazio-ne mondiale e l’80 per cento delle risorse del pianeta

che esso consuma, per esprimere in maniera precisa e con-creta la grave disuguaglianza esistente oggi nella distribu-zione della ricchezza del mondo. Volendo essere più preci-si e articolati, bisogna però usare informazioni più detta-gliate: nel 1905 l’economista statunitense Max Lorenz pro-pose quindi, in un articolo intitolato “Metodi per misurarela concentrazione della ricchezza”, di considerare quelleche oggi si chiamano appunto curve di Lorenz.

Si tratta delle curve che descrivono le percentuali cre-scenti della ricchezza possedute da percentuali crescentidella popolazione, partendo dal basso: cioè, da chi ne pos-siede di meno. Queste curve cominciano e finiscono sem-pre allo stesso modo, a causa del fatto che lo 0 per cento del-la popolazione possiede ovviamente lo 0 per cento della ric-chezza, e il 100 per cento ne possiede invece il 100 per cen-to. Per il resto, ciascuna curva differisce a seconda della re-gione geografica, del momento storico e del tipo di ricchez-za considerata: ad esempio, se il patrimonio o il reddito, e seal lordo o al netto dalle tasse.

Ci sono due tipi estremi di curve di Lorenz. Nella direzio-ne della completa uguaglianza, c’è la retta a 45 gradi che de-scrive la distribuzione perfettamente uniforme della ric-chezza: cioè, quella in cui non solo il 20 per cento della po-polazione mondiale consuma il 20 per cento delle risorse,ma ogni percentuale della popolazione consuma la corri-spondente percentuale delle risorse. Nella direzione dellacompleta disuguaglianza, invece, c’è la curva piatta in cuinessuno possiede niente, eccetto uno che possiede tutto, eche fa schizzare la curva al suo massimo nell’ultimo punto.

Le curve di Lorenz, che nel concreto si situano sempre fraquesti due estremi, misurano nel dettaglio la concentrazio-ne della ricchezza in una data situazione, ma lo fanno alprezzo di infinite informazioni: una per ciascun valore per-centuale della popolazione. Nel 1912 lo statistico italianoCorrado Gini propose dunque, nell’articolo “Variabilità emutabilità”, di estrarre da ciascuna curva di Lorenz un’uni-ca informazione cumulativa, che oggi si chiama appuntocoefficiente di Gini, e si ottiene misurando la percentualedell’area compresa tra la curva data e quella a 45 gradi, ri-spetto all’area compresa tra quest’ultima e la curva piatta.

Poiché si tratta di una percentuale, il coefficiente di Gini èsempre un numero compreso fra 0 e 1, che si può riportarepiù comodamente a un numero fra 0 e 100 moltiplicandoloper 100, appunto. E poiché esso misura quanto la corri-spondente curva di Lorenz si discosta dalla completa ugua-glianza nella distribuzione della ricchezza, più è grande ilcoefficiente e maggiore sarà la disuguaglianza, e viceversa.

Il vantaggio del coefficiente di Gini è che esso rispecchiala distribuzione della ricchezza in maniera più raffinata diquanto non facciano indicatori più rozzi quali il prodotto in-terno lordo di una nazione, che non dà nessuna informa-

zione sulla distribuzione, o il reddito pro capite, che ne dàsolo una rudimentale: quella statistica secondo cui, se unapersona mangia un pollo e l’altra no, ne mangiano in mediamezzo ciascuno.

A questo punto non rimane che mettere in pratica la teo-ria, e vedere qualche caso concreto. Ad esempio, nell’interomondo il coefficiente di Gini è salito da 43 a 71 nel periodotra il 1800 e il 2000: dunque, negli ultimi due secoli l’incre-mento di ricchezza prodotto dalla Rivoluzione Industrialeha molto accresciuto il divario fra ricchi e poveri. Lo stessoeffetto si è avuto negli Stati Uniti, dove il coefficiente è salitoda 39 a 48 nel periodo tra il 1970 e il 2010, a causa del dimez-zamento dell’aliquota massima delle tasse. In Italia, invece,l’aumento della pressione fiscale ha mantenuto nel periodotra il 1980 e il 2005 il coefficiente del reddito netto quasi sta-bile, tra 31 e 34, mentre quello del reddito lordo saliva da 42a 56: cioè, le alte tasse hanno agito da riequilibratore socialedella ricchezza.

Guardando agli stati del mondo, ci si accorge che il coef-ficiente di Gini permette di classificarli in ordine decrescen-te di democrazia distributiva. I coefficienti sono minimi neipaesi scandinavi, e bassi in Europa, Canada e Australia. Cre-scono a valori medio-bassi in Russia, India e Giappone, emedio-alti in Stati Uniti, Messico e Cina. E arrivano a valorialti in Brasile, e massimi in Centrafrica e Sud Africa. A con-ferma del fatto che ricchezza e giustizia sociale sono cosenon solo ben diverse, ma anche ben quantificabili.

Cosa si nascondedietro quella curva

PIERGIORGIO ODIFREDDI

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Il fascistache misuraval’ingiustizia

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SpettacoliEretici

Camille PagliaIo sto col rapperche odiale donne

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LA CONSACRAZIONENel 2003 vince l’Oscarcon Lose Yourself,miglior colonna sonoradel film su di lui 8 Mile

IL SUCCESSONel ’99 esce il primoalbum, Slim Shady LP,con il quale vinceràquattro dischi di platino

LA FAMIGLIASempre nel ’99 sposaKim Scott, dalla qualeaveva avuto una figliaNel 2000 divorziano

L’INFANZIAMarshall Bruce Mothers IIInasce a St Joseph,Missouri, 38 anni faCresce a Detroit

Finora non avevo mai preso sul serio Emi-nem. Nel corso che ho creato per gli stu-denti di musica della mia università, foca-lizzato sui testi delle canzoni, manifestoda tempo la mia insofferenza verso quel-la che considero la stagnazione dell’idio-

ma rap. Dai tempi dei primi classici del genere, comeFight the Power dei Public Enemy (1989) e Treat’em Ri-ght di Chubb Rock (1991), le canzoni rap davvero si-gnificative sono state molto poche. I bianchi che fan-no rap — Vanilla Ice, i Beastie Boys — li ho sempre con-siderati poco più che esibizionisti, giullari con la ma-no sul pacco. Ecco perché sono rimasta a bocca aper-ta, l’anno scorso, quando dalla radio della mia auto-mobile è rimbombato un pezzo straordinario. Era TheMonster, il duetto di Eminem con Rihanna, dove laparlantina furibonda e mitragliata di lui si alternavaalla corposa e malinconica voce da contralto di lei. Èstata come una rivelazione, una folgorazione di Paolosulla via di Damasco.

«Sono amica del mostro che sta sotto al mio letto / Va-do d’accordo con le voci dentro la mia testa». Come neiracconti dell’orrore dell’Ottocento, da Poe a Steven-son e Wilde, il mostro di Eminem è un doppio oscuro,il subconscio amorale o la vita dei sogni da cui l’artistatrae ispirazione. Rihanna apre la canzone e si inseri-sce più volte durante il pezzo, chiudendo le frasi diEminem come se fosse la sua vita interiore o la sua mu-sa. In tutti i suoi album, il rapper inserisce spesso vocifemminili liriche (Dido, Liz Rodrigues, Polina, SkylarGrey) per esprimere stati di sentimento puro, difficiliper un uomo.

Marshall Bruce Mathers III è nato a St. Joseph, nelMissouri, da un musicista ambulante, un uomo irre-sponsabile che abbandonò ben presto il suo unico fi-glio. La madre, Debbie Nelson, una donna incostantee umorale, che aveva diciassette anni nel momento incui lo partorì, non faceva che trasferirlo incessante-mente da una casa all’altra, tra Missouri e Michigan.Eminem, che quasi mai restava nello stesso posto perpiù di un anno o due ed era sistematicamente oggettodi prepotenze da parte degli altri bambini, sviluppòuna forma peculiare di immaginazione come difesacontro un mondo instabile. Lettore non lo fu mai, mada ragazzo era attirato dai fumetti e dal rap: il suo stilegli valse il rispetto dei coetanei per le strade di Detroit,in un quartiere abitato in massima parte da afroame-ricani di ceto medio-basso. L’instabile vita familiarecon sua madre si complicò ulteriormente quando leiaccolse una ragazza fuggita da casa, Kim Scott. Emi-nem aveva quindici anni e Kim tredici. Dopo alcunianni la loro amicizia divenne una storia d’amore. Eb-bero una figlia, Hailie, a cui fecero seguito due matri-moni turbolenti e due divorzi amari.

Eminem cercava di mantenere la sua famiglia conlavoretti vari: come racconta nel suo nuovo album,«spazzavo pavimenti, cucinavo hamburger e lavavopiatti». Il suo primo disco, registrato nel 1996 in un pic-colo studio di Detroit, vendette mille copie. Il secon-do, The Slim Shady Lp, prodotto dalla leggenda del rapDr Dre e pubblicato nel 1999, vinse quattro dischi diplatino. Trasformandosi incessantemente in SlimShady, il suo alter ego teppista e impasticcato, Emi-nem raggiunse fama mondiale.

In un film del 2002, 8 Mile(dal nome della strada chedivide i quartieri bene dal ghetto, sullo sfondo di unaDetroit in piena depressione economica), il cantanteinterpretò se stesso, con una Kim Basinger impressio-nante nella parte della sua caotica e ambigua genitri-ce. 8 Mileè un’avvincente ricostruzione della battagliadi un rapper bianco per farsi accettare da un pubbliconero ostile. Più di un critico ha paragonato Eminem aJames Dean, per la capacità di trasmettere un senso didolore e vulnerabilità sotto la sua impassibile ma-schera di coolness. Fu in quel periodo, stressato dalleriprese del film, che Eminem diventò dipendente dafarmaci come l’Ambien, il Valium e il Vicodin. Ingoz-zandosi ogni giorno da McDonald’s e Taco Bell, lievitòfino a superare i cento chili, diventando letteralmen-te irriconoscibile agli occhi dei fan. Un periodo, que-sto, che si chiuse nel 2007, quando rischiò di morireper un’overdose di metadone che lo obbligò a ripetu-ti ricoveri d’urgenza. I titoli dei suoi album successivi,Relapse (ricaduta) del 2009 e Recovery (guarigione) del2010 ne evocano il calvario prolungato.

È l’artista che ha venduto di più in questo millennio:115 milioni di copie. Ha vinto tredici Grammy e unOscar per la miglior canzone in un film. Nonostantetutta la fama e la ricchezza, però, la sua vita è rimastaimmutata. Coscienzioso padre single, vive ancora conHailie in una grande villa a Rochester Hills, vicino De-troit («Non potrò mai voltare le spalle a una città che miha creato», dice in una sua canzone). Ha in affido an-che la nipote dell’ex moglie, e il figlio che lei ha avutoda un altro uomo. Hailie, che adesso è una graziosabiondina di diciassette anni, recentemente è stata in-coronata reginetta del suo ex liceo. Gira voce che il rap-per stia costruendo a Kim Scott una casa nelle campa-gne intorno a Detroit, segnale che forse spera ancoradi riconciliarsi con lei. Ancora oggi, Eminem è una starriluttante. «Non sono uno che cerca attenzione», ha

CAMILLE PAGLIA

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‘‘

MaledettoE dalla nascita

sono stato maledettocon questa maledizione

di maledire

AccerchiatoL’anno scorso non ero nessuno

Quest’anno vendo dischiE ora tutti mi stanno intornocome se gli dovessi qualcosa

SdoppiatoIo sono il vero Slim Shadysì sono il vero Slim Shadytutti voi altri Slim Shadymi state solo imitando

MostruosoAvevo bisogno di qualcuno

che intervenissetra me e il mio mostro

e mi salvasse da me stesso

THE REAL SLIM SHADY2000

THE WAY I AM2000

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la Repubblica

Lui viene accusato da sempre di scrivere canzoni all’insegna della misoginiae dell’omofobia. Lei si autodefinisce “femminista dissidente”. Forse per questol’outsider bianco del rap ha fatto colpo sulla più grandestudiosa di cultura popolare americana.Che qui ci spiega perché l’ex ragazzo dei sobborghi di Detroit è più vittima che carnefice

L’AUTRICEIntellettuale e femminista, 67 anni,dal 1984 Camille Paglia insegnaScienze umane all’Universitàdelle arti di Filadelfia. Il suo libropiù noto è Sexual Personae: artee decadenza da Nefertiti a EmilyDickinson (Einaudi, 1990). L’ultimosaggio pubblicato in Italia si intitolaSeducenti immagini. Un viaggionell’arte dall’antico Egittoa Star Wars (Il Mulino)

LA CRISINel 2005 è ricoverato:dipendenza da sonniferiNel 2006 risposa Kim ma divorziano di nuovo

detto alla rivista Rolling Stone parlando della sua ri-servatezza nella vita privata. Con modestia disarman-te, nega di avere qualsiasi talento a parte il rap: «L’hip-hop è l’unica cosa che ho mai saputo fare».

Dalla sua nascita, nel Bronx degli anni Settanta, ilrap si è affermato in tutto il mondo come un generemusicale populista, usato anche da dissidenti politicicome affilato strumento di protesta. Le sue radici so-no riconducibili, attraverso il rhythm and blues afroa-mericano, all’Africa occidentale, con la sua tradizioneorale di bardi tribali (i griot). Una sua propaggine nar-rativa, il talking blues, ha avuto un’ottima fioritura nel-la musica country ed è stato praticato da musicisti folkcome Woody Guthrie e il suo accolito Bob Dylan.

Il rap emerse per la prima volta, sotto forma di jive,negli striduli dischi degli anni Venti: jive voleva direparlare a qualcuno o di qualcuno in modo offensivo oingannevole. Improvvisazione, aggressione, umori-smo e competizione si intrecciano nella storia del rap.Nelle battaglie di freestyle in cui si cimentava Eminemnella mensa della sua scuola o nelle sfide-maratona amicrofono aperto raffigurate in 8 Mile, il pubblico ridedi gusto quando un cantante fa a pezzi impietosa-mente un altro, e più la stroncatura è crudele meglioè. Il rap non è carino, non ha niente a che vedere con ladelicatezza borghese. Le scalmanate energie comichedel rap si nutrono ancora delle dozens, o snaps, le garea base di scambi di insulti in rima tipiche della culturaafroamericana e con esempi precedenti in Ghana e inNigeria, adottate ad ampio raggio dalle drag queen.

Esistono precursori caraibici del rap, in particolareil toasting giamaicano, in cui si parla o si scandisconoversi sopra un ritmo cadenzato fornito da un batteri-sta o da un dj. Non è un caso che il primo pezzo rap im-portante, The Message, del 1982, sia stato creato daGrandmaster Flash, originario delle Barbados e cre-sciuto nel Bronx. The Message è l’antesignano direttodei ruvidi tableaux vivants urbani disegnati da Emi-nem, con i loro vividi effetti sonori in stile radiofonicodi porte che sbattono, rumore di passi, colpi di pisto-la, pneumatici che stridono e sirene della polizia. Pa-radossalmente, la stragrande maggioranza degli ac-quirenti di album rap negli anni Ottanta e Novanta eracomposta da adolescenti bianchi, maschi e bene-stanti. Isolati in una cultura sterilizzata da centro com-merciale, cercavano nella remota vita del ghetto mo-delli di mascolinità che scarseggiavano alquanto nel-le loro case signorili e nelle loro scuole ipercontrolla-te. Perfino il loro modo di vestire — pantaloni cadentie scarpe da ginnastica sformate e slacciate — scim-miottavano l’abbigliamento degli ex detenuti di colo-re (cinte e lacci da scarpe sono vietati in carcere).

I rapper neri, con la loro spacconeria e il loro fallo-centrismo, diventarono per Eminem padri putativi,surrogati di una guida che nella vita reale il suo dead-beat dad (gergo Usa per indicare un padre divorziatoche non versa alimenti per i figli) non gli ha mai forni-to. Compaiono come ospiti d’onore, singolarmente ocollettivamente, in tutti i suoi album, primo fra tutti DrDre degli Nwa (Niggaz with Attitude), il prototipo delgruppo gangsta rap, fondato nel 1986 in un sobborgomalfamato di Los Angeles. Eminem assorbì diligente-mente dai rapper neri la retorica impudente e l’infa-tuazione per le armi da fuoco, e anche i loro atteggia-menti cinici verso donne e gay. Questi temi scottantidella musica rap scatenano regolarmente proteste,sia da destra che da sinistra. Nel 1985 Tipper Gore, mo-glie dell’allora senatore del Tennessee Al Gore, fu tra lefondatrici del Parents Music Resource Center, un’or-ganizzazione che puntava a richiamare l’attenzionesulla presenza di violenza, sesso e droga nella musicapop. Nonostante l’iniziale resistenza dell’industriadiscografica, che tacciava di censura queste contesta-zioni, il movimento ottenne l’introduzione di un si-stema di etichettatura abbastanza ragionevole, chesegnalava ai genitori la presenza di contenuti esplici-ti in un disco, e che oggi è diventata uno standard inmolti Paesi (è presente anche sui cd di Eminem).

All’inizio degli anni Novanta, C. Delores Tucker, ve-terana delle battaglie per i diritti civili e prima donnanera a ricoprire la carica di segretario di Stato dellaPennsylvania, attaccò il gangsta rap definendolo una«lordura pornografica» e fu arrestata più volte per pic-chettaggi di fronte a negozi di dischi a Washington.Durante le elezioni del 2000, quando il marito Dick eracandidato alla vicepresidenza, Lynne Cheney citòesplicitamente Eminem nella sua audizione di frontea una commissione del Senato: «Eminem non è il pri-mo rapper a crogiolarsi nella misoginia violenta, maha portato a nuovi estremi l’odio verso le donne e le de-scrizioni di azioni degradanti nei loro confronti». LaGlaad (Gay and Lesbian Alliance Against Defamation)attaccò Elton John per il previsto duetto con Eminemalla premiazione dei Grammy del 2001, e organizzòuna manifestazione a Los Angeles la sera della ceri-monia. Da parte sua, il rapper ha replicato nei propritesti in modo sferzante, tanto a Gore e a Cheney quan-to alla Glaad. Prima dei concerti di Toronto e Montreal(nel 2000), il procuratore generale dell’Ontario, a se-guito di una denuncia contro Eminem per incita-mento all’odio da parte di un’organizzazione per la vi-

gilanza sui media, cercò di impedirgli di entrare in Ca-nada perché nei versi delle sue canzoni esaltava «laviolenza contro le donne». I concerti si tennero comeprevisto. Un funzionario dell’immigrazione dichiaròal sito della rivista Nme: «Se dovessimo impedire di en-trare in Canada a tutti quelli che fanno brutta musica,avremmo almeno potuto evitarci la disco music».

A dispetto di tutto ciò, l’ultimo album, The MarshallMathers LP 2, con le sue tormentate oscillazioni trabramosia e disgusto, dimostra in modo eclatante co-me la visione delle donne di Eminem sia molto piùprofonda di quella dei suoi precursori e colleghi rap-per, incastrati in tediose formule di prodezze sessualimaschili e sculettanti compiacenze femminili. Ledonne in quanto soggetti forti quasi non esistono nelfilone principale del rap, che si è distanziato drastica-mente dal sofferto romanticismo del soul, quello diMarvin Gaye o Luther Vandross. I rapper neri si iden-tificano esclusivamente nel “clan” maschile: scatena-to, sfrenato, barbarico.

Ma Eminem è un solitario, a disagio in qualsiasigruppo. Nessun altro rapper di primo piano ha maiammesso le tormentate dinamiche emotive che luipropone da sempre nei suoi album. A dispetto della fa-ma di misogino senza cuore, Eminem è popolato didonne. Le donne lo inondano. Le sue livide, truculen-te fantasie — schiaffeggiarle, strozzarle, scotennarle,ucciderle con una motosega — sono l’impeto dispe-rato necessario per spingerle via, per liberarsi anchesolo per un istante del loro potere sulla sua coscienza.Più di una volta conclude canzoni di un’inquietanteviolenza con una digressione ammiccante: «Sto soloscherzando, signore, lo sapete che vi amo».

Anche gli attacchi contro i gay, con tutto quel frasa-rio di froci e finocchi, è un modo per marcare il terri-torio. Nell’autobiografica Rap God, dove passa in ras-segna la sua ascendenza rap e prefigura sicuro il pro-prio lascito, si descrive a sei anni come «un bambinopiccolo dall’aria gay / così gay che quasi non riesco a dir-lo con la faccia seria» (straight face: straight significaanche “etero”, ndt). In Brainless, dice che sembrava«un mollaccione fifone, una femminuccia», che gli al-tri bambini lo «comandavano a bacchetta». A diffe-renza di Lady GaGa, che proclama con faciloneria chegli omosessuali sono «nati così», Eminem riconoscel’esistenza di meccanismi sociali e, sì, di scelte in ma-teria di orientamento sessuale. La penso come lui: ilsesso è qualcosa di fluido e mutevole, e non può esse-re contenuto o fissato da categorie politicizzate. Il suonuovo album si conclude deliberatamente con unascenetta in cui Ken Kaniff, il suo comico personaggiogay, è seduto a contorcersi in un cesso pubblico fanta-sticando di un’orgia con diciotto uomini nudi. L’ulti-ma parola, Eminem la dà a una voce gay.

Con una chiarezza e un candore sorprendenti, neisuoi dischi il rapper di Detroit ci mostra l’intero spet-tro delle emozioni maschili, da un’amorevole tene-rezza verso i bambini a sproloqui ritmati di tradimen-to e vendetta. Vediamo la straziante ambivalenza cheè uno dei principali motori dell’arte ossessiva, da Mi-chelangelo a Picasso, il quale una volta disse: «Ci sonosolo due tipi di donne: le dee e gli zerbini». Da quandoha liquidato Freud con l’accusa di sessismo, il femmi-nismo ha abbracciato formule politiche miopi dive-nendo incapace di comprendere i dubbi, le paure e lecompulsioni della sessualità maschile, che si devemettere e rimettere alla prova.

Headlights, canzone dell’ultimo album di Eminem,è una toccante lettera di amore-odio per la madre, concui i rapporti non sono buoni e che tiene prudente-mente a distanza. «Ero io l’uomo di casa», dice rievo-cando l’insicurezza della sua infanzia. Le linee di con-fine rimangono indistinte nella sua vita amorosa: d’al-tronde sua moglie è emersa con sembianze di sorelladall’orbita della madre, e questo ha intensificato leenergie incestuose. La saga rap di Eminem è la sua Ca-sa di Atreo. Come nel ciclo mitologico greco, con i suoicannibalismi, tradimenti, ossessioni sessuali e sacri-fici umani, il rapper sembra lottare contro una male-dizione ereditaria: è perseguitato da erinni vendicati-ve, che penetrano nel suo cervello con le loro voci ca-stigatrici e ne fuoriescono in un rap convulso.

Se c’è in lui (e nei suoi testi) un punto debole, è in-vece la dipendenza da allusioni spontanee a una cul-tura pop oggi evanescente, fatta di celebrità di me-stiere, videogiochi, film d’azione e di fantascienza. Nevede la mediocrità: «Che cosa ne è rimasto?», chiede aproposito dei suoi rivali, assimilando sprezzante LadyGaGa a Justin Bieber. Mentre una come Lady GaGa siarruffiana i fan, incoraggiando il loro attaccamentosimbiotico a lei, Eminem imbocca la strada coraggio-sa del vero artista: sfida il pubblico a odiarlo. Varia condisinvoltura tra i gerghi delle diverse comunità, in-frange ogni regola del decoro. «Voglio scavare giù finoall’inferno!», tuona il maestoso coro di Wicked Ways,la canzone che chiude — non a caso — proprio questoultimo album.

(Traduzione di Fabio Galimberti)© Camille Paglia

The Sunday Times Magazine / News Syndication

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IL RITORNOA novembre 2013 esceThe Marshall MathersLP 2, subito in cimaalle classifiche

THE MONSTER2013

MARSHALL MATHERS2000

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LA DOMENICA■ 44DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

TRASPORTI DIFFICILILa Matternet sta creando

una rete di droni per il trasporto di beni

(fino a due chili di peso)in luoghi isolati senza stradeAd esempio per distribuirefarmaci nel Terzo Mondo

TRAPIANTI DI ORGANILa Organ preservation allianceè una associazione no-profit

che studia metodiper la conservazione

a lungo termine degli organiLo scopo è garantire

la possibilità di trapianti

RETI E SISTEMI DI COMPUTERComputer molecolari, quantici,nano computer, circuiti 3D; e ancora,potenzialità di ambienti computazionali,mondi virtuali, realtà aumentata,interazione umana. Fino al prossimointernet: semantico e interplanetario

NANOTECNOLOGIAAlla Singularity University si studiacome la tecnologia possa manipolareatomi e molecole. Applicando le scopertein tutti i campi, nuovi materiali e strumentiaumenteranno le capacità dell’uomoe svilupperanno nuove risorse sostenibili

Next

I CORSI

LE START UP

è unposto dove ti insegnano che tutto è possibile. Dove ti ripetono os-sessivamente, con l’ausilio di video ed effetti speciali, che se una cosala puoi immaginare, allora puoi farla. Dove ti convincono con grafici etabelle che un mondo migliore non solo è possibile: lo stiamo già co-struendo, non lo vedete? Quel posto esiste e non è Disneyland. È un’u-niversità. O meglio una specie di università, perché i corsi cambiano

in continuazione per star dietro al futuro che corre e quindi tecnicamente non puòessere accreditata. Ma si chiama lo stesso così: Singularity University. Occhio allatraduzione: non è una università singolare, cioè bizzarra, per quanto possa sem-brarlo. È invece la scuola della singolarità, cioè dove ci si prepara per quel momentoin cui l’intelligenza artificiale dei robot avrà superato quella di un cervello umanoe a quel punto il futuro diventerà imprevedibile. Quando accadrà? Su questo le pre-visioni divergono, ma una media ponderata indica il 2040: domani insomma. Ec-co, il cuore di tutto è proprio questo, il futuro. Sta cambiando a una velocità mai vi-sta prima, su questo siamo tutti d’accordo, e qui, alla SU, ti insegnano a non re-starne travolto anzi, “ad utilizzare scienza e tecnologia per risolvere i grandi pro-blemi dell’umanità” si legge a caratteri cubitali sul sito web. Quali problemi? Teo-ricamente tutti, dal riscaldamento globale alla fame del mondo passando per lacrisi energetica. Se puoi immaginarlo, puoi farlo. Lo diceva Walt Disney, ma que-sto non è più un cartone animato. È la nostra vita.

La Singularity University ha sede in un’ex base Nasa ora gestita dall’Ames Re-search Center. Sta in Silicon Valley, non lontano dalla ricca cittadina di MountainView, con una vista “spaziale” sulla baia di San Francisco. E infatti i nove avveniri-stici edifici che Google da un anno ci sta costruendo per trasferire parte del quar-tier generale, si chiameranno Bay View. Google nella storia c’entra: ha preso in af-fitto 42 acri di terreno nel 2008 e un pezzetto lo ha subito dato alla Singularity Uni-versity di cui è partner fondatore. Moffett Federal Airfield è l’indirizzo. Ma se sietein zona non potete sbagliarvi: la SU è in un hangar spettacolare che svetta sul de-serto delle piste (era la casa dello Space Shuttle).

È stata fondata da due guru del settore: Ray Kurzweil, il genio che prende centi-naia di pillole al giorno in attesa di diventare immortale; e Peter Diamandis, famo-so organizzatore di gare internazionali per invenzioni che cambiano il mondo, gliX Prize. I primi corsi partirono nel 2009 nell’incredulità generale. Anzi di più: glisberleffi. Il magazine californiano Wired pubblicò una lettera chiaramente apo-crifa firmata dal “cancelliere galattico” Kurzweil nella quale si parlava seriosa-mente di corsi “per masturbarsi col laser” e di domande epocali a cui rispondere

tipo: “C’è vita in altri pianeti? E se sì queste creature hanno buchi sessuali? E comeposso farci i soldi?”. Sfottò. Sfottò. E ancora sfottò. Da ricordare oggi solo per direche in appena cinque anni invece la SU è diventata una cosa seria, serissima. I cor-si base, dieci settimane durante l’estate, sono sempre esauriti. E da poco si sonoaggiunte durante l’anno quattro sessioni “executive”, in cui le dieci settimane ven-gono liofilizzate in sette giorni appena, dalla mattina alla notte. Il futuro senza re-spiro.

Che succede davvero in quei sette giorni nell’Hangar 1? Era un mistero. Ma que-st’anno alla sessione di febbraio c’erano anche quattro italiani: gli startupper Pao-lo Privitera, Matteo Sarzana e Max Ventimiglia e l’esperta di transmedia NicolettaIacobacci. E in attesa della singolarità, siamo nell’era dei social media. E così dallaSilicon Valley ogni giorni i nostri magnifici quattro scrivevano post febbrili ed ec-citati per darci la buona novella. Che può condensarsi nella frase che regge tuttol’impianto della SU: “Oggi tutti possono cambiare e migliorare la vita di un miliar-do di persone”.

Impossibile condensare a nostra volta la concentrazione di previsioni choc checostellano il corso accelerato. Ma sappiate che il futuro prossimo avrà robot gon-fiabili (economici, rapidi) e mucche con l’accelerometro al collo; turbine volanti estampanti 3D a energia solare che, combinate con le nanotecnologie, consenti-ranno di stampare tutto. Gli esoscheletri prenderanno il posto delle carrozzine. Èdalla salute che verranno le novità più strabilianti, pare. E se la previsione diKurzweil sul fatto che entro il 2050 potremo sostituire un singolo neurone con unnano-processore e avere un cervello più veloce, sembra fatta apposta per Star Treke la fantascienza; le cose dette sulla genomica vanno prese molto sul serio. Il sen-so è questo: “Ci saranno pubblicità che cambieranno in tempo reale quando le ve-drete in base al vostro Dna e ai fattori di rischio. Il vostro genoma sarà la moneta delfuturo: dove volete custodirlo? In banca? Sotto il cuscino? Pensateci”.

In questa abbuffata di tecno-ottimismo c’è spazio anche per le implicazioni eti-che e i risvolti negativi del progresso. C’è una curva che dimostra come ogni voltal’innovazione nella storia abbia portato l’alternanza di quattro fasi: prosperità, re-cessione, depressione e sviluppo. E questa volta? Che accadrà quando i robotavranno sostituito quasi tutto il lavoro e la vita si sarà allungata fin quasi a sfidarela morte? Saremo pronti a sostenere tutto questo? Pare che davanti a interrogativisimili anche i più entusiasti restino di sasso. Ed è qui che serve la capacità affabu-latoria di Peter Diamandis che con un video bellissimo spiega perché possiamofarcela. È il corso di “moonshot”, di colpi lunari, e spiega che il mondo lo hannocambiato quelli che hanno inseguito sogni apparentemente impossibili. Sempre.

Per attrezzarsi, gli ottanta studenti della SU la prima sera vengono messi a fareun test: si dividono in squadre e hanno diciotto minuti di tempo per costruire la piùalta struttura possibile con venti spaghetti, un cordino e un metro di scotch. In pa-lio c’è un piccolo elicottero drone con una telecamera HD. Per avvistare il nuovoche avanza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

RICCARDO LUNA

CONCENTRAZIONEÈ una della start up avviatedalla Singularity University La Focus@will sta creando

un servizio web che limita le distrazioni

sfruttando la neuroscienza

C’

AUTOMI SUBACQUEI La Aquatico sta lavorando su una piattaforma web

che usa robot sottomariniper l’esplorazione degli oceani

L’obiettivo è creareuna rete di avatar

per scoprire gli abissi

Tutto è possibileall’universitàpiù pazza del mondo

Nel 2040 i robot saranno più intelligentidegli uomini. E alla Singularity University,fondata da due guru visionariin California, si impara a prepararsiUtilizzando le nuove tecnologie per risolverei grandi problemi dell’umanità. Sul serio

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■ 45DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

ECO-ASTRONAUTILa Escape Dynamics

lavora in Colorado alla prima piattaforma

di lanci spaziali alimentataelettromagneticamente

per organizzareviaggi stellari sostenibili

PRESENZA VIRTUALELa Fellow Robots

è un’altra delle start up lanciate dall’università

Ha un obiettivo semplice:costruire robot affidabili,

economici e di alta qualitàper la telepresenza

ASTRO-STAMPANTILa Made in space ha l’obiettivo

di inviare stampanti 3D in una stazione spaziale,

per realizzare oggetti privi di gravità

Operativa tra qualche mese

LEZIO

NI

DI FU

TURO

SCAMBIO DI DATIPunta a rivoluzionare il mercato dei satelliti

È la Infinity Aerospace, che offre un servizio di trasmissione dati

tra la terra e lo spazioad alta velocità e a basso costo

MEDICINA E NEUROSCIENZALe sei aree di studio: cellule staminali e medicina rigenerativa; strumentidiagnostici non invasivi; nanomedicina;protesi neurali; wellness;potenziamento umanoanche con esoscheletri

ENERGIA E AMBIENTEIl consumo di energia sta esplodendoin tutto il mondo. A che prezzo? Questo corsorisponde alle domande sulle prossime scopertenel settore delle rinnovabili; il monitoraggiodella Terra con reti di sensori;la gestione dei rifiuti

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E ROBOTICAI robot diventeranno macchine intelligentie mobili. Già adesso hanno applicazioninella chirurgia e per molti veicoliCon quali implicazioni etiche?Cosa accadrà quando i computersorpasseranno il cervello umano?

BIOTECNOLOGIA E BIONFORMATICAQuattro i focus principali:sequenziamento genetico ultrarapidoe low cost; test genetici personalie per tutti; etica dellamanipolazioneselettiva di un gene;tecnologia dei microfluidi

SCARTI HI-TECHLa Blueoak Resources

utilizza tecnologie dell’industriamineraria per estrarre metallipreziosi dai rifiuti elettronici:

Il valore dell’operazioneè di 70 miliardi di dollari

DNA ARTIFICIALELa Cambrian Genomicssta realizzando il primo

sistema hardware/software per stampare il Dna

con un laser, a prezzi molto più bassi degli attuali

LEZIO

NI

DI FU

TURO

Page 12: LA DOMENICA - la Repubblica

«La fattucchiera aveva pregato davantia una immensa Madonna in una nic-chia-altare, aveva riempito il bambi-no Carvalho di segni della croce e diun profumino speciale da casalingaappena uscita dalla sua cucina, dove

senza dubbio stava preparando qualcosa con dell’alloro edel vino, perché la fattucchiera odorava di alloro e di vino».

Ne La rosa di Alessandria, Manuel Vázquez Montalbánimmagina per il suo detective afrori di carni brasate, vapo-ri odorosi di quelli che appannano i vetri, profumi carnali espeziati da acquolina in bocca. Del resto, questo è il com-pito delle erbe invernali: ridestare i profumi annichiliti dalfreddo, contrastare il pigro conformismo del comfort food,illuminare con uno squarcio di profumi i piatti più banali,far intravedere la luce della primavera in fondo al tunneldell’inverno. Resistere al gelo non è impresa per tutte le er-be. La maggior parte preferisce di gran lunga lo status di sta-gionale: semina in primavera, splendore estivo, saluti e ba-ci quando l’autunno non regge il calo delle temperature.Nel migliore dei casi, dopo un periodo di disperante sec-chezza, durante il quale nulla è dato sapere, appena il Ge-nerale Inverno si ritira le foglie tornano a far capolino.

Così, basilico e salvia — erbe aromatiche senza le quali lanostra cucina sarebbe molto più povera — vanno impri-gionati in extravergine o sale e poi congelati, per poterli usa-re nei mesi invernali, mentre prezzemolo e timo resistono,a patto di tenerli al fresco (non freddo). Il rosmarino, inve-

ce, se ne frega: estate e inverno sono variabili che non lo ri-guardano. E anche il mirto, la menta, perfino l’erba cipolli-na (a patto di non portarla sulle Dolomiti). La cosa straor-dinaria è che malgrado il termometro non si schiodi dai gra-di intorno allo zero, gli oli essenziali si spandono egual-mente nei tessuti fogliari, regalando profumo a mille ricet-te. Certo, le fragranze estive hanno tutt’altra prepotenza, oal contrario, più serica finezza. Ma basta usare qualche at-tenzione perché le erbe invernali concedano il meglio di sé,prima di tutto rispettando le temperature: gli oli essenzia-li, infatti, odiano gli umori bollenti. Il pentolino messo su unangolo del fornello, a fuoco lievissimo, qualche cucchiaia-ta di buon extravergine e le erbe dentro, a crogiolare lenta-mente senza tema di scottarsi — intorno ai 60º — per rega-lare all’olio un profumo meraviglioso, trasformandolo incondimento prezioso con cui battezzare zuppe, aromatiz-zare verdure, irrorare fette di roastbeef.

L’altra indicazione riguarda la scelta delle erbe, che do-vrebbero sempre essere biologiche, per ritrovare nel piat-to il gusto e non la chimica. Se avete dei dubbi, dissipatelileggendo la ventesima edizione di Tutto Bio, l’Italia del Bio-logico in un libro, a cura di Bio Bank, dove troverete tuttoquanto avreste voluto sapere sul biologico — compresi in-dirizzi di negozi, mercati, agriturismi certificati — e nonavete mai osato chiedere. Altrimenti andate al Naturalex-po, in questi giorni a Forlì, a fare provviste. Tornando a ca-sa, lascerete una scia golosa al vostro passaggio.

LICIA GRANELLO

Quel profumoscioglie il gelo

LA DOMENICA■ 46DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

Alloro, mirto, rosmarino, menta. Li riscopriamo nella stagione fredda quando la loro fragranza accende atmosfere primaveriliMa non tutti resistono all’inverno nello stesso modo. Bisogna saperli conservare bene

I saporiVerdi

ErbeTempo

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delle

Il

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LA RICETTA

Il carlofortino Luigi Pomataè uno dei più talentuosiinterpreti della cucina sardamoderna, che propone nel suo ristorante di CagliariQuesta la sua ricettaper i lettori di Repubblica

Fregolina, pesto di erba cipollina, vongole e burrata

Domenica in Sardegnaa svegliarci era il gatò

Nuciatac’addauruMiele, chiare a neve,pepe e zucchero a fuoco lieve, poi nocitritate. Spianare, infinetagliare in rettangolini da appoggiare su foglie d’alloro

MojitoFoglie di menthanemorosa, mezzispicchi di lime e zucchero di cannabianco leggermentepestati nel tumbler,poi ghiaccio spezzato,rum bianco e soda

Fagottinidi ricottaRicotta, Parmigiano,erba cipollina, spinacisbollentati e spadellatiper farcire i quadratidi pasta fillo. Chiuderecon uno stelo e infornare

Liquoredi mirtoBacche per due mesiin recipiente, copertecon alcol da dolci, poi spremute. Succounito con sciroppo di zucchero e l’alcoldella macerazione

CastagnaccioFarina di castagne,sale, olio e acqua per la pastella da stendere alta 1 cmnella teglia. Sopra,rosmarino, uvettaammollata, pinoli e altro olio

Sulla strada

MARCELLO FOIS

Preparare il brodo con un litro e mezzo d’acqua, pomodori secchi, prezzemolo,sedano e la cipolla tagliata a metà. Lavare e versare le vongole

in un tegame con poco olio, e appena cominciano ad aprirsi,incoperchiare e cuocere 3-4’, spegnere e far riposare

Filtrare il liquido di cottura ed eliminare le conchigliePulire l’erba cipollina, frullare con 50 cl. di olio, emulsionando

con 50 g. di ghiaccio, salare e pepare. Far dorare la fregolain poco olio, cuocere 6’ bagnando con il brodo e il liquido

delle vongole, poi aggiungere il pesto d’erba cipollina e lasciaresul fuoco altri 3’. Spegnere, versare le vongole nel tegame,

correggere di sale e pepe, mescolare con un filo d’olio. Servire rifinendoogni piatto con un cucchiaio di burrata frullata con la sua acqua

Ingredienti per 4 persone

320 g. di fregola sarda 150 g. di erba cipollina 200 g. di burrata 500 g. di vongole olio extravergine1 costa di sedano1 mazzo di prezzemolo1 cipolla piccola30 g. di pomodoro secco

■ 47DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

Se c’è una cosa che ci fa sentire tutti mediterranei èla qualità, direi quasi la complementarietà delrapporto tra l’olfatto e il gusto. Esiste un dolce, per

esempio, che si declina in varie regioni con poche va-riazioni, in Sardegna lo chiamiamo “Gatò”, in Sicilia“Nuciata c’addauru”. Non sono la stessissima cosa di-ranno i puristi, e di fatto non lo sono: nella versione si-ciliana c’è l’alloro diranno. Anche in quella sarda. Per lomeno in quello che si faceva a casa mia. La differenzasemmai è che noi non usavamo le noci, ma le mandor-le, col loro profumo di cianuro e colla midina, sbollen-tate, ma non troppo, giusto il tempo che occorreva perriuscire a spellarle per bene. Dal paiolo di rame il mielesobbolliva con zucchero e chiare montate a neve espargeva in casa quel profumo di sagra paesana che giàsazia a partire dall’olfatto. Si capiva immediatamenteche proprio l’antefatto olfattivo non fungeva solo dapreludio al sapore, ma era più che mai una parte stessadel sapore. Qualcosa di più che l’invitante profuminoche si spande nelle generiche cucine domenicali: il pro-fumo del gatò era già il gatò. Solo che allora non lo capi-vo. Non capivo, per esempio, perché fossero tanto pic-coli i rombi in cui veniva divisa la mattonella dell’impa-sto ambrato posata sul marmo freddo. Bisognava farein fretta, sezionarla finché non era diventata vetrosa.Ma bastava assaggiarne un frammento per capirequanta saggezza ci fosse in quelle porzioni, e per capireche quanto si ingoiava era semplicemente un bocconedi profumo e quello che passava dal naso era il gusto del-l’aroma. Piccoli rombi, non più grandi delle foglie d’al-loro, selezionate, ben lavate, profumatissime, sullequali venivano posati per servirli.

E c’era della saggezza in quella scelta, fossimo statisaggi noi bambini, avessimo dato retta a chi ci decanta-va la millenaria perfezione di quella proporzione fra gu-sto e olfatto, avremmo risparmiato molte indigestioni.

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Gli indirizzi

DOVE MANGIARELA GROTTA DEL TESORO Località Su Benatzu 12 DSantadi (Carbonia-Iglesias)Tel. 0781-955893Senza chiusura, menù da 25 euro

IL RUBINOVia Bari 6Capoterra (Cagliari)Tel. 070-721100Chiuso lunedì, menù da 30 euro

FRADIS MINORISLaguna di NoraPula (Cagliari)Tel. 070-9209544Chiuso lunedì, menù da 35 euro

DOVE COMPRARELA CASA DEL MIELEVia Is Collus 53Santadi (Carbonia-Iglesias)Tel. 0781-955787

AGRITURISMO SA TIRIA (con cucina e camere)Località Sa Tiria ss. 195, km 67.500Teulada (Cagliari)Tel. 070-9283704

SU NURAGHE GELATERIAVia Nora 53Pula (Cagliari)Tel. 070-9209943

DOVE DORMIRESA CORTI DE SA PERDAVia Is Useis 17Piscinas (Carbonia-Iglesias)Tel. 0781-979095Doppia da 40 euro, colazione inclusa

S’ATTOBIU B&BVia Vittorio Emanuele 6Teulada (Cagliari)Tel. 340-4966016 Doppia da 60 euro, colazione inclusa

MARIN HOTELVia A. Segni 58Pula (Cagliari)Tel. 070-9208059Doppia da 95 euro, colazione inclusa

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RosmarinoMalgrado l’etimo

— rhus maris, arbusto di mare —

e la predilezione per le fasce costiere,

non teme il freddoBattezza focacce,

intingoli e pâté

MirtoLe bacche

dell’arbusto sacro a Venere, pianta-

simbolo della macchiamediterranea,

maturano in invernoOttimo per arrosti

e liquori

AlloroLe foglie

del sempreverdelaurus nobilis, con cuisi cingevano le teste

dei vincitori di cimentisportivi e poeti

(laureati), profumanocarni e ortaggi

MentaPiperita, longifolia,spicata, acquatica:

tante varietà per l’erba infestante

perenne, dalle spiccate

virtù digestive,disinfettanti e calmanti

ErbacipollinaDai piccoli bulbi

nascono le foglie a stelo con cui legare

fagottini e involtinivegetariani. Le foglietritate aromatizzanoburro, salse e frittate

Con agnelloCostolette d’agnellosu un letto di erbearomatiche fresche

Page 14: LA DOMENICA - la Repubblica

LA DOMENICA■ 48DOMENICA 23 FEBBRAIO 2014

la Repubblica

“Gino Paoli diceva che nelle mie manipoteva starci il mondo,Strehler che avevo un bel culoma anche che ero intelligente:non ci ho mai creduto davvero,

almeno però l’ha detto”Confessioni sparseprima dell’ultimo tour di una carriera passatadal Piccolo Teatro a Dio,dalla Mala milanese

a Gil Evans. Senza nostalgie:“Ho ottant’anni, lo so,non si vede ma ce li ho”

MILANO

Ecco, spiega, e afferra la se-dia. La alza con due dita ela sedia va su — legittimo aquel punto un attimo di

inquietudine. E dice: «è una seggiolachiavarina, ovvero di Chiavari, specia-lità del luogo, fatta come una volta, leg-gera e robustissima, artigiani fantastici,un mondo che era fatto come si deve ec’erano questi artigiani».

Ornella Vanoni a quel punto mettegiù la sedia, ride e si sospira tutti, perchél’oggetto di metafora è lì a portata di ma-no, nella nuova casa milanese. Grantempi quelli degli artigiani, nelle sedie ealtrove: ma pur di non concedere nean-che un’unghia al nostalgismo e al ricor-do che si appallottola nel ricordo, lei,Ornella, prende e va. In tour, da giovedì:a Gallarate, minimo rodaggio in pro-vincia, poi il 3 marzo Roma, al Sistina.Alla vigilia — diciamolo — degli ottanta(«Non si vede ma li ho, che devo fare?»).Con un’ansia pazzesca dovuta alla per-cezione della stanchezza, quella — le sifa notare — che magari anche a cin-quanta avverti già pesante e lei ti dice:mavalà (aggiunta: «Ma ha un’idea di co-sa combinavo io a cinquant’anni?»).

Il tour ha un titolo, Un filo di trucco eun filo di tacco, ed è una sentenza cele-bre ripetuta a Ornella dalla sua mam-ma, ai tempi, all’infinito. Il punto è chenon è, come potrebbe sembrare, un in-vito alla sobrietà e al non esagerare,bensì il consiglio deciso sull’esseresempre a posto e presentabili, in ogni

occasione. Bei tempi, certo, quelli là,ma vuoi mettere andare in tour ora?Ascoltarla per credere, per esempio ilsuo recente Meticci, raffinato pastichedi cose allegre e profonde: la voce.Quella voce che ti butta freschezza ad-dosso, da non credere. «Anni fa mi tro-vano un “cosetto” in zona corde voca-li, vado a Lione dal migliore specialista,mi opera: alla fine mi dice, “signora,mai viste corde vocali così”». Voce datrentenne da spendere ancora una vol-ta in giro per l’Italia, per un’impresa de-finita in origine “L’ultimo Tour”. Be’.«Come tour è sicuramente l’ultimo, madi smettere di cantare non ho la mini-ma intenzione. L’altro giorno ci scher-zavo su con De Gregori al telefono. Ri-do molto con lui. Ah ecco, lo scriva: so-no anni che mi ha promesso una can-zone, Francé, qua ti devi sbrigareperò». E ride da trentenne, mentre arri-va un ricordo via l’altro. Mi scusi, han-no appena fatto tre sabati sera su Raiu-no con Massimo Ranieri, non sarebbeora anche per lei una consacrazionecome questa? «Bello, ma io non sonoabbastanza nazional-popolare». Vera-mente a leggere le cifre di vendita deidischi di una volta… «Tutti uomini checompravano. Piacevo da pazzi agli uo-mini — lo sa, vero? — e le donne miodiavano. Solo quando arrivò L’Ap-puntamento ci fu una specie di plebi-scito, ma fino a quel momento lo slo-gan delle donne al compagno era: nonguardare la Vanoni, sai, e dire che...». Edire che? «E dire che io cantavo storie eimmagini di donne che soffrivano enon riuscivano a staccarsi, controver-se, complesse, ora non dico un model-lo per tutte, però…». Però. «Però che cipotevo fare, avevo tutto quello che pia-ceva agli uomini, ma proprio tutto sa? Epoi arrivò la svolta, la mia fisicità natu-rale messa in scena con il più grande ditutti nel teatro, un ambiente pazzesco,ho visto e partecipato a prove di spetta-coli da non credere, succedeva di tutto.E senza passare da nessuna gavetta.Ero invidiata, ovvio». Nonché insegui-ta dal mondo intero, con risvolti note-voli: poche settimane fa è andata ospi-te da Maurizio Costanzo nel suo pro-gramma notturno di Raiuno, e mentreil baffo fremeva per farle dire cose indi-cibili Ornella gli ha messo lì: «Be’, del re-sto ci hai provato anche tu, no? Ricordiquella cena al Palace di Milano...». Ilsuo Dna non glielo consente, ma si po-trebbe azzardare di aver visto Costan-zo arrossire, nell’occasione.

Prorompente e dirompente, al pun-to che restano anche oggi questioni insospeso su quel passato: «La vera do-manda è con che coraggio ho lasciatoStrehler e il Piccolo quando nell’asce-sa di carriera e progetti il Maestro sta-va preparando cose enormi, che poi fe-ce con Milva». Già. E significa che laquestione resta irrisolta, così come, al-la fine, la complessità della questioneStrehler che oggi si può risolvere conuna battuta. «Abbiamo già detto quan-to piacevo agli uomini? Lui dopo il pri-mo incontro mi ha detto “hai un granbel culo”. Poi ha anche detto: “e seimolto intelligente”. Non ci ho mai cre-duto, ma almeno me l’ha detto».

La fisicità, appunto, e ripensi a quel-le due dita che sollevano la sedia, le di-ta sono quelle delle mani, grandi e sen-za fine, la fisicità naturale anche quel-la: «Gino Paoli l’aveva capito, mi dice-va che in queste mani ci poteva staretutto il mondo, e scriveva canzoni sul-le mie mani». Bei tempi e quasi sempreindicibili, ma un giorno Ornella si sco-pre attratta da Dio, quello dei prote-

stanti e in un’intervista dice: «Rinnegoil cinquanta per cento di quello ho fat-to nella mia vita». Conferma? «L’hodetto così, ma sicuramente era un belpezzo di vita, una parte molto precisa.Ci ripenso come se quella vita l’avessevissuta un’altra persona». Poi la que-stione con Dio, quello con cui a un cer-to punto bisogna provare ché non si samai, si è un po’ ingarbugliata: «Ma di-pende dalle persone, prima un preteche ti convince e poi non ti convincepiù, adesso vado a Sant’Eustorgio, c’èun bel gruppo di amici, un prete polac-co alto due metri». Proviamo anchecon lui, non si sa mai. «Fermo restandoche un Papa che dice “chi sono io pergiudicare?” ecco, come si fa a non ri-manere affascinate?».

Più futili, su. Ci sarebbe la questionedelle canzoni e se non lo sa lei non lo sanessuno: non è che sono già state scrit-te tutte, e da tempo? «Ma sì, ovvio che anoi piace pensarlo, ma quello che nonc’è più è un modo di lavorare e di pen-sare lo spettacolo che poteva esserci so-lo allora: usciti dalla guerra, l’entusia-smo, tutto da scoprire, tutto da racco-gliere. I talent show oggi li guardo, cer-to, vedo in giro gente che mi piace, Ma-lika, Arisa. La povera Amy Winehouse lasentivi e mica pensavi che la canzonenon c’è più, al massimo che prima c’èstata Ella Fitzgerald e poi è arrivata Amy,ma il mondo attorno è tutto meno in-tenso, meno voglioso di cose, più daproduzione che da creazione». Un’e-poca in cui dire cantanti donne italiane,be’, non era mica male: «Ero diversadalle altre, da una Zanicchi per esempiomolto più aperta ed estroversa: io ero ti-mida e scontrosa e ogni volta che c’erail concerto alla sera mi mettevo a pen-sare che magari nel pomeriggio venivagiù un pezzo di teatro e il concerto nonsi poteva fare». Mina, ecco, rivali? Mah.«Mina ha portato la gioia nella musica,io un po’ di intellettualismo, ci siamofrequentate, bei ristoranti e pranzi, poisuccedeva che entrava in scena il maz-zo di carte: io alla quarta carta mi ad-dormentavo, mai piaciuto e me ne an-davo a leggere un libro, ma mica perchéero superiore, mi andava così e a lei an-dava in un altro modo».

Si andrebbe avanti per ore e anchesolo con storie minime, visto che quel-le grandi attraversate da passioni, de-pressioni, dilemmi e, come da canzo-ne, Dettagli, sono state raccontate inlungo e in largo: ma il piacere è impa-gabile quando si rimane a discutere

per un quarto d’ora su chicche minimee clamorose di carriera, quella Rosset-to e cioccolato— quando aveva ancoraun senso erotizzare le canzoni e nem-meno troppo tempo fa — che Sorren-tino prese nelle Conseguenze dell’a-more e la mise nell’autoradio del ca-morrista e il camorrista si commuove-va alle lacrime. Belle cose e sensazioni.

La storia infinita e pazzesca è (anche)quella che attraversa i decenni con col-laborazioni e sensazioni musicali irri-petibili, negandosi pochissimo, la Ma-la, il Brasile, Vinicius, il jazz da lasciarecome campo aperto per cantare anco-ra in futuro — un disco recente live alBlue Note di Milano, ma vengono i luc-ciconi a sentirla raccontare di una lon-tana cosa in America, anni Settanta,una pazzia incosciente e allegra ap-presso a Sergio Bardotti (ecco, a propo-sito di quelli che non ci sono più) che laportò là per un disco con tipi come Her-bie Hancock e George Benson: «Poveri,eravamo pazzi, una notte gli abbiamodistrutto lo studio. Ogni tanto passavadi lì Gil Evans — (scusi, ha detto GilEvans?) — povero anche lui, ormai civedeva poco, si sedeva, ascoltava e di-ceva “The right notes in the wrong pla-ce”». Il posto sbagliato era lui, Gil, perl’impossibilità ormai di buttarsi dentroa quel gioco.

E proprio per ripristinare invece no-te giuste nel posto giusto, si va appun-to in tour. Recital di canzoni e parole,interlocutrice una luna là in alto in sce-na («La luna basta a se stessa ed è bellae basta»), freschezza di voce e che altroserve davvero?

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L’incontroSenza fine

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Ovvio che a noipiaccia pensareche le canzonidi una voltanon ci sono piùPoi ascolti unaAmy Winehouse...

Ornella Vanoni

ANTONIO DIPOLLINA

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