DI REPUBBLICA DOMENICA SETTEMBRE NUMERO 443...

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Prime cotte, primi giochi primi balli, primi baci Il diario inedito del quattordicenne Francis Scott Fitzgerald CULT La copertina CRISTINA BALDACCI e FABIO GAMBARO Da Richter alla Biennale l’arte soffre di mal d’archivio Il libro ELENA STANCANELLI La sindrome di Paperoga nel testamento di Zanotti All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Enrico Rava “Vivere e suonare sapendo di fare la cosa giusta” La musica LEONETTA BENTIVOGLIO Muti sul podio a Salisburgo porta in trionfo l’Opera di Roma L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo l’alchimia secondo Kiefer 1973-2013 Quel settembre di Salvador Allende La memoria ANTONIO SKÁRMETA Una casa per tutti, ecco il mondo visto dall’Ikea L’attualità ETTORE LIVINI e GABRIELE ROMAGNOLI Le mie ragazze I miei ricordi di Nancy sono piuttosto confusi, ma c’è un gior- no che spicca su tutti gli altri. La casa dei Gardeners era tre miglia fuori città, e un giorno io e James Imham, sopranno- minato Inky, il mio migliore amico, fummo invitati da loro per l’in- tera giornata. Io avevo circa nove anni, Nancy più o meno otto, ed eravamo infatuati perdutamente l’una dell’altro. Era pieno inver- no, così appena arrivati cominciammo a giocare con la slitta cana- dese. Io, Nancy e Inky eravamo su una slitta, e arrivò Ham (il fratel- lo maggiore di Nancy) e voleva salirci su. Fece un balzo sulla slitta, ma io la spinsi avanti appena in tempo, e lui cascò a faccia in giù. Andò su tutte le furie. Diceva che mi avrebbe fatto scendere a calci, che non era la mia slitta e che non potevo giocarci. Comunque Nancy appianò le co- se e andammo a pranzo. (segue nelle pagine successive) AGOSTO 1910 FRANCIS SCOTT FITZGERALD F rancis Scott Fitzgerald non aveva ancora compiuto quat- tordici anni quando cominciò a tenere un diario cui diede l’impegnativo titolo di The Thoughtbook. Il termine non esisteva in inglese ma il significato è chiaro: era il libro dei suoi pen- sieri. Gli amici più stretti sapevano che Scott teneva questo quader- no segreto in una cassetta sotto il letto. A noi ne sono arrivate solo ventisette pagine, che però restituiscono un chiaro ritratto del futu- ro scrittore. Riprodotto nel 1965 in trecento copie destinate agli stu- diosi dell’autore del Grande Gatsby, il volume The Thoughtbook of Francis Scott Fitzgerald. A secret Boyhood Diary (Minnesota Univer- sity Press) viene pubblicato negli Stati Uniti soltanto oggi. Nel 1910 la famiglia Fitzgerald era da poco tornata a Saint Paul, nel Minnesota, dove Francis Scott era nato e dove suo padre aveva mes- so su una piccola impresa di mobili in vimini. (segue nelle pagine successive) GABRIELE PANTUCCI DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013 NUMERO 443 piccolo Il Gatsby

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Prime cotte, primi giochiprimi balli, primi baciIl diario ineditodel quattordicenneFrancis Scott Fitzgerald

CULT

La copertina

CRISTINA BALDACCI e FABIO GAMBARO

Da Richteralla Biennalel’arte soffredi mal d’archivio

Il libro

ELENA STANCANELLI

La sindromedi Paperoganel testamentodi Zanotti

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Enrico Rava“Vivere e suonaresapendo di farela cosa giusta”

La musica

LEONETTA BENTIVOGLIO

Muti sul podioa Salisburgoporta in trionfol’Opera di Roma

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondol’alchimiasecondo Kiefer

1973-2013Quel settembredi Salvador Allende

La memoria

ANTONIO SKÁRMETA

Una casa per tutti,ecco il mondovisto dall’Ikea

L’attualità

ETTORE LIVINI e GABRIELE ROMAGNOLI

Le mie ragazze

Imiei ricordi di Nancy sono piuttosto confusi, ma c’è un gior-no che spicca su tutti gli altri. La casa dei Gardeners era tremiglia fuori città, e un giorno io e James Imham, sopranno-

minato Inky, il mio migliore amico, fummo invitati da loro per l’in-tera giornata. Io avevo circa nove anni, Nancy più o meno otto, ederavamo infatuati perdutamente l’una dell’altro. Era pieno inver-no, così appena arrivati cominciammo a giocare con la slitta cana-dese. Io, Nancy e Inky eravamo su una slitta, e arrivò Ham (il fratel-lo maggiore di Nancy) e voleva salirci su. Fece un balzo sulla slitta,ma io la spinsi avanti appena in tempo, e lui cascò a faccia in giù.Andò su tutte le furie.

Diceva che mi avrebbe fatto scendere a calci, che non era la miaslitta e che non potevo giocarci. Comunque Nancy appianò le co-se e andammo a pranzo.

(segue nelle pagine successive)

AGOSTO 1910

FRANCIS SCOTT FITZGERALD

Francis Scott Fitzgerald non aveva ancora compiuto quat-tordici anni quando cominciò a tenere un diario cui diedel’impegnativo titolo di The Thoughtbook. Il termine non

esisteva in inglese ma il significato è chiaro: era il libro dei suoi pen-sieri. Gli amici più stretti sapevano che Scott teneva questo quader-no segreto in una cassetta sotto il letto. A noi ne sono arrivate soloventisette pagine, che però restituiscono un chiaro ritratto del futu-ro scrittore. Riprodotto nel 1965 in trecento copie destinate agli stu-diosi dell’autore del Grande Gatsby, il volume The Thoughtbook ofFrancis Scott Fitzgerald. A secret Boyhood Diary (Minnesota Univer-sity Press) viene pubblicato negli Stati Uniti soltanto oggi.

Nel 1910 la famiglia Fitzgerald era da poco tornata a Saint Paul, nelMinnesota, dove Francis Scott era nato e dove suo padre aveva mes-so su una piccola impresa di mobili in vimini.

(segue nelle pagine successive)

GABRIELE PANTUCCI

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 1SETTEMBRE 2013

NUMERO 443

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Gatsby

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LA DOMENICA■ 30DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

“Ieri ero al terzo postonel cuore di Kitty,

oggi sono in testa!”Amici-nemici da battere,

fidanzatine da collezionare,giochi proibiti e gelosie,

bisticci, perdoni e strategieGli affanni adolescenziali

dell’autoredel “Grande Gatsby”

La copertinaFrancis Scott Fitzgerald

(segue dalla copertina)

Di KittyWilliams ho un ricordo molto più ni-tido. Ci incontrammo la prima volta allascuola di ballo, e quando il signor Van Ar-numn (il nostro maestro di ballo) mi scelseper guidare la Marcia, le chiesi di ballarecon me. Il giorno seguente disse a Marie

Lautz, e Marie lo ripeté a Dorothy Knox, che a sua volta loriferì a Earl, che ero al terzo posto nelle sue simpatie. Nonricordo chi fosse al primo, ma so che Earl era al secondo esiccome ero già completamente sopraffatto dal suo fasci-no, decisi lì per lì che mi sarei guadagnato il primo posto.Come nel caso di Nancy, c’è un giorno in particolare che èrimasto impresso nella mia memoria. Una mattina andainel cortile della Honey Chilenton, dove di solito si riuniva-no i bambini, e scorsi Kitty. Non facemmo che parlare, e al-la fine mi chiese se sarei andato alla festa di Robin, e fu lì ilgiorno fatale. Giocammo all’ufficio postale (ragazzi e ra-gazze si dividono in due stanze diverse, quindi gli uni van-no dalle altre per baciarle e poi viceversa, ndt) al gioco delcuscino, all’applauso (uno dei giocatori esce dalla stanza,quando rientra deve indovinare chi l’ha scelto come com-pagno: se indovina gli altri battono le mani, ndt) e ad altrigiochi sciocchi ma interessanti. È impossibile contare ilnumero di volte in cui baciai Kitty quel pomeriggio. Ad ognimodo, quando tornammo a casa mi ero assicurato l’ago-gnato primo posto. Lo mantenni fino alla primavera,quando terminò la scuola di ballo, e poi lo cedetti a JohnnyGowns, un rivale. Il giorno di San Valentino, quell’anno,Kitty ricevette qualcosa come ottantaquattro valentine.Me ne mandò una, che ho ancora, come ne ho ancora unache mi diede Nancy. Insieme, in una scatola, conservo unaciocca di capelli, ma aspettate, ci tornerò su poi. Quel Na-tale comprai una scatola di caramelle da cinque libbre e mela portai dietro verso casa sua. Che sorpresa quando Kittyaprì la porta. Quasi svenni dall’imbarazzo, ma alla fine bal-bettai: «Da’ questo a Kitty», e corsi a casa.

Indiani e VioletSETTEMBRE 1910

Violet Stockton era una nipote della signora Finch e tra-scorse un’estate a Saint Paul. Era molto carina, con i capel-li castano scuro e gli occhi grandi e dolci. Parlava con un leg-gero accento del Sud, mangiandosi le erre. Aveva un annopiù di me, ma a me, come a quasi tutti gli altri ragazzini, pia-ceva molto. La conobbi attraverso Jack Mitchell, che vive-va alla porta accanto. Anche lui le era molto affezionato, co-me lo era Art Foley, e insieme le arrivavano di soppiatto al-le spalle e le tagliavano i capelli, una piccola sforbiciata in-tendo. C’era un gioco che facevamo chiamato “gli indiani”,che avevo inventato io. Alcuni di noi erano gli indiani e siandavano a nascondere da qualche parte. I cowboy alloracominciavano a cercarli, e al momento giusto gli indianisaltavano fuori e li prendevano di sorpresa. Eravamo tuttiarmati di mazze da croquet. Eravamo circa una quindici-na. Tutti i giorni, per un mese, giocammo a questo gioco, epoi tornammo alla realtà. A quel tempo fra le ragazze eropiù popolare di quanto non fossi mai stato. Ero il preferitodi Kitty Schulz, Dorothy, Violet, Marie e Catherine Tre. At-tualmente è il contrario, probabilmente con quasi tutte lo-ro; per lo meno con due. Ma adesso sto divagando. Alla fi-ne Violet diede una festa, che fu molto carina, e fu il giornodopo che avemmo un bisticcio. Lei aveva una specie di li-bro intitolato Flirtare con i gesti, e io e Jack glielo strap-pammo dalle mani e lo facemmo vedere a tutti i maschi.Violet andò su tutte le furie ed entrò in casa. Mi infuriai an-ch’io e quindi me ne tornai a casa. Violet si pentì immedia-tamente e mi chiamò al telefono per sapere se ero arrab-biato. Io però non volevo fare subito pace, e quindi riattac-cai il ricevitore. Il mattino seguente toccava a me pentirmi,

E così feci. Violet e io ci sedemmo sulla collina, dietro casadi Schultze, un po’ in disparte dagli altri.

«Violet», cominciai io, «hai detto che sono un monello?».«No».«Hai detto che rivolevi indietro il tuo anello, la tua foto-

grafia e i tuoi capelli?».«No».«Hai detto che mi odiavi?».«Certo che no; è per questo che te ne sei andato a casa».«No, ma Archie Mudge mi ha detto queste cose ieri se-

ra». «È un piccolo furfante», disse Violet indignata.Quel pomeriggio sculacciai Archie Mudge e feci defini-

tivamente la pace con Violet.

Estratti dal mio diario dei giorni dopoMERCOLEDÌ 20 AGOSTO

Oggi non ho fatto molto, ma ho appreso alcune cose prez-ziose, cioè:1) che sono stato uno sciocco a far pace con Violet; da Har-riet Foster;2) che Violet vorrebbe avere i miei denti; da Eleonor Mit-chell;3) che Violet aveva detto che voleva il suo anello appenapossibile; da Betty Mudge.

GIOVEDÌ 21 AGOSTOHo saputo due cose da Betty Mudge:1) che Violet ha detto che sono un donnaiolo;2) che a Violet non piaccio più neanche la metà di quantole piacevo prima.

VENERDÌ 22 AGOSTOHo saputo:1°) che Betty Mudges ha un debole per Bob Harrington,Tim Daniels e Bob Driscoll;2°) che avevo un nuovo rivale, Wharton Smith;3°) che Dorothy aveva un debole per me e Aurther Foley;4°) ho saputo anche che, come ha detto Harriet Foster, Vio-let ha detto delle cose che non erano sincere.

Cap. VII Scuola di ballo nel 191112 FEBBRAIO 1911

Da quando ha riaperto la scuola di ballo ho lasciato Alida.Mi sono preso due nuove cotte: per Margaret Armstrong eMarie Hersey. Non ho ancora deciso bene chi mi piace dipiù. La seconda è la più carina. La prima è più brava a con-versare. La seconda va per la maggiore fra T. Ames, J. Por-tefield, B. Griggs, C. Read, R. Warner, ecc., e io sono pazzodi lei. Trovo incantevole quando le dico che qualcuno le hafatto un complimento e che glielo riferirò se lei a sua voltami dirà di un complimento che è stato fatto a me, e lei midice: «Dimmi il complimento in modo complimentoso».

Sono impegnato in ogni ballo, fino al nono, per tutta lastagione. Noi ragazzi avevamo preparato una petizioneperché ci insegnino il Boston. Circa una settimana fa, al-cuni ragazzi, tra cui Arthur Foley, Cecil Reade, Donald Bi-gelow e Lawrence Boardman si sono rifiutati di fare la GranMarcia. Sono usciti fuori nell’atrio e hanno cominciato amettersi le scarpe. Il signor Baker era quasi fuori di sé dallarabbia, ma i suoi tentativi per convincerli a fare la Marcia sisono rilevati vani. Quelli di noi che stavano facendo la Mar-cia hanno fatto ogni pasticcio immaginabile, quindi ora laGran Marcia è abolita e al suo posto abbiamo altri tre balli.

(Traduzione di Fabio Galimberti)©1965 by Eleanor Lanahan, Thomas P. Roche,

and Christopher T. Byrne, Trustees under Agreement dated July 3, 1975

created by Frances Scott Fitzgerald Smith© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il diario dei miei primi amoriFRANCIS SCOTT FITZGERALD

A PRINCETONFitzgerald ventenne universitario a Princeton

In copertina, un ritratto di quando aveva quindici anni

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■ 31DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

(segue dalla copertina)

L’azienda era fallita, e Edward Fitzgeraldaveva trovato lavoro nell’Upper StateNew York, dove era rimasto insieme a

moglie e figli fino al 1908, quando di nuovo per-se il lavoro.

Dalle interviste che Fitzgerald — diventatoormai l’autore famoso e acclamato de Il grandeGatsby — diede molti anni dopo, di quel perio-do abbiamo l’immagine di una famiglia sull’or-lo della povertà estrema. In realtà le cose nonstavano esattamente così. Il giovane FrancisScott frequentava la Saint Paul Academy, unascuola privata la cui retta non era alla portata ditutti. Dopodiché passò alla Newman Academy,che costava alla sua famiglia non meno di ven-ticinquemila dollari all’anno, prima di entrarealla prestigiosa Princeton University (che didollari ne costava circa il doppio). Lo scrittorearrivò persino a raccontare a un giornalista diquella volta in cui, sentendo che il papà avevaperso il lavoro, decise di restituire alla mammai cinquanta centesimi della sua paghetta: nulladi più improbabile visto che sua madre, MollieMcQuillan, era la figlia di un ricco grossista digeneri alimentari che le aveva lasciato un’ere-dità assai cospicua.

Probabilmente il motivo di tanto deformatenarrazioni della (propria) realtà sono dovute alfatto che Francis Scott Fitzgerald ha sempre sa-puto dare al pubblico quello che il pubblico siaspettava. In questo caso un’altra storia di suc-cesso americano costruito con le proprie maninonostante la miseria degli inizi e le contingen-ze sfavorevoli.

A conferma di questa ipotesi, The Thought-book riflette un clima famigliare privo di ognipreoccupazione circa bilanci da far quadrare opaghette da restituire. Scrivendo il suo diarioFrancis si sente invece molto orgoglioso delproprio retaggio irlandese-cattolico, consoli-datosi una generazione dopo l’altra a partire dalbisnonno Francis Scott Key, avvocato di Balti-mora e soprattutto autore di The Star SpangledBanner, l’inno nazionale degli Stati Uniti. An-che il tono che permea ogni pagina di The Thou-ghtbook è costantemente positivo e ottimista.Non ci sono astuzie né sottintesi. C’è invece tut-to il fascino dell’adolescente, spesso quasi in-fantile, preoccupato soltanto di conquistare laragazza più bella e pronto a prendere a sculac-ciate i rivali. Non è un grande atleta, Francis, mapartecipa a tutti gli sport perché è consapevoledell’importanza che hanno nella vita sociale. Ilsuo obiettivo è essere il ragazzo più popolare, ilpreferito dalle ragazze, il più baciato, quello cheha la collezione più vasta di ciocche di capellifemminili. Tiene il conto del numero di cartoli-ne che riceve per San Valentino: quest’annoquindici, quattro di più dell’anno scorso. Matiene pure la contabilità delle “valentine” rice-vute dalle ragazze. Altrettanta minuzia è dedi-cata alla descrizione delle persone di cui si inte-ressa, così come all’analisi di talune persona-lità. E poi lunghe liste, di ragazze e di ragazzi:quasi a mitizzare la vastità d’un mondo di cui sisente sovrano. La meticolosità di queste liste siestende fino a farne documenti della sua storio-grafia personale. Fitzgerald ci offre per esempiola lista delle ragazze in ordine di bellezza e sipreoccupa di fornirci anche quella dell’annoprecedente: Kitty Schulz è scesa al secondo po-sto, mentre Marie Hersay è salita dal quarto alterzo e Elenor Alair dal terzo è passata incredi-bilmente testa.

Tanta accuratezza, come pure una buon va-rietà e proprietà di linguaggio, curiosamentecontrastano con l’occasionale sciatteria dellascrittura. È vero che gli errori di ortografia nonsono moltissimi, ma sembrano quasi sempreespressione di una pigrizia che gli impedisce diverificare se, per esempio, avverbi del tipo befo-re, therefore abbiano oppure no la e finale. Op-pure i verbi: to receivelo scrive spesso con la ipri-ma della e (errore che di tanto in tanto conti-nuerà fare anche nei suoi scritti da adulto). Ciòdetto ci sono brani di The Thoughtbookche cer-tamente sono serviti a Fitzgerald da spunto perscrivere This Side of Paradise, il suo primo ro-manzo. Altri echi li ritroviamo in racconti brevi.Ma ci sono anche quelli che riascoltiamo nellavoce narrante di Nick Carraway nel Grande Gat-sby. Circa trent’anni dopo, quando l’alcol avevagià semidistrutto il suo fisico, Scott ha ancoramomenti di straordinaria lucidità che lascianoposto all’ironia e potrà scrivere a SheilaGraham, la donna con cui visse gli ultimi anni:«Uno scrittore non spreca nulla». Nemmeno inomi dei compagni di scuola e dei primi amori.

Il pensiero unicodel narcisoGABRIELE PANTUCCI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SUL PALCOFoto di gruppo per la classe del corso di recitazione. Francis Scott Fitzgerald è l’ultimo bambino a destra nella fila in alto

IN CAMPOLa squadra di football della Newman School. Il futuro scrittore qui ha sedici anni, è il terzo da sinistra nella fila in basso

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Settant’anni fa nasceva per servire due piccoli villaggitra i boschi, cinquant’anni fa apriva il suo primo negoziofuori dalla Svezia.Oggi che ne ha ovunque e che arreda i tinellidi chiunque, il marchio più globale che ci sia tocca il suo punto più alto:stampando il celebre catalogo in 220 milioni di copie. Uguali per tutti

L’attualitàCasa dolce casa

Unacerta

dimondo

220 milionile copie del catalogo 2014,il testo più stampato dopo la Bibbia (3,9 miliardi di copie) e il Libretto rosso di Mao (900 milioni)Nell’illustrazione,alcune copertinedel catalogodagli anni ’50 a oggi

29le lingue in cui viene tradotto il catalogo. Le diverse categorie di prodotti sono diffuse nel mondocon il termine svedese di un certoambito linguistico. Esempio: le librerie hanno nomi di mestieri

1963è l’anno in cui Ikea apre in Norvegia,data importante perchéda quel primo negozio fuori dalla Sveziacomincerà a conquistare il mondoOggi i negozi sono ben 330 suddivisi in 40 paesi e in 4 continenti

ETTORE LIVINI

Il BigMac? La Coca-Cola? Sbagliato. La glo-balizzazione — come Saturno — ha inizia-to a mangiarsi i suoi figli. Hamburger e be-vande gasate non tirano più. I veri cittadi-ni del mondo — dall’America alla Cina, daCarugate alla Nuova Zelanda — nascono

oggi con una dieta a base di Kötbullar(polpette) almirtillo rosso, consumate dentro i giganteschi pa-rallelepipedi gialli e blu in cui il Grande Fratellodella Casa Globale sta ridisegnando a sua imma-gine e somiglianza il look di tinelli, cucine e came-re da letto del pianeta. Lo stile, ormai, abbiamoimparato a conoscerlo tutti: una libreria Billy qui,un sofà Klippan là, due candele profumate Jublasul comò per fare ambiente. Al ritmo di una sup-

pellettile d’arreda-mento alla volta, l’Ikeaha cancellato confinigeografici, gusti e tradizioninazionali. Entrando da pa-drona (ma con discrezionetutta scandinava) negli ap-partamenti di mezzo mondo.

Settant’anni fa, quando ènata, la sua missione era tutt’altra:fornire una piccola comunità dicampagna. E il nome, acronimo del-le iniziali del fondatore Ingvar Kam-prad, di Elmataryd, la fattoria in cuiera nato e di Agunnaryd, il villaggiodi duecento anime in cui viveva, segnava da solo ilimiti territoriali delle sue ambizioni. Oggi il colos-

so svedese ha 330 punti venditain 40 paesi (il primo fuori dallaSvezia fu aperto 50 anni fa, in

Norvegia) e il suo catalogo 2013-2014,fresco di rotativa e per la prima volta inversione unica per tutto il pianeta se-condo quanto anticipato da Le Mondeche al tema ha recentemente dedicatola copertina del suo magazine, è statostampato in 220 milioni di copie: il ter-zo volume più stampato nella storia do-po la Bibbia (3,9 miliardi di copie) e il Li-bretto rosso di Mao (900 milioni). Suisuoi materassi, vuole la vulgata, vieneconcepito un europeo su dieci e nei ma-

gazzini — uguali come gocce d’acqua a ogni lati-tudine — entrano 700 milioni di clienti ogni anno.

L’omologazione, del resto, è il segreto con cui iprofeti della globalizzazione — riducendo i costi diproduzione — riescono a far soldi. Passa il tempo,cambiano stagioni e governi, scoppiano le guerre.Ma una volta varcata la soglia dell’Ikea e lasciatasulla sinistra l’area-bimbi, si entra nella bambagiadelle certezze estetiche planetarie. Le uniche notedistoniche: i prezzi e le marginali concessioni alleconsuetudini locali, ultimi frammenti di biodiver-sità domestica sopravvissuti alla filosofia egualita-ria del marchio giallo-blu. L’Italia, per dire, è statala culla del boom delle scarpiere: nate nei magaz-zini tricolori, in nome del culto della scarpa del Bel-paese, e diventate oggi un best-seller dovunque.Negli Stati Uniti vanno di più i letti king-size e i ma-terassi molli, in Asia quelli rigidi come marmo. InCina hanno più spazi gli specchi — si vendono co-

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Dieci anni fa, avendo traslocato a Beirut e dovendo arredare casa,mi rivolsi a un falegname nel quartiere musulmano. Lui parlavasolo arabo, io ne conoscevo poche parole. Riuscii a dire tavolo (ta-

rabesa) e tentai di spiegargli come lo volevo, provai a farne un disegno ea quel punto lui disse, annuendo: «Bjursta». Pensai fosse un’altra parolain quella lingua che mal conoscevo. Ma lui prese un catalogo dell’Ikea emi mostrò il tavolo Bjursta. In Libano non c’era un negozio Ikea ma esi-stevano ugualmente i mobili. E così in tutto il Medio oriente, fino all’Iran.Una forma di globalizzazione inedita e ineguagliata: senza bisogno di punti vendita, di centrali delfalso, di laboratori cinesi. Un’idea copiata e diffusa perché universale. Non un’allusione al lusso re-so disponibile, ma un prodotto in scala 1:1. Anzi, talvolta il manufatto artigianale che duplica quelloindustriale ha un prezzo necessariamente più alto. Domenica scorsa ho preso un traghetto al molo11 di Manhattan. Andava dall’altra parte del fiume, a Brooklyn. Non esattamente: andava all’Ikea diBrooklyn. Trasporto gratuito nel fine settimana, costo del biglietto detratto dagli acquisti negli altrigiorni. C’era una fila lunga quanto quella vista al Guggenheim per ammirare le opere di James Tur-

rell. Gente di tutto il pianeta con l’aria di chi va a una festa. Li aspettava unluogo riconoscibile, una parte di mondo che non cambia nel mondo. Seiun immigrato nomade e vuoi sentirti a casa, a Roma come a New York: vaiall’Ikea. La disposizione degli oggetti è la stessa, i corridoi sono gli stessi,le indicazioni le stesse. Vale anche per i negozi della Apple? Sì, ma la Ap-ple è una casa virtuale, Ikea una casa reale. Una casa dove hai abitato an-che senza averlo mai fatto. È un luogo della memoria sovrapposta, co-struito nel tuo cervello da un mosaico di lampade, librerie, letti che hai vi-

sto in appartamenti di studenti, seconde case di sceneggiatori, ambienti da fiction televisiva. Finchèanche tu, inevitabilmente, ti sei comprato un tavolo Bjursta. Quello vero. E ti sei ricordato di quandoRomano Prodi stava a Bruxelles e si comprò una libreria Ikea decidendo di montarla da solo. Poi te-lefonò desolato a un amico: «Son qui che prillo con ’sta brugola. Prillo, prillo, ma non succede nien-te!». Quando esci dall’Ikea con il tuo acquisto scomposto, leggero sotto il braccio, ancora non lo sai,ma ti hanno venduto un’idea spesso discutibile, quasi sempre irrealizzabile.

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■ 33DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

700milionisono i clienti Ikea ogni annonel mondo. Il 79% dei prodotti sono venduti in Europa, il 14% nel Nord Americae il 7% tra Russia, Asia e AustraliaIn Italia i negozi Ikea sono 20

1/10si calcola che un bambinosu dieci in Europapotrebbe essere statoconcepito su un lettomade in Ikea

Come si dicetavolo a Beirut

GABRIELE ROMAGNOLI

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me il pane — inFrancia si restrin-gono i letti matri-moniali. I puntivendita in Scandi-navia non preve-dono tende o porte

per docce, quelli inglesi hanno solo pareti scorre-voli di vetro mentre in Spagna e Italia c’è più spa-zio per le tende plastificate bianche. Il massimo deldisordine creativo è invece ovunque codificato neiBulla-Bulla, i cestoni dove si ammucchiano concuratissima noncuranza gli oggetti per la casa. Untrucco di marketing vecchio come il mondo perdare un’impressione di convenienza.

Il metodo, numeri alla mano, funziona. L’elen-co dei clienti — dai reali delle corti europee ai bei

nomi di Hollywood — dimostra come lo stile Ikeaabbia sbriciolato le barriere sociali e dribblato lepolemiche che hanno segnato i suoi sette decennidi esistenza. L’elenco, anche in questo caso, è lun-go: dalle simpatie filo-naziste del fondatore alla se-gretezza dei dati di bilancio (il primo è stato pub-blicato nel 2010). Dall’accusa di aver sfruttato i pri-gionieri politici nella ex-Ddr alla decisione di to-gliere le donne dalla versione saudita del suo cata-logo. Fino alla carne di cavallo proprio nelle Köt-bullar, ai sospetti di spionaggio su clienti edipendenti in Francia e ai colibatteri trovati nellamitica Chokladkrokanttarta, la torta mandorle ecioccolata ritirata in 23 paesi e poi tornata sugliscaffali a pericolo scampato.

In un’azienda davvero mondiale, del resto, iproblemi — come le loro soluzioni — sono sempre

a 360 gradi. E il colosso svedese, con rigorenordico, si è rimboccato le maniche per pro-vare a fare da capofila — il tempo dirà con cherisultati — anche nella globalizzazione deidoveri d’impresa e dei diritti dei consumatori. Il47% dei manager è donna. Un terzo dell’energiabruciata nei grandi magazzini giallo-blu (recita ilrapporto sociale del gruppo) deriva da energie rin-novabili. Il 22% dei materiali utilizzati (Ikea è ilmaggior compratore di legno al mondo) arriva dapiantagioni certificate e centinaia di ispettori vigi-lano sulle condizioni di lavoro presso i fornitori.Un format che finora ha pagato: nel 2012 la societàha fatturato oltre 27 miliardi di euro e macinato 3miliardi di utili. Ventottomila giovani italiani si so-no messi in fila per i 200 posti di lavoro creati nelnuovo punto vendita di Pisa. Buon cuore, prezzi

bassi e profitti. Tutto si tiene. I poveri di oggi, in fon-do, saranno i clienti di domani. La Fondazione del-l’azienda ha persino lanciato una “tenda per rifu-giati”: in versione giallo-blu, è stata progettata conle Nazioni Unite per il comfort in stile-Ikea neicampi profughi. Resistente, termo-isolata, com-ponibile (ci mancherebbe altro). Manca la cucina.Altrimenti, c’è da scommetterci, il benefattoresvedese, in nome della globalizzazione della soli-darietà, offrirebbe pure un piatto di Kötbullar.

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LE TAPPELE FORZE ARMATENel 1973 la destraorganizza azioniviolente alle qualiUnindad Popularrisponde con grandimanifestazioniIn agosto le forzearmate dichiaranoillegittimoil governo Allende

I CAMIONISTIGli Stati Unitifanno crollareil prezzo del rameper danneggiarele esportazionicilene. Unosciopero deicamionisti gettail paese nel caosLa destra insorge

LE ELEZIONINel 1970 la coalizionedei partiti di sinistraUnidad Popolarvince le elezionicon il 36% dei votiAllende diventail primo presidentemarxistademocraticamenteeletto

GLI AMERICANIL’amministrazioneNixon è preoccupataLa Cia conduceoperazionidi propagandaper spingereil Congresso cilenoa non ratificarela vittoria elettoraledi Allende

SALVADOR ALLENDENasce a Valparaisoil 26 giugno 1908in una famigliaborghese. Si laureain medicina,nel ’33 fonda il Partito socialistaSarà ministro in varigoverni e presidentedel Senato

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

“Lo sguardo attento dietro gli occhialidalla montatura spessa, il petto gonfiocome un piccione fiero”. Uno scrittoreracconta l’uomo che quarant’anni fasognò di cambiare il Cile

La memoriaSettembre 1973-2013

Salvador Allende non era unguerrigliero che un giornoscese dalla montagna, nonera un profeta visionarioche sbarcò da un’arca conangeli armati fino ai denti,

e non era nemmeno un poeta fuori dalmondo che confondeva le nuvole coni carri armati. Era la cosa più simile checi fosse a un cittadino comune. Nonun’apparizione improvvisa, ma unapersona che stava tutti i giorni lì dovedoveva stare.

Il mondo lo ricorda, a quarant’annidalla sua morte nel palazzo della Mo-neda, come un rivoluzionario. Per i ci-leni la sua “rivoluzione” non era l’eser-cizio della violenza per “far partorire”la storia, ma la paziente, laboriosa lot-ta di una vita per conquistare, nel 1970,la presidenza della Repubblica che gliavrebbe consentito di dare forma al so-gno suo e della società che rappresen-tava: promuovere un socialismo de-mocratico — con tutte le libertà per-messe — differente dai socialismi o co-munismi esistenti nel mondo. Conespressione fin troppo folcloristica Al-lende la chiamò «una rivoluzione chesa di empanada e vino rosso».

Aveva attraversato tutte le istituzio-ni della Repubblica. Fu ministro, de-putato, senatore, e prima di essereeletto presidente era stato presidentedel Senato, l’istituzione legislativa su-prema, il faro radioso di legittimità de-mocratica. Prima di essere presidente,Allende si sente orgoglioso di questoPaese in cui la Costituzione governa lavita del popolo e vincola a sé le leggi chela Repubblica produce. Il popolo lo co-nosce bene: già tre volte è stato candi-dato alla presidenza, nel 1952, nel 1958e nel 1964. Qualche volta ha perso lar-gamente, qualche altra volta di strettamisura. Non prende in considerazio-

ne mai altre strategie se non le urne e ilvoto popolare per arrivare al potere.Prima di essere eletto, nel 1970, pro-nuncia la sua battuta autoironica piùcelebre, disegna il suo stesso epitaffio:«Qui giace Salvador Allende, futuropresidente del Cile».

Allende è stato più volte personag-gio dei miei romanzi, soprattutto ne Labambina e il trombone, un’opera checulmina appunto con i festeggiamen-ti popolari per la sua vittoria elettoraledel 1970, e che si sofferma in modo cor-poso su altri momenti più intimi e cal-di del mito. Allende, di professionemedico, visita la giovane protagonistae narratrice del romanzo, che è mala-ta, molto prima di diventare il tragicoeroe mondiale del 1973. L’azione delromanzo si svolge nel 1958, proprio nelmomento in cui la popolarità del can-didato socialista è enorme e la destra sirende conto con trepidazione che cisono fortissime probabilità che un«comunista» vinca le elezioni, e alloraelabora una strategia per sottrargli vo-ti: inventa un candidato dal pittorescofascino popolare, che fa discorsi nonmeno di sinistra di Allende, ma che hail vantaggio di non essere un tribunomarxista bensì un simpatico prete dipaese, Catapilco. Le percentuali finalidei due candidati che contano vera-mente, nelle elezioni del 1958, sono leseguenti: il candidato della destra, Jor-ge Alessandri, vince con il 31,2 per cen-to dei voti; Salvador Allende ottiene il28,5. E il pretino di Catapilco? Il 3,3 percento! Giusto giusto quello che servivaper sconfiggere Allende. Era un’epocadi machiavellismo bonario. Sono gliamabili giorni della Bambina e il trom-bone. Nel 1973 il machiavellismo ludi-co sfuma: la destra conquisterà conbombardamenti aerei, carri armati eodio psicopatico quello che non erariuscita a ottenere con i voti.

Allende aveva una postura fisica —

un’espressione corporea, diciamo —che trasmetteva calore e rassicurazio-ne. Era una posa straordinaria: losguardo attento dietro gli occhiali dal-la montatura spessa e il petto gonfiocome un piccione fiero. Una figura fa-miliare e rotonda, quella di una perso-na che rappresenta la storia di un Pae-se che ha servito in tante vesti. Quandopromuove la nazionalizzazione del ra-me, il Senato approva la legge all’una-nimità. Nessuno voleva fare la figuradell’antipatriottico! Ma quando arrivail golpe di Pinochet, con la conseguen-te soppressione del Senato, la primamisura che promulga è la “snaziona-lizzazione” del rame: il «salario del Ci-le» ritorna nelle mani di aziende priva-te e investitori esteri.

A quarant’anni dalla morte di Allen-de, i cileni e tutti gli abitanti del pianetaconsapevoli sanno fin troppo bene co-me avvenne la fine violenta del suo go-verno di appena mille giorni: i poteriforti del Cile, attraverso gli imprendito-ri e le corporazioni, attraverso i loro ap-parati di comunicazione, crearono unostato di guerra interna, promuovendo FO

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ANTONIO SKÁRMETA

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AUGUSTO PINOCHETNell’ottobre 1998viene arrestatoper crimini control’umanitàNel 2000 vienecondannatoe messo agli arrestidomiciliariMuore in Cileil 10 dicembre 2006

IL REFERENDUMIl 5 ottobre 1988i cileni devonodecidere se Pinochetpuò restare al potereper altri otto anniI “no” vinconocon il 60% dei votiPinochet abbandonama resta a capodelle forze armate

LA REPRESSIONELo stadio di Santiagoviene trasformatoin un campodi concentramentoLa repressionedella dittaturasarà durissima:5mila gli oppositoriuccisi o scomparsi(desaparecidos)

NIXONNel 1974 il Nytrivela cheil presidente UsaNixon ha stanziatooltre otto milionidi dollariper le attività messein atto dalla Ciacontro il governodi Salvador Allende

IL GOLPEAlle 11,52dell’11 settembre 1973due cacciabombardanoLa Moneda, il palazzopresidenziale dovesi trova AllendeIl presidentesi uccide col mitraregalatogli da Castro

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la Repubblica

scioperi e serrate che affossarono l’eco-nomia. Questa insurrezione senza tre-gua, come è largamente documentatonegli atti del Senato degli Stati Uniti, fuistigata e finanziata dalla Cia.

Ci si potrebbe chiedere, meraviglia-ti, perché in quasi tutto il mondo occi-dentale si conservi una memoria cosìviva ed emotiva del Cile, quando ci so-no molti altri Paesi che hanno soffertosopraffazioni, repressioni barbare eviolazioni dei diritti umani assai simi-li, Paesi che come il Cile hanno messoin pratica lo stesso terrorismo di Statoche instaurò Pinochet.

La mia risposta è che quando Allen-de, nel 1970, diventa il primo marxistademocraticamente eletto, i Paesi eu-ropei, in preda a gravi crisi e destini in-certi, vedono negli episodi del piccoloe lontano Paese sudamericano segna-li che possono risultare importanti nelvecchio continente. In Spagna c’è an-cora Franco, in Francia Mitterrand èlontanissimo dal prendere il potere, inGermania i Verdi non si sono ancoracostituiti come partito. L’attenzionedell’Europa si concentra sul mio Paesecon curiosità, simpatia e affetto. Quel-lo che offre è quanto mai auspicabile:un socialismo democratico e con mez-zi pacifici. E quando questo sogno vie-ne distrutto a cannonate, scoppia an-che la tristezza e la rabbia dei cittadinidi tutto il mondo. Non solo la genera-zione che visse il golpe quando era nelpieno degli anni ne conserva un ricor-do profondo. Anche i giovani delle di-verse generazioni hanno ereditato dai

loro genitori e nonni questo sentimen-to, per usare una parola più ampia di“politica”.

E gran parte di questa nobile imma-gine del Cile come di un Paese che scel-se di percorrere con dignità e allegria lastrada verso una democrazia piùprofonda ha a che fare con la figura diAllende. Confrontato a un mare di tur-bolenze, Allende cercò di portare avan-ti il suo programma rivoluzionario sen-za limitare le libertà di nessuno, senzacancellare l’opposizione e senza repri-mere con la violenza i gruppi insurre-zionali che paralizzavano il Paese.

Una settimana prima del golpe io fuifra quel milione di persone che sfilaro-no di fronte a lui per dimostrargli il no-stro appoggio e il nostro apprezza-mento. Fra quella moltitudine spicca-va un gruppo di cinquecento giovaniche sfilavano con passo militare gri-dando slogan di violenza rivoluziona-ria e portando sulle spalle un pezzo dilegno, forse un manico di scopa. Gio-vani che si illudevano che sarebberostati in grado di difendere il loro presi-dente quando il golpe, ormai prossi-mo, sarebbe arrivato. I manici di scopache portavano avrebbero potuto esse-re la metafora dei fucili, e invece no,erano solo quello: manici di scopa. Labattaglia di Pinochet fu contro un po-polo disarmato.

Un altro fattore che contribuisce al-la straordinaria memoria di Allende inCile e nel mondo è la dignità con cuimorì. Quando il palazzo della Monedaè alla mercé degli aerei che lo bombar-

dano meticolosamente, lui pronunciail suo ultimo discorso. Sono molte lefrasi commoventi di questo uomo cheannuncia che pagherà «con la vita ladifesa dei principi che sono cari a que-sta patria». Ma nessuna mi tocca nelprofondo quanto questo sentitoomaggio alla pace, all’etica e alla re-sponsabilità repubblicana, quandoconclude dicendo: «Ho la certezza cheil mio sacrificio non sarà vano, perchésarà perlomeno una lezione moraleche castigherà, l’infamia, la vigliac-cheria e il tradimento».

«Perlomeno»… Ah, presidente,quanto «più» c’è in quel «meno». I ge-nerali che la spodestarono oggi sonoparte dell’ignominia universale. I loronomi sono stati dimenticati e quandovengono ricordati è solo come icone diorrore e disumanità. I golpisti, dopo laloro vittoria-massacro, battezzaronoil viale principale del quartiere più ric-co del Cile Avenida 11 de Septiembre,per commemorare la loro impresa.Quarant’anni più tardi, perfino quellaparte ricca e destrorsa della popolazio-ne ha voltato le spalle al più fanaticodei sindaci pinochettisti, il colonnelloLabbé, e ha scelto una donna del quar-tiere, Josefa Errázuriz, che è riuscita acambiare quel nome che offendeva icileni con la sua designazione tradi-zionale, Nueva Providencia.

Oggi, nella memoria dei cileni, set-tembre non appartiene a Pinochet:appartiene ad Allende.

(Traduzione di Fabio Galimberti)© RIPRODUZIONE RISERVATA

PRESIDENTEA sinistrail neo-presidentein automobileper le stradedella capitalecilenascortatodal generalePinochet(a cavallo):è il 1970Sopra,mentreaccarezzail suo collie

IN FAMIGLIANella foto grande a colori, Salvador Allende e la moglie Hortensia Bussi con i nipoti nel 1971Qui sopra il presidente passeggia su Calle Morandè, a Santiago, insieme alla figlia Beatriz(“Tati”, morirà suicida a Cuba nel 1977) accompagnati da Gonzalo Leyton, Hernán MedinaPoblete e Danilo Albán, le sue guardie del corpo

CON LE FIGLIEDa sinistra: l’ultima foto di Allende che parlacon i suoi sostenitori da un balcone de La Monedala mattina dell’11 settembre; il presidente-medicovisita un ospedale; sopra, nel 1950, è allo stadiocon le tre figlie: da destra Carmen Paz, Isabele Beatriz. A destra, 11 settembre 1973, ore 14,26:pompieri e militari portano via dal palazzopresidenziale il corpo senza vita di Allende

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L’AUTORENato ad Antofagasta nel 1940, Skármeta divennefamoso in tutto il mondo con El Cartero de Neruda(il Postino), il romanzo del 1985 sull’esilio in Italiadel poeta, e premio Nobel, cileno Pablo Neruda, che divenne poi un film interpretato da Massimo TroisiNegli anni del governo di Allende, Skármeta militò nel Mapu, il partito nato da una scissione a sinistra della democrazia cristiana. Autore di numerosi romanzi e opere teatrali, ha scrittoanche il testo da cui è tratto il film Nosul plebiscito che pose fine alla dittatura

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Hannibal Lecter

CosìMaschereSpettacoli

SAG HARBOR, NEW YORK

Venticinque anni fa, in unavecchia casa di Sag Harborcon il pavimento sbilenco,

scrissi queste parole: «il silenzio degli in-nocenti». In quel momento mi resi contodi aver finito il romanzo, ma non solo:avevo trovato il titolo. Sopraffatto dallafelicità, mi staccai dalla scrivania, andan-do a sbattere contro la parete con loschienale della sedia. Ancora rapito daipersonaggi del libro e dall’odore di cordi-te nella stanza, provai l’istinto di pronun-ciare ad alta voce i nomi delle persone cheamavo. Ma un ricordo d’infanzia si misedi traverso: un giorno, da bambino, gio-cando ai cowboy tutto solo, avevo spara-to a un passero. Prendendolo in mano neavevo sentito il calore ed ero rimasto a os-servarlo in mezzo alle erbacce, le guancerigate dalle lacrime.

Scuotendo la testa, ripensai a cometutto era cominciato...

Tanto tempo fa la rivista Argosymi ave-va chiesto di recarmi nel carcere di Nue-vo León a Monterrey, in Messico, per in-tervistare un americano condannato al-l’ergastolo per l’omicidio di tre giovani.All’epoca avevo ventitré anni, ed ero con-vinto che aver fatto un reportage su unturno di pattuglia della polizia in Texasmi avesse insegnato tutto ciò che c’era dasapere sul mondo.

Dykes Askew Simmons, ex pazientepsichiatrico, era un bianco sui trentacin-que anni, un metro e ottanta per ottantachili, capelli brizzolati e occhi nocciola.Tratti distintivi: una plastica a Z mal ese-guita sul labbro leporino, piccole cicatri-ci sulla testa. Aveva gli occhi di una tarta-ruga inferocita, quasi sempre nascostidietro un paio di occhiali da sole neri.

Simmons mi presentò alcuni compa-gni di prigionia: un ufficiale giudi-

ziario del suo processo, in carce-re per aver ripulito qualcuno

di tutti i suoi beni, e un foto-grafo arrestato perché ru-

bava gli orologi alle vit-time degli incidenti

stradali. Quest’ul-timo si rim-

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la Repubblica

Un carcere messicano,vari psicopaticie un certo dottor SalazarL’autore del “Silenziodegli innocenti”racconta come,venticinque anni fa,creò il personaggioche diventerà un classicodel cinema horror

ho conosciuto

THOMAS HARRIS

maggio 2013

IL FILMDiretto da Jonathan Demme,Il silenzio degli innocenti (1991)vinse cinque premi OscarProtagonisti principaliAnthony Hopkins/dottor Hannibal Lecter(nella foto) e Jodie Foster/agente FbiClarice Starling

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quant’altro. Ripensandoci, non ricordoalcuna traccia di ironia nella sua risposta:

«Grazie, signor Harris. Non mancheròdi chiamarla, la prossima volta che ci ca-pito».

Fuori dalla porta, nel corridoio, vidi unpiccolo gruppo di persone in attesa condue guardie e una suora infermiera arri-vata da un convento poco lontano.

C’erano uomini e donne in abiti da la-voro stirati e huaraches (tipici sandalimessicani, ndr), puliti e strigliati per la vi-sita dal medico. Non erano carcerati, magente che abitava nei dintorni, e il dottorSalazar li curava gratis.

La guardia mi accompagnò fuori. Rin-graziandolo, gli dissi che avevo apprez-zato la collaborazione del dottore e gli do-mandai da quanto tempo lavorasse alcarcere.

«Hombre! Ma lei lo sa chi è quello?»«No. Abbiamo parlato solo di Sim-

mons.»Sui gradini, la guardia si voltò verso di

me. «Il dottore è un assassino, un chirur-go così bravo che riesce a inscatolare levittime in contenitori minuscoli. Nonuscirà mai di qui. È pazzo».

«Pazzo? Ma l’ho visto ricevere dei pa-zienti nell’infermeria».

La guardia alzò le spalle e aprì le brac-cia. «È pazzo, ma non con i poveri».

Tornato a casa, scrissi il mio articolo suDykes Simmons.

Una cosa portò a un’altra e mi ritrovaia occuparmi di crimini in altre zone delMessico, ma non vidi mai più il dottor Sa-lazar.

Nel frattempo la moglie di Simmonsaveva annunciato di essere incinta, e colpassare delle settimane cominciò ad au-mentare di circonferenza. Un sabato se-ra, durante il terzo trimestre, ci fu una vi-sita coniugale. Era il giorno in cui le suo-re arrivavano dal convento per prendersicura dei prigionieri malati. La moglie diSimmons si accomiatò da lui con parti-colare calore. In carcere erano arrivatedodici suore. Alla fine della giornata se neandarono in tredici. Una di loro era DykesSimmons, in abito e scarpe da suora.Glieli aveva portati la moglie, nascostisotto un vestito premaman.

Simmons tornò in Texas. Qualche me-se dopo fu trovato morto dentro un’auto-mobile a Fort Worth, dopo una rissa.

Quanto al dottor Salazar passò altrivent’anni in prigione. Quando fu rila-sciato, si dedicò alla cura di anziani e po-veri nel barrio più povero di Monterrey.

Il suo vero nome non è Salazar. Prefe-risco lasciarlo in pace.

Parecchi anni dopo, stavo cercando discrivere un romanzo. Il detective a cui miaffiancavo doveva avvalersi della colla-borazione di qualcuno che conoscessealla perfezione la mentalità criminale.Perso nei meandri del lavoro, lo seguiipassivamente al Manicomio criminalestatale di Baltimora per avere una consu-lenza da uno degli internati. E chi pensa-te che ci fosse ad aspettarlo, dentro la suacella? No, non il dottor Salazar, ma quel-lo che, grazie al dottor Salazar, fui in gra-do di riconoscere come un suo collega: ildottor Hannibal Lecter.

(Traduzione di Michele Piumini)

no molto educati, così mi hanno detto.Non vorrà insinuare che l’avessero pro-vocato?»

«No di certo. Ma i supplizi patiti in gio-ventù rendono i supplizi inflitti da adultipiù... concepibili».

A quel punto mi guardò, ed ebbi l’im-pressione di veder cambiare la sua fisio-nomia: i lineamenti si erano aperti all’im-provviso, come una falena che mostra ilgufo disegnato sulle ali.

«Lei è un giornalista, signor Harris. Co-me lo scriverebbe sul suo giornale? Comesi racconta la paura del supplizio in gior-nalese? Avrebbe il coraggio di trovare unaformula brillante sul supplizio, che so, “ilvizio del supplizio”?»

In quel momento una guardia bussòalla porta e fece capolino. «Dottore, sonoarrivati i pazienti».

Il dottor Salazar si alzò in piedi. «La pre-go di scusarmi» disse.

Lo ringraziai e lo invitai, se mai si fossetrovato in Texas, a darmi un colpo di te-lefono per un pranzo insieme, un drink o

boccò la manica per mostrarmi i cinqueorologi che aveva al polso, offrendomi unprezzo stracciato per un Bulova con il cin-turino sporco. Simmons mi presentò an-che la moglie, un’attraente infermieradell’Ohio che lo aveva sposato dopo l’ar-resto. Il sabato sera potevano usufruiredelle visite coniugali, appendendo dellecoperte all’ingresso della cella per assicu-rarsi un minimo d’intimità. Guardarequella donna era piacevole e rassicuran-te, un’oasi di tranquillità in un posto delgenere.

Circa un anno prima Simmons avevatentato di evadere, corrompendo unaguardia perché lasciasse una porta aper-ta e gli procurasse una pistola. Una voltaconsegnato il denaro, però, aveva trova-to la porta chiusa come sempre. Non so-lo, ma dopo essersi intascato la mazzetta,l’infido secondino gli aveva sparato, la-sciandolo a rantolare in una pozza di san-gue sulla terra crepata. Simmons si erasalvato solo grazie a un eccellente medi-co del carcere. Mi informai allora sulle cu-re che aveva ricevuto. La guardia aprì laporta dell’infermeria e mi presentò il me-dico. Corporatura minuta e snella, capel-li rosso scuro, il dottor Salazar se ne stavaperfettamente immobile e non era privodi una certa eleganza. Mi invitò ad acco-modarmi.

L’arredamento era spartano: un paiodi sgabelli per sedersi e, contro la parete,un mobiletto con una serie di barattolietichettati. Gli strumenti erano pochi:ago e filo, uno sterilizzatore, un paio diforbici mediche con la punta arrotonda-ta e, stranamente, uno speculum.

Il dottor Salazar rispose alle mie do-mande sulle ferite di Simmons e sul mo-do in cui le aveva tamponate. Quindi,puntellando il mento con le dita, miguardò.

«Signor Harris, cosa ha pensato quan-do ha visto Simmons?».

«L’ho osservato con attenzione per ve-rificare se corrispondesse alla descrizio-ne dei testimoni oculari».

«Qualche altra impressione?».«Non direi».«Ha risposto alle sue domande?»«Be’, sì, ma non è servito a granché. È

un tipo impenetrabile, si era preparato lerisposte».

«Si era preparato le risposte alle do-mande che si aspettava. Portava gli oc-chiali da sole dentro la cella?»

«Sì».«Era buio là dentro, vero?»«Sì».«Perché li portava, secondo lei?»«Forse per nascondersi».«Gli occhiali da sole gli rendevano il

volto più simmetrico? Ne miglioravanol’aspetto?»

«Davvero non saprei, dottore. Avevavari segni di percosse sulla testa».

Il dottor Salazar chiuse gli occhi, forseper non perdere la pazienza, poi li riaprì.Erano di un rosso cupo, picchiettati discintille granulose, come elioliti.

«Mentre parlava, ruotava il volto unadecina di gradi verso sinistra?»

«Può darsi, alla gente capita di disto-gliere lo sguardo».

«Ritiene che Simmons sia fisicamente

Il suo polso non superò maigli ottantacinque battiti,anche quando mangiòla lingua della donnaLo tengo chiuso lì dentro...

brutto? Non gli hanno fatto un gran bel la-voro al labbro».

«No».«Lo rivedrà, signor Harris?»«Credo di sì. Abbiamo l’autorizzazione

a scattare qualche fotografia all’internodel recinto carcerario con la sua auto».

«Ha portato gli occhiali da sole, signorHarris?»

«Sì».«Posso consigliarle di non indossarli

mentre lo intervista?»«Perché?»«Perché si vedrebbe riflesso nelle lenti.

Crede che da piccolo Simmons subisse leangherie dei compagni di scuola per viadel volto deturpato?»

«È probabile. Di solito è così».Il dottore sembrava divertito.«Già. Di solito. Ha visto le fotografie

delle vittime, le due ragazze e il loro fra-tellino?»

«Sì».«Le sono sembrati gradevoli?»«Sì. Belle facce, buona famiglia. Ed era-

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la Repubblica

- Posso vederele sue credenziali?- Certo- Più vicino per favore,più vicino...

‘‘ Vorrei che potessimoparlare più a lungoma so che sto per avereun vecchio amicoper cena stasera

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“In fondo era solo unoa cui piaceva l’ordine”

Anthony Hopkins

SILVIA BIZIO

LOS ANGELESSir Anthony, Hannibal Lecter festeg-gia il suo venticinquesimo compleanno.Cosa rappresenta questo personaggioper lei?

«Sono successe talmente tante cose daquando Il silenzio degli innocenti è diven-tato un film, e io stesso ho fatto talmentetante altre cose nel frattempo che non sa-rebbe esatto dire che io conviva con il si-gnor Hannibal Lecter. Diciamo però chemi sono divertito a interpretare la sua par-te, questo sì, e anche che sono piuttostocontento che il film sia diventato un clas-sico. Come pure non mi dispiace che, gra-zie a lui, io abbia vinto l’Oscar. Ciò detto, aonor del vero, non sto lì a pensarci troppo».

Perché secondo lei ha avuto un cosìstraordinario successo?

«Vero. È una vita che interpreto eroi divario genere, re, imperatori o anche sol-tanto bravissime persone comuni, eppurequando la gente mi vede per strada anco-ra mi chiede di Hannibal Lecter. Anche iomi chiedo il perché, e la risposta che mi doè questa: i personaggi cattivi sono affasci-nanti. La seconda domanda è: quali istintiscatenano nello spettatore? quale dinami-ca di proiezione/introiezione attivano?Un personaggio come Hannibal non lovorresti certo come amico nella vita reale,ma nella fiction ne siamo in qualche modo

attratti perché siamo in qualche modo at-tratti dai lati oscuri della psiche e della stes-sa esistenza umana. Sì, umana. AncheLecter è umano, solo che la sua umanità è,diciamo così, spinta all’eccesso. Ed è pro-prio questo stare continuamente in bilicotra normalità ed eccesso che risiede, forse,il segreto del fascino di personaggi di que-sto tipo».

Fece ricerche particolari per interpre-tare al meglio Hannibal Lecter?

«Neppure tantissime. Tutto era già bendelineato, fin nei dettagli, nel romanzo diHarris, un romanzo tanto potente quantoinquietante. E poi fui diretto alla perfezio-ne da Jonathan Demme. Alla fine mi sonosolo dovuto affidare all’istinto e una voltatrovata la sua voce, nasale, piatta e conqualcosa di sintetico, è stato piuttosto fa-cile abbandonarmi — devo dire anche conun certo gusto — alla sua follia e al suo ge-nio. La voce di Lecter secondo me dovevaricordare un po’ quella di Hal, il computerdi 2001 Odissea nello spazio: suadente efreddissima insieme. Hal è uno molto pu-lito e molto ordinato, e sarebbe capace diuccidere freddamente chiunque si met-tesse di traverso ai suoi obiettivi. Se c’erauna cosa che anche Hannibal Lecter nonsopportava era il disordine. Anche luiavrebbe fatto qualsiasi cosa, persino la piùorribile, per mantenere l’ordine».

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IL LIBROSarà in libreria martedì la riedizione italiana de Il silenzio degliinnocenti scrittoda T. Harris nel 1988(Arnaldo Mondadori,12 euro, 348 pagine,con prefazionedell’autoreche qui pubblichiamo)Il volume escenella collanaNumeriPrimi° in contemporaneacon altri titoli che hannoispirato grandi successicinematografici

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(pensate ai videogiochi). In ogni caso,piaccia o no, ci viviamo dentro. Com-prendere un po’ come funziona di-venterà competenza obbligatoria.Ovviamente la Rete se ne è accorta, econ una quantità di siti che insegnanoa programmare già dall’età in cui simettono le astine alle T. Per esempioScratch, visuale e intuitivo, si rivolge a

bimbi dagli 8 anni in su e ha avuto tan-to successo che da solo totalizza il die-ci per cento delle pagine web del Mit.Mitchel Resnick, direttore del proget-to, non ha dubbi: «Così come tutti do-vrebbero saper scrivere, tutti dovreb-bero saper programmare». Né più némeno. Oppure Hopscotch, che fun-ziona sui tablet rendendo l’interazio-ne più naturale. Per i ragazzini più

na vecchia battuta dice che un pessi-mista è un ottimista al corrente dei da-ti. Ma si può avere fiducia nel futuroanche conoscendoli. Ad esempioquesto, fornito dall’ufficio statistichedel Ministero del lavoro statunitense:c’erano 913 mila posti da program-matore nel 2010 e ce ne saranno il 30per cento in più entro il 2020. Ovveropiù del doppio della media della cre-scita delle altre occupazioni. Per chine terrà conto il sol dell’avvenire restasplendente. Nonostante la crisi. Ep-pure quelli che sanno scrivere codice(il linguaggio dei computer, ndr) scar-seggiano, anche in Italia, e l’America ècostretta a importarli dall’India dovegli informatici sono tanti e tanto bra-vi. Non è che stiamo sbagliando qual-cosa? Cioè, piuttosto che studiare let-tere e finire a lavorare in un call centerforse varrebbe la pena fare un’altra fa-

coltà e inventarsi call center più intel-ligenti. Oppure i prossimi Google oFacebook.

Tutto sta nel migliorare la reputa-zione dell’informatica. Che non èquella cosa arida e noiosa che siamostati indotti a credere da prof. senzaimmaginazione. Ma è un linguaggiopluripotente per costruire mondi, an-che più entusiasmanti di quello vero

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la Repubblica

NextMen at work

grandi c’è App Inventor, che creare leapplicazioni per iPhone o Android.Anche per gli adulti la scelta non è maistata così ampia. Da Codecademy aTreehouse, molti promettono di farvipassare dal livello Neanderthal a duetacche sotto Steve Jobs in poche setti-mane. Che probabilmente è la neme-si sbagliata dell’approccio tradizio-nalista.

Dunque: è realistico imparare dasoli, davanti a un computer, ciò che al-trimenti richiederebbe un intero cor-so universitario? «No, se si inizia da ze-ro è fondamentale un buon tutor» ri-tiene Paolo Ruscitti, cervello tecnolo-gico dell’aggregatore di blog Liquida,«se invece si conosce già almeno unlinguaggio di programmazione, an-che il fai-da-te online può funziona-re». Per consuetudine risalente agli in-ventori del linguaggio C, il primissimoprogramma di un principiante consi-ste nel far apparire sullo schermo lascritta “Hello World”. «Dopo qualcheora di lezione, bastano pochi minutiper ottenerla» stima Ruscitti. «Perqualcosa di più consistente, 4-5 lezio-ni da un paio d’ore l’una». Un softwa-rista esperto impiega almeno tre mesidi immersione totale per imparare be-nino un nuovo linguaggio. Bene, un

IMPARAREON LINE

Creativi del softwareè il vostro momento

U

Under 16Per bambini e ragazzi 8-16permette di programmarestorie interattive, giochie animazioni. È disponibilein più di 40 lingue diverse■ www.scratch.mit.edu

RagazzePensato per le ragazzeche vogliono impararelo sviluppo di softwareattraverso tutoraggioe istruzioni pratiche■ www.girldevelopit.com

BambiniDisponibile solo su tabletinsegna ai bambinia creare giochi interattiviOgnuno può scegliereil livello che preferisce■ www.gethopscotch.com

RICCARDO STAGLIANÒ

Da qui al 2020 la richiesta di informaticicrescerà del trenta per centoE se la scuola latita, a formare gli inventori dei nipotinidi Googlee Facebook ci sta già pensando la RetePerché immaginare nuovi siti web e nuove appè anche un gioco da ragazzi (e perfino da bambini)

Page 11: DI REPUBBLICA DOMENICA SETTEMBRE NUMERO 443 CULTdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2013/01092013.pdf · del Grande Gatsby La copertina Francis Scott Fitzgerald D i KittyWilliams

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la Repubblica

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anno. Benissimo, una vita. «In pocheore si crea una semplice pagina web inhtml e javascript» garantisce Ema-nuele Terracina, co-fondatore dellaweb-agency Gag, «Per cose più com-plesse servono anni. E non basta mai».Soprattutto, avverte, ci vuole una di-sciplina da maestro Jedi: «Ore e ore da-vanti al computer, in solitaria. E poiauto-formazione continua, perchéquesto è un ambiente che si rinnovatotalmente ogni pochi mesi». Quantoalla turbo-crescita prevista in Ameri-ca, fa notare, riguarda i progettisti, icreativi che si inventano programminuovi, più che gli esecutivi.

Per un entusiasmo senza riserve suitutorial online bisogna espatriare. Ilbritannico Eben Upton è convintoche «sì, è realistico imparare da solianche da zero. D’altronde negli anni’80, quando ho iniziato io, ordinavo imanuali in biblioteca e ci mettevanosettimane ad arrivare. Volete mettereoggi la comodità: l’accesso istantaneoa materiali, video e gruppi di discus-sione!». Nonché corsi impartiti a di-stanza, gratis, da prof. di Stanford co-me Andrew Ng, non a caso seguiti daoltre centomila persone. Sull’ondadel successo, ha fondato Courserache compete con Udacity nella forni-

tura di lezioni universitarie. Dopo unalaurea in fisica e ingegneria a Cam-bridge, dove ha preso anche il dotto-rato in filosofia, Upton ha messo inpiedi una fondazione che produceRaspberry Pi, un mini-computer del-le dimensioni di una carta di credito edal prezzo di una cena al ristorante (35dollari) sul quale bimbi tra 7 e 9 anni

imparerebbero a programmare inPython. Dice: «Per un principianteprodurre qualcosa in pochi minuti è lachiave per tenerne desti attenzioneed entusiasmo». Quella stessa gratifi-cazione istantanea che è tra i motiviper cui tanti suonano la chitarra e tan-ti meno la tromba, dove solo il far usci-re un suono giusto può rivelarsi un in-vestimento di mesi.

La verità sui tempi di apprendi-mento starà verosimilmente nel mez-zo. Di certo i bravi programmatorinon temono la routine. Paul Allen, ilpiù dotato del duo con Bill Gates, mo-tivò così il trasloco di Microsoft dalNew Mexico a Seattle: «Piove sempre,è un posto ideale per programmare».Quanto alla psiche periclitante dei co-ders, Douglas Coupland ne ha scrittonel memorabile Microservi. «Si faticaa trovare ottimi softwaristi» ammetteRuscitti, «e quando lo sono effettiva-mente hanno spesso seri problemi re-lazionali». Terracina conferma e insi-ste su un carenza diffusa: «Ci vuoleuna buona capacità di esposizione,per farsi capire dai clienti e da chi la-vora nella tua squadra». Bisogna, so-prattutto, sapere astrarre dal proble-ma per generalizzare la soluzione.Non illudersi che sia una passeggiata,né lasciarsi spaventare. «Facendoun’analogia con l’auto, un program-matore non è come un meccanico,ma solo uno che non vuole essere unpasseggero» scrive Douglas Rou-

shkoff, autore di Program or Be Pro-grammed. Al Congresso, dove è statoascoltato come esperto, ha scandito:«Le classi di informatica non possonoessere i luoghi dove insegnare ai ra-gazzi a usare il software di oggi, ma do-ve imparino a creare quello di doma-ni». In Estonia lo fanno. Il Miur è inascolto?

Pensare meglioImparare a programmare amplia la mentee aiuta a pensare meglio. Crea un nuovo mododi ragionare che credo sia utile in tutti i campiBill GatesFondatore e presidente di Microsoft

AppInsegna a creare sitiinterattivi in Javascript,Jquery e Php. Pythone Ruby per inventareapplicazioni per il web■ www.codecademy.com

AndroidAiuta a costruire sitiweb e a creare applicazioniper Iphone e AndroidUtilizza circa millevideo creati da esperti■ www.teamtreehouse.com

PrincipiantiOffre corsi onlineper principianti e espertiInsegna a programmaresiti, applicazioni per cellulare e giochi■ www.learntoprogram.tv

EspertiCorso online per impararel’informatica e superareesami di livellointermedio. Insegnaa programmare con Python■ www.udacity.com

La disposizione simbolicadi dati o comandiin un programmaper impartire alla macchinale istruzioni dell’uomo

CODICE

GLOSSARIO

Programma che traduceun linguaggiodi programmazione(codice sorgente)in un altro (codice oggetto)

COMPILATOREProcedimento cherisolve un problema conun numero finito di passiUn problema risolvibilecosì si dice computabile

ALGORITMO

Linguaggiodi programmazione“orientato agli oggetti” Lo ideò Guido van Rossumnei primi anni ’90

PYTHON

Acronimo di binary digitè un simbolo dell’alfabetobinario (fatto solo di zeroe uno) su cui è basatoil codice

BIT

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Anche l’occhio vuole la sua parte. Una gita nei giorni della vendemmia fascoprire nuovi modi di concepire e vivere il vino, a partire da dove tuttocomincia, la vigna, fino a dove il mosto sboccia, ovvero la cantina.Tecniche produttive, aggiustamenti economici, strategie di mercato: ilmondo del vino deve adeguarsi, si dice, perché il paesaggio enologico ècambiato. Ma il paesaggio è, o dovrebbe essere, prima di tutto un altro,

geografico e ambientale, ben più necessario, importante, decisivo. Da questo punto di vista, il paesaggio enologico, quello vero, reale, è cambiato mol-

tissimo, e quasi sempre in meglio. Merito di vignaioli illuminati e architetti curiosi, cheinsieme hanno ripensato sguardo e sostanza del vino, accorpando nuove tecnologie erispetto ecologico, sviluppando nel contempo uno sguardo originale e armonico sul-la terra madre dell’uva. Appassionati e addetti ai lavori hanno visto l’avvicinamento diartisti internazionali e super architetti con sospetto evidente: troppo sensibile la ma-teria, troppo alto il rischio di confondere i piani del bello e del buono. E invece, il bino-mio arte-vino ha funzionato così bene che installazioni e costruzioni dedicate si sonodiffuse in maniera (quasi) indolore, guadagnando consensi trasversali, dai produtto-ri storici ai vignaioli di nuova generazione.

Il primo a rallegrarsene è proprio il vino, perché i bravi produttori sono gente tosta, ca-parbia, appassionata, che non baratterebbe mai un’installazione modaiola con la cer-tosina selezione delle uve o la qualità dell’affinamento in botte. Le archistar hanno ascol-tato, studiato e modificato i loro progetti, mentre gli artisti hanno dimensionato gli spa-zi e modulato i loro interventi. I risultati sono ottimi e abbondanti, tanto che le richiestesi moltiplicano, fra sculture e materiali ecocompatibili, dipinti e sfruttamento della for-za di gravità (al posto delle pompe), tappeti sonori e isolamenti termici naturali.

Chi ha scelto l’arte, avendo già esaurito le opere di aggiornamento tecnologico, scegliedi fare abitare vigne e cantine dalle testimonianze di Michelangelo Pistoletto e Anish Ka-poor, Arnaldo Pomodoro e Igor Mitoraj, Chen Zhen e Ugo Nespolo, esaltando il principiodella multisensorialità di vino e sculture e condividendole con i visitatori. Altri, invece,hanno rivoluzionato lo sguardo della propria azienda. Così, Renzo Piano ha progettato lacantina di Rocca di Frassinello a Gavorrano (Grosseto), facendo ruotare la produzione in-torno alla barricaia, mentre la famiglia Frescobaldi è fiera della cantina maremmana“Ammiraglia”, il cui tetto è coperto da un giardino di piante officinali, e i bolzanini di Ma-nincor vantano un impianto di biomassa a base di trinciati provenienti dal legno di melie viti, fino alla Distilleria Nardini di Bassano del Grappa, per la quale Massimiliano Fuk-sas ha disegnato un doppio spazio laboratorio-ricevimento a forma di bolle.

Prima di andare a visitare la cantina d’autore prescelta, fate una deviazione a Este (Pa-dova) o Reggio Emilia, che dedicano il prossimo fine settimana al pane. Tra gli artigianidi «Comunipane» e quelli di «Pan de Re» troverete sicuramente la merenda giusta da bat-tezzare con un bicchiere di vino buono all’ombra di una bellissima cantina.

I saporiStrutturati

Da Renzo Piano a Pistoletto,dal Barolo allo Zibibbo

Così si trasformano le migliori cantine d’Italia

La fantasia al podere

ArchiWine

Ceretto CASTIGLIONE FALLETTO (Cuneo)Vetro e acciaio per il cubo realizzato da Luca e Marina Deabatenell’ampliamento della cantinaaffacciata sulle Langhe Vino Barolo Bricco Rocche, 170 euro

DOVE MANGIARERISTORANTE BOVIOVia Alba 17 bisLa Morra Tel. 0713-590303Chiuso mercoledì e giovedì,menù da 35 euro

DOVE DORMIRECASA BALADINPiazza 5 luglio 1944PiozzoTel. 0173-795239Camera doppia da 120 euro, colazione inclusa

ChiarloCALAMANDRANA (Asti)Per i dieci anni del parco artistico La Court, Ugo Nespolo ha realizzatouna porta che apre idealmente la cantina sulle vigneVino Barbera La Court, 27 euro

DOVE MANGIARESAN MARCO Via Alba 136 Canelli Tel. 0141-823544Chiuso martedì sera e mercoledì, menù da 35 euro

DOVE DORMIREAGRITURISMOLA CORTERegione Quartino 7CalamandranaTel. 0141-769109Camera doppia da 90 euro, colazione inclusa

Ca’ del BoscoERBUSCO (Brescia)Un rinoceronte imbragato nella cantina franciacortina è Il peso del tempo sospesosecondo Stefano Bombardone Vino Cuvée Prestige, 26 euro

DOVE MANGIARELA DISPENSAvia Principe Umberto 23Torbiato di AdroTel. 030-7450757Chiuso lunedì, menù da 35 euro

DOVE DORMIREIL DOSSO B&BVia Calvarole 2Corte FrancaTel. 030-9826645Camera doppia da 60 euro, colazione inclusa

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LE IMMAGINI“Carapace” si chiama la cantina realizzatada Arnaldo Pomodoro in Umbrianella Tenuta Castelbuono della famiglia LunelliNella foto piccola, all’interno dell’articolonella pagina accanto, la nuova cantinaAntinori Chianti Classico di Barginoprogettata da Marco Casamontie dallo studio Archea

LICIA GRANELLO

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Non il classicoChianti

Girando per il mondo si scopreche i vini più prestigiosi estraordinari sono figli di terre

modellate in maniera magistrale dal-l’uomo, ricchi di storia e cultura. LaToscana è così, plasmata nel rispettodell’ambiente e della natura, dai filaridei vigneti disegnati in modo da nonimpattare sui profili delle colline allecase coloniche inserite intelligente-mente nel paesaggio.

Dovevamo progettare una nuovastruttura nella zona del Chianti Clas-sico, perché la nostra era diventataobsoleta sia dal punto di vista tecnicoche urbanistico. La prima decisione èstata quella di unire la parte produtti-va con il cuore pensante dell’aziendadi Palazzo Antinori a Firenze. La zonapoteva essere solo questa, anche daun punto di vista simbolico, visto chenel Trecento la mia famiglia operavagià nella campagna di Badia Passi-gnano dove ancora oggi realizziamouno dei nostri migliori vini. Il secondopensiero è stato architettonico. Nonabbiamo fatto una vera e propria ga-ra, ma valutato una serie di proposte.Fino a quando ci è arrivato sotto gli oc-chi il progetto di un giovane architet-to fiorentino, Marco Casamonti, checi ha entusiasmati.

Sette anni di fatiche, dubbi epreoccupazioni, anche economi-che. Ma siamo contenti di non avercambiato in corso d’opera. Dellacantina Antinori Chianti Classico diBargino mi piace l’inserimento ar-monico nel paesaggio. Vista dallacollina di fronte è magnifica, anchese la mia parte preferita è la bottaiacon le tradizionali botti toscane da 50ettolitri. E mi piace il fatto che sia unacantina aperta, perché la comunica-zione migliore è far vedere ciò che stadietro la bottiglia. Annessi alla canti-na ci sono un ristorante, un negozio,un frantoio, la vinsanteria: tutto perricreare il microcosmo delle fattorietoscane. Speriamo solo di esserci riu-sciti, nel rispetto dei nostri predeces-sori, della bellissima terra di Toscanae dei suoi grandi vini.

PIERO ANTINORI

LagederMAGRÈ (Bolzano)Mario Airò ha progettato una ninna nanna video-sonoraper barriques, che accompagna il vinomentre matura in botte VinoAm SandGewürztraminer, 19 euro

DOVE MANGIAREZUR ROSEVia Josef Innerhofer 2San Michele Tel. 0471-662249Chiuso domenica,menù da 40 euro

DOVE DORMIRELOCANDATURMBACHVia del Rio della Torre 4AppianoTel. 0471-662339Camera doppia da 95 euro, colazione inclusa

Castello di AmaGAIOLE IN CHIANTI (Firenze)Ogni anno, un artista firma un pezzo di cantina. Ora è il turnodell’installazione Revolution di Kendall GeersVino Haiku, 32 euro

DOVE MANGIAREBADIA COLTIBUONOLocalità Badia a ColtibuonoCastellina in ChiantiTel. 0577- 749031Sempre aperto, menù da 35 euro

DOVE DORMIREBioAgriturismo Poggio AsciuttoVia Montagliari 40Greve in ChiantiTel. 055-852835Camera doppia da 85 euro, colazione inclusa

PetraSUVERETO (Livorno) Parte dalla pietra latina, l’idea di Mario Botta per la cantinamaremmana della famiglia Moretti (spumanti Bellavista)Vino Rosso IGT Toscana, 40 euro

DOVE MANGIAREIL SALEVia San Bartolo 100 San Vincenzo Tel. 0565-798032 Sempre aperto, menù da 30 euro

DOVE DORMIREIL CHIOSTROVia del CrocifissoSuveretoTel. 0565-827067Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

Umani RonchiOSIMO (Ancona)È stata scavata sotto i vigneti per sfruttare il microclima ideale, la cantina disegnata da Marco VignoniVino Pelago Marche Rosso IGT, 30 euro

DOVE MANGIAREGUSTIBUSPiazza del Comune 11OsimoTel. 07-1714450Chiuso domenica,menù da 20 euro

DOVE DORMIREAIRONE COUNTRYHOUSEVia Calavaldrese 154OsimoTel. 071-7107537Camera doppia da 75 euro, colazione inclusa

Tenuta CastelbuonoBEVAGNA (Perugia)Per Arnaldo Pomodoro la cantinaumbra della famiglia Lunelli (spumanti Ferrari) è come un carapace di tartaruga Vino Montefalco Sagrantino, 21 euro

DOVE MANGIARERISTORANTECOCCORONELargo Tempestivi 11MontefalcoTel. 0742-379535Chiuso sabato a pranzoe domenica, menù da 30 euro

DOVE DORMIREIL POGGIO DEI PETTIROSSIVia del Poggio 1BevagnaTel. 0742-361744Doppia da 80 euro,colazione inclusa

Feudi San GregorioSORBO SERPICO (Avellino)È firmata Hikaru Mori, la cantina della famiglia Capaldo esposta alla Biennaledi Architettura di Venezia Vino Serpico Aglianico d’Irpinia, 50 euro

DOVE MANGIAREMARENNÀLocalità Cerza GrossaSorbo SerpicoTel. 0825-986666Chiuso domenica sera, lunedì, martedì

DOVE DORMIREHOTEL SERINOVia Terminio 119SerinoTel. 0825-594901Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

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DonnafugataPANTELLERIA (Trapani)Pietra lavica e giardino pantescocaratterizzano la cantina che Gabriella Giuntoli ha disegnatoper la famiglia Rallo VinoBen Rye Zibibbo Passito, 38 euro

DOVE MANGIARELA NICCHIAContrada Scauri BassoPantelleriaTel. 0923-916342Sempre aperto la sera, menù da 25 euro

DOVE DORMIREBLUE MOON HOTELVia Don Alonso ErreraPantelleriaTel. 0923 912785Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

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Sulla strada

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LA DOMENICA■ 42DOMENICA 1 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Fuggì dal paesino in Calabriaper inseguire il suo grande amore,il cinema. E adesso che ritornaper la sesta volta in concorso a Veneziaracconta: “Ho cominciato

a vedere film da ragazzinoe poi non ho piùsmessoSono uno spettatoreonnivoro, provo un vero

godimento quando si spengono le luciin sala. Ma se non pago il bigliettonon mi diverto: non mi sento libero”

ROMA

«Il cinema? Prima cheuna vocazione, per meè stata una via di fuga.Fuga dalla miseria in-

tanto, non intesa in senso economi-co, piuttosto come mancanza di aspi-razioni temerarie. I miei compagni discuola sognavano giustamente la lau-rea in giurisprudenza, magari per ilposto pronto nello studio del papà av-vocato. Mio padre invece faceva l’au-tista e io ho faticato parecchio a pren-dere la patente e anche adesso guidoin maniera micidiale. Era quasi un ob-bligo partire, uscire da una casa nonprotetta, tentare altre strade. Insom-ma, non avevo niente da perdere».

Nel bar a due passi da casa sua do-ve è solito avere i suoi incontri di lavo-ro, nel cuore dell’elegante quartierePrati, a Roma, Gianni Amelio non habisogno di ordinare. Ci accomodia-mo nel silenzio di un primo pomerig-gio di fine estate e comincia a raccon-tare cosa ha voluto dire crescere nelpiccolo villaggio della Sila dove nac-que sessantotto anni fa. E raccontan-do racconta una storia per certi versiassai simile a quella da lui narrata neIl primo uomo film che, attraverso lememorie di Albert Camus, è quasi unasua autobiografia.

Amelio è partito e negli anni ha col-lezionato riconoscimenti in tutto il

mondo, con titoli come Colpire alcuore, Porte aperte, Il ladro di bambi-ni, Lamerica, Le chiavi di casa, La stel-la che non c’è. Ed è l’ultimo italianoche ha vinto, con Così ridevano, il Leo-ne d’oro alla Mostra di Venezia, nel1998. A Venezia ritorna anche que-st’anno per la sesta volta (quasi un re-cord) con L’intrepido, in concorsomercoledì prossimo, protagonistaAntonio Albanese in un ruolo che, sisussurra, ricorda Charlot.

Il cinema, dunque, come via di fu-ga. E come ragione di vita, come luistesso ha scritto nella prefazione al li-bro Il vizio del cinema: «Ho smesso datempo di fumare, bevo con modera-zione, e in quanto ai peccati capitalinon li pratico proprio tutti e sette. Seandrò all’inferno, com’è probabile,sarà per aver abusato del cinema, finda ragazzino». «Quando — ricordaoggi — alla fine degli anni Cinquanta,per fare le scuole medie, mi sono tra-sferito da San Pietro Magisano a Ca-tanzaro, ho cominciato ad andare alcinema ogni volta che potevo, e da al-lora non ho più smesso. Anche ades-so che faccio il regista sono uno spet-tatore onnivoro, una sorta di malatoche vede tutto, quasi senza scegliere,senza puzza sotto il naso. Chi fa cine-ma di solito frequenta poco la sala, almassimo va alle anteprime, alleproiezioni private. Io se non pago il bi-glietto non mi diverto, perché non misento libero. Penso di aver conserva-to nonostante tutto un’innocenza daspettatore ragazzino, provo un verogodimento quando si spengono le lu-ci e comincia il film».

«È chiaro che oggi non c’è più lostesso amore che ha segnato in modocosì forte la mia generazione — si ap-passiona ancora mentre racconta—Una volta si attraversava la città e sispendevano ore per infilarsi in un ci-neclub o in un pidocchietto, come sichiamavano allora le sale di terza vi-sione. Oggi è talmente facile vedereun film con mezzi diversi dall’andarein sala che, come succede nelle storied’amore, tutto si è intiepidito, è cadu-ta la passione... Si arriva al paradossodi comprare un dvd non per vedere unfilm ma per tenerlo in casa sullo scaf-fale, come un libro che non leggeraimai e però ha vinto l’ultimo premioimportante… Per non parlare di chiscarica dalla Rete il titolo che sta oggisugli schermi e trova, giustamente,un vecchio porno».

A dodici anni Amelio è già un pre-coce fan del cinema d’autore: «Mi ri-cordo che nel ’57 ho visto, scegliendo-li da solo, i film italiani più belli: Il gri-do, Le notti di Cabiria, Le notti bian-che... Allora, più che di fare il regista,mestiere molto nebuloso, sognavo dientrare al Centro Sperimentale di Ci-nematografia. Non ci ho nemmenoprovato come allievo, ma l’ho fre-quentato come docente, molti annidopo. E poco tempo fa, quando mihanno dato una bella pergamena coldiploma honoris causa, mi sono unanche po’ commosso, non lo nego».

Alla professione ha avuto accesso,per sua stessa ammissione, da unaporta di lusso: «A vent’anni, di pas-saggio a Roma, ho avuto la sfrontatez-za di fare una telefonata a Vittorio DeSeta, che aveva già fatto Banditi a Or-gosolo, e lui mi ha ingaggiato per il film

che stava preparando, offrendomipure un modesto settimanale. Erauna pacchia. Mi svegliavo alle quattrodi mattina, per paura di arrivare in ri-tardo alla convocazione, mentre latroupe ancora dormiva beata… Hoavuto bisogno di tempo per metabo-lizzare la fortuna che mi era arrivataaddosso. Per anni sono stato assillatoda un incubo: che tutto potesse finiree che fossi costretto a tornare indie-tro. Nel momento in cui sono riuscitoad arrivare su un set, mi sono trovatoad amare il cinema-cinema senzaguardare tanto per il sottile: di sicuromi sono divertito di più a fare l’aiutonei western che nei film intellettuali.A questo mi è servito l’apprendistato:non a imparare la tecnica, perché latecnica si impara in fretta e si mette daparte. Mi è servito ad assaporare il gu-sto di fare questo mestiere».

Proprio grazie a questa gavetta, finda subito, nella esperienza dei tv-mo-vie che Amelio ha iniziato a realizzarea partire dagli anni Settanta, quandola Rai assolveva al proprio compito diservizio pubblico producendo filmsperimentali e investendo sui nuoviregisti, gli è stata riconosciuta grandeprofessionalità, rigore raffinato,straordinaria abilità nella messa inscena. «Ma non mi reputo affatto —commenta — un regista di nicchia. Mipiacerebbe essere considerato unoche il cinema cerca di farlo perché loama e non lo vuole tradire. Le mie va-canze più belle sono i periodi che pas-so lavorando: dover trascorrere un’e-state da disoccupato l’ho sempre giu-dicata una punizione. Negli ultimianni ho accettato di dirigere il festivaldi Torino anche per poter vedere cen-tinaia di film. Ed ero pure pagato perfarlo. Che si può volere di più? ».

Da regista l’incontro con il cinemain sala arriva relativamente tardi, nel1982, con Colpire al cuore, il primofilm italiano incentrato sul tema delterrorismo. «Si può dire che per diecianni io sia stato confinato in un limbo:facevo piccoli film che andavano ai fe-stival, vincevano premi, come nel ca-so de Il piccolo Archimede, ma nonuscivano in sala. Anche perché nelfrattempo il mercato stava crollandoe le sale stavano sparendo, decimateuna dopo l’altra. È un problema cheha segnato tutta una generazione dicineasti: Peter Del Monte, GiuseppeBertolucci, solo per fare qualche no-me… Per un certo periodo mi sono

domandato io stesso se fossi davveroun regista. Sulla carta d’identità, chegli avevo chiesto di rinnovarmi, miopadre aveva fatto scrivere “operatorecinematografico”, e in tanti pensava-no che facessi il proiezionista…. For-se per questo Colpire al cuore è stataun’esperienza lavorativa traumatica,l’unica veramente traumatica dellamia vita. L’avevo caricato di tropperesponsabilità».

E tuttavia in Colpire al cuore, piùancora che il tema del terrorismo,emerge quello che sarà il centro di tut-to il cinema di Amelio: la figura del pa-dre. «Il mio l’ho conosciuto a sedicianni. Era partito per l’Argentina che ioero nato da poco. E c’era andato percercare il suo, di padre, che non davapiù notizie. Io sono cresciuto con unamamma giovanissima e una nonnagran lavoratrice e buona come il pane,al contrario di quella di Camus. Quan-do mio padre è tornato eravamo dueestranei, ma per fortuna non ne ab-biamo fatto un dramma. Io me ne so-no andato di casa e basta, meglio co-sì. Ci ho fatto sopra qualche film e so-prattutto sono diventato padre a miavolta quando, guarda caso, ho adotta-to un ragazzo che aveva sedici annianche lui, come me quando sono di-ventato figlio. L’altro giorno una dellemie nipotine (sei anni) mi ha chiesto:“Ma tu sei vecchio o anziano?” E la suagemella si è intromessa: “Che dici?Nonno è maturo”».

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L’incontroInnamorati

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Ho conosciutomio padreall’età di sedici anniQuando sono natolui era partitoper l’Argentinain cerca del suo

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