cultura DOMENICA 25 LUGLIO 2010/Numero285 di Repubblica...

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Moebius Officina Una minuscola galleria piena di quadri e risate Qui lavora il genio del fumetto Che a Repubblica racconta i suoi sogni e le sue ultime visioni DOMENICA 25 LUGLIO 2010/Numero 285 D omenica La di Repubblica i sapori Terra e mare, la cucina delle Eolie ROBERTO ALAJMO, LICIA GRANELLO e LIDIA RAVERA l’incontro Giovanni Soldini, paure di un solitario IRENE MARIA SCALISE cultura Papà Stalin e i bambini del Gulag SIEGMUND GINZBERG l’attualità Così funziona il welfare di Cosa Nostra ENRICO BELLAVIA e ATTILIO BOLZONI MARIO SERENELLINI PARIGI S piega i suoi fumetti come partite di calcio: folla-gioca- tori, azioni-boati, interazioni mutanti, organiche e or- gasmiche, che si gonfiano come un pallone, generate da un pallone. «Le mie tavole nascono un po’ così: un saliscendi di turgori e silenzi. Lievitano, fermentano su se stesse: come scatole cinesi, bambole russe, visioni a incastro». «Prolifera- zioni», «metamorfosi»... parole che arrivano presto incontrando Moebius. Oggi arrivano subito, in un’estate che gli stuzzica il buo- numore e lo sguardo incandescente di mago metropolitano. L’8 maggio ha compiuto settantadue anni («sono un creativo o un ve- gliardo?»). Dal 12 ottobre al 13 marzo sarà festeggiato a Parigi con la personale “Moebius transe-forme”, alla Fondation Cartier. (segue nelle pagine successive) MICHELE SERRA Q uando le prime tavole di Moebius arrivarono in Ita- lia sulle pagine di Alter Linus noi giovani fumettari, convinti che quella non era una vice-arte, ma arte di serie A, ci trovammo di fronte a una prova schiac- ciante. La prova definitiva. Le figure alate di Moebius, i suoi uma- noidi mitologici, galleggiavano nel vuoto come i sogni galleggia- no nel sonno. Apparizioni inedite, sbucate dal nulla. Il mondo di carne e pie- tra, di sabbia e cristallo di quegli eroi silenziosi aveva la potenza evocativa del cinema unita alla libertà figurativa della grande pit- tura. Moebius aveva inventato un mondo mai visto prima: un lus- so da Creatore. (segue nelle pagine successive) spettacoli Audrey, prima sexy in the city ANGELO AQUARO ILLUSTRAZIONE MOEBIUS/ARZAK Repubblica Nazionale

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MoebiusOfficina

Una minuscola galleriapiena di quadri e risateQui lavora il geniodel fumettoChe a Repubblicaracconta i suoi sognie le sue ultime visioni

DOMENICA 25 LUGLIO 2010/Numero 285

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Terra e mare, la cucina delle EolieROBERTO ALAJMO, LICIA GRANELLO e LIDIA RAVERA

l’incontro

Giovanni Soldini, paure di un solitarioIRENE MARIA SCALISE

cultura

Papà Stalin e i bambini del GulagSIEGMUND GINZBERG

l’attualità

Così funziona il welfare di Cosa NostraENRICO BELLAVIA e ATTILIO BOLZONI

MARIO SERENELLINI

PARIGI

Spiega i suoi fumetti come partite di calcio: folla-gioca-tori, azioni-boati, interazioni mutanti, organiche e or-gasmiche, che si gonfiano come un pallone, generateda un pallone. «Le mie tavole nascono un po’ così: un

saliscendi di turgori e silenzi. Lievitano, fermentano su se stesse:come scatole cinesi, bambole russe, visioni a incastro». «Prolifera-zioni», «metamorfosi»... parole che arrivano presto incontrandoMoebius. Oggi arrivano subito, in un’estate che gli stuzzica il buo-numore e lo sguardo incandescente di mago metropolitano. L’8maggio ha compiuto settantadue anni («sono un creativo o un ve-gliardo?»). Dal 12 ottobre al 13 marzo sarà festeggiato a Parigi conla personale “Moebius transe-forme”, alla Fondation Cartier.

(segue nelle pagine successive)

MICHELE SERRA

Quando le prime tavole di Moebius arrivarono in Ita-lia sulle pagine di Alter Linus noi giovani fumettari,convinti che quella non era una vice-arte, ma arte diserie A, ci trovammo di fronte a una prova schiac-

ciante. La prova definitiva. Le figure alate di Moebius, i suoi uma-noidi mitologici, galleggiavano nel vuoto come i sogni galleggia-no nel sonno.

Apparizioni inedite, sbucate dal nulla. Il mondo di carne e pie-tra, di sabbia e cristallo di quegli eroi silenziosi aveva la potenzaevocativa del cinema unita alla libertà figurativa della grande pit-tura. Moebius aveva inventato un mondo mai visto prima: un lus-so da Creatore.

(segue nelle pagine successive)

spettacoli

Audrey, prima sexy in the cityANGELO AQUARO

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Repubblica Nazionale

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la copertinaUniversi paralleli

(segue dalla copertina)

La FondationCartier nel 1999 gli aveva già dedi-cato un altro giubileo fantasy, “1 monde réel”:«Il mio percorso, lungo più di mezzo secolo,sarà documentato dal diario a matita, InsideMoebius, da opere degli ultimi vent’anni e daquel che resta dei primi trenta. Sarà la celebra-

zione dell’espandersi, dell’uscire da se stessi, dal proprio sa-pere, in una tensione, attraverso il processo creativo, a unpiù alto livello di coscienza, cioè di fuga dalle sottomissio-ni». E qui le equivalenze col calcio cominciano a vacillare.Ma Moebius, uno e trino, si sdoppia tra stili e pseudonimi —Jean Giraud, Gir... — , si srotola e si rincorre beffardo (comeil nastro trompe l’oeil dell’astronomo da cui ha preso nome)anche nella realtà d’ogni giorno, come adesso, nella minu-scola galleria invasa dai suoi libri, dai suoi quadri e dalle suerisate, con cui glossa riflessioni a se stesso inattese, para-dossali: «A sei-sette anni, mi sentivo già calamitare verso duepoli d’attrazione: la storia dell’arte, con la sua sacralità so-vrana, la solennità di cattedrale, e i fumetti, all’epoca Topo-lino e Tintin. C’erano due voci in lotta dentro di me: una mispronava ai media, l’altra al mondo più vasto e aleatorio del-l’arte. Mi sono trovato, fin da bambino, davanti alla neces-sità d’una scelta tra fumetto e pittura. Già allora l’arte m’ap-pariva una vetta lontana, mi sentivo escluso dalla cattedra-le. Il fumetto aveva un’aria più accogliente, invitante, comeuna sorgente fresca. Per me è stato il dito puntato su uncammino possibile, già ricco di tracce sicure: il richiamo diuna voce materna. Invece che in una chiesona severa, giu-dicante, mi pareva d’entrare in un capannone, che sa di fu-mo e di birra: dove anche un cattivo ragazzo (i nostri genito-ri disapprovavano i fumetti) avrebbe ricevuto un riconosci-mento».

I suoi primi maestri appartengono però all’arte, non allestrip: Piranesi, William Blake, Gustave Doré... «Doré mi hasubito sconvolto. Come, poi, Steinberg, un grande. Ho tra-scorso un’infanzia pregna d’incisioni dell’Ottocento. Neglianni Trenta - Quaranta circolavano in famiglia libroni illu-strati, ricevuti in regalo a ogni promozione: erano cronachedi viaggio intorno al mondo, mirabilmente illustrate da stardell’incisione. Una cosa buona creata dal colonialismo! —scoppia a ridere Moebius — . Tra gli illustratori ho impara-to presto a distinguere Doré, di gran lunga superiore a tutti.Di solito, mi immergevo in queste pagine quand’ero a lettocon la febbre, per la malattia infantile di turno. Erano tutteletture febbricitanti». È stata questa la sua prima fanta-scienza? Hanno forse cominciato così, nelle trasparenzedel dormiveglia, a prendere corpo i suoi mondi paral-leli, allucinatori? «È da lì che è nato il personaggiodel Major Grubert, col suo bravo casco coloniale,che racconta storie fantastiche. È modellato suquei reporter che alle mie febbri comunicavanoerranze metafisiche, molto vaghe ma molto benargomentate: rituali esotici, decapitazioni, canni-balismi. Più il soggetto era orribile e più appa-riva meraviglioso. Attraverso quelle crona-che visionarie, il mondo occidentale mi si ri-velava un’oasi civilizzata, mentre mi ad-dentravo in quegli universi di magica, inge-gnosa barbarie, resi più affascinanti dall’idea diuna loro sparizione imminente, darwiniana: il fatto diridurli a descrizione evocativa, a mitologia, era un modo diestinguerli, di consegnarli a un paradiso perduto».

Il mistero, l’oscuro tradotto in disegno particolareggiato,implacabilmente esatto, è la caratteristica, anzi il “pro-gramma” del suo stile. La sua fantascienza si manifesta co-me scienza: «Quanto più un fenomeno è vago, sfuggente,tanto più precisa deve esserne la descrizione. È il lavorocompiuto dalla poesia, che rivela l’ignoto attraverso il noto.Una mela, in poesia, squarcia veli atavici. È compito dell’ar-te rendere il mondo enigmatico, ripulirlo dell’ovvietà. Perquesto amo l’arte contemporanea. Marcel Duchamp, conle nuove epifanie degli objets trouvés, il loro capovolgimen-to di senso, ci ha liberato e acuito la vista». È quanto le rico-nosceva Folon («Moebius trasforma una pietra in monta-gna, vede l’oceano in una goccia d’acqua»): «La veggenzagrafica è il contrario del ragionamento costruito: capta conla matita immagini volatili, fuggiasche. Non si può far nulladi sensato se non si arriva all’estremo di se stessi, se non sisfiora il sogno, l’enigma. I surrealisti ci avevano provato conla scrittura automatica, con la casualità grafica del cadavreexquis: ma la logica era ancora lì, l’inesplorato della ragionerimaneva inesplorato. L’artista dev’essere sempre un passo

più in là della percezione corrente: fare scoprireogni volta la mela, in un modo in cui non è mai sta-ta vista prima».

Già dal ’63, negli album a decine della saga-Blueberry, disegnata a partire dalle storie diJean-Michel Charlier («e con gli occhi puntatisui film di Sergio Leone e sul West crepuscolaredi Sam Peckinpah!»), l’iperrealismo del trattos’apre a suggestioni mimetiche, a attrazionimutanti eroe-ambiente: s’è parlato per alcunetavole di uomo-minerale, uomo-animale. Pur in una grafi-ca fotografica, lo sconfinato West di Gir fa da test alle im-pennate cosmiche, psichedeliche del parallelo Moebius,che si liberano nelle volute mute di Arzach e nei racconti flut-tuanti del Garage hermétique, cioè nella grande stagione an-ni Settanta - Ottanta degli Humaoïdes Associés e della rivi-sta Métal Hurlant, che farà ancora dire a Folon: «I sogni diAlice ci portano nell’altro lato dello specchio, i voli di Arza-ch nell’altro lato dello spazio». Di nuovo Moebius: «Fonda-mentale, in quel periodo, è stata la grande libertà nella qua-le operavamo: ci eravamo dati obiettivi precisi ma senza li-mitazioni, non avevamo da rispettare ortodossie com’eraavvenuto tra i surrealisti. Era sufficiente disegnare. Ci riuni-vamo, prima di ogni numero: ma poi, ognuno per sé. Dopoil colpo di pagaia, la pagaille, il caos. Ciascuno sprofondavanei suoi personali abissi, rassicurato dall’idea che il gruppodegli Humanoïdes (oltre a me, Philippe Druillet, BernardFarkas e Jean-Pierre Dionnet) formasse un’identità colletti-va da cui, una volta costituita, divenisse naturale scivolar via,eclissarsi, sparire».

È, quella, l’epoca degli incontri e degli scambi più creati-vi e mediatici: Ridley Scott, per cui cura il design di Alien eBlade Runner, la Disney (Tron), René Laloux (il cartoon Lesmaîtres du temps) e soprattutto Alejandro Jodorowski (suocollaboratore per le strisce Les yeux du chat e il comico-mi-stico Incal), con cui realizza lo story board di Dune, poi “di-smesso” e assorbito nel film di David Lynch. Il guardingomagnetismo tavole-schermo segna il cambio di millennio,continuando con Il quinto elemento di Luc Besson e Blue-berry di Jan Kounen, fino a proliferare, occultamente, in filmrecenti: le magrittianestalattiti celesti diAvatar o l’az-

zurra donna-gi-gante emergente dalle acquedi Venezia che anticipa l’inquadraturaregina di Valzer con Bashir. L’evento manca-to è un fantasy con Fellini. Cine-rimpianti,Moebius? L’artista sorride al ricordo dellaproposta ricevuta nel 1979 dal regista che, ab-bagliato dalle sue strip dalla «luce fosforica, os-sidrica, perpetua, proveniente dai limbi sola-ri», gli aveva reso omaggio tre anni prima nelCasanova col personaggio di Moebius (lui ri-cambierà ritraendo Fellini e Sutherland nel suoCasanova del 1998): «Il disegno non è, in sé, unpassaporto naturale per la scrittura o il cinema.Lo sento se mai più vicino alla danza, alla musica.Ho scelto di essere autore di fumetti, un Don Chi-sciotte dell’arte, conquistandomi le mie Dulcinee:come Il Paradiso, illustrato nel 1999 per la milane-se Nuages, dove ho potuto finalmente lavorare sul-le spalle di Doré, il più infantile degli artisti, il piùdanzatore, sciogliendomi in uno spazio tra fanta-scienza e metafisica, con in più quel tocco d’animi-smo che ha Dante. L’unico cruccio è il lavoro fatto infretta, col rischio della superficialità. Rembrandt la-vorava seriamente su un disegno: anche Koons, anchePicasso. Al confronto, mi sento uno che insegue Topo-lino, sempre di corsa».

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28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

Da bambino, a letto con la febbre, viaggiava sfogliandole incisioni di Doré. Capì così che “non si può far nulladi sensato se non si sfiora il sogno”.Oggi, a settantadueanni, continua ad accompagnarci nei suoi mondi fantastici“È il mio lavoro: ripulisco il mondo dall’ovvietà”

MARIO SERENELLINI

Moebius“Sono il Don Chisciotte dell’arte”

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 25 LUGLIO 2010

Con lui il fumettodiventò una cosa da grandi

(segue dalla copertina)

Niente sapevamo dei suoi prece-denti “umili”, da disegnatore distorie western e da sperimenta-

tore su riviste francesi delle quali era-vamo all’oscuro (non c’era mica Inter-net, tutto viaggiava su carta in queglianni Settanta).Sapevamo, questo sì,che il fumetto francese era grande,pari a quello americano per qualitàanche se non per quantità di autori.Un fumetto “colto”, sia quello av-venturoso sia quello satirico cheproprio su Linussi era manifestatocon le storie dello strepitoso Lau-zier e di Claire Bretecher. Di quel-lo avventuroso alcuni di noi co-noscevano Tintin, Asterix, LuckyLuke, qualche albo di Pilote. Ma

Moebius era davvero cosa mai vista, sbara-gliava il campo, cambiava le carte in tavola, i comics, per sua

mano, uscivano di prepotenza dal “buffo”, dal ca-ricaturale, dall’infantile, e assumevanouna potenza iperreale, perfino più che ci-

nematografica. Quegli adulti che ci invita-vano a lasciar perdere gli albi a fumetti, “co-

se da bambini”, per dedicarci a letture piùmature, erano serviti: di fronte a Moebius sva-

niva ogni riserva sulla minorità del fumetto. Pochi anni fa rividi a Parigi una memorabile

mostra di Moebius. Mi diede l’occasione di rivi-vere l’emozione originaria della prima lettura,

del primo sguardo, quando Arzach, l’eroe volan-te di Moebius, decollò dalla rivista Métal Hurlante

atterrò nel mondo di Linuse di Alter. Con Moebiusla fantascienza diventa un crocevia tra post-storia e

preistoria. Tutta la fiction dopo di lui, cinematogra-fica e non, è stata profondamente influenzata da que-

sta sua visione extra-cronologica del futuro. Assiemea Roland Topor, il maestro parigino ha strappato la fan-

tascienza dalla sua fissità futurista, scintillante e co-smocentrica, e l’ha trascinata in un mondo viscerale,

terricolo, pietroso, ricco di richiami ancestrali, dalle te-ste sacre dell’Isola di Pasqua ai mastodonti pre-umani.

I rimandi a Moebius, nel cinema, nel fumetto, nell’arte,sono così numerosi che non basterebbero cento tesi di lau-rea a catalogarli tutti. Da Aliena Trona Dune, dai manga alnostro Andrea Pazienza, le forme di Moebius, l’ambiguitàdei suoi corpi sincretici (un po’ di carne, un po’ di pietra,un po’ di metallo) sono davvero un archetipo dell’imma-ginario contemporaneo. Nel Pazienza più visionario,quello che dava sagoma alle pulsioni più fonde, l’omi-no che cavalca il mastodonte è forse quanto di più moe-biusiano si sia visto dopo Moebius. C’è, come in Moe-bius, un eroismo epico e struggente, la sfida del picco-lo bipede indifeso che affronta la natura e il cosmo.

Anche in Avatar qualcosa di Moebius aleggia: iguerrieri che vanno a combattere gli aerei da cacciacavalcando grandi uccelli rostrati. Ma il tocco hol-lywoodiano aggiunge a quei voli una destrezza gio-cosa e troppo colorata, da videogame, da gioco in-fantile. Il mondo di Moebius è invece per adulti, ecomunque tale da far sentire adulti i ragazzini chene restano presi. I suoi cavalieri e le sue cavalca-ture hanno una imponenza ieratica che il cine-ma difficilmente può restituire. Nella pagina diMoebius non solo il tempo, anche l’uomo è so-

speso. La fissità del disegno, in questo senso, avvan-taggia il grande autore, impressiona la retina con una preci-sione che il cinema non possiede. Se poi il grande autore —e questo è il nostro caso — è un genio, quell’immagine di-venta archetipo, come se esistesse da sempre, fosse già neinostri pensieri reconditi, e la matita di Moebius l’avesse fi-nalmente evocata, facendola sprigionare dal bianco del fo-glio, liberandola per sempre.

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IL PARADISOA destra e in basso, quattroillustrazioni del Paradisodella Divina Commediarealizzate da Moebiusalla fine del 1999:avevano partecipatocon lui a questa edizioneillustrata della CommediaLorenzo Mattotti per i disegnidell’Inferno e Milton Glaserper quelli del PurgatorioA sinistra, una gondolasospesa, disegnatada Moebius appositamenteper i lettori di RepubblicaSotto, tavola da ChasseurDéprime, nuovo capitolodella saga Garage hermétique

GLI INEDITIAl centro, l’immagine inedita che farà da manifestoalla mostra “Moebius transe-forme”, in programmaa ottobre alla Fondation Cartier di Parigi. Inediti anchei tre disegni qui sopra: fanno parte di un adattamento,non terminato, de La tempesta di Shakespeare in chiave avveniristica

MICHELE SERRA

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l’attualitàAntistato

Si commuovono quando i boss escono in manette dalle casermeFingono stupore mentre raccontano che qualcuno ha fatto a pezzile statue di Falcone e Borsellino. Sono ragazzi. Vivono negli elegantipalazzi del centro di Palermo come nelle informi periferieAi loro fan le cosche offrono un futuro di successoo un reddito minimo di sussistenza. È un welfare che funziona

Nel quartiere Brancaccioil potere dei fratelli Gravianoè intatto. Ipermercati,imprese e bar. Droga,pizzo e macchinette

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

PALERMO

Si sbracciano, salutano, si commuovo-no e mandano baci quando i boss esco-no dalle caserme con le manette ai pol-si. Sbuffano se l’ennesimo corteo cele-

bra l’ennesimo anniversario. Fingono sorpresamentre raccontano che qualcuno, in pieno gior-no, nella ricorrenza della strage di via D’Amelio, hafatto a pezzi le statue di Falcone e Borsellino.

Sono i fan della mafia, il dietro le quinte della tran-quillizzante retorica del cambiamento. Quella chesi culla nel mito degli eroi o che parla di paura perspiegare il racket, e non di convenienza.

I fan della mafia vivono neipalazzi eleganti del centro co-me nelle remote periferie. Lidiresti borghesi o proletari,perché Cosa Nostra continuaa parlare agli uni e agli altri. Aiprimi racconta di formidabiliopportunità, li assiste e si fa as-sistere negli affari, li blandisceperché ne ha bisogno e loro silasciano irretire. Ai secondi of-fre un reddito minimo di sussi-stenza, chiede in cambio occhisvegli e mano leste. Li impiegacome vedette nei quartieri, as-segna loro una piazza di spac-cio o un lotto di videopoker dacurare. Li paga quanto nessu-no Stato assistenziale potreb-be permettersi di fare. Neascolta i bisogni e li governa.Casa, acqua, luce, auto. È ilwelfare di Cosa Nostra, quelloche tiene in piedi nel buio delsommerso l’economia invisibile dei traffici. È lozoccolo duro del consenso.

Un mondo nel quale un ragazzino come GianniNicchi, griffato dalla testa ai piedi, che molla il covoper una serata al pub, che si fa assistere nella lati-tanza da una coppia squinternata, ha la pretesa ditenere sotto scacco mezza città. E quasi ci riesce.

Un giovane leone, come Sandrino Lo Piccolo, po-co più che trentenne, curato nell’aspetto come untronista di Uomini e donne, che cerca di mandare amemoria formule e riti, dovesse capitargli di ag-grapparsi alla tradizione per esercitare il suo domi-nio. E se li appunta, tenendo nella borsa quell’ab-becedario del dire mafioso trovatogli il giorno dellacattura.

Ragazzi. Come lo erano i fratelli Graviano quan-do gli ammazzarono il padre all’alba della guerra dimafia degli anni Ottanta e loro si ritrovarono boss

non ancora trentenni, dopo aver dimostrato sulcampo il valore della vendetta. Sotto l’ala dei cor-leonesi si presero Brancaccio, dalla piazza dei Si-gnori, vicino alla Chiesa, dove risiedeva l’élite dellaborgata, fino a Ciaculli e Croceverde, il cuore deigiardini del mandarino tardivo, dove Palermo re-sta, nonostante tutto, campagna, e anche la parteopposta, lungo la via maestra del quartiere che dalbudello affastellato di casupole, porta giù fino allapiazza dell’Ammiraglio, con gli orrori di cortile Ma-cello, la strage di piazza Scaffa.

Dicono che a Brancaccio, Settecannoli, Sperone,Acqua dei Corsari, il potere dei tre fratelli — Giu-seppe, il capo muto; Filippo, l’astuto mafia mana-ger che si è messo in tasca fior di giudici al tempo incui ci si aspettava che si afflosciasse come un souf-

flè andato a male davanti al killer di fiducia Gaspa-re Spatuzza; e Benedetto, il meno attrezzato — siaintatto. Nunzia, la sorella che si era innamorata diun medico francese quando la famiglia pensava ditraslocare a Nizza con l’aiuto dell’avvocato, e i fra-telli le dissero di no, ha scontato il carcere e si è defi-lata. Per la mamma c’era sempre una suite all’ulti-mo piano del San Paolo Palace, l’albergo costruitocon i loro soldi, spuntato come un fungo sulla costasfregiata di Palermo. Fuori, ad occuparsi di loro, cisono le mogli impegnate ad allevare figli che la ci-cogna ha misteriosamente portato dal 41 bis.

È intatto il loro potere perché il loro indotto eco-nomico funziona. Attività legali: imprese, negozi,bar, una torrefazione. E quelle illegali: droga, piz-zo e macchinette.

Nella borgata sono quelli che ce l’hanno fatta,nonostante i rigori di un’esistenza blindata. Eranoil mito e in parte lo sono ancora. Il senatore di rife-rimento, Enzo Inzerillo, è alle prese con il suo pro-cesso per mafia, ma un paio di consiglieri di quar-tiere che gli erano vicini muovono un pacchetto datremila voti che nelle campagne elettorali si mol-tiplica. Da qui escono ancora consiglieri comuna-li e assessori. Che a loro volta spingono all’Assem-blea regionale siciliana il cavallo di turno. Il quar-tiere resta un monopolio di Udc e centrodestra,dopo una ventata di novità che però risale ormai avent’anni fa.

Paolo Agnilleri, il militante comunista, già se-gretario della sezione del Pci di Brancaccio e poispinto in Consiglio comunale dal voto operaio al

ENRICO BELLAVIA

Forza mafiaChi fa il tifo per Cosa Nostra

IL PARROCOMaurizio Francofonte, parroco di Brancaccio, è il successoredi don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 25 LUGLIO 2010

tempo in cui il quartiere si impose un destino daperiferia industriale, i Graviano li conobbe dabambino.

I vecchi raccomandavano allora di non andare acortile Bagnasco, la casa degli spiriti, che ancora sivede arrivando dall’autostrada. Non potevano direche lì si tenevano i summit.

Il padre dei futuri boss curava le terre del padre diPaolo e di suo nonno. E portarono da lui Benedettoperché gli facesse un po’ di doposcuola. Vide cre-scere e affermarsi i tre fratelli, annettersi uno dietrol’altro i bravi ragazzi di borgata che andavano die-tro ai soldi e alla bella vita. Se li ritrovò davanti in-cappucciati una sera dell’83, quando gli spezzaro-no le ossa per dargli una lezione e non lo ammazza-rono per via di quell’antico rispetto. E si ritrovò difronte altre facce conosciute quando, per ricordarePadre Puglisi, il parroco ucciso nel 1993, insiemecon i compagni disseminò di candele il quartiereper indicare a ogni angolo una vita spezzata, unmorto di mafia. E conosce la storia degli altri capi delrione, il medico Gioacchino Pennino che era la te-mibile eminenza grigia della Dc di Settecannoli o

l’altro medico, Giuseppe Guttadauro, che al matti-no teneva la contabilità delle estorsioni e il pome-riggio nello stesso salotto discuteva di politica re-gionale, primariati e concorsi. E non dimenticava dirifilare con profitto i giardini delle famiglie a qual-che multinazionale a caccia di aree per i megastore.

Finita la sbornia dell’edilizia, che fece di Bran-caccio un immenso cantiere, con i capimastri che siinventavano palazzinari da un giorno all’altro, conle cooperative di cui si occupava il giovane avvoca-to Renato Schifani, con le imprese che tiravano sucasermoni, Brancaccio conta ora nove ipermerca-ti. E una geografia dettata dalle loro esigenze: unosvincolo, il tram, la ferrovia. Nelle piazze, come ai“cancelli”, il fortino di spaccio più inespugnabiledella città, coca e hashish passano di mano veloce-mente. Spacciano tutti, spaccia anche il fruttiven-dolo settantenne che si alza al mattino va a com-prare cassette di frutta che marciscono al sole e luibatte cassa con le bustine. E fa reddito. Di mafia,perché qui, nonostante tutto, Cosa nostra è ancoraclasse dirigente.

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L’intelligenza collettivadel crimine

ATTILIO BOLZONI

Prima o poi avremo una mafia senza mafiosi. Per sopravvi-vere la mafia deve liberarsi dei suoi uomini più rappre-sentativi e dei loro discendenti, far dimenticare gli orrori,

deve abbandonare quelle «ossessioni» che quasi in un secolo emezzo di esistenza (ufficialmente è nata il 25 aprile 1865: è sta-to quel giorno, infatti, che la parola «mafia» compare per la pri-ma volta in un dispaccio che il prefetto di Palermo aveva invia-to al ministro degli Interni del tempo) le hanno permesso di di-ventare l’organizzazione criminale più potente dell’Occidente.Ma i tempi sono cambiati, il mondo è cambiato. E se la mafia al-leverà e proteggerà ancora i suoi mafiosi — per esempio quellidi Corleone, o quegli altri che abbiamo conosciuto nelle borga-te intorno a Palermo — non avrà futuro. La continuità Cosa No-stra se la assicurerà ancora e come sempre con la sua trasfor-mazione. Ma questa volta dovrà snaturare se stessa, svincolar-si da un’eredità che dopo centocinquant’anni l’ha portata ver-so l’inizio del declino.

Basta con i Totò Riina e con i Bernardo Provenzano, basta conchi si chiama Ganci o Madonia, Galatolo o Santapaola, i legamidi sangue e quelle facce sconce non li vuole vedere più nessu-no. Nemmeno gli amici degli amici. Alla mafia — a tutte le ma-fie — servono nomi e volti nuovi, sconosciuti, presentabili e ri-spettabili. Il «doc», l’uomo d’onore con almeno tre quarti di no-biltà mafiosa, d’ora in poi non sarà più garanzia di qualità. E ba-sta anche con santine che bruciano, riti tribali, giuramenti, lu-pare e sfregi ai simboli dei nemici: la mafia si salverà se fingeràdi suicidarsi e se seppellirà i suoi capi.

A Palermo è già accaduto. La mafia resiste ma i grandi boss diun passato lontano o recente non ci sono più. La mafia non è chemuterà nei prossimi anni, è già mutata. Chi sono i suoi padro-ni? Quali i condottieri che guidano un popolo che da una parteperennemente si riproduce e dall’altra ha la necessità di scom-parire? Per quel che se ne sa rimane l’ultimo, l’ultimo dei lati-tanti, l’ultimo dei boss delle stragi, l’ultimo che è il primo dellalista, il trapanese Matteo Messina Denaro.

La fama della mafia siciliana già oggi supera il suo effettivopotere. La mafia che conta non ha più bisogno di grandi mafio-si in carne e ossa, c’è una “intelligenza collettiva” di Cosa Nostrache la mantiene in vita e fa da riferimento a tutti coloro che in Si-cilia o altrove con mafia e mafiosi si sono trovati sempre bene.Per gli affari che verranno, soprattutto. La mafia prossima ven-tura la ritroveremo solo nel business o nella politica. E nessunoavrà più il coraggio di chiamarla mafia. Ai pochi che lo faranno,diranno: siete pazzi, mafiosi non ce ne sono più.

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IL QUARTIERENelle fotografiedi MauroD’Agati, scorcidel quartiereBrancacciodi PalermoAl centro,la vista da piazzadei Signori,il cuoredel quartiere:sulla destrac’è il castellodi Maredolce,sulla sinistrala casadi SpatuzzaQui sopra,Padre Pioe la Vergine

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Orfani, poveri e ladri. Oppure figlidella nomenklatura cadutain disgrazia. Furono milioni i piccoli

“nemici del popolo” deportati, rinchiusi negli orfanotrofi,spesso derubati della propria identità. Ora, per la prima volta,un libro dà un volto e una voce alle loro storie

CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

C’è una foto molto fa-mosa di Stalin con inbraccio una bambinache gli cinge affettuo-samente il collo. Erastata scattata nel 1936,

durante un incontro al Cremlino conuna delegazione della Repubblica auto-noma sovietica buriato-mongola. Fupubblicata il giorno dopo quasi a pienapagina sulla Izvestia e tutti gli altri gior-nali. Lei aveva sei anni, si chiamavaGelya Markizova, era la figlia del secon-do segretario del Partito comunista loca-le. Quel che si seppe solo molto più tardiè che suo padre fu fucilato poco dopo co-me «spia al soldo dei giapponesi». La ma-dre fu anche lei uccisa in un misteriosoincidente automobilistico. La bambinafinì in un orfanotrofio per «nemici delpopolo» in Kazakhstan. Poi se ne perse-ro le tracce fino a che, nei primi anni No-vanta, fu rintracciata, ormai sessanten-ne, da una troupe della televisione fin-landese. Raccontò che della fine dei suoigenitori aveva saputo solo dopo la desta-linizzazione. Dall’orfanotrofio avevascritto a Stalin, allegando un ritaglio deigiornali con quella foto, ma non avevamai ricevuto risposta. Eppure era unabambina fortunata. Ad altri milioni disuoi coetanei era capitato di ben peggio.Molti avevano perso anche il nome,qualcuno non è mai riuscito a risalirvi,nemmeno dopo il crollo dell’Urss.

Fu un immane massacro di innocen-ti protrattosi per oltre mezzo secolo. Digenerazione in generazione. Di cui sisapeva pochissimo. Finché nel 2002 fupubblicata a Mosca unaponderosa raccolta di do-cumenti intitolata Deti Gu-laga 1918-1956, i bambinidel Gulag. Di queste cosenon si parlava. Non ci sonobambini nei libri di Solzhe-nitsyn e Šalamov. Le stessepiccole vittime, quelli cheerano sopravvissuti, e ormaierano adulti, anzi vecchi, nonsi raccapezzavano. Nessunogli aveva raccontato nulla,men che meno i genitori o i pa-renti. Per il loro bene. Una fra-se ricorrente nelle testimo-nianze raccolte tra coloro cheerano bambini nei molti decen-ni di anni terribili è: «Il silenzioera la nostra salvezza». Ora è fre-sco di stampa un volume in in-glese di Cathy Frierson e del cu-ratore della raccolta originale diDieti Gulaga, Semyon Vilensky,intolato Children of the Gulag(Yale University Press). Non mi ri-sulta che ne sia in programmauna edizione in italiano. Non è unromanzo. Solo documenti, pezzeburocratiche ufficiali, rapporti dicommissioni di inchiesta, diretti-ve degli organi superiori, lettere,diari, fino alle più recenti ricostruzionifondate sugli spezzoni di memoria di

bambini che avevano pochi anni all’e-poca dei fatti. Niente effetti speciali, so-lo aridi fatti e ancor più aride note.L’ho letto e sono scoppiato apiangere. Non mi era maicapitato per un libro. E di-re che talvolta forse ho ilvezzo di atteggiarmi acinico.

Credevo di saperneormai tutto sul Gulag.È noto che gli annidella guerra civile se-guita alla Rivoluzio-ne d’Ottobre furonotremendi. Nel solo1918 la mortalità in-fantile superava il cin-quanta per cento. Sistima che tra il 1921 e il1922 sette milioni e mez-zo di bambini patissero lafame e che perirono il no-vanticinque per cento deibambini al di sotto dei tre anni, e unterzo di quelli che ne avevano più di tre.Il quaranta per cento dei deportati nel

corso della campagna di “dekulakizza-zione” erano bambini. Nei soli anni

1937-1938, all’apice del terrore, furo-no giustiziate settecentomila per-

sone. Se si stimano due figli pic-coli per giustiziato, fa 1,4 mi-

lioni di orfani. Il paese erainvaso da piccoli vaga-bondi che vivevano difurti ed espedienti, si or-ganizzavano in bandeche perpetravano sac-cheggi, stupri, assassi-nii. Nel 1935, dopo l’ef-ferato omicidio di dueanziani coniugi nellaloro casa a Mosca, undecreto del Soviet su-

premo abbassò l’età incui si era passibili di una

condanna penale a dodicianni. L’opinione pubblica

plaudì la fermezza di Stalin.Poi negli istituti di pena per mi-

nori e negli orfanotrofi cominciaro-no ad arrivare i figli dei «nemici del po-polo». Che non erano più solo poveracci

BambiniGulag

del

SIEGMUND GINZBERG

La silenziosa stragedi papà Stalin

“...Siamo scalzi, nudi, affamatie pieni di pidocchi.A colazioneci danno un pezzetto di pane,cipolla e sale...”

RITRATTO DI FAMIGLIALa famiglia di Valentin Muravsky, uno dei bambini di Leningrado bollati come

“nemici del popolo”. La foto è stata scattata nei primi anni Trenta. Nel 1937il padre venne arrestato dagli uomini del Nkvd: Valentin aveva nove anni,

fu mandato in esilio in Asia Centrale. Sopra, Evgenia Suzdaltseva Osipova www.edizionidedalo.it

David Ruelle

in libreria

Mario Guarino

Storie di malaffare,

arricchimenti illeciti e tangenti

prefazione di Marco Travaglio

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 25 LUGLIO 2010

ma sempre più spesso gli esponenti del-la nomenklatura che aveva represso iprecedenti «nemici». L’ordinanza n.00486 del commissario del popolo per gliaffari interni dell’Urss, datata 15 agosto1937, prescrive con agghiacciante detta-glio l’«Operazione di repressione dellemogli e dei figli dei traditori della Patria».Andavano trattati come elementi «so-cialmente pericolosi», non per quelloche avevano fatto o non fatto, ma soloper quello che avrebbero potuto fare, osolo pensare, in quanto parenti di arre-stati. Per le mogli divenne obbligatoriol’arresto, con la sola esclusione di quel-le che avevano denunciato i mariti. Pergli adolescenti erano prescritti depor-tazione e campo di concentramen-to, per gli infanti gli orfanotrofi spe-ciali gestiti dall’Nkvd. Meno maleche Stalin in persona aveva dettoche «i figli non devono pagare perle colpe dei padri». È noto che

aveva un gran senso dell’hu-mour. Nelsuo Il pri-mo cerchio,Solzhenit-syn gli attri-buisce, aproposito dimandare algulag i mino-renni, la battu-ta: «Sono anco-ra giovani, so-pravviveran-no». Con la guer-ra si aprì per lorouna possibilità diuscirne, per an-dare a morire alfronte. Molti si sa-crificarono eroica-mente. La guerra aipiccoli nemici con-tinuò negli anni suc-cessivi. La stima,prudente, fatta nel2002 dal presidentedell’allora Commis-sione del Cremlinoper la riabilitazionedelle vittime della re-pressione politica,Aleksandr Yakovlev, è diventi-venticinque mi-

lioni di vittime nell’intera era sovietica e,quindi, di almeno dieci milioni di orfani.

Queste le cifre, che già conoscevo.Ma un altro paio di maniche è dar loroun nome, un volto, sentirne la voce. Neiprimi capitoli le lettere, rigorosamenteprotocollate, che gli orfani della guerracivile, e poi della campagna contro i ku-laki, inviavano a Yekaterina Peshkova,moglie di Gorki e presidente della Cro-ce rossa sovietica, e a Nadezhda Kru-pskaya, la vedova di Lenin, vice com-missario all’istruzione e responsabiledegli orfanotrofi e istituti correzionaliper minorenni, sono dure. Ma tuttosommato ancora come Dickens, anchese all’ennesima potenza. «Krupskaya,mammina nostra… non abbiamo né

vestiti né scarpe, e non sappiamo concosa andare al lavoro, ma se non andia-mo al lavoro perché non abbiamo nullada metterci addosso ci cacciano… unanostra compagna dell’orfanotrofio hafatto quattro assenze perché non avevané scarpe né vestiti… l’hanno cacciatavia, si è messa a piangere, il direttore leha risposto in scherno: vai a battere… seci cacciano ci sarà una nuova massa diragazzi di strada e ladri…». «Siamo scal-zi, nudi, affamati e pieni di pidocchi… acolazione ci danno un pezzetto di pane,cipolla e sale. A pranzo una barbabieto-la lessa con del cavolo, e alla cena nondobbiamo neanche pensare, perchénon c’è…». «Facciamo il bagno ognidue mesi, qualche volta tre, la bianche-ria ce la danno di rado… il direttore dàscarpe vecchie solo ad alcune bambinecui vuole bene…». Le ispezioni confer-mano. Un funzionario dei servizi di si-curezza scrive a Dzerzhinskij, il fonda-tore di quello che poi sarebbe divenutoil Kgb, che le istituzioni per l’infanziasono divenute «senza esagerazione, ci-miteri e latrine dell’infanzia». La Kru-pskaya si dà da fare, scrive accorati arti-coli sulla Pravda. Ma quando la corri-spondente di un giornale socialdemo-cratico europeo le chiede delucidazio-ni sulle voci che cominciano a filtrareanche all’estero, le risponde con una fa-vola che invita a non curarsi dei «caniche abbaiano».

Poi si passa all’intollerabile, all’inim-maginabile. A pagina 312 un rapportoufficiale, top secret, depreca «il lavoroestremamente irresponsabile» nellagestione degli infanti al seguito di «ma-dri prigioniere». Con freddo linguaggioburocratico si elenca, istituzione peristituzione, il numero dei bambini feb-bricitanti, ammalati di dissenteria cro-nica, tifo, difterite, polmonite, distrofia,tbc, sifilide. Traghetto per traghetto sicensiscono i trasporti di madri con lat-tanti a Magadan. Sei su dieci vengonoimbarcati gravemente malati. Quasitutti muoiono prima di arrivare a desti-nazione. Il documento è datato novem-bre 1952. A guerra finita da un pezzo.

Questi, i milioni, sono anonimi. Le al-tre, le innumerevoli storie di cui i prota-gonisti hanno ancora qualcosa da rac-contare, sono in fin dei conti storie di so-pravvivenza. Qualcuno, soprattuttoquelli che facevano parte dell’alta no-menklatura finita da un giorno all’altroin disgrazia, ha anche foto di famiglia.Straordinario come somiglino a tutte lefoto di famiglia. Sono uguali a quelle didue miei zii che andarono clandestina-mente in Russia negli anni Trenta, per«fare la rivoluzione», e di cui non ho mairitrovato traccia, nemmeno dopo l’a-pertura degli archivi (che con Putin si so-no richiusi). In alcune delle reminiscen-ze raccolte da Memorial negli anni No-vanta ho trovato una possibile spiega-zione. A molti di quei bambini fu cancel-lata persino l’identità, gli cambiarononome, non sono mai riusciti a risalire aicertificati di nascita, nemmeno oggi.

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LE VITTIMEA sinistra, bambini nel Gulagdi Bessarabian. Sotto, Valery Osipov,vittima della repressione staliniana

NEMICI DEL POPOLORudolf Yakson, comandantedell’Armata Rossa, insiemealla moglie. Fu arrestatoe ucciso nel ’37. In alto la figliaMaya, rimasta orfana

IL LIBRO

Documenti, rapporti di commissioni di inchiesta,lettere, diari, ricostruzioni: è stato appena pubblicato in inglese il volume Children of the Gulag (Yale UniversityPress, 2010). Gli autori sono Cathy Frierson e SemyonVilensky, quest’ultimo curatore della raccolta di documentiuscita a Mosca nel 2002 e intitolata Deti GulagaLo stesso Vilensky è un sopravvissuto al Gulag

IL DITTATORE E LA BAMBINA

La celebre foto di Stalin con una bambina che lo abbraccia: è Gelya Markizova, sei anni,figlia del segretario del Partito comunista della Repubblica sovietica buriato-mongolaLa foto fu scattata nel 1936 e pubblicata su tutti i giornali. Poco dopo il padre di Gelyafu fucilato come spia dei giapponesi, la madreuccisa in un misterioso incidente. La bambinaspedita in un orfanotrofio in Kazakhstan

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Un mattino di cinquant’anni fa Blake Edwards giravala prima scena del film che, tratto dal romanzo di Capote,entrerà nella storia della commedia romantica

In realtà “Breakfast at Tiffany’s” è stato molto di più, una bombache annunciava la liberazione sessuale. Come ora racconta un libroche dietro le quinte ha scovato tanti segreti, qualche timore e molte censure

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

NEW YORK

«Posso provare con ungelato?». Bisognaringraziare BlakeEdwards per non

avere ceduto ai capricci di Audrey Hep-burn all’alba di un pungente giorno diottobre di mezzo secolo fa. Un gelato?Ma quale gelato: chi mai avrebbe dige-rito un gelato a colazione? Sul copionec’era scritto: «danese». E quel particola-re tipo di brioche Holly Golightly avreb-be consumato — tutta di Givenchy ve-stita — davanti alle vetrine dell’indiriz-zo del lusso più famoso del mondo: 727Fifth Avenue, New York.

Ah, Colazione da Tiffany. Quanti film,oltre alla storia del cinema, hanno fattola storia? Ci sono voluti cinquant’annima finalmente davanti a nostri occhi

scorre la pellicola nascosta dietro a quelmito confezionato come una bombo-niera: e che nascondeva, invece, unabomba vera. Per carità, la critica ap-plaudì entusiasta. «Accattivante davve-ro» scrisse il New York Times. «Una sor-presa che ti prende» rincarò Variety.Tutti lì incantati di fronte alla love storyimpossibile tra lo scrittore introverso equella ragazza ribelle venuta dalla pro-vincia e che per vivere prende «50 dolla-ri per la toeletta», come diceva la tradu-zione italiana.

Pochissimi, nell’autunno del 1961,riuscirono a cogliere una piccola gran-de verità: malgrado lo stravolgimentodal romanzo di quello scrittore stramboe talentuoso, Truman Capote — cheraccontava il rapporto impossibile trauna giovane prostituta d’alto bordo e ilnarratore che in realtà era gay — sotto lapatina della commedia romantica Co-lazione da Tiffany nascondeva il mes-

saggio di liberazione sessuale cheavrebbe portato all’«alba della donnamoderna», come dice il sottotitolo diFifth Avenue, 5 A. M. «Hollywood hasempre parlato di sesso» scrive SamWasson, l’autore del libro che ricostrui-sce la genesi controversa del capolavo-ro, «ma prima di Colazione da Tiffanysolo le cattive ragazze lo facevano».Quel film apre agli anni Sessanta dellaliberazione: naturalmente con tutto iltatto e l’ipocrisia di un’industria il cuimassimo della trasgressione era statafino ad allora Quando la moglie è in va-canza.

Non per niente la prima scelta di Ca-pote è proprio lei, Marilyn Monroe. Mai produttori, Marty Jurow e RichardShepherd, sanno che sarebbe una Hol-ly pessima: la diva è incontrollabile ma,soprattutto, è una bomba del sesso. Giàlo sceneggiatore, George Axelrod, ha isuoi guai a smorzare l’eroticità della si-

tuazione: la censura bloccherebbe tut-to. E se non Marilyn chi? Le star dell’e-poca sono un quartetto d’assi: DorisDay, Elizabeth Taylor, Debbie Rey-nolds, Sandra Dee. Poi ci sono dueemergenti: Shirley MacLaine, JaneFonda. No, nessuna sembra tagliata perquel ruolo impossibile: ci vuole unaclasse altissima per portare sullo scher-mo un personaggio così moralmentedelicato.

«Lo script è meraviglioso», rispondeAudrey Hepburn, «ma io non posso in-terpretare una puttana». La principessadi Vacanze romane, la ballerina senzaesperienza di recitazione che la stessaColette aveva scelto per far rivivere lasua «Gigi», è in cerca di un ruolo che lafaccia uscire dal suo stereotipo acqua esapone. Ma questo è troppo. I produtto-ri che sono volati fino al suo eremo inSvizzera che divide con Mel Ferrer nondemordono: «Non vogliamo fare un

film su una put-tana: vogliamo fare unafilm su una sognatrice. Ma senon ti senti pronta vuol dire che sei lascelta sbagliata.... ». Punta nell’onore (eforse dall’offerta di 750 mila dollari) Au-drey capitola. «Posso dire» le scrive Ca-pote «che sono contento che abbia ac-cettato? Non posso dare nessun giudi-zio sulla sceneggiatura, non avendoavuto l’opportunità di leggerla, ma datoche Holly e Audrey sono entrambe dueragazze meravigliose, sento che nullapotrà scalfirle».

Nulla? A proteggere le due ragazze cipensa la censura di Geoffrey Shurlock,il nuovo sforbiciatore di Hollywood,l’uomo che ha riscritto per la prima vol-ta da vent’anni il Codice di Produzionedelle major. George Axelrod è uno sce-neggiatore scaltro e gli mette in manouno script pieno di paginate hard lì ap-posta per essere tagliate e distrarlo co-

E sulla Quinta Stradanacque la donna moderna

ANGELO AQUARO

IL BIGLIETTO D’INVITO

Firmato da Holly(Audrey Hepburn) il bigliettod’invito per la prima proiezionedi Breakfast at Tiffany’s

al Radio City Music Hall,il 5 ottobre del 1961

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 25 LUGLIO 2010

sì dai punti critici. Ma Geoffrey è infles-sibile. «Pagina 15: Holly dovrebbe por-tare tutta la sottoveste invece di mu-tande e reggiseno». «Qui le sue scenedevono essere girate con cura per evi-tare che si vedano nudità anche par-ziali». «Holly non può essere divorzia-ta da Doc, il suo matrimonio è statosemplicemente annullato».

Molti anni dopo, in un’intervista da-ta in un momento d’euforia drogata eubriaca, Capote sconfesserà comple-tamente quella Colazione da Tiffany:«Mio Dio, è il film meno azzeccato cheabbia mai visto: il giorno in cui ho fir-mato il contratto, quelli hanno fatto l’e-satto opposto di quanto avevamo pat-tuito. Hanno preso un regista schifosocome Blake Edwards, che io ci sputo so-pra...». Blake Edwards sarà natural-mente la fortuna del film. Un’altra se-conda scelta. Audrey impone quattroregisti: William Wyler, Billy Wilder,George Cukor o Fred Zinnemann. Manessuno è disponibile e la produzionesi rivolge a quel regista brillante ma ilcui più grande successo finora è stato intv con Peter Gunn. Fortuna doppia.Vuol dire che nel gruppo di lavoro entrail giovane musicista che sta rivoluzio-nando le colonne sonore a ritmo di jazz:Henry Mancini. È lui, l’autore di PeterGunn, la musica che poi rivivrà neiBlues Brothersdi John Belushi, a scrive-re apposta per Audrey Moon River con

le parole del grande Johnny Mercer. Unaltro scandalo. Il capo della Paramountnon vuole che quella canzone compaianel film: ha in mente qualcosa di più im-pressionante, «siamo a New York, vo-glio musica di Broadway», e inveceMancini ha fatto di tutto per inventarequella melodia jazzy e folk, voce e chi-tarra, che poteva davvero essere statapartorita da una ragazzina in fuga daTulip, Texas. È l’unico momento in cuisentono Audrey — una parola buonaper tutti, sempre sorridente, una stelli-na sul set — rispondere a muso duro:«Dovrai passare sul mio cadavere».

Canzone e colonna sonora furono gliunici Oscar che il film vincerà: Hepburnmiglior attrice sarà battuta dalla Ciocia-ra Sophia Loren. Ma quel mattino del 2ottobre 1960 — quando Blake Edwardsdice «Motore!» davanti alla vetrina diTiffany, gridando di fare in fretta perchédi lì a poco sulla Quinta sarebbe passa-to il corteo di Nikita Kruscev — resteràun punto di non ritorno. Le mamme dimezzo mondo chiameranno Holly leproprie figlie. E quarant’anni prima diSex & The City le ragazze scopriranno alcinema che il sesso prematrimonialeesiste e che c’è tutto un mondo lì fuorida vedere: «Moon River, off to see theworld / There’s such a lot of world / Tosee». Possibilmente, senza le mance.

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5. FOUNTAIN(52nd Street & Park Avenue)Qui, sull’angolo nordest,sono stati girati molti degli esternidi Breakfast at Tiffany’s

4. EL MOROCCO(154 East 54th Street)Qui Marylin Monroe (inizialmentescelta per la parte di Holly) si togliele scarpe e balla con Capote

3. 21 CLUB(21 West 52nd Street)Nel film, dove Paul (l’attore GeorgePeppard) porta Holly (AudreyHepburn) per un drink

2. COMMODORE HOTEL(Lexington Avenue & 42nd Street)Qui la Paramount organizzail casting per “Cat”, il gattodella Hepburn nel film

1. COLONY RESTAURANT(Madison Avenue & 61st Street)Qui il produttore Marty Jurowsi aggiudica i dirittiper Breakfast at Tiffany’s

9. RADIO CITY MUSIC HALL(1260 Avenue of The Americas)Qui la prima proiezionedi Breakfast at Tiffany’sÈ il 5 ottobre 1961

8. NEW YORK PUBLIC LIBRARY(42nd Street & Fifth Avenue)Qui, ancora sulla Quinta Strada,sono stati girati alcuni degli esternidella commedia

7. NAUMBURG BANDSHELL(72nd Street & Fifth Avenue)Esterni in Central Park,dove nel filmDoc e Paul discutono di Holly

6. TIFFANY & C0.(727 57th Street at Fifth Avenue)Qui, davanti al tempio del lusso,il primo ciak, girato alle cinquedel mattino del 2 ottobre 1960

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i saporiIsole

Pomodori, cipolle, cucunci, origano, peperoncini, ma anche totani,pesci spatola, tonno e ricci: nei ristoranti delle sette perledel Mediterraneo il meglio della sapienza culinaria sicilianasi “contamina” di odori speciali. Tutto merito del sole e dell’aria

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

“Numero uno: ondealla cala di sotto.Piccole. Numerodue: onde grandi.Numero tre: ventodella scogliera. Nu-

mero quattro: vento dei cespugli. Numerocinque: reti tristi di mio padre. Numero sei:campane dell’Addolorata, con prete. Nu-mero sette: cielo stellato dell’isola. Belloperò, non me n’ero mai accorto che era cosìbello...”.

Il protagonista de Il postino di Neruda diAntonio Skarmeta registra incantato i suonidella sua isola. Che dal libro di Antonio Skar-meta al film con Massimo Troisi assume itratti di Salina, la piccolina di un arcipelagomagico, mix affascinante di calma e ruvi-dezza, tradizione e voglia d’altrove, sempli-cità e mistero.

In nessun luogo come questo la cucina saessere tutt’uno con il suo terroir, che è terra,aria, clima, atmosfera, eredità di geni e pae-saggi. Se è vero che l’olfatto sta diventandoun senso posticcio, avvilito com’è da profu-mi sintetici e cibi che di profumo non nehanno proprio, queste sono le isole dove farpace con il proprio naso, ubriacandolo disentori veri, sani, straordinari. Qui, nessuncameriere vi guarderà storto se farete vibra-re le narici su un piatto di spaghetti allastrombolana — aglio, acciughe, olive, pepe-roncini — su una ciotola di niputiddata, lazuppa di pomodorini, uova e formaggio pro-fumata alla nepitella, o su un tortino di pescespatola.

È come se il meglio della cucina sicilianasi fosse concentrato nei pochi chilometriquadrati che le “sette perle del Mediterra-neo” hanno strappato al mare. Dentro ognipiatto, dentro le singole ricette si avverte ilrespiro gastronomico di tutti i popoli chehanno abitato l’arcipelago a partire da quat-tromila anni prima di Cristo.

Guai a pensare che sia solo una questioned’ingredienti. Fosse così, basterebbe portarea casa bustine di capperi e collane di pepe-roncini, mazzetti d’origano e cartocci d’oli-ve, uva passa e limoni verdelli per ritrovare incittà sapori e profumi di Lipari e dintorni. Er-rore. A fare la differenza sono il sole e l’aria, ilsalmastro che è odore di mare senza mollez-ze, la campagna impregnata di erbe odorose,la commistione millenaria di terre laviche di-verse (ossidiana, pomice, calcare). Impossi-

bile pensare lontano da qui una minestra co-me la gnotta i scogghiu e maccaruna i mari,fatta con i sassi di mare coperti di alghe, panesecco, pomodoro, pesce se c’è.

Sapori e aromi per fortuna restano impri-gionati nelle bottiglie di Malvasia delle Lipa-ri (secondo dizione tradizionale) piccologioiello enologico nato grazie ai Greci, cheimportarono la “Malvagia” intorno al 500 a.C. utilizzando uva e vino come lucrosa mer-ce di scambio. Se la tipologia secca è un eser-cizio retorico, la versione passita incanta,merito di produttori virtuosi come Hauner,Fenech e Tasca d’Almerita, sospesi fra tradi-zione (appassimento dei grappoli sui gratic-ci, che induce lo sviluppo di sentori cara-mellati), e innovazione (utilizzo di grandi lo-cali aerati dove gli acini si asciugano mante-nendo profumi di frutta fresca).

Un bicchiere a temperatura giusta, uncrostino con pesto isolano — olive, acciu-ghe, capperi, origano — e una poesia di Ne-ruda vi regaleranno un francobollo di estateeoliana, da godere perfino davanti al venti-latore di casa.

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LICIA GRANELLO

Cucinadelle

EolieProfumi di mareessenze di terrala magia è tutta qui

I turisti che arrivanoogni anno alle Eolie

200milaL’anno in cui le Eolie diventanopatrimonio dell’Unesco

20007Le isole che compongonol’arcipelago delle Eolie

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 25 LUGLIO 2010

itinerariLucio Tascad’Almeritaè uno degli uominiche ha rivoluzionatola viniculturasiciliana. Tra le vignedella sua Malvasia

di Salina, è natoun relais, “Capo Faro”,mix di ospitalità,enogastronomiae paesaggio

Lipari Panarea VulcanoCon i suoi dieci chilometri di lunghezza, le sue coste frastagliate e i suoi dodicivulcani, è l’isola più importante delle Eolie. Conta dodicimila abitanti

DOVE DORMIRERESIDENCE AGAVEVico SelinunteTel. 090-9814896Camera doppia 100 euro, con colazione

DOVE MANGIAREFILIPPINOPiazza MunicipioTel. 090-9811002Sempre aperto in estateMenù da 30 euro

DOVE COMPRAREPESCHERIA IL DELFINOVia Garibaldi 82Tel. 090-9811549

Capperi, unica certezzaLIDIA RAVERA

L’effetto si raggiunge quando il mare si gonfia e la navenon attracca, non attraccano gli aliscafi, nessuno par-te e nessuno arriva. Nessuno e niente.

Le merci restano sulla terraferma [...]. I negozi registrano al-lora un impoverimento progressivo. Guardo gli scaffali consconsolata intensità. In fondo, nel reparto frutta e verdura,sono più evidenti i segni della carestia. Fare la spesa richiedefantasia, abitudini alimentari austere e capacità di adatta-mento. L’unica certezza sono i capperi. Le cipolle rosse diTropea, che palpeggio ansiosa, mostrano, dopo tre giorni dilibeccio, affossamenti del colore del mosto. Dalle ultime in-salate e dai cavoli verza si leva un leggero sentore di marcio.Le mele sono maculate. Le patate fioriscono muffa. Tutto ilresto non c’è. Finocchi cavolfiori zucchini fagiolini carciofiuva pere mele. Niente. Guardo il mio carrello semivuoto. [...]Mi avvento sull’ultimo spicchio di un cacio pepato duro co-me la pietra. Il prosciutto è arrivato al gambuccio, è bianco digrasso. Ne oso un etto [...]. Con il mio magro bottino, risalgoin bicicletta. Pedalo avvolta in una giacca di plastica gialla, ilvento mi fa sbandare. [...]

Da “A Stromboli” Editori Laterza 2010112 pagine, 14 euro

© Editori Laterza

TotaniPiù tenaci e gustosi dei fratellicalamari, si farciscono dopo averli saltati in padella con mollica, uova, prezzemoloe tentacoli rosolati. Cotturanella salsa di pomodoro o spruzzati di vino bianco

CapperiNon c’è spaccatura di pietraassolata che resista a questapianta bassa, tosta, con foglielarghe e fiorellini eleganti che annunciano i bottoncini di calibro crescente, ma anche i carnosi cucunci

VerdelliHanno profumo di marei limoni battezzati dal lorocolore particolare, utilizzati in molte ricette, dolci e salateSu tutte spicca l’insalatadi agrumi, fresca e condita con olio, sale e capperi

MalvasiaUn’uva antica, amica del sole,avvezza al clima asciuttoe ventoso delle isoleCon l’appassimento acquistacolore dorato e profumosensuale, perfetto per dolcie formaggi stagionati

OriganoImpossibile lasciare le isolesenza il mazzetto odoroso,essiccato al sole d’agosto, da appendere a testa in giùInsieme alla nepitella firmapiatti senza tempo, dai sughialle caponate, ai pesci arrosto

Pane caliatuÈ il pane dei pescatoriBiscottato e ben sbriciolato,si sposa con cipolle, capperi,aglio, pomodorini, cetrioli,foglie verdi, patate, sottaceti,olive, odori. Per condireextravergine e sale

Pasta con i ricciSoffritto leggero d’aglioe peperoncino tritati finementea cui aggiungere, a fuocospento, la polpa crudacon olio, prezzemolo, qualche pomodorino. Si versasugli spaghetti appena scolati

Caponata eolianaMelanzane tagliate a dadini,fritte leggermente, aggiuntea una salsa di cipolla, sedano,pomodoro, olive, capperi e lasciate sobbollire. A metàcottura, zucchero e acetoDeliziosa anche fredda

Scorfano alla liparotaCipolle dorate, pomodori, olive e poi capperi, basilico,prezzemolo, per il sugo dovecuocere i filetti, da profumarecon il vino bianco, prima di coprire la pentola. Si servecon crostini di pane tostato

NacatuliLa difficoltà è nell’impastodi farina, uova, zuccheroe burro da tirare sottile per realizzare le formineAll’interno un mix di mandorle,zucchero, tuorli d’uovo,strutto, uva passa e cannella

GLI INGREDIENTI

LE RICETTE

STROMBOLI

Il brodo di sassoROBERTO ALAJMO

Non sono certo più i tempi in cui il piatto ricorrente nel-le case dei salinari era il cosiddetto brodo di sasso, rea-lizzato facendo bollire a lungo un grosso ciottolo ma-

rino, fin quando non rilasciava i suoi umori più reconditi re-galando una zuppa di pesce talmente povera da prevederedel pesce solo una memoria minerale. Oggi il corso di Salinaè costellato di negozietti di genere sfizioso, dove si vendonocapperi, un’antica e precaria risorsa di tutte queste isole, masoprattutto parei, oggetti di design in stile finto etnico e fi-ghetteria in genere. Questa tendenza non è niente di irrime-diabile, però. Niente che sia passato nel Dna della popola-zione.

Anche nei giorni peggiori d’agosto, per sfuggire agli as-sembramenti balneari, il viaggiatore potrà sempre disper-dersi nell’entroterra, tenendo il mare come il sottofondomusicale si tiene alle feste delle persone adulte: basso, di mo-do che non disturbi la conversazione. Un posto dove il si-lenzio assume una consistenza tangibile, paesaggistica, è illaghetto di Lingua, dove quando è stagione di migrazioniqualche cicogna si sofferma a riprendere fiato. [...]

Da “L’arte di annacarsi. Un viaggio in Sicilia” Editori Laterza 2010, 284 pagine, 16 euro

© Editori Laterza

SALINA

L’isola più piccola, circondata da isolotti: Basiluzzo, Lisca Bianca,Spinazzola, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera,più gli scogli Panarelli e Formiche

DOVE DORMIRELA PIAZZAVia San Pietro Tel. 090-983154Camera doppia 110 euro, con colazione

DOVE MANGIAREADELINAPortoTel. 090-983246Sempre aperto in estateMenù da 40 euro

DOVE COMPRAREPASTICCERIA DA CLAUDIAVia San Pietro 3Tel. 090-9834405

Adagiata a una manciata di miglia da Capo Milazzo, ha quattro vulcaniAffascinanti le sue spiagge, da SabbieNere a Levante, fino ai fanghi termali

DOVE DORMIREHOTEL CONTI (con cucina)Via Porto PonenteTel. 090-9852012Camera doppia 110 euro, con colazione

DOVE MANGIARETHERASIA (con camere)Località VulcanelloTel. 090-9852555Sempre aperto in estateMenù da 40 euro

DOVE COMPRAREGELATERIA REMIGIOPorto LevanteTel. 090-9852555

L’APPUNTAMENTO

L’estate eoliana è un piacevole succedersi

di appuntamenti, molti dei quali

sono legati alla gastronomia

Nel primo weekend di agosto, a Lipari,

la celebrazionedi San Gaetano prevede

un corteo di barche e la festa del pesce,passerella trionfale

per i piatti che esaltano il sapore di totani,

spatole (pesci bandiera),alici, pesci spada, simboli

della pesca eoliana

Repubblica Nazionale

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le tendenzeA mezze maniche

Battezzata sui campi da tennis da René Lacoste e Fred Perry,è diventata simbolo del vestire comfort ma chic. Negli ultimianni, poi, le è stato consentito anche l’ingresso in ufficioconquistando così una porzione più grande nel guardarobamaschile. Sempre in puro cotone, meglio se effetto vintage,oggi torna con infinite varianti di stampe e colori

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 LUGLIO 2010

un mondo affollato quelle delle polo. Insieme alle ca-micie, si sono conquistate una intera sezione delguardaroba maschile. Gli addetti ai lavori hannoclassificato le polo come l’espressione di un“dress code” non formale ma chic e quindi adat-te a essere indossate in momenti di relax ma an-che in ufficio.

Nel ricco panorama delle magliette con ilcolletto svolazzante, storicamente primeg-giano e si sfidano da sempre la Lacoste e laFred Perry. La prima francese e la secondainglese, ma con un filo rosso che le acco-muna. La Lacoste è distribuita in Italiadalla manifattura Mario Colombo (laColmar di Monza) mentre la Fred Perryè una creatura della Beta di Biella. Duemarchi in perenne competizione. LaLacoste ha come simbolo il celebrecoccodrillo, che corrisponde al so-prannome del suo inventore, RenèLacoste, una leggenda del tennis. Eraun uomo che amava le sfide e una vol-ta scommise, con il suo capitano, una va-ligia in coccodrillo se avesse vinto una gara.Vinse e i compagni iniziarono a chiamarlo il “coccodrillo”.

Quel soprannome spinse un suo amico a fargli ricamare sullacamicia bianca quello che sarebbe diventato un simbolo fa-moso nel mondo.

Altrettanto celebre è l’alloro che contraddistingue il mar-chio Fred Perry, con le righine sul collo. Fred Perry era un ten-nista celebre, figlio di un sindacalista di Manchester, trasferi-to a Londra dopo essere stato eletto tra le file dei laburisti. Il ra-gazzo che non poteva vantare una ricca famiglia alle spalle eraguardato con sufficienza a Wimbledon, dove i campi di terrarossa era battuti esclusivamente da facoltosi rampolli. Malui, Fred, con le sue strabilianti vittorie li conquistò tutti,passando alla storia anche per la maglietta con l’alloro.

Oggi i fan delle nuove polo si dividono tra quelli chehanno nell’armadio vecchie Lacoste ereditate dai papàe Fred Perry vintage talmente comfort che non si but-tano mai via. Così che una Lacoste o una Fred Perrynon mancano mai in un guardaroba che si rispettie che ora si arricchisce di altri marchi. Come RalphLauren o Fay, John Ashfield, Etiqueta Negra oBrooksfield. La polo, dunque, trionfa purché siain cotone: più la usi e più diventa bella.

LAURA ASNAGHI

Una lunga storia nata per gioco

© RIPRODUZIONE RISERVATA

DONNAL’inconfondibile alloroFred Perry campeggiasul modello da donnacon colletto bianco

POLOCLASSICA

Per chi ama la perfezionedel classico: ecco

la Fay rosa con righineal collo e sulle maniche

ARCOBALENORighe colorate arcobaleno

e silhouette dalla formamolto aderente

Da donna, Lacoste

DANDYColletti sfiziosi per U.S.

Polo. Questa, da bambino,ha le righe sul retro

Dall’impronta dandy

È

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 25 LUGLIO 2010

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ARTISTICAColletto e fondo manica rosso

acceso, righe alternate a fiorelliniProposta da Arts District

JUNIORIl logo diventa grande e colorato

sulla polo bianca junior che ha le righesolo sul colletto. Brooksfield

TRENDYSciancrata e corta: la polo da donna

ha dettagli grigi che risaltanosul rosso. È la trendy Etiqueta Negra

RIGATAStravagante negli accostamenti

di righe strette e larghe, il modelloGant ha il colletto candido

RUGBYRighe bianche alternate a coloribrillanti nelle polo Harry & Sonsche imitano le maglie da rugby

INFANTILERosa, grigio e nero si alternanosul fondo bianco. È la proposta

estiva di Jeckerson per il bambino

PERSONALIZZATAPolo sempre più personalizzata

per La Martina. Femminile il modellorosa con plastron bianco al centro

COLLEGEJohn Ashfield a grandi

righe ispirazione college,come piace ai ragazzi

“Il nostro coccodrilloè sempre giovane”

Mario Colombo, Lacoste

Mario Colombo, amministratore dele-gato di Lacoste Italia, come spiega ilmito del coccodrillo di Lacoste?

«Bisogna essere capaci di stare al passo con itempi e fare in modo che la polo inventata nel ’33da Renè Lacoste, grande tennista, resti sempreun capo di culto, bello e desiderabile»

Tradotto cosa significa?«Fare in modo che le proporzioni e i modelli si

adeguino perfettamente ai gusti del mercato. Lapolo è sempre in piquet ma per esaltare il fisicoè diventata stretch, con un appeal maggiore siaper la donna che per gli uomini, giovani com-presi».

Tra gli obiettivi di Lacoste c’è quello di con-quistare le giovani generazioni. Come?

«Di recente a Berlino, durante la fieraBread&Butter, è stata presentata la nuova lineaLive, destinata proprio ai giovani: rende omag-gio alla musica, alla pop art e alle nuove tenden-ze culturali».

Quante sono le polo Lacoste vendute in unanno?

«Siamo a quota tredici milioni, un numeroenorme, che da solo testimonia la forza di que-sta maglia che ha settantasette anni di vita e liporta splendidamente».

In origine la Lacoste era solo bianca. Oggiquante sono le varianti di colore?

«La palette dei colori va da quelli decisi a quel-li pastello, si parla quindi di una gamma infinitache varia di stagione in stagione. La 1212, mo-dello icona della Lacoste, offre un ventaglio diquarantuno tonalità differenti».

(l. a.)

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“La corona d’alloroper spiriti ribelli”

Cristina Fila, Fred Perry

Cristina Fila, coordinatrice di Fred Perry,qual è il segreto delle vostre magliette?«Hanno una “anima” cattivella che piace

ai giovani. Loro le interpretano in maniera tra-sgressiva. Volutamente se le mettono di una odue taglie più piccole in modo tale da fasciare ilcorpo e svelarlo allo stesso tempo. Così le indos-sa Peter Doherty, il classico esempio di ragazzoribelle».

È vero che tra i più affezionati clienti del mar-chio figura John Fitzgerald Kennedy?

«Sì, fu uno dei primi a ricevere queste ma-gliette e ne diventò un fan. Il modo in cui lui le in-dossava ha certamente contribuito a creare unostile Fred Perry»

Perché fu scelto come simbolo proprio la co-rona di alloro?

«Perché è il simbolo della grande tradizionesportiva fin dall’antica Grecia e con questo tro-feo venivano insigniti i vincitori di Wimbledon.Fred Perry fu il primo tennista inglese a vincereil torneo di singolo maschile a Wimbledon, nel1934».

Come si mantengono giovani le polo FredPerry?

«Giocando sui dettagli, sui colli botton downo slim, vale a dire quelli a listino da mettere sot-to la giacca. Ma le polo si fanno apprezzare mol-tissimo anche per i colori».

Tra le new entry dei fan del marchio FredPerry chi c’è?

«Amy Winehouse, per non smentire la tradi-zione che ci vuole graffianti e sempre un po’ con-trocorrente».

(l. a.)

Repubblica Nazionale

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l’incontroSolitari

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Mi piace il rapportointimo con la barca,impari a sentirequalsiasi fruscioe rumore. La naturati parla, ed è allorache subentrauna sensibilitàpazzesca

ne, di giri del mondo ne ha collezionatidue e di transoceaniche più di trenta. In-stancabile.

«Durante l’estate lavoravo come skip-per e questo mi ha permesso di entrarein un mondo che mi piaceva sempre dipiù», spiega con lo sguardo perso tra i ri-cordi, «poi giovanissimo ho incontratoun amico, Jim Shearston, che mi ha of-ferto di fare la mia prima traversata del-l’Atlantico. Eravamo in tre, lui che di an-ni ne aveva settantuno, io e un altro ra-gazzo. Pensavo: ora arriviamo noi espacchiamo il mondo. E, invece, quelvecchio marinaio ci ha dato più di unalezione». Da allora Soldini non ha piùabbandonato il mare. In perfetta solitu-dine, seppur in modo non competitivo,ha esordito a diciannove anni: «Ero sta-to a Cuba per condurre dei turisti e miavevano lasciato una barca di sei metriche ho trasportato da Cala Galera sino aBarcellona». Nel 1989 vince l’AtlanticRally for Cruisers, la regata transatlanti-ca per imbarcazioni da crociera. Comenavigatore solitario diventa famoso du-rante la Baule-Dakar del 1991, al timonedi un cinquanta piedi di seconda mano.Ma è all’alba del 3 marzo del 1999 che, aPunta dell’Este, tifosi e giornalisti loaspettano trepidanti. Da quel momentoGiovanni Soldini diventa mito. Quandoil suo sessanta piedi Filataglia per primoil traguardo della terza tappa dellaAround Alone (il giro del mondo a velaper navigatori solitari) stabilisce unnuovo record: centosedici giorni, ventiore, sette minuti e cinquantanove se-condi. Un fulmine, per il grande pubbli-co. Un’eternità, per chi è solo in mezzoal mare. «Il vero problema di navigare insolitaria è dormire, perché più riesci aessere presente e vigile e più la barca vaforte. Quindi ti concedi dei sonnellini daventi minuti al massimo». Mentre si rac-conta assaggia con gusto un piatto d’in-salata: «Il bello delle privazioni è che poiti fanno apprezzare le cose semplici, co-me riposare in un letto o mangiare sedu-to a tavola». Quando è in barca, però,Soldini non si arrende alla dittatura delcibo liofilizzato. Anzi. «Ho inventatoun’ottima pasta in pentola a pressione,cotta con un bicchiere d’acqua dolce euno di acqua salata perché in mezzo almare la cosa più importante è rispar-miare. Altro segreto è cucinare mezzochilo di pasta per pranzo perché non saicosa ti può succedere nelle ore successi-ve. E poi, naturalmente, scorte di nutel-la e biscotti». Piccoli sacrifici ricompen-sati da momenti magici. «La mia primavittoria è stata una tappa del giro delmondo da Cape Town a Sidney, il diret-to concorrente era un australiano che siera giocato i baffi e quando l’ho supera-

to ero veramente contento d’immagi-narmelo senza quei baffoni», raccontacon gli occhi che ridono prima ancora diparlare.

Nella sua vita non ci sono stati peròsolo momenti felici. Il più brutto, sicura-mente, durante un tentativo di recorddella traversata atlantica da New York aCap Lizard, quando un’onda, più male-detta delle altre, ha rovesciato il Filae gliha portato via l’amico di sempre, AndreaRomanelli. Il buio. «Andrea era un mari-naio eccezionale e anche un grande pro-gettista, purtroppo abbiamo preso unatempesta enorme che per due giorni ciha sbattuto contro a centosessanta chi-lometri l’ora. Poi è arrivata un’onda ano-mala che si è scontrata sullo “zoccolocontinentale”, il che vuol dire che è di-ventata un muro d’acqua di quasi trentametri, e in due secondi i due compagniche erano fuori si sono slegati e Andreanon è riuscito a risalire». A quel punto latempesta, come un veleno, è entrata an-che nella testa di Soldini: «Dopo quellafuria ti rimane dentro un grande doloree una domanda: che senso ha tutto que-sto? Poi ho capito che l’unica risposta era

rimettersi in piedi e fare il giro del mon-do. La vittoria è arrivata perché la barcaera progettata bene, Andrea si era sacri-ficato tanto per renderla perfetta, e que-sto è il riconoscimento alla sua bravura».

Soldini ama la solitudine. «Mi piace ilrapporto intimo con la barca, impararea sentire qualsiasi fruscio e rumore.Mettersi in contatto con tutti i sensi enon avere bisogno di nulla. Sei piccolis-simo in mezzo all’immenso e la natura tiparla. Subentra una sensibilità pazzescaderivata dal fatto che, se non capisci chec’è un problemino, potrebbe diventareun problemone se non c’è nessuno adaiutarti. Però in fondo ti consoli pensan-do che non sei mai solo, c’è chi ti aspettanelle tappe, chi controlla l’aspetto mul-timediale. Mia moglie sa sempre perfet-tamente dove sono. Ci sono fax, telex, in-ternet e telefoni satellitari. Il nostro è ungran lavoro di team che per gli altri, quel-li che rimangono a terra, è molto fatico-so e senza visibilità». Ma è anche bellonavigare in gruppo: «Con gli altri dell’e-quipaggio s’instaura un rapporto spe-ciale, parli di tutto. Bisogna avere moltafiducia ed essere perfettamente coordi-nati il che, forse, è l’aspetto più difficile».Le giornate di chi va per mare sono tuttesimili e tutte diverse. I pensieri sembra-no uscire dal tempo. «È un immenso pri-vilegio. Trenta o settanta giorni è lo stes-so, vivi il presente e ti accorgi dello scor-rere delle ore solo quando sei vicino al-l’arrivo. Prima di quel momento non c’èoggi o domani, neppure mattina o sera,magari hai l’orologio che segna mezza-notte ma dalla parte del mondo in cui seifinito il sole ti spacca la pelle». Anche il ri-sultato non deve condizionare troppo.L’ansia fa fare scelte sbagliate. «Dovrestiessere contento di essere lì, comunquevada. Per me vincere non è mai stata l’u-nica cosa che conta. Solo così puoi man-tenere l’equilibrio perché nessuno resi-sterebbe centosedici giorni con il soloobiettivo di arrivare per primo fisso nelcervello».

La paura è l’inevitabile compagna. Sifa sentire, puntuale, alla vigilia di ognipartenza. «È il momento di massimaadrenalina e del buco nello stomaco,quello in cui vorresti essere dall’altraparte del mondo. Poi però passa e tuttorientra in una sorta di normalità». Diver-so è il panico. Quell’ansia feroce che im-pedisce di ragionare. «Se ti capita un in-cidente non hai il tempo di pensare, perfortuna il senso di sopravvivenza ti aiutaa tenerlo sotto controllo». Ogni mare ri-serva insidie diverse. «Le acque cristalli-ne del sud sono le più affascinanti con laloro atmosfera esotica ma sai che, se tisuccede qualcosa, non c’è terra nelle vi-cinanze. Se sei sopra il cinquantesimo,

invece, non ci sono navi e nessuno ti puòsalvare se non i tuoi amici». Di salvatag-gi Soldini ne sa qualcosa: quando Isa-belle Autisser si è rovesciata in pieno Pa-cifico meridionale, con un cielo e un ma-re che sembravano un unico inferno, luiè riuscito a recuperarla urlando come unpazzo: «L’ho beccata, l’ho beccata!». Ilbattito del cuore così forte da non farsentire il rumore del mare.

Quando non naviga Soldini è appa-rentemente tranquillo. Ha quattrobambini, avuti da due donne diverse,che naturalmente già porta in barca. Vi-ve a Sarzana e cerca di fare le cose cheama di più: leggere, sentire musica, sta-re con i figli. Una cosa che invece nonama affatto, ma che fa parte del suo me-stiere, è la ricerca del denaro necessarioper costruire le barche e per finanziare leimprese. La caccia all’indispensabilesponsor. Una volta è ricorso anche al faida te. Con una comunità di recupero pertossicodipendenti ha costruito Stupefa-cente: «È stata un’esperienza speciale, inotto mesi coinvolgendo tantissime per-sone e alla fine è arrivato anche lo spon-sor». Adesso si prepara a una nuova av-ventura. Nell’ottobre del 2011 porterà iltricolore alla Volvo Ocean Rice. È la sfidaepica per eccellenza. Un giro del mondoin equipaggio che tocca tutti i continen-ti e gli oceani nell’arco di otto mesi. Unincredibile test di resistenza fisica e psi-cologica. «Il nostro obiettivo è quello diaggregare un gruppo di aziende che so-stenga un team tutto italiano, creandoun’immagine forte attorno alla barca“Italia70”». Il 2010, per Giovanni Soldini,è dedicato invece a comunicare il mon-do della vela a un pubblico ancora piùgrande. «Vogliamo uscire dall’idea disport d’élite e avvicinare scuole e giova-ni al mare e a un’idea ecologica di sport».Conoscendolo, non sarà difficile.

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IRENE MARIA SCALISE

ROMA

La risata di Giovanni Soldinitravolge come un’onda delmare. Quello stesso mareche lui, navigatore solita-

rio, attraversa con il cuore leggero e l’a-drenalina in corpo. Quel mare fatto dicolline d’acqua che entrano nella testa enello stomaco. Follia e passione. Gio-vanni Soldini, arruffato e sorridente, èriuscito a portare le meraviglie della ve-la nelle case di tutti. E per molti è stato uncolpo di fulmine. Lo hanno amato per isuoi occhi brillanti. Per i capelli spetti-nati e la pelle bruciata dal sole. Per l’alle-gria di chi sembra non conoscere la pau-ra, e per l’aria da eterno ragazzo. Ma, so-prattutto, perché è un tipo “normale”.«Non è vero che non ho timori», raccon-ta, «la paura è la migliore compagna,perché è quella che ti fa vedere i tuoi li-miti e ti fa tornare a casa vivo».

Giovanni Soldini, considerato damolti come il miglior navigatore solita-rio di tutti i tempi, da bambino non im-maginava una vita così avventurosa. Mi-lanese, terzo di tre fratelli, ha sempreavuto un sogno: viaggiare. «Desideravoconoscere il mondo e ho capito che ilmodo più libero per farlo era seguendoil mare», racconta seduto in un bar delcentro di Roma dove con la sua risatacontagiosa rompe il pigro silenzio mat-tutino. Agita le mani e non è possibilenon notarle: screpolate, grandi, dure.Mani da lavoratore. A quindici anniscappa di casa e, quando torna in fami-glia, si mette a lavorare in un cantiere do-ve costruisce barche. A diciassette com-pie la prima transoceanica, a venticin-que una regata in solitaria e a trenta, incentoventi giorni, il giro del mondo. Eoggi, dopo diciassette anni di navigazio-

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Ha sempre sognato di viaggiare“Fin da piccolo ho capitoche il modo più libero per farloera seguendo il mare”. Dopo trenta

transoceaniche e due giridel mondo, è diventatoil miglior navigatoresolitario di tutti i tempiHa visto da vicinola morte, e ha semprecome compagna

di viaggio la paura: “Si fa sentirealla vigilia della partenza ed è leiche ogni volta mi riporta a casa”

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Giovanni Soldini

Repubblica Nazionale