La comunicazione efficace: uno strumento di prevenzione...
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MODULO 3. Lezione 3
La comunicazione efficace: uno strumento di prevenzione del Burn Out
A CURA DI Ferdinando Pellegrino (Salerno) Psichiatra- - Psicoterapeuta Maurizio Guida (Salerno) Specialista in Ostetricia e Ginecologia
Contributo testuale
Ferdinando Pellegrino e Maurizio Guida - 2015 © Tutti i diritti riservati
L’allungamento della vita media e il rovescio della medaglia
Progressi della medicina
Aumento dell’aspettativa di vita
Aumento delle patologie croniche
L’allungamento della vita media consiste sostanzialmente in un allungamento della vecchiaia e quindi in un aumento delle patologie croniche ad essa correlate. Più passano gli anni, più aumentano le cose che non si possono più fare….
Senectus ipse morbus … (Cicerone)
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L’allungamento della vita media e il rovescio della medaglia
Questo vale soprattutto per le donne, che vivono in media più a lungo degli uomini e sono soggette a più disturbi cronici.
La menopausa è un esempio di come l’allungamento della vita media non si possa considerare in assoluto un fenomeno positivo: molte donne dovranno imparare a convivere con fastidiosi disturbi a livello di diversi organi e apparati. Ma soprattutto rappresenta la fine del periodo fertile, una cosa difficile da accettare, tanto che
molte fanno ancora ricorso alla fertilizzazione assistita in età troppo tardiva con conseguenti fallimenti e frustrazione anche per i medici.
Il medico tra onnipotenza e impotenza
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Il medico, forte della sua preparazione ed esperienza clinica, affronta nella pratica clinica quotidiana tante sfide, ma si trova spesso impreparato e impotente di fronte alla paura del paziente, grande protagonista nell’esperienza di malattia: Paura di soffrire Paura di modificazioni dell’immagine corporea (nelle donne
ha particolare rilevanza) Paura dell’impatto sulla vita socio-relazionale e sessuale Paura di morire Il medico che non riesce a gestire la paura può cadere nella trappola della medicina difensiva o lasciarsi «contagiare» e subirne le conseguenze in termini di stress lavoro-correlato.
Il ginecologo, «medico della vita», tradito dalla realtà clinica
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La ginecologia è una branca della medicina particolarmente ingannevole sotto questo aspetto, in quanto si occupa soprattutto di fertilità, quindi della vita e del suo affascinante mistero.
Di fronte a situazioni cliniche drammatiche entra in conflitto con il suo stesso ruolo.
Il medico di fronte alle aspettative dei pazienti e alla realtà clinica
I progressi della medicina vengono spesso sopravvalutati dai media e dalla rete, il costante bombardamento con notizie di scoperte «miracolose» accresce le aspettative di salute e alimenta una seducente, quanto ingannevole prospettiva di benessere e immortalità.
Le donne pensano di poter ricorrere alla fecondazione assistita senza rendersi conto che le probabilità di successo diminuiscono vertiginosamente con l’avanzare dell’età.
Non si parla più di morte e di morire, solo di «allungamento della vita media», invecchiamento, malattie croniche.
Questo rende il compito del medico ancora più difficile: Come si può dire a una donna che non c’è la cura,
o che dovrà curarsi tutta la vita? Questo dilemma compromette l’equilibrio emotivo del medico e crea un
humus di fragilità che può diventare un fattore di rischio di burn out.
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Essere donna e ginecologa: un garbuglio di responsabilità e carichi emozionali
Per le donne si sa, è tutto più difficile, devono lavorare ed essere madri, badare alla casa, accudire gli anziani…
Per le donne medico è difficile conciliare i turni lavorativi e la presenza in famiglia. La rinuncia alla propria vita privata comporta ovviamente grande frustrazione, ma altrettanto frustrante è ad esempio perdere le tappe di crescita del proprio bambino…
Occuparsi della salute delle donne è un impegno particolarmente gravoso, infatti la donna ha un apparato riproduttivo complesso, una salute più delicata e molti più disturbi legati alle fasi della vita riproduttiva. Negli anni della maturità la prevenzione oncologica è molto più impegnativa rispetto all’uomo e questo crea più facilmente ciò che nell’attuale DSM5 viene descritto come «ansia per la salute», un’ansia che se non è adeguatamente contenuta rischia di far cadere nella trappola della medicina difensiva, con le note conseguenze.
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La donna ginecologo ha davvero «una marcia in più»?
Questo è ciò che molte donne pensano delle donne medico. Se però da una parte la capacità empatica delle donne medico è spesso superiore a quella dei loro colleghi («chi meglio di una donna capisce i problemi di una donna») dall’altra rischiano di trovarsi di fronte a casi umani particolarmente ricchi di una risonanza emozionale che mette a dura prova. Quando si pensa: «accidenti, ha la mia età, ha l’età di mio figlio, di mia figlia», oppure «potrebbe succedere a me?» …. Inizia a sgretolarsi la corazza costruita durante tutta la carriera…..
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Come dire queste cose?
...non potrà più avere figli Siamo riusciti a salvare il bambino ma sua moglie purtroppo…
Suo figlio è affetto da spina bifida... Si tratta di un carcinoma ovarico….
Il declino della fertilità nella
donna inizia a 35 anni… Lei è affetta da endometriosi, da
questo deriva il suo problema di infertilità…
Sua moglie è molto provata ma si rimetterà… purtroppo il bambino…
La chemio non ha funzionato…
...l’intervento chirurgico comunque non è risolutivo…
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Malattia e crisi L’impatto della malattia riconduce al concetto di crisi, intesa come frattura di un equilibrio, della quotidianità e della propria identità, che porta a insicurezza, ansia e reazione pessimistica. In altri termini la malattia determina la rottura della omeostasi emozionale (Caplan). Questo «contorno emozionale» delle malattie è difficile da gestire soprattutto per i medici di specialità chirurgiche, impegnati soprattutto ad asportare lesioni o parti malate…. Esempio: una donna a cui viene asportato l’utero per un carcinoma non ha risolto il suo problema, sotto alcuni aspetti il suo problema inizia da lì, anche se «l’intervento è riuscito» ...Ma è difficile non lasciarsi travolgere e immedesimarsi eccessivamente…
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Il medico si trova sempre più spesso di fronte a situazioni cliniche con aspetti di cronicità, che impattano profondamente la prospettiva futura della donna. Ne sono esempi le patologie tumorali, che possono inficiare la fertilità o danneggiare l’immagine corporea, oppure la menopausa, i cui fenomeni involutivi sono caratterizzati da progressività ed alterano profondamente la qualità di vita sessuale (disturbi urogenitali) e relazionale (vampate di calore).
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La comunicazione è il presupposto per una buona relazione terapeutica, una tecnica importante ai fini diagnostici e terapeutici e un valido strumento di prevenzione del burn out: È determinante nella raccolta dell’anamnesi Influenza la compliance Influenza la soddisfazione della donna e del ginecologo Aiuta a gestire correttamente le emozioni del
ginecologo e della donna in modo da non esserne sopraffatti, ma instaurare una buona alleanza terapeutica.
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Il colloquio clinico in ginecologia Una comunicazione efficace inizia con un buon ascolto. Perché le donne hanno la sensazione di non essere ascoltate? Spesso la struttura pubblica non consente di avere spazio e tempo per un
colloquio adeguato alle necessità. Il professionista si distrae (es. telefona) o non è attento . Si utilizza un linguaggio troppo tecnico senza sincerarsi che venga recepito
correttamente (es.: lei ha una forma di accretismo placentare) . Il ginecologo segue il suo filo logico e non si interrompe se la/il paziente
vuole fare domande. E troppo autoritario (“guarda dall’alto al basso”). Il ginecologo si sente imbarazzato o evita direttamente di affrontare certi
argomenti (es la sessualità) .
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Il colloquio clinico in ginecologia
Tutto questo può essere percepito dalle donne
come freddezza, abbandono, disinteresse, ma può essere anche una spia di iniziale burn out.
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Il modello di malattia attualmente più completo, considera l’individuo in un’ottica bio-psico-sociale (Engel 1962).
Le componenti biologiche delle malattie inducono non solo cambiamenti del corpo, ma innescano reazioni emotive, cognitive e di comportamento che a loro volta possono influenzare il decorso della patologia di base (es. depressione, ansia nei tumori, ansia nelle gravidanze a rischio o nelle patologie cardiache ecc).
La vulnerabilità individuale e il contesto socio-familiare hanno un ruolo fondamentale nel determinare lo stile di coping della/del paziente, cioè il modo in cui farà fronte all’evento stressante «malattia”, potendone influenzare ugualmente il decorso.
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Identificare e comprendere la reazione della paziente
Comprendere la reazione della paziente alla diagnosi
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Le patologie gravi comportano un notevole impatto sulla vita quotidiana (funzionamento lavorativo, socio-relazionale e sessuale).
Implicano una riorganizzazione della progettualità nel futuro in termini personali, affettivi, sociali, professionali.
La paziente perde il ruolo di persona autonoma, indipendente e attiva e diventa una persona bisognosa di cure e di aiuto.
L’ambiente familiare può esercitare un effetto di “cassa di risonanza”.
Il significato della malattia
Valore
Punizione
Sollievo
Debolezza Perdita di ruolo e di identità
Sfida
Comprendere la reazione della paziente alla diagnosi
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Valutare la risposta emotiva della paziente
Nel caso di comunicazione di una diagnosi seria il nostro concetto di range di normalità deve essere ampliato. La paziente reagirà alla cattiva notizia secondo schemi comportamentali già applicati nel suo passato, ma probabilmente in quel momento gli stiamo comunicando la peggiore notizia e il suo comportamento potrebbe “riservare delle sorprese”: aggressività, disperazione, apatia.
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La reazione della paziente alla diagnosi e alla malattia: Il coping
Significato di coping : da “to cope with” = far fronte a, sopportare
Sforzi di un individuo, sul piano cognitivo e
comportamentale, per gestire (ridurre, dominare, o tollerare) le richieste interne ed esterne poste dalle inter-relazioni persona-ambiente che vengono valutate come estenuanti o eccessive rispetto alle risorse possedute (Folkman, 1986).
Strategie cognitive e comportamentali adottate per far fronte a una situazione di stress e le reazioni emozionali negative da essa suscitate.
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I processi di coping
Coping centrato sul problema prevale quando la condizione stressante viene valutata modificabile e controllabile. Il soggetto valuta le risorse personali e dell’ambiente e mette in atto strategie di problem-solving.
Coping centrato sull’emozione prevale invece quando la
situazione è considerata immodificabile e incontrollabile. (es: distrazione, meditazione, rilassamento).
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Gli stili di coping
Sono stati identificati 4 tipi principali di coping nei confronti di malattie gravi (neoplasie, malattie che procurano grave disabilità)(Burgess 1988), ognuno caratterizzato da livelli di ansia o depressione differenti: 1. Hopelessness/helplessness
2. Combattivo
3. Negazione-evitamento
4. Accettazione stoica
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Stili di coping e malattie gravi Hopelessness/helplessness
Elevati livelli di ansia e depressione, sensazione di inutilità,
sconfitta, rabbia.
Assenza di strategie cognitive rivolte all’orientamento e all’accettazione della diagnosi.
Convinzione che non si possa avere alcun controllo sull’andamento della malattia (non c’è niente da fare, andrà male nonostante le cure).
Scarsa compliance (demotivazione).
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Stili di coping e malattie gravi
Spirito combattivo
Moderati livelli di ansia e depressione.
Messa in atto di strategie cognitive rivolte all’orientamento e all’accettazione della diagnosi.
Convinzione che si possa avere un controllo sull’andamento della malattia con le cure.
Elevata compliance, fiducia nel personale medico.
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Stili di coping e malattie gravi
Accettazione stoica Bassi livelli di ansia e depressione.
Attitudine fatalistica.
Convinzione che si non possa avere un controllo
sull’andamento della malattia con le cure.
Discreta compliance.
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Stili di coping e malattie gravi
Negazione-evitamento Assenza di ansia e depressione.
Tendenza a minimizzare i sintomi, scarsa propensione a
ricercare informazioni sul tipo di patologia.
Assenza di compliance.
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Principali funzioni della comunicazione Trasmettere/raccogliere informazioni Riconoscere le emozioni proprie e dei pazienti Sviluppare e mantenere la relazione terapeutica
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Trasmettere/raccogliere le informazioni
Obiettivi Raccolta accurata dei dati anamnestici Inquadramento diagnostico
Competenze tecniche Domande aperte e chiuse Riformulare e ricapitolare Individuare le priorità di quel/la paziente in quel momento Evitare rassicurazioni premature Evidenziare le idee della paziente sulla patologia ed
eventualmente riproporgliele in modo più corretto, meno catastrofico più realistico.
Creare speranza realistica
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Riconoscere le emozioni E’ il presupposto perché la paziente si senta accolta e racconti con naturalezza ogni suo disturbo. Questo è un aspetto particolarmente delicato in ginecologia perché riguarda l’intimità della donna. Obiettivi Soddisfazione della paziente e del ginecologo Diminuzione dello stress (e del rischio di burn out) Competenze tecniche Come individuare le emozioni? Cosa suscita in me questa donna ? Cosa sta provando questa donna ? Osservare le reazioni della donna alle nostre osservazioni
(mimica, comunicazione non verbale).
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Sviluppare e mantenere la relazione terapeutica
Obiettivi Comprensione completa della malattia e delle possibilità di
trattamento. Coinvolgimento attivo della donna nel processo terapeutico
(alleanza terapeutica). Miglioramento dell’aderenza e dell’outcome clinico Competenze tecniche Dare informazioni sulla malattia e sulle possibilità di
trattamento affinché le sue scelte siano consapevoli Negoziare e seguire un piano terapeutico Sostenere e motivare le pazienti non collaboranti.
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Bisogna dire la verità?
Questo problema è stato ampiamente dibattuto e non ha tuttora
una risposta univoca.
La tendenza attuale è quella di dire la verità, anche per ragioni
legali (consenso informato), ma rimane il problema di come dirla,
e fino a che punto.
La verità può essere paragonata a un farmaco, la cui
somministrazione deve essere personalizzata per tempo e dosi.
(Simpson 1982)
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Come dire la verità? Il primo dovere del medico è quello di non fare danni: “primum
non nocere”.
Una cattiva notizia, o una notizia comunicata in modo scorretto, può avere in quella determinata paziente, in quel momento, un effetto “nocebo”, così come un ginecologo può avere, per carisma ed esperienza, un effetto placebo che determina un effetto sinergico con la cura che somministra.
Gli aspetti legali-assicurativi spingono il professionista a comunicare alla/al paziente tutte le informazioni necessarie per tutelarsi nei confronti di eventuali rivalse da malpractice.
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Fattori che condizionano una comunicazione efficace
Fattori relativi alla donna
Fattori sociali
Fattori relativi al ginecologo Fattori medico-legali e assicurativi
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La comunicazione della diagnosi in ginecologia
Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
La problematica della comunicazione della diagnosi è nata con l’oncologia, dove l’impatto è diretto sull’aspettativa di vita.
In altre branche specialistiche della medicina, come anche in ginecologia, l’impatto della diagnosi dipende dalle aspettative della paziente per il suo futuro (ambizioni, progetti).
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Fattori relativi alla donna
Fattori sociali Nella moderna società occidentale si attribuisce grande valore a
giovinezza, bellezza, salute, benessere, efficienza. La malattia e la senescenza alterano e “denigrano” la persona
rispetto a questo modello. Per le donne questo «must sociale» è ancora più crudele: sono
infatti vittime di retaggi culturali che sostengono ad esempio «che le donne invecchiano prima degli uomini».
I progressi della medicina hanno creato delle aspettative di benessere e longevità superiori alle sue reali possibilità, soprattutto difficilmente le donne si rendono conto che ci vuole tanto tempo per sperimentare farmaci nuovi.
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Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
Fattori relativi al ginecologo Dare una cattiva notizia rappresenta un sovvertimento del ruolo del medico, che sa di provocare una sofferenza, anziché alleviarla. Senso di colpa per essere “messaggero di sofferenza” Solidarietà /Identificazione con la paziente, soprattutto nel caso delle
donne medico (sarebbe potuto capitare a me). Intolleranza alla frustrazione per l’esperienza del “fallimento
terapeutico”. Timore di confrontarsi con le proprie paure rispetto alle malattie
gravi; tutti abbiamo paura della morte o delle malattie gravi, il medico davanti al malato grave combatte con il suo desiderio di negare la propria vulnerabilità (comportamento contro-fobico).
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Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
Questo è aspetto è ancora più sentito dalle ginecologhe, che nella relazione terapeutica con
pazienti donne sono ancora più coinvolte e si rispecchiano maggiormente.
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Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
Fattori medico-legali e assicurativi L’introduzione del consenso informato costituisce una tutela per il
professionista, ma occorre verificare che la donna capisca sempre tutto ciò che legge.
Il consenso informato si basa sul diritto dei pazienti di scegliere, accettare o rifiutare i trattamenti, diagnostici e terapeutici che gli vengono proposti, dopo essere stato pienamente informato sulla diagnosi e il decorso naturale della malattia, sulle alternative terapeutiche, la loro efficacia e le loro conseguenze (effetti indesiderati).
I ginecologi sono tra le categorie di medici più spesso oggetto di contenziosi legale e questo può condizionare negativamente l’approccio alla donna.
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Fattori che condizionano una comunicazione efficace in ginecologia
Casi clinici
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Caso N 1- Una donna in menopausa precoce (1)
Una donna di 40 anni giunge alla nostra osservazione
accompagnata dal marito, in quanto ha notato la scomparsa dei cicli mestruali da 6 mesi. Lei e il suo compagno desiderano molto una gravidanza ma il test è negativo.
Vorrebbe sapere se eventualmente può ricorrere alla fecondazione assistita.
L’ecografia transvaginale mostra un completo silenzio ovarico e gli esami ematochimici mostrano una menopausa precoce.
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1. Lei è in menopausa, non può più
rimanere incinta. 2. Per i casi come il suo in Italia non
si può ricorrere alla fecondazione assistita.
3. Mi rendo conto di darle una brutta notizia, immagino quali fossero i suoi progetti. Vorrei però fare il possibile per lei perché non abbia disturbi e per prevenire complicanze….
1. Risposta ostile, il medico
vorrebbe l’imbarazzo emozionale
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Cosa dire alla donna?
Caso N 1- Una donna in menopausa precoce (2)
1. Lei è in menopausa, non può più
rimanere incinta. 2. Per i casi come il suo in Italia non
si può ricorrere alla fecondazione assistita.
3. Mi rendo conto di darle una brutta notizia, immagino quali fossero i suoi progetti. Vorrei però fare il possibile per lei perché non abbia disturbi e per prevenire complicanze….
1. Risposta ostile, il medico
vuole evitare l’imbarazzo emozionale
2. Risposta ostile, il
medico cerca di liberarsi di
un caso di non facile soluzione
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Cosa dire alla donna?
Caso N 1- Una donna in menopausa precoce (2)
1. Lei è in menopausa, non può più
rimanere incinta. 2. Per i casi come il suo in Italia non
si può ricorrere alla fecondazione assistita.
3. Mi rendo conto di darle una brutta notizia, immagino quali fossero i suoi progetti. Vorrei però fare il possibile per lei perché non abbia disturbi e per prevenire complicanze….
1. Risposta ostile, il medico
vorrebbe l’imbarazzo emozionale
2. Risposta ostile, il
medico cerca di liberarsi di
un caso di non facile soluzione
3. Risposta empatica, il
medico è disponibile a
condividere con la donna un percorso per
alleviare le sue sofferenze
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Cosa dire alla donna?
Caso N 1- Una donna in menopausa precoce (2)
Caso N 1- Una donna in menopausa precoce (3)
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Il compito del ginecologo (e in generale dei medici) non termina con la diagnosi, anzi proprio in quel momento ha inizio la parte più difficile: Comunicare alla sua paziente il risultato del percorso che ha portato alla diagnosi. Questo richiede la capacità di esprimersi con chiarezza e semplicità, in modo che la donna possa comprendere cosa sta accadendo, ma anche la capacità empatica, per aiutarla ad elaborare emotivamente il significato e l’impatto della diagnosi nella sua vita. Le risposte date dai ginecologi in questo caso non sono «sbagliate», ma scorrette dal punto di vista comunicativo, in quanto pongono la donna in una situazione di disagio emozionale e di solitudine.
Qual è la risposta giusta?
Caso N 2 – Lo stress in sala parto Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (1)
Donna di 40 anni, primipara, si ricovera alla 40°settimana di gestazione per insorgenza spontanea del travaglio. Il decorso della gravidanza è stato fisiologico.
Si esegue TC: dopo l’intervento, perdita ematica profusa. Il medico constata ipotonia uterina e somministra ossitocina e
prostaglandine endorettali. Si attiva una stretta sorveglianza e varie terapie uterotoniche, che si rivelano ineffcaci.
La paziente va in stato di shock emorragico e viene eseguita una trasfusione.
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Caso N 2 – Lo stress in sala parto Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (2)
Si rende necessaria l’asportazione dell’utero e quindi la donna subisce un danno permanente alla sua funzione riproduttiva. La donna viene dimessa con il bambino dopo una settimana dal parto in buone condizioni generali… Poteva andare meglio? Il dubbio di non avere fatto il meglio, o il possibile, può lacerare il ginecologo e predisporlo al burn out.
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Caso N 2 – Lo stress in sala parto- Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (3) 1) Risposta ostile, non tiene conto del trauma
che ha subito la donna
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a) Non potrà più avere figli ma alla sua età difficilmente avrebbe potuto averne altri …
b) Siamo riusciti a salvare sia la mamma che il bambino ma purtroppo non il suo futuro riproduttivo, mi dispiace molto. Prima delle dimissioni venite da me che parliamo di come affrontare il futuro.
c) Poteva andare peggio, siamo riusciti a salvare sia la madre che il bambino.
Cosa dire alla donna e al partner?
Caso N 2 – Lo stress in sala parto- Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (3)
a) Non potrà più avere figli ma alla sua età difficilmente avrebbe potuto averne altri …
b) Siamo riusciti a salvare sia la mamma che il bambino ma purtroppo non il suo futuro riproduttivo, mi dispiace molto. Prima delle dimissioni venite da me che parliamo di come affrontare il futuro.
c) Poteva andare peggio, siamo riusciti a salvare sia la madre che il bambino.
1) Risposta ostile, non tiene conto del trauma
che ha subito la donna
2) Risposta ostile, il medico cerca di giustificarsi e di assolversi per i
suoi sensi di colpa.
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Cosa dire alla donna e al partner?
Caso N 2 – Lo stress in sala parto- Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (3) 1) Risposta ostile, non tiene conto del trauma
che ha subito la donna
2) Risposta empatica, il medico si rende disponibile ad affrontare con la
donna e il suo partner un percorso
di riabilitazione
3) Risposta ostile, il medico cerca di giustificarsi e di assolversi per i
suoi sensi di colpa.
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1. Non potrà più avere figli ma alla sua età difficilmente avrebbe potuto averne altri …
2. Siamo riusciti a salvare sia la mamma che il bambino ma purtroppo non il suo futuro riproduttivo, mi dispiace molto. Prima delle dimissioni venite da me che parliamo di come affrontare il futuro.
3. Poteva andare peggio, siamo riusciti a salvare sia la madre che il bambino.
Cosa dire alla donna e al partner?
Caso N 2 – Lo stress in sala parto Un caso di emorragia post-partum
con ipotonia uterina (1) Qual è la risposta giusta?
Anche in questo caso la risposta giusta è quella che comprende l’empatia e la disponibilità. E’ vero che i dati scientifici sono concordi nell’affermare che la fertilità della donna subisce un inesorabile declino a partire dai 35 anni, tuttavia occorre considerare che, sebbene sia un inconfutabile dato biologico, psicologicamente non è facile da accettare. La perdita della fertilità provoca nella donna una profonda ferita, una sensazione di inutilità e di perdita di ruolo sociale e sessuo-relazionale. Questo aspetto deve essere compreso, mentre è inutile la «caccia al colpevole».
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Come ottenere una
comunicazione efficace in ginecologia
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Essere empatici non significa farsi coinvolgere affettivamente
(“presa in carico”, non “del carico”), o tollerare comportamenti di mancanza di rispetto o di educazione (ritardi, mancata presentazione alla visite senza avvisare ecc.), ma mostrare comprensione per la sofferenza della paziente, mantenendo il ruolo di professionista ed esperto e facendosi rispettare come tale.
Mediante l’empatia facciamo leva sulla sofferenza della paziente per ottenere la sua collaborazione.
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L’importanza dell’empatia
Definizione di empatia
Empatia (Zingarelli): capacità di capire, sentire e condividere pensieri ed emozioni di un’altra persona in una determinata situazione. Simpatia: conformità nel sentire, provare interesse, sollecitudine oppure preoccupazione e dispiacere nei confronti dell’altro, sentire per qualcuno.
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Empatia: caratteristiche
Capacità di discriminare e riconoscere correttamente le emozioni espresse dall’altro.
Capacità di assumere la prospettiva dell’altro (“mettersi nei suoi panni”) rappresentandosi il suo vissuto soggettivo in relazione ad un evento o condizione.
Capacità di rispondere all’emozione altrui con un’emozione non identica, ma congrua, vale a dire saper condividere l’emozione altrui.
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I rischi dell’empatia
Può riattivare e far riemergere situazioni penose della propria esperienza personale,
ricordi che sono fonte di sofferenza.
Se la persona si trova in una condizione generale di difficoltà, la condivisione
aggiunge motivi di sofferenza che potrebbero far vacillare il suo equilibrio.
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Il caso di una ginecologa che si ammala di tumore al seno (1)
Marisa, 52 anni, single, ha sempre dedicato la sua vita al lavoro. Solo qualche sporadica relazione di poca importanza. Tutti la descrivevano sempre come «una dura, una che non si lascia scalfire da nulla e che non ha paura di nulla». Imperturbabile, almeno apparentemente, di fronte ai casi più disperati. Molto ligia al dovere. Spesso accettava di fare dei turni in più per andare incontro alle sue colleghe che avevano famiglia. Una mattina, apparentemente come le altre, qualcosa è cambiato, qualcosa che l’ha cambiata radicalmente per sempre… La scoperta di un nodulo, rivelatosi maligno, ha esaltato tutta la sua vulnerabilità che non aveva mai ascoltato.
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Il caso di una ginecologa che si ammala di tumore al seno (2)
Così ha sperimentato in prima persona quello che non si può apprendere dalla letteratura scientifica: cosa vuol dire avere paura. Cosa vuol dire sentire la propria femminilità ferita, minacciata: quella femminilità che aveva sempre messo in secondo piano per dare più spazio alla realizzazione professionale. Aveva trovato il tassello mancante: l’empatia, ma a caro prezzo. Marisa è ora un medico a rischio di burn out, se non impara a gestire la sua emotività e il rischio di identificarsi con le sue pazienti.
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Conclusioni Diminuire il rischio di burn out in ginecologia è possibile:
• adottando strategie di comunicazione efficace che integrino competenza ed empatia;
• la comunicazione empatica è alla base dell’alleanza terapeutica, e aiuta la donna ad elaborare il vissuto emozionale negativo correlato alla diagnosi, senza il rischio di sviluppare aspettative irrealistiche:
«essere preparati al peggio sperando nel meglio:.:»
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