Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

221

description

Racconto

Transcript of Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Page 1: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 2: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

JULES VERNE

LA CACCIA ALLA METEORA

Copertina Hetzel - Al ventaglio e un elefante

Tavole di G. Roux

Titolo originale dell'opera LA CHASSE AU METEORE

(1908)

Traduzione integrale dal francese di VINCENZO BRINZI

Proprietà letteraria e artistica riservata - Printed in Italy © Copyright 1988 U. Mursia editore S.p.A.

3234/AC - U. Mursia editore - Milano - Via Tadino, 29

Page 3: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Indice PRESENTAZIONE __________________________________ 6

LA CACCIA ALLA METEORA ___________________________ 9

Capitolo I ___________________________________________ 9 Nel quale il giudice John Proth adempie a un piacevolissimo dovere della sua carica prima di fare ritorno al suo giardino __ 9

Capitolo II _________________________________________ 22 Che introduce il lettore nella casa di Dean Forsyth e lo mette in rapporti con Francis Gordon, suo nipote, e con la domestica Mitz_____________________________________________ 22

Capitolo III ________________________________________ 33 Nel quale si parla del dottor Sydney Hudelson, di Flora Hudelson sua moglie, di miss Jenny e di miss Loo, loro figlie 33

Capitolo IV ________________________________________ 42 Come due lettere spedite separatamente all'osservatorio di Pittsburgh e a quello di Cincinnati furono classificate nella pratica dei bolidi ___________________________________ 42

Capitolo V _________________________________________ 44 Nel quale, nonostante la loro ostinazione, il signor Forsyth e il dottor Hudelson hanno notizie della meteora soltanto dai giornali __________________________________________ 44

Capitolo VI ________________________________________ 53 Nel quale si parla di alcune variazioni più o meno fantastiche sulle meteore in generale e, in particolare, sul bolide di cui i signori Forsyth e Hudelson si contendono la scoperta ______ 53

Capitolo VII________________________________________ 63 Nel quale si vedrà la signora Hudelson assai addolorata per l'atteggiamento del dottore e la buona Mitz strapazzare ben bene il padrone ________________________________________ 63

Page 4: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Capitolo VIII _______________________________________ 73Nel quale le polemiche della stampa peggiorano la situazione e che si conclude con una constatazione tanto certa quanto inattesa __________________________________________ 73

Capitolo IX ________________________________________ 83 Nel quale i giornali, il pubblico, il signor Forsyth e il dottor Hudelson fanno un'orgia di matematica _________________ 83

Capitolo X _________________________________________ 91 Nel quale a Zeffirino Xirdal viene un'idea, anzi due _______ 91

Capitolo XI _______________________________________ 108 Nel quale il signor Dean Forsyth e il dottor Hudelson provano una violenta emozione _____________________________ 108

Capitolo XII_______________________________________ 115 Nel quale la signora Arcadia Stanfort aspetta a sua volta non senza viva impazienza e in cui il signor John Proth si dichiara incompetente_____________________________________ 115

Capitolo XIII ______________________________________ 133 Nel quale, come aveva previsto il giudice Proth, si vede spuntare il terzo ladrone, seguito dal quarto_____________ 133

Capitolo XIV ______________________________________ 144 Nel quale la vedova Thibaut, intervenendo sconsideratamente negli alti problemi della meccanica celeste, suscita gravi preoccupazioni al banchiere Robert Lecoeur ____________ 144

Capitolo XV_______________________________________ 154 Nel quale J.B.K. Lowenthal designa chi sarà il vincitore del grosso premio ____________________________________ 154

Capitolo XVI ______________________________________ 163 Nel quale si vedono molti curiosi approfittare dell'occasione per andare in Groenlandia ad assistere alla caduta della straordinaria meteora _________________________________________ 163

Page 5: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Capitolo XVII _____________________________________ 172Nel quale il meraviglioso bolide e un passeggero del Mozik incontrano rispettivamente, questi un passeggero dell'Oregon, e quello il globo terrestre…___________________________ 172

Capitolo XVIII ____________________________________ 180 In cui per giungere al bolide, il signor de Schnack e i numerosi suoi complici commettono delitti di scalata e di effrazione _ 180

Capitolo XIX ______________________________________ 187 Nel quale Zeffirino Xirdal prova una crescente avversione per il bolide e ciò che ne segue ___________________________ 187

Capitolo XX_______________________________________ 212 Capitolo che sarà letto forse con amarezza, ma che il rispetto per la verità storica ha imposto all autore di scrivere così come un giorno lo registreranno gli annali dell'astronomia ________ 212

Capitolo XXI ______________________________________ 216 Ultimo capitolo che contiene l'epilogo di questa storia e in cui l'ultima parola resta al signor John Proth, giudice a Whaston 216

Page 6: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

PRESENTAZIONE

Questo non è un romanzo di fantascienza, come a tutta prima sì potrebbe immaginare, ma il suo divertente rovescio. Non è tanto il fenomeno celeste della meteora che interessa qui lo scrittore, quanto piuttosto lo scompiglio e il trambusto che esso scatena tra i terrestri.

L'azione si svolge in gran parte in una cittadina di quell'America della seconda metà dell'ottocento che è tipicamente verniana, pettegola e spaccona come una piccola provincia del vecchio continente. Il pretesto, naturalmente, è la comparsa in cielo di una meteora, che viene scoperta contemporaneamente da due astronomi dilettanti, Dean Forsyth e Sydney Hudelson, amici di vecchia data. Ed ecco che basta una meteora perché l'amicizia si muti in una irriducibile e caparbia rivalità. Ciascuno di essi, infatti, intende immortalare il proprio nome associandolo alla scoperta della meteora in arrivo e mentre il primo ne segnala la presenza all'Osservatorio di Pittsburgh, il secondo la segnala all'Osservatorio di Cincinnati.

L'improvvisa inimicizia dei due suscita grande costernazione nell'animo di Francis, il nipote del signor Forsyth, e nell'animo di Jenny, figlia del dottor Hudelson, i quali vedono andare in fumo il loro matrimonio, la cui data era già stata fissata. E, come non bastasse, coinvolge anche le persone che sono a loro vicine, dalla bisbetica e dispettosa domestica del signor Forsyth, Mitz, alla quindicenne sorella di Jenny, Loo, la quale ama Francis come un fratello e desidera che il matrimonio non subisca ritardi.

Il caso diventa poi sempre più clamoroso per il fatto che da successivi rilievi, la meteora risulta costituita nientemeno che da oro puro, per cui gli Osservatori e gli Stati di tutto il mondo ne seguono con ansia spasmodica la traiettoria. Che ne sarà della bizzarra meteora? Continuerà forse a girare attorno alla terra come un suo satellite o cadrà come un bolide? E dove mai cadrà? Quale nazione potrà impossessarsene, diventando in tal modo il più ricco paese del mondo?

Page 7: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

A questo punto, mentre gli scienziati sono intenti a spiare la meteora, a calcolarne il peso e il valore in moneta sonante; mentre a 'Washington si riunisce addirittura una Conferenza internazionale per dirimere le aspre contese che sono sorte, ecco apparire nel romanzo un nuovo personaggio: Zeffirino Xirdal, grandissimo scienziato ignoto a tutti, astronomo, fisico, matematico, inventore di potentissime macchine capaci di attirare il bolide fiammeggiante e dì farlo cadere sulla terra esattamente dove vuole. E Zeffirino è nipote dì un banchiere, per cui non gli mancano i mezzi: neppure quelli necessari per comperare nei dintorni della Groenlandia l'isoletta di Upemivik, destinata ad accogliere la meteora…

Ma sarà proprio la meteora che all'ultimo momento si farà beffe di tutti, lasciando tutti, lettori compresi, con tanto di naso.

Page 8: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

JULES VERNE nacque a Nantes, l'8 febbraio 1828. A undici anni,

tentato dallo spirito d'avventura, cercò di imbarcarsi clandestinamente sulla nave La Coralie, ma fu scoperto per tempo e ricondotto dal padre. A vent'anni si trasferì a Parigi per studiare legge, e nella capitale entrò in contatto con il miglior mondo intellettuale dell'epoca. Frequentò soprattutto la casa di Dumas padre, dal quale venne incoraggiato nei suoi primi tentativi letterari. Intraprese dapprima la carriera teatrale, scrivendo commedie e libretti d'opera; ma lo scarso successo lo costrinse nel 1856 a cercare un'occupazione più redditizia presso un agente di cambio a Parigi. Un anno dopo sposava Honorine Morel. Nel frattempo entrava in contatto con l'editore Hetzel di Parigi e, nel 1863, pubblicava il romanzo Cinque settimane in pallone.

La fama e il successo giunsero fulminei. Lasciato l'impiego, si dedicò esclusivamente alla letteratura e un anno dopo l'altro — in base a un contratto stipulato con l'editore Hetzel — venne via via pubblicando i romanzi che compongono l'imponente collana dei «Viaggi straordinari - I mondi conosciuti e sconosciuti» e che costituiscono il filone più avventuroso della sua narrativa. Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Ventimila leghe sotto i mari, L'isola misteriosa, Il giro del mondo in 80 giorni, Michele Strogoff sono i titoli di alcuni fra i suoi libri più famosi. La sua opera completa comprende un'ottantina di romanzi o racconti lunghi, e numerose altre opere di divulgazione storica e scientifica.

Con il successo era giunta anche l'agiatezza economica, e Verne, nel 1872, si stabilì definitivamente ad Amiens, dove continuò il suo lavoro di scrittore, conducendo, nonostante la celebrità acquistata, una vita semplice e metodica. La sua produzione letteraria ebbe termine solo poco prima della morte, sopravvenuta a settantasette anni, il 24 marzo 1905.

Page 9: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

LA CACCIA ALLA METEORA

CAPITOLO I

NEL QUALE IL GIUDICE JOHN PROTH ADEMPIE A UN PIACEVOLISSIMO DOVERE DELLA SUA CARICA PRIMA DI FARE

RITORNO AL SUO GIARDINO

NON ABBIAMO motivo per tacere ai nostri lettori che la città nella quale ha inizio questa strana storia è posta nella Virginia, uno degli Stati Uniti d'America. Se ce lo consentono, chiameremo tale città Whaston e la collocheremo nella parte orientale, sulla riva destra del Potomac; non ci sembra utile indicarne le coordinate perché invano la si cercherebbe anche sulle più minuziose carte dell'Unione.

Il 12 marzo di quell'anno, nel corso della mattina, gli abitanti di Whaston che attraversavano Exeter Street al momento giusto, poterono scorgere un elegante cavaliere che risaliva e discendeva la via in forte pendio al passo del suo cavallo, per fermarsi alla fine sulla piazza della Costituzione, quasi al centro della città.

Quel cavaliere, un puro yankee e quindi molto distinto, non dimostrava più di trent'anni. Era di statura superiore alla media, di bella e robusta costituzione e di viso regolare; aveva capelli bruni e barba castana, la cui punta allungava il suo volto dai baffi accuratamente rasati. Un ampio mantello lo ricopriva sino alle gambe e si arrotondava sulla groppa del cavallo. Maneggiava la vivace cavalcatura con abilità e fermezza. Tutto nel suo atteggiamento rivelava l'uomo d'azione, deciso e impulsivo, che non tentenna mai tra desiderio e paura, come fanno gli insicuri. Un osservatore avrebbe

Page 10: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

capito che la sua impazienza istintiva era imperfettamente dissimulata dall'apparente freddezza.

Perché mai quel cavaliere si trovava in una città in cui nessuno lo conosceva e nessuno lo aveva mai visto? Intendeva soltanto attraversarla, oppure si proponeva di restarvi per qualche tempo? Per trovare un albergo, in quest'ultimo caso, non avrebbe avuto che l'imbarazzo della scelta. Si può citare Whaston, da questo punto di vista. In nessun altro centro degli Stati Uniti il viaggiatore avrebbe avuto migliore accoglienza, miglior servizio, ottimi pasti e maggiori comodità a prezzi così moderati. E veramente deplorevole che le carte geografiche indichino con tanta imprecisione una città provvista di tali prerogative.

Ma il forestiero non sembrava propenso a soggiornare a Whaston e gli allettanti sorrisi degli albergatori non avevano effetto. Indifferente a ciò che lo circondava, seguiva con aria assorta la carreggiata che contorna la piazza della Costituzione, di cui un vasto terrapieno occupa il centro, senza sospettare che la sua presenza suscitava la curiosità della gente.

E Dio sa se la curiosità della gente era già sveglia! Da quando il cavaliere era apparso, padroni e persone di servizio si scambiavano sulla soglia della porta frasi di questo genere:

— Da dove è venuto? — Da Exeter Street. — E da dove arriva? — Pare che sia entrato dal sobborgo di Wilcox. — Sarà già mezz'ora che il suo cavallo continua a fare il giro della

piazza. — Aspetta certamente qualcuno. — È probabile; e anche con una certa impazienza. — Guarda sempre dalla parte di Exeter Street. — Giungerà certamente da quella parte. — Chi? Un lui o una lei? — Eh!… Secondo me, ha un bell'aspetto! — Un appuntamento, dunque? — Un appuntamento… ma non nel senso che intendete voi. — Che ne sapete voi?

Page 11: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— E già la terza volta che quel forestiero si ferma dinanzi alla porta del signor John Proth…

— E poiché il signor Proth è giudice… — Vuol dire che quella persona ha qualche processo… — E che la parte avversa è in ritardo. — Avete ragione. — Il giudice Proth farà presto a conciliarli e a riconciliarli! — E molto abile. — Ed è anche un brav'uomo. Era veramente possibile che quello fosse proprio il motivo della

presenza del cavaliere a Whaston. Varie volte, infatti, egli aveva fatto sosta, senza mettere piede a terra, dinanzi all'abitazione del signor Proth. Ne aveva guardato porta e finestre e poi era rimasto immobile, come se avesse atteso che qualcuno apparisse sulla soglia, fino a quando il cavallo, scalpitante d'impazienza, non lo aveva costretto a rimettersi in marcia.

Quando si fermò nuovamente, la porta finalmente si spalancò e un uomo apparve al sommo della breve scalinata che conduceva al marciapiede.

Non appena il forestiero lo vide, sollevò il cappello in segno di saluto e disse:

— Il signor John Proth, suppongo… — In persona — rispose il giudice. — Una semplice domanda che richiederà soltanto un si o un no da

parte vostra. — Dite. — Stamane è venuto da voi qualcuno a chiedere del signor Seth

Stanfort? — No, che io sappia. — Grazie. Ciò detto, il cavaliere sollevò nuovamente il cappello e allentò le

briglie, per permettere al cavallo di risalire al piccolo trotto Exeter Street.

Ora non c'era più da dubitare: il forestiero aveva a che fare con il signor Proth; tale fu il parere di tutti. Dal modo in cui la domanda era stata formulata appariva chiaro che Seth Stanfort era lui stesso,

Page 12: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

giunto per primo a un appuntamento concordato. Ma ora sorgeva un altro problema, non meno eccitante. L'ora dell'appuntamento era già trascorsa? Il cavaliere sconosciuto avrebbe lasciato la città per non farvi più ritorno?

Poiché siamo in America, e cioè alle prese con il popolo più scommettitore del mondo, nessuno avrà difficoltà a credere che si accesero scommesse riguardo al prossimo ritorno o alla definitiva partenza del forestiero: poste da mezzo dollaro e persino da cinque o sei cents, tra il personale degli alberghi e i curiosi che sostavano sulla piazza; scommesse comunque che sarebbero state debitamente pagate dai perdenti e incassate dai vincitori, tutte persone d'onore.

Il giudice Proth, da parte sua, si era limitato a seguire con lo sguardo il cavaliere che risaliva verso il sobborgo di Wilcox. Il giudice Proth era un filosofo, oltre che un saggio magistrato, e non contava meno di cinquantanni di saggezza e di filosofia, pur avendo appena mezzo secolo; come dire che, venendo al mondo, egli era già filosofo e saggio. Si aggiunga che essendo celibe — prova incontestabile di saggezza — la sua vita non era stata mai turbata da alcuna preoccupazione, la qualcosa, bisogna convenirne, facilita moltissimo la pratica della filosofia. Nato a Whaston, non aveva quasi mai lasciato la città, neppure nella sua prima giovinezza; era anche amato e stimato dai dipendenti, che lo sapevano sprovvisto di qualsiasi ambizione.

Una ferma dirittura morale gli era di guida. Mostrava sempre indulgenza per le debolezze e, a volte, anche per gli errori altrui. Accomodare le faccende che gli venivano sottoposte, riconciliare gli avversari che si presentavano al suo modesto tribunale, smussare gli angoli, oliare gli ingranaggi, attutire i contrasti concernenti ogni ordine sociale, per quanto perfetto possa essere, era ciò che egli riteneva sua missione.

John Proth godeva di una certa agiatezza. Adempiva alle funzioni di giudice per suo piacere e non mirava affatto ai più alti gradi della magistratura. Amava la tranquillità per sé e per gli altri e considerava gli uomini come compagni di viaggio, con i quali vivere in buoni rapporti. Si alzava presto e andava a letto presto. Se amava leggere qualche autore del Vecchio e del Nuovo Mondo, sapeva però anche

Page 13: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

accontentarsi di un bravo e onesto giornale della città, il Whaston News, nel quale gli annunci economici occupavano più spazio della politica. Ogni giorno faceva una passeggiata di una o due ore, durante la quale si consumavano i cappelli a furia di salutarlo, la qualcosa lo obbligava a rinnovare il suo ogni tre mesi. Tranne queste passeggiate e il tempo dedicato alla sua professione, egli se ne stava nella sua tranquilla e comoda abitazione, e coltivava i fiori del suo giardino, che lo ricompensavano delle sue cure con l'incanto dei loro colori vivaci e il loro soave olezzo.

Queste poche righe sul suo carattere pongono il ritratto del signor Proth nella sua vera cornice, perciò si capirà perché il suddetto giudice non fosse rimasto per nulla impressionato dalla domanda rivoltagli dal forestiero. Se questi invece di rivolgersi al padrone di casa si fosse rivolto a Kate, la vecchia domestica, forse Kate avrebbe voluto saperne di più, insistendo per conoscere che cosa avrebbe dovuto dire, se qualcuno fosse venuto a chiedere del signor Seth Stanfort. E non sarebbe certamente dispiaciuto alla brava Kate sapere se il forestiero si fosse proposto di tornare dal giudice un po' più tardi oppure nel pomeriggio.

Il signor Proth, invece, non si sarebbe mai perdonato curiosità e indiscrezioni del genere, scusabili nella sua domestica che, ovviamente, faceva parte del sesso femminile. Il signor Proth non aveva fatto neppur caso al fatto che l'arrivo, la presenza e poi la partenza del forestiero erano stati notati da coloro che bighellonavano sulla piazza; dopo aver chiuso la porta, egli era tornato infatti a dar da bere alle rose, agli iris, ai gerani e alle resede del giardino.

I curiosi invece non lo imitarono e rimasero a guardare. Il cavaliere aveva raggiunto nel frattempo l'estremità di Exeter

Street, dalla quale si dominava la parte occidentale della città. Pervenuto al sobborgo di Wilcox, che congiunge quella via al centro di Whaston, fermò il cavallo e senza abbandonare la sella si guardò intorno.

Da quel punto il suo sguardo poteva spingersi a un buon miglio di distanza e seguire la strada sinuosa che discendeva, per tre miglia, fino alla borgata di Steel, che, al di là del Potomac, profilava i suoi

Page 14: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

campanili sull'orizzonte. Il suo sguardo percorse inutilmente la strada; e poiché non vi scorse ciò che cercava, fece alcuni vivaci movimenti d'impazienza che si trasmisero al cavallo, del quale dovette poi reprimere lo scalpitare.

Dieci minuti dopo il cavaliere riprendeva al passo Exeter Street e andava, per la quinta volta, verso la piazza.

«Dopo tutto» diceva tra sé, consultando l'orologio, «non c'è ancora alcun ritardo… È stabilito per le dieci e sette minuti e sono appena le nove e mezzo… La distanza che separa Whaston da Steel, da dove ella deve venire, è uguale a quella che separa Whaston da Brial, da dove io sono venuto e che ho forse percorso in meno di venti minuti… La strada è bella, il tempo asciutto e non mi risulta che il ponte sia stato portato via dalla piena del fiume. Non vi sono perciò ostacoli o impedimenti d'altro genere; se non verrà all'appuntamento, vorrà dire che è per sua volontà. Del resto, la puntualità consiste nell’arrivare all'ora giusta e non nell'arrivare troppo presto. In realtà, sono io che non sono puntuale, essendo arrivato prima di quanto convenga a un uomo razionale. È vero però che, a parte ogni altro sentimento, la cortesia mi imponeva di giungere per primo all'appuntamento.»

Il monologo proseguì durante tutto il tempo che il forestiero impiegò per discendere Exeter Street; terminò soltanto nel momento in cui gli zoccoli del cavallo calpestarono nuovamente la massicciata della piazza.

Coloro che avevano scommesso sul ritorno del forestiero guadagnavano, evidentemente, la scommessa. Quando costui passò dinanzi agli alberghi, essi gli fecero buon viso, mentre i perdenti lo salutarono con un'alzata di spalle.

Quando finalmente sonarono le dieci, il forestiero fermò il cavallo, contò i colpi e si assicurò che l'orologio del municipio fosse in perfetto accordo con il suo, che tirò fuori dal taschino del panciotto.

Mancavano soltanto sette minuti all'ora dell'appuntamento, poi sarebbe finita.

Seth Stanfort ritornò all'imbocco di Exeter Street: era evidente che né il cavallo né lui potevano star fermi.

Page 15: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Un gran numero di persone affollava in quel momento la via, ma di quelle che la risalivano Seth Stanfort non si preoccupava affatto. La sua attenzione era rivolta invece a coloro che la discendevano, che il suo sguardo esaminava non appena apparivano in cima al pendio. Exeter Street è abbastanza lunga perché il pedone impieghi una decina di minuti a percorrerla, ma ne occorrono appena tre o quattro a una carrozza che avanzi rapidamente oppure a un cavallo al trotto.

Ma non erano i pedoni che attiravano l'attenzione del nostro cavaliere: non li vedeva neppure. Se l'amico più intimo gli fosse passato accanto, egli non lo avrebbe scorto. La persona che aspettava non poteva giungere che a cavallo o in carrozza.

Ma sarebbe giunta all'ora stabilita? Ormai mancavano appena tre minuti, e cioè il tempo che occorreva per discendere Exeter Street; ma nessun veicolo appariva in cima alla strada: né motociclo, né bicicletta, e neppure un'automobile che, a ottanta all'ora, sarebbe giunta in anticipo all'appuntamento.

Seth Stanfort lanciò un'ultima occhiata in cima alla via e fu allora che un lampo sprizzò dalle sue pupille, mentre mormorava con incrollabile decisione:

«Se ella non sarà qui alle dieci e sette, non mi sposo». Quasi in risposta a questa sua dichiarazione, in quell'istante,

dall'alto della via, si udì il galoppo di un cavallo. La magnifica bestia era montata da una giovane che la guidava con grazia e perizia. I passanti si scansavano, e l'animale sarebbe giunto fino alla piazza senza incontrare ostacoli.

Seth Stanfort riconobbe subito colei che aspettava. Il suo viso tornò impassibile: non disse parola e non fece alcun gesto. Spronato il cavallo, si portò con passo tranquillo dinanzi alla casa del giudice.

Tutto ciò suscitò nuovamente la curiosità della gente, la quale si fece vicina senza che il forestiero le prestasse attenzione.

Pochi secondi dopo, la cavallerizza sbucava sulla piazza e il suo cavallo, bianco di schiuma, si fermava a due passi dalla porta.

Il forestiero si tolse il cappello e disse: — Saluto miss Arcadia Walker… — Saluto il signor Seth Stanfort — rispose Arcadia Walker,

inchinandosi con grazia.

Page 16: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Appare superfluo dire che gli indigeni non perdevano di vista la coppia, a loro sconosciuta.

— Se sono venuti per una causa — dicevano sottovoce — auguriamoci che essa finisca vantaggiosamente per entrambi.

— Finirà così, a meno che il signor Proth non sia più quell'abile uomo che è sempre stato.

— E se né l'uno né l'altra sono sposati, la cosa migliore sarebbe che il tutto finisse con un bel matrimonio!

Così dicevano i curiosi che stavano a guardare. Ma né Seth Stanfort né miss Arcadia Walker sembravano

preoccuparsi della curiosità, piuttosto imbarazzante, di cui erano oggetto.

Seth Stanfort stava per scendere da cavallo per andare a bussare alla porta del giudice, quando l'uscio si aprì.

Il signor Proth apparve sulla soglia: la vecchia Kate questa volta si mostrò dietro di lui.

Avevano udito entrambi lo scalpitio dei cavalli dinanzi all'abitazione e, abbandonando l'uno il giardino e l'altra la cucina, erano andati a vedere che cosa accadeva.

Seth Stanfort rimase dunque in sella e, rivolgendosi al magistrato, disse:

— Signor giudice, io sono Seth Stanfort di Boston, Massachusetts. — Sono felicissimo di fare la vostra conoscenza, signor Stanfort! — Ed ecco miss Arcadia Walker di Trenton, New Jersey. — Onorarissimo di trovarmi alla presenza di miss Arcadia

Walker! E il signor Proth, dopo aver osservato il forestiero, trasferì la sua attenzione sulla forestiera.

Poiché miss Arcadia Walker era una bella ragazza, il lettore ci sarà grato se gliene faremo un rapido schizzo. Età, ventiquattro anni; occhi, azzurro pallido; capelli, castano scuro; colorito, di una freschezza che l'abbronzatura dell'aria aperta alterava appena; denti, bianchissimi e perfettamente regolari; statura, un po' superiore alla media; figura e modi, affascinanti: movenze, di rara eleganza, flessuose e nervose a un tempo. Sotto l'abito di amazzone da lei indossato, ella seguiva con grazia i movimenti del cavallo, il quale scalpitava seguendo l'esempio di quello di Seth Stanfort. Le mani,

Page 17: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

elegantemente inguantate, giocavano con le redini. Un intenditore avrebbe indovinato in lei un'abile cavallerizza. La sua persona denotava un'estrema distinzione, con quel «certo non so che» che distingue il ceto alto dell'Unione, quello che si potrebbe chiamare l'aristocrazia americana, se questa parola non fosse in assoluto contrasto con gli istinti democratici dei nativi del Nuovo Mondo.

Miss Arcadia Walker, nata nel New Jersey, aveva soltanto dei lontani parenti. Indipendente grazie alla sua ricchezza, libera delle sue azioni e dotata dello spirito avventuroso delle giovani americane, conduceva un'esistenza conforme ai suoi gusti. Aveva visitato già da vari anni i principali stati d'Europa ed era perciò a conoscenza di ciò che si faceva e si diceva a Parigi, a Londra, a Berlino, a Vienna o a Roma. E di ciò che aveva visto o udito nel corso delle sue continue peregrinazioni, ella poteva parlarne con francesi, inglesi, tedeschi e italiani nella loro lingua. Era una ragazza istruita, la cui educazione era stata particolarmente curata da un tutore ormai scomparso. Era anche una donna d'affari e dava prova della sua notevole capacità nell'amministrazione dei suoi beni.

Tutto ciò che abbiamo detto di miss Arcadia Walker corrispondeva simmetricamente — è questo il termine giusto — al signor Stanfort. Libero e ricco, anch'egli amante dei viaggi, aveva già girato il mondo intero. Non abitava a Boston, sua città natale. Durante l'inverno era ospite del Vecchio Continente e delle grandi capitali, ove aveva spesso incontrato la sua avventurosa compatriota. In estate faceva ritorno al suo paese d'origine, per frequentare le spiagge dove i ricchissimi yankees si ritrovano con la famiglia. Là, miss Arcadia Walker e lui si erano nuovamente ritrovati.

Gli stessi gusti avevano a poco a poco avvicinato quelle due persone giovani e coraggiose, che i curiosi e soprattutto le curiose del luogo ritenevano fatte l'uno per l'altra. E a dire il vero, entrambe avide di viaggi, entrambe sollecite nel recarsi dove un qualche avvenimento particolare politico o militare richiamasse l'attenzione pubblica, come avrebbero potuto non andare d'accordo? Nessuna meraviglia, dunque, che il signor Stanfort e miss Walker un po' alla volta si fossero decisi a unire le loro esistenze, la qualcosa non avrebbe cambiato nulla nelle loro abitudini. Non sarebbero stati più

Page 18: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

due bastimenti che avanzano di conserva, ma uno solo e, sicuramente, molto meglio costruito, attrezzato e apprestato per correre tutti i mari del globo.

Non era una lite, né una discussione o la sistemazione di qualche affare che conducevano Seth Stanfort e miss Walker dinanzi al giudice di quella città. Dopo aver compiuto tutte le formalità legali dinanzi alle competenti autorità del Massachusetts e del New Jersey, essi si erano dati appuntamento per quel giorno, 12 marzo, per quell'ora, dieci e sette, per compiere un atto che, secondo gli innamorati, è il più importante della vita umana.

Dopo che il signor Stanfort e miss Walker si furono presentati al giudice nel modo da noi già riferito, al signor Proth restò solo da chiedere ai due viaggiatori per quale motivo fossero venuti a cercarlo.

— Seth Stanfort desidera diventare il marito di miss Arcadia Walker — rispose l'uno.

— E miss Arcadia Walker desidera diventare la moglie del signor Seth Stanfort — aggiunse l'altra.

Il magistrato si inchinò e disse: — Sono a vostra disposizione. I due giovani s'inchinarono a loro volta. — Quando volete che si proceda al matrimonio? — chiese il

signor Proth. — Immediatamente… se siete libero — rispose Stanfort. — Perché lasceremo Whaston non appena io sarò la signora

Stanfort — dichiarò miss Walker. Il signor Proth dimostrò con il suo atteggiamento quanto

deplorasse, e con lui tutta la città, di non poter trattenere più a lungo quella simpatica coppia che onorava in quel momento Whaston con la sua presenza.

Poi aggiunse: — Sono ai vostri ordini… — e arretrò di qualche passo per lasciar

libero l'ingresso. Il signor Stanfort lo fermò con un gesto. — È proprio necessario — chiese — che miss Arcadia e io si

scenda da cavallo?

Page 19: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il giudice rifletté per un istante. — Niente affatto — disse. — Ci si può sposare sia a piedi sia a

cavallo. Sarebbe stato difficile incontrare un magistrato più compiacente, anche in quell'originale paese che è l'America.

— Una sola domanda — disse il signor Proth. — Le formalità richieste dalla legge sono state adempiute?

— Certamente — rispose Stanfort. E porse al giudice due permessi, redatti in piena regola dai cancellieri di Boston e di Trenton, previo pagamento dei diritti di licenza.

Il signor Proth prese i permessi, mise sul naso gli occhiali montati in oro, e lesse attentamente i documenti, i quali apparvero regolarmente legalizzati e muniti del sigillo ufficiale.

— Le carte sono in regola — disse. — Non ho difficoltà a consegnarvi il certificato di matrimonio.

Non ci si meravigli se i curiosi, il cui numero era cresciuto, si stringessero intorno alla coppia, come altrettanti testimoni di un'unione celebrata in condizioni che sarebbero apparse alquanto insolite in altri paesi. Ma ciò non sembrava mettere in imbarazzo i fidanzati e nemmeno dispiacer loro.

Il signor Proth risalì allora i primi gradini del portico e con voce che fu udita da tutti disse:

— Signor Seth Stanfort, volete prendere per moglie miss Arcadia Walker?

— Sì. — Miss Arcadia Walker, volete prendere per marito il signor Seth

Stanfort? — Sì. Il magistrato meditò per alcuni secondi e poi, serio come un

fotografo al momento del rituale «fermi!» disse: — In nome della legge, signor Seth Stanfort di Boston e miss

Arcadia Walker di Trenton, vi dichiaro marito e moglie! I due sposi si avvicinarono e si presero la mano, come per sigillare

l'atto allora compiuto. Poi ciascuno di essi offrì al giudice un biglietto da cinquecento

dollari. — Quale onorario — disse il signor Stanfort.

Page 20: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Per i poveri — disse la signora Arcadia Stanfort. E dopo aver salutato il giudice con un lieve inchino, spronarono i

loro cavalli, che presero la direzione del sobborgo di Wilcox. — Bene! Bene! — disse Kate, talmente paralizzata dallo stupore

da non riuscire a dir parola da una buona decina di minuti. — Che intendi dire? — le chiese il signor Proth. La vecchia domestica lasciò andare la cocca del grembiule che da

alcuni momenti stava torcendo come un cordaio di professione. — Credo, signor giudice, che quei due siano pazzi — disse. — Sicuramente, cara Kate, sicuramente — approvò il signor Proth

riprendendo tranquillamente l'innaffiatoio. — Ma perché stupirsene? Dopo tutto, coloro che si sposano non sono sempre un po' matti?

Page 21: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 22: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO II

CHE INTRODUCE IL LETTORE NELLA CASA DI DEAN FORSYTH E LO METTE IN RAPPORTI CON FRANCIS GORDON, SUO NIPOTE, E

CON LA DOMESTICA MITZ

— MITZ !… Mitz!… — Ragazzo mio? — Che cosa ha lo zio? — Non lo so. — E forse ammalato? — Ma no! ma se continua così, si ammalerà certamente. Queste domande e queste risposte erano scambiate tra un giovane

di ventitré anni e una donna di sessantacinque, nella sala da pranzo di un'abitazione di Elisabeth Street, in quella città di Whaston nella quale aveva avuto appena luogo lo stravagante matrimonio descritto nel capitolo precedente.

La casa di Elisabeth Street apparteneva al signor Dean Forsyth. Il signor Dean Forsyth aveva quarantacinque anni e li dimostrava. Grossa testa arruffata, occhietti muniti di spessi occhiali, spalle un pochino curve, collo possente avvolto in ogni stagione da una cravatta a doppio giro che gli risaliva fino al mento, finanziera ampia e spiegazzata, panciotto logoro i cui bottoni inferiori non venivano mai usati, pantaloni troppo corti che ricoprivano a malapena scarpe troppo larghe, berretta con fiocco portata all'indietro sui capelli grigiastri e arruffati, viso pieno di rughe incorniciato dalla solita barbetta degli americani del nord, carattere irascibile sempre pronto alla collera: così era il signor Dean Forsyth, del quale parlavano il nipote Francis Gordon e la domestica Mitz, la mattina del 21 marzo.

Presto orfano, Francis Gordon era stato allevato dal signor Dean Forsyth, fratello di sua madre. Un giorno avrebbe ereditato una certa ricchezza dallo zio, ma non per questo si riteneva dispensato dal

Page 23: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

lavorare e così pure la pensava il signor Forsyth. Terminati gli studi umanistici nella celebre università di Harward, li aveva poi completati con quelli di diritto, e ora era avvocato a Whaston, dove vedove, orfani e muri divisori non avevano difensore più accanito di lui. Conosceva a fondo leggi e giurisprudenza e parlava con facilità, con voce calda e persuasiva. I suoi colleghi, giovani e vecchi, lo stimavano. In città non si era mai fatto un nemico. Ben fatto, bei capelli castani e begli occhi neri; di maniere eleganti, spiritoso senza malignità, servizievole ma non servile, abbastanza abile nei molti sport ai quali si dedicava con passione la gentry1 americana, come avrebbe potuto non avere un suo posto tra la più cospicua gioventù cittadina? e perché non avrebbe dovuto amare l'affascinante Jenny Hudelson, figlia del dottor Hudelson e di sua moglie, nata Flora Clarish?

Ma è troppo presto per richiamare l'attenzione del lettore su questa signorina. Sarà meglio che ella entri in scena, insieme con la sua famiglia, a tempo opportuno. Il che, del resto, non tarderà. Conviene tuttavia seguire un metodo rigoroso nello sviluppo di questa storia, che esige estrema precisione.

Per ciò che concerne Francis Gordon, aggiungeremo che egli abitava nella casa di Elisabeth Street, dalla quale indubbiamente avrebbe traslocato soltanto il giorno del suo matrimonio con miss Jenny… Ma lasciamo ancora una volta miss Jenny Hudelson dove si trova e diciamo soltanto che Mitz era la confidente del nipote del suo padrone e che ella lo amava come un figlio, o meglio come un nipotino, considerato che le nonne detengono generalmente il record della tenerezza materna.

Domestica modello, della quale oggi sarebbe impossibile trovare l'eguale, Mitz discendeva da quella specie ormai perduta che deriva nello stesso tempo dal cane e dal gatto: dal cane, perché si affeziona ai padroni, dal gatto, perché si affeziona alla casa. Come è facile immaginare, Mitz parlando con il signor Dean Forsyth non aveva peli sulla lingua. Quando aveva torto glielo diceva chiaramente, anche se con un linguaggio stravagante del quale potremo rendere soltanto approssimativamente la saporita fantasia. E se egli non 1 La «piccola nobiltà», i «ricchi possidenti» del luogo. (N.d.T.)

Page 24: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

voleva ammettere il suo torto, aveva una sola cosa da fare: lasciare il campo, raggiungere il suo studio e chiudervisi dentro a doppia mandata.

Ma il signor Dean Forsyth non doveva temere di essere il solo. C'era anche un altro che si sottraeva allo stesso modo alle rimostranze e agli ammonimenti di Mitz.

Questo personaggio veniva chiamato Omicron: appellativo bizzarro che egli doveva alla sua mediocre statura; e senza dubbio sarebbe stato chiamato Omega, se fosse stato più piccolo. Alto quattro piedi e sei pollici sin dall'età di quindici anni, non era più cresciuto. A quell'età, Tom Wife — era questo il suo vero nome — era entrato a far parte della casa del signor Dean Forsyth al tempo del padre di costui, come giovane domestico; e poiché ora aveva superato la cinquantina, se ne dedurrà che da trentacinque anni egli era al servizio dello zio di Francis Gordon.

Occorre dire a questo punto in che cosa consistesse questo servizio: Omicron doveva aiutare il signor Forsyth nei suoi lavori, per i quali nutriva una passione almeno uguale a quella del suo padrone.

Il signor Forsyth lavorava, dunque? Sì, ma per diletto. Con quale foga e con quale entusiasmo, il

lettore giudicherà. Di che cosa si occupava il signor Forsyth? Di medicina, di diritto,

di letteratura, d'arte, di affari, come tanti cittadini della libera America?

Neanche per sogno. Di che cosa, allora? chiederete. Di scienze? Non ci siete. Non di scienze, al plurale, ma di scienza, al

singolare. Soltanto ed esclusivamente di quella scienza sublime che si chiama Astronomia.

Egli non sognava che scoperte planetarie o stellari. Nulla o quasi nulla di ciò che accadeva sulla superficie del nostro globo sembrava interessarlo: viveva negli spazi infiniti. Tuttavia, poiché in essi non avrebbe trovato né da far colazione né da desinare, doveva ridiscenderne almeno due volte al giorno. Ma quella mattina all'ora

Page 25: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

solita non era ancora sceso, si faceva aspettare: il che faceva stizzire Mitz, che girava intorno alla tavola.

— Perché non si decide a venire? — ripeteva. — Omicron è con lui? — chiese Francis Gordon. — E sempre dov'è il suo padrone — rispose la domestica. — Non

ho più abbastanza gambe — vi assicuro che la stimatissima Mitz si espresse proprio così — per arrampicarmi sino al suo posatoio!

Il posatoio altro non era che una torre, la cui galleria superiore dominava di una ventina di piedi il tetto della casa; era cioè un osservatorio, per dargli il suo vero nome. Al disotto della galleria esisteva una camera circolare, con quattro finestre orientate verso i quattro punti cardinali. Nell'interno giravano sui loro piedi alcuni cannocchiali e alcuni telescopi di portata piuttosto considerevole. Se gli obbiettivi di tali strumenti non si consumavano, non era perché non venivano usati. Anzi, c'era da temere invece che il signor Forsyth e Omicron finissero per rovinarsi gli occhi a furia di applicarli agli oculari dei loro strumenti.

In quella camera entrambi trascorrevano la maggior parte del giorno e della notte, dandosi il cambio. Guardavano, osservavano, si libravano nelle zone interstellari, sorretti dalla perpetua speranza di fare qualche scoperta alla quale si potesse legare il nome di Dean Forsyth. Quando il cielo era sereno, le cose andavano bene; ma è ben difficile che lo sia sempre oltre il 37° parallelo che attraversa lo stato della Virginia. Nuvole, cirri, nembi, cumuli ce ne sono quanti se ne vogliono; certamente più di quanti ne volessero padrone e servitore. Immaginate quindi le geremiadi e le minacce contro quel firmamento, sul quale il vento trascinava quei brandelli di vapori!

Negli ultimi giorni di marzo la pazienza del signor Forsyth era stata più che mai messa alla prova. Da molti giorni il cielo si ostinava a rimanere coperto, con disperazione dell'astronomo.

Quella mattina - era il 21 marzo — un forte vento d'occidente continuava a sospingere quasi a fior di terra un mare di nubi di desolante opacità.

— Peccato! — sospirò per la decima volta il signor Forsyth, dopo un ultimo infruttuoso tentativo per vincere la spessa nebbia. — Ho il presentimento che siamo vicini a una scoperta sensazionale.

Page 26: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— È possibile — rispose Omicron. — E anzi più che probabile; da alcuni giorni, durante una schiarita, mi è parso di vedere…

— Io ho visto, Omicron. — Tutti e due, allora, nello stesso tempo! — Omicron! — protestò il signor Forsyth. — Sì, voi prima di me, senza dubbio — concesse Omicron con un

significativo cenno del capo. — Quando mi è parso di vedere la cosa di cui parliamo, mi è sembrato che dovesse essere… che fosse…

— Io affermo — dichiarò il signor Forsyth — che si trattava di una meteora, la quale si spostava da nord a sud…

— Perpendicolarmente al senso del sole, signor Dean. — Senso apparente, Omicron. — Apparente, va da sé. — Era il 16 di questo mese. — Il 16. — Alle sette, trentasette minuti e venti secondi. — Venti secondi — ripeté Omicron — come ho constatato al

nostro orologio. — Poi non è più riapparsa! — esclamò il signor Forsyth,

allungando minacciosamente la mano verso il cielo. — Come avrebbe potuto farlo? Nubi! sempre nubi! Da cinque

giorni, mai abbastanza azzurro nel cielo da potervisi ritagliare un fazzolettino!

— Sembra fatto apposta! — esclamò Dean Forsyth battendo a terra il piede. — Credo che cose di questo genere capitino soltanto a me!

— A noi — rettificò Omicron, il quale nei lavori del padrone si considerava una specie di socio.

A dire il vero, tutti gli abitanti della regione avevano lo stesso diritto di lagnarsi che lo spesso strato di nubi rattristasse il loro cielo. Che il sole risplenda o meno è una faccenda che riguarda tutti.

Ma per quanto quel diritto fosse di tutti, nessuno aveva la folle pretesa di essere di così cattivo umore come il signor Forsyth, quando la città era avvolta da quelle nebbie contro le quali i telescopi più possenti e i cannocchiali più sofisticati nulla possono. Nebbie del

Page 27: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

genere non sono rare a Whaston, benché la città sia bagnata dalle acque chiare del Potomac e non da quelle fangose del Tamigi.

Comunque sia, il 16 marzo, quando il cielo era sereno, che cosa avevano visto, o creduto di vedere, padrone e servitore? Nientedimeno che un bolide di forma sferica che si spostava sensibilmente da nord verso sud a grandissima velocità, e di tale splendore che la sua luce gareggiava vittoriosamente con quella diffusa dal sole. Sebbene la sua distanza dalla terra fosse di un certo numero di chilometri e nonostante la sua velocità, sarebbe stato possibile seguirlo per un tempo apprezzabile se un'intempestiva nebbia non fosse venuta a impedire ogni osservazione.

Da allora si andava dipanando il filo delle lamentele provocate dalla cattiva sorte. Sarebbe tornato il bolide sull'orizzonte di Whaston? Sarebbe stato possibile stabilirne la composizione, determinarne massa, peso, natura? O qualche altro astronomo più fortunato sarebbe riuscito a rintracciarlo in qualche altro punto del cielo? Dopo aver tenuto il bolide per così poco tempo sotto il controllo del suo telescopio, sarebbe stato Dean Forsyth autorizzato a firmare con il proprio nome quella scoperta? L'onore non sarebbe invece andato a uno di quei sapienti del Vecchio o del Nuovo Mondo che trascorrono l'esistenza a frugare lo spazio notte e giorno?

— Accaparratori! — protestava Dean Forsyth. — Pirati del cielo! Durante l'intera mattinata del 21 marzo né Dean Forsyth né

Omicron avevano potuto decidersi, nonostante il cattivo tempo, ad allontanarsi dalla finestra che dava verso nord. Con il passar delle ore il loro disappunto era cresciuto. Ora non parlavano più. Dean Forsyth percorreva con lo sguardo il vasto orizzonte, limitato da quella parte dalle colline di Serbor, al disopra delle quali un vento piuttosto forte cacciava le nuvole grigiastre. Omicron si sollevava sulla punta dei piedi per allargare il proprio raggio visuale, limitato dalla sua piccola statura. Il primo aveva incrociato le braccia e con i pugni chiusi si premeva il petto. Il secondo tamburellava con le dita contratte il davanzale della finestra. Alcuni uccelli passavano come frecce lanciando piccoli stridi, con l'aria di burlarsi del padrone e del domestico, trattenuti sulla superficie della terra dalla loro qualità di bipedi. Oh! se avessero potuto seguire gli uccelli nel loro volo! In

Page 28: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

brevissimo tempo avrebbero attraversato lo strato dei vapori e forse avrebbero visto l'asteroide proseguire la sua corsa nella luce abbagliante del sole.

In quell'istante qualcuno bussò alla porta. Assorti nei loro pensieri, Dean Forsyth e Omicron non udirono.

La porta si aprì e Francis Gordon apparve sulla soglia. Dean Forsyth e Omicron non si volsero a guardare. Il nipote si accostò allo zio e gli toccò lievemente il braccio. Il signor Forsyth lasciò cadere sul nipote uno sguardo che veniva da lontano: forse veniva da Sirio o, a dir poco, dalla luna.

— Che c'è? — chiese. — Zio, la colazione sta aspettando. — Davvero? La colazione aspetta? Ebbene, anche noi aspettiamo! — Aspettate? Che cosa? — Il sole — dichiarò Omicron. Un cenno del capo del padrone

approvò la risposta. — Ma zio! Non avrete certamente invitato il sole a colazione,

perché non ci si possa mettere a tavola senza di esso! Che rispondere a quelle parole? Se l'astro radioso non si fosse

mostrato durante tutta la giornata, il signor Forsyth si sarebbe intestato a rimanere digiuno fino alla sera?

È probabile, dopo tutto, visto che l'astronomo non sembrava disposto a obbedire all'invito del nipote.

— Zio, vi avverto che Mitz perderà la pazienza — insistette il nipote.

Di colpo il signor Forsyth riprese coscienza della realtà: conosceva l'intolleranza della governante. Poiché gli aveva mandato appositamente un messo, voleva dire che la situazione era grave e che bisognava andare subito.

— Che ora è, dunque? — chiese. — Le undici e quarantasei — rispose Francis. Tale, infatti, era l'ora che la pendola segnava: di solito zio e nipote

sedevano a tavola, l'uno di fronte all'altro, alle undici precise. — Le undici e quarantasei! — esclamò il signor Forsyth fingendo

vivo malcontento per nascondere la sua inquietudine. — Non capisco come mai Mitz sia così in ritardo!

Page 29: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ma zio — disse Francis — è già la terza volta che bussiamo inutilmente alla vostra porta!

Senza dir nulla, il signor Forsyth cominciò a scendere le scale, mentre Omicron, che di solito serviva il pasto, rimaneva a spiare il ritorno del sole. Zio e nipote entrarono nella sala da pranzo. Mitz guardò in faccia il padrone ed egli chinò il capo.

— E l'Ami Krone? — chiese. Era così che Mitz, nella sua innocenza, chiamava la quinta vocale dell'alfabeto greco.

— È occupato — rispose Francis Gordon. — Stamane ne faremo a meno.

— Con piacere! — dichiarò Mitz con tono burbero. — Può restare dove si trova, finché ne avrà voglia. Le cose andranno meglio senza quell’impastato di prima classe.

La colazione ebbe inizio. Le bocche si aprirono soltanto per mangiare. Mitz, che di solito parlava volentieri portando le vivande e cambiando i piatti, non aprì bocca. Il silenzio pesava e il riserbo imbarazzava. Nel desiderio di mettervi fine, Francis Gordon, tanto per dire qualcosa, chiese:

— Siete soddisfatto, zio, della vostra mattinata? — No — rispose Dean Forsyth. — Le condizioni del cielo non

erano favorevoli e questo contrattempo oggi mi ha particolarmente infastidito.

— Siete forse in procinto di fare qualche scoperta astronomica? — Credo di sì, Francis; ma non posso dir nulla con certezza fino a

quando una nuova osservazione… — Ecco dunque che cosa vi affligge da otto giorni — lo

interruppe Mitz in tono asciutto — fino al punto da farvi mettere radici nella vostra torre e da farvi alzare dal letto nel corso della notte. Sì, tre volte la notte scorsa: vi ho ben sentito, perché, grazie a Dio, non ho le traveggole! — aggiunse a mo' di risposta a un gesto del padrone e nell'intento, senza dubbio, di far capire che non era ancora diventata sorda.

— Proprio così, mia buona Mitz — acconsenti il signor Forsyth in tono conciliante.

Bonarietà superflua.

Page 30: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Una scoperta astrocomica! — replicò la brava domestica con indignazione. — E quando vi sarete mangiato il sangue, a furia di guardare nei vostri tubi, vi sarete acchiappato una slombatura, una curvatura, oppure una flessione di petto… allora sì che avrete da stare allegro! Verranno forse le stelle a curarvi? E il medico vi ordinerà forse di ingoiarle in pillole?

Dall'andamento di quell'inizio di dialogo, Dean Forsyth si rese conto che sarebbe stato meglio non rispondere. Continuò a mangiare in silenzio; era però così turbato che più volte scambiò il bicchiere per il piatto e viceversa.

Francis Gordon fece il possibile per non lasciar languire la conversazione, ma era come parlare al deserto. Lo zio, sempre imbronciato, pareva che non lo ascoltasse. Finì con il parlare del tempo. Quando non si sa che cosa dire si parla del tempo che farà o che ha fatto. Materia inesauribile, alla portata di qualsiasi intelligenza. Le faccende atmosferiche interessavano il signor Forsyth. Per questo motivo, nel momento in cui un addensamento di nubi rese più oscura la sala da pranzo, egli alzò il capo, guardò la finestra e, lasciando ricadere la forchetta dalla mano, esclamò:

— Queste maledette nubi non si decideranno mai a sbarazzare il cielo, sia pure a costo di una pioggia torrenziale?

— Dopo tre settimane di tempo asciutto — disse Mitz — sarebbe un bene per la terra.

— La terra… la terra! — mormorò il signor Forsyth con tale disprezzo da attirarsi questa risposta dalla domestica:

— La terra, sissignore! Immagino che valga quanto quel cielo, dal quale non volete mai discendere, neppure all'ora di colazione!

— Su, mia buona Mitz… — disse Gordon con voce melliflua. Fatica sprecata; la buona Mitz non era in vena di lasciarsi sedurre.

— Non c'è «buona Mitz» che tenga — proseguì sullo stesso tono. — Vale proprio la pena di rovinarsi il temperamento a guardare la luna, per non sapere poi che in primavera piove spesso? Se non piove nel mese di marzo, quando dovrebbe piovere, secondo voi?

— Ha ragione, zio; siamo in marzo, agli inizi della primavera, e non c'è nulla da fare. Ma presto verrà l'estate e avrete il cielo più

Page 31: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

pulito; potrete proseguire allora il vostro lavoro in condizioni migliori. Occorre un po' di pazienza!

— Un po' di pazienza, Francis? — rispose il signor Forsyth, con il viso rabbuiato quanto l'atmosfera. — E se va così lontano da non lasciarsi più scorgere? E se non appare più al disopra dell'orizzonte?

— Chi? — chiese Mitz. In quel preciso momento si udì la voce di Omicron: — Signor Dean! — C'è qualcosa di nuovo! — esclamò il signor Forsyth

allontanando precipitosamente la sedia e andando verso la porta. Non l'aveva ancora raggiunta quando un vivo raggio di luce

penetrò dalla finestra e punteggiò di riflessi luminosi le bottiglie e i bicchieri che stavano sulla tavola.

— Il sole… il sole! — ripeteva il signor Forsyth salendo di corsa le scale.

— Se n'è andato, come vuole Iddio! — disse Mitz, lasciandosi cadere su una sedia. — Quando si chiude a doppia mandata nell'osservatorio con il suo Ami Krone, si ha un bel chiamarlo. È come parlare al vento. La colazione si mangerà da se stessa per virtù dello Spirito Santo. E tutto questo per delle stelle!

Così parlava la buona Mitz nel suo immaginoso linguaggio, benché il padrone non potesse udirla. Del resto, anche se l'avesse udita, quella eloquenza sarebbe stata egualmente sprecata. Il signor Forsyth, ansante, era penetrato nell'osservatorio. Il vento del sud-ovest era rinfrescato e aveva sospinto le nubi verso levante. Un'ampia schiarita lasciava vedere sino allo zenith la parte del cielo in cui la meteora era stata osservata. La camera era illuminata dai raggi del sole.

— Che cosa c'è di nuovo? — chiese il signor Forsyth. — Il sole — rispose Omicron — ma non per molto tempo; le

nuvole riappaiono già a occidente. — Non c'è un minuto da perdere! — esclamò il signor Forsyth

puntando il cannocchiale, mentre il domestico faceva la stessa cosa con il telescopio.

Con quale ansia entrambi maneggiarono i loro strumenti per una quarantina di minuti! Con quale pazienza manovrarono la vite per

Page 32: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

mantenerli a fuoco! Con quale minuziosa attenzione frugarono gli angoli e i recessi di quella parte della sfera celeste! Era stato con tante ascensioni dritte e tante declinazioni che il bolide era apparso loro la prima volta, per passare poi esattamente allo zenith di Whaston, ne erano certi.

E niente, niente in quel punto! Deserto quello sprazzo di azzurro che offriva alle meteore un magnifico campo per passeggiare! Nemmeno un punto in quella direzione! Nessuna traccia dell'asteroide.

— Nulla! — disse il signor Forsyth, asciugandosi gli occhi arrossati a causa del sangue affluito alle palpebre.

— Nulla! — ripeté Omicron come un'eco lamentosa. Era troppo tardi per altre ricerche; le nubi facevano ritorno e il

cielo tornava a oscurarsi. La schiarita era finita! e per tutta la giornata questa volta! I vapori presto si addensarono in una massa uniforme di colore grigio sporco e si trasformarono in una pioggerella sottile. Bisognava rinunciare a ogni osservazione, con disperazione di padrone e servitore.

— Eppure — disse Omicron — siamo ben sicuri d'averlo visto! — Se siamo sicuri…! — esclamò il signor Forsyth, alzando le

braccia al cielo. E con voce che tradiva inquietudine e gelosia insieme aggiunse: — Ne siamo fin troppo sicuri, ma altri potrebbero averlo visto

come noi. Purché siamo noi soli!… Ci mancherebbe altro che lo avesse visto anche lui, Sydney Hudelson!

Page 33: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO III

NEL QUALE SI PARLA DEL DOTTOR SYDNEY HUDELSON, DI FLORA HUDELSON SUA MOGLIE, DI MISS JENNY E DI MISS LOO,

LORO FIGLIE

— PURCHÉ quel ficcanaso di Forsyth non lo abbia visto anche lui! Così si esprimeva il dottor Sydney Hudelson, la mattina del 21

marzo, parlando tra sé, nella solitudine del suo gabinetto da lavoro. Il signor Hudelson era medico; se non esercitava la medicina a

Whaston era per il fatto che preferiva dedicare il suo tempo e la sua intelligenza a più ampie e sublimi speculazioni. Amico intimo di Dean Forsyth, gli era nel contempo rivale. Spronato dalla stessa passione, come lui non aveva sguardi che per l'immensità del cielo e, come lui, cercava di decifrare gli enigmi astronomici dell'universo.

Il dottor Hudelson possedeva un bel patrimonio, tanto da parte sua quanto da parte della moglie, nata Flora Clarish. Giudiziosamente amministrato, quel patrimonio dava sicurezza al suo avvenire e a quello delle figlie Jenny e Loo, rispettivamente di diciotto e quattordici anni. Per quanto riguarda il dottore, per dirne l'età in maniera letteraria si dovrebbe dire che la neve del quarantasettesimo inverno era appena caduta sul suo capo. Questa deliziosa immagine era, purtroppo, fuori posto, poiché il dottor Hudelson era così calvo da sfidare il rasoio del più abile figaro.

La latente rivalità esistente nel campo dell'astronomia tra Hudelson e Forsyth turbava un pochino i rapporti delle due famiglie, per il resto molto unite. Essi non si contendevano, ovviamente, quel pianeta o quella stella; gli astri, i cui primi scopritori sono generalmente sconosciuti, appartengono a tutti. Non era raro, però, che le loro osservazioni meteorologiche o astronomiche fornissero il tema a discussioni che, a volte, degeneravano presto in litigi.

Page 34: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ciò che avrebbe potuto peggiorare quei litigi e persino provocare, all'occorrenza, spiacevoli scenate, sarebbe stata l'esistenza di una signora Forsyth. Per fortuna detta signora non esisteva; colui che avrebbe dovuto sposarla era rimasto scapolo e non aveva mai avuto, neppure in sogno, l'idea di sposarsi. Non c'era, dunque, alcuna signora Forsyth che potesse inasprire le cose con il pretesto di conciliarle; c'erano, di conseguenza, molte probabilità perché i litigi tra i due astronomi dilettanti si appianassero presto.

C'era senza dubbio una signora Hudelson; ma la signora Flora Hudelson era una bravissima donna, di temperamento pacifico, madre eccellente ed eccellente massaia, incapace di dire parole disdicevoli su chiunque; una donna che non faceva colazione con una maldicenza per desinare con una calunnia, come fanno tante signore stimatissime nelle società del Vecchio e del Nuovo Mondo.

Per quanto incredibile, questo modello di moglie cercava di calmare il marito quando tornava a casa arrabbiatissimo per qualche discussione con l'amico Forsyth. Altro fatto insolito era questo: la signora Hudelson riteneva più che naturale che il marito si occupasse di astronomia e che vivesse negli immensi spazi del firmamento, a condizione però che egli ne discendesse quando ella lo pregava di farlo. Lungi dall'imitare Mitz che tormentava il padrone, ella non assillava il marito e tollerava che si facesse attendere all'ora dei pasti: non brontolava quando era in ritardo e cercava egualmente di mantenere le pietanze al giusto grado di cottura. Rispettava il suo silenzio quando era preoccupato, e s'interessava al suo lavoro; il suo buon cuore le suggeriva parole d'incoraggiamento quando le sembrava che l'astronomo si smarrisse negli spazi infiniti, al punto da non ritrovare più la propria strada.

Ecco la moglie che auguriamo a tutti i mariti, soprattutto se astronomi. Purtroppo esse esistono soltanto nei romanzi!

Jenny, la figlia maggiore, prometteva di seguire le orme materne e di avanzare con lo stesso passo sul cammino dell'esistenza. Francis Gordon, futuro marito di Jenny Hudelson, era destinato evidentemente a diventare un uomo felice. Senza volere umiliare le ragazze americane, ci sia consentito di dire che si sarebbe durata fatica a trovare in tutta l'America una ragazza più bella, più attraente,

Page 35: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

più dotata di ogni umana perfezione. Jenny Hudelson era una bionda gentile, dagli occhi azzurri e dalla carnagione fresca, con belle mani, bei piedi e un bel vitine Inoltre possedeva in egual misura grazia e modestia, bontà e intelligenza.

Francis Gordon la stimava, quindi, non meno di quanto ella stimasse lui. Il nipote del signor Forsyth godeva della stima della famiglia Hudelson e quella reciproca simpatia non aveva tardato a tradursi in una domanda di matrimonio, accolta con grande favore. I due giovani sembravano fatti l'uno per l'altra. Con le sue qualità familiari, Jenny avrebbe reso felice il matrimonio. Francis, da parte sua, avrebbe avuto una dote dallo zio, dal quale un giorno avrebbe ereditato le sostanze. Ma lasciamo da parte ogni prospettiva di eredità; non si tratta dell'avvenire ma del presente, il quale riunisce tutte le condizioni della perfetta felicità.

Francis Gordon è dunque il fidanzato di Jenny Hudelson; Jenny Hudelson è la fidanzata di Francis Gordon. Il matrimonio, di cui tra breve si fisserà la data, sarà celebrato dal reverendo O'Garth nella chiesa di Sant'Andrea, la più importante della città di Whaston.

Potete essere certi che alla cerimonia nuziale assisterà moltissima gente, perché le due famiglie godono di una stima che è eguagliata soltanto dalla loro onorabilità; così come potete essere certi che quel giorno la più allegra, la più vivace, la più pazzerella sarà la piccola Loo,2 la quale sarà damigella d'onore dell'amata sorella. Loo non ha ancora quindici anni e perciò ha diritto ad esser giovane. E vi assicuro che se ne approfitta di tale diritto. È il moto perpetuo, fisicamente; moralmente, è una furbetta che non si fa scrupolo di burlarsi dei pianeti di papà! Ma in casa le perdonano tutto e le consentono tutto. Il dottor Hudelson è il primo a riderne e, per punizione, depone un bacio sulle guance della ragazza.

Il signor Hudelson era un brav'uomo, in fondo, anche se caparbio e suscettibile. Tranne Loo, alla quale permetteva gli scherzi innocenti, tutti rispettavano le sue manie e le sue abitudini. Attaccatissimo ai suoi studi astronomici-meteorologici, ostinato nelle sue dimostrazioni, gelosissimo delle scoperte che faceva o che pretendeva di fare, era già tanto se, nonostante l'affetto che nutriva 2 Diminutivo di Luisa. (N.d.T.)

Page 36: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

per Dean Forsyth, rimaneva amico di un rivale così temibile. Erano due cacciatori che si contendevano, sullo stesso terreno di caccia, la rara selvaggina. Molte volte c'era stata della freddezza nei loro rapporti che avrebbe potuto degenerare in discordia, se non ci fosse stato l'intervento pacificatore della buona signora Hudelson, notevolmente aiutata, nella sua opera di pace, dalle figlie e da Francis Gordon.

Questo pacifico quartetto fondava grandi speranze sulla progettata unione per rendere più rare le scaramucce. Quando il matrimonio di Francis e di Jenny avesse unito più strettamente le due famiglie, quei passeggeri temporali sarebbero stati meno frequenti e meno temibili. Chissà, forse i due astronomi dilettanti, uniti in cordiale collaborazione, avrebbero proseguito di comune accordo le loro ricerche astronomiche, dividendosi equamente la selvaggina scoperta, se non abbattuta, sui vasti campi dello spazio.

La casa del dottor Hudelson era comodissima. Si sarebbe cercato inutilmente in tutta Whaston una casa meglio tenuta. Quel bel palazzetto, tra cortile e giardino, con begli alberi e aiuole verdeggianti, occupava il centro di Moriss Street. Si componeva del pianterreno e del primo piano, con sette finestre sulla facciata. A sinistra il tetto era dominato da una specie di torrione quadrato, alto una trentina di metri, che terminava con una terrazza a balaustra. A un angolo sorgeva l'antenna a cui, la domenica e nei giorni di festa, veniva issata la bandiera dalle cinquantuno stelle degli Stati Uniti d'America.

La camera superiore del torrione era stata predisposta per gli speciali lavori del proprietario. Era là che entravano in funzione gli strumenti del dottore, cannocchiali e telescopi, a meno che durante le notti serene egli non decidesse di trasportarli sulla terrazza, da dove lo sguardo poteva liberamente percorrere la volta celeste. Era là che il dottore, a dispetto delle raccomandazioni della moglie, si buscava potenti raffreddori e le influenze meglio riuscite.

— Finirà che papà farà prendere il raffreddore ai suoi pianeti — ripeteva spesso miss Loo.

Page 37: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ma il dottore non prestava ascolto e a volte, quando il firmamento appariva perfettamente sereno, sfidava i sette od otto gradi sotto lo zero dei grandi geli invernali.

Dall'osservatorio della casa di Moriss Street si distingueva benissimo la torre della casa di Elisabeth Street. Non più di mezzo miglio separava le due abitazioni; tra di esse non sorgevano monumenti né alberi interponevano i loro rami.

Senza bisogno di ricorrere al telescopio a lunga portata, si riconoscevano facilmente, con un buon binocolo, le persone che stavano sulla torre o sul torrione. Senza dubbio, Dean Forsyth aveva altro da fare che stare a guardare Sydney Hudelson, e Sydney Hudelson certamente non sprecava il suo tempo a guardare Dean Forsyth. Le loro osservazioni miravano in alto, molto più in alto. Ma era naturale che Francis Gordon volesse vedere se Jenny Hudelson si trovasse sulla terrazza, così che spesso i loro occhi si guardavano attraverso i binocoli. Credo che in questo non ci fosse nulla di male.

Sarebbe stato facile stabilire una comunicazione telegrafica o telefonica tra le due case: un filo teso dal torrione alla torre avrebbe trasmesso simpatiche espressioni di Francis a Jenny e di Jenny a Francis. Ma non dovendo scambiarsi paroline dolci, Dean Forsyth e il dottor Hudelson non avevano mai pensato all'installazione di un tale filo. Dopo il matrimonio dei due fidanzati forse tale lacuna sarebbe stata colmata; il legame elettrico, dopo il legame matrimoniale, avrebbe unito ancor più le due famiglie.

Nel pomeriggio del giorno in cui la buona ma bisbetica Mitz ha dato al lettore un saggio della sua saporita eloquenza, Francis Gordon andò a fare la sua solita visita alla signora Hudelson e alle sue figlie — e a sua figlia, rettificava Loo, ostentando un'aria offesa. E lecito dire che fu ricevuto come se fosse stato il dio della casa. Non era ancora il marito di Jenny, d'accordo! ma Loo pretendeva che egli fosse già come suo fratello, e ciò che entrava nel cervello di quella ragazzetta difficilmente ne usciva.

Il dottor Hudelson si era rinchiuso nel torrione sin dalle quattro del mattino; dopo essere sceso in ritardo a colazione, così come aveva fatto Dean Forsyth, era stato visto raggiungere a precipizio la terrazza, come aveva fatto il signor Forsyth, nel momento in cui il

Page 38: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

sole si liberava dalle nuvole. Non meno preoccupato del suo rivale, non sembrava disposto a ridiscendere.

Eppure non era possibile decidere senza di lui l'importante faccenda che stava per essere discussa in assemblea generale.

— Toh! — esclamò Loo, non appena il giovane apparve sulla soglia del salotto — ecco il signor Francis, l'eterno signor Francis! Non si vede che lui, qui!

Francis Gordon si limitò a minacciare con il dito la ragazza. Quando tutti si furono seduti, la conversazione ebbe inizio con semplice e naturale bonomia. Sembrava che non si fossero mai lasciati; e in realtà, almeno con il pensiero, i due fidanzati non si separavano mai l'uno dall'altra. Miss Loo asseriva persino che «l'eterno Francis» fosse sempre in casa; e che se fingeva di uscire dalla porta della strada, lo faceva per rientrare da quella del giardino.

Quel giorno si parlò di ciò di cui si parlava ogni giorno. Jenny ascoltava ciò che diceva Francis con una serietà che non le toglieva nulla del suo fascino. I due giovani si guardavano, formulavano progetti per l'avvenire, la cui realizzazione non si riteneva lontana. Perché mai, infatti, avrebbe dovuto tardare? Francis aveva già trovato in Lambeth Street una bella casa, perfettamente adatta alla giovane coppia. Era nel quartiere occidentale, con vista sul Potomac, e non molto lontana da Moriss Street. La signora Hudelson promise di andarla a vedere; per poco che fosse piaciuta alla futura locataria, sarebbe stata presa in affitto entro pochi giorni. E superfluo dire che Loo avrebbe accompagnato la madre e la sorella. La ragazza non avrebbe tollerato che si fosse fatto a meno del suo parere.

— A proposito — disse ella a un tratto — e il signor Forsyth? Non deve venire oggi?

— Mio zio verrà verso le quattro — rispose Francis. — La sua presenza è indispensabile per decidere — disse la

signora Hudelson. — Lo sa; non mancherà all'appuntamento. — Se dovesse mancare — disse Loo, mostrando il pugno —

dovrebbe vedersela con me; e non se la caverebbe a buon mercato! — E il signor Hudelson? — chiese Francis. — Abbiamo bisogno

anche di lui, oltre che di mio zio.

Page 39: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Papà è nel torrione — disse Jenny. — Verrà giù appena sarà avvisato.

— Me ne occuperò io — rispose Loo. — Farò presto a salire i sei piani. Occorreva infatti che i signori Forsyth e Hudelson fossero presenti.

Non bisognava concordare la data della cerimonia? In linea di massima, il matrimonio doveva essere celebrato al più presto, a condizione però che la damigella d'onore avesse il tempo di farsi confezionare un bell'abito — un abito lungo, da signorina, naturalmente — da inaugurare in quella occasione.

Francis si permise scherzosamente di fare un'osservazione: — E se l'abito non fosse pronto per il giorno stabilito? — Rimanderemo le nozze — decretò imperiosamente Loo. La risposta fu seguita da tale scoppio di risa da giungere persino

alle orecchie del signor Hudelson. Nel frattempo la sfera della pendola segnava, uno dopo l'altro,

tutti i minuti del quadrante, senza che il signor Forsyth apparisse. Loo si sporgeva continuamente dalla finestra, dalla quale poteva vedere la porta di casa, ma del signor Forsyth non c'era neppur l'ombra. Fu necessario armarsi di pazienza, arma della quale Loo non conosceva affatto l'uso.

— Eppure lo zio mi ha promesso di venire — ripeteva Francis. — Da qualche giorno, non so proprio che cosa abbia.

— Spero che il signor Forsyth non sia indisposto — disse Jenny. — No, è inquieto… preoccupato… Non si riesce a tirargli fuori di

bocca dieci parole. Non so che cosa abbia in testa. — Avrà la scheggia di qualche stella! — esclamò Loo. — Accade la stessa cosa con mio marito — disse la signora

Hudelson. — Questa settimana mi è parso più taciturno del solito. Non si

riesce a strapparlo dal suo osservatorio. Deve accadere qualcosa di straordinario nel firmamento.

— Sono tentato di crederlo — rispose Francis — per il modo in cui si comporta mio zio. Non esce più, non dorme, dimentica l'ora dei pasti ed è già tanto se mangia appena qualcosa.

— Chissà quali salti di gioia farà Mitz! — esclamò Loo.

Page 40: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— È furibonda! — disse Francis. — Ma ciò non serve a nulla. Mio zio, che sino ad ora temeva le sue sgridate, adesso la lascia dire, senza prestarle attenzione.

— Anche qui succede la stessa cosa — disse Jenny sorridendo. — Pare che mia sorella abbia perduto il suo ascendente su mio padre; e sappiamo tutti che esso era notevole.

— E mai possibile, signorina Loo? — chiese Francis, sullo stesso tono.

— Purtroppo è vero! — rispose la ragazza. — Ci vuole pazienza; prima o poi, Mitz ed io la spunteremo.

— Ma che cosa può essere accaduto a tutti e due? — chiese Jenny.

— Forse avranno smarrito qualche pianeta di valore — esclamò Loo.

— Santo cielo, purché lo ritrovino prima delle nozze! — Noi scherziamo — disse la signora Hudelson — ma intanto il

signor Forsyth ancora non si vede. — E sono già quasi le quattro e mezzo — aggiunse Jenny. — Se mio zio non sarà qui entro cinque minuti — disse Francis —

andrò a cercarlo. In quell'istante si udì il campanello della porta d'ingresso. — È il signor Forsyth — disse Loo. — Perché continua a sonare?

Scommetto che segue il volo di una cometa e non si accorge che continua a sonare!

Era proprio il signor Forsyth; entrò quasi subito nel salotto, dove Loo lo accolse con vivi rimproveri.

— Siete in ritardo! Volete essere rimproverato, dunque? — Buon giorno, signora Hudelson! buon giorno, cara Jenny! —

disse il signor Forsyth abbracciando la fanciulla. — Buon giorno! — ripeté dando un buffetto sulle guance della ragazza.

Quello scambio di saluti era stato fatto con aria distratta. Come aveva intuito Loo, il signor Forsyth aveva, come si dice, la testa altrove.

— Zio, non vedendovi giungere all'ora stabilita, stavo per venire a cercarvi. — disse Francis.

Page 41: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Avevo un po' dimenticato l'impegno, lo confesso; vi chiedo scusa, signora Hudelson. Mitz per fortuna me lo ha ricordato, con le consuete buone maniere.

— Ha fatto bene — dichiarò Loo. — Non mi angariate, piccola signorina. Gravi preoccupazioni…

Sono forse alla vigilia di fare un'interessantissima scoperta. — Anche papà… — cominciò a dire Loo. — Che cosa? — esclamò il signor Forsyth alzandosi con un tale

salto, da far credere che una molla fosse scattata nel fondo della sua poltrona. — Volete dire che il dottore…

— Non stiamo dicendo nulla… — si affrettò a rispondere la signora Hudelson, temendo sempre, non senza ragione, che potesse sorgere un altro motivo di rivalità tra suo marito e lo zio di Francis.

Per tagliar corto, poi aggiunse: — Loo, va' a chiamare tuo padre. Leggera come un uccello, la ragazza corse verso il torrione. Se

fece le scale, invece di volare attraverso la finestra, è senza dubbio perché non volle servirsi delle ali.

Poco dopo il signor Hudelson faceva il suo ingresso nel salotto: aspetto grave, occhio stanco e viso rosso, tanto da far temere un colpo apoplettico.

Scambiò senza convinzione una stretta di mano con il signor Forsyth, mentre entrambi si studiavano, osservandosi di sfuggita con diffidenza. Dopo tutto, le due famiglie si riunivano soltanto per fissare la data del matrimonio; o meglio, per dirla con Loo, della congiunzione degli astri Francis e Jenny. Non c'era dunque che da stabilire la data; e poiché tutti erano d'accordo che la cerimonia dovesse aver luogo al più presto, la conversazione fu breve.

Il signor Forsyth e il signor Hudelson vi prestarono molta attenzione? È permesso credere, invece, che essi fossero corsi dietro a qualche asteroide smarritosi nello spazio, ciascuno di essi chiedendosi se l'altro non fosse sul punto di rintracciarlo. Nessuno dei due, comunque, fece obiezione a che il matrimonio fosse stabilito per il 15 maggio. Poiché si era al 21 marzo, ci sarebbe stato il tempo, affrettando un pochino le cose, di preparare il nuovo appartamento.

— E di finire il mio abito! — aggiunse Loo, con grande serietà.

Page 42: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO IV

COME DUE LETTERE SPEDITE SEPARATAMENTE ALL'OSSERVATORIO DI PITTSBURGH E A QUELLO DI CINCINNATI

FURONO CLASSIFICATE NELLA PRATICA DEI BOLIDI

Al signor Direttore dell'Osservatorio di Pittsburgh (Pennsylvania) Whaston, 24 marzo…

Signor Direttore, ho l'onore di portare a vostra conoscenza il fatto seguente, che è

tale da interessare la scienza astronomica. La mattina del 16 marzo ho scoperto un bolide che attraversava la zona settentrionale del cielo a grandissima velocità. La sua traiettoria, sensibilmente nord-sud, faceva con il meridiano un angolo di 3° 31' che ho potuto misurare con esattezza. Erano le sette e trentasette minuti e venti secondi quando è apparso nell'obiettivo del mio cannocchiale, per sparire nove secondi dopo. Da allora non mi è stato più possibile rivederlo, nonostante le più minuziose ricerche. Vi prego perciò di voler prendere nota della mia osservazione e di darmi atto della presente lettera: la quale, nel caso in cui la detta meteora si rendesse nuovamente visibile, mi assicurerebbe la priorità di questa preziosa scoperta.

Vogliate gradire, signor Direttore, l'assicurazione della mia altissima considerazione e credermi vostro devotissimo servitore.

Page 43: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Dean Forsyth, Elisabeth Street.

Al signor Direttore dell'Osservatorio di Cincinnati (Ohio)

Whaston, 24 marzo… Signor Direttore, la mattina del 16 marzo, tra le sette e trentasette e venti secondi e

le sette e trentasette e ventinove secondi, ho avuto la grande fortuna di scoprire un nuovo bolide che si spostava da nord a sud, nella zona settentrionale del cielo; la sua direzione apparente faceva con il meridiano un angolo di 3° 31'. Da allora non ho più potuto seguire la traiettoria della meteora. Ma se essa dovesse riapparire sul nostro orizzonte, della qualcosa non dubito, mi sembrerebbe giusto di essere considerato come autore di questa scoperta, che merita di essere annotata negli annali astronomici del nostro tempo. A tale scopo, mi prendo la libertà di indirizzarvi la presente, della quale vi prego di volermi accusare ricezione.

Vogliate gradire, signor Direttore, con i miei umilissimi saluti, l'assicurazione dei miei rispettosi sentimenti.

Dottor Sydney Hudelson,

17, Moriss Street.

Page 44: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO V

NEL QUALE, NONOSTANTE LA LORO OSTINAZIONE, IL SIGNOR FORSYTH E IL DOTTOR HUDELSON HANNO NOTIZIE DELLA

METEORA SOLTANTO DAI GIORNALI

LA RISPOSTA alle due raccomandate sopra riportate sarebbe stata un breve cenno di ricevuta e di «presa nota». Gli interessati non chiedevano di più: entrambi ritenevano di ritrovare il bolide entro breve tempo. Che l'asteroide si fosse perduto nelle profondità del cielo, abbastanza lontano per sfuggire all'attrazione terrestre e che non dovesse più riapparire in vista del mondo sublunare, essi si rifiutavano di ammetterlo. Non sottomesso a leggi formali, esso sarebbe tornato sull'orizzonte di Whaston, rendendo così possibile scorgerlo al suo passare, segnalarlo nuovamente e determinarne le coordinate, per apparire infine sulle carte del cielo con il glorioso nome del suo scopritore.

Ma chi era il suo scopritore? Questione molto delicata, la quale avrebbe certamente posto in imbarazzo persino la giustizia di Salomone. Il giorno in cui il bolide fosse riapparso, sarebbero stati entrambi i nostri astronomi a rivendicarne la conquista. Se avessero intuito i rischi che la situazione offriva, Francis e Jenny avrebbero certamente supplicato il cielo di fare in modo che il loro matrimonio fosse celebrato prima del ritorno della sciagurata meteora. E non meno certamente, la signora Hudelson, Loo, Mitz e gli amici delle due famiglie si sarebbero uniti di tutto cuore alla loro preghiera.

Ma nessuno era a conoscenza di nulla; nonostante la crescente preoccupazione dei due rivali — preoccupazione che appariva a tutti incomprensibile — gli abitanti della casa di Moriss Street, eccettuato il dottor Hudelson, non si preoccupavano affatto di ciò che potesse accadere nelle profondità del firmamento. Preoccupazioni nessuno ne aveva; occupazioni sì, e numerose. Visite e complimenti da ricevere

Page 45: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

e da restituire, partecipazioni e inviti da mandare, preparativi per il matrimonio e regali di nozze da scegliere; tutto questo, secondo Loo, era paragonabile alle dodici fatiche di Ercole e non c'era tempo da perdere.

— Quando si dà marito alla primogenita, è una faccenda grossa — diceva. — Non si è ancora abituati. Per la seconda figlia la cosa è più semplice: si è fatta l'abitudine e non si teme di dimenticare qualcosa. Quando toccherà a me, tutto andrà liscio.

— La signorina Loo penserebbe già al matrimonio? — chiedeva Francis. — Si può sapere chi è il fortunato mortale?

— Pensate a sposare mia sorella — rispondeva la ragazza. — E una faccenda che richiede tutto il vostro tempo e non immischiatevi in ciò che riguarda me!

Come aveva promesso, la signora Hudelson si era recata alla casa di Lambeth Street: contare sul dottore sarebbe stata una follia.

— Ciò che farete sarà ben fatto, mia cara: mi fido di voi! — aveva risposto alla moglie che gli proponeva di visitare insieme la futura dimora della giovane coppia. — Del resto, ciò riguarda soprattutto Jenny e Francis.

— Ma, papà — disse Loo — credete forse di rimanere nel vostro torrione anche il giorno delle nozze?

— Sì, Loo, sì. — Sapete bene che dovete accompagnare vostra figlia all'altare! — Sì, Loo, sì. — E che dovete indossare il vestito nero, con il panciotto e la

cravatta bianchi? — Ma sì, Loo, sì. — E che dovrete dimenticare i pianeti per ascoltare il

commovente discorso del reverendo O'Garth? — Sì, Loo, sì, ma abbiamo ancora tempo! E poiché oggi il cielo è

sereno, cosa che non capita spesso, andate senza di me. La signora Hudelson, Jenny, Loo e Francis lasciarono dunque il

dottore al suo binocolo e al suo telescopio, mentre il signor Forsyth, da parte sua, manovrava i suoi strumenti nella torre di Elisabeth Street. Quella doppia ostinazione avrebbe avuto la propria ricompensa? La già intravista meteora sarebbe passata una seconda

Page 46: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

volta dinanzi all'obiettivo degli strumenti dei due astronomi dilettanti?

Per recarsi alla casa di Lambeth Street, Francis e le sue compagne discesero Moriss Street e attraversarono piazza della Costituzione, ove, passando, furono salutati dal giudice Proth; poi risalirono Exeter Street, così come aveva fatto alcuni giorni prima Seth Stanfort, e giunsero in Lambeth Street.

La casa era bella e ben disposta, secondo le regole delle moderne comodità. Nel retro, lo studio e la sala da pranzo davano sul giardino, di pochi acri ma ombreggiato da bei faggi e rallegrato da aiuole dove già cominciavano a sbocciare i primi fiori primaverili. Cucina e dispensa erano nel sottosuolo, alla moda anglosassone.

Il primo piano non era da meno del pianterreno e Jenny non poté che felicitare il fidanzato per aver trovato quella bella residenza: una specie di villa di aspetto molto grazioso.

La signora Hudelson fu del parere della figlia e si disse persuasa che non sarebbe stato possibile trovare di meglio, in qualsiasi altro quartiere di Whaston.

Il lusinghiero apprezzamento parve anche più giustificato quando il gruppetto raggiunse l'ultimo piano dell'abitazione. Circondata da una balaustrata, c'era un'ampia terrazza, dalla quale l'occhio abbracciava uno splendido panorama. Si poteva risalire e discendere con lo sguardo il corso del Potomac e scorgere, oltre il fiume, la borgata di Steel, dalla quale miss Arcadia Walker era partita per raggiungere Seth Stanfort.

Si scorgeva tutta la città, le chiese con i campanili, gli alti tetti degli uffici pubblici e le cime verdeggianti degli alberi.

— Ecco piazza della Costituzione — disse Jenny servendosi di un occhialino, del quale si erano munite per consiglio di Francis. — Ecco Moriss Street… vedo la nostra casa, con il torrione e la bandiera che ondeggia al vento. Toh! sul torrione c'è qualcuno.

— Papà! — disse Loo senza esitare. — Non può esserci che lui — affermò la signora Hudelson. — E proprio lui! — affermò la ragazza, la quale, senza tante

cerimonie, si era impadronita dell'occhialino. — Lo riconosco…

Page 47: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Maneggia il cannocchiale… Vedrete che non gli passerà neppure per il capo di guardare dalla nostra parte! Se fossimo nella luna, invece…

— Dal momento che vedete la vostra casa, signorina Loo — disse Francis — forse potete vedere anche quella di mio zio.

— Lasciatemi cercare — disse la ragazza. — La riconoscerò facilmente dalla torretta. Dev'essere da questa parte… aspettate… Eccola!

Loo non si sbagliava: era proprio la casa del signor Forsyth. — C'è qualcuno sulla torretta — disse, dopo aver prestato un po'

di attenzione. — Sarà certamente lo zio — disse Francis. — Non è solo. — Sarà con lui Omicron. — E non occorre chiedersi che cosa facciano — aggiunse la

signora Hudelson. — Fanno quello che fa mio padre — disse con una sfumatura di

tristezza Jenny, alla quale la latente rivalità dei due astronomi dilettanti cagionava sempre un po' di inquietudine.

Al termine della visita, dopo che Loo ebbe affermato ancora una volta la propria soddisfazione, la signora Hudelson, le sue figlie e Francis fecero ritorno a casa. Il giorno dopo si sarebbe firmato il contratto di affitto con il proprietario della villa e ci si sarebbe occupati della mobilia, in modo da essere pronti per il 15 maggio.

Durante questo tempo, il signor Forsyth e il dottor Hudelson non persero neppure un'ora del loro preziosissimo tempo; nonostante la fatica fisica e morale proseguirono, durante i giorni limpidi e le notti serene, la ricerca del bolide che si ostinava a non riapparire al disopra dell'orizzonte!

Sino a quel momento, a dispetto della loro costanza, i due astronomi ci avevano rimesso tempo e fatica: la meteora non era passata in vista di Whaston né di giorno né di notte.

— Ci passerà mai? — sospirava a volte Dean Forsyth, dopo una lunga sosta all'oculare del telescopio.

— Ci passerà! — rispondeva Omicron con imperturbabile sicurezza. — Dirò persino: passa.

— Allora perché non la vediamo?

Page 48: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Perché non è visibile. — È desolante! — sospirava Forsyth. — Dopo tutto, se non la

vediamo noi non la vede alcuno… almeno a Whaston. — Con assoluta certezza — affermava Omicron. Così ragionavano padrone e domestico. Le stesse frasi erano

pronunciate, in forma di monologo, dal dottor Hudelson, non meno disperato del suo insuccesso.

Entrambi avevano ricevuto dagli osservatori di Pittsburgh e di Cincinnati la risposta alla loro lettera: era stata presa buona nota della comunicazione relativa alla comparsa di un bolide, in data 16 marzo, nella parte settentrionale dell'orizzonte di Whaston. Si aggiungeva che, finora, era stato impossibile rintracciare quel bolide, ma che se fosse riapparso il signor Forsyth e il dottor Hudelson ne sarebbero stati subito informati.

E superfluo dire che gli osservatori avevano risposto separatamente, senza sapere che i due astronomi dilettanti si attribuivano ognuno l'onore della scoperta, rivendicandone la priorità.

Dopo l'arrivo di quella risposta, la torre di Elisabeth Street e il torrione di Moriss Street avrebbero potuto fare a meno dal proseguire le loro faticose ricerche. Gli osservatori possedevano strumenti ben più precisi e ben più possenti dei loro; se la meteora non era una massa errante, ma se seguiva un'orbita chiusa, se insomma fosse tornata nelle condizioni in cui era già stata osservata, i cannocchiali e i telescopi di Pittsburgh e di Cincinnati avrebbero saputo coglierla al suo passare. Il signor Forsyth e il signor Hudelson si sarebbero comportati saggiamente affidandosi all'esperienza degli scienziati dei due famosi osservatori.

Ma il signor Forsyth e il signor Hudelson erano degli astronomi e non dei saggi; ecco perché proseguirono con accanimento la loro opera, e con crescente entusiasmo. Senza che nulla si fossero detto delle loro preoccupazioni, avevano il presentimento di cacciare entrambi un'unica selvaggina e il timore che l'uno arrivasse prima dell'altro non lasciava loro un attimo di riposo. La gelosia mordeva il loro cuore e i rapporti delle due famiglie risentivano del loro stato d'animo.

Page 49: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

A dire il vero, c'era di che essere inquieti. Ogni giorno i loro sospetti acquistavano peso: il signor Forsyth e il dottor Hudelson, un tempo intimi amici, ora non mettevano più piede l'uno in casa dell'altro.

Quale situazione penosa per i fidanzati! Continuavano a vedersi ogni giorno, perché la porta della casa di Moriss Street non era interdetta a Francis Gordon. Il signor Hudelson gli dimostrava sempre la stessa fiducia e la stessa amicizia; ma egli sentiva che il dottore sopportava la sua presenza con visibile imbarazzo. Era ben altra cosa quando si parlava del signor Forsyth in presenza del signor Hudelson. Il dottore si faceva pallido, poi rosso; i suoi occhi lanciavano lampi, subito spenti dalle palpebre che si abbassavano; e questi spiacevoli sintomi, rivelatori di reciproca antipatia, venivano egualmente constatati nel signor Forsyth.

Invano la signora Hudelson aveva cercato di conoscere la causa di quel gelido comportamento o, per dir meglio, dell'avversione che i due vecchi amici provavano l'uno per l'altro: suo marito si era limitato a rispondere:

— Non capiresti, è inutile… ma non mi sarei mai aspettato un tale atteggiamento da parte di Forsyth!

Quale atteggiamento? Impossibile saperlo; persino Loo, la bambina viziata alla quale tutto era permesso, nulla sapeva.

Ella aveva proposto di andare a snidare il signor Forsyth nella sua torre, ma Francis l'aveva dissuasa.

— Non avrei mai creduto Hudelson capace di trattarmi in questo modo! — tale sarebbe stata indubbiamente la risposta che, come il dottore, lo zio Forsyth avrebbe data.

Ne era stata prova il modo in cui il signor Dean aveva risposto a Mitz, che si era azzardata a interrogarlo.

— Occupatevi soltanto di ciò che vi riguarda! — le aveva risposto seccamente.

Se il signor Forsyth osava parlare in questo modo alla terribile Mitz, vuol dire che la situazione era grave.

Mitz ne era rimasta estomacata, per dirla con le sue parole, e aveva aggiunto che per non rispondere a tanta insolenza aveva dovuto mordersi la lingua fino all'osso. Per ciò che concerneva il

Page 50: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

padrone, la sua opinione era drastica e non ne faceva mistero. Secondo lei, il signor Forsyth era matto, a causa, come spiegava con molta semplicità, delle scomode posizioni che era costretto a prendere per guardare nei suoi strumenti, specialmente quando certe osservazioni presso lo zenith lo costringevano a rovesciare il capo. Mitz supponeva che, a causa di quella posizione, il signor Forsyth si fosse rotto qualcosa nella colonna cerebrale.

Non c'è segreto così ben celato, tuttavia, che non trapeli. Un'indiscrezione di Omicron alla fine fece sapere di che cosa si trattasse. Il padrone aveva scoperto un bolide straordinario e temeva che la stessa scoperta fosse stata fatta dal dottor Hudelson.

Ecco qual era la causa di quella ridicola discordia! Una meteora, un bolide, un aerolito, una stella filante! una pietra, grossa se si vuole, ma sempre un semplice sasso, contro il quale correva il rischio di andare in pezzi il carro nuziale di Francis e di Jenny.

Loo non faceva complimenti, quindi, per mandare al diavolo le meteore e, con esse, tutta la meccanica celeste!

Intanto il tempo passava. Giorno dopo giorno il mese di marzo trascorse e cedette il posto al mese di aprile. Presto sarebbe sopraggiunta la data stabilita per le nozze; ma non sarebbe accaduto nulla prima di allora? Finora quella deplorevole rivalità era parsa fondata su mere supposizioni, su ipotesi; ma che cosa sarebbe accaduto se qualche avvenimento imprevisto l'avesse resa certa e ufficiale, se un urto avesse posto i due rivali l'uno contro l'altro?

Questi timori, più che giustificati, non avevano però interrotto i preparativi del matrimonio: tutto, perciò, sarebbe stato pronto per la data stabilita, persino il bellissimo abito di miss Loo.

I primi quindici giorni di aprile trascorsero in condizioni atmosferiche odiose: pioggia, vento e il cielo coperto di grosse nubi che si rincorrevano continuamente. Non si mostrarono né il sole, che descriveva allora una curva piuttosto alta sopra l'orizzonte, né la luna quasi piena, che avrebbe dovuto illuminare lo spazio, né a fortiori3 l'introvabile meteora.

La signora Hudelson, Jenny e Francis non si lagnavano affatto dell'impossibilità di fare osservazioni astronomiche. Mai Loo, che 3 A maggior ragione. (N.d.T.)

Page 51: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

detestava il vento e la pioggia, si era tanto rallegrata del cielo azzurro quanto si rallegrava ora per la persistenza del cattivo tempo.

— Speriamo che duri almeno fino al giorno delle nozze — ripeteva — e che ancora per tre settimane non si veda né il sole, né la luna e neppure la più piccola stella!

Ma le condizioni atmosferiche mutarono nella notte dal 15 al 16 aprile, con vivo dispetto di Loo. Il vento del nord disperse le nuvole e il cielo tornò perfettamente sereno.

Il signor Forsyth dalla sua torre e il dottor Hudelson dal suo torrione ripresero a frugare il firmamento, dall'orizzonte fino allo zenith.

Ripassò la meteora dinanzi ai loro cannocchiali? Non sarebbe da credere, a giudicare dal loro aspetto arcigno. Il loro pessimo umore era prova del duplice uguale scacco. E a dire il vero tale opinione sarebbe stata esatta. Il signor Hudelson non aveva visto nulla nell'immensità del cielo, e nulla aveva visto il signor Forsyth. Quella che allora avevano vista era, dunque, una meteora errante, sfuggita per sempre all'attrazione terrestre?

Una notizia apparsa nei giornali del 19 aprile diede loro un'idea precisa sull'argomento.

L'informazione, redatta dall'osservatorio di Boston, era così concepita:

«Il 17 aprile, alle nove, diciannove minuti e nove secondi della sera, un bolide di grande volume ha attraversato lo spazio nella parte occidentale del cielo, a velocità vertiginosa.

«Circostanza stranissima e tale da lusingare l'amor proprio della città di Whaston: sembrerebbe che quella meteora fosse stata scoperta lo stesso giorno e alla stessa ora, da due suoi eminenti cittadini.

«Secondo l'osservatorio di Pittsburgh, quel bolide gli sarebbe stato segnalato il 24 marzo dal signor Dean Forsyth. Secondo l'osservatorio di Cincinnati, quel bolide gli sarebbe stato segnalato, alla stessa data, dal dottor Sydney Hudelson. I signori Forsyth e Hudelson abitano entrambi a Whaston, ove sono molto favorevolmente noti».

Page 52: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 53: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO VI

NEL QUALE SI PARLA DI ALCUNE VARIAZIONI PIÙ O MENO FANTASTICHE SULLE METEORE IN GENERALE E, IN

PARTICOLARE, SUL BOLIDE DI CUI I SIGNORI FORSYTH E HUDELSON SI CONTENDONO LA SCOPERTA

SE MAI CONTINENTE può essere fiero di una delle regioni che lo compongono, come un padre lo sarebbe di un figlio, quello è proprio l'America del Nord. Se mai una repubblica può essere fiera di uno degli stati che la costituiscono, quella è proprio la repubblica degli Stati Uniti. Se mai uno dei cinquantuno stati, di cui le cinquantuno stelle appaiono sull'angolo della bandiera federale, può essere fiero di una sua metropoli, quello è proprio lo stato della Virginia, che ha per capitale Richmond. E, infine, se una città della Virginia può essere fiera dei suoi figli, quella è proprio la città di Whaston, ove era stata fatta quella clamorosa scoperta che avrebbe occupato un posto di grande prestigio negli annali astronomici del secolo.

Tale era, se non altro, il parere unanime degli abitanti di Whaston. Come sarà facile immaginare, i giornali, almeno quelli di

Whaston, pubblicarono entusiastici articoli riguardo al signor Forsyth e al signor Hudelson. La gloria di questi due illustri cittadini non si rifletteva forse su tutta la città? Quale abitante non ne aveva la sua parte? Il nome di Whaston non sarebbe rimasto indissolubilmente legato a quella scoperta?

Tra la popolazione americana, nella quale correnti di opinione nascono e si diffondono in brevissimo tempo, non tardarono a farsi sentire le conseguenze di quegli articoli ditirambici. Il lettore non sarà dunque stupito — se lo fosse, dovrebbe avere la cortesia di crederci sulla parola — se gli diciamo che a partire da quel giorno la popolazione si diresse in folla chiassosa verso le abitazioni di Moriss

Page 54: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Street e di Elisabeth Street. Nessuno sapeva della rivalità esistente tra il signor Forsyth e il signor Hudelson.

Il pubblico entusiasmo li univa in quella circostanza, ciò era fuor di dubbio. I loro nomi erano e sarebbero rimasti per tutti inseparabili sino alla consumazione dei secoli, inseparabili al punto che dopo migliaia di anni i futuri storici avrebbero forse detto che essi erano appartenuti a un solo uomo!

Nell'attesa che il tempo permettesse di verificare il fondamento di tale ipotesi, il signor Forsyth dovette apparire sulla terrazza della torre e il signor Hudelson su quella del torrione, per rispondere alle acclamazioni della folla. Mentre gli evviva si innalzavano verso di loro, essi si inchinarono entrambi per salutare con riconoscenza.

Un osservatore avrebbe constatato però che il loro atteggiamento non manifestava una gioia pura. Un'ombra passava sul loro trionfo come una nuvola sul sole. Lo sguardo obliquo del primo si volgeva verso il torrione, e quello obliquo del secondo verso la torre. Ciascuno dei due vedeva l'altro rispondere agli applausi della folla e riteneva meno armoniosi quelli che gli erano rivolti di quanto non considerasse stonati quelli che risonavano in onore del rivale.

Quegli applausi erano però identici. La folla non faceva alcuna differenza tra i due astronomi: Dean Forsyth fu applaudito quanto il dottor Hudelson, e viceversa, dai cittadini che si succedettero dinanzi alle due abitazioni.

Nel corso delle ovazioni che misero a rumore i due quartieri cittadini, che cosa si dissero Francis Gordon e Mitz da una parte, la signora Hudelson, Jenny e Loo dall'altra? Temettero che la notizia spedita ai giornali dall'osservatorio di Boston potesse avere spiacevoli conseguenze? Ciò che fin allora era rimasto segreto, ora era noto a tutti. Forsyth e Hudelson conoscevano ufficialmente la loro rivalità. C'era forse da temere che entrambi rivendicassero, se non il beneficio, almeno l'onore della scoperta? e che forse ne risultasse uno spiacevole screzio tra le due famiglie?

Ciò che la signora Hudelson e Jenny provarono, quando la folla manifestò dinanzi alla loro abitazione, si può facilmente immaginare. Se il dottore era salito sulla terrazza del torrione, esse si erano ben guardate dal mostrarsi al balcone. Con il cuore stretto, entrambe

Page 55: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

avevano guardato, celate dietro le tende, quella manifestazione che non lasciava presagire nulla di buono. Se, spinti da un'assurda gelosia, il signor Forsyth e il signor Hudelson si fossero disputati la meteora, non avrebbe finito il pubblico per prendere partito per l'uno o per l'altro? Ciascuno di loro avrebbe avuto i propri partigiani; e allora, in mezzo all'effervescenza regnante in città, quale sarebbe stata la situazione dei futuri sposi, di quel Romeo e di quella Giulietta, in una lite scientifica che avrebbe fatto delle due famiglie dei Capuleti e dei Montecchi?

Loo era furibonda. Avrebbe voluto aprire la finestra e parlare alla folla, e non mancava di manifestare il proprio dispiacere per non avere sottomano una pompa con la quale innaffiarla e annegare i suoi evviva in torrenti di acqua fredda. Madre e sorella fecero fatica a moderare l'indignazione della focosa ragazza.

Nell'abitazione di Elisabeth Street, la situazione era identica. Anche Francis Gordon avrebbe volentieri mandato al diavolo quegli entusiasti che, senza saperlo, potevano aggravare la situazione. Anche lui si era astenuto dal mostrarsi, mentre il signor Forsyth e Omicron si presentavano alla folla, esibendo dalla torre un'imbarazzante vanità.

Come la signora Hudelson aveva dovuto reprimere l'insofferenza di Loo, così Francis aveva dovuto controllare le minacciose collere di Mitz, la quale parlava di spazzare via la folla: e questa minaccia, sulla sua bocca, non faceva ridere. Lo strumento che ella maneggiava ogni giorno con tanta abilità, avrebbe indubbiamente funzionato vigorosamente nelle sue mani. Tuttavia, accogliere a colpi di scopa le persone che vengono ad applaudirvi sarebbe stato, forse, spingersi troppo innanzi!

— Ragazzo mio! — esclamò la domestica — tutta questa gente che urla è forse diventata matta?

— Sarei tentato di crederlo — rispose Francis. — Tanto chiasso per una grossa pietra che va a spasso per il cielo? — Proprio così, Mitz. — Una metà ora? — Una meteora, Mitz — rettificò Francis, soffocando a stento la

voglia di ridere.

Page 56: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— È quello che dicevo: una metà ora — ripeté Mitz con sicurezza. — Oh, se potesse cadere sulle loro teste e schiacciarne una mezza dozzina! Lo chiedo a te che sei un sapiente: a che cosa serve una metà ora?

— A creare discordia nelle famiglie — disse Francis, mentre gli evviva si facevano sempre più fragorosi.

Ma perché i due vecchi amici non potevano condividersi il loro bolide? Non c'era da sperare in alcun beneficio materiale o pecuniario; era una faccenda di onore esclusivamente platonico. Perché non lasciare indivisa, quindi, una scoperta alla quale i loro due nomi sarebbero rimasti uniti sino alla fine dei secoli? Perché? Perché si trattava di amor proprio e di vanità. E quando l'amor proprio è in giuoco, quando c'è di mezzo la vanità, chi potrebbe mai illudersi di fare ragionare due creature umane?

Ma era cosa talmente gloriosa, alla fin fine, l'avere scorto quella meteora? La sua scoperta non era dipesa unicamente dal caso? Se il bolide non si fosse compiaciuto di attraversare il campo visivo degli strumenti del signor Forsyth e del signor Hudelson nel momento in cui essi guardavano attraverso l'oculare, sarebbe stato mai visto da quei due astronomi che se ne facevano tanto merito?

Del resto, non ne passano forse giorno e notte, a centinaia e a migliaia, bolidi, asteroidi e stelle filanti? È mai possibile contare i globi di fuoco che tracciano a sciami le loro capricciose traiettorie sul fondo scuro del firmamento?

Secondo gli scienziati, sono seicento milioni le meteore che attraversano l'atmosfera terrestre in una sola notte; ossia un miliardo e duecento milioni ogni ventiquattr'ore. Sono dunque miriadi quei corpi luminosi che passano e dei quali, secondo Newton, soltanto quindici milioni al più sarebbero visibili a occhio nudo.

«Trovare un bolide in cielo, quindi» faceva rilevare il Punch, l'unico giornale di Whaston che prendesse la cosa dal lato umoristico «è un po' meno difficile che trovare un chicco di grano in un campo di frumento, così che appare fondato dire che intorno ai nostri due astronomi si fa troppo chiasso, per una scoperta a proposito della quale non c'è motivo di togliersi il cappello.»

Page 57: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ma se il Punch, giornale satirico, non trascurava l'occasione per fare dell'ironia, i suoi confratelli più seri, ben lungi dall'imitarlo, colsero l'occasione per fare mostra di una scienza tanto recentemente acquisita quanto capace di rendere gelosi i professionisti più quotati.

«Keplero» scriveva il Whaston Standard «credeva che i bolidi provenissero dalle esalazioni terrestri. Appare più verosimile che siano soltanto degli aeroliti, nei quali sono state sempre constatate tracce di violenta combustione. Al tempo di Plutarco erano già ritenuti masse minerali che precipitano sulla terra quando sono captate dall'attrazione terrestre. L'esame dei bolidi rivela che la loro sostanza non differisce da quella dei minerali da noi conosciuti e che, nel loro insieme, essi comprendono press'a poco il terzo dei corpi semplici. L'unione di tali elementi rivela, però, notevole diversità. Le particelle che li costituiscono sono, a volte, minute come limatura e a volte grosse come piselli o come nocciuole di notevole durezza; nel punto della rottura mostrano tracce di cristallizzazione. Vi sono persino bolidi costituiti soltanto di ferro allo stato naturale, talvolta misto a nichel, che l'ossidazione non ha mai alterato.»

Era esatto, a dire il vero, ciò che il Whaston Standard portava a conoscenza dei suoi lettori, mentre, nel frattempo, il Daily Whaston metteva in evidenza l'attenzione che gli scienziati antichi e moderni avevano sempre accordata allo studio dei meteoriti. Il giornale scriveva:

«Diogene di Apollonia4 non cita forse una pietra incandescente, grande come la ruota di un mulino, la cui caduta nei pressi dell' Aegos-Potamos spaventò gli abitanti della Tracia? Se un tale bolide cade sul campanile di Sant'Andrea lo demolisce da cima a fondo. Ci sia consentito, a tale riguardo, citare alcune di tali pietre che, venute dalla profondità dello spazio e entrate nel campo dell'attrazione della terra, furono raccolte sul suo suolo. Prima dell'era cristiana, la pietra del fulmine, che si adorava come simbolo di Cibele in Galizia e che fu trasportata a Roma, così come quella trovata in Siria e consacrata al culto del sole; lo scudo sacro raccolto sotto il regno di Numa; la pietra nera che si conserva preziosamente alla Mecca; la pietra del 4 Filosofo greco discepolo di Anassimene e vissuto intorno al V secolo a.C. L'Aegos-Potamos, citato subito sotto, è un fiume della Tracia. (N.d.T.)

Page 58: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

tuono che servì a fabbricare la famosa spada di Antar.5 Aeroliti caduti dagli inizi dell'era cristiana e descrizione delle circostanze che accompagnarono la loro caduta: una pietra di duecentosessanta libbre caduta a Ensisheim, in Alsazia; una pietra color nero metallico di forma e grossezza di una testa umana, caduta sul monte Vaison, in Provenza; una pietra di settantadue libbre, dalla quale si sprigionava un odore solforoso e che si sarebbe detto fatta di schiuma di mare, caduta a Larini, in Macedonia; una pietra caduta a Lucè, vicino a Chartres, nel 1763, e che scottava al punto che non fu possibile toccarla. Si dovrebbe anche citare il bolide che nel 1203 colpì la città normanna di Laigle e del quale Humboldt parla in questi termini: "All'una del pomeriggio, con un cielo purissimo, si vide un gran bolide che si moveva dal sud-est al nord-ovest. Pochi istanti dopo si udì, nel corso di cinque o sei minuti, un'esplosione che partiva da una nuvoletta nera, quasi immobile. L'esplosione fu seguita da tre o quattro detonazioni e da un rumore che si sarebbe potuto paragonare a scariche di fucileria, alle quali si fosse aggiunto il rullo di molti tamburi. Ogni detonazione staccava dalla nube nera una parte dei vapori che la formavano. Non si notò in quel punto nessun fenomeno luminoso. Più di mille meteoriti caddero su una superficie ellittica il cui asse, diretto dal sud-est al nord-ovest, misurava undici chilometri di lunghezza. Quelle pietre fumavano e scottavano, pur senza essere infiammate. Fu constatato che esse erano più facili da spezzare alcuni giorni dopo la loro caduta, che non in seguito."»

Il Daily Whaston continuava su questo tono per più colonne, prodigo di particolari che provavano, se non altro, la coscienziosità dei suoi redattori.

Gli altri giornali, del resto, non rimanevano indietro. Poiché l'astronomia era di attualità, tutti parlavano di astronomia; e se dopo ciò un solo abitante di Whaston non fosse stato un esperto in fatto di bolidi, vuol dire che doveva averci messo molta cattiva volontà.

Alle informazioni date dal Daily Whaston il Whaston News aggiungeva le sue. Evocava il ricordo di quel globo di fuoco, dal diametro doppio di quello della luna piena, che nel 1254 fu visto 5 Guerriero e poeta arabo del VI secolo, protagonista di un grande romanzo cavalleresco arabo del VII secolo, d'ignoto autore. (N.d.T.)

Page 59: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

successivamente a Hurworth, a Darlington, a Durham, a Dundee e passò senza esplodere da un orizzonte all'altro, lasciandosi dietro una lunga scia luminosa color d'oro, larga e compatta, che spiccava vivamente sull'azzurro cupo del cielo.

Il giornale ricordava poi che se il bolide di Hurworth non era esploso, era esploso invece quello che il 14 maggio 1864 era stato scorto da un osservatore di Castillon, in Francia. Benché la meteora fosse stata visibile appena cinque secondi, la sua velocità era stata tale da farle descrivere, in quel breve lasso di tempo, un arco di sei gradi. Il suo colore, inizialmente di un azzurro verdastro, era poi diventato bianco, di straordinario splendore. Tra la sua esplosione e la percezione del rumore trascorsero appena quattro minuti, forse meno: il che significa che si era allontanata di circa settanta chilometri. La violenza dello scoppio doveva essere stata, dunque, superiore a quella delle più forti esplosioni che si possono verificare alla superficie del globo. Il diametro del bolide, calcolato in rapporto alla sua altezza, era stato stimato di almeno millecinquecento piedi; la sua velocità, a più di centotrenta chilometri al secondo, infinitamente superiore, quindi, a quella della terra nel suo movimento di traslazione intorno al sole.

Poi fu la volta del Whaston Morning e poi quella del Whaston Evening. Quest'ultimo trattò in particolare dei bolidi, molto numerosi, del resto, e quasi interamente composti di ferro. Ricordò ai lettori che la massa meteorica trovata nelle pianure della Siberia non pesava meno di settecento chilogrammi; che quella scoperta in Brasile pesava seimila chili; che una terza di quattordicimila chili era stata trovata a Olimpia, nel Tucuman; che un'ultima infine, caduta nei dintorni di Duranzo, nel Messico, raggiungeva il peso enorme di diciannovemila chilogrammi!

Non è dir troppo, in verità, l'affermare che una parte della popolazione di Whaston non poté fare a meno di provare un certo spavento nel leggere quegli articoli. Per essere visibile nelle condizioni che sappiamo, a una distanza che doveva essere considerevole, occorreva che la meteora dei signori Forsyth e Hudelson avesse dimensioni forse superiori a quelle dei bolidi del Tucuman e di Duranzo. Forse le sue dimensioni eguagliavano o

Page 60: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

superavano quelle dell' aerolite di Castillon, il cui diametro era stato calcolato in millecinquecento piedi. E possibile immaginare il peso di tale massa?

Ora, se la suddetta meteora era già apparsa allo zenith di Whaston, ciò significava che Whaston era posta sotto la sua traiettoria, e che essa sarebbe ripassata sopra la città, se appena appena quella traiettoria avesse avuto la forma di un'orbita. Ebbene, se in quel momento, per una ragione qualsiasi, avesse fermato la sua corsa, la città ne sarebbe stata colpita con inimmaginabile violenza. Quella era dunque l'occasione d'insegnare a quei cittadini che la ignoravano, e di ricordare a coloro che la conoscevano, la terribile legge della forza viva: la massa moltiplicata per il quadrato della velocità, velocità che, secondo la legge ancor più spaventosa della caduta dei corpi, per un bolide che cade dall'altezza di quattrocento chilometri sarebbe stata di quasi tremila metri al secondo, nel momento in cui si fosse schiacciato sulla superficie della terra.

La stampa cittadina non venne meno a questo suo dovere e mai i quotidiani fecero tale baldoria di formule matematiche.

A poco a poco una certa apprensione cominciò a diffondersi in città. Il pericoloso e minaccioso bolide diventò l'argomento di ogni conversazione, in casa e fuori. La popolazione femminile non vedeva che chiese schiacciate e case annientate; gli uomini invece ritenevano più elegante fare spallucce, ma lo facevano senza convinzione. Notte e giorno, sia sulla piazza della Costituzione sia nei quartieri più elevati della città, gruppetti di persone sostavano in permanenza. Il tempo coperto non faceva cambiare idea agli osservatori; mai gli ottici avevano venduto tanti cannocchiali, occhialetti e altri strumenti ottici. Mai il cielo era stato tanto guardato dagli occhi inquieti della popolazione cittadina. Che la meteora fosse visibile o meno, il pericolo era costante, di tutte le ore, per non dire di tutti i minuti e di tutti i secondi.

Ma, si dirà: quel pericolo minacciava egualmente varie regioni e, con esse, città, borgate, villaggi e casali posti sotto la traiettoria del bolide. Certamente. Se il bolide faceva, com'era logico supporre, il giro del globo, tutti i punti della terra posti al disotto della sua orbita erano minacciati dalla sua caduta. Tuttavia, era Whaston che

Page 61: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

deteneva il record della paura, se si vuole accogliere questa espressione ultramoderna; e ciò per il solo motivo che il bolide era stato avvistato a Whaston.

Un giornale però resistette al contagio e si rifiutò, sino alla fine, di prendere le cose sul serio; e non fu tenero con i signori Forsyth e Hudelson, che rendeva garbatamente responsabili del pericolo dal quale la città era minacciata.

«Di che cosa si sono impicciati questi dilettanti?» diceva il Punch. «Che bisogno avevano di fare il solletico allo spazio con i loro cannocchiali e i loro telescopi? Non potevano lasciare tranquillo il firmamento e fare a meno di andare a stuzzicare le stelle? Non ci sono abbastanza scienziati veri, per occuparsi di ciò che non li riguarda e per intrufolarsi senza discrezione nelle zone interstellari? I corpi celesti sono pudichi e non amano essere guardati troppo da vicino.

«La nostra città è minacciata, è vero, e ora nessuno può sentirsi al sicuro; ma a questa situazione non c'è rimedio. Ci si assicura contro l'incendio, la grandine, i cicloni… Andate un po' ad assicurarvi contro la caduta di un bolide, forse dieci volte più grande della fortezza di Whaston! E se dovesse scoppiare nel cadere, cosa che capita spesso agli ordigni del genere, tutta la città sarà bombardata e forse incendiata, se i proiettili saranno incandescenti! In ogni caso, la distruzione della nostra città è certa, non dobbiamo nasconderlo! Si salvi chi può, dunque! Si salvi chi può!… Ma perché i signori Forsyth e Hudelson non sono rimasti tranquillamente al pianterreno della loro abitazione, invece di spiare le meteore? Sono stati loro a provocarle a causa della loro indiscrezione, attirandole con i loro colpevoli intrighi. Se Whaston sarà distrutta, se essa sarà schiacciata o incendiata dal bolide, sarà per loro colpa, perché loro ne saranno i responsabili! Noi chiediamo in verità a tutti i lettori imparziali, e cioè a tutti gli abbonati del Whaston Punch, a che cosa servono gli astronomi, gli astrologi, i meteorologi e gli altri animali del genere? Quale bene è mai risultato dal loro lavoro? Porre la domanda è anche rispondervi; e, per ciò che ci riguarda, noi persistiamo più che mai nelle nostre ben note convinzioni, perfettamente espresse in questa frase sublime, dovuta al genio di un francese: l'illustre Brillat-

Page 62: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Savarin:6 "La scoperta di una nuova pietanza conta più per la felicità del genere umano della scoperta di una stella!" In quale modestissima considerazione Brillat-Savarin non avrebbe dunque tenuto i due malfattori che non hanno avuto paura di attirare sul loro paese le peggiori catastrofi, per il piacere di scoprire un semplice bolide?»

6 Famoso gastronomo francese (1755-1826) autore della Fisiologia del Gusto. (N.d.T.)

Page 63: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO VII

NEL QUALE SI VEDRÀ LA SIGNORA HUDELSON ASSAI ADDOLORATA PER L'ATTEGGIAMENTO DEL DOTTORE E LA

BUONA MITZ STRAPAZZARE BEN BENE IL PADRONE

CHE COSA risposero il signor Forsyth e il dottor Hudelson alle facezie del Whaston Punch? Nulla, per la buona ragione che ignorarono l'articolo dell'irriguardoso giornale. Ignorare le cose spiacevoli che si possono dire di noi è ancora il mezzo più sicuro per non soffrirne, avrebbe detto il signor de la Palisse,7 con incontestabile saggezza. Tuttavia, quelle facezie più o meno spiritose sono poco accette da coloro che ne sono il bersaglio; e se in questa circostanza essi non ne ebbero conoscenza, non fu la stessa cosa per parenti e amici. Mitz, in particolare, era furibonda. Com'era possibile accusare il padrone di aver attirato il bolide che minacciava la sicurezza di tutti? A sentir lei, il signor Forsyth avrebbe dovuto chiamare in giudizio l'autore dell'articolo: il giudice Proth avrebbe provveduto a condannarlo per danni e interessi, per non parlare della prigione più che meritata per le sue calunniose insinuazioni.

Loo, da parte sua, prese la cosa sul serio e senza alcuna esitazione diede ragione al Whaston Punch.

— Ha ragione — diceva. — Perché il signor Forsyth e papà si sono messi in capo di scoprire quel maledetto ciottolo? Senza di loro,

7 Jacques de Chabannes, signore de La Palisse (1470?-1525) capitano dell'esercito francese, fu ucciso nel corso della battaglia di Pavia. I seguenti versi, che fanno parte di una canzone composta probabilmente dai suoi soldati: Monsieur de la Palisse est mort, / Mort devant Pavie; / Un quart d'heure avant sa mort, / Il était encore en vie, volevano ingenuamente significare che egli aveva combattuto fino agli ultimi istanti della sua vita. Sono rimasti celebri per dare rilievo a una verità sin troppo evidente, detta comunemente lapalissiana. (N.d.T.)

Page 64: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

sarebbe passato inosservato, come tanti altri che non ci hanno fatto mai male.

Il male, o meglio il malanno al quale pensava la ragazza, era l'inevitabile rivalità che stava per nascere tra lo zio di Francis e il padre di Jenny, con relative conseguenze, alla vigilia di una unione che avrebbe stretto maggiormente i legami che univano le due famiglie.

I timori di miss Loo erano fondati e ciò che doveva accadere, accadde. Finché il signor Forsyth e il dottor Hudelson non avevano avuto che reciproci sospetti, non era avvenuto alcun urto. Se i loro rapporti si erano raffreddati, se avevano evitato d'incontrarsi, le cose però non erano andate più in là. Ora però, dopo la notizia data dall'osservatorio di Boston, era pubblicamente stabilito che la scoperta della stessa meteora era dovuta ai due astronomi di Whaston. Che cosa avrebbero fatto? Avrebbero entrambi rivendicato la priorità della scoperta? Ci sarebbero state, al riguardo, discussioni a quattr'occhi oppure clamorose polemiche, alle quali la stampa cittadina avrebbe certamente dato compiacente ospitalità?

Soltanto l'avvenire avrebbe dato risposta a quelle domande. Era certo, comunque, che né il signor Forsyth né il dottor Hudelson facevano più allusione al matrimonio, la cui data, per l'impazienza dei fidanzati, si avvicinava con troppa lentezza. Quando se ne parlava dinanzi all'uno o dinanzi all'altro, essi avevano sempre dimenticato qualcosa che richiedeva la loro immediata presenza nel proprio osservatorio. Era là, peraltro, che trascorrevano la maggior parte del loro tempo, ogni giorno sempre più preoccupati e taciturni.

Infine, se la meteora era stata rivista dagli astronomi ufficiali, mentre il signor Forsyth e il dottor Hudelson non riuscivano più a rintracciarla, che cosa bisognava pensare? Si era forse allontanata a troppo grande distanza per la portata dei loro strumenti? Ipotesi plausibile, ma che nulla permetteva di verificare. Per tale motivo, essi non si dipartivano da un'incessante sorveglianza, di giorno e di notte, approfittando delle schiarite del cielo, a costo di finire per ammalarsi.

Si esaurivano entrambi in inutili sforzi nell'intento di calcolare gli elementi dell'asteroide, del quale ciascuno si ostinava a considerarsi

Page 65: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

il solo scopritore. Era, quella, l'unica probabilità per risolvere la loro controversia: tra i due astronomi ex aequo, il matematico che più si dava da fare poteva ancora riportare la palma della vittoria.

Ma l'unica osservazione del bolide era stata di troppo breve durata per dare alle loro formule una base sicura. Prima di poter determinare con certezza l'orbita del bolide sarebbe stata necessaria un'altra osservazione; forse parecchie altre. Ecco perché il signor Forsyth e il dottor Hudelson, ciascuno temendo di essere anticipato dal rivale, sorvegliavano il cielo con eguale sterile zelo. La capricciosa meteora non riappariva sull'orizzonte di Whaston o vi riappariva di nascosto.

L'umore dei due astronomi risentiva della inutilità dei loro sforzi; non era possibile avvicinarli. Venti volte al giorno il signor Forsyth si arrabbiava contro Omicron, il quale non mancava di rispondergli senza peli sulla lingua. Il dottore, invece, poco mancava che non fosse costretto a sfogare la rabbia su se stesso.

In tale stato d'animo, chi mai avrebbe avuto il coraggio di parlare di contratto di matrimonio e di cerimonia nuziale?

Tre giorni erano intanto trascorsi dalla pubblicazione della notizia mandata ai giornali dall'osservatorio di Boston; l'orologio celeste, del quale il sole è la sfera, avrebbe sonato il 22 aprile se il Grande Orologiaio avesse pensato di munirlo di soneria. Ancora una ventina di giorni e la grande data sarebbe scoccata a sua volta, anche se Loo pretendeva, nella sua impazienza, che essa non esistesse nel calendario.

Occorreva ricordare allo zio di Francis e al padre di Jenny quel matrimonio, del quale essi non parlavano più come se non fosse dovuto mai farsi? La signora Hudelson fu del parere di non farne parola al marito. Egli non aveva motivo di occuparsi dei preparativi delle nozze, più di quanto non si occupasse delle faccende di casa. Il giorno stabilito, la signora Hudelson gli avrebbe detto semplicemente:

— Ecco il vestito, il cappello e i guanti: è ora di andare a Sant'Andrea; su, dammi il braccio e andiamo.

Ed egli sarebbe certamente andato senza neppure rendersene conto, a condizione però che la meteora non fosse passata in quel momento dinanzi all'obiettivo del suo telescopio.

Page 66: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ma se il parere della signora Hudelson prevalse nell'abitazione di Moriss Street, e il dottore non fu costretto a spiegare il suo atteggiamento nei confronti del signor Forsyth, quest'ultimo fu però aspramente investito. Mitz non volle ascoltare ragioni; furibonda contro il padrone, ella voleva parlargli, diceva, fra quattro occhi e mettere in chiaro quella situazione che appariva talmente tesa da far temere, al minimo incidente, una rottura tra le due famiglie. Con quali conseguenze? Matrimonio rimandato e forse rotto, disperazione dei due fidanzati, specialmente del caro Francis, il suo «ragazzo», com'era solita chiamarlo, secondo una tenera consuetudine familiare. Che avrebbe fatto il povero giovane se lo scandalo pubblico avesse reso impossibile ogni riconciliazione?

Nel pomeriggio del 22 aprile, trovandosi sola con il signor Forsyth in sala da pranzo, fra quattro occhi, secondo il suo desiderio, ella lo fermò nel momento in cui si avviava verso la scala della torre.

Sappiamo che il signor Forsyth non amava affatto le spiegazioni con Mitz: sapeva perfettamente che di solito esse non finivano a suo vantaggio e riteneva quindi meglio evitare di affrontarle.

Anche questa volta, dopo aver guardato di sottecchi il viso di Mitz — che dava l'impressione di una bomba con la miccia accesa, pronta a scoppiare — il signor Forsyth, volendo mettersi al riparo dell'esplosione, batté in ritirata in direzione della porta. Ma prima che avesse avuto il tempo di girare la maniglia, Mitz gli aveva sbarrato il passo e fissava con occhi di fuoco il padrone, che ne rifuggiva terrorizzato lo sguardo.

— Debbo parlarvi — gli disse. — Mi dispiace, ma non ho tempo. — Nemmeno io; debbo sparecchiare e lavare i piatti. I vostri tubi

e i miei piatti possono aspettare. — E Omicron? Credo che mi stia chiamando. — Bel tipo anche lui! Un giorno o l'altro, anche il vostro amico

avrà mie notizie: potete dirglielo! A buon tintore poche parole. — Glielo dirò. E il mio bolide? — Non so che cosa sia, ma non dev'essere una bella cosa, visto

che da un po' di tempo vi ha messo una pietra al posto del cuore.

Page 67: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Un bolide — spiegò con pazienza il signor Forsyth — è una meteora e…

— Ho capito! è la famosa metà ora… Farà come Ami Krone, aspetterà anche lei!

— Questo poi! — esclamò il signor Forsyth, toccato nel punto debole.

— Del resto, il tempo è coperto e sta per piovere; non è il momento di divertirvi a guardare la luna.

Era vero: il persistere del cattivo tempo non faceva che giustificare il pessimo umore dei due astronomi. Da quarantotto ore il cielo era coperto da spesse nuvole; durante il giorno non si vedeva raggio di sole e, alla notte, non brillava alcuna stella. Bianchi vapori si accavallavano da un orizzonte all'altro, come un velo di crespo che a volte la punta del campanile di Sant'Andrea riusciva a sfilacciare. In quelle condizioni non era possibile osservare lo spazio per rintracciare il disputato bolide. Bisognava anche ritenere probabile che le condizioni atmosferiche non favorissero neppure gli astronomi dello stato dell'Ohio e dello stato di Pennsylvania, né quelli degli altri osservatori del vecchio e del nuovo continente. Nessun'altra notizia era infatti apparsa sui giornali, concernente l'apparizione della meteora. È pur vero che la meteora non presentava tale interesse da mettere in agitazione il mondo scientifico. Si trattava, in fin dei conti, di un banale fatto cosmico; bisognava essere un Dean Forsyth o un Hudelson per spiarne il ritorno con tanta rabbiosa impazienza.

Quando ebbe accertato che il signor Forsyth non aveva la possibilità di sfuggirle, Mitz incrociò le braccia e cominciò a dire:

— Signor Forsyth, avreste dimenticato, per caso, che avete un nipote?

— No — rispose il signor Forsyth, dondolando il capo con bonomia. — Non l'ho dimenticato; come sta il caro Francis?

— Benissimo, grazie. — Credo di non averlo visto da qualche tempo. — Infatti, è dall'ora di colazione che non lo vedete. — Davvero? — Avete dunque gli occhi nella luna? — chiese Mitz,

costringendo il padrone a voltarsi verso di lei.

Page 68: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ma no… sai, sono un po' preoccupato… — Tanto preoccupato da farmi temere che abbiate dimenticato

una cosa importante. — Una cosa importante? Quale? — Che vostro nipote sta per sposarsi! — Sposarsi! — Spero che non mi chiederete chi sarà la sposa. — No, Mitz. Ma a che cosa tendono queste tue domande? — Siete furbo! Non occorre essere un mago per sapere che le

domande si fanno per ottenere una risposta. — A quale scopo? — A proposito della vostra condotta nei riguardi della famiglia

Hudelson. Non ignorerete certamente che esiste una famiglia Hudelson, un dottor Fludelson che abita in Moriss Street, una signora Hudelson che è madre di miss Loo e di miss Jenny, fidanzata di vostro nipote.

A mano a mano che il nome di Hudelson usciva dalla bocca di Mitz con sempre maggior forza, il signor Forsyth si portava la mano al petto, al fianco, al capo, come se quel nome lo avesse colpito a bruciapelo, come un proiettile. Pareva che soffrisse, che soffocasse, che il sangue gli salisse al capo.

Poiché non rispondeva, Mitz insistette: — Ebbene, avete capito? — Sì, ho capito! — esclamò il padrone. — Ebbene? che cosa rispondete? — disse Mitz alzando la voce. — Dunque Francis pensa ancora a quel matrimonio? — disse alla

fine il signor Forsyth. — Altro che! — disse Mitz. — Ci pensa come all'aria che respira,

poverino! come ci pensiamo tutti, come ci pensate anche voi, voglio sperare!

— Dunque mio nipote è sempre deciso a sposare la figlia di quel dottor Hudelson?

— Si chiama miss Jenny, se non vi dispiace! Altro che deciso! Dovrebbe aver perduto la bussola per non esserlo più. Dove troverebbe una fidanzata più bella, una giovinetta più affascinante?

Page 69: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ammettiamo — la interruppe il signor Forsyth — che la figlia dell'uomo che… dell'uomo che… dell'uomo di cui non posso pronunciare il nome senza sentirmi soffocare, possa essere affascinante.

— Questa è grossa! — esclamò Mitz slacciandosi il grembiule come se volesse darglielo.

— Su, Mitz, vediamo… — mormorò il padrone inquieto per l'atteggiamento minaccioso della domestica.

La domestica brandì il grembiule, i cui nastri pendevano fino a terra.

— Non c'è altro da vedere — disse. — Dopo cinquant'anni di servizio, preferisco andare a marcire in un cantuccio come un cane rognoso, piuttosto che restare in casa di un uomo che strappa il proprio sangue. Io sono una povera serva, ma ho un cuore… io!

— Mitz, non sai dunque che cosa mi ha fatto quell'Hudelson? — rispose il signor Forsyth, punto sul vivo.

— Che cosa vi ha fatto? — Mi ha derubato! — Derubato? — Sì, vergognosamente derubato! — Che cosa vi ha portato via? l'orologio? il portafoglio? il

fazzoletto? — Il mio bolide! — Ancora la faccenda della metà ora! — esclamò Mitz,

sogghignando nel modo più ironico e più spiacevole per il signor Forsyth. — Era un pezzo che non se ne parlava. Ma è mai possibile ridursi in queste condizioni per una pietra che va a spasso? Questa metà ora apparteneva più a voi che al signor Hudelson? Ci avevate scritto sopra il vostro nome? Non appartiene forse a tutti, anche a me e anche al mio cane, se ne avessi uno… ma, grazie al cielo, non ne ho! L'avete forse comprata con i vostri soldi, oppure l'avete avuta in eredità?

— Mitz! — gridò il signor Forsyth, non riuscendo più a controllarsi.

— Niente Mitz! — disse la domestica, la cui esasperazione era al colmo. — Diamine, bisogna essere stupidi come Saturno per litigare

Page 70: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

con un vecchio amico a causa di uno sporco ciottolo che nessuno vedrà più.

— Taci! — protestò l'astronomo, colpito al cuore. — Non starò zitta, neppure se chiamerete in aiuto quel vostro

bestia di Ami Krone… — Bestia di Omicron! — Sì, bestia; non mi farà stare zitta… neppure il nostro Presidente

potrebbe imporre il silenzio all'arcangelo Gabriele, se venisse da parte dell'Onnipotente ad annunciare la fine del mondo!

Rimase il signor Forsyth completamente sconcertato nell'udire quella terribile frase? la sua laringe si era forse ristretta al punto da impedirgli di parlare? la sua trachea era rimasta paralizzata al punto da non poter emettere suoni? È certo comunque che non riuscì a rispondere. Anche se, al colmo della collera, avesse voluto mettere alla porta la fedele ma scontrosa Mitz, gli sarebbe stato impossibile pronunciare il tradizionale: «Uscite!… Uscite subito e fate che non vi riveda mai più!».

Mitz del resto non gli avrebbe obbedito. Non è certamente dopo cinquant’anni di servizio che una domestica si separa dal padrone che ha visto venire al mondo, a motivo di una sciagurata meteora!

Era tempo però che quella scenata avesse termine: comprendendo che non avrebbe mai avuto il sopravvento, il signor Forsyth cominciò a battere in ritirata senza che la mossa sembrasse proprio una fuga.

Fu il sole ad andargli in aiuto: il tempo si schiarì di colpo e un raggio di sole penetrò attraverso i vetri della finestra che dava sul giardino.

In quel momento il dottor Hudelson era senza dubbio sul suo torrione, ecco ciò che pensò subito il signor Forsyth. Vedeva il rivale approfittare della schiarita per mettere l'occhio all'oculare del telescopio e percorrere le alte zone dello spazio.

Non riuscì a contenersi; quel raggio di sole fu per lui come un pallone gonfio di gas: più si gonfiava, più cresceva la forza ascensionale che l'obbligava a sollevarsi nell'atmosfera.

Gettò lontano da sé come fosse zavorra - e ciò per completare il paragone — la collera ammucchiatasi nel suo animo e si diresse verso la porta.

Page 71: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Mitz vi era davanti, purtroppo, e non sembrava disposta a lasciarlo passare; sarebbe stato costretto a prenderla per il braccio? a ingaggiare una lotta con lei? a ricorrere all'aiuto di Omicron?

Non fu necessario giungere a tanto; la buona domestica era indubbiamente sfinita per lo sforzo già fatto; benché avesse l'abitudine di sgridare il padrone, non lo aveva mai fatto, in passato, con tanto impeto.

Fosse a causa dello sforzo fisico richiesto dalla violenza, oppure a causa della importanza dell'argomento della conversazione — argomento del più palpitante interesse, dal momento che si trattava della futura felicità del suo caro «ragazzo» — il fatto è che Mitz si sentì all'improvviso venir meno e si accasciò pesantemente su una sedia.

Bisogna dire, a sua lode, che il signor Forsyth abbandonò sole, cielo azzurro e meteora per accostarsi alla domestica e chiederle premurosamente che cosa si sentisse.

— Non so — rispose Mitz. — Mi sembra di avere lo stomaco rivoltato.

— Rivoltato? — ripeté il signor Forsyth, sbalordito da quella strana malattia.

— Sì — confermò Mitz con voce lamentosa. — E come se avessi un nodo al cuore.

— Uhm! — fece il signor Forsyth, sempre più perplesso per questa seconda spiegazione.

A ogni buon fine, egli stava per prestare all'ammalata le cure più comuni in simili circostanze: slacciatura del corsetto, aceto sulla fronte e sulle tempie, acqua zuccherata.

Ma non ne ebbe il tempo. La voce di Omicron risonò dall'alto della torre: — Il bolide! — gridava Omicron. — Il bolide! Il signor Forsyth dimenticò il resto dell'universo e si precipitò su

per le scale. Ma non era ancora sparito quando Mitz, ritrovate le forze, gli

corse dietro a precipizio; e mentre montava a tre per volta i gradini a spirale, la voce della domestica lo inseguiva, vendicatrice:

Page 72: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ricordatevi, signor Forsyth — diceva Mitz — che il matrimonio di Francis e di Jenny si farà alla data stabilita. Si farà a costo di perderci il mio latino! — Nella bocca della buona domestica, quell'alternativa non mancava di particolare sapore.

Il signor Forsyth non udì e non rispose: saliva a precipizio la scaletta della torre.

Page 73: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO VIII

NEL QUALE LE POLEMICHE DELLA STAMPA PEGGIORANO LA SITUAZIONE E CHE SI CONCLUDE CON UNA CONSTATAZIONE

TANTO CERTA QUANTO INATTESA

— E PROPRIO il nostro bolide, Omicron! — esclamò il signor Forsyth, non appena messo l'occhio all'oculare del telescopio.

— Ne sono sicuro — dichiarò Omicron; e aggiunse: — Voglia il cielo che il dottor Hudelson non sia in questo momento sul suo torrione!

— E se c'è, che non possa rintracciare il bolide! — Il nostro bolide — precisò Omicron. — Il mio bolide! — rettificò Dean Forsyth. Entrambi si sbagliavano: il cannocchiale del dottor Hudelson era

puntato in quel momento verso il sud-est, zona del cielo percorsa allora dalla meteora. Lo strumento l'aveva afferrata nell'attimo della sua apparizione e, così come la torre, il torrione non la perdette di vista fino al momento della sua scomparsa nelle brume meridionali.

Del resto, gli astronomi di Whaston non furono i soli a segnalare il bolide; lo scorsero anche l'osservatorio di Pittsburgh e quello di Boston.

Il ritorno della meteora costituiva un fatto di altissimo interesse, ammesso che la meteora offrisse per se stessa un qualsiasi interesse. Poiché rimaneva in vista del mondo sublunare, voleva dire che essa seguiva un'orbita chiusa. Non era una stella filante che sparisce dopo aver sfiorato i bassi strati atmosferici, o un asteroide che si mostra una volta e poi si perde nello spazio, oppure un aerolito la cui caduta non tarda a seguire la sua apparizione. No, la meteora tornava, girava intorno alla terra come un satellite; meritava dunque che ci si occupasse di lei: ecco perché bisognava scusare l'accanimento con cui il signor Forsyth e il dottor Hudelson se la disputavano.

Page 74: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Poiché la meteora obbediva a leggi costanti, nulla si opponeva al calcolo dei suoi elementi. Lo si faceva un po' dappertutto, ma da nessuna parte con la stessa alacrità impiegata a Whaston. Tuttavia sarebbero state necessarie molte osservazioni per la risoluzione del problema.

Il primo punto fu determinato quarantotto ore dopo da alcuni matematici che non si chiamavano né Forsyth né Hudelson, e riguardava la traiettoria del bolide.

Quella traiettoria si sviluppava rigorosamente da nord a sud; la lieve deviazione di 3° 31', segnalata dal signor Forsyth nella sua lettera all'osservatorio di Pittsburgh, era soltanto apparente e risultava dalla rotazione della terra.

Quattrocento chilometri separavano il bolide dalla superficie del nostro pianeta; la sua velocità non era inferiore ai 6967 metri al secondo. Esso effettuava, quindi, la sua rivoluzione intorno al globo in un'ora, quarantuno minuti, quarantuno secondi e novantatré centesimi di secondo; dal che si poteva concludere, secondo gli addetti ai lavori, che non sarebbe più ripassata allo zenith di Whaston prima che fossero trascorsi centoquattro anni, centosettantasei giorni e ventidue ore.

Felice constatazione, tale da tranquillizzare gli abitanti della città che temevano la caduta dell'asteroide! Se fosse caduto, non sarebbe stato certamente sul loro capo.

«Ma esiste l'eventualità che esso cada?» si chiedeva il Whaston Morning. «Non è possibile che incontri qualche ostacolo sul suo cammino, oppure che possa essere fermato nel suo movimento di traslazione?»

Ciò era evidente. «Certamente» fece rilevare il Whaston Evening «vi sono asteroidi

che sono caduti e che ancora cadono; ma si tratta in genere di asteroidi di piccole dimensioni, che vagano nello spazio e che cadono soltanto quando l'attrazione terrestre li capta al loro passare.»

La spiegazione era esatta, ma non sembrava che potesse applicarsi al bolide in questione, il quale girava con regolarità e la cui caduta non sembrava doversi temere più di quella della luna.

Page 75: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ciò stabilito, rimanevano ancora altre cose da chiarire, prima di ritenersi completamente informati sul conto di quell'asteroide, diventato un secondo satellite della terra.

Qual era il suo volume? Quali erano la sua natura e la sua massa? Alla prima domanda rispose il Whaston Standard in questi

termini: «Dall'altezza e dalle dimensioni del bolide, si presume che il suo

diametro debba essere di oltre cinquecento metri: tale è almeno ciò che le osservazioni hanno permesso di stabilire finora. Non è stato possibile però determinare la sua natura. Ciò che lo rende visibile, sempre che si disponga di strumenti abbastanza potenti, è il suo vivissimo splendore, dovuto verosimilmente allo sfregamento con l'atmosfera, anche se la densità dell'aria sia debolissima a quell'altezza. Bisogna poi chiedersi: questa meteora è costituita da un ammasso di materie gassose? oppure è composta da un nocciolo solido circondato da chioma luminosa? Quali sono, in tal caso, la grossezza e la natura del nocciolo? Questo è ciò che non si sa e che forse non si saprà mai.

«Tutto sommato, né come volume né come velocità di traslazione, questo bolide non ha nulla di straordinario. La sua particolarità consiste nel fatto che descrive un'orbita chiusa. Da quanto tempo gira intorno alla terra? Gli astronomi non saprebbero dircelo perché mai l'avrebbero osservato con i loro telescopi ufficiali senza la segnalazione fattane dai nostri due compatrioti, ai quali era riservata la gloria della magnifica scoperta».

In tutto ciò, come faceva giudiziosamente notare il Whaston Standard, non c'era nulla di straordinario, se non l'eloquenza del suo redattore; il mondo scientifico non si occupò, quindi, se non nella solita misura, di ciò che appassionava quel giornale, mentre il mondo ignorante vi prendeva poco interesse.

Soltanto gli abitanti di Whaston cercarono di conoscere tutto ciò che concerneva la meteora, la cui scoperta era dovuta a due stimate persone della città.

Del resto, come ogni altra creatura del nostro pianeta, anch'essi avrebbero forse finito per pensare con indifferenza a quell'incidente cosmico, che il Punch continuava a chiamare comico, se i giornali,

Page 76: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

con allusioni sempre più chiare, non avessero fatto conoscere la rivalità esistente tra i due astronomi dilettanti; e ciò, ovviamente, diede alimento alle chiacchiere. Tutti colsero subito l'occasione per litigare e la città, un po' per volta, per dividersi in due campi.

La data del matrimonio intanto si avvicinava; la signora Hudelson, Jenny e Loo da una parte, Francis e Mitz dall'altra, vivevano in una crescente inquietudine. Temevano continuamente che l'incontro dei due rivali provocasse un'esplosione, così come l'incontro di due nuvole cariche di opposte energie fa sprizzare la scintilla e scoppiare la folgore. Si sapeva che la collera del signor Forsyth non si placava e che la rabbia del signor Hudelson cercava l'occasione per esplodere.

Il cielo era generalmente bello, l'atmosfera pura e gli orizzonti di Whaston sgombri. I due astronomi potevano dunque moltiplicare le loro osservazioni. Le occasioni non mancavano loro, dal momento che il bolide riappariva più di quattordici volte ogni ventiquattr'ore, ed essi ora conoscevano, grazie alla segnalazione degli osservatori, il punto esatto verso il quale, a ogni passaggio, puntare l'obiettivo.

La comodità di quelle osservazioni era indubbiamente disuguale, come disuguale era l'altezza del bolide al disopra dell'orizzonte. Ma i passaggi della meteora erano così numerosi da far si che quell'inconveniente perdesse gran parte della sua importanza. Se non tornava più allo zenith matematico di Whaston, dove per un caso miracoloso era stata vista per la prima volta, essa lo sfiorava ogni giorno così da vicino da essere praticamente la stessa cosa.

I due appassionati astronomi dilettanti potevano, infatti, inebriarsi liberamente nella contemplazione della meteora che solcava lo spazio sul loro capo, splendidamente ornata di una brillante aureola.

La divoravano con lo sguardo, l'accarezzavano con gli occhi; ognuno dei due la chiamava con il proprio nome: il bolide Forsyth, il bolide Hudelson. Era loro figlio, carne della loro carne; apparteneva loro come il figlio appartiene ai genitori, o meglio, come la creatura appartiene al suo creatore. La sua vista non mancava mai di metterli in agitazione; le loro osservazioni, le ipotesi dedotte dal suo cammino e dalla sua forma apparente essi le riferivano

Page 77: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

rispettivamente all'osservatorio di Cincinnati e a quello di Pittsburgh, senza mai dimenticare di rivendicare la priorità della scoperta.

Ben presto però la lotta pacifica non soddisfece più la loro animosità.

Non contenti di avere rotto le relazioni diplomatiche, cessando ogni rapporto personale, ebbero bisogno della guerra ufficialmente dichiarata e dello scontro.

Un giorno il Whaston Standard pubblicò una nota abbastanza aggressiva contro il dottor Hudelson: quella nota fu attribuita al signor Forsyth. Essa diceva che certe persone hanno occhi buoni solo quando si tratta di guardare attraverso i cannocchiali di altri, per vedere con troppa facilità ciò che è stato già visto.

In risposta a quella nota, il giorno dopo il Whaston Evening scrisse che, in fatto di cannocchiali, ve ne sono indubbiamente di quelli mal ripuliti e il cui obiettivo è cosparso di macchioline che non è da gente avveduta scambiare per meteore.

Nel contempo il Punch pubblicava la rassomigliantissima caricatura dei due rivali che, provvisti di ali gigantesche, lottavano in velocità per giungere primi ad acchiappare il bolide, rappresentato dalla testa di una zebra che mostrava loro la lingua.

In seguito a quegli articoli e a quelle allusioni vessatorie, lo screzio dei due avversari continuò ad aggravarsi di giorno in giorno, ma nessuno dei due aveva ancora avuto l'occasione d'intervenire nella faccenda del matrimonio. Se non ne parlavano, lasciavano però andare le cose e nulla faceva ritenere che Francis e Jenny non dovessero unirsi alla data stabilita

Con un aureo laccio

Che finisce soltanto con la morte, come dice una vecchia canzone bretone. Non ci fu alcun incidente durante gli ultimi giorni di aprile;

tuttavia, se la situazione non si aggravò, non ebbe però alcun miglioramento. In casa Hudelson non si faceva alcuna allusione alla meteora durante i pasti; miss Loo taceva per obbedire agli ordini materni, soffocando la stizza per non poter dire ciò che di essa

Page 78: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

pensava. Bastava vederla tagliare la cotoletta per capire che pensava al bolide e che avrebbe voluto ridurlo a pezzettini così piccoli da non poterne più ritrovare la traccia. Da parte sua, Jenny non cercava di dissimulare la propria tristezza, della quale il dottore pareva non volersi accorgere, e forse non se ne accorgeva davvero, assorto com'era nelle sue preoccupazioni astronomiche.

E superfluo dire che Francis non prendeva parte a quei pasti; faceva ogni giorno la sua visita, quando era sicuro che il dottore fosse tornato al suo torrione.

Nella casa di Elisabeth Street i pasti non erano più allegri; il signor Forsyth non apriva bocca; quando si rivolgeva a Mitz, ella rispondeva con un sì o con un no asciutti, come era allora il tempo.

Una sola volta - il 28 aprile - il signor Forsyth, al momento di alzarsi da tavola, dopo la colazione, disse al nipote:

— Vai sempre dagli Hudelson? — Certamente, zio — rispose Francis con voce ferma. — Perché non dovrebbe andarvi? — chiese Mitz con voce aspra. — Non ho chiesto a te, Mitz! — brontolò il signor Forsyth. — Ma son io che vi rispondo; il cane può ben parlare al vescovo!

Il signor Forsyth alzò le spalle e si volse verso Francis. — Vi rispondo anch'io, zio: ci vado ogni giorno — disse Francis. — Dopo ciò che il dottore mi ha fatto! — esclamò l'astronomo. — Che cosa vi ha fatto? — Si è permesso di scoprire… — Ciò che avete scoperto anche voi, ciò che tutti avevano il

diritto di scoprire. Infine, di che si tratta? Di un bolide: uno dei tanti che passano in vista di Whaston.

— Non sprecare il tuo tempo, ragazzo mio — disse Mitz con un sogghigno. — Non vedi che tuo zio è tutto stordito dal suo ciottolo, che non vale certamente più del paracarro che è all'angolo della nostra casa?

Così si espresse Mitz nel suo linguaggio particolare. Quelle parole esasperarono il signor Forsyth, il quale non riuscendo più a frenarsi esclamò:

— Francis, ti proibisco di rimettere piede in casa del dottore!

Page 79: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Mi dispiace, zio — rispose Francis, indignato da quella pretesa e cercando di conservare la propria calma — ma io ci andrò!

— Ci andrà certamente — disse Mitz — anche se doveste farci a pezzi! Il signor Forsyth non si degnò di rispondere a Mitz.

— Persisti dunque nei tuoi progetti? — chiese al nipote. — Sì, zio. — Intendi sempre sposare la figlia di quel ladro? — Nulla al mondo me lo impedirà! — Lo vedremo! Dopo quelle parole che rivelavano la decisione di opporsi al

matrimonio, il signor Forsyth lasciò la sala, chiuse la porta con fracasso e montò sulla torre.

Che Francis fosse deciso a tornare come di consueto dalla famiglia Hudelson era fuori discussione; ma se, seguendo l'esempio del signor Forsyth, anche il dottore gli avesse proibito di frequentare la sua casa? Non c'era da temere qualsiasi cosa da parte di quei due nemici accecati da reciproca gelosia, dall'odio degli scopritori, che è il peggiore degli odi?

Quel giorno Francis fece molta fatica a nascondere la propria tristezza, quando si ritrovò in presenza della signora Hudelson e delle sue figlie. Non volle dir nulla sullo scontro avuto con lo zio. Perché accrescere le preoccupazioni della famiglia Hudelson, dal momento che era deciso a non tener conto delle ingiunzioni dello zio?

Come poteva venire in mente a una creatura ragionevole che l'unione di due fidanzati potesse essere impedita o soltanto rimandata a causa di un bolide? Se il signor Forsyth e il dottor Hudelson non volevano trovarsi a faccia a faccia, durante la cerimonia, ebbene, si sarebbe fatto a meno di loro: dopo tutto, la loro presenza non era indispensabile; bastava che il loro consenso non fosse venuto meno, almeno da parte del dottore, perché, se Francis era soltanto nipote dello zio, Jenny era invece figlia di suo padre e non avrebbe potuto sposarsi contro la sua volontà. Se, dopo, i due rivali avessero voluto divorarsi l'un l'altro, non per questo il matrimonio sarebbe stato meno valido.

Quasi a giustificare questi ragionamenti, trascorse ancora qualche giorno senza che la situazione mutasse. Il tempo era sempre al bello e

Page 80: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

mai il cielo era stato più sereno. Tranne un po' di nebbia al mattino e al vespro, che si dissipava al levar del sole e al tramonto, nulla turbava la purezza dell'atmosfera attraverso la quale il bolide effettuava la sua corsa.

E forse necessario ripetere che i signori Forsyth e Hudelson continuavano a divorarlo con gli occhi? che tendevano le braccia come per afferrarlo? che lo aspiravano a pieni polmoni? Sarebbe stato certamente meglio se la meteora si fosse nascosta dietro un fitto strato di nubi, se la sua vista non faceva che esaltarli sempre di più. Ecco perché ogni sera, prima di andare a letto, Mitz sollevava i pugni verso il cielo. Vana minaccia: la meteora, impassibile, continuava a tracciare la sua curva luminosa, sul firmamento cosparso di stelle.

Ma ciò che tendeva ad aggravare le cose era l'intervento quotidiano, sempre più evidente, del pubblico in quella discordia personale. I giornali, alcuni con vivacità e altri con violenza, parteggiavano per Forsyth oppure per Hudelson. Nessuno di essi mostrava indifferenza. Per quanto la questione di priorità non dovesse essere posta per motivi di giustizia, nessuno voleva rinunciarvi. Dall'alto della torre e del torrione, il litigio scendeva sino alla redazione dei giornali, lasciando prevedere gravi complicazioni. Già si annunciavano riunioni per discutere la faccenda; considerata l'impetuosa natura dei cittadini della libera America, si può immaginare con quale intemperanza di linguaggio.

La signora Hudelson e Jenny erano inquiete a causa di quella effervescenza; Loo cercava inutilmente di tranquillizzare la madre e Francis di rassicurare la fidanzata. Ma non era possibile non rendersi conto che i due rivali si vedevano sempre più come il fumo negli occhi, a causa di ciò che leggevano nei giornali. Si riferiva ciò che aveva detto, vero o falso che fosse, il signor Forsyth; le parole, vere o false, pronunciate dal dottor Hudelson; di giorno in giorno e di ora in ora la situazione si faceva più minacciosa.

Fu allora che, come un colpo di fulmine, una notizia si diffuse in tutto il mondo. Il bolide era forse esploso? L'eco di quella esplosione era forse risonata sotto la volta celeste?

No: si trattava semplicemente di una strana notizia, diffusa rapidamente dal telegrafo e dal telefono in tutti i regni e in tutte le

Page 81: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

repubbliche del Vecchio e del Nuovo Mondo. L'informazione non proveniva dal torrione del signor Hudelson, né dalla torre del signor Forsyth, né dall'osservatorio di Pittsburgh, né da quello di Boston o da quello di Cincinnati. Era l'osservatorio di Parigi che, questa volta, metteva in rivoluzione il mondo civile facendo sapere, il 2 maggio, per mezzo della stampa, quanto segue:

«Il bolide segnalato all'attenzione degli osservatori di Cincinnati e di Pittsburgh dai due stimati cittadini della città di Whaston (Stato della Virginia) e del quale la traslazione intorno alla terra sembra compiersi finora con perfetta regolarità, è attualmente studiato, giorno e notte, in tutti gli osservatori del mondo, da una falange di eminenti astronomi, la cui alta competenza è soltanto eguagliata dalla devozione da loro messa al servizio della scienza.

«Se, nonostante il loro attento esame, alcune parti del problema rimangono ancora da risolvere, l'osservatorio di Parigi è riuscito se non altro a ottenere la soluzione di una di esse e a determinare la.natura della meteora.

«I raggi emanati dal bolide sono stati sottoposti ad analisi spettrale e la disposizione delle loro linee ha consentito di individuare con certezza la sostanza del corpo luminoso.

«Il suo nocciolo, circondato da brillante chioma e dal quale si diramano i raggi osservati, non è di natura gassosa, ma di natura solida; non è costituito da ferro naturale, come molti aeroliti, né da quei composti chimici che di solito compongono i corpi erranti.

«Il bolide è in oro puro; se non è possibile indicarne il valore ciò è dovuto al fatto che, finora, è venuta meno l'opportunità di misurare con precisione le dimensioni del suo nocciolo».

Questa era la notizia portata a conoscenza del mondo intero. Quali conseguenze essa produsse è più facile immaginarlo che descriverlo. Una massa di prezioso metallo, il cui valore era certamente di parecchi miliardi, girava intorno alla terra. Quanti sogni quel meraviglioso avvenimento stava per far nascere! Quale cupidigia avrebbe destato in tutto il mondo, nella città di Whaston soprattutto, alla quale spettava l'onore della scoperta e, in particolare, nel cuore dei due suoi cittadini, ormai immortali, che rispondevano al nome di Dean Forsyth e Sydney Hudelson!

Page 82: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 83: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO IX

NEL QUALE I GIORNALI, IL PUBBLICO, IL SIGNOR FORSYTH E IL DOTTOR HUDELSON FANNO UN'ORGIA DI MATEMATICA

ERA d'oro! La prima impressione fu di incredulità. Per gli uni si trattava di un

errore che, tra non molto, sarebbe stato riconosciuto; per gli altri, una mistificazione immaginata da burloni geniali.

In questo secondo caso, nessuno dubitava che l'osservatorio di Parigi avesse immediatamente provveduto a smentire la notizia falsamente attribuitagli.

Diciamo subito che la smentita non ci fu e che, anzi, gli astronomi di tutti i paesi, ripetendo a gara le esperienze dei confratelli francesi, ne confermarono tutti le conclusioni. Fu dunque necessario ritenere lo strano fenomeno come cosa certa.

Ne seguì una specie di pazzia collettiva. E noto che quando si verifica un'eclisse di sole le lenti ottiche si

smerciano in quantità considerevole; si pensi dunque alla quantità di binocoli, di cannocchiali e di telescopi venduti in occasione del memorabile avvenimento! Mai sovrani, cantanti o ballerine famosi furono tanto e così intensamente guardati quanto quel meraviglioso bolide che proseguiva, con superba indifferenza, il suo regolare cammino nell'infinità dello spazio.

Il tempo era sempre al bello stabile e si prestava compiacente alle rilevazioni, il signor Forsyth e il dottor Hudelson non abbandonavano più, perciò, il primo la torre e il secondo il torrione. Entrambi volevano determinare gli altri elementi della meteora: il suo volume e la sua massa, senza trascurare quegli aspetti non previsti che uno studio attento poteva rivelare. Se era ormai impossibile risolvere la questione della priorità, quale vantaggio non avrebbe ricavato quello dei due rivali che fosse riuscito a strappare

Page 84: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

per primo alla meteora qualche segreto? Il bolide non era forse il fatto del giorno? Al contrario dei Galli, che nulla temevano all'infuori della caduta del cielo sul loro capo, l'umanità intera nutriva soltanto un desiderio: che il bolide cedesse all'attrazione per arricchire la terra dei suoi miliardi erranti.

Quanti calcoli furono fatti per stabilire il numero di quei miliardi! Purtroppo, quei calcoli mancavano di una base certa; essendo sconosciute le dimensioni del nocciolo, mancava la base di partenza per il calcolo.

Qualunque fosse, il valore di quel nocciolo non poteva che essere prodigioso, e ciò bastava per dar fuoco alle fantasie.

Il 3 maggio, il Whaston Standard pubblicò sull'argomento un articolo che, dopo una serie di riflessioni, terminava con queste parole:

«Se ammettiamo che il nocciolo del bolide Forsyth-Hudelson sia costituito da una sfera che misuri appena dieci metri di diametro, quella sfera peserebbe, se fosse in ferro, 3.773 tonnellate. La stessa sfera, formata soltanto d'oro puro, peserebbe 10.083 tonnellate e avrebbe il valore di oltre 31 miliardi di franchi».

Come si vede, lo Standard, lanciatissimo nelle correnti moderne, aveva preso il sistema decimale come base per i suoi calcoli. Ci sia permesso di felicitarlo sinceramente.

Anche se di volume così ridotto, il bolide avrebbe avuto dunque un grandissimo valore.

— E possibile? — balbettò Omicron, dopo aver letto l'articolo. — Non è soltanto possibile, ma è certo — rispose con tono

dottorale il signor Forsyth. — Per trovare tale risultato è stato necessario moltiplicare la massa per il valore medio dell'oro, ossia 3.100 franchi al chilo; la massa non è altro che il prodotto del volume per la densità del metallo, e cioè 19.238. Il volume si ottiene nel modo più semplice mediante la formula

V =nD3

6

Page 85: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Infatti!… — approvò con aria da intenditore Omicron, per il quale tutto ciò era arabo.

— E odioso però che il giornale persista — disse il signor Forsyth — nell'appaiare il mio nome a quello di quell'individuo!

Dal canto suo, il dottor Hudelson faceva molto probabilmente la stessa riflessione.

Quando miss Loo lesse l'articolo dello Standard, una smorfia di sdegno si disegnò sulle sue rosee labbra, umiliando profondamente i trentuno miliardi.

È noto che il temperamento spinge istintivamente i giornalisti all'esagerazione. Quando uno ha detto due, l'altro dice tre, senza neppure pensarvi. Non ci si stupisca, quindi, se la stessa sera il Whaston Evening rispondeva in questi termini che rivelavano la sua deprecabile parzialità in favore del torrione.

«Non riusciamo a capire per quale motivo lo Standard si sia mostrato così prudente nelle sue valutazioni. Per ciò che ci riguarda, noi saremo più audaci. Non fosse altro che per rimanere nel campo delle ipotesi accettabili, noi attribuiamo al nocciolo del bolide Hudelson un diametro di cento metri. Sulla base di tale dimensione, si ricava che il peso di una tale sfera d'oro puro sarebbe di 10.083.488 tonnellate, il cui valore supererebbe i 31 trilioni e 260 miliardi di franchi, e cioè un numero di 14 cifre!»

«Per non parlare dei centesimi», fece notare ironicamente il Punch, citando questi numeri prodigiosi che la fantasia non riesce a concepire.

Intanto, poiché il tempo continuava a mantenersi al bello, i due astronomi dilettanti proseguivano instancabilmente le loro ricerche, nella speranza di essere almeno i primi a determinare con precisione le dimensioni dell'asteroide. Non era agevole, purtroppo, rilevarne i contorni nello splendore della sua chioma.

Una sola volta, nel corso della notte dal 5 al 6, il signor Forsyth credette di essere sul punto di riuscirvi. L'irradiazione si era per un istante indebolita, lasciando apparire un globo d'intenso splendore.

— Omicron! — chiamò il signor Forsyth, con voce strozzata dall'emozione.

— Signore?

Page 86: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Il nocciolo! — Lo vedo! — Finalmente! Lo vediamo! — Oh! — esclamò Omicron — non lo distinguo già più! — Non importa, io l'ho visto! Avrò questa gloria! Domani,

all'alba, manderò un dispaccio all'osservatorio di Pittsburgh. Questa volta, quel miserabile non potrà pretendere…

Il signor Forsyth si illudeva, oppure il dottor Hudelson aveva realmente lasciato che il suo avversario prendesse tale vantaggio? Non lo sapremo mai, così come non sapremo perché non fu mai spedita la progettata lettera all'osservatorio di Pittsburgh.

La mattina del 6 maggio i giornali di tutto il mondo pubblicarono la seguente notizia:

«L'osservatorio di Greenwich ha l'onore di portare a conoscenza del pubblico che, dai suoi calcoli e da un insieme di osservazioni, risulta che il bolide segnalato dai due stimati cittadini della città di Whaston, e che l'osservatorio di Parigi ha riconosciuto essere composto esclusivamente d'oro puro, è costituito da una sfera di 110 metri di diametro e da un volume di circa 696 mila metri cubi.

«Tale sfera in oro dovrebbe pesare più di 13 milioni di tonnellate. Il calcolo rivela che così non è. Il peso reale del bolide non supera un settimo del numero precedente ed è sensibilmente eguale a 1.867.000 tonnellate, peso corrispondente a un volume di circa 97.000 metri cubi e a un diametro approssimativo di 57 metri.

«Dalle considerazioni che precedono dobbiamo necessariamente concludere, la composizione chimica del bolide essendo fuori discussione, o che esistano ampie cavità nel metallo che costituisce il nocciolo o, più verosimilmente, che il metallo vi si trovi allo stato pulverulento, il nocciolo essendo, in questo caso, di struttura porosa analoga a quella della spugna.

«Comunque sia, i calcoli e le osservazioni permettono di precisare con maggiore esattezza il valore del bolide. Tale valore, al corso attuale dell'oro, non è inferiore a 5.788 miliardi di franchi».

Se non era dunque cento metri, come aveva supposto il Waston Evening, non era neppure dieci metri, come aveva ammesso lo Standard. La verità era tra le due ipotesi. Così com'era, del resto,

Page 87: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

essa sarebbe bastata a soddisfare la cupidigia più sfrenata, se la meteora non fosse stata destinata a seguire una traiettoria eterna intorno alla terra.

Quando il signor Forsyth apprese il valore del bolide esclamò: — Son io che l'ho scoperto! non quella birba del torrione! Se

dovesse cadere sulla terra, dovrebbe appartenere a me! Sarei molto ricco, avrei 5.800 miliardi!

Anche da parte sua il dottor Hudelson diceva a se stesso, allungando il braccio minaccioso verso la torre:

— E mio, è cosa mia… è l'eredità delle mie ragazze, quella che gravita attraverso lo spazio. Se dovesse cadere sulla terra, dovrebbe appartenermi; sarei cinquemila e ottocento volte miliardario!

E certo che i Vanderbilt, gli Astor, i Rockefeller, i Pierpont Morgan, i Mackay, i Gould e altri cresi americani, per non parlare dei Rothschild, non sarebbero più stati, in tal caso, che piccoli benestanti, in confronto al dottor Hudelson o al dottor Forsyth!

Ecco a qual punto erano i due astronomi dilettanti; se non perdevano la testa, era perché la loro testa era solida.

Francis e la signora Hudelson prevedevano anche con troppa facilità come sarebbe andata a finire. Ma come trattenere i due rivali che erano già su una china così sdrucciolevole? Era impossibile parlare pacatamente con loro; pareva persino che avessero dimenticato il progettato matrimonio. Pensavano soltanto alla loro rivalità, deplorevolmente tenuta viva dai giornali cittadini.

Gli articoli di tali giornali, solitamente abbastanza pacati, erano diventati virulenti e le discutibili persone che vi prendevano parte avrebbero finito per condurre sul terreno uomini abitualmente socievolissimi.

Con i suoi epigrammi e le sue caricature il Punch, da parte sua, non cessava di stimolare i due avversari. Se non era olio, quello che il detto giornale gettava sul fuoco, era almeno sale, il sale delle sue facezie quotidiane, e il fuoco crepitava sempre più forte.

Si era giunti persino a temere che il signor Forsyth e il dottor Hudelson intendessero disputarsi il bolide con le armi alla mano e regolare la faccenda con un duello all'americana. Cosa che non avrebbe certamente sistemato la situazione dei due fidanzati.

Page 88: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Fortunatamente per la pace del mondo, mentre i due paranoici perdevano ogni giorno sempre più un pochino del loro buon senso, il pubblico a poco a poco si calmava. Una semplicissima riflessione finiva con l'imporsi a tutti: importava assai poco che il bolide fosse in oro e che valesse migliaia di miliardi, dal momento che non si sarebbe potuto raggiungere.

Che non si potesse raggiungere era cosa certa; a ogni rivoluzione la meteora riappariva fedelmente nel punto del cielo previsto dai calcoli. La sua velocità era dunque costante; come aveva fatto notare sin dagli inizi il Whaston Standard, non c'era motivo di credere che potesse mai diminuire. Il bolide, quindi, sarebbe gravitato eternamente intorno alla terra, come aveva già fatto presumibilmente in passato, sin dalla notte dei tempi.

Quelle considerazioni, ripetute a sazietà da tutti i giornali del mondo, contribuirono a calmare gli animi; si cominciò a pensare un po' meno al bolide e ciascuno, dopo un sospiro di rimpianto rivolto all'inafferrabile tesoro, riprese le proprie occupazioni.

Nel suo numero del 9 maggio il Punch constatò la sempre crescente indifferenza del pubblico per ciò che tanto lo aveva appassionato ancora pochi giorni prima; e continuando con queste battute, che giudicava ovviamente eccellenti, trovò poi altri argomenti per calcare la mano sui due scopritori del bolide.

«Fino a quando» esclamava con indignazione il Punch, alla fine dell'articolo «resteranno impuniti i due malfattori da noi già segnalati al pubblico disprezzo? Non contenti di aver voluto annientare con un solo colpo la città che li ha visti nascere, ecco che ora provocano la rovina delle famiglie più degne di rispetto. La scorsa settimana, un amico nostro, ingannato dalle loro fallaci e menzognere affermazioni, ha dilapidato in quarantott'ore un considerevole patrimonio. Lo sventurato contava sui miliardi del bolide! Che ne sarà dei poveri bambini del nostro amico, ora che i miliardi ci passeranno sotto… no, sul naso? E forse necessario aggiungere che questo nostro amico è un simbolo e che si chiama legione? Noi proponiamo che tutti gli abitanti della terra intentino un processo ai signori Forsyth e Hudelson, allo scopo di farli condannare, per danni e interessi, al

Page 89: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

pagamento di 5.788 miliardi; chiediamo inoltre che vengano costretti a pagare, senza pietà!»

Gli interessati ignorarono sempre che tale processo, senz'altro senza precedenti e, del resto, di difficile esecuzione, li avesse mai minacciati.

Mentre le altre creature umane tornavano a prestare la loro attenzione alle cose di questa terra, i signori Forsyth e Hudelson continuavano a librarsi nell'azzurro del cielo e persistevano a frugarlo ostinatamente con i loro telescopi.

Page 90: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 91: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO X

NEL QUALE A ZEFFIRINO XIRDAL VIENE UN'IDEA, ANZI DUE

NEL LINGUAGGIO familiare si diceva solitamente: «Zeffirino Xirdal?… Che tipo!». Sia fisicamente sia moralmente, Zeffirino Xirdal era, infatti, un personaggio poco comune.

Lungo corpo dinoccolato, camicia spesso senza colletto e sempre senza polsini, pantaloni a cavatappi, panciotto al quale mancavano due bottoni su tre, giacca immensa dalle tasche gonfie di mille oggetti di vario genere, il tutto molto sporco e pescato a caso da un mucchio di abiti scompagnati: questo è l'esame anatomico di Zeffirino Xirdal e questo è il metro della sua eleganza. Dalle sue spalle, arcuate come il soffitto di una cantina, pendevano braccia chilometriche, alle quali mettevano termine enormi mani villose di prodigiosa abilità, che il loro proprietario metteva a contatto con il sapone soltanto a intervalli indeterminati.

Se la testa era, come per tutti, il punto culminante del suo corpo, era perché non era stato possibile farne a meno. Ma questo tipo originale si riscattava offrendo alla pubblica ammirazione un viso la cui bruttezza arrivava al paradosso. Nulla di più avvincente di quei lineamenti sgradevoli e contraddittori: mento massiccio e quadrato, grande bocca dalle grosse labbra corredata di splendidi denti; naso largamente schiacciato, orecchie male orlate che sembrava rifuggissero con orrore il contatto con il cranio: tutto ciò ricordava, molto alla lontana, il bell'Antinoo.8 Per contro, la fronte, grandiosamente modellata e con un'ammirevole nobiltà di linee, coronava quello strano viso come un tempio corona una collina, tempio capace di accogliere i più sublimi pensieri. E infine, per mettere definitivamente fuori strada il suo prossimo, Zeffirino Xirdal 8 Bellissimo giovane di Bitinia, annegato nel Nilo. In onore di questo suo favorito, l'imperatore Adriano fondò in Egitto la città di Antinopoli. (N.d.T.)

Page 92: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

apriva alla luce del giorno, sotto la vasta fronte, due grandi occhi sporgenti che esprimevano, a seconda dell'ora e del minuto, una straordinaria intelligenza o la più crassa stupidità.

Dal punto di vista morale, egli non spiccava di meno sulla banalità dei suoi contemporanei.

Refrattario a ogni regolare insegnamento, aveva deciso sin da ragazzo che si sarebbe istruito da sé, e i suoi genitori avevano dovuto sottomettersi alla sua indomabile volontà. Alla fin fine, le cose non erano andate troppo male. All'età in cui si trascorre ancora il tempo sui banchi dei licei, Zeffirino si era iscritto — per divertirsi, come egli diceva — a tutte le grandi scuole, l'una dopo l'altra. In tali scuole aveva sempre ottenuto il primo posto.

Quei successi erano stati subito dimenticati, appena ottenuti. Le grandi scuole avevano dovuto, l'una dopo l'altra, cancellare dai loro registri quell'iscritto che trascurava di presentarsi alla ripresa dei corsi.

La morte dei genitori lo aveva reso, a diciotto anni, padrone delle sue azioni e di una quindicina di migliaia di franchi di rendita. Zeffirino si affrettò allora a dare tutte le firme richiestegli dal suo tutore e padrino — il banchiere Robert Lecoeur - che egli chiamava «zio» sin dall'infanzia, e poi, libero da ogni preoccupazione, si sistemò in due minuscole camerette, al sesto piano, in via Cassette, a Parigi.

A trentun anni abitava ancora là. Da quando vi aveva trasportato i suoi penati, l'abitazione non si

era ingrandita e perciò era prodigiosa la quantità di cose che vi aveva ammucchiate. Vi si vedevano, sistemate alla rinfusa, macchine e pile elettriche, dinamo, strumenti d'ottica, storte e cento altri apparecchi di vario genere. Piramidi di opuscoli, di libri e di carte s'innalzavano dal pavimento sino al soffitto, si ammucchiavano sull'unica sedia e sulla tavola, alzandone il livello, e il nostro amico non ne notava neppure il cambiamento quando, seduto sull'una, scriveva sull'altra. Del resto, quando le cartacce gli erano d'ingombro, rimediava senza fatica all'inconveniente. Con il dorso della mano le buttava per terra; poi, tranquillamente, si metteva al lavoro sulla tavola perfettamente

Page 93: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

sgombra, dal momento che non vi rimaneva più nulla, e pronta di conseguenza per future invasioni.

Che cosa faceva, dunque, Zeffirino Xirdal? Bisogna riconoscere che, generalmente, si accontentava di correre

dietro ai suoi sogni, nella nebbia odorosa di una pipa mai spenta. A volte, però, a intervalli irregolari, egli aveva un'idea. Allora metteva in ordine la tavola a modo suo, e cioè spazzandola con la mano, poi vi si piazzava a lavorare e la lasciava soltanto a lavoro finito, sia che durasse quaranta minuti oppure quaranta ore. Poi, messo il punto finale, lasciava sulla tavola i fogli contenenti le sue ricerche, che costituivano la base della pila futura, che a sua volta, come la precedente, sarebbe stata spazzata via al momento della prossima crisi di lavoro.

Nel corso di quelle crisi irregolari egli faceva un po' di tutto: matematiche trascendenti, fisica, chimica, fisiologia, filosofia; scienze pure e applicate avevano, a turno, sollecitata la sua attenzione. Qualunque fosse il problema egli lo aveva sempre affrontato con entusiasmo e frenesia, è non lo aveva mai abbandonato se prima non l'aveva risolto, a meno che…

A meno che un'altra idea non lo allontanasse con eguale impazienza da quello studio. Poteva allora capitare che quel fantasioso oltranzista si lanciasse a corpo morto nelle lande delle sue chimere per correre dietro a una seconda farfalla, i cui colori brillanti lo ipnotizzavano, e che nell'ebbrezza del nuovo sogno smarrisse persino il ricordo delle precedenti preoccupazioni.

Ma in questo caso la faccenda era soltanto rimandata. Un bel giorno, ritrovando casualmente il lavoro abbandonato, egli vi si tuffava con rinnovata passione e non mancava di portarlo a compimento, anche dopo altre interruzioni.

Quante considerazioni ingegnose o profonde, quanti appunti definitivi sulle difficoltà più ardue delle scienze esatte o sperimentali, quante invenzioni pratiche dormivano nel mucchio di cartacce che Zeffirino calpestava sdegnosamente! Mai egli aveva pensato di trarre profitto da quel tesoro, se non quando qualcuno dei suoi pochissimi amici parlava dinanzi a lui dell'inutilità di una ricerca, in un senso o nell'altro.

Page 94: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Aspetta — diceva allora Xirdal — debbo avere qualcosa al riguardo.

E così dicendo allungava la mano e al primo colpo, con un fiuto meraviglioso, sotto mucchi di fogli più o meno spiegazzati, prendeva lo studio concernente la questione sollevata e lo consegnava all'amico, con il permesso di usarne senza la minima limitazione. Non gli era mai passato per la mente, neppure una volta, che così facendo potesse nuocere ai suoi interessi.

Denaro? Per che farne? Quando aveva bisogno di denaro, andava dal padrino. Se non era più suo tutore, il signor Lecoeur era rimasto suo banchiere e Xirdal era sicuro che, al ritorno dalla visita, avrebbe avuto in tasca una somma per tirare innanzi fino al suo esaurimento. Da quando abitava in via Cassette, aveva sempre fatto così, con sua completa soddisfazione. Aver desideri sempre nuovi e poterli realizzare è certamente una forma di felicità. Non la sola. Senza l'ombra del più piccolo desiderio, Zeffirino Xirdal era perfettamente felice.

La mattina del 10 maggio, quest'uomo felice, comodamente seduto sull'unica sedia con i piedi sollevati sul davanzale della finestra, fumava con estremo piacere la sua pipa, divertendosi a decifrare rebus e parole incrociate stampate sulla carta di un sacchetto, dove il droghiere gli aveva incartato qualcosa da mangiare. Quando l'importante occupazione ebbe termine e la soluzione decifrata, egli gettò la carta tra le altre e allungò con noncuranza la mano sinistra dalla parte della tavola, nell'oscuro intento di prendervi qualcosa, non importa che cosa.

La mano sinistra incontrò un fascio di giornali non aperti. Zeffirino ne prese uno, a caso. Era un numero del Journal di otto giorni prima. Il fatto che il giornale fosse vecchio di otto giorni non aveva importanza per un lettore che viveva fuori dello spazio e del tempo.

Zeffirino diede un'occhiata alla prima pagina, senza leggerla. Scorse allo stesso modo le altre, fino all'ultima. Si interessò molto agli annunci e poi, credendo di passare alla pagina seguente, tornò involontariamente alla prima.

Page 95: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Senza volerlo, gli occhi gli caddero sulle prime parole dell'articolo di fondo; un bagliore d'intelligenza si accese allora nelle sue pupille, che fin allora avevano espresso un'assoluta imbecillità.

A mano a mano che la lettura proseguiva, il bagliore si accentuava sino a diventare fiamma.

— Toh! toh! toh! — mormorò su tre toni diversi, preparandosi a una seconda lettura dell'articolo.

Aveva preso l'abitudine di parlare spesso ad alta voce, nella solitudine della sua camera; parlava volentieri anche al plurale, nell'intento senza dubbio di darsi la lusinghiera illusione di avere un pubblico che pendesse dalle sue labbra; pubblico immaginario, ovviamente, ma che appunto per questo non poteva che essere numeroso, poiché comprendeva allievi, ammiratori e tutti gli amici che Zeffirino non aveva e che non avrebbe avuto mai.

Questa volta fu meno prolisso del solito e si limitò alla triplice esclamazione già riferita. Vivamente interessato dall'articolo del Journal, ne proseguì in silenzio la lettura.

Ma che cosa leggeva con tanto interesse? Ultima persona sulla faccia della terra, egli scopriva in quel

momento la storia del bolide e ne apprendeva, nel contempo, la sua insolita composizione, il caso avendogli messo sottomano un articolo dedicato alla favolosa palla d'oro.

— Questa è buffa! — disse tra sé, al termine della seconda lettura. Rimase un po' soprappensiero; poi abbassò i piedi dal davanzale della finestra e si accostò alla tavola: la crisi di lavoro era imminente.

Trovò in un baleno, tra molte altre, la rivista scientifica che desiderava e ne fece saltare la fascetta. La rivista si aprì alla pagina che egli cercava.

Una pubblicazione scientifica deve essere più tecnica di un grande quotidiano: quella non veniva meno alla regola. Le caratteristiche del bolide — traiettoria, velocità, volume, massa, natura — non vi erano spiegate con poche parole, ma con pagine di dotte curve e di equazioni algebriche.

Zeffirino assimilò senza sforzo quel nutrimento intellettuale, che pure era di natura piuttosto indigesta, e poi diede un'occhiata al cielo: nessuna nube ne velava l'azzurro.

Page 96: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ora vedremo! — mormorò, facendo con mano impaziente alcuni rapidi calcoli.

Cacciò la mano sotto un mucchio di carte deposte in un angolo della camera e, con un gesto al quale soltanto la lunga pratica poteva dare tanta precisione, mandò il mucchio in un altro angolo.

— E stupefacente come sono ordinato! — disse con evidente soddisfazione, constatando che quel «rassettamento», secondo le sue previsioni, aveva messo allo scoperto un cannocchiale astronomico ricoperto di polvere come una bottiglia centenaria.

Andare alla finestra con il cannocchiale, rivolgerlo verso quella parte del cielo in precedenza calcolata e applicare l'occhio all'oculare non richiese più di un istante.

— Esatto! — disse dopo alcuni minuti di osservazione. Dopo aver riflettuto ancora qualche minuto, prese (deciso) il

cappello e cominciò a scendere i suoi sei piani di scale diretto in via Drouot, ove aveva sede la banca Lecoeur, della quale la suddetta strada andava a giusto titolo orgogliosa.

Zeffirino Xirdal conosceva un solo modo di fare le sue commissioni: non prendere mai autobus, tram o carrozze. Qualunque fosse la distanza che lo separava dalla meta, vi si recava sempre a piedi.

Ma anche in quest'esercizio, il più naturale e il più pratico degli sport, egli non poteva fare a meno di essere originale. A occhi bassi, roteando le larghe spalle a destra e a sinistra, attraversava la città come se fosse stato nel deserto. Ignorava veicoli e pedoni con eguale serenità. Immaginate quindi quanti «villano!» «screanzato!», «maleducato!» raccoglieva dai passanti spintonati o ai quali, con estrema disinvoltura, aveva pestato i piedi! Quanti robusti insulti gli venivano urlati dietro dai cocchieri, costretti a frenare di colpo i cavalli per non fornire materia alle cronache cittadine, nelle quali Zeffirino Xirdal avrebbe recitato la parte della vittima!

Ma di tutto ciò egli non si curava. Senza nemmeno sentire il concerto d'insulti che lo seguiva come la scia segue una nave in navigazione, egli, imperturbabile, proseguiva la sua strada, a grandi passi eguali e sicuri.

Gli bastarono venti minuti per raggiungere la banca Lecoeur.

Page 97: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— C'è mio zio? — chiese al fattorino. — Sì, signor Xirdal. — È solo? — Sì. Zeffirino spinse la porta imbottita ed entrò nell'ufficio del

banchiere. — Toh! Sei tu? — chiese il signor Lecoeur vedendolo entrare. — Poiché mi vedete in carne e ossa — rispose Zeffirino — direi

che la domanda sia oziosa e che la risposta sarebbe pleonastica. Abituato alle stranezze del figlioccio, che egli considerava con

ragione un po' squilibrato, ma sotto certi aspetti anche geniale, il signor Lecoeur si mise a ridere allegramente.

— Infatti! — confermò. — Ma se tu avessi risposto «si» avresti fatto più presto. Posso chiederti qual è lo scopo della tua visita?

— Certamente, perché… — È inutile — lo interruppe il signor Lecoeur. — La mia seconda

domanda non è meno superflua della prima; l'esperienza m'insegna che vieni a trovarmi soltanto quando hai bisogno di denaro.

— Non siete forse il mio banchiere? — rispose Zeffirino. — Verissimo — disse Lecoeur — ma tu sei uno strano cliente.

Vuoi permettermi, a questo proposito, di darti un consiglio? — Se può farvi piacere… — Il consiglio è questo: cerca di fare meno economia. Diamine,

caro amico, che cosa stai facendo della tua giovinezza? Sai a quanto ammonta il tuo conto presso di me?

— Non ne ho la minima idea. — Il tuo conto è semplicemente mostruoso. I tuoi genitori ti

hanno lasciato più di quindicimila franchi di rendita all'anno, e tu non riesci a spenderne neppure quattromila!

— Bah! — disse Xirdal, mostrandosi sorpreso da quella osservazione che udiva almeno per la ventesima volta.

— E proprio così. Gli interessi si accumulano. Non conosco esattamente il saldo del tuo conto, ma sono certo che oltrepassa i centomila franchi. Come dobbiamo impiegare questo denaro?

Page 98: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Studierò la cosa — disse Zeffirino, con l'aria più seria di questo mondo. — Del resto, se il denaro vi dà fastidio, non avete che da sbarazzacene.

— Come posso sbarazzarmene? — Datelo via; è semplicissimo. — A chi? — A chi volete; che volete che me ne importi? Il signor Lecoeur alzò le spalle. — Dimmi, quanto vuoi oggi? — chiese. — Duecento franchi,

come al solito? — Diecimila — rispose Zeffirino. — Diecimila! — ripeté Lecoeur, stupitissimo. — C'è qualcosa di

nuovo, dunque! Che cosa vuoi farne? — Voglio fare un viaggio. — Idea magnifica! Dove vuoi andare? — Non lo so! Il signor Lecoeur, divertito, guardò il figlioccio con aria

canzonatoria. — E un bel paese! — disse con serietà. — Eccoti diecimila

franchi; vuoi altro? — Sì — rispose Zeffirino. — Vorrei anche un terreno. — Un terreno? — ripeté Lecoeur passando, come si dice, di

sorpresa in sorpresa. — Quale terreno? — Un terreno come tutti i terreni. Due o tre chilometri quadrati,

all'incirca. — È piccolo — disse con freddezza il padrino, aggiungendo

beffardamente: — Lo vuoi sul Boulevard des Italiens? — Non lo voglio in Francia. — Dove lo vuoi, allora? Su, parla. — Non lo so — disse per la seconda volta Zeffirino, senza

manifestare alcuna emozione. Il signor Lecoeur riusciva a fatica a trattenere la sua voglia di

ridere. — Così, almeno, si ha la possibilità di scegliere — approvò. —

Dimmi, Zeffirino, non saresti per caso un po' matto? Che significa tutto questo?

Page 99: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ho un affare in vista — dichiarò Zeffirino, corrugando la fronte per lo sforzo della riflessione.

— Un affare! — esclamò il signor Lecoeur, al colmo dello stupore. Era proprio assurdo supporre che quel matto pensasse agli affari.

— Sì — confermò Zeffirino. — E un affare importante? — Non so — rispose Zeffirino. — Di circa cinque o seimila

miliardi. Il signor Lecoeur guardò il figlioccio con crescente inquietudine; se il giovane non scherzava, allora era matto, matto da legare.

— Quanto? — chiese. — Da cinque a seimila miliardi di franchi — ripeté Zeffirino con

voce tranquilla. — Ti ha dato di volta il cervello? — insistette il signor Lecoeur.

— Sai che sulla terra non c'è tanto oro per formare la centesima parte di questa somma favolosa?

— Sulla terra, può darsi — disse Zeffirino — altrove è un'altra cosa.

— Altrove? — A quattrocento chilometri da qui, in linea verticale. Un lampo rischiarò la mente del banchiere. Informato come tutti

dai giornali, che da tanti giorni parlavano a sazietà della stessa cosa, egli credette di aver capito.

— Il bolide? — balbettò, facendosi un po' pallido. — Il bolide — approvò Zeffirino pacatamente. Se invece del figlioccio fossero stati altri a parlargli in quel modo,

il signor Lecoeur li avrebbe senza dubbio fatti mettere alla porta. Il tempo di un banchiere è troppo prezioso perché lo sprechi ad ascoltare i matti. Ma Zeffirino non era «gli altri». Che nel suo cranio ci fosse una crepa di notevoli dimensioni era, ohimè! cosa troppo certa; ma quel cranio bacato conteneva il cervello almeno di un genio, al quale, a priori, nulla era impossibile.

— Vorresti sfruttare il bolide? — chiese il signor Lecoeur, guardandolo bene in faccia.

— Perché no? Che ci sarebbe di straordinario?

Page 100: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ma il bolide è a quattrocento chilometri dal suolo, lo hai detto poco fa. Non credo che tu abbia la pretesa di andare fin lassù!

— Perché andarvi? basta che lo faccia cadere. — Come? — So come farlo cadere, e basta. — Tu sai… tu sai… ma come puoi agire su un corpo così

lontano? Dove prenderai un punto d'appoggio? Quali forze metterai in azione?

— Non è possibile darvi la spiegazione in poche parole — disse Zeffirino — e anche inutile; non mi capireste.

— Molto gentile, da parte tua! — lo ringraziò il padrino, senza offendersi.

Tuttavia, aderendo alla sua richiesta, Zeffirino acconsenti a dargli qualche breve spiegazione. Il narratore di questa strana storia abbrevierà ancora di più quella spiegazione, mettendo bene in chiaro che, nonostante la sua nota inclinazione per le speculazioni rischiose, egli non intende affatto condividere nessuna di tali teorie, interessanti, ma forse troppo audaci.

Per Zeffirino Xirdal la materia non era che apparenza, non una sostanza reale. Pretendeva di dimostrarlo attraverso l'incapacità che abbiamo di concepirne la sua intima costituzione. Per quanto la si scomponga in molecole, atomi, particelle, rimane sempre un'ultima frazione, dalla quale riparte integralmente il problema che si dovrà eternamente ricominciare, fino al momento in cui si ammetterà che il principio primo non è materia. Questo principio primo immateriale è l'energia.

Che cos'è l'energia? Zeffirino ammetteva di non saperne nulla. Poiché l'uomo percepisce il mondo esteriore per mezzo dei sensi, e poiché i sensi sono sensibili soltanto agli stimoli materiali, tutto ciò che non è materia rimane sconosciuto all'uomo. Se anche può ammettere, con uno sforzo della ragione pura, l'esistenza di un mondo non materiale, non ha però la possibilità di concepirne la natura per mancanza di un termine di paragone. E sarà così fino a quando l'umanità non avrà acquisito nuovi sensi, cosa a priori non assurda.

Page 101: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Comunque sia, l'universo, secondo Zeffirino, è colmo d'energia che oscilla eternamente tra due estremi: l'equilibrio assoluto, che potrebbe essere ottenuto soltanto con la sua ripartizione uniforme nello spazio, e la concentrazione assoluta in un solo punto circondato, in tal caso, dal vuoto perfetto. Poiché lo spazio è infinito, i due estremi sono egualmente inaccessibili. Ne deriva che l'energia immanente è in uno stato di perpetuo movimento. Poiché i corpi materiali assorbono continuamente energia e poiché questa concentrazione provoca necessariamente altrove un nulla relativo, la materia irradia nello spazio l'energia che tiene prigioniera.

In opposizione dunque con l'assioma classico «Nulla si crea e nulla si distrugge», Zeffirino Xirdal proclamava che «Tutto si crea e tutto si distrugge». La sostanza, eternamente distrutta, si ricompone eternamente. Ciascun cambiamento di stato si accompagna a un irradiamento di energia e a una corrispondente distruzione di sostanza.

Se tale distruzione non può essere constatata dai nostri strumenti, ciò dipende dalla loro imperfezione, un'enorme quantità di energia essendo racchiusa in una particella imponderabile di materia, la qualcosa spiega, secondo Zeffirino Xirdal, perché gli astri siano separati da distanze prodigiose, comparativamente alla loro mediocre grandezza.

Pur non constatata, questa distruzione tuttavia esiste. Suono, calore, elettricità, luce ne sono la prova indiretta. Questi fenomeni non sono altro che materia irradiata e attraverso ad essi si manifesta l'energia liberata, anche se in forma ancora grossolana e semimateriale. L'energia pura, in qualche modo sublimata, non può esistere che al di là dei confini dei mondi materiali. Essa avvolge questi mondi con una dinamo-sfera in uno stato di tensione direttamente proporzionale alla loro massa e tanto minore quanto più ci si allontana dalla loro superficie. La manifestazione di questa energia e della sua tendenza a una condensazione sempre più grande è l'attrazione.

Questa era la teoria che Zeffirino espose al signor Lecoeur, un po' sbalordito. Confessiamo che noi lo saremmo stati per molto meno.

Page 102: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Ciò posto — concluse Zeffirino, come se avesse finito di esporre proposizioni molto semplici — basta che io liberi una piccola quantità di energia e che la diriga verso un dato punto dello spazio, a mia scelta, perché io sia padrone di influenzare un corpo nelle vicinanze di quel punto, soprattutto se quel corpo è di poca importanza, e cioè se non è detentore di una quantità considerevole di energia. E roba da ragazzi!

— E tu hai il mezzo per liberare questa energia? — chiese Lecoeur.

— Ho il mezzo di aprirle un passaggio, scartando dinanzi a essa tutto ciò che è sostanza e materia, il che è la stessa cosa.

— E cioè — esclamò il signor Lecoeur — tu potresti, volendo, rovinare tutta la meccanica celeste!

Zeffirino non parve turbato dall'enormità di quella ipotesi. — Per il momento — riconobbe con modesta semplicità — la

macchina che ho costruito non può darmi che risultati molto scarsi. È però sufficiente per influenzare un modesto bolide di poche migliaia di tonnellate.

— E così sia! — concluse il signor Lecoeur, il quale cominciava a non capirci più nulla. — Ma dove conti di far cadere il bolide?

— Nel mio terreno. — Quale terreno? — Quello che voi acquisterete, quando avrò fatto i calcoli

necessari. Vi scriverò per informarvi. Beninteso, io sceglierei se possibile una regione quasi deserta, dove la terra costi pochissimo. Naturalmente, avrete qualche difficoltà per stipulare l'atto di vendita. Non sono completamente libero nella mia scelta e può capitare che il paese non sia di comodo accesso.

— Questo è affar mio — disse il banchiere. — Il telegrafo non è stato inventato che per questo. Ne rispondo io.

Con questa assicurazione e con i diecimila franchi in tasca, Zeffirino tornò in fretta a casa e, appena chiusa la porta, si sedette alla tavola precedentemente sgombrata nel solito modo.

La crisi di lavoro era decisamente al colmo. Si accanì tutta la notte nei suoi calcoli, ma al mattino la soluzione

era stata trovata. Aveva determinato la forza che bisognava applicare

Page 103: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

al bolide, le ore durante le quali bisognava applicare quella forza, le direzioni che bisognava darle, il luogo e la data di caduta della meteora.

Prese subito la penna, scrisse al signor Lecoeur la lettera promessa, discese per impostarla e fece ritorno a casa.

Chiusa la porta, si avvicinò all'angolo nel quale il giorno prima aveva scaraventato con notevole precisione il mucchio di carte che celavano il cannocchiale. Oggi doveva fare l'operazione inversa. Xirdal cacciò il braccio sotto il mucchio di cartacce e con un colpo preciso le rimandò dove si trovavano prima.

Questo nuovo «rassettamento» ebbe come risultato di far venire alla luce una specie di cassa nerastra, che Zeffirino sollevò senza sforzo e trasportò in mezzo alla camera, di fronte alla finestra.

L'aspetto della cassa non aveva nulla di particolare: era un semplice cubo di legno, di colore scuro. Conteneva bobine intercalate in una serie di ampolle di vetro, le cui estremità aguzze erano riunite a due a due da fili di rame sempre più sottili. Al disopra della cassa, all'aria libera, si vedeva, montata su un perno, al fuoco di un riflettore metallico, un'ultima ampolla doppiamente fusiforme, che nessun conduttore materiale congiungeva alle altre.

Con l'aiuto di strumenti precisi, Zeffirino Xirdal orientò il riflettore metallico nella direzione precisa suggeritagli dai calcoli della notte precedente; poi, dopo aver accertato che tutto fosse in ordine, sistemò nella parte inferiore della cassa un tubetto che emanava vivo splendore. Secondo la sua abitudine, parlava lavorando, come se avesse voluto far ammirare la sua eloquenza a un folto pubblico.

«Questo, signori» — diceva — «è del Xirdalium, corpo centomila volte più radioattivo del radio. Confesserò, tra di noi, che se utilizzo questo corpo, lo faccio un po' per il pubblico. Non è che sia nocivo, ma la terra irradia abbastanza energia perché sia superfluo aggiungerne altra. E un granello di sale nel mare. Tuttavia, un po' di messa in scena non è disdicevole, a mio modo di vedere, in una esperienza di questo genere.»

Aveva richiuso nel frattempo la scatola, riunendola per mezzo di due cavi agli elementi di una pila posta sopra uno scaffaletto.

Page 104: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

«Le correnti neutro-elicoidali, signori» — riprese — «essendo neutre, hanno la proprietà di respingere tutti i corpi, senza eccezione, più o meno elettrizzati che siano. D'altra parte, essendo elicoidali, essi arieggiano una forma elicoidale… Un bambino lo capirebbe… È stato per me un vero colpo di fortuna pensare di scoprirlo… Nella vita serve proprio tutto!»

Chiuso il circuito elettrico, la cassa emanò un lieve ronzio e una luce azzurrognola sprizzò dall'ampolla montata sul perno. Quasi subito l'ampolla cominciò un movimento di rotazione che, inizialmente lento, si accelerò di secondo in secondo per diventare in breve vertiginoso.

Zeffirino contemplò per alcuni istanti l'ampolla trasportata in un valzer scapigliato, poi il suo sguardo, seguendo una direzione parallela all'asse del riflettore metallico, si smarrì nello spazio.

A prima vista non sembrava che l'azione della macchina si rivelasse con qualche segno materiale. Un osservatore attento, tuttavia, avrebbe potuto notare un fenomeno che, pur discreto, non era per questo meno strano. Il pulviscolo sospeso nell'atmosfera, appena entrato in contatto con gli orli del riflettore metallico, sembrava che non potesse superare quel limite e turbinava con violenza, come se urtasse contro un invisibile ostacolo. Nell'insieme, quel pulviscolo disegnava la forma di un cono tronco, la cui base poggiava sulla circonferenza del riflettore. A due o tre metri dalla macchina, quel cono di particelle impalpabili e turbinanti si tramutava gradatamente in un cilindro di polvere di pochi centimetri di diametro che continuava anche fuori, all'aria aperta, nonostante la brezza abbastanza fresca, fino al momento in cui spariva lontano.

— Ho l'onore, signori, di annunciarvi che tutto va bene! — disse Zeffirino sedendosi sull'unica sedia e accendendo la pipa accuratamente riempita.

Mezz'ora dopo egli fermava la macchina, per rimetterla in funzione a più riprese quello stesso giorno e nei giorni seguenti, avendo cura di rivolgere il riflettore, ogni volta, verso un punto dello spazio un po' differente. Per diciannove giorni egli procedette in questo modo, con assoluta precisione.

Page 105: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il ventesimo giorno aveva appena messo in azione la macchina e acceso la fedele pipa, quando il demone dell'invenzione si impadronì ancora una volta del suo cervello. Una conseguenza della teoria della perpetua distruzione della materia, esposta succintamente al signor Lecoeur, s'impose, abbagliante, alla sua mente. Di colpo, come gli accadeva di consueto, aveva concepito il principio di una pila elettrica capace di rigenerarsi da se stessa per mezzo di reazioni successive, l'ultima delle quali riconducesse i corpi scomposti al loro stato primitivo. Una tale pila avrebbe evidentemente funzionato sino alla scomparsa totale delle sostanze impiegate e sino alla loro trasformazione integrale in energia. Era, in pratica, il moto perpetuo.

— Toh!… Ma… Diamine!… — balbettò Zeffirino, in preda a forte emozione.

Rifletté com'era solito riflettere, e cioè proiettando su un solo punto e su una sola massa tutta la forza vitale del suo organismo. Il pensiero così concentrato, che egli rivolgeva sulle ombre di un problema, era come un pennello luminoso nel quale fossero raccolti tutti i raggi del sole.

— Nessuna obiezione è possibile — disse alla fine, traducendo ad alta voce il risultato del suo sforzo interiore. — Bisogna fare subito la prova!

Zeffirino prese il cappello, discese a precipizio i suoi sei piani e corse da un modesto falegname, la cui botteguccia era dall'altra parte della strada. In poche parole chiare e precise gli spiegò ciò che voleva, e cioè una specie di ruota, montata su di un asse di ferro, che portasse sulla sua circonferenza ventisette supporti, dei quali specificò le dimensioni, destinati a contenere altrettanti barattoli che dovevano rimanere verticali durante la rotazione.

Data la spiegazione, con l'ordine di eseguire immediatamente il lavoro, egli si recò da un negoziante di prodotti chimici, dal quale era conosciuto. Vi scelse i ventisette barattoli, che l'impiegato avvolse in un robusto foglio di carta e legò con lo spago.

Ciò fatto, Zeffirino stava per tornare a casa con il pacchetto in mano, quando sulla soglia della bottega si trovò a faccia a faccia con uno dei suoi pochissimi amici, batteriologo di vero merito. Immerso nei suoi pensieri, non vide l'amico, ma il batteriologo vide lui.

Page 106: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Toh, Xirdal! — esclamò con le labbra schiuse a un amichevole sorriso. — Guarda chi si vede!

Nell'udire la voce ben nota, l'interpellato si adattò ad aprire i grandi occhi sul mondo esterno.

— Toh! — disse Zeffirino come un'eco — Marcello Leroux! — In persona. — Come va? Sono proprio felice di vederti! — Sto come un uomo che è in procinto di prendere il treno. Così

come mi vedi, con questa borsa, nella quale sono contenuti tre fazzoletti e altra roba da toletta, vado di corsa al mare, ove conto di prendere una sbornia di aria libera, per otto giorni.

— Uomo fortunato! — approvò Zeffirino. — Dipende da te l'esserlo quanto me. Stringendoci un pochino,

troveremmo posto entrambi nel treno. — È vero!… — cominciò Zeffirino. — A meno che in questo momento tu non sia trattenuto a Parigi… — Niente affatto. — Non c'è nulla che ti trattenga? Nessun esperimento in corso?…

Xirdal cercò in buona fede nella sua memoria. — Nulla — rispose. — Allora lasciati tentare. Otto giorni di vacanza ci faranno un

bene enorme. Pensa a quante chiacchiere potremo fare sulla sabbia. — Senza dire — lo interruppe Zeffirino — che potrei

approfittarne per chiarire qualche punto che mi assilla a proposito delle maree, che si ricollega, da un certo punto di vista, a dei problemi che sto studiando. Pensavo proprio a questo, quando ti ho incontrato — disse con commovente sincerità.

— Allora vieni? — Sì. — Andiamo, dunque! Ma, ora che ci penso, bisognerebbe passare

prima da casa tua, e non so se l'ora del treno… — È inutile — rispose Xirdal con convinzione — ho tutto ciò che

mi occorre. E distrattamente indicò con gli occhi il pacchetto dei barattoli. — Magnifico! — concluse allegramente Leroux.

Page 107: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

I due amici si misero in cammino di buon passo, diretti alla stazione.

— Capirai, caro Leroux, io suppongo che la tensione superficiale…

Una coppia che veniva loro incontro costrinse i due amici a separarsi e il resto della frase si perdette nel baccano delle carrozze. Ma ciò non riuscì a turbare Zeffirino Xirdal, il quale proseguì, imperturbabile, la spiegazione, rivolgendosi ai passanti, con loro grande sorpresa. L'oratore non se ne rendeva conto e persisteva nella sua oratoria, continuando a fendere le onde umane dell'oceano parigino.

Intanto, mentre Xirdal, completamente perso nella sua nuova fissazione, andava in fretta a prendere il treno che lo avrebbe trasportato lontano dalla città, in via Cassette, in una camera del sesto piano, una cassa scura dall'aspetto inoffensivo continuava a borbottare con discrezione, un riflettore metallico continuava a irradiare la sua luce azzurrognola e il cilindro di pulviscolo turbinante continuava a tuffarsi, rigido e fragile, nell'ignoto dello spazio.

Lasciata a se stessa, la macchina che Zeffirino Xirdal aveva trascurato di fermare e della quale ora aveva dimenticato persino l'esistenza, continuava ciecamente il suo oscuro e misterioso lavoro.

Page 108: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XI

NEL QUALE IL SIGNOR DEAN FORSYTH E IL DOTTOR HUDELSON PROVANO UNA VIOLENTA EMOZIONE

ORMAI si sapeva tutto del bolide. L'avevano studiato da tutte le parti e se ne erano determinati la velocità, l'orbita, il volume, la massa, la natura e il valore. Non suscitava più inquietudine, dal momento che seguendo la sua traiettoria con movimento uniforme, non era destinato a cader mai sulla terra. Nulla di più naturale, dunque, che la pubblica attenzione si disto-gliesse dall'inaccessibile meteora che aveva perduto il suo mistero.

Negli osservatori, qualche astronomo dava certamente, ogni tanto, una rapida occhiata alla sfera d'oro che gravitava sul suo capo, ma presto se ne distoglieva per tornare a occuparsi di altri problemi dello spazio.

La terra aveva un secondo satellite, ecco tutto. Che il satellite fosse di ferro o d'oro, per gli scienziati la cosa non aveva importanza: per loro il mondo non è forse un'astrazione matematica?

Era increscioso che il signor Forsyth e il dottor Hudelson non possedessero anime altrettanto ingenue. La crescente indifferenza che li circondava non placava la loro febbrile immaginazione ed essi si accanivano a osservare il bolide — il loro bolide! — con una passione che confinava con la rabbia. A ogni suo passaggio, essi erano con l'occhio appiccicato all'oculare del cannocchiale o del telescopio, anche nelle ore in cui la meteora si sollevava di qualche grado appena al disopra dell'orizzonte.

Il tempo, sempre splendido, favoriva purtroppo la loro mania, consentendo loro di scorgere l'astro errante una dozzina di volte ogni ventiquattr'ore. Che dovesse cadere o meno sulla terra, le insolite caratteristiche della meteora, quelle caratteristiche che la rendevano unica e che l'avrebbero resa celebre per sempre, accrescevano il loro

Page 109: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

morboso desiderio di esserne dichiarati, ciascuno da parte sua, esclusivo scopritore.

Sarebbe stato follia, perciò, sperare nella riconciliazione dei due rivali; tra i quali, al contrario, si elevava ogni giorno una barriera di odio sempre più alta. La signora Hudelson e Francis Gordon lo comprendevano sin troppo chiaramente. Francis ora non metteva più in dubbio che lo zio si sarebbe opposto, con ogni mezzo in suo potere, al matrimonio; la signora Hudelson, da parte sua, si sentiva meno fiduciosa della docilità del marito, quando fosse venuto il gran giorno. Non c'era più da farsi illusioni. Con disperazione dei fidanzati, con rabbia di miss Loo e di Mitz, il matrimonio appariva, se non compromesso, almeno rimandato a tempo indeterminato, probabilmente a una data molto lontana.

Eppure era scritto che quella situazione, pur così grave, si sarebbe maggiormente complicata.

La sera dell'11 maggio, il signor Forsyth, che come di consueto aveva l'occhio appoggiato all'oculare del telescopio, si allontanò di colpo dallo strumento lanciando un'esclamazione soffocata; poi, dopo aver preso alcuni appunti, vi fece ritorno, per allontanarsene nuovamente e poi farvi ancora ritorno e così via. Tutto ciò ebbe termine soltanto quando il bolide sparì sotto l'orizzonte.

In quel momento il signor Forsyth, pallido come cera, respirava con grande difficoltà. Preoccupato, Omicron corse in suo aiuto, ma il padrone lo allontanò con un gesto e, con il passo malfermo dell'ubriaco, si rifugiò nello studio, ove si chiuse a chiave.

Vi rimase trenta ore senza bere né mangiare; una sola volta Francis era riuscito a forzare la porta ma appena l'aveva socchiusa, aveva visto lo zio così affranto e con tali occhi da demente da fermarsi, interdetto, sulla soglia.

— Che cosa vuoi? — aveva chiesto il signor Forsyth. — Ma zio… — aveva esclamato Francis — sono ventiquattr'ore

che non venite giù! Lasciate almeno che vi porti da mangiare! — Non ho bisogno di nulla — aveva risposto il signor Forsyth. —

Mi occorrono calma e silenzio; ti prego di non disturbare la mia solitudine!

Page 110: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

La risposta era stata formulata con grande fermezza e, nel contempo, con una dolcezza alla quale Francis non era abituato; al giovane era venuto meno il coraggio d'insistere. Del resto, non sarebbe stato facile, perché la porta era stata subito richiusa ed egli aveva dovuto ritirarsi senza aver saputo nulla.

La mattina del 13 maggio, antivigilia delle nozze, Francis ripeteva, per la ventesima volta, questo nuovo motivo di preoccupazione alla signora Hudelson, la quale lo ascoltava sospirando.

— Non ci capisco nulla — disse ella alla fine. — C'è da credere che il signor Forsyth e mio marito siano diventati matti.

— Perché vostro marito? — esclamò Francis. — Sarebbe accaduto qualcosa anche al dottore?

— Proprio così — confessò la signora Hudelson. — Se si fossero messi d'accordo, vostro zio e mio marito non avrebbero potuto comportarsi altrimenti. La crisi di mio marito è cominciata dopo, ecco tutto. Soltanto da ieri mattina; è da allora che è chiuso nel suo studio. Nessuno lo ha più visto. Potete immaginare la nostra inquietudine.

— C'è da perdere la testa! — esclamò Francis. — Ciò che mi dite del signor Forsyth — riprese a dire la signora

Hudelson — mi fa supporre che tutti e due abbiano fatto, contemporaneamente, una nuova scoperta riguardo a quel maledetto bolide. Non ne traggo alcun buon auspicio per il loro stato d'animo.

— Se fossi io la padrona! — disse Loo. — Che faresti, cara sorellina? — chiese Francis. — Manderei quella orribile palla d'oro a passeggiare lontano, in

modo che i migliori cannocchiali non potessero più vederla! La scomparsa del bolide forse avrebbe effettivamente restituito la

calma al signor Forsyth e al dottor Hudelson. Se la meteora fosse partita per non fare più ritorno, forse la loro assurda gelosia sarebbe scomparsa di colpo.

Ma non sembrava che un'eventualità del genere dovesse verificarsi. Il bolide sarebbe stato là il giorno del matrimonio e chissà ancora per quanto tempo avrebbe continuato a gravitare con regolarità sulla sua orbita.

Page 111: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Vedremo, comunque — concluse Francis. — Entro quarantott'ore dovranno prendere una decisione definitiva; sapremo allora che cosa pensare.

Del resto, tornato a casa, si convinse che il nuovo incidente non avrebbe avuto alcun seguito preoccupante; il signor Forsyth era uscito alla fine dal suo isolamento e aveva divorato in silenzio un pasto copioso. Stanco e a stomaco pieno, ora dormiva a pugni chiusi, mentre Omicron era andato a fare una commissione per conto del padrone.

— Hai visto lo zio, prima che si addormentasse? — chiese Francis alla domestica.

— Come vedo te, ragazzo mio — rispose Mitz. — Gli ho dato da mangiare.

— Aveva fame? — Fame da lupo; ha divorato tutto: uova strapazzate, roast-beef,

patate, pudding alla frutta9… Non ha lasciato nulla. — Com'era? — Non troppo male; era pallido come uno scettro e aveva gli

occhi rossi. Gli ho detto di lavarli con l'acqua borrica, ma pareva che non mi ascoltasse.

— Ha detto qualcosa per me? — Né per te né per altri. Ha mangiato senza aprire la bocca ed è

andato a coricarsi dopo aver mandato l'Ami Krone al Whaston Standard.

— Al giornale! — esclamò Francis. — Avrà comunicato alla stampa il risultato del suo lavoro, ci scommetterei! Ora ricominceranno le polemiche sui quotidiani! Ci mancava anche questo!

Francis lesse la mattina dopo, con desolazione, ciò che il signor Forsyth aveva scritto al Whaston Standard: il caso aveva fornito nuovo alimento a una rivalità che si era già rivelata dannosa alla sua felicità. La sua desolazione si accrebbe quando ebbe constatato che i due rivali arrivavano dead beat10 ancora una volta. Mentre lo Standard pubblicava la comunicazione del signor Forsyth, il 9 Una specie di budino. (N.d.T.) 10 Pari al traguardo. (N.d.T.)

Page 112: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Whaston Morning ne pubblicava un'altra consimile del dottor Hudelson. La lotta continuava, accanita, dunque; nessuno dei due combattenti era riuscito, fin allora, ad assicurarsi un qualsiasi vantaggio.

Eguali all'inizio, le comunicazioni dei due astronomi differivano notevolmente nelle conclusioni. La diversità di vedute, che non mancò di suscitare controversie, poteva del resto essere utile a uno dei due permettendogli di assicurarsi la supremazia.

Contemporaneamente a Francis, tutta Whaston, e contemporaneamente a Whaston, il mondo intero, attraverso il quale essa fu subito diffusa dalla fitta rete di fili telegrafici e telefonici, appresero la sorprendente notizia data al pubblico dagli astronomi di Elisabeth Street e di Moriss Street, suscitando immediatamente i più appassionati commenti sull'argomento.

Il lettore giudicherà da sé come la notizia fosse sconvolgente e l'emozione pubblica giustificata.

Il signor Forsyth e il dottor Hudelson cominciavano con il dire che le loro incessanti osservazioni avevano consentito di rilevare un'incontestabile perturbazione nel cammino del bolide. La sua orbita, fin allora esattamente nord-sud, era ora lievemente piegata verso nord-est-sud-ovest. Una modifica molto più importante era stata anche rilevata riguardo alla sua distanza dal suolo, lievemente ma incontestabilmente diminuita, senza che la velocità di traslazione fosse aumentata. Da quelle osservazioni e dai calcoli eseguiti, i due astronomi concludevano che la meteora, invece di seguire un'orbita eterna, sarebbe necessariamente caduta sulla terra, in un punto e a una data che sarebbe stato possibile precisare sin da ora.

Se fino a questo punto i due astronomi erano d'accordo, cessavano però dall'esserlo nel seguito.

Mentre le dotte equazioni dell'uno lo inducevano a predire che il bolide sarebbe caduto il 28 giugno sull'estremità meridionale del Giappone, le equazioni non meno dotte dell'altro lo inducevano ad affermare che la sua caduta sarebbe avvenuta il 7 luglio, in un punto della Patagonia.

Ecco come vanno d'accordo gli astronomi! Al pubblico, la scelta!

Page 113: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Per il momento il pubblico non pensava affatto a scegliere. Lo interessava soltanto il fatto che l'asteroide sarebbe caduto e, con esso, sarebbero caduti sulla terra le migliaia di miliardi che portava in giro nello spazio. Questo era il fatto essenziale: per il resto, in Giappone, in Patagonia o altrove, i miliardi si sarebbero sempre ritrovati!

Le conseguenze di un fatto del genere, lo sconquasso economico che tanto afflusso d'oro non avrebbe mancato di provocare, costituivano l'argomento di ogni conversazione. I ricchi per lo più erano desolati, pensando al probabile svilimento delle loro sostanze; i poveri erano invece felici, per la prospettiva presumibilmente errata di avere una parte della torta.

Francis ne fu sinceramente disperato; che cosa gli importava dei miliardi e dei trilioni? Il solo bene che egli desiderasse era la sua cara Jenny, tesoro infinitamente più prezioso del bolide.

Corse alla casa di Moriss Street; la cattiva notizia era giunta anche là e tutti ne comprendevano le spiacevoli conseguenze. La lite sarebbe stata inevitabile tra i due insensati che si attribuivano diritti su un astro del cielo, ora che all'amor proprio professionale si aggiungeva l'interesse materiale.

Quanti sospiri emise Francis, stringendo le mani della signora Hudelson e delle sue care figliuole! Quante volte la collera fece battere i piedi a terra alla furibonda Loo! Quante lagrime versò la bellissima Jenny! lagrime che sorella, madre e fidanzato cercarono inutilmente di asciugare, anche quando quest'ultimo ebbe affermato solennemente la sua incrollabile fedeltà e giurato di aspettare, se necessario, fino al giorno in cui l'ultimo soldo dei 5.788 miliardi fosse stato speso dal definitivo proprietario della favolosa meteora: giuramento imprudente che, secondo ogni apparenza, lo avrebbe condannato a un eterno celibato.

Page 114: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 115: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XII

NEL QUALE LA SIGNORA ARCADIA STANFORT ASPETTA A SUA VOLTA NON SENZA VIVA IMPAZIENZA E IN CUI IL SIGNOR JOHN

PROTH SI DICHIARA INCOMPETENTE

QUELLA mattina il giudice Proth guardava dalla finestra, mentre la domestica andava avanti e indietro nella camera. Che il bolide passasse o meno al disopra di Whaston non lo angustiava minimamente. Non avendo preoccupazioni di alcun genere, egli percorreva con lo sguardo la piazza della Costituzione, sulla quale si apriva la porta principale della sua tranquilla dimora.

Ma ciò che il signor Proth riteneva privo d'interesse non mancava di avere importanza agli occhi di Kate.

— Dunque, sarebbe d'oro — chiese al padrone. — Sembra — rispose il giudice. — A quanto pare, la cosa non ha importanza, per voi. — Come vedete, Kate… — Eppure, se è d'oro, deve valere molti milioni! — Molti miliardi, Kate. Sono miliardi quelli che passeggiano sul

nostro capo. — E che stanno per cadere! — Così dicono, Kate. — Pensate, signore: non ci saranno più poveri sulla terra! — Ce ne saranno quanti ve ne sono adesso, Kate. — Eppure… — Ciò richiederebbe troppe spiegazioni… E poi, Kate, avete

un'idea del miliardo? — Il miliardo è… è… — Mille volte un milione. — Tanto!

Page 116: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Sì, Kate; se viveste cent'anni, non avreste il tempo di contare un miliardo, anche a dedicarvi dieci ore al giorno.

— E possibile! — E certo. La domestica parve annientata al pensiero che un secolo non

sarebbe bastato per contare un miliardo; poi riprese scopa e piumino e si rimise all' opera, fermandosi spesso: sembrava immersa in profonde riflessioni.

— Quanto spetterebbe a ciascuno? — Di che cosa, Kate? — Del bolide, se fosse diviso in parti eguali, fra tutti. — Bisogna fare il calcolo, Kate — rispose il giudice. Il signor

Proth prese carta e matita. — Ammettendo — disse — che la terra abbia un miliardo e

mezzo di abitanti, ciò farebbe… farebbe… 3.859,20 franchi a testa. — Così poco! — disse Kate, delusa. — Così poco — affermò il signor Proth, mentre Kate guardava il

cielo con aria sognante. Quando si decise a tornare sulla terra, ella vide all'angolo di

Exeter Street due persone, sulle quali richiamò l'attenzione del giudice.

— Guardate quelle due signore che aspettano, laggiù. — Le vedo, Kate. — Guardate la più alta, quella che pesta i piedi per l'impazienza. — Pesta i piedi, è vero, Kate. Ma non so chi sia. — E quella che voi avete sposato, un paio di mesi fa, e che non è

neppure scesa da cavallo. — La signorina Arcadia Walker? — chiese il giudice. — Ora è la signora Stanfort. — E proprio lei, infatti. — Che cosa viene a fare qui? — Non ne ho idea — rispose il signor Proth — e non darei un

farthing11 per saperlo. — Avrà forse bisogno ancora di voi?

11 Monetina spicciola, pari al centesimo. (N.d.T.)

Page 117: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Non è probabile; la bigamia non è consentita sul territorio dell'Unione — disse il giudice, chiudendo la finestra. — Comunque sia, bisogna che mi rechi senza perder tempo al Palazzo di Giustizia, dove oggi si discute un'importante causa che riguarda proprio il bolide. Se quella signora venisse a chiedere di me, le direte che mi rincresce di non essere in casa.

E il signor Proth, che si era preparato, discese le scale con passo tranquillo e uscì dalla porticina che dava sulla Potomac Street, per poi sparire nel Palazzo di Giustizia, che s'innalzava di fronte a casa sua.

Kate non si era sbagliata; era proprio la signora Arcadia Stanfort quella che si trovava a Whaston, quella mattina, insieme con Bertha, sua cameriera. Entrambe andavano su e giù con impazienza, seguendo con gli occhi Exeter Street.

L'orologio del municipio sonò le dieci. — Non è ancora qui! — esclamò la signora Arcadia. — Forse non si è più ricordato del giorno dell'appuntamento — le

suggerì Bertha. — Non è possibile! — ripeté la giovane indignata. — A meno che non ci abbia ripensato… — aggiunse Bertha. — Ripensato! — ripeté la padrona, con accresciuta indignazione.

Fece alcuni passi verso Exeter Street, seguita dalla cameriera. — Lo vedi? — chiese con impazienza qualche minuto dopo. — No, signora. — Questa è grossa! La signora Stanfort tornò indietro. — Ancora non si vede! — ripeteva. — Mi fa aspettare, nonostante

i nostri accordi! Eppure, oggi è proprio il 18 maggio! — Sì, signora. — Quanto manca alle dieci e mezzo? — Dieci minuti. — Che non pensi di farmi perdere la pazienza! Rimarrò qui tutto

il giorno… e anche più, se necessario! Il personale degli alberghi della piazza avrebbe potuto notare

l'agitazione della giovane, come due mesi prima aveva notato le impazienze del cavaliere, che allora ne spiava l'arrivo per condurla

Page 118: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

dinanzi al magistrato. Ora, però, tutti: uomini, donne e bambini, pensavano ad altro; a qualcosa alla quale, in quella città, la signora Stanfort era la sola a non pensare. Non ci si occupava che della meravigliosa meteora, del suo passaggio, della sua caduta preannunciata per un giorno stabilito — anche se diverso — dai due astronomi cittadini. I gruppetti raccolti sulla piazza e il personale di servizio sulla soglia degli alberghi non si preoccupavano della presenza della signora Stanfort. Noi non sappiamo se, come sembra stabilito dalla credenza popolare, la luna eserciti un certo influsso sui cervelli umani. Ci sia consentito affermare, comunque, che la terra contava allora un prodigioso numero di «meteorici», i quali dimenticavano persino di bere e di mangiare al pensiero che un bolide del valore di tanti miliardi passeggiasse sul loro capo e che un giorno quel bolide sarebbe venuto a cadere sulla terra.

La signora Stanfort aveva evidentemente altre preoccupazioni. — Lo vedi, Bertha? — chiedeva a ogni istante. — No, signora. In quel momento alcune grida si elevarono all'estremità della

piazza, richiamando i passanti da quella parte. Poiché alcune centinaia di persone erano accorse dalle vie vicine, l'assembramento si fece in breve tempo notevole. Nel contempo, le finestre degli alberghi si riempivano di curiosi.

— Eccolo! Eccolo! Quelle parole che volavano di bocca in bocca rispondevano così

bene all'impazienza della signora Stanfort da indurla a esclamare: «Finalmente!» come se fossero state rivolte a lei.

— No, signora — fu costretta a dirle la cameriera — queste grida non vi riguardano.

E a dire il vero, per quale motivo la folla avrebbe acclamato la persona che la signora Stanfort aspettava? Perché mai avrebbe dovuto notarne l'arrivo?

Del resto, tutte le braccia si tendevano verso il cielo e tutti gli sguardi si volgevano verso la parte settentrionale dell'orizzonte. Era forse il famoso bolide che faceva la sua apparizione al disopra della città? Gli abitanti si erano forse riuniti sulla piazza per salutarne il passaggio?

Page 119: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

No; a quell'ora il bolide solcava lo spazio nell'altro emisfero. Del resto, quand'anche avesse solcato lo spazio al disopra dell'orizzonte, non sarebbe stato possibile scorgerlo a occhio nudo, in pieno giorno.

A chi erano rivolte, dunque, le acclamazioni della folla? — Un pallone, signora! Guardate! — disse Bertha. — Eccolo! è

dietro il campanile di Sant'Andrea! Salutato dagli applausi della folla, un aerostato scendeva infatti

dalle alte zone dell'atmosfera. Perché mai quegli applausi? Quell'ascensione offriva forse particolare interesse? C'era qualche motivo perché la gente le facesse tale accoglienza?

A dire il vero, il motivo c'era. La sera precedente il pallone si era alzato da una vicina città, con

a bordo il celebre aeronauta Walter Vragg, accompagnato da un aiutante. L'ascensione aveva il solo scopo di osservare il bolide da condizioni più favorevoli: tale era la causa dell'entusiasmo della folla, ansiosa di conoscere i risultati dell'originale tentativo.

Decisa l'ascensione, il signor Forsyth aveva chiesto ovviamente di farne parte, con grande preoccupazione della buona Mitz; altrettanto ovviamente, egli si era trovato di fronte il dottor Hudelson, il quale avanzava eguale pretesa, con non meno preoccupazione della moglie. Poiché l'aeronauta poteva portare con sé un solo passeggero, la situazione si presentava molto delicata. Ne nacque una disputa epistolare tra i due rivali, i quali esibivano eguali titoli. Alla fine erano stati scartati entrambi, a beneficio di una terza persona, che Vragg presentava come suo aiutante e del quale diceva di non potere fare a meno.

Un lieve venticello ora riportava l'aerostato sopra la città, i cui abitanti si proponevano di fare agli aeronauti trionfali accoglienze.

Sospinto da lievissima brezza, il pallone, proseguendo la sua tranquilla discesa, prese terra in mezzo alla piazza della Costituzione. Cento mani afferrarono subito la navicella, mentre Walter Vragg e il suo aiutante saltavano a terra.

Quest'ultimo lasciò che il suo capo si occupasse della delicata manovra dello sgonfiamento e andò, con passo rapido, verso la signora Stanfort.

Quando le fu vicino le disse, inchinandosi:

Page 120: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Eccomi, signora. — Sono le dieci e trentacinque — disse seccamente la signora

Stanfort, indicando il quadrante dell'orologio municipale. — Il nostro appuntamento era per le dieci e mezzo, lo so — disse

il nuovo venuto con deferente cortesia. — Vi prego di scusarmi; gli aerostati non sempre obbediscono alla nostra volontà con la precisione che sarebbe auspicabile.

— Non mi sono sbagliata, dunque? Eravate in quel pallone, con Walter Vragg?

— Non vi siete sbagliata. — Mi spiegherete?… — Nulla di più semplice. Ho voluto essere originale giungendo

così all'appuntamento, ecco tutto. Ho comprato a colpi di dollari un posto sulla navicella, contro promessa da parte di Vragg di portarmi qui alle dieci e mezzo precise. Credo che si possa perdonargli il ritardo di cinque minuti.

— Possiamo perdonargli — concesse la signora Stanfort — dal momento che siete qui. Immagino che non abbiate cambiato idea.

— Niente affatto. — Ritenete sempre che agiamo saggiamente rinunciando alla vita

in comune? — Tale è la mia opinione. — Io penso che non siamo fatti l'uno per l'altra. — Sono del vostro parere. Ovviamente, signora Stanfort, sono ben

lontano dal disconoscere i vostri meriti… — I vostri io li apprezzo al loro giusto valore. — Ci si può stimare e non piacersi. La stima non è amore: non

potrebbe rendere tollerabile una sì grande incompatibilità di caratteri. — Le vostre parole sono oro. — E evidente che se ci fossimo amati… — Oggi le cose sarebbero differenti. — Ma non ci amiamo. — E persino troppo certo. Ci siamo sposati senza conoscerci e

abbiamo avuto alcune delusioni, da una parte e dall'altra:.. Se noi avessimo fatto qualcosa capace di accendere la nostra immaginazione, le cose non sarebbero forse al punto in cui sono.

Page 121: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Purtroppo non è andata così. Non avete avuto l'occasione di sacrificare il vostro patrimonio per evitarmi la rovina.

— Lo avrei fatto, signor Stanfort. Da parte vostra, non vi è stato dato di salvare la mia vita a rischio della vostra.

— Non avrei esitato a farlo, signora Arcadia. — Ne sono persuasa, ma l'occasione non si è presentata. Eravamo

estranei l'uno all'altra e tali siamo rimasti. — È deplorevole, ma esatto. — Avevamo creduto di avere gli stessi gusti, quanto meno

riguardo ai viaggi… — E non siamo stati mai d'accordo sulla direzione da prendere! — Infatti, quando io desideravo andare al sud, voi volevate andare

al nord. — E quando io intendevo andare all'ovest, voi preferivate andare

all'est! — Questa faccenda del bolide ha fatto traboccare il vaso. — Proprio così. — Siete sempre deciso a schierarvi dalla parte del signor Forsyth? — Sempre. — E a partire per il Giappone, allo scopo di assistere alla caduta

della meteora? — Sì. — Così come io sono decisa a seguire l'opinione del dottor

Hudelson… — E ad andare in Patagonia… — Non esiste alcuna possibilità di conciliazione. — Non ne esiste. — Non ci resta che una cosa da fare, dunque. — Una sola! — Recarci dal giudice. — Vi seguo, signora. Entrambi sulla stessa linea, a distanza di tre passi, andarono verso

la casa del giudice, seguiti a rispettosa distanza da Bertha. La vecchia Kate era sulla soglia.

— Il signor Proth? — chiesero insieme i signori Stanfort. — Non c'è — rispose Kate.

Page 122: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

I visi dei due sposi si allungarono nello stesso tempo. — Tornerà presto? — chiese la signora Stanfort. — Tornerà all'ora di pranzo — disse Kate. — A che ora pranza? — All'una. — Torneremo all'una — dissero all'unisono i signori Stanfort,

allontanandosi. Raggiunto il centro della piazza, ancora ingombro dal pallone di Vragg, si fermarono per un istante.

— Abbiamo due ore da lasciar trascorrere — disse la signora Arcadia.

— Due ore e un quarto — precisò il signor Stanfort. — Volete che queste due ore si trascorrano insieme? — Se avrete la bontà di acconsentirvi. — Che direste di una passeggiata sulle rive del Potomac? — Stavo per proporvelo. Marito e moglie cominciarono ad allontanarsi in direzione di

Exeter Street, ma si fermarono dopo tre passi. — Permettete un'osservazione? — chiese il signor Stanfort. — Dite — rispose la signora Arcadia. — Volevo constatare che siamo d'accordo: è la prima volta che

ciò accade. — E anche l'ultima! — rispose la giovane rimettendosi in

cammino. Per raggiungere Exeter Street, marito e moglie dovettero aprirsi un varco tra la folla raccolta intorno all'aerostato. E se la folla non era più fitta, se tutti gli abitanti di Whaston non erano raccolti sulla piazza della Costituzione, era perché un avvenimento molto più importante assorbiva l'interesse della città. Sin dalle prime ore del mattino, la popolazione era andata al Palazzo di Giustizia, dinanzi al quale una lunghissima coda era cominciata a formarsi. Non appena aperte le porte, la gente si era precipitata tumultuosamente nella sala del Tribunale, affollandola in un batter d'occhio. Coloro che non avevano potuto trovarvi posto erano stati costretti a uscirne: a titolo d'indennizzo, gli sfortunati avevano potuto assistere sulla piazza all'atterraggio del pallone di Walter Vragg.

Anch'essi però avrebbero preferito trovarsi tra coloro che affollavano la sala del Tribunale, ove si discuteva in quel momento la

Page 123: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

più importante causa che mai fosse stata sottoposta, in passato, all'esame dei giudici.

Il delirio delle folle era sembrato arrivare agli estremi limiti quando l'osservatorio di Parigi aveva fatto conoscere che il bolide, o quanto meno il suo nocciolo, era composto d'oro puro. Ma quel delirio non reggeva il paragone con quello manifestatosi in tutti gli angoli della terra, quando i signori Forsyth e Hudelson avevano affermato categoricamente che l'asteroide sarebbe caduto. I casi di follia che si manifestarono in quella circostanza furono innumerevoli, e non vi fu manicomio che dopo poco tempo riuscisse ad accogliere altri ospiti.

Ma fra tutti quei matti, i più matti erano certamente gli autori di quell'agitazione collettiva.

Fin allora, nessuno dei due aveva pensato a questa conseguenza. Se avevano preteso entrambi la priorità della scoperta del bolide, non era a causa del suo valore e dei miliardi, di cui nessuno avrebbe avuto mai nulla, ma esclusivamente per dare il proprio nome a quell'importante fatto astronomico.

La situazione mutò di colpo dopo che essi ebbero constatato, nel corso della notte dall'11 al 12 maggio, il mutamento sopraggiunto nella corsa della meteora. Una questione più scottante s'impose subito alla loro mente.

A chi sarebbe appartenuto il bolide dopo la sua caduta? A chi sarebbero andati i trilioni del nocciolo, che ora appariva circondato da una scintillante aureola? Scomparsa l'aureola — del resto, a che cosa sarebbero serviti i raggi impalpabili? — il nocciolo sarebbe rimasto, per essere convertito in moneta sonante.

A chi sarebbe appartenuto? — A me! — aveva esclamato il signor Forsyth, senza esitare. —

A me, che per primo ho segnalato la sua presenza! — A me! — aveva esclamato con altrettanta convinzione il dottor

Hudelson — perché sono stato io a scoprirlo! I due matti non avevano mancato di far valere quelle pretese

contrastanti per mezzo della stampa. I quotidiani di Whaston avevano ospitato per due giorni l'abbondante e irritata prosa dei due avversari, i quali si scagliarono l'un l'altro i più svariati epiteti, a

Page 124: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

proposito dell'inaccessibile bolide che sembrava prendersi giuoco di loro, dall'alto dei suoi quattrocento chilometri.

E facile capire che, in una situazione del genere, non si poteva più parlare di matrimonio. La data del 15 maggio trascorse, perciò, senza che Francis e Jenny avessero cessato di essere fidanzati.

Potevano, anzi, ritenersi ancora fidanzati? Al nipote, che cercava di fare presso di lui un ultimo tentativo, il signor Forsyth aveva risposto testualmente:

— Ritengo il dottore un miserabile; non darò mai il mio consenso al tuo matrimonio con la figlia di un Hudelson!

Quasi alla stessa ora, il dottor Hudelson troncava brevemente le lagnanze della figlia con queste parole:

— Lo zio di Francis è un disonesto; mia figlia non sposerà mai il nipote di un Forsyth!

Fu necessario inchinarsi alla volontà dei due rivali. L'ascensione di Walter Vragg aveva fornito un'altra occasione di

manifestarsi all'odio che i due astronomi nutrivano l'uno per l'altro. Nelle lettere, immediatamente pubblicate dalla stampa avida di scandali le espressioni adoperate da una parte e dall'altra furono di inaudita violenza, e non certo tali da migliorare la situazione.

Ma insultarsi non serve a niente. Quando non si è d'accordo, non rimane che agire come si fa di solito in casi del genere: affidarsi alla Giustizia. È il solo modo per risolvere una questione, e anche il migliore.

I due antagonisti avevano finito per convenirne. Ecco perché, il 17 maggio, un'ingiunzione a comparire il giorno

dopo dinanzi al Tribunale dell'eminente signor John Proth, era stata diretta dal signor Forsyth al dottor Hudelson; ed ecco perché una identica ingiunzione era stata immediatamente mandata dal dottor Hudelson al signor Forsyth; ed ecco, infine, perché quella mattina — 18 maggio — una folla rumorosa e trepidante aveva invaso la pretura.

Il signor Forsyth e il signor Hudelson erano presenti; citatisi reciprocamente dinanzi al giudice, i due rivali si ritrovarono l'uno di fronte all'altro.

Page 125: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

All'inizio dell'udienza varie cause erano state discusse e le parti, giunte con il pugno alzato minacciosamente, avevano poi lasciato la sala sottobraccio, con grande soddisfazione del signor Proth. Sarebbe accaduta la stessa cosa con i due avversari che stavano per presentarsi dinanzi a lui?

— La causa seguente — ordinò il giudice. — Forsyth contro Hudelson e Hudelson contro Forsyth — chiamò

il cancelliere. — I signori si avvicinino — disse il giudice, raddrizzandosi. Il signor Forsyth e il signor Hudelson si fecero avanti tra gruppi di

partigiani che facevano loro da scorta e si ritrovarono davanti al giudice, l'uno accanto all'altro. Si squadrarono con occhi fiammeggianti e con le mani contratte, come due cannoni carichi sino alla bocca, pronti a esplodere.

— Di che cosa si tratta? — chiese il giudice, pur sapendo perfettamente di che cosa si trattasse.

Il signor Forsyth prese per primo la parola. — Vengo per far valere i miei diritti… — Ed io, i miei — lo interruppe subito il signor Hudelson. Ebbe così inizio un continuo e assordante duetto, nel quale si

cantava in perpetua dissonanza, contro le regole dell'armonia. Il signor Proth batté subito un certo numero di colpi sulla sua

scrivania servendosi di un tagliacarte d'avorio, così come avrebbe fatto un direttore d'orchestra con la sua bacchetta, per mettere fine a un'insopportabile cacofonia.

— Per favore, signori — disse — spiegatevi uno alla volta! Seguendo l'ordine alfabetico, do la parola al signor Forsyth. Il signor Hudelson risponderà poi, a suo comodo.

Il signor Forsyth cominciò per primo a esporre i fatti, mentre il dottor Hudelson si conteneva a stento. Egli narrò che il 16 marzo, alle sette, trentasette minuti e venti secondi, trovandosi in osservazione nella sua torre di Elisabeth Street, aveva scorto un bolide che attraversava il cielo da nord a sud. Aveva poi seguito la meteora fino a quando era stata visibile e, qualche giorno dopo, aveva scritto all'osservatorio di Pittsburgh per segnalarne la scoperta e stabilirne la priorità.

Page 126: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Quando gli fu concesso di parlare, il dottor Hudelson diede necessariamente l'identica spiegazione, per cui dopo queste due arringhe, il signor Proth doveva saperne quanto prima; tuttavia sembrarono bastargli perché, invece di chiedere altre spiegazioni, chiese con gesto mellifluo il silenzio e, dopo averlo ottenuto, diede lettura della sentenza, che aveva già redatto mentre i due avversari esponevano le loro ragioni.

«Considerato da una parte -» diceva la sentenza «- che il signor Dean Forsyth dichiara di avere scorto un bolide che attraversava l'atmosfera al disopra di Whaston il 16 marzo, alle sette, trentasette minuti e venti secondi del mattino;

«Considerato d'altra parte che il signor Sydney Hudelson dichiara di avere scorto lo stesso bolide alla stessa ora, allo stesso minuto e allo stesso secondo.»

— Sì! Sì! — gridarono i partigiani del dottor Hudelson, sollevando freneticamente i pugni verso il cielo.

— No! No! — gridarono i partigiani del signor Forsyth, pestando i piedi sul pavimento.

«Atteso che l'istanza avanzata poggia su una questione di minuti e di secondi e che essa è d'ordine esclusivamente scientifico;

«Atteso che non esiste articolo di legge applicabile alla priorità di una scoperta astronomica;

«Per questi motivi ci dichiariamo incompetenti e condanniamo le due parti a pagare in solido le spese.»

Il magistrato non poteva, ovviamente, decidere in altro modo. Del resto — e tale era forse l'intenzione del giudice — i litiganti

essendo voltati schiena contro schiena, non c'era da temere che in questa posizione si abbandonassero ad atti di reciproca violenza; e questa era già una buona cosa.

Ma né i litiganti né i loro sostenitori volevano che la faccenda terminasse in quel modo. Se il signor Proth aveva sperato di cavarsela con una dichiarazione d'incompetenza, si sbagliava di grosso.

Due voci dominarono il mormorio che aveva accolto la sentenza. — Domando la parola! — esclamarono contemporaneamente il

signor Forsyth e il dottor Hudelson.

Page 127: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Benché io non debba ritornare sulla mia sentenza — rispose il magistrato con l'amabilità che non lo abbandonava mai, nemmeno nelle circostanze più gravi — accordo volentieri la parola al signor Forsyth e al dottor Hudelson, a condizione che essi la prendano l'uno dopo l'altro.

Era chiedere troppo ai due rivali: essi risposero insieme, con eguale speditezza ed eguale veemenza di linguaggio, nessuno dei due volendo restare indietro di una sola parola o di una sillaba sull'altro.

Il signor Proth si rese conto che sarebbe stato meglio lasciarli sfogare e si sforzò di ascoltarli. Alla fine riuscì a capire il senso dei loro nuovi argomenti. Non si trattava più di una questione astronomica, ma di una questione di interessi, di una rivendicazione di proprietà. In una parola, poiché il bolide doveva cadere, a chi sarebbe appartenuto? Al signor Forsyth oppure al dottor Hudelson?

— Al signor Forsyth! — gridarono i partigiani della torre. — Al dottor Hudelson! — gridarono i partigiani del torrione. Il signor Proth, il cui viso si era illuminato di un incantevole

sorriso di filosofo, reclamò il silenzio. Poiché l'interesse della folla era vivissimo, l'ottenne immediatamente.

— Signori — disse — mi permetterete prima di tutto di darvi un consiglio. Nel caso in cui il bolide dovesse cadere…

— Cadrà! — ripeterono più volte i partigiani dei due astronomi. — Sia pure — concesse il magistrato con condiscendente cortesia

(cortesia della quale la magistratura non dà sempre l'esempio, neppure in America) — per conto mio, non ci vedo alcun inconveniente; spero soltanto che non cada sui fiori del mio giardino.

Alcuni sorrisero tra la folla e il signor Proth approfittò di quel momento di distensione per rivolgere uno sguardo benevolo ai due litiganti. Ohimè! benevolenza sprecata. Addomesticare tigri assetate di sangue sarebbe stato più facile che riconciliare gli irreconciliabili litiganti.

— In tal caso — disse il paterno magistrato — poiché il bolide è di elevatissimo valore, io vi suggerirei di condividerne la proprietà.

— Mai! Quella parola, che negava, si alzò dalla folla. Mai il signor

Forsyth e il signor Hudelson avrebbero acconsentito alla divisione.

Page 128: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

La divisione avrebbe reso a ciascuno dei due circa tre trilioni di franchi; ma non ci sono trilioni che tengano dinanzi a una faccenda di amor proprio.

Il signor Proth, conoscendo le umane debolezze, non fu per nulla sorpreso che il suo consiglio, per quanto saggio, non ottenesse il consenso unanime dei presenti. Non si scompose e attese che il tumulto si fosse placato.

— Poiché qualsiasi conciliazione risulta impossibile — disse, non appena riuscì a farsi ascoltare — il Tribunale emetterà la sua sentenza.

Seguì un profondo silenzio, quasi per incanto; nessuno osò interrompere il signor Proth, il quale cominciò a dettare al cancelliere quanto segue:

«Il Tribunale, «Udite le parti nelle loro arringhe di difesa; «Considerato che le prove prodotte hanno lo stesso valore da una

parte e dall'altra e sono confortate da eguali argomenti; «Atteso che dalla scoperta di una meteora non ne consegue

necessariamente il diritto di proprietà su di essa; che la legge è muta a questo proposito e che, in mancanza della legge, nulla esiste di analogo nella giurisprudenza;

«Atteso che l'esercizio di questo preteso diritto, se fondato, potrebbe, a motivo delle circostanze particolari della causa, urtarsi nella fattispecie contro insormontabili difficoltà e che qualsiasi giudizio rischierebbe di restare lettera morta: la qualcosa, con grande pregiudizio dei principi sui quali riposa la società civilizzata, sarebbe di natura tale da diminuire, nello spirito pubblico, la giusta autorità della cosa giudicata;

«Atteso che in una faccenda così particolare occorre agire con prudenza e circospezione;

«Atteso infine che la vertenza poggia, quali che siano le affermazioni delle parti, su un avvenimento ipotetico che potrebbe benissimo non aver luogo; che la meteora potrebbe cadere nel mare che ricopre i tre quarti del nostro globo e che, nell'uno o nell'altro caso, la causa dovrebbe essere cancellata dal ruolo per la scomparsa della materia del contendere;

Page 129: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

«Per i suddetti motivi, «Si rimanda il giudizio a dopo la effettiva caduta del bolide,

debitamente constatata». L'udienza era terminata. L'uditorio era rimasto impressionato dai saggi «Atteso che» del

signor Proth. In realtà, era possibile che il bolide cadesse in mare, dal quale bisognava rinunciare a ripescarlo. D'altra parte, a quali «difficoltà insormontabili» il giudice aveva fatto allusione? Qual era il significato di quelle parole?

Tali considerazioni inducevano a riflettere e la riflessione placa, di solito, gli animi sovreccitati.

Bisogna supporre che il signor Forsyth e il signor Hudelson non riflettessero abbastanza, dal momento che i loro animi erano ben lungi dal placarsi. Dalle due estremità della sala, si mostravano reciprocamente il pugno, arringando i propri sostenitori.

— Non intendo dare un giudizio su questa sentenza — gridava Forsyth ad altissima voce — ma essa è insensata!

— Questa sentenza è assurda — urlava nel contempo Hudelson. — Come può dire che il mio bolide non cadrà? — Come può dubitare della caduta del mio bolide? — Cadrà dove io ho previsto! — Io ho già stabilito il luogo della sua caduta! — Poiché non riesco a farmi rendere giustizia… — Poiché mi si nega giustizia… — Parto questa sera per difendere i miei diritti fino all'ultimo… — Difenderò il mio diritto sino in fondo; partirò questa sera… — Andrò in Giappone! — urlò Forsyth. — Andrò in Patagonia!— urlò nel contempo il dottore. — Evviva! — risposero come un sol uomo i due campi avversari.

Quando tutti furono usciti, la folla si divise in due gruppi, ai quali si unirono i curiosi che non avevano potuto trovare posto nella sala delle udienze. Vi fu un bel chiasso; grida, provocazioni, minacce. Le vie di fatto non erano lontane: era evidente che i partigiani del signor Forsyth avrebbero voluto linciare il dottor Hudelson, e quelli del dottore morivano dalla voglia di linciare il signor Forsyth, la

Page 130: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

qualcosa sarebbe stato un modo ultraamericano di mettere fine alla faccenda.

Le autorità avevano preso, per fortuna, opportune precauzioni e numerosi poliziotti intervennero risolutamente per separare i contendenti.

Non appena gli avversari furono separati, la loro rabbia si placò. Ma poiché bisognava avere un pretesto per fare del chiasso, cessarono di urlare contro il capo del partito avverso e continuarono a gridare in onore di colui del quale avevano adottato la bandiera.

— Evviva Dean Forsyth! — Evviva Hudelson! Quegli evviva s'incrociavano come scoppi di tuono e presto si

fusero in un solo ruggito. — Alla stazione! — urlarono i due partiti, finalmente d'accordo.

Subito la folla si divise in due cortei che attraversarono piazza della Costituzione, dalla quale era stato già rimosso il pallone di Walter Vragg. Alla testa di un corteo c'era Dean Forsyth; il dottor Sydney Hudelson era alla testa dell'altro.

I poliziotti indifferenti lasciavano fare, ogni timore di torbidi essendo stato ormai allontanato. Non c'era più pericolo, infatti, di urti tra i due cortei: uno dei quali conduceva trionfalmente il signor Forsyth alla stazione dell'Ovest, prima tappa per San Francisco e il Giappone; mentre l'altro scortava, non meno trionfalmente, il dottor Hudelson alla stazione dell'Est, capolinea per New York, ove si sarebbe imbarcato per la Patagonia.

A poco a poco le grida scemarono e poi. si spensero in lontananza. Il signor Proth, che si era divertito a guardare dalla soglia della

porta la folla rumoreggiante, pensò che era tempo di andare a mangiare. Nel rientrare, fu però avvicinato da un gentleman e da una dama, i quali avevano fatto il giro della piazza per giungere fino a lui.

— Una parola, signor giudice, se non vi dispiace — disse il gentiluomo.

— Sono a vostra disposizione, signori Stanfort — rispose il signor Proth, amabilmente.

Page 131: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Signor giudice — disse il signor Stanfort — quando siamo venuti da voi, due mesi fa, era per contrarre matrimonio.

— E sono lieto — rispose il giudice — di aver fatto la vostra conoscenza, in quella occasione.

— Oggi, signor giudice — aggiunse il signor Stanfort — siamo venuti da voi per divorziare.

Da uomo ricco di esperienza, il giudice comprese che non era quello il momento di tentare una conciliazione.

— Mi felicito egualmente dell'occasione che mi concede di rinnovare la vostra conoscenza — disse senza scomporsi.

I due sposi s'inchinarono. — Vogliate prendervi il disturbo di entrare — propose il

magistrato. — È necessario? — chiese il signor Stanfort, come aveva già fatto

due mesi prima. Come due mesi prima, il signor Proth rispose con flemma: — No. Non sarebbe stato possibile essere più arrendevoli. Del resto, per

quanto in genere non siano pronunciati in condizioni così insolite, i divorzi non sono per questo più difficili da ottenere nella grande repubblica dell'Unione.

Nello stupefacente paese d'America, sembra che il divorziare sia ancora più facile che sposarsi. In alcuni stati, per dividersi basta scegliere un domicilio fittizio, senza che sia necessario presentarsi di persona. Speciali agenzie si assumono l'incarico di trovare i testimoni e di procurare i prestanome. Alcune, molto note, assumono, per tale scopo, degli specialisti.

I signori Stanfort non avevano avuto bisogno di ricorrere a sotterfugi del genere; avevano espletato le formalità necessarie nel luogo del loro vero domicilio, a Richmond, nel cuore della Virginia. Ora si trovavano a Whaston per il capriccio di voler rompere il loro matrimonio là dove era stato contratto.

— I vostri documenti sono in regola? — chiese il magistrato. — Eccoli — disse il signor Stanfort. — Ecco i miei — disse la signora Stanfort.

Page 132: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il signor Proth accertò che essi fossero in regola e si limitò a rispondere:

— Ed ecco l'atto di divorzio già stampato; basta scriverci i nomi e firmarlo. Ma non so se potremo qui…

— Permettetemi di offrirvi questa perfezionata penna stilografica — disse il signor Stanfort, porgendola al signor Proth.

— E questo cartone che sostituirà perfettamente la scrivania — aggiunse la signora Stanfort, prendendo dalle mani della cameriera una grande scatola piatta e offrendola al magistrato.

— Avete una risposta a tutto — approvò il signor Proth, cominciando a riempire gli spazi bianchi dell'atto stampato.

Terminato il lavoro, porse la penna alla signora Stanfort. Senza dir nulla e senza esitare, ella firmò con mano ferma:

Arcadia Walker. Con identica calma, il signor Seth Stanfort firmò dopo,di lei. Poi ciascuno dei due offrì, come due mesi prima, un biglietto da

cinquecento dollari. — Per l'onorario — disse il signor Stanfort. — Per i poveri — disse la signora Arcadia Walker. Senza perdere altro tempo, i due fecero poi un lieve inchino

dinanzi al magistrato, si salutarono l'un l'altro e si allontanarono senza volgere il capo; il primo andò verso il sobborgo di Wilcox, la seconda in direzione opposta.

Quando entrambi furono scomparsi, il signor Proth rientrò definitivamente in casa, dove la colazione lo attendeva da un pezzo.

— Sapete, Kate, che cosa dovrei fare scrivere sulla mia insegna? — disse alla domestica, mentre appuntava il tovagliolo sotto il mento.

— No, signore. — Dovrei fare scrivere queste parole: «Qui ci si sposa a cavallo e

si divorzia a piedi».

Page 133: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XIII

NEL QUALE, COME AVEVA PREVISTO IL GIUDICE PROTH, SI VEDE SPUNTARE IL TERZO LADRONE, SEGUITO DAL QUARTO

È MEGLIO rinunciare a descrivere il profondo dolore della famiglia Hudelson e la disperazione di Francis Gordon, che non avrebbe certamente esitato a bisticciare con lo zio e a fare a meno del suo consenso, sfidandone la collera e le inevitabili conseguenze; ma ciò che poteva fare con il signor Forsyth, non poteva farlo con il signor Hudelson. Invano la signora Hudelson aveva cercato di ottenere il consenso del marito e di farlo ritornare sulla decisione già presa: né suppliche né rimproveri fecero cambiare idea al testardo dottore. Persino Loo era stata impietosamente respinta, nonostante le sue moine, le sue preghiere e le inutili lagrime.

Ormai non sarebbe stato più possibile fare altri tentativi; zio e padre, definitivamente impazziti, erano partiti per lontani paesi.

Quella doppia partenza era stata perfettamente inutile; perfettamente inutile era stato anche il divorzio del signor Stanfort e della signora Walker, del quale erano state causa determinante le affermazioni dei due astronomi. Se questi quattro personaggi si fossero imposti appena ventiquattro ore di riflessione, la loro condotta sarebbe stata certamente diversa.

La mattina del giorno seguente, infatti, i giornali di Whaston e di altre città pubblicarono, con la firma di J.B.K. Lowenthal, direttore dell'osservatorio di Boston, una notizia che modificava notevolmente la situazione. Tutt'altro che tenera per le due glorie cittadine, la notizia diceva:

«Una comunicazione, fatta nei giorni scorsi da due astronomi dilettanti della città di Whaston, ha suscitato molto turbamento nel pubblico. Spetta a noi rimettere le cose al loro posto.

Page 134: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

«Ci sia consentito deplorare, innanzi tutto, che comunicazioni di tale gravità siano fatte a cuor leggero, senza essere state in precedenza sottoposte al controllo dei veri competenti. Gli scienziati non mancano; la loro scienza, garantita da brevetti e diplomi, è esercitata in moltissimi osservatori ufficiali.

«E certamente motivo di gloria essere il primo a scoprire un corpo celeste che si compiace di attraversare il campo visivo di un cannocchiale puntato verso il cielo; ma un tale caso fortunato non ha la virtù di trasformare di colpo semplici dilettanti in matematici di professione. Se, disconoscendo questa verità dettata dal buon senso, ci si accosta sconsideratamente a problemi che richiedono particolare competenza, si rischia di commettere errori del genere di quello che è nostro dovere rettificare.

«E esatto segnalare che il bolide di cui tutta la terra si occupa in questo momento ha avuto una perturbazione. I signori Forsyth e Hudelson hanno avuto il torto di limitarsi a una sola osservazione e di eseguire, su tale dato incompleto, calcoli che sono falsi. Tenendo conto soltanto del turbamento constatato la sera dell'11 o il mattino del 12 maggio, si giungerebbe infatti a risultati assolutamente diversi dai loro. Ma c'è di più. Il turbamento nel cammino del bolide non è cominciato né finito né l'11 né il 12 maggio. La prima perturbazione risale al 10 maggio e continua ancora all'ora attuale.

«Questa perturbazione, o meglio, le perturbazioni successive hanno avuto per risultato, da una parte, di avvicinare il bolide alla terra e, dall'altra, di far deviare la sua traiettoria. Alla data del 17 maggio la distanza del bolide dalla terra era diminuita di 78 chilometri circa e la deviazione della sua traiettoria raggiungeva quasi i 55 minuti d'arco.

«Tale doppia modifica dello stato anteriore delle cose non è stata realizzata in una sola volta. Al contrario, essa è la somma di piccolissimi cambiamenti che non hanno cessato di aggiungersi, gli uni agli altri, dal 10 di questo mese in poi.

«Non è stato possibile finora scoprire il motivo della perturbazione subita dal bolide. Sembra che nel cielo non ci sia nulla che possa spiegarlo. Le ricerche su questo punto continuano e si ritiene che entro breve tempo esse diano buoni risultati.

Page 135: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

«Appare prematuro, comunque, annunciare la caduta dell'asteroide e, a fortiori,12 fissarne il luogo e la data della caduta. Se la causa ignota che agisce sul bolide continuerà la sua azione nello stesso senso, esso finirà evidentemente per cadere; nulla però autorizza sinora ad affermare che così sarà. La sua velocità è, per il momento, necessariamente aumentata per il motivo che l'orbita attuale è più piccola della precedente. Esso non avrebbe dunque alcuna tendenza a cadere, ove la forza che lo sollecita cessasse di perturbarlo.

«Nell'ipotesi contraria, poiché le perturbazioni constatate al passaggio della meteora sono state finora ineguali e le loro variazioni d'intensità sembra che non obbediscano ad alcuna legge, pur pronosticandone la caduta, non si saprebbe precisarne né luogo né data.

«Riassumendo, concluderemo come segue: La caduta del bolide appare probabile, ma non è certa. In ogni caso, non è imminente.

«In presenza di una eventualità che rimane ipotetica e la cui realizzazione potrebbe non condurre ad alcun risultato pratico, noi consigliamo la calma. Del resto, sarà nostra cura tenere informato il pubblico con comunicazioni quotidiane che riferiranno il susseguirsi degli avvenimenti».

Il signor Stanfort e la signora Walker ebbero conoscenza delle conclusioni alle quali era pervenuto J.B.K. Lowenthal? Non è stato possibile saperlo. Per ciò che riguarda il signor Forsyth e il dottor Hudelson sappiamo che il primo ricevette lo schiaffo del direttore dell'osservatorio di Boston a Saint-Louis, nello stato del Missouri, e il secondo a New York. Entrambi ne arrossirono come di un vero schiaffo.

Per quanto crudele fosse la loro umiliazione, non c'era che da inchinarsi. Non si poteva discutere con uno scienziato del calibro di J.B.K. Lowenthal. Il signor Forsyth e il signor Hudelson tornarono a Whaston con le orecchie basse, il primo sacrificando il biglietto pagato fino a San Francisco, il secondo cedendo a una compagnia rapace il prezzo della cabina già fissata sino a Buenos Aires.

12 A maggior ragione. (N.d.T.)

Page 136: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Tornati ai rispettivi domicili, montarono immediatamente l'uno alla sua torre e l'altro al suo torrione. Non occorse loro troppo tempo per rendersi conto che J.B.K. Lowenthal aveva ragione: fecero molta fatica, infatti, a ritrovare il loro bolide vagabondo, non presentatosi-all'appuntamento che i loro calcoli inesatti gli avevano fissato.

I due astronomi dilettanti non tardarono a subire le conseguenze del loro spiacevole errore. Che ne era dei cortei che li avevano trionfalmente accompagnati alla stazione? Il favore pubblico li aveva abbandonati apertamente. Dopo aver gustato a lunghi sorsi la popolarità, riusciva loro penoso restar privi di colpo di quella inebriante bevanda!

Ma una preoccupazione più grave s'impose presto alla loro attenzione. Come il giudice Proth aveva predetto velatamente, un terzo competitore si ergeva di fronte a loro. Dapprima fu soltanto un mormorio tra la folla, poi, poche ore dopo, divenne notizia ufficiale, annunciata a suon di tromba urbi et orbi.13

Difficile da combattere, questo terzo ladrone che comprendeva in sé tutto il mondo. Se il signor Forsyth e il signor Hudelson non fossero stati accecati dalla passione, avrebbero previsto sin dall'inizio il suo intervento. Invece di intentarsi l'un l'altro un ridicolo processo, avrebbero dovuto rendersi conto che i governi di tutti i paesi del mondo si sarebbero interessati necessariamente a quelle migliaia di miliardi, la cui improvvisa presenza avrebbe potuto provocare una terribile rivoluzione finanziaria. Ma i due astronomi dilettanti non avevano fatto quel ragionamento semplice e ovvio; l'annuncio di una Conferenza internazionale cadde loro addosso, perciò, come un colpo di fulmine.

Chiesero informazioni: la notizia era esatta! Risultavano persino indicati i membri della futura Conferenza, che si sarebbe riunita a Washington a una data che la lunghezza del viaggio, per molti delegati, rendeva purtroppo più lontana di quanto non fosse stato auspicabile. Sollecitati dalle circostanze, i governi avevano deciso tuttavia che, nell'attesa dei delegati, sarebbero stati tenuti a Washington riunioni preparatorie tra i diplomatici accreditati presso

13 Alla città e al mondo. (N.d.T.)

Page 137: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

il governo americano; e ciò allo scopo di preparare un programma ben definito da discutere sin dalla prima seduta della Conferenza.

Non ci si aspetti di trovare qui l'elenco dei paesi che avrebbero preso parte alla Conferenza: come abbiamo già detto, l'elenco avrebbe compreso tutti i paesi civili. Imperi, regni, repubbliche e principati si erano tutti interessati alla questione e avevano designato un delegato, a cominciare da Russia e Cina, rappresentate rispettivamente dal signor Ivan Saratoff, di Riga, e da sua eccellenza Li-Mao-Tchi, di Canton, per finire alle repubbliche di San Marino e di Andorra, delle quali i signori Beveragi e Ramontcho avrebbero difeso strenuamente gli interessi.

Ogni ambizione era permessa e ogni speranza legittima per il motivo che nessuno ancora sapeva dove la meteora sarebbe caduta, ammesso che dovesse effettivamente cadere.

La prima riunione preparatoria ebbe luogo il 25 maggio, a Washington, e cominciò con il regolare ne varietur14 la questione Forsyth-Hudelson, la qualcosa non richiese più di cinque minuti. I due astronomi dilettanti, che avevano fatto apposta il viaggio, insistettero inutilmente per essere ascoltati; furono messi alla porta come miserabili intrusi. Si immagini la loro rabbia, al loro ritorno a Whaston; la verità ci obbliga a dire, tuttavia, che le loro recriminazioni rimasero senza eco. Nessun giornale, fra i tanti che in passato li avevano ricoperti di fiori, prese le loro difese. Avevano dato loro fino alla nausea dell'«onorevole cittadino di Whaston», dell'«ingegno-so astronomo», del «matematico tanto eminente quanto modesto». Ora la musica era cambiata.

«Che venivano a fare a Washington quei due fantocci? Erano stati i primi a segnalare la meteora? E allora? Tale fortuita circostanza dava loro forse qualche diritto? Avevano forse qualche rapporto con la caduta della meteora? Le loro ridicole pretese non erano neppure da prendere in considerazione!» Ecco come si esprimeva ora la stampa. Sic transit gloria mundi.15

Regolata questa faccenda, ebbero inizio i lavori più importanti.

14 Alla lettera «Che non si muti». (N.d.T.) 15 Così passa la gloria del mondo. (N.d.T.)

Page 138: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Varie sedute furono dedicate, tanto per cominciare, alla redazione dell'elenco degli stati sovrani ai quali sarebbe stato riconosciuto il diritto di partecipare alla conferenza. Molti di essi non avevano rappresentante accreditato a Washington. Si trattava di riservare il principio della loro collaborazione per il giorno in cui la Conferenza avrebbe iniziato la discussione di fondo. La compilazione dell'elenco non fu facile e le discussioni raggiunsero un grado di vivacità che lasciava bene sperare per l'avvenire. Ungheria e Finlandia,16 per esempio, avanzarono la pretesa di essere direttamente rappresentate; contro tale pretesa insorsero vivacemente i governi di Vienna e di San Pietroburgo. Francia e Turchia iniziarono, da parte loro, una violenta discussione a proposito della Tunisia: discussione che l'intervento personale del Bey complicò maggiormente. Il Giappone, da parte sua, ebbe molti grattacapi per colpa della Corea. In breve, la maggior parte delle nazioni si dibatteva tra analoghe difficoltà; dopo sette sedute consecutive non si era ancora concluso nulla, quando, il 1° giugno, un incidente inatteso venne a gettare il turbamento negli animi.

Come aveva promesso, J.B.K. Lowenthal dava ogni giorno regolari notizie del bolide, sotto forma di brevi comunicati attraverso la stampa. Fin allora quei comunicati non avevano nulla di particolare: si limitavano a informare il lettore che il cammino della meteora continuava a subire lievi cambiamenti che, nel complesso, rendevano la sua caduta sempre più probabile, senza poterla considerare ancora certa.

La nota pubblicata il 1° giugno fu però notevolmente diversa dalle precedenti. C'era proprio da credere che la perturbazione del bolide avesse qualcosa di contagioso, se J.B.K. Lowenthal si mostrava turbato a sua volta.

«Non è senza emozione — scriveva quel giorno — che portiamo a conoscenza del pubblico gli strani fenomeni da noi osservati; i quali tendono quanto meno a scalzare le basi sulle quali si regge la Scienza astronomica, e cioè la Scienza stessa, se si considera che le scienze umane costituiscono un tutto le cui parti sono solidali. Per inesplicati 16 L'Ungheria faceva allora parte dell'impero Austro-Ungarico e la Finlandia dell'impero Russo. (N.d.T.)

Page 139: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

e inspiegabili che siano, non possiamo disconoscere il carattere di irrefragabile certezza di tali fenomeni.

«I nostri precedenti comunicati hanno informato il pubblico che il cammino del bolide di Whaston ha subito successive e continue perturbazioni, delle quali non è stato possibile finora determinare la causa e la legge. Tale fatto non mancava di essere insolito. L'astronomo, infatti, legge nel cielo come in un libro, ove non accade nulla che egli non abbia previsto, o del quale egli non possa almeno predire i risultati. È così che eclissi, annunciate centinaia d'anni prima, si verificano al minuto secondo stabilito, come se obbedissero all'ordine della creatura mortale la cui prescienza le ha viste nelle nebbie del futuro e che, nell'istante in cui la sua predizione si verifica, si è addormentato da secoli nel sonno eterno.

«Ma se le perturbazioni rilevate non erano normali, esse non erano neppure contrarie ai dati della Scienza, e se la loro causa rimaneva sconosciuta, noi potevamo accusarne l'imperfezione dei nostri metodi di analisi.

«Oggi non è più così. Dall'altro ieri, 30 maggio, il cammino del bolide ha subito nuove perturbazioni, le quali sono in assoluta contraddizione con le nostre conoscenze teoriche. E come dire che dobbiamo perdere la speranza di trovarne mai una spiegazione soddisfacente, i principi che avevano forza d'assioma e sui quali poggiano i nostri calcoli non essendo applicabili al nostro caso.

«L'osservatore meno abile ha potuto facilmente rilevare che, in occasione del suo secondo passaggio, nel pomeriggio del 30 maggio, il bolide, invece di continuare ad avvicinarsi alla terra, come faceva ininterrottamente dal 10 maggio, se ne era invece sensibilmente allontanato. Peraltro, l'inclinazione della sua orbita, che da venti giorni tendeva a diventare sempre più spiccatamente nord-est-sud-ovest, aveva di colpo cessato di accentuarsi.

«Tale brusco fenomeno aveva già in sé qualcosa d'incomprensibile, allorché ieri, 31 maggio, al quarto passaggio della meteora dopo il sorgere del sole, si dovette constatare che la sua orbita era tornata ad essere quasi esattamente nord-sud, mentre la sua distanza dalla terra era rimasta immutata, dal giorno prima.

Page 140: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

«Tale è attualmente la situazione. La scienza è impotente a spiegare fatti che avrebbero le caratteristiche dell'incoerenza, se qualcosa potesse essere incoerente nella natura.

«Nella nostra prima comunicazione avevamo detto che la caduta del bolide, ancora incerta, doveva essere considerata almeno probabile; ora non osiamo più essere altrettanto sicuri e preferiamo limitarci a confessare modestamente la nostra ignoranza.»

Se un anarchico avesse lanciato una bomba tra i partecipanti all'ottava riunione preparatoria della Conferenza, non avrebbe ottenuto un risultato paragonabile a quello ottenuto dalla comunicazione firmata J.B.K. Lowenthal. Ci si disputava i giornali che la pubblicavano con commenti traboccanti di punti esclamativi. L'intero pomeriggio trascorse in conversazioni e nello scambio di punti di vista assai nervosi, con grave pregiudizio dei faticosi lavori della Conferenza.

Nel corso dei giorni seguenti fu ancora peggio; le comunicazioni di J.B.K. Lowenthal si susseguivano, sempre più sorprendenti. Nella danza meravigliosamente regolata degli astri, il bolide sembrava ballare un vero cancan, un capriccioso assolo, senza regole e senza tempo. Ora la sua orbita si inclinava di tre gradi a est e ora si raddrizzava di quattro gradi a ovest. Se nel corso di un passaggio sembrava essersi avvicinato un pochino alla terra, se ne era allontanato un po' di più al passaggio successivo. C'era da impazzire.

Quella follia pervadeva a poco a poco la Conferenza internazionale. Incerti sulla pratica utilità delle loro discussioni, i diplomatici lavoravano con lentezza e senza ferma volontà di giungere a una conclusione.

Il tempo intanto passava. Da diverse parti del mondo, i delegati delle nazioni accorrevano in fretta verso Washington. Molti di essi erano già arrivati e presto il loro numero sarebbe stato sufficiente per costituirsi regolarmente in assemblea, senza attendere l'arrivo dei colleghi dei paesi più lontani. Avrebbero trovato l'intero problema da risolvere, senza che neppure il primo punto fosse stato chiarito?

I membri della riunione preparatoria si misero all'opera e in otto sedute supplementari riuscirono a elencare gli stati i cui delegati sarebbero stati ammessi alle sedute. Il loro numero fu stabilito in

Page 141: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

cinquantadue; venticinque per l'Europa, sei per l'Asia, quattro per l'Africa e diciassette per l'America. Comprendevano dodici imperi, dodici regni ereditari, ventidue repubbliche e sei principati. Quei cinquantadue stati, sia per se stessi, sia per i loro vassalli e per le loro colonie, erano dunque riconosciuti come i soli proprietari della sfera d'oro.

Era tempo che le riunioni preparatorie giungessero a tale conclusione.

I delegati dei cinquantadue stati ammessi a partecipare alle deliberazioni erano, in grande maggioranza, già a Washington; altri ne giungevano ogni giorno.

La Conferenza internazionale si riunì per la prima volta il 10 giugno, alle due del pomeriggio, sotto la presidenza del delegato più anziano, che risultò essere il signor Soliés, professore di oceanografia e delegato del Principato di Monaco. Si procedette immediatamente alla costituzione della presidenza definitiva.

Al primo scrutinio, la presidenza fu attribuita, per deferenza verso il paese che li ospitava, al signor Harvey, eminente giureconsulto, che rappresentava gli Stati Uniti.

La vice presidenza fu più disputata, per toccare alla fine alla Russia, nella persona del signor Saratoff.

I delegati francese, inglese e giapponese furono designati quali segretari.

Dopo tali formalità, il presidente pronunciò un'allocuzione molto cortese e molto applaudita; poi annunciò che si sarebbe proceduto alla nomina di tre sotto commissioni, le quali avrebbero ricevuto il mandato di ricercare il miglior metodo di lavoro dal triplice punto di vista demografico, finanziario e giuridico.

La votazione era appena cominciata quando un usciere si recò dal presidente per consegnargli un telegramma.

Il signor Harvey lesse il telegramma, mentre il suo viso esprimeva un crescente stupore, a mano a mano che proseguiva nella lettura. Dopo qualche attimo di riflessione, però, egli alzò sdegnosamente le spalle; la qualcosa non gli impedì, dopo altri attimi di riflessione, di sonare il campanello per attirare l'attenzione dei colleghi.

Ristabilito il silenzio, disse:

Page 142: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Signori, ritengo di dover portare a vostra conoscenza che ho ricevuto in questo momento un telegramma. Non dubito che esso non sia opera di un burlone o di un pazzo; ritengo tuttavia dovervene dare lettura.

Il telegramma, privo di firma, è così concepito: Signor Presidente, Ho l'onore d'informare la Conferenza internazionale che il bolide

che dovrà essere oggetto delle sue discussioni non è res nullius,17 atteso che è mia proprietà personale.

La Conferenza internazionale non ha dunque alcuna ragion d'essere; ove essa persistesse nei suoi lavori, questi sarebbero già in anticipo colpiti da sterilità.

E per mia volontà che il bolide si avvicina alla terra ed è sul mio terreno che esso cadrà: appartiene quindi soltanto a me.

— Il telegramma non è firmato? — chiese il delegato inglese. — Non lo è. — Se è così, non c'è da tenerne conto — dichiarò il rappresentante

dell'impero tedesco. — E anche il mio parere — approvò il presidente — e credo di

interpretare il parere unanime dei miei colleghi depositando puramente e semplicemente questo documento negli archivi della Conferenza. E questo anche il vostro parere, signori? Nessuna opposizione? Signori, la seduta riprende.

17 Cosa di nessuno. (N.d.T.)

Page 143: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 144: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XIV

NEL QUALE LA VEDOVA THIBAUT, INTERVENENDO SCONSIDERATAMENTE NEGLI ALTI PROBLEMI DELLA MECCANICA

CELESTE, SUSCITA GRAVI PREOCCUPAZIONI AL BANCHIERE ROBERT LECOEUR

ALCUNE anime buone dicono che il progresso dei costumi condurrà a poco a poco alla scomparsa delle sinecure; noi vogliamo creder loro sulla parola. In ogni caso, se ne contava almeno una all'epoca degli strani avvenimenti sin qui narrati.

Quella sinecura apparteneva alla vedova Thibaut, già macellala, preposta alle faccende domestiche dell'abitazione di Zeffirino Xirdal.

Il servizio della vedova Thibaut consisteva nel rifare la camera del dotto squilibrato; e poiché il mobilio della camera era ridotto alla sua più semplice espressione, il tenerlo in ordine non poteva essere paragonato alla tredicesima fatica di Ercole. Il resto dell'alloggio sfuggiva, in gran parte, alla sua competenza. Per la seconda camera in particolare, le era stato notificato il divieto assoluto di toccare le pile di cartacce che l'arredavano un po' dappertutto; l'andirivieni della scopa doveva limitarsi, per espressa convenzione, a un quadratino centrale, il cui pavimento era a nudo.

La vedova Thibaut, che d'istinto era per l'ordine e la pulizia, soffriva nel vedere il caos da cui quel quadrato di pavimento era circondato, come un isolotto nel mare immenso, ed era divorata dal costante desiderio di mettere ordine dappertutto. Una volta — era sola in casa — aveva osato darvi inizio; ma Zeffirino Xirdal, rientrato all'improvviso, aveva manifestato tale furore e il suo viso, solitamente bonario, tale ferocia, che la vedova Thibaut era rimasta agitata per più giorni da tremito nervoso. Da allora, ella non aveva più osato metter piede nel territorio sottratto alla sua giurisdizione.

Page 145: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Dalle molteplici pastoie che imbrigliavano gli slanci dei suoi talenti professionali risultava che la vedova Thibaut non aveva quasi nulla da fare; la qualcosa non le impediva di trascorrere ogni giorno un paio d'ore dal suo borghese — era così che ella designava Zeffirino con una cortesia che riteneva raffinata — sette quarti d'ora delle quali erano dedicati alla conversazione, o meglio a un monologo.

Alle sue molte qualità la vedova Thibaut univa, infatti, un'insolita facilità di eloquio; alcuni dicevano che ella fosse una gran chiacchierona, ma lo dicevano per malanimo. Ella amava parlare, ecco tutto.

Non già che ella facesse sfoggio di immaginazione; in genere, la signorilità della famiglia che l'annoverava tra i suoi membri era il tema iniziale dei suoi discorsi. Nel proseguire poi con il capitolo delle sue disgrazie, ella spiegava per quale funesto concorso di circostanze una macellala possa diventare una serva. Non aveva importanza che già si conoscesse quella straziante storia; la vedova Thibaut la raccontava sempre con grande piacere. Esaurito l'argomento, ella parlava delle persone che serviva o che aveva servito. Alle opinioni, alle abitudini di quelle persone ella paragonava quelle di Zeffirino Xirdal e il suo modo di comportarsi, distribuendo imparzialmente elogio e biasimo.

Il padrone dava prova d'inalterabile pazienza evitando di risponderle; è pur vero che, perso nei suoi sogni, egli non udiva nemmeno queste chiacchiere, la qualcosa diminuisce molto il suo merito. Comunque sia, le cose andavano benissimo in questo modo da più anni con soddisfazione di entrambi: lei continuando a parlare, lui non prestandole attenzione.

Il 30 maggio, com'era solita fare ogni giorno, la vedova Thibaut si recò da Zeffirino alle nove del mattino. Poiché Zeffirino era partito il giorno precedente con l'amico Leroux, la casa era vuota.

La vedova Thibaut non ne fu eccessivamente stupita: una lunga serie di precedenti fughe aveva reso consuete quelle scomparse repentine. Seccata per essere priva di ascoltatori, accudì alle faccende domestiche, come faceva solitamente, e poi entrò nell'altra camera,

Page 146: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

da lei chiamata pomposamente gabinetto di lavoro. Qui ebbe una sorpresa.

Un oggetto insolito, una specie di cassa scura, riduceva notevolmente la superficie del quadratino di pavimento riservato alla sua scopa. Perché mai? Decisa a non tollerare un simile attentato ai suoi diritti, la vedova spostò l'oggetto con mano ferma e si occupò delle sue faccende abituali.

Poiché era un po' dura d'orecchio, non udì il ronzio che la cassa emanava e non fece neppur caso alla debolissima luce azzurrina del riflettore metallico. Ma uno strano fatto attirò a un certo momento la sua attenzione. Nel passare dinanzi al riflettore, una spinta irresistibile la fece cadere. Alla sera, nello spogliarsi, ebbe la sorpresa di vedere che un superbo livido si era formato sulla sua anca destra. Poiché era caduta sulla gamba sinistra, la cosa le parve strana. Ma non avendo più avuto l'occasione di ripassare dinanzi al riflettore e non essendosi più ripetuto il fenomeno, non ebbe motivo di stabilire un qualsiasi rapporto tra ciò che le era capitato e la cassa spostata temerariamente. Ritenne di aver messo il piede in fallo e non ci pensò più.

Ligia al dovere, la vedova non mancò, dopo aver spazzato, di rimettere la cassa al suo posto. Fece anzi il possibile — e ciò torna a suo merito — per disporla esattamente come l'aveva trovata, e se non vi riuscì con assoluta precisione, bisogna scusarla: non era sua intenzione mandare il piccolo cilindro di polvere turbinante in una direzione un pochino diversa da quella precedente.

Nei giorni successivi, procedette allo stesso modo: perché cambiare le proprie abitudini, se sono virtuose e lodevoli?

Bisogna però riconoscere che, con l'abitudine, per lei la cassa perdette un po' per volta gran parte della sua importanza, ed ella mise sempre minor diligenza nel rimetterla nella sua originaria posizione, dopo la quotidiana scopatura. Non mancava mai, ovviamente, di trascinare la cassa dinanzi alla finestra, perché era là che il signor Xirdal aveva ritenuto di collocarla, ma il riflettore metallico rivolse il suo orifizio in direzioni sempre diverse. Un giorno proiettava il cilindro di polvere un po' a sinistra e un altro giorno un po' a destra. La vedova faceva ciò in perfetta buona fede, non sospettando le

Page 147: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

crudeli angosce che la sua imprevista collaborazione infliggeva a J.B.K. Lowenthal. Una volta, aveva fatto girare inavvertitamente il riflettore sul suo perno e lo aveva lasciato con la bocca spalancata verso il soffitto.

Il 10 giugno, nel tornare a casa agli inizi del pomeriggio, Zeffirino Xirdal ritrovò la macchina puntata verso lo zenith.

Il suo soggiorno al mare era trascorso piacevolmente; forse lo avrebbe prolungato se, una dozzina di giorni dopo l'arrivo, non gli fosse venuta la buffa idea di cambiare la propria biancheria. Quel capriccio lo aveva costretto a riaprire il pacchetto, ove aveva trovato, con enorme sorpresa, ventisette barattoli dall'orlo svasato. Zeffirino spalancò gli occhi. Che cosa ci stavano a fare quei barattoli nel pacchetto? In breve la catena dei ricordi si riannodò ed egli tornò con la mente alla progettata pila elettrica.

Dopo essersi dato qualche pugno in testa a titolo di castigo, si affrettò a impacchettare nuovamente i barattoli e piantando in asso l'amico saltò sul treno, diretto a Parigi.

Sarebbe potuto accadere che durante il viaggio Zeffirino perdesse di vista il motivo urgente che lo spingeva a tornare a casa; non ci sarebbe stato nulla di straordinario; un incidente però gli rinfrescò la memoria, non appena mise piede a terra, alla stazione di Saint-Lazare.

Aveva rifatto il suo pacchetto con i ventisette barattoli con tanta cura, che si ruppe in quel preciso istante lasciando cadere sull'asfalto, con grande fracasso, il suo contenuto. Duecento persone si volsero credendo si trattasse di un attentato anarchico, ma videro soltanto Zeffirino che contemplava il disastro, con aria intontita.

Il disastro aveva avuto almeno il vantaggio di rammentare al proprietario dei defunti barattoli lo scopo che lo aveva ricondotto a Parigi. Prima di recarsi a casa, Zeffirino decise allora di passare dal negoziante di prodotti chimici, ove comprò altri ventisette barattoli, e dal falegname dove il congegno che aveva ordinato lo attendeva da una decina di giorni.

Quando aprì in fretta la porta, ansioso di riprendere i suoi esperimenti, rimase inchiodato sulla soglia nel vedere la sua macchina con il riflettore rivolto verso lo zenith.

Page 148: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Zeffirino fu subito assalito da un'ondata di ricordi; e tale fu il suo turbamento che gli caddero dalle mani i pacchetti, che obbedendo immediatamente alla legge di gravità, si sarebbero difilato diretti al centro della terra, se disgraziatamente non li avesse fermati il cavalletto, che si ruppe in due pezzi, così che i ventisette barattoli si fracassarono con grande rumore. In meno di un'ora aveva rotto cinquantaquattro barattoli. Di quel passo, non avrebbe impiegato molto tempo a chiudere il suo conto corrente, così scandalosamente in attivo.

Ma il nostro fracassatore di barattoli non si era neppure accorto dell'ecatombe; immobile sulla soglia dell'uscio, osservava la macchina con sguardo assorto.

— Questa è opera della vedova Thibaut! — disse, decidendosi a entrare. Il suo fiuto, come si vede, era eccellente.

Alzò gli occhi e scorse nel soffitto e, oltre il soffitto, nel tetto, un forellino situato esattamente nell'asse del riflettore, al cui focolare l'ampolla continuava a ballare disperatamente. Quel foro, grosso come una matita, aveva orli nettissimi, come se fosse stato tagliato con la fustella.

Un largo sorriso apparve sulla bocca di Zeffirino, il quale cominciava veramente a divertirsi.

— Bene! Bene! — mormorò. Ma bisognava intervenire. Si chinò sulla macchina e ne interruppe

il funzionamento. Il ronzio cessò immediatamente, la luce azzurrognola si spense e l'ampolla a poco a poco tornò immobile.

— Bene! Bene! — ripeté Zeffirino. — Ne vedremo di belle! Tolse con mano impaziente la fascetta dai giornali ammucchiati sulla tavola e lesse gli articoli con i quali J.B.K. Lowenthal faceva conoscere a tutti le incoerenti fantasie del bolide di Whaston. Zeffirino si contorse letteralmente dal ridere.

La lettura di altri articoli, invece, gli fece aggrottare la fronte. A che cosa mirava la Conferenza internazionale, la cui prima seduta, dopo le riunioni preparatorie, era annunciata proprio per quel giorno? Che bisogno c'era di attribuire la proprietà del bolide? Non sarebbe appartenuto di diritto a colui che lo attirava verso la terra e senza il quale avrebbe eternamente solcato lo spazio?

Page 149: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Zeffirino si disse allora che nessuno sapeva del suo intervento. Occorreva dunque rivelarlo, perché la Conferenza non perdesse il suo tempo in lavori inutili.

Respinse con il piede i frantumi dei barattoli e corse all'ufficio postale più vicino, dal quale spedì il telegramma che il signor Harvey avrebbe poi letto, dall'alto del seggio presidenziale. Nessuno è da biasimare se, per una distrazione sorprendente in un uomo così poco distratto, egli dimenticò di firmarne il testo.

Ciò fatto, Zeffirino tornò a casa, apprese da una rivista scientifica i recenti movimenti della meteora e prese nuovamente il cannocchiale, con il quale fece un'eccellente osservazione che costituì la base di nuovi calcoli.

Verso la metà della notte, quando ogni problema fu risolto, rimise in azione la macchina e riversò nello spazio energia radiante con adeguata intensità e giusta direzione. Mezz'ora dopo, fermò la macchina e andò a letto, per dormire il sonno del giusto.

Da due giorni Zeffirino Xirdal proseguiva il suo esperimento; nel pomeriggio aveva appena interrotto, per la terza volta, il funzionamento della macchina, quando fu bussato alla porta. Era il banchiere Lecoeur.

— Eccoti, finalmente! — esclamò il banchiere, varcando la soglia. — Sono qui, come vedete — disse Zeffirino. — Era ora! — continuò Lecoeur. — Non so quante volte ho fatto

questi sei piani inutilmente! Dove diavolo eri? — Ero fuori — rispose Xirdal, arrossendo lievemente. — Fuori? — esclamò Lecoeur, indignato. — Ma è abominevole!

Non si può mettere la gente in agitazione in questo modo! Zeffirino guardò il padrino con un po' di stupore. Sapeva di poter

contare sul suo affetto, ma non sino a quel punto! — Ma, zio… perché tanta agitazione? — chiese. — Perché? — ripeté il banchiere. — Non sai, dunque, che tutta la

mia fortuna grava sul tuo capo? — Non capisco — disse Zeffirino, sedendosi sulla tavola e

offrendogli l'unica sedia. — Quando sei venuto a comunicarmi i tuoi progetti fantastici —

disse il signor Lecoeur — confesso che hai finito per convincermi.

Page 150: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Bene! — approvò Xirdal. — Ho decisamente puntato sulla tua buona sorte e in Borsa ho

giocato al ribasso. — Al ribasso? — Sì, ho venduto. — Che cosa? — Miniere d'oro. Tu capisci che se il bolide cade, le miniere

scenderanno e che… — Scenderanno? Ci capisco sempre meno — lo interruppe Xirdal.

— Non capisco come la mia macchina possa far scendere il livello di una miniera.

— Di una miniera no — convenne il signor Lecoeur — ma delle sue azioni sì.

— Sia pure — disse Xirdal, non volendo insistere. — Voi avete venduto dunque le azioni delle miniere d'oro. Non è grave; ciò prova solo che ne avete.

— Non ne ho nemmeno una! — Ma… — disse Xirdal, stupito. — Vendere ciò che non si ha è

proprio da furbi! Io non saprei farlo. — Questo è ciò che si chiama speculazione a termine, caro

Zeffirino — spiegò il banchiere. — Quando si dovranno vendere i titoli, io li acquisterò, ecco tutto.

— Dov'è allora il guadagno? Vendere per poi comprare non mi sembra cosa molto intelligente, a prima vista.

— E qui che ti sbagli, perché in quel momento le azioni delle miniere d'oro costeranno meno.

— E perché dovrebbero costare meno? — Perché il bolide metterà in circolazione più oro di quanto

attualmente la terra non ne contenga. Il prezzo dell'oro quindi diminuirà almeno della metà ed è per questo motivo che le azioni delle miniere d'oro non varranno più nulla o quasi nulla. Hai capito, ora?

— Certamente — disse Zeffirino, poco persuaso. — In un primo momento — riprese il banchiere — sono stato

felice di avere avuto fiducia in te. Le perturbazioni notate nel cammino del bolide e la sua caduta annunciata come certa hanno

Page 151: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

provocato un primo ribasso del 25% sulle miniere. Persuaso che il ribasso si sarebbe enormemente accentuato, ho accresciuto con entusiasmo la mia posizione in proporzione considerevole.

— E cioè? — Ho venduto una maggiore quantità di miniere d'oro. — Sempre senza averle? — Ovviamente. Puoi dunque immaginare le mie angosce vedendo

quello che succede: tu sparito, il bolide che non cade più e che dà i numeri ai quattro angoli del cielo. Risultato: le miniere sono andate su e io perdo somme enormi. Che cosa vuoi che io pensi di tutto questo?

Zeffirino guardava il padrino con curiosità; non aveva mai visto quell'uomo impassibile scosso da tanta agitazione.

— Non ho compreso bene i vostri intrighi — disse alla fine. — Queste cose sono difficili da capire, per uno come me. Mi pare di comprendere che vi farebbe piacere che il bolide cadesse. Ebbene, state tranquillo: cadrà.

— Me lo confermi? — Ve lo confermo. — Con assoluta certezza? — Con assoluta certezza. E voi, avete comprato il mio terreno? — Certamente — rispose Lecoeur. — Siamo in regola; ho in tasca

gli atti di proprietà. — Allora, tutto va bene — approvò Zeffirino. — Posso anche

annunciarvi che il mio esperimento avrà termine il 5 luglio prossimo. Quel giorno lascerò Parigi e andrò incontro al bolide.

— Che cadrà? — Che cadrà. — Verrò con te! — esclamò Lecoeur, con entusiasmo. — Se vi fa piacere… — disse Zeffirino. Fosse il senso della responsabilità nei confronti del signor

Lecoeur, o fosse soltanto l'interesse scientifico risvegliatosi in lui, il fatto è che un rinnovato entusiasmo gli impedì di commettere altre sciocchezze. L'esperimento fu proseguito con metodo e la misteriosa macchina ronzò, fino al 5 luglio, un po' più di quattordici volte ogni ventiquattr'ore.

Page 152: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ogni tanto Zeffirino compiva una rilevazione astronomica della meteora, per essere certo che ogni cosa procedesse secondo le sue previsioni.

La mattina del 5 luglio egli puntò un'ultima volta l'obiettivo verso il cielo.

— Ci siamo — disse allontanandosi dallo strumento. — Ora posso lasciar perdere.

E si occupò immediatamente delle valigie. Per prima cosa, del cannocchiale, della macchina e delle ampolle

di ricambio. Li fasciò con cura e li protesse con astucci imbottiti contro gli inconvenienti del viaggio. Poi fu la volta del bagaglio personale.

Mancò poco che una grave difficoltà lo fermasse al primo passo. Dove mettere le cose che doveva portare? In un baule? Zeffirino Xirdal non ne aveva mai avuti. In una valigia?

Dopo breve riflessione, si ricordò che doveva averne una; dopo laboriose ricerche la rintracciò, in uno sgabuzzino ove erano ammucchiate cianfrusaglie di ogni genere, excreta18 della sua vita domestica, in mezzo a cui il più esperto antiquario si sarebbe smarrito.

La valigia che Zeffirino riportò alla luce del sole era stata un tempo ricoperta di tela. Lo si capiva da qualche brandello di tessuto che aderiva ancora al suo scheletro di cartone. Un'eventuale esistenza di cinghie era probabile ma non certa, perché di esse non esisteva traccia. Zeffirino aprì la valigia e rimase a lungo soprappensiero dinanzi al vuoto dei suoi fianchi spalancati. Che cosa metterci dentro?

— Appena il necessario — disse a se stesso. — Bisogna perciò agire con metodo e fare una scelta ragionata.

Seguendo questo principio egli cominciò a cacciarvi dentro tre scarpe. Doveva in seguito pentirsene poiché, per un caso disgraziato, una era a bottoni, un'altra a stringhe, e la terza era una pantofola. Ma almeno per il momento ciò non presentava alcun inconveniente: un grande pezzo della valigia era pieno. Era già qualcosa.

18 Cianfrusaglie inutili. (N.d.T.)

Page 153: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Sistemate le tre scarpe, Zeffirino si asciugò la fronte: era stanco. Poi, ricominciò a riflettere.

A conclusione delle sue riflessioni egli prese vaga coscienza della sua inferiorità nell'arte di fare le valigie. Per questo, sicuro di non riuscire a fare qualcosa di buono con il metodo classico, decise di affidarsi all'ispirazione.

Attinse quindi a piene mani dai cassetti e nel mucchio di vestiti che costituivano il suo corredo e in pochi istanti un sacco di cose disparate riempì fin oltre l'orlo quella parte della valigia in cui le aveva cacciate. Sicuramente l'altro compartimento della valigia era vuoto, ma Zeffirino non lo sapeva. Fu quindi costretto a comprimere il carico con l'aiuto imperioso del tallone per giungere a un sufficiente accordo tra contenente e contenuto.

La valigia fu poi legata con una robusta corda, fermata da una serie di nodi tanto complicati da mettere il loro autore nell'assoluta impossibilità di disfarli. Ciò fatto, Zeffirino contemplò la sua opera con vanitosa soddisfazione.

Non restava che andare alla stazione. Per quanto fosse un intrepido camminatore, Zeffirino non pensò

neppure alla lontana di riuscire a trasportare a piedi macchina, cannocchiale e valigia. Sarebbe stato un bell'impiccio!

C'è da supporre che avrebbe finito con lo scoprire che a Parigi esistevano le carrozze; ma questo sforzo intellettivo gli fu risparmiato. Il signor Lecoeur apparve sulla soglia.

— Sei pronto? — gli chiese. — Vi aspettavo, come vedete — rispose candidamente Zeffirino,

il quale aveva del tutto dimenticato che il padrino dovesse partire con lui.

— Andiamo, allora. Qual è la roba da portare via? — chiese il signor Lecoeur.

— Questa: la macchina, il cannocchiale e la valigia. — Dammene una; tu prendi il resto. La mia carrozza ci aspetta. — Che magnifica idea! — esclamò Zeffirino chiudendo l'uscio di

casa.

Page 154: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XV

NEL QUALE J.B.K. LOWENTHAL DESIGNA CHI SARÀ IL VINCITORE DEL GROSSO PREMIO

DA QUANDO avevano commesso l'errore rilevato da Lowenthal, disavventura seguita dallo scacco umiliante inflitto loro dalla Conferenza internazionale, la vita era priva d'allegria per i signori Forsyth e Hudelson. Tornati ad essere trascurabili cittadini, dopo aver conosciuto l'ebbrezza della gloria, non sapevano rassegnarsi all'indifferenza del pubblico.

Nei colloqui con i loro pochi fedeli, essi protestavano energicamente contro la cecità delle folle e difendevano la propria causa con molti argomenti. Se avevano commesso un errore, era giusto farne loro carico? Il dotto Lowenthal, loro severo critico, non si era forse sbagliato anche lui? Non aveva dovuto, anche lui, confessare la propria impotenza? Che cosa bisognava concluderne, se non che il loro bolide era eccezionalmente anormale? Il loro errore non era, dunque, più che scusabile?

— Certamente! — approvavano i pochi fedeli. Riguardo alla Conferenza internazionale, si poteva immaginare

nulla di più iniquo del suo rifiuto di render loro giustizia? Che essa prendesse le necessarie precauzioni per la salvaguardia del buon ordine finanziario del mondo, era cosa più che comprensibile; ma perché voler negare i diritti dello scopritore della meteora? Se lo scopritore non lo avesse segnalato all'attenzione di tutti, il bolide non sarebbe forse rimasto ignorato? e se doveva cadere, la sua caduta sarebbe stata forse prevista?

— Quello scopritore son io! — esclamava con forza il signor Forsyth.

— Son io! — esclamava da parte sua il dottor Hudelson, con non meno forza.

Page 155: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Certamente! — approvavano nuovamente i pochi fedeli. Per consolante che fosse la loro approvazione per i due astronomi,

essa non poteva sostituire le grida entusiastiche della folla. E poiché non era materialmente possibile convincere ad uno ad uno tutti i passanti, dovevano per forza accontentarsi del modesto incenso di pochissimi ammiratori.

Ma le amarezze non avevano diminuito la loro caparbietà, al contrario. Più i loro diritti sul bolide erano contestati, più essi s'incaponivano a rivendicarli; meno le loro pretese erano prese sul serio, più entrambi si ostinavano a dichiararsi unici proprietari del bolide.

In un tale stato d'animo, una riconciliazione sarebbe stata impossibile: nessuno quindi nemmeno ci pensava. Di conseguenza ogni giorno che passava sembrava separare sempre più i due afflitti fidanzati.

I signori Forsyth e Hudelson annunciavano ad alta voce la loro intenzione di protestare fino all'ultimo respiro contro la spoliazione di cui si consideravano vittime e di ricorrere fino ai più alti gradi della giurisdizione. Che stupendo spettacolo si sarebbe avuto! Il signor Forsyth da una parte, il dottor Hudelson dall'altra e, contro di essi, il resto del mondo. Sarebbe stato un processo grandioso!… se tuttavia fosse stato possibile trovare il tribunale competente.

Nell'attesa, i due amici di un tempo, diventati avversari carichi d'odio, non uscivano più di casa. Superbi e solitari, trascorrevano i giorni sulla piattaforma delle loro torri, da dove potevano sorvegliare la meteora per colpa della quale avevano smarrito il buon senso e assicurarsi più volte al giorno che essa continuasse a tracciare la sua curva luminosa nelle profondità del firmamento. Scendevano di rado dalla propria torre, ove, se non altro, erano al riparo dai loro parenti prossimi, la cui dichiarata ostilità aggiungeva amarezza alle amarezze delle quali si erano già abbeverati.

I ricordi d'infanzia avevano impedito a Francis Gordon di lasciare la casa di Elisabeth Street, ma egli non rivolgeva più parola allo zio. Si faceva colazione e si cenava in silenzio. Persino Mitz non apriva bocca e non dava più sfogo alla sua gustosa eloquenza; la casa perciò era diventata triste e silenziosa come un chiostro.

Page 156: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

In casa del dottor Hudelson, i rapporti familiari non erano più piacevoli. Loo teneva spietatamente il broncio, nonostante le occhiate supplichevoli del padre; Jenny piangeva inesauribili lagrime, nonostante le materne esortazioni; la signora Hudelson si limitava a sospirare, in attesa che il tempo ponesse rimedio a una situazione in cui il ridicolo gareggiava con l'esecrabile.

La signora Hudelson aveva ragione nel confidare nel tempo; bisogna però dire che questa volta il tempo sembrava non avere troppa fretta di cambiare in meglio la situazione di quelle sconsolate famiglie. Il signor Forsyth e il dottor Hudelson non erano insensibili al biasimo che li circondava, biasimo che però non provocava in loro un dispiacere paragonabile a quello di altre circostanze. La loro idea fissa li corazzava di indifferenza contro qualsiasi altra emozione che non avesse per oggetto il loro bolide. Al bolide andavano l'amore del loro cuore, i pensieri del loro cervello e ogni aspirazione del loro animo!

Con quale premura leggevano gli articoli quotidiani di Lowenthal e i resoconti delle sedute della Conferenza internazionale! Quelli erano i loro comuni nemici e contro di essi erano finalmente uniti dallo stesso, identico odio.

Vivissima era stata perciò la loro soddisfazione nell'apprendere a quali difficoltà erano andate incontro le riunioni preparatorie; furono ancora più soddisfatti quando appresero con quale lentezza e per quali vie tortuose la Conferenza, definitivamente costituita, si avviava verso un accordo che sarebbe rimasto incerto e problematico.

Per adoperare un'espressione del linguaggio comune, c'erano difficoltà a Washington.

A partire dalla seconda seduta, la Conferenza aveva dato l'impressione che non avrebbe condotto a buon fine i suoi lavori senza intoppi. Nonostante lo studio approfondito fatto dalle sotto-commissioni, l'intesa parve, sin dagli inizi, difficile da realizzare.

La prima proposta avanzata fu quella di lasciare la proprietà del bolide al paese in cui sarebbe caduto. Era come ridurre la questione a una specie di lotteria con un solo premio; e che premio!

La proposta, fatta dalla Russia e appoggiata dall'Inghilterra e dalla Cina — stati in possesso di vastissimi territori — suscitò ciò che in

Page 157: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

linguaggio parlamentare si chiama vivace agitazione. Molto indecisi gli altri stati. Si sospese la seduta. Vi furono conciliaboli e intrighi di corridoio… Alla fine, allo scopo di rimandare un'imbarazzante votazione, la Svizzera presentò una mozione di aggiornamento che raccolse la maggioranza dei suffragi.

Si sarebbe tornato a discutere quella soluzione soltanto nel caso in cui non si fosse raggiunta un'intesa su un'equa ripartizione.

Ma è mai possibile, in una simile materia, avere la nozione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è? Il problema è molto delicato. Senza che una precisa opinione a tale riguardo riuscisse ad emergere dalla discussione, la Conferenza si riunì inutilmente molte volte; alcune sedute furono così tumultuose che il signor Harwey si mise il cappello e abbandonò la poltrona presidenziale.

Se quel gesto era bastato in quella occasione a placare l'effervescenza dell'assemblea, sarebbe stato sempre così? A giudicare dall'animosità e dalla violenza delle espressioni, era lecito dubitarne. A dire il vero, l'agitazione che regnava nell'assemblea era tale da lasciar prevedere che, un giorno o l'altro, sarebbe stato necessario fare intervenire le forze armate, con grave pregiudizio per la maestà degli stati sovrani rappresentati alla Conferenza.

Un tale scandalo era nella logica delle cose; non c'era motivo perché l'agitazione si calmasse. Era probabile invece che crescesse di giorno in giorno, poiché di giorno in giorno, secondo gli articoli quotidiani di Lowenthal, la caduta del bolide appariva sempre più probabile.

Dopo una decina di emozionanti comunicati che rivelavano la stupefacente sarabanda della meteora e la disperazione dell'astronomo, questi sembrava essersi ripreso. Nella notte dall'11 al 12 giugno aveva ritrovato di colpo la pace dell'anima: la meteora aveva cessato le sue fantasiose peregrinazioni ed era nuovamente sollecitata da una forza regolare e costante che, pur essendo ignota, non era però contraria alla ragione. Da quell'istante, Lowenthal era tornato alla serenità, appannaggio del matematico, riservandosi di ricercare in un altro momento perché mai quel corpo celeste fosse, durante dieci giorni, come impazzito.

Page 158: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il mondo aveva subito appreso da lui che il bolide era rientrato nella normalità; da quel giorno, le sue note quotidiane avevano segnalato una lenta perturbazione della meteora, la cui orbita aveva ricominciato a inclinarsi verso nord-est-sud-ovest, mentre la sua distanza dalla terra tornava a diminuire con una gradualità di cui Lowenthal non era riuscito a determinare la legge. Le probabilità della sua caduta si facevano dunque sempre più numerose; se non era ancora una certezza, vi si avvicinava un po' di più ogni giorno.

Non era questo un motivo perché la Conferenza portasse presto a termine i suoi lavori?

Nelle note che apparvero dal 5 al 14 luglio, il dotto direttore dell'osservatorio di Boston sembrò nei suoi pronostici ancora più audace: annunciò contemporaneamente, con parole sempre meno velate, che una nuova notevole modifica era sopraggiunta nel cammino del bolide e che ben presto la gente sarebbe stata informata delle conseguenze che se ne dovevano dedurre.

Proprio il 14 luglio la Conferenza si cacciò in un vicolo cieco. Poiché tutte le combinazioni esaminate erano state successivamente respinte, ora mancava la materia di discussione. I delegati si guardavano imbarazzati. Da quale parte ricominciare a discutere una questione già esaminata senza risultato sotto tutti gli aspetti?

Sin dalle prime sedute era stata respinta la proposta di dividere i miliardi fra tutti gli stati, in proporzione alla superficie del loro territorio: e pertanto, se questa combinazione rispettava l'equità che si diceva di ricercare, le nazioni a vasta superficie avendo maggiori necessità delle altre, accettando tale divisione, sacrificavano le loro più numerose probabilità, e perciò meritavano un compenso. Ma ciò non aveva impedito che la proposta fosse respinta a causa dell'opposizione dei paesi densamente popolati; i quali proposero, per contro, di eseguire la ripartizione non in proporzione al numero di chilometri quadrati del territorio, ma in proporzione al numero degli abitanti. Anche tale proposta, che non mancava di equità, perché conforme al principio d'eguaglianza dei diritti dell'uomo, fu respinta da Russia, Brasile, Argentina e parecchi altri grandissimi paesi scarsamente popolati. Il presidente Harvey, partigiano convinto della dottrina di Monroe, non poté fare a meno di schierarsi dalla parte

Page 159: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

delle due repubbliche americane e la sua autorità decise del voto. Venti astensioni e diciannove voti contrari bocciarono la proposta.

Governi dalle finanze dissestate, che sarà meglio non specificare, suggerirono allora che sarebbe stato equo dividere l'oro caduto dal cielo in modo che la sorte di tutti gli abitanti del pianeta fosse il più possibile equilibrata. Si obiettò subito che questo sistema, con le sue prospettive socialiste, avrebbe premiato l'ozio e condotto a una suddivisione così complicata da farla ritenere praticamente irrealizzabile. Questo non impedì ad altri oratori di voler complicare le cose sostenendo, per mezzo di emendamenti, che bisognava tener conto di tre fattori: superficie, popolazione e ricchezza, attribuendo a ciascuno di essi un coefficiente conforme a giustizia.

Giustizia! Quella parola era sulla bocca di tutti, ma non certamente in fondo ai loro cuori: ecco perché, forse sperando dal tempo una soluzione più vantaggiosa, quelle proposte furono respinte come le precedenti.

L'ultima votazione ebbe luogo il 14 luglio e fu allora che i delegati si guardarono con imbarazzo. Si trovavano di fronte al nulla.

Russia e Cina ritennero che fosse venuto il momento di riesumare la proposta sepolta agli inizi sotto una mozione di aggiornamento, mitigando però ciò che essa aveva di rigoroso. I due stati proposero, dunque, che la proprietà dei miliardi celesti fosse attribuita alla nazione il cui territorio fosse scelto dalla sorte, ma che quella nazione dovesse versare agli altri paesi un'indennità calcolata in mille franchi per cittadino.

A causa della stanchezza dell'assemblea, quella transazione sarebbe stata forse votata la sera stessa, se non avesse incontrato l'ostruzionismo della repubblica di Andorra, il cui rappresentante diede inizio a un interminabile discorso, che forse durerebbe ancora se il presidente, constatato che l'aula era vuota, non avesse deciso di mettere fine alla seduta e di rimandare al giorno dopo il seguito della discussione.

La repubblica di Andorra aveva manifestato la sua preferenza per la ripartizione basata esclusivamente sul numero degli abitanti; per tale motivo aveva creduto di fare atto di buona politica impedendo di votare immediatamente la proposta fatta dalla Russia, ma si era

Page 160: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

sbagliata di grosso. Se quella proposta le assicurava in ogni caso apprezzabili vantaggi, essa ora correva il rischio di non prendere un centesimo: spiacevole risultato, sul quale il signor Ramontcho, il quale aveva perduto una bella occasione per stare zitto, non contava certamente.

La mattina dopo stava per verificarsi un avvenimento di natura tale da screditare i lavori della Conferenza e da comprometterne definitivamente il successo. Se era stato possibile, allorché s'ignorava il luogo in cui sarebbe caduto il bolide, discutere sulla ripartizione del suo valore, era il caso di continuare a discuterne quando tale ignoranza non esisteva più? Non sarebbe stato di cattivo gusto chiedere al vincitore di dividere il premio, dopo l'estrazione?

Una cosa era certa, comunque: non sarebbe stato più possibile procedere alla ripartizione in forma amichevole. Il paese favorito dalla sorte non avrebbe mai acconsentito di buona voglia. Ormai il signor de Schnack, delegato della Groenlandia, non avrebbe più partecipato ai lavori della Conferenza: il signor Lowenthal, nella sua comunicazione quotidiana, attribuiva a lui i miliardi erranti.

«Da una decina di giorni», scriveva il dotto direttore dell'osservatorio di Boston, «abbiamo parlato più volte di un importante cambiamento avvenuto nel cammino della meteora. Torniamo oggi con maggiore precisione sull'argomento, perché il tempo trascorso ci ha persuasi del carattere definitivo di questo cambiamento, mentre il calcolo ci permette di determinarne le conseguenze.

«Il cambiamento consiste nel fatto che, dal 5 luglio, la forza che sollecitava il bolide ha cessato di manifestarsi. A partire da tale giorno non è stata più constatata la minima deviazione dall'orbita, così che il bolide si è avvicinato alla terra nella stretta misura impostagli dalle condizioni in cui si muove. Oggi esso ne dista una cinquantina di chilometri.

«Se la forza che agiva sul bolide fosse scomparsa alcuni giorni prima, esso avrebbe potuto, a causa della forza centrifuga, allontanarsi dal nostro pianeta quasi fino alla distanza primitiva. Ormai non è più così. La velocità della meteora, ridottasi in seguito all'attraversamento degli strati più densi dell'atmosfera, è appena

Page 161: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

sufficiente per mantenerla nella sua attuale traiettoria. Ci rimarrebbe eternamente, se la causa alla quale è dovuto il suo rallentamento, e cioè la resistenza dell'aria, fosse soppressa. Poiché tale causa è permanente, si può essere certi che il bolide cadrà.

«C'è dell'altro. Poiché la resistenza dell'aria è un fenomeno noto e perfettamente studiato, è possibile tracciare sin d'ora la curva di caduta della meteora. Fatte salve complicazioni inattese, delle quali i fatti precedenti non ci permettono di respingere l'ipotesi, si può affermare sin d'ora ciò che segue:

«1° Il bolide cadrà. «2° La caduta avverrà il 19 agosto, tra le due e le undici del

mattino. «3 ° Avverrà nel raggio di dieci chilometri intorno alla città di

Upernivik, capitale della Groenlandia.» Se il banchiere Lecoeur avesse avuto la possibilità di conoscere la

comunicazione di Lowenthal, avrebbe avuto motivo di esserne soddisfatto. Appena la notizia fu nota, infatti, si verificò il crollo di tutti i mercati finanziari e le azioni degli sfruttamenti auriferi del Vecchio e del Nuovo Mondo perdettero i quattro quinti del loro valore.

Page 162: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 163: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XVI

NEL QUALE SI VEDONO MOLTI CURIOSI APPROFITTARE DELL'OCCASIONE PER ANDARE IN GROENLANDIA AD ASSISTERE

ALLA CADUTA DELLA STRAORDINARIA METEORA

LA MATTINA del 27 luglio, una folla numerosa assisteva alla partenza dello steamer Mozik, il quale stava per lasciare Charleston, il grande porto della Carolina del Sud. I curiosi che desideravano recarsi in Groenlandia erano moltissimi; a bordo di quella nave di millecinquecento tonnellate, che non era stata la sola ad essere noleggiata per tale destinazione, non c'era più una sola cabina disponibile. Altri piroscafi di varia nazionalità si preparavano a risalire l'Atlantico fino allo stretto di Davis e al mare di Baffin, al di là del circolo polare artico.

Ove si pensi all'agitazione che regnava negli animi, dopo la clamorosa rivelazione fatta da J.B.K. Lowenthal, l'affluire di tanta gente non deve sorprendere.

Il dotto astronomo non poteva essersi sbagliato. Dopo avere rimproverato aspramente i signori Forsyth e Hudelson, non avrebbe corso il rischio di esporsi a identiche contestazioni. In circostanze così eccezionali, parlare con leggerezza sarebbe stato imperdonabile e avrebbe voluto dire esporsi alla pubblica indignazione.

Bisognava perciò ritenere certe le sue conclusioni. Il bolide non sarebbe caduto né nelle inospitali contrade polari né negli abissi oceanici, dai quali sarebbe stato impossibile tirarlo fuori. Sarebbe caduto sul suolo della Groenlandia, a preferenza di ogni altro stato della terra.

La fortuna stava per favorire, dunque, quella vasta regione che un tempo dipendeva dalla Danimarca, che le aveva generosamente concesso l'indipendenza alcuni anni prima dell'apparizione della meteora.

Page 164: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

La regione è immensa; di essa non si saprebbe dire neppure se si tratta di un continente o di un'isola. Avrebbe potuto accadere che la sfera d'oro cadesse molto lontano dal litorale, a centinaia di leghe verso l'interno; le difficoltà sarebbero state enormi, in tal caso, per raggiungerla. È inutile dire che quelle difficoltà sarebbero state superate, che si sarebbe sfidato il freddo artico e le tempeste di neve; si sarebbe raggiunto persino il polo, se necessario, per correre dietro a quelle migliaia di miliardi.

Era una fortuna, perciò, che non si fosse costretti a compiere imprese del genere e che il luogo della caduta fosse stato indicato con tanta precisione. La Groenlandia accontentava tutti; nessuno invidiava la gloria un po' troppo fredda dei Parry, dei Nansen19 e di altri navigatori delle latitudini iperboree.

Se il lettore avesse preso posto sul Mozik, tra centinaia di passeggeri, tra i quali alcune donne, avrebbe notato cinque persone che non gli sono sconosciute. La loro presenza, o quanto meno la presenza di quattro di esse, non lo avrebbe sorpreso.

Una era il signor Forsyth, il quale, insieme con Omicron, gironzolava lontano dalla torre di Elisabeth Street; un'altra era il signor Hudelson, il quale aveva abbandonato il torrione di Moriss Street.

Non appena avvedute compagnie di trasporto ebbero organizzato i viaggi in Groenlandia, i due rivali non avevano esitato a prendere il proprio biglietto di andata e ritorno. In caso di necessità, ciascuno di essi avrebbe noleggiato una nave per andare a Upernivik. Non avevano certamente l'intenzione di mettere le mani sul blocco d'oro per portarselo a Whaston; intendevano però essere presenti al momento della sua caduta.

Dopo tutto, entrato in possesso del bolide, il governo groenlandese avrebbe potuto attribuir loro una parte di quei miliardi caduti dal cielo!

Ovviamente, a bordo del Mozik, il signor Forsyth e il signor Hudelson si erano ben guardati dallo scegliere cabine vicine. Nel

19 Sono qui ricordati due celebri esploratori: William Edward Parry (1790-1855), esploratore inglese delle regioni artiche, e Fridtjof Nansen (1861-1930), esploratore norvegese della Groenlandia e dei mari artici. (N.d.T.)

Page 165: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

corso della navigazione, come a Whaston, non vi sarebbe stato tra i due il minimo rapporto.

La signora Hudelson non si era opposta alla partenza del marito, così come la bisbetica Mitz non aveva cercato di dissuadere il padrone dall'intraprendere il viaggio. Il dottore però si era visto fatto oggetto di incalzanti sollecitazioni da parte della figlia maggiore e aveva finito per acconsentire a condurla seco, a ciò spinto dal dolore che sapeva di averle arrecato con la sua ostinazione. Jenny, dunque, accompagnava il padre.

L'insistenza della giovane aveva uno scopo. Separata da Francis, dopo le scenate che avevano provocato la rottura dei rapporti tra le due famiglie, ella supponeva che il suo fidanzato avrebbe accompagnato lo zio. In questo caso, sarebbe stata una felicità per i due innamorati poter essere vicini, per non parlare delle occasioni che certamente non sarebbero mancate durante il viaggio, di parlarsi e di stare insieme.

I fatti le diedero ragione; Francis aveva deciso infatti di accompagnare lo zio, anche perché durante l'assenza del dottore egli non avrebbe voluto trasgredire i suoi ordini, presentandosi all'abitazione di Moriss Street. Sarebbe stato meglio, dunque, partecipare al viaggio, per mettersi in mezzo ai due avversari, in caso di necessità, e per approfittare di qualsiasi circostanza che potesse modificare quella spiacevole situazione. Forse la tensione esistente tra i due avversari si sarebbe allentata da sé, dopo la caduta del bolide, sia che esso fosse diventato proprietà della nazione groenlandese, sia che fosse andato a perdersi nelle profondità dell'oceano Artico. Lowenthal era un uomo, dopo tutto, e, come tale, soggetto a sbagliare. La Groenlandia non è forse posta tra due mari? Sarebbe bastata una lieve deviazione, provocata da qualche circostanza atmosferica, perché l'oggetto di tanta cupidigia sfuggisse all'umana avidità.

Il personaggio che quella soluzione non avrebbe soddisfatto era il signor Ewald de Schnack, delegato della Groenlandia presso la Commissione internazionale, che era tra i passeggeri del Mozìk. Il suo paese sarebbe diventato lo stato più ricco del mondo. Le casseforti del governo non sarebbero state né abbastanza ampie né

Page 166: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

abbastanza numerose per contenere quei trilioni. Felice nazione, ove non sarebbero più esistite tasse di alcun genere e dove sarebbe stata soppressa l'indigenza! La saggezza della razza scandinava non lasciava dubbi sul fatto che quella enorme massa d'oro sarebbe stata immessa nel mercato con estrema prudenza; c'era motivo di sperare, dunque, che il mercato monetario non avrebbe subito sconquassi in seguito a quella pioggia di cui Giove inondò la bella Danae,20 se bisogna credere ai racconti mitologici.

Il signor de Schnack sarebbe diventato l'eroe di bordo. Le personalità dei signori Forsyth e Hudelson sparivano dinanzi a quella del rappresentante della Groenlandia; i due rivali avevano dunque in comune l'astio nutrito verso il rappresentante di uno stato che non lasciava loro alcuna parte — neppure una parte di vanità — nella loro immortale scoperta.

La traversata da Charleston alla capitale groenlandese si calcola in circa tremila e trecento miglia, e cioè in più di seimila chilometri. Essa sarebbe durata una quindicina di giorni, compreso lo scalo a Boston, ove il Mozik si sarebbe provvisto di carbone. La nave portava anche viveri per parecchi mesi, come le altre aventi la stessa destinazione, poiché in seguito all'affluenza dei curiosi a Upernivik non sarebbe stato possibile assicurarne l'esistenza.

Il Mozik risalì dapprima verso il nord, in vista della costa orientale degli Stati Uniti, ma il giorno dopo la partenza, lasciatosi dietro il capo Hatteras, estrema punta della Carolina del nord, mise la prua più al largo.

In luglio il cielo è solitamente bello in quei paraggi dell'Atlantico; finché il vento soffiava dall'ovest lo steamer, riparato dalla costa, scivolava sul mare calmo. A volte però il vento veniva dal largo e allora, purtroppo, rollio e beccheggio producevano i soliti effetti.

Se il signor de Schnack aveva uno stomaco da trilionario, non si poteva dire la stessa cosa del signor Forsyth e del dottor Hudelson.

Era la prima volta che viaggiavano per mare e pagarono, abbondantemente, il loro tributo al dio Nettuno; ma non rimpiansero neppure per un istante di essersi lanciati in quell'avventura.

20 Madre di Perseo, uccisore di Medusa. (N.d.T.)

Page 167: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

È superfluo dire che quelle indisposizioni che li riducevano all'impotenza erano messe a profitto dai due fidanzati, i quali non soffrivano il mal di mare. Essi riguadagnavano perciò il tempo perduto, mentre padre e zio gemevano sotto i colpi disgustosi della perfida Anfitrite.21 Non si lasciavano che per prodigare le loro cure ai due sofferenti; ma non era senza un po' di raffinata malizia che si erano divisi il lavoro: mentre Jenny offriva le sue consolazioni al signor Forsyth, Francis spronava il vacillante coraggio del dottor Hudelson.

Quando le ondate erano meno forti, Jenny e Francis conducevano fuori dalle loro cabine i due sventurati astronomi e li portavano sullo spardeck, ove li facevano sedere su poltroncine di vimini, non molto lontani l'uno dall'altro, avendo cura di ridurre un po' per volta quella distanza.

— Come state? — chiedeva Jenny, coprendo con la coperta le gambe del signor Forsyth.

— Sto male! — sospirava il sofferente, senza rendersi conto della persona che gli parlava.

— Come state, signor Hudelson? — chiedeva Francis affabilmente, come se non fosse stato mai messo alla porta da lui, appoggiando il capo del dottore sui cuscini.

I due rivali rimanevano alcune ore sullo spardeck, avendo appena vaga coscienza della loro vicinanza. Per dar loro un po' di vita bisognava che il signor de Schnack passasse loro accanto, solido sulle gambe, sicuro di sé come un gabbiere che si rida delle onde, con il capo eretto dell'uomo che ha soltanto sogni d'oro e che vede tutto in oro. Il barlume di un lampo passava allora negli occhi dei due rivali ed essi trovavano la forza di borbottare tra i denti qualche invettiva:

— Ladro di bolidi! — mormorava il signor Forsyth — Predone di meteore! — mormorava il signor Hudelson.

Il signor de Schnack non vi badava; non mostrava neppure di notare la loro presenza a bordo. Andava avanti e indietro sprezzantemente, con l'indifferenza dell'uomo che sa di trovare nel 21 Mitologica figlia di Nereo e di Doride. Fu moglie di Poseidone e regina del mare. (N.d.T.)

Page 168: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

proprio paese più denaro di quanto ne occorra per rimborsare cento volte il debito pubblico del mondo intero.

La navigazione procedeva, intanto, in condizioni abbastanza buone; ed era da credere che altre navi, partite dai porti della costa orientale, risalissero al nord, dirigendosi verso lo stretto di Davis, e che altre con la stessa destinazione attraversassero in quel momento l'Atlantico.

Il Mozik passò al largo di New York senza fermarsi e, facendo capo a nord-est, proseguì verso Boston. La mattina del 30 luglio fece sosta dinanzi alla capitale dello stato del Massachusetts. Sarebbe bastata una giornata per riempire le sue stive, perché rinnovare in Groenlandia la provvista di combustibile non sarebbe stato certamente possibile.

La traversata non era stata fin allora cattiva, ma la maggior parte dei passeggeri aveva egualmente sofferto il mal di mare. Cinque o sei passeggeri ritennero di averne avuto abbastanza e, rinunciando al viaggio, sbarcarono a Boston. Tra costoro non c'erano certamente né il signor Forsyth né il dottor Hudelson. Se a causa del beccheggio e del rollio fossero giunti in punto di morte, avrebbero reso se non altro il loro ultimo respiro dinanzi alla meteora, oggetto della loro passione.

Lo sbarco di quei passeggeri lasciò disponibili alcune cabine della nave, delle quali non mancarono di approfittare altre persone imbarcatesi a Boston.

Tra costoro si sarebbe potuto notare un gentleman di bell'aspetto, presentatosi prestissimo per assicurarsi una cabina disponibile. Il gentleman era il signor Seth Stanfort, sposo della signora Arcadia Walker, sposata e divorziata, come sappiamo, dinanzi al giudice Proth.

Dopo la separazione di più di due mesi prima, il signor Stanfort era tornato a Boston. Sempre posseduto dalla smania di viaggiare e costretto a rinunciare ad andare in Giappone, in seguito al comunicato di Lowenthal, aveva visitato le principali città del Canada: Quebec, Toronto, Montreal, Ottawa. Cercava forse di dimenticare la moglie? Sembrava poco probabile. Gli sposi si erano piaciuti prima e dispiaciuti poi. Il divorzio, non meno originale del

Page 169: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

matrimonio, li aveva separati. Era detto tutto. Non si sarebbero più rivisti, senza dubbio; o, se si fossero rivisti, forse non si sarebbero nemmeno riconosciuti.

Il signor Stanfort era appena giunto a Toronto, attuale capitale del Dominio quando aveva preso conoscenza della straordinaria comunicazione di Lowenthal. Anche se la caduta del bolide fosse dovuta avvenire ad alcune migliaia di leghe lontano, nelle più remote regioni dell'Asia o dell'Africa, egli avrebbe fatto l'impossibile per andarvi. Non già che quel fenomeno meteorico lo interessasse particolarmente, ma assistere a uno spettacolo che avrebbe avuto un ristretto numero di spettatori, vedere ciò che milioni di esseri umani non avrebbero visto, tentava l'avventuroso gentleman che amava molto i viaggi e al quale le grandi ricchezze permettevano i più fantastici spostamenti.

In questo caso, non si trattava di partire per gli antipodi; la scena di quella magia astronomica era alla porta del Canada.

Il signor Stanfort prese dunque il primo treno in partenza per Quebec e, di là, quello che andava a Boston, attraversando le pianure del Dominio e della Nuova Inghilterra.

Quarantotto ore dopo l'imbarco del gentleman, il Mozik, senza perdere di vista la terra, passò al largo di Portsmouth e poi di Portland, a portata dei semafori, che forse erano in condizione di dare notizie del bolide, ora visibile a occhio nudo quando il cielo era sgombro.

I semafori rimasero muti; neppure quello di Halifax fu più loquace, quando lo steamer passò dinanzi al grande porto della Nuova Scozia.

I viaggiatori dovettero deplorare che la baia di Fundy, tra la Nuova Scozia e il Nuovo Brunswick, non offrisse alcuna via d'uscita verso l'est o verso il nord, il che non li avrebbe costretti a sopportare il violento mare lungo che accompagnò la nave fino all'isola del Capo Breton. Moltissimi stettero male, tra i quali si notarono naturalmente, nonostante le cure di Jenny e di Francis, il signor Forsyth e il signor Hudelson.

Il comandante della nave ebbe pietà dei passeggeri malconci, e s'infilò nel golfo di San Lorenzo per tornare in alto mare attraverso lo

Page 170: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

stretto di Belle-Ile, al riparo del litorale di Terranova; poi cercò di costeggiare la Groenlandia occidentale, attraversando lo stretto di Davis in tutta la sua larghezza. E la navigazione fu più tranquilla.

La mattina del 7 agosto fu segnalato il capo Confort. La terra groenlandese finisce un po' più a est, al capo Farewel, contro il quale vanno a frangersi furiosamente le onde dell'Atlantico settentrionale, come sanno troppo bene i coraggiosi pescatori del banco di Terranova e d'Islanda.

Per fortuna, non si trattava di risalire la costa orientale della Groenlandia, che risulta quasi inabbordabile e non offre alcun porto di riparo, battuta com'è dalle onde d'alto mare. Nello stretto di Davis, invece, i ripari non mancano; sia in fondo ai fiordi, sia dietro le isole, si può facilmente trovare rifugio, e tranne quando soffiano direttamente i venti meridionali, la navigazione si svolge in condizioni favorevoli.

La traversata procedette, infatti, senza che i passeggeri avessero da lagnarsene troppo.

La costa groenlandese, dal capo Farewel all'isola di Disko, è generalmente orlata da scogliere a picco di considerevole altezza che ostacolano i venti provenienti dal largo. Persino nel periodo invernale quel litorale è il meno ostruito dai ghiacci che le correnti del polo conducono dall'oceano Boreale.

In queste condizioni, il Mozik batté con la rapida elica le acque della baia Gilbert, ove sostò per qualche ora a Godthaab, dando la possibilità al cuoco di bordo di procurarsi una grande quantità di pesce fresco. Non è dal mare, infatti, che i groenlandesi traggono il loro principale nutrimento? Poi passò dinanzi ai porti di Holsteinborg e di Christianshaab. Queste borgate, la seconda delle quali si cela in fondo alla baia Disko, sono così nascoste nelle loro muraglie di rocce da non lasciarne sospettare l'esistenza. Esse costituiscono utili rifugi per i numerosi pescatori che solcano lo stretto di Davis a caccia di balene, narvali, trichechi e foche, portandosi a volte fino agli estremi confini del mare di Baffin.

L'isola Disko, che lo steamer raggiunse sin dalle prime ore del 9 agosto, è la più importante di quelle che si sgranano come un rosario lungo il litorale groenlandese; ha rupi basaltiche e un capoluogo —

Page 171: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Godhaven — che sorge sulla costa meridionale; le sue case non sono in pietra, ma in legno, con travi appena squadrate e ricoperte da uno spesso strato di catrame che le protegge dalla penetrazione dell'aria. Francis Gordon e Seth Stanfort, unici passeggeri non magnetizzati dalla meteora, furono sconcertati dalla vista di quella borgata nerastra, alla quale dava spicco, qua e là, il colore rosso dei tetti e delle finestre. Come era mai la vita in quel posto durante l'inverno? Sarebbero rimasti stupiti se avessero appreso che essa era press'a poco quella delle famiglie di Stoccolma o di Copenaghen. Alcune case, sebbene poco ammobiliate, non sono sprovviste di comodità: hanno salone, sala da pranzo e persino una biblioteca. L'«alta società», se così si può dire, di origine danese, non è digiuna di lettere. L'autorità vi è rappresentata da un delegato del governo che risiede a Upernivik.

Dopo essersi lasciato dietro l'isola di Disko, il Mozik andò a gettare l'ancora nel porto di quella città. Erano le sei della sera del 10 agosto.

Page 172: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XVII

NEL QUALE IL MERAVIGLIOSO BOLIDE E UN PASSEGGERO DEL MOZIK INCONTRANO RISPETTIVAMENTE, QUESTI UN

PASSEGGERO DELL'OREGON, E QUELLO IL GLOBO TERRESTRE…

GROENLANDIA significa «Terra Verde»; ma a questo paese ricoperto di neve sarebbe stato più adatto il nome di «Terra Bianca». Dev'essere stato chiamato così per un'ironica facezia del suo padrino, un certo Erik il Rosso, marinaio del X secolo, il quale probabilmente non era più rosso di quanto la Groenlandia non sia verde. Dopo tutto, lo scandinavo sperava forse in questo modo di indurre i suoi compatrioti ad andare a colonizzare quella verde regione iperborea. Non vi è proprio riuscito; i coloni non si sono lasciati tentare da quel nome allettante, e oggi, comprendendovi gli indigeni, la popolazione groenlandese non oltrepassa i diecimila abitanti.

Se mai paese fu meno adatto per accogliere un bolide del valore di quasi seimila miliardi, quello è proprio la Groenlandia. Dei numerosi passeggeri che la curiosità aveva condotto a Upernivik, più d'uno aveva dovuto fare tale riflessione. Non sarebbe stata la stessa cosa, per il bolide, cadere alcune centinaia di leghe più al sud, alla superficie delle vaste pianure del Dominio oppure dell'Unione,22 ove sarebbe stato più facile ritrovarlo? No, teatro di quello straordinario avvenimento stava per essere una regione quanto mai impraticabile e inospitale!

A dire il vero, non mancavano i precedenti a cui richiamarsi; non erano già caduti altri bolidi in Groenlandia? Nell'isola di Disko, Nordenskiold non ha forse trovato tre blocchi di ferro, del peso di

22 La parola Dominio si riferisce al Canada, allora dominio inglese; la parola Unione, agli Stati Uniti d'America. (N.d.T.)

Page 173: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

ottanta tonnellate ciascuno, molto probabilmente meteoriti, che si trovano attualmente nel museo di Stoccolma?

Per fortuna, se Lowenthal non si era sbagliato, il bolide sarebbe caduto in una zona accessibilissima e in agosto, mese in cui la temperatura sale al disopra dello zero. In tale periodo dell'anno, il suolo può giustificare, in qualche tratto, l'ironica denominazione di terra verde data a quel pezzo del Nuovo Continente. Nei giardini crescono qualche legume e alcune graminacee; nell'interno, invece, il botanico non raccoglierebbe che muschi e licheni. Dopo il disgelo, sul litorale si vedono alcuni pascoli che consentono di allevare un po' di bestiame. Non si contano certamente a centinaia né i buoi né le mucche, ma vi s'incontrano polli e capre di particolare resistenza, per non parlare delle renne e della numerosa popolazione canina.

Dopo due o tre mesi di estate, l'inverno fa ritorno, con le sue notti interminabili, i suoi aspri venti provenienti dalle regioni polari e le sue paurose tormente. Sullo strato di ghiaccio che ricopre il suolo, volteggia una specie di polvere grigia, detta polvere di ghiaccio, quella cryokonite piena di piante microscopiche di cui Nordenskiold raccolse i primi campioni.

Ma dal fatto che la meteora non dovesse cadere all'interno della grande terra, non ne conseguiva che il possesso ne fosse assicurato alla Groenlandia.

Upernivik non si trova soltanto in riva al mare, ma è circondata da ogni parte dal mare. È un'isola in mezzo a un arcipelago di isolotti sparsi lungo il litorale; e questa isola, che non ha neppure dieci leghe di circonferenza, offriva un ristretto bersaglio al proiettile aereo. Se non l'avesse raggiunta con matematica precisione, sarebbe passato accanto alla meta e le acque del mare di Baffin si sarebbero richiuse su di esso. Il mare è profondo in quelle zone iperboree: la sonda ne raggiunge il fondo a mille o duemila metri. Andate a pescare in quell'abisso una massa del peso di quasi novecentomila tonnellate!

Tale eventualità non mancava di preoccupare vivamente il signor de Schnack, il quale aveva ripetutamente confidato le sue inquietudini a Seth Stanfort, con cui aveva stretto amicizia nel corso della traversata. Ma contro tale pericolo non c'era nulla da fare: bisognava aver fiducia nei calcoli del dotto Lowenthal.

Page 174: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

L'accidente temuto dal signor de Schnack sarebbe stato considerato, invece, da Francis e da Jenny, come la più auspicabile soluzione per i loro problemi. Scomparso il bolide, le due persone dalle quali dipendeva la loro felicità non avrebbero avuto più nulla da rivendicare, nemmeno l'onore di dargli il loro nome. E questo sarebbe stato un gran passo sulla via dell'agognata riconciliazione.

È fuor di dubbio che il modo di considerare le cose da parte dei due giovani non fosse condiviso dai numerosi passeggeri del Mozik e dalla decina di bastimenti di molte nazioni all'ancora dinanzi a Upernivik. Costoro ci tenevano a vedere qualcosa, dal momento che erano venuti proprio per questo.

Non sarebbe stata la notte, comunque, ad opporsi alla realizzazione del loro desiderio. Durante ottanta giorni, dei quali metà prima e metà dopo il solstizio d'estate, il sole non sorge e non tramonta, a quella latitudine. Si nutrivano quindi grandi speranze di vedere bene, al momento dell'apparizione della meteora, se, conformemente alle affermazioni di Lowenthal, il destino l'avesse condotta nei pressi del luogo.

Il giorno dopo l'arrivo, una folla composta di persone di ogni genere si sparse tra le casette di legno di Upernivik, la più importante delle quali esponeva la bandiera bianca con croce rossa della Groenlandia. Mai i groenlandesi e le groenlandesi avevano visto tanta gente affluire alle loro rive lontane.

I groenlandesi della costa occidentale sono tipi piuttosto strani. Piccoli di media statura, tarchiati, vigorosi, corti di gambe, mani e caviglie sottili, carnagione bianco giallastra, viso largo e piatto, quasi senza naso, occhi scuri e lievemente a mandorla, capelli neri e ruvidi che ricadono loro sul viso, somigliano vagamente alle loro foche, con la stessa espressione dolce e anche con lo stesso strato di grasso che li protegge dal freddo. Gli abiti sono identici per i due sessi: stivali, pantaloni, amaù o cappuccio; ma le donne, graziose e ridenti quando sono giovani, si rialzano i capelli a mo' di elmo, s'imbacuccano con stoffe moderne e si adornano di nastri multicolori. La moda del tatuaggio, che un tempo furoreggiava, è scomparsa in seguito alla propaganda dei missionari; ma la popolazione ha conservato la passione per il canto e la danza, loro uniche distrazioni. Bevono

Page 175: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

acqua, mangiano carne di foca e di cani commestibili, pesce e bacche d'alga. Quella dei groenlandesi è, dunque, una triste vita.

L'arrivo di tanti forestieri nell'isola causò grande sorpresa alle poche centinaia di indigeni che vi abitano; quando poi ne appresero il motivo, la loro sorpresa crebbe maggiormente. La gente non ignorava il valore dell'oro, ma la cuccagna non era per loro. Se i miliardi cadevano sulla loro terra, essi non sarebbero andati a riempirsene le tasche, anche se le tasche non mancano negli abiti dei groenlandesi, che a ragione non sono quelli dei polinesiani. Quei miliardi sarebbero andati a inabissarsi nelle casse dello Stato, dalle quali, come al solito, nessuno li avrebbe più visti uscire. Non era tuttavia il caso di disinteressarsi della faccenda: anche per i poveri abitanti del paese forse ne sarebbe comunque venuto un po' di benessere.

Ad ogni buon conto, era tempo che si giungesse alla conclusione della faccenda.

Se altri steamer fossero giunti, il porto di Upernivik non avrebbe potuto contenerli. D'altra parte, agosto veniva avanti, e non potevano attardarsi a lungo sotto quella latitudine; settembre apre le porte all'inverno, perché porta i ghiacci degli stretti e dei canali e comincia a rendere impraticabile il mare di Baffin. Bisogna fuggire, bisogna allontanarsi dalla zona; bisogna lasciarsi dietro il capo Farewel, per non correre il rischio di rimanere imprigionati dai ghiacci per i sei o sette mesi del rigido inverno dell'oceano Artico.

Nell'attesa, gli intrepidi passeggeri facevano lunghe passeggiate attraverso l'isola; il suolo roccioso, quasi piatto, rialzato soltanto da alcune tu-mescenze nella parte centrale, si prestava alle gite. Qua e là si estende qualche pianura, ove, sopra un tappeto di musco e di erbe più gialle che verdi, s'innalzano arbusti che non diventeranno mai alberi e alcune betulle intristite che ancora crescono oltre il 72° parallelo.

Il cielo era di solito nebbioso; spesso grosse nubi basse lo attraversavano, spinte dai venti dell'est. La temperatura non superava mai i dieci gradi sopra lo zero. I passeggeri erano felici, perciò, di ritrovare a bordo della propria nave le comodità che il villaggio non

Page 176: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

poteva offrire e il cibo che non avrebbero potuto trovare né a Godhaven né in altre stazioni del litorale.

Cinque giorni dopo l'arrivo del Mozik, la mattina del 16 agosto, fu segnalato un altro bastimento al largo di Upernivik: uno steamer scivolava tra isole e isolotti dell'arcipelago, per venire ad ancorarsi. Al picco di mezzana sventolava la bandiera degli Stati Uniti.

Lo steamer conduceva certamente altri curiosi sulla scena del grande avvenimento meteorologico; forse alcuni ritardatari che, del resto, non sarebbero arrivati affatto in ritardo, considerato che il globo d'oro continuava a gravitare nell'atmosfera.

Verso le undici del mattino, lo steamer Oregon lasciava cadere l'ancora in mezzo alle altre navi e, subito, un canotto portava a terra un passeggero che, indubbiamente, aveva più premura dei compagni di viaggio.

Si sparse subito la voce che era un astronomo dell'osservatorio di Boston, un certo signor Wharf, che si recò presso il capo del governo, il quale fece immediatamente avvertire il signor de Schnack di recarsi alla casetta sul tetto della quale sventolava la bandiera nazionale.

L'ansietà fu grande; il bolide stava forse per piantare in asso tutti e «filarsela all'inglese» verso altre zone celesti, secondo il desiderio di Francis Gordon?

Si fu presto tranquillizzati a tale riguardo: il calcolo aveva condotto Lowenthal a conclusioni esatte; il signor Wharf aveva intrapreso quel lungo viaggio unicamente per assistere alla caduta del bolide, quale rappresentante del suo capo gerarchico.

Era il 16 agosto; fra tre giorni il bolide avrebbe riposato sulla terra groenlandese.

— A meno che non cada in mare! — mormorava Francis, il quale era il solo a formulare quella speranza.

Ma per sapere quale sarebbe stata la conclusione della faccenda, occorreva aspettare ancora tre giorni. Tre giorni non sono molti, ma a volte sono moltissimi, soprattutto in Groenlandia, ove sarebbe stato pretendere troppo affermare che gli svaghi abbondino. Ci si annoiava, quindi, e contagiosi sbadigli disarticolavano le mascelle dei turisti inoperosi.

Page 177: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il signor Seth Stanfort era certamente tra coloro ai quali il tempo sembrava meno lungo. Globe-trotter23 convinto, andava volentieri dove c'era qualcosa di speciale da vedere; abituato com'era alla solitudine, sapeva tenere compagnia a se stesso.

La fastidiosa monotonia di quegli ultimi giorni d'attesa sarebbe stata interrotta, tuttavia, a suo esclusivo vantaggio, quasi a riprova dell'immanente ingiustizia che regna nel mondo.

Il signor Stanfort passeggiava sulla spiaggia per assistere allo sbarco dei passeggeri dell'Oregon, quando si fermò di colpo nel vedere la dama che un'imbarcazione deponeva sulla sabbia.

Per un istante il signor Stanfort dubitò dei propri occhi; si avvicinò alla dama e, con tono che manifestava sorpresa, ma non dispiacere, disse:

— La signora Arcadia Walker, se non sbaglio? — Il signor Stanfort! — rispose la dama. — Non credevo di rivedervi su questa lontana isola! — Nemmeno io, signor Stanfort! — Come state? — Benissimo; e voi? — Benissimo. E senza altre cerimonie, cominciarono a chiacchierare come

vecchie conoscenze che s'incontrano per caso. Per prima cosa, la signora Walker chiese, indicando il cielo: — Non è ancora caduto? — Non ancora, tranquillizzatevi; ma non tarderà. — Sarò presente, dunque! — disse la dama con soddisfazione. — Come me! — rispose il signor Stanfort. Erano indubbiamente due persone molto distinte, due persone

della buona società, per non dire due vecchi amici, che la curiosità aveva condotto sulla spiaggia di Upernivik.

Dopo tutto, perché stupirne? Arcadia Walker non aveva certamente trovato in Seth Stanfort il proprio ideale, ma forse quell'ideale non esisteva, non avendolo ancora incontrato da nessuna parte. Mai la scintilla, il romanzesco «colpo di fulmine», era sprizzata per lei; e, in mancanza di questa leggendaria scintilla, 23 Che ama girare il mondo. (N.d.T.)

Page 178: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

nessuno si era impadronito del suo cuore per la riconoscenza dovuta a qualche importante servizio. Dopo averne fatto leale esperienza, il matrimonio non era risultato conveniente né per lei né per il signor Stanfort: ma mentre ella nutriva molta simpatia per l'uomo che aveva avuto la delicatezza di rinunciare ad esserle marito, questi conservava per l'ex moglie il ricordo di una persona intelligente e originale, apparsagli assolutamente perfetta dopo aver cessato di essere sua moglie.

Si erano separati senza rimproveri e senza recriminazioni. Il signor Stanfort aveva viaggiato e la signora Arcadia aveva fatto altrettanto; ora il capriccio li aveva condotti su quell'isola. Perché mai fingere di non conoscersi? C'era forse qualcosa di più volgare del considerarsi prigionieri di pregiudizi e di sciocche convenzioni? Dopo quelle prime parole, il signor Stanfort si era posto a disposizione di Arcadia Walker, la quale aveva accettato molto volentieri i servizi dell'ex marito e avevano parlato soltanto del fenomeno meteorologico e della sua imminente conclusione.

A mano a mano che il tempo passava, un crescente nervosismo turbava i curiosi raccolti su quella spiaggia lontana; i principali interessati soprattutto, tra i quali erano, oltre alla Groenlandia, il signor Forsyth e il dottor Hudelson, i quali si ostinavano ad attribuirsi tale qualità.

— Purché cada sull'isola! — pensavano questi ultimi. — E non vicino all'isola! — pensava il capo del governo

groenlandese. — Ma non sul nostro capo! — pensavano i pavidi. Troppo vicino o troppo lontano, erano gli estremi più inquietanti. Il 16 e il 17 agosto trascorsero senza incidenti. Il tempo,

purtroppo, si faceva brutto e la temperatura cominciava ad abbassarsi sensibilmente. Forse ci sarebbe stato un inverno precoce. Le montagne del litorale erano già coperte di neve; quando soffiava, il vento era così pungente da indurre i turisti a rifugiarsi nei saloni delle navi. Non c'era possibilità di soggiornare a quelle latitudini; soddisfatta la propria curiosità, i passeggeri delle navi avrebbero ripreso volentieri la rotta che conduceva al sud.

Page 179: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Eccetto, forse, i due rivali, intestati a far valere ciò che essi chiamavano i loro diritti; i quali avrebbero voluto rimanere accanto al tesoro. Ci si poteva aspettare qualsiasi cosa, da parte di quegli arrabbiati; pensando alla sua cara Jenny, Francis Gordon considerava non senza angoscia l'eventualità di un lungo svernamento.

Nella notte dal 17 al 18 agosto, si scatenò una vera e propria tempesta sull'arcipelago. Venti ore prima, l'astronomo di Boston era riuscito a osservare il bolide, la cui velocità si riduceva continuamente. La violenza della tormenta era però tale da lasciar credere che potesse portar lontano il bolide.

Nella giornata del 18 agosto non subentrò alcun miglioramento; le prime ore della sera furono così inquietanti da turbare i capitani delle navi in rada.

Tuttavia, verso la metà della notte, la tempesta scemò notevolmente e i passeggeri ne approfittarono per farsi portare a terra: il 19 agosto non era forse la data stabilita per la caduta del bolide?

Era tempo: alle sette si udì un sordo tonfo, così violento che tutta l'isola ne tremò.

Pochi minuti dopo, un indigeno si precipitava in casa del signor de Schnack: recava la lieta novella…

Il bolide era caduto sulla punta nord-ovest dell'isola.

Page 180: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XVIII

IN CUI PER GIUNGERE AL BOLIDE, IL SIGNOR DE SCHNACK E I NUMEROSI SUOI COMPLICI COMMETTONO DELITTI DI SCALATA E

DI EFFRAZIONE

Fu SUBITO una corsa generale. Sparsasi in un baleno, la notizia mise in agitazione tutti; le navi

furono abbandonate dall'equipaggio e il torrente umano si precipitò nella direzione indicata dall'indigeno.

Se l'attenzione generale non fosse stata rivolta esclusivamente alla meteora, si sarebbe potuto osservare in quel preciso istante un fatto pressoché incomprensibile. Come se obbedisse a un misterioso segnale, uno steamer alla fonda nella baia, la cui ciminiera vomitava fumo sin dalle prime luci dell'alba, levò l'ancora e a grande velocità mise la prua verso l'alto mare. Era una nave dalle forme snelle, verosimilmente veloce: pochi minuti dopo era scomparsa dietro le rupi.

Tale comportamento non poteva non sorprendere. Perché era venuta a Upernivik? Non certo per lasciarla nel momento in cui c'era qualcosa da vedere. Nella fretta generale, nessuno badò a quella partenza, che tuttavia appariva singolare.

Andare a rotta di collo, tale era la preoccupazione della folla, nella quale non mancavano donne e persino bambini; tutti procedevano in disordine, urtandosi e spingendosi. Una persona però aveva conservato la calma: da accanito globe-trotter che nulla avrebbe potuto stupire, il signor Stanfort conservava, nell'agitazione generale, il suo sdegnoso dilettantismo. Non si sa se per raffinata cortesia o per altro sentimento, aveva persino voltato le spalle alla direzione seguita dalla folla per andare incontro alla signora Walker e offrirle la sua compagnia. Non era naturale, dopo tutto, che andassero insieme a vedere il bolide, considerati i loro amichevoli rapporti?

Page 181: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Finalmente, è caduto! — disse la signora Walker per prima. — Finalmente! — rispose il signor Stanfort. «Finalmente!» aveva ripetuto e continuava a ripetere la folla,

dirigendosi verso la punta nord-ovest dell'isola. Cinque persone erano riuscite tuttavia a precedere di qualche

passo le altre; la prima era il signor de Schnack, al quale anche i più impazienti avevano cortesemente ceduto il passo.

Nello spazio rimasto libero si erano insinuati i signori Forsyth e Hudelson, che, accompagnati dai fedeli Francis e Jenny, erano ora alla testa del corteo. I due giovani, come a bordo del Mozik, continuavano a invertire le loro parti: Jenny dedicava le sue attenzioni al signor Forsyth, e Francis si mostrava molto premuroso verso il dottor Hudelson. La loro sollecitudine per la verità non era sempre ben accolta, ma stavolta i due rivali erano così turbati da non accorgersi neppure l'uno dell'altro. A maggior motivo non potevano notare la malizia dei due giovani, che camminavano a fianco a fianco in mezzo a loro due.

— Il delegato sarà il primo a prendere possesso del bolide — borbottò il signor Forsyth.

— E a mettervi sopra le mani — aggiunse il dottor Hudelson, credendo di rispondere a Francis.

— Ma ciò non mi impedirà di far valere i miei diritti! — proclamò il signor Forsyth, rivolgendosi a Jenny.

— No, certo! — approvò il dottore, pensando ai suoi. Con immensa soddisfazione della figlia dell'uno e del nipote

dell'altro, sembrava che i due avversari, dimenticando i rancori personali, unissero il loro reciproco odio contro il comune nemico.

In seguito a un felice concorso di circostanze le condizioni atmosferiche erano completamente mutate. Il vento si era voltato al sud e la tormenta era cessata. Il sole si alzava ormai di appena qualche grado sull'orizzonte, ma se non altro brillava attraverso le ultime nubi che i suoi raggi attenuavano. Pioggia e raffiche erano cessate; il cielo si era schiarito e la temperatura oscillava tra gli 8 e i 9 gradi sopra lo zero.

Tra la stazione e la punta c'era una buona lega, che bisognava percorrere a piedi. Non era certamente Upernivik che avrebbe potuto

Page 182: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

fornire un veicolo; del resto, si camminava agevolmente sul terreno abbastanza pianeggiante ma la cui natura rocciosa si accentuava notevolmente al centro dell'isola e sul litorale, dove si ergevano delle alte scogliere.

Era oltre quelle scogliere che il bolide era caduto; dalla stazione non era possibile vederlo.

L'indigeno che aveva recato la buona novella faceva da guida. Lo seguivano da presso il signor de Schnack, i signori Forsyth e Hudelson, Jenny e Francis, seguiti a loro volta da Omicron, dall'astronomo di Boston e dai turisti.

Il signor Stanfort camminava un po' indietro accanto alla signora Walker. Entrambi erano a conoscenza della ormai leggendaria rottura tra le due famiglie e le confidenze di Francis, con il quale durante la traversata il signor Stanfort aveva avuto cordiali rapporti, avevano messo quest'ultimo al corrente delle conseguenze di questa rottura.

— La cosa si aggiusterà — aveva pronosticato la signora Walker, quando ne fu informata.

— È da sperarlo! — approvò il signor Stanfort. — Non dubitatene! — disse la signora Arcadia. — E in seguito le

cose andranno meglio. Vedete, signor Stanfort, difficoltà e inquietudini non guastano, prima del matrimonio; le unioni concluse con troppa facilità corrono il rischio di disfarsi con eguale facilità. Non credete, signor Stanfort?

— La penso come voi; ne è prova ciò che è capitato alla nostra. In cinque minuti… a cavallo… il tempo di allentare le briglie…

— Per allentarle di nuovo sei settimane dopo… ma a noi stessi, stavolta, reciprocamente! — lo interruppe sorridendo la signora Arcadia. — Ebbene, Francis Gordon e Jenny Hudelson, per il solo fatto di non sposarsi a cavallo, avranno maggiori probabilità di raggiungere la felicità.

Superfluo dire che, tra la folla di curiosi, il signor Stanfort e la signora Walker dovevano essere i soli, se si eccettuano i due fidanzati, a non preoccuparsi in quel momento della meteora, a non parlarne, e a filosofare, come avrebbe fatto probabilmente il signor Proth, del quale, le poche parole allora dette avevano evocato ai loro occhi il viso bonario.

Page 183: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Procedevano di buon passo su un altopiano cosparso di magri arbusti, dai quali volavano via molti uccelli più spaventati di quanto non lo fossero mai stati nei dintorni di Upernivik. In una mezz'ora furono percorsi tre quarti di lega; mancavano ancora un migliaio di metri per raggiungere il bolide, nascosto agli sguardi da una rupe. Era là che lo avrebbero trovato, secondo la guida groenlandese, che non poteva certamente sbagliarsi: stava lavorando la terra, quando aveva visto la luce sfolgorante della meteora e ne aveva sentito l'impatto della caduta, come molti altri anche se più lontani.

Una circostanza, paradossale in quella regione, obbligò i turisti a fermarsi un istante: faceva caldo. Per incredibile che la cosa potesse apparire, si asciugavano la fronte, come se si trovassero a una latitudine più temperata. Era stata forse la rapida marcia a infliggere a quei curiosi un inizio di liquefazione? Essa vi contribuiva certamente, ma la temperatura dell'aria tendeva incontestabilmente a risalire. In quel luogo, in prossimità della punta nord-ovest dell'isola, il termometro avrebbe indubbiamente segnato alcuni gradi di differenza con la stazione di Upernivik. Sembrava persino che il calore aumentasse man mano che ci si avvicinava alla meta.

— La caduta del bolide avrebbe forse modificato il clima dell'arcipelago? — chiese il signor Stanfort, ridendo.

— Sarebbe una bella fortuna per i groenlandesi! — rispose la signora Arcadia scherzosamente.

— È probabile che il blocco d'oro, surriscaldatosi nell'attraversare l'atmosfera, sia ancora allo stato incandescente — spiegò l'astronomo di Boston — e che il suo calore giunga fin qui.

— Magnifico! — esclamò il signor Stanfort. — Dovremo forse attendere che si raffreddi?

— Si sarebbe raffreddato più presto se fosse caduto fuori dell'isola, invece di cadervi sopra — disse tra sé Francis Gordon, tornando alla sua opinione favorita.

Aveva caldo anche lui, ma non era il solo. Il signor de Schnack e il signor Wharf sudavano come lui, e così gli altri, per non dire dei groenlandesi che non erano mai stati così bene.

Page 184: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Dopo una breve sosta, ci si rimise in cammino; ancora cinquecento metri e alla svolta della rupe la meteora sarebbe apparsa in tutto il suo splendore.

Dopo duecento passi, il signor de Schnack dovette però fermarsi nuovamente; dietro di lui si fermarono i signori Forsyth e Hudelson e poi la folla, costretta a fare altrettanto. Non era il caldo a costringerli a un'altra sosta, ma un ostacolo assolutamente inatteso e imprevedibile in un simile paese.

Uno sbarramento fatto da tre linee di fil di ferro sorrette da dei piuoli si piegava con una curva continua da destra a sinistra sul litorale, impedendo il passaggio da ogni parte. Altri piuoli più alti sostenevano, di tratto in tratto, cartelli sui quali, in inglese, in francese e in danese, erano ripetute le stesse parole. Il signor de Schnack, che aveva proprio dinanzi a sé uno di quei cartelli, vi lesse con stupore: «Proprietà privata. Proibito entrare».

Una proprietà privata in quei lontani paraggi era davvero una cosa insolita! Villeggiare sulle coste assolate del Mediterraneo o su quelle più nebbiose dell'oceano è comprensibile: ma non sulle rive dell'oceano glaciale! Che poteva farsene il suo originale proprietario di quel terreno arido e roccioso?

In ogni caso, la faccenda non riguardava il signor de Schnack. Assurda o meno, una proprietà privata gli sbarrava il cammino; quell'ostacolo, soprattutto morale, aveva frenato di colpo il suo slancio. Un delegato ufficiale non può non rispettare i principi sui quali poggiano le società civili, e l'inviolabilità del domicilio privato è un assioma universalmente proclamato.

Il proprietario del resto aveva avuto cura di ricordarlo a tutti coloro che avessero avuto la tentazione di dimenticarlo. «Proibito entrare» ripetevano chiaramente in tre lingue quei cartelli.

Il signor de Schnack non sapeva che cosa fare. Rimanere là gli sembrava una crudeltà. D'altra parte, poteva violare la proprietà altrui, con disprezzo di ogni legge divina e umana?

Dei mormorii di minuto in minuto sempre più alti partiti dalla coda in pochi istanti raggiunsero la testa della colonna. Le ultime file, ignorando le cause della sosta, manifestavano con forza la loro impazienza. Messi al corrente dell'incidente, non si ritennero

Page 185: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

soddisfatti; e allo scontento che continuava a crescere e a diffondersi seguì in breve un chiasso indiavolato, nel quale tutti parlavano a un tempo.

Sarebbero dunque rimasti li sino alla fine dei secoli? Dopo aver percorso migliaia di miglia per giungere in quell'isola, si sarebbero lasciati fermare stupidamente da un miserabile fil di ferro? Il proprietario del terreno non poteva avere l'assurda pretesa di essere padrone anche della meteora. Non aveva alcun diritto di impedire alla gente di passare. E se persisteva nel suo rifiuto bastava semplicemente ricorrere alla forza.

Il signor de Schnack fu scosso da quella valanga di argomenti? Il fatto è che i suoi principi vacillarono. Dinanzi a lui, chiusa da un semplice filo di spago, c'era una porticina. Con l'aiuto di un temperino, egli tagliò lo spago e, senza pensare che l'effrazione faceva di lui un volgare malfattore, penetrò sul territorio proibito.

Alcuni attraverso la porticina, altri scavalcando il filo di ferro, il resto della folla vi si riversò dietro di lui. In pochi istanti, oltre tremila persone invasero la «proprietà privata»: erano agitati e rumorosi e commentavano vivacemente l'inatteso incidente.

Ma il silenzio si ristabilì di colpo, come per incanto. A cento metri dalla porticina, una piccola capanna di legno, fin

allora nascosta da una piega del terreno, era apparsa all'improvviso: dalla soglia della porta, uno stranissimo personaggio gridava agli invasori, in francese, con voce aspra:

— Voi, laggiù! non fate complimenti; fate come se foste a casa vostra!

Il signor de Schnack capiva il francese; si fermò quindi di colpo e, dietro di lui, si fermarono anche i turisti, che, con identico movimento, voltarono contemporaneamente le loro tremila facce incuriosite verso l'insolito individuo che li interpellava.

Page 186: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora
Page 187: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XIX

NEL QUALE ZEFFIRINO XIRDAL PROVA UNA CRESCENTE AVVERSIONE PER IL BOLIDE E CIÒ CHE NE SEGUE

SE FOSSE stato solo, Zeffirino Xirdal sarebbe mai giunto senza inciampi a destinazione? Forse, perché tutto può capitare; ma sarebbe stato più prudente scommettere per il no.

Comunque sia, scommesse non ce n'erano state perché la sua buona stella lo aveva messo sotto la tutela di un Mentore il cui spirito pratico neutralizzava l'eccesso di fantasia di quello strano tipo. Zeffirino ignorò, dunque, le complicate difficoltà del viaggio, che il signor Robert Lecoeur era riuscito a rendere semplici come una passeggiata nei dintorni.

Condotti in poche ore di direttissimo a Le Havre, i due viaggiatori furono accolti premurosamente a bordo di un magnifico steamer, il quale levò subito gli ormeggi e prese il largo senza attendere altri passeggeri.

L'Atlantic non era un piroscafo ma uno yacht di circa seicento tonnellate, noleggiato dal signor Lecoeur e a sua esclusiva disposizione. Per l'importanza degli interessi in giuoco, il banchiere aveva ritenuto opportuno avere tutto per sé un mezzo che gli consentisse di comunicare a suo piacimento con i paesi civili. E poiché gli enormi utili realizzati attraverso la speculazione sulle miniere aurifere gli permettevano lussi principeschi, egli si era assicurato la disponibilità di quella nave, scelta in Inghilterra tra cento altre.

L’Atlantic, capriccio di un lord multimilionario, era stato costruito per le grandi velocità. Di forma snella e affusolata, poteva, sotto l'impulso dei quattromila cavalli delle sue macchine, raggiungere e persino superare i venti nodi. La scelta del signor Lecoeur era stata

Page 188: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

dettata proprio da quella particolarità che sarebbe stata di grande vantaggio, in caso di necessità.

Zeffirino non si mostrò per nulla sorpreso di avere una nave ai suoi ordini. Forse, per la verità, non se ne rese neppure conto. Ad ogni modo salì a bordo e si sistemò nella propria cabina, senza dir nulla.

La distanza tra Le Havre e Upernivik è di circa ottocento leghe marine, che l'Atlantic, volendo, avrebbe potuto percorrere in sei giorni: ma il signor Lecoeur non aveva fretta e perciò dedicò alla traversata una dozzina di giorni. Soltanto la sera del 18 luglio la nave giunse dinanzi alla stazione di Upernivik.

Durante quei dodici giorni, si può dire che Zeffirino non aprì bocca. Durante i pasti, che pigliavano necessariamente insieme, il signor Lecoeur si sforzò molte volte di avviare la conversazione sullo scopo del loro viaggio: non riuscì mai a ottenere risposta. Inutilmente gli parlava della meteora; sembrava che il figlioccio non se ne ricordasse neppure; nessun barlume d'intelligenza si accendeva nei suoi occhi.

Xirdal guardava «entro di sé» e cercava la soluzione di altri problemi. Quali? Non lo diceva. Ma dovevano avere in qualche modo il mare per oggetto, perché trascorreva i giorni a prua o a poppa della nave guardando le onde. Non è temerario supporre che forse proseguiva mentalmente le sue ricerche sul fenomeno della tensione superficiale, di cui precedentemente aveva accennato a un gruppo di passanti, credendo di parlare con l'amico Leroux. Forse le deduzioni fatte allora non furono estranee ad alcune di quelle meravigliose invenzioni con le quali in seguito avrebbe stupito il mondo.

Il giorno dopo l'arrivo a Upernivik, il signor Lecoeur, che già cominciava a disperare, volle tentare di risvegliare l'attenzione del figlioccio mettendogli sotto gli occhi la macchina tratta fuori dall'imballaggio. Non si era sbagliato: il mezzo fu efficacissimo. Nel vedere la macchina, Zeffirino si scosse come se uscisse da un sogno e girò intorno lo sguardo, in cui si scorgevano la fermezza e la lucidità dei grandi giorni.

— Dove siamo? — chiese.

Page 189: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— A Upernivik — rispose il padrino. — E il mio terreno? — Vi andremo immediatamente. Non era proprio così. Fu necessario passare prima dal signor Biarn

Haldorsen, capo dell'Ispettorato del Nord, del quale si rintracciò facilmente l'abitazione perché sormontata dalla bandiera nazionale. Scambiate le solite parole di cortesia, presero a trattare gli affari importanti servendosi di un interprete, del quale il signor Lecoeur si era prudentemente assicurato la collaborazione.

Si presentò subito una prima difficoltà. Il signor Haldorsen non si provò nemmeno a contestare gli atti di proprietà che gli furono esibiti, ma la loro interpretazione non risultava chiara. Secondo quegli atti, regolarissimi e muniti di tutte le firme e di tutti i sigilli ufficiali richiesti, il governo groenlandese, rappresentato dal suo agente diplomatico di Copenaghen, cedeva al signor Zeffirino Xirdal un terreno di nove chilometri quadrati, delimitato da quattro lati eguali di tre chilometri ciascuno, orientati secondo i punti cardinali e tagliati ad angolo retto a eguale distanza da un punto centrale posto a 72° 53' 30" latitudine nord e a 55° 35' 18" longitudine ovest; il tutto al prezzo di cinquecento corone al chilometro quadrato, e cioè a un po' più di seimila franchi.

Il signor Biarn Haldorsen non chiedeva di meglio che accondiscendere, ma voleva sapere con esattezza dov'era situato il punto centrale. Aveva già sentito parlare di latitudine e di longitudine e non ignorava che esistessero cose del genere, ma il suo sapere non andava oltre. Che la latitudine fosse un animale o un vegetale e la longitudine un minerale o un mobile di casa, per lui era del tutto plausibile e si guardava bene dall'avere una qualsiasi preferenza.

Zeffirino Xirdal completò con poche parole le conoscenze cosmografiche del capo dell'Ispettorato del Nord e ne rettificò quelle sbagliate. S'offerse poi di procedere da solo, con l'aiuto degli strumenti dell'Atlantic, alle osservazioni e ai calcoli necessari. Il capitano di una nave danese in rada avrebbe potuto, del resto, controllarne i risultati, per tranquillizzare del tutto Sua Eccellenza Biarn Haldorsen.

Così fu deciso.

Page 190: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Zeffirino Xirdal terminò in due giorni il suo lavoro, del quale il capitano danese confermò la meticolosa esattezza, e a questo punto si presentò la seconda difficoltà.

Il punto della superficie terrestre determinato dalle coordinate risultava posto in pieno mare, a duecentocinquanta metri circa a nord dell'isola di Upernivik.

Sconvolto da quella scoperta, il signor Lecoeur proruppe in veementi recriminazioni. Che fare? Sarebbero dunque venuti in quelle sperdute contrade per vedere il bolide cadere stupidamente in mare? Ma si aveva idea di simile leggerezza? Ma come aveva potuto Zeffirino Xirdal - uno scienziato! — commettere un errore così grossolano?

La spiegazione dell'errore era semplicissima: che la parola «Upernivik» indicasse non soltanto un agglomerato di abitazioni, ma anche un'isola, Zeffirino non lo sapeva, ecco tutto. Dopo aver determinato dal punto di vista matematico il luogo di caduta del bolide, si era fidato di una vecchia cartina tolta da un atlante scolastico, cartina che tirò fuori da una delle sue numerose tasche e mise sotto gli occhi del banchiere. Quella cartina indicava che il punto del globo determinato dalla latitudine e dalla longitudine sopra indicate era vicino alla borgata di Upernivik, ma si dimenticava di precisare che quella borgata, esageratamente segnata nell'entroterra, era invece situata sulla riva del mare dell'isola omonima. Senza indagare oltre, Zeffirino si era fidato di quella carta imprecisa.

Possa ciò servire di lezione! Possano i lettori di questo racconto dedicarsi allo studio della geografia e ricordare che Upernivik è un'isola! Ciò potrà essere loro utile, il giorno in cui dovranno andarvi a raccogliere un bolide del valore di 5.788 miliardi!

Purtroppo, ciò non serviva a nulla per quello che riguardava il bolide di Whaston.

Se fosse stato possibile tracciare il terreno più a sud, l'imbroglio sarebbe risultato vantaggioso nel caso di una deviazione della meteora. Poiché Zeffirino aveva commesso l'imprudenza di completare l'istruzione del signor Haldorsen e di accettare un controllo divenuto imbarazzante, quel piccolo inganno non fu più realizzabile. Bisognava accettare la situazione qual era e prendere

Page 191: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

possesso del terreno acquistato, anche se in parte esso era in fondo al mare.

Il limite meridionale della seconda frazione, più interessante dell'altra, si trovò portato, in ultima analisi, a 1.251 metri dalla riva settentrionale di Upernivik, e poiché la sua lunghezza in quel punto superava di tre chilometri la larghezza dell'isola, ne risultò che i limiti orientale e occidentale avrebbero dovuto essere tracciati in mare. In realtà, Zeffirino ricevette dunque un po' più di 272 ettari, invece dei nove chilometri quadrati acquistati e pagati, la qualcosa rese molto meno vantaggiosa l'operazione immobiliare. Era stato un cattivo affare.

Dal particolare punto di vista riguardante la caduta del bolide, essa era diventata pessima. Il punto stabilito con molto acume da Zeffirino era in mare! Egli aveva certamente ammesso la possibilità di una deviazione, dal momento che si era concesso 1.500 metri da ogni parte intorno al punto; ma da quale parte l'eventuale deviazione sarebbe avvenuta? Questo proprio non lo sapeva. Poteva accadere che la meteora cadesse sul poco terreno rimasto in suo possesso, ma anche il contrario non avrebbe avuto nulla di sorprendente. Ciò costituiva la grande perplessità del signor Lecoeur.

— Che farai, ora? — chiese al figlioccio. Zeffirino alzò le braccia al cielo: non lo sapeva.

— Eppure bisogna fare qualcosa — disse il padrino, irritato. — Bisogna che tu ci tiri fuori da questo impiccio!

Zeffirino rifletté per qualche istante. — La prima cosa da fare — disse alla fine — è quella di recingere

il terreno e di costruirvi una baracca ove sistemarci. Poi vedrò. Il signor Lecceur si mise all'opera. In otto giorni, i marinai

dell'Atlantic, aiutati da alcuni groenlandesi attratti dall'alta paga, recinsero il terreno con del fil di ferro, le cui due estremità finivano in mare, e costruirono una capanna di legno che fu sommariamente arredata del necessario.

Il 26 luglio, tre settimane prima del giorno in cui doveva avvenire la caduta del bolide, Zeffirino si mise al lavoro. Dopo aver osservato ripetutamente la meteora nelle alte sfere dell'atmosfera, egli prese il volo verso le alte zone delle matematiche. I nuovi calcoli

Page 192: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

confermarono l'esattezza dei precedenti. Non era stato commesso alcun errore, nessuna deviazione si era prodotta. Il bolide sarebbe caduto esattamente nel punto previsto.

— Cadrà in mare, dunque — concluse il signor Lecoeur, mal dissimulando la sua rabbia.

— In mare, evidentemente — disse serenamente Zeffirino, il quale, da matematico, provava grande soddisfazione nel constatare l'esattezza dei suoi calcoli.

Quasi subito gli apparve, però, l'altra faccia del problema. — Diamine! — disse mutando tono e guardando il padrino con

aria indecisa. Il signor Lecoeur si costrinse alla calma. — Vediamo, Zeffirino — disse con il tono bonario con cui si parla

ai bambini — non resteremo con le mani in mano, immagino. È stato commesso un errore? Rimediamolo! Poiché sei stato capace di andare a cercare il bolide in pieno cielo, sarà un giuoco da ragazzi per te fargli subire una deviazione di qualche centinaio di metri.

— Credete? — rispose Zeffirino scotendo il capo. — Quando agivo sulla meteora, essa era a quattrocento chilometri. A quella distanza l'attrazione terrestre si esercita in misura tale che la quantità di energia, da me proiettata su una delle facce, era capace di provocare un'apprezzabile rottura di equilibrio. Ora non è più così. Il bolide è più vicino a noi e l'attrazione terrestre lo sollecita con tale forza che un po' più o un po' meno, non cambierà gran cosa. D'altra parte, se la velocità in assoluto del bolide è diminuita, la sua velocità angolare è molto cresciuta. Esso ora passa nella posizione più favorevole come un lampo e non c'è tempo di svolgere un'azione qualsiasi sulla sua superficie.

— Dunque non puoi far nulla? — insistette il signor Lecoeur mordendosi le labbra per non esplodere.

— Non ho detto questo — rettificò Zeffirino — ma la cosa riesce difficile. Si può tentare, comunque.

Tentò, infatti, e lo fece con tanta ostinazione che il 17 agosto ritenne certo il successo del suo tentativo. Il bolide, definitivamente deviato, sarebbe caduto sulla terraferma, a una cinquantina di metri dalla riva, distanza sufficiente a evitare ogni pericolo.

Page 193: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Durante i giorni seguenti, la violenta tempesta che scosse le navi nella rada di Upernivik spazzò la superficie della terra e fece temere a Zeffirino che la traiettoria del bolide fosse modificata da quel furioso spostamento dell'aria.

La tempesta, com'è noto, si placò nella notte dal 18 al 19, ma gli abitanti della capanna non approfittarono della tregua concessa loro dagli elementi. L'attesa del verificarsi dell'avvenimento non permise loro di prendere un po' di riposo. Dopo aver assistito al tramonto del sole, poco dopo le dieci e mezzo della sera, essi videro l'astro del giorno tornare a levarsi meno di tre ore dopo, in un cielo totalmente sgombro di nubi.

La caduta del bolide ebbe luogo esattamente nell'ora annunciata da Zeffirino. Alle sei, cinquantasette minuti e trentacinque secondi, una luce sfolgorante attraversò lo spazio nella regione settentrionale, quasi accecando il signor Lecoeur e Zeffirino che già da un'ora sorvegliavano l'orizzonte dalla soglia della capanna. Quasi nel contempo si udì un rumore sordo e la terra fu scossa da un urto formidabile. La meteora era caduta.

Quando Zeffirino e il signor Lecoeur ebbero ritrovato l'uso della vista, per prima cosa videro il blocco d'oro a cinquecento metri da loro.

— Brucia! — balbettò il signor Lecoeur, in preda a forte emozione.

— Sì — rispose Zeffirino, incapace di articolare altre parole. Ritrovata a poco a poco la calma, cominciarono a rendersi conto di ciò che vedevano.

Il bolide era allo stato incandescente e la sua temperatura doveva superare i mille gradi, e cioè essere prossima al punto di fusione. Si vedeva chiaramente che la sua composizione era di natura porosa, così come aveva giustamente detto l'osservatorio di Greenwich che l'aveva paragonato a una spugna. Attraversandone la superficie, della quale il raffreddamento oscurava la tinta, un'infinità di canali permettevano allo sguardo di penetrare nell'interno, dove il metallo appariva rosso vivo. Divisi, incrociati, ricurvi in mille meandri, quei canali formavano un numero enorme di alveoli, dai quali l'aria surriscaldata fuggiva fischiando.

Page 194: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Benché il bolide si fosse notevolmente schiacciato nella sua caduta vertiginosa, la sua forma sferica era ancora evidente. La parte superiore era ancora abbastanza arrotondata, mentre la base, sconquassata e schiacciata, aderiva intimamente alle irregolarità del suolo.

— Ma… scivolerà in mare! — esclamò il signor Lecoeur, dopo pochi istanti di contemplazione.

Il figlioccio non disse nulla. — Avevi detto che sarebbe caduto a cinquanta metri dalla riva! — Ne è a dieci; bisogna tener conto del suo mezzo diametro. — Dieci non sono cinquanta. — Sarà stato deviato dalla tempesta di vento. Non dissero altro e rimasero a contemplare la sfera d'oro in

silenzio. A dire il vero, il signor Lecoeur non aveva torto nel nutrire

qualche inquietudine. Il bolide era caduto a dieci metri sull'estrema cresta della rupe, sul terreno inclinato che la congiungeva al resto dell'isola. Poiché il suo raggio era di cinquantacinque metri, come l'osservatorio di Greenwich aveva giustamente predetto, esso si trovava a strapiombo di quarantacinque metri sul vuoto. L'enorme massa di metallo, resa molle dal calore e sospesa in aria, era per così dire scivolata lungo la rupe verticale e pendeva fino a poca distanza dalla superficie del mare. L'altra parte, letteralmente impressa nella roccia, tratteneva il tutto al disopra dell'oceano.

Poiché non cadeva, era certamente in equilibrio; ma l'equilibrio appariva instabile e lasciava capire che sarebbe bastato il minimo impulso a far precipitare nell'abisso il favoloso tesoro. Lanciato sulla china, nulla al mondo sarebbe stato capace di fermarlo: sarebbe scivolato inesorabilmente nelle profondità sottomarine.

Motivo di più per non perdere tempo, pensò il signor Lecoeur, riprendendo coscienza di sé. Era una pazzia sprecare il proprio tempo in una sciocca contemplazione, con grave danno per i propri interessi.

Passò subito dietro la capanna e issò la bandiera francese in cima a un'antenna abbastanza alta per essere scorta dalle navi all'ancora davanti a Upernivik.

Page 195: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Sappiamo già che quel segnale doveva essere visto e compreso. L'Atlantic aveva subito preso il mare per raggiungere il più vicino posto telegrafico, dal quale avrebbe lanciato alla Banca Robert Lecoeur, via Drouot, a Parigi, un telegramma redatto in linguaggio chiaro: «Bolide caduto. Vendete».

A Parigi qualcuno si sarebbe affrettato a eseguire l'ordine e ciò avrebbe significato un immenso guadagno per il signor Lecoeur, il quale giocava a colpo sicuro. Non c'era il minimo dubbio che, non appena nota la caduta del bolide, le azioni minerarie non subissero un ultimo crollo. Il signor Lecoeur avrebbe allora riacquistato quelle azioni a prezzi molto più bassi. L'affare era buono, qualunque cosa potesse accadere, e Lecoeur avrebbe certamente incassato un buon numero di milioni.

Insensibile a quei volgari interessi, Zeffirino era rimasto assorto nella sua contemplazione, quando un gran chiasso gli giunse all'orecchio. Si volse e scorse la folla dei turisti che, con il signor de Schnack alla loro testa, avevano osato penetrare nella sua proprietà. Era qualcosa di intollerabile! Xirdal aveva acquistato il terreno per essere padrone in casa sua; non poteva perciò ammettere tanta disinvoltura. Ne fu indignato.

Andò in fretta incontro agli invasori, mentre il delegato della Groenlandia gli risparmiava, da parte sua, metà del cammino.

— Che cosa succede, signore? — disse Zeffirino. — Perché siete entrato in casa mia? Non avete letto i cartelli?

— Scusatemi, signore — rispose cortesemente il signor de Schnack — li abbiamo visti, ma abbiamo creduto che, a causa di circostanze eccezionali, fosse possibile venir meno alle regole generalmente ammesse.

— Circostanze eccezionali? — chiese Zeffirino con candore. — Quali? L'espressione del signor de Schnack espresse, a buon diritto, qualche sorpresa.

— Quali?… — ripetè. — Dovrò essere io, signore, ad annunciarvi che il bolide di Whaston è caduto su quest'isola?

— Lo so perfettamente — dichiarò Xirdal. — Ma non c'è nulla di eccezionale in questo. La caduta di un bolide è un fatto banalissimo.

— Non quando è d'oro.

Page 196: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— D'oro o d'altro, un bolide è sempre un bolide. — Non è tale il parere di questi signori e di queste signore —

rispose il signor de Schnack, indicando la folla dei turisti, la maggior parte dei quali non capiva una sola parola di quel dialogo. — Tutta questa gente è qui per assistere alla caduta del bolide di Whaston. Convenite, signore, che sarebbe stato spiacevolissimo, dopo un viaggio del genere, essere trattenuti da una barriera di fil di ferro.

— È vero — convenne Xirdal, conciliante. Le cose stavano mettendosi bene, quando il signor de Schnack

ebbe l'imprudenza di aggiungere: — Per ciò che mi riguarda, io ancora meno potevo lasciarmi

fermare dalla vostra barriera che si opponeva al compimento della missione ufficiale di cui sono investito.

— Missione che consiste… — Nel prendere possesso del bolide in nome della Groenlandia,

della quale sono qui il rappresentante. Zeffirino ebbe un soprassalto. — Prendere possesso del bolide! — esclamò. — Ma voi siete

matto, caro signore! — Non vedo perché — rispose il signor de Schnack, piccato. — Il

bolide è caduto in territorio groenlandese; appartiene dunque allo stato, dal momento che non appartiene ad alcuno.

— Tante parole, tanti errori — protestò Zeffirino, con crescente veemenza. — Per prima cosa, il bolide non è caduto sul territorio della Groenlandia, ma sul mio, vendutomi dalla Groenlandia e da me pagato in contanti. Il bolide, poi, appartiene già a qualcuno: questo qualcuno sono io!

— Voi? — Io! — A qual titolo? — A tutti i titoli possibili e immaginabili, caro signore. Senza il

mio intervento, il bolide graviterebbe ancora nello spazio, dove, per rappresentante che siate, vi sarebbe difficile andare a cercarlo. Come potrebbe non esser mio, se è in casa mia e son io che ve l'ho fatto cadere?

— Volete dire… — insistette il signor de Schnack.

Page 197: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Dico che sono stato io a farlo cadere. Del resto, ne ho informato la Conferenza internazionale che si è riunita, a quanto pare, a Washington. Ritengo che il mio telegramma l'abbia indotta a interrompere i suoi lavori.

Il signor de Schnack guardava il suo interlocutore con aria dubbiosa: aveva da fare con un burlone o con un matto?

— Facevo parte — rispose — della Conferenza internazionale e posso dirvi che essa continuava le sue sedute, quando ho lasciato Washington. D'altra parte, posso anche dirvi che non so nulla del telegramma di cui parlate.

Il signor de Schnack era sincero; un po' duro d'orecchio, non aveva udito una sola parola del dispaccio, letto, come è uso in ogni parlamento che si rispetti, in mezzo al chiasso infernale delle singole conversazioni.

— Non per questo io non l'ho spedito — affermò Zeffirino, cominciando a scaldarsi. — Che sia arrivato o meno a destinazione, i miei diritti rimangono.

— I vostri diritti?… — rispose il signor de Schnack, irritato dall'inattesa discussione. — Osereste avanzare seriamente qualche pretesa sul bolide?

— Perché? Credete forse che la cosa mi metta in imbarazzo? — esclamò Zeffirino, beffardo.

— Un bolide che vale sei trilioni di franchi! — E poi? Anche se valesse trecentomila milioni di miliardi di

trilioni, ciò non impedirebbe di appartenermi. — Appartenere a voi!… è uno scherzo… Un uomo che possieda

da solo più oro del resto del mondo! Non sarebbe tollerabile. — Non so se sia tollerabile o meno — gridò Zeffirino, seccato. —

So una cosa: il bolide è mio. — È quello che vedremo! — concluse il signor de Schnack,

seccamente. — Per il momento, vorrete permetterci di proseguire il nostro cammino.

E il delegato toccò lievemente la tesa del proprio cappello in segno di saluto; poi, a un suo cenno, la guida si rimise in marcia. Il signor de Schnack la seguì e i tremila turisti seguirono lui.

Page 198: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Piantato sulle sue lunghe gambe, Zeffirino Xirdal guardò passare la folla che sembrava lo ignorasse. La sua indignazione era grande. Tutta quella gente era entrata in casa sua senza il suo permesso e vi si comportava come in un paese di conquista. Si osavano contestare i suoi diritti, cosa che oltrepassava ogni limite!

Ma non c'era nulla da fare contro tanta gente. Ecco perché, quando l'ultimo forestiero gli passò dinanzi, dovette battere in ritirata verso la capanna. Ma se era vinto, non era però convinto; e strada facendo diede libero sfogo alla sua rabbia.

— E uno sconcio! — ripeteva gesticolando come un semaforo. Intanto la folla si affrettava dietro alla guida, che alla fine si fermò all'inizio dell'estrema punta dell'isola: non era più possibile andare avanti.

Il signor de Schnack e il signor Wharf la raggiunsero e subito dopo la raggiunsero anche i signori Forsyth e Hudelson, Francis e Jenny, Omicron, il signor Stanfort e la signora Walker. Seguiva la folla dei curiosi che le navi in rada avevano riversato su quel litorale del mare di Baffin.

Era proprio impossibile andare avanti; il calore, fattosi insopportabile, non avrebbe permesso di fare un passo di più.

Del resto, quel passo sarebbe stato inutile. A meno di quattrocento metri appariva la sfera d'oro e tutti potevano contemplarla, come avevano fatto, un'ora prima, Zeffirino e il signor Lecoeur. Ora non irraggiava più, come quando tracciava la sua orbita nello spazio, ma tale era il suo splendore che gli occhi facevano fatica a sopportarlo. Tutto sommato, inafferrabile quando solcava lo spazio, non lo era meno anche ora che giaceva sulla terra.

In quel punto, il litorale si arrotondava in una specie di ripiano roccioso, chiamato in lingua indigena unalek. Inclinato verso il largo, il ripiano terminava in una rupe verticale, alta una trentina di metri al disopra del livello del mare. Il bolide era caduto sull'orlo del ripiano; alcuni metri più a destra e sarebbe stato inghiottito dagli abissi sui quali poggiava la rupe.

— Sì — non poté fare a meno di mormorare Francis Gordon — venti passi più in là e sarebbe finito in fondo al mare!

Page 199: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Dal quale non sarebbe stato facile tirarlo fuori — aggiunse la signora Walker.

— Il signor de Schnack non lo possiede ancora — fece rilevare il signor Stanfort. — Ce ne vuole, prima che il governo groenlandese possa farci dei soldi.

Era vero; ma un giorno o l'altro la cosa sarebbe stata possibile. Si trattava di avere pazienza e di aspettare il raffreddamento del bolide: con l'approssimarsi dell'inverno artico, l'attesa non sarebbe stata lunga.

I signori Forsyth e Hudelson erano come ipnotizzati dalla vista di quella massa d'oro che bruciava loro gli occhi. Avevano cercato entrambi di andare avanti, ma avevano dovuto tornare indietro, così come l'impaziente Omicron per poco non rimaneva arrostito come un roast-beef. Alla distanza di quattrocento metri, la temperatura raggiungeva i cinquanta gradi centigradi e il calore rendeva l'aria irrespirabile.

— Dopo tutto è qui… è sull'isola… non è in fondo al mare… Il mondo non lo ha perduto: è nelle mani della felice Groenlandia! Basterà aspettare…

Ecco ciò che dicevano i curiosi, trattenuti dal soffocante calore alla svolta della rupe.

Aspettare… ma fino a quando? Quanto tempo avrebbe impiegato il bolide a raffreddarsi? un mese? due mesi? Masse metalliche del genere, a così elevata temperatura, possono bruciare per molto tempo. Ciò è stato constatato in altri meteoriti di volume infinitamente più piccolo.

Trascorsero tre ore senza che qualcuno pensasse di andarsene. La gente voleva forse attendere che fosse possibile avvicinarsi al bolide? Ma ciò non sarebbe stato né per oggi né per domani. A meno di non volersi accampare sul posto e di portarvi i viveri, bisognava fare ritorno alle navi.

— Signor Stanfort — disse la signora Walker — credete che alcune ore basteranno perché quel blocco incandescente si raffreddi?

— Né alcune ore né alcuni giorni. — Io torno a bordo dell' Oregon, dunque, salvo a tornare qui più

tardi.

Page 200: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Fate benissimo — rispose il signor Stanfort. — Farò anch'io come voi; andrò a bordo del Mozik. L'ora del pranzo dev'essere già sonata.

Era la cosa più saggia da fare, ma né Francis né Jenny poterono far adottare quella decisione dai signori Forsyth e Hudelson.

A poco a poco la folla andò via e il signor de Schnack si decise, per ultimo, a tornare alla stazione di Upernivik; i due maniaci si ostinarono, però, a rimanere soli con la meteora.

— Andiamo dunque, papà? — chiese per la decima volta Jenny, alle due del pomeriggio.

Invece di rispondere, il dottor Hudelson avanzò di una dozzina di passi, ma fu costretto a retrocedere precipitosamente: era come essersi avventurato dinanzi alla bocca di un forno. Il signor Forsyth, che gli era corso dietro, dovette battere in ritirata non meno sollecitamente.

— Su, zio — disse Francis a sua volta — su, signor Hudelson, bisogna tornare a bordo! Il bolide non se la darà certamente a gambe, diamine! Divorarlo con gli occhi, non vi riempirà lo stomaco!

Sforzi inutili: soltanto alla sera, stanchissimi per la fatica e la mancanza di nutrimento, il signor Forsyth e il signor Hudelson si rassegnarono a lasciare il posto, decisi a tornarvi il giorno dopo.

Vi tornarono infatti di buon'ora per incappare in una cinquantina d'uomini armati — forze groenlandesi — che prestavano servizio d'ordine intorno alla preziosa meteora.

Contro quali persone il governo prendeva quella precauzione? Contro Zeffirino Xirdal? In tal caso, cinquanta uomini erano troppi, anche perché il bolide si difendeva benissimo da solo. Il suo insopportabile calore manteneva i più audaci a rispettosa distanza; era già tanto se dal giorno precedente si era riusciti ad avvicinarsi di un metro. Di questo passo, ci sarebbero voluti mesi e mesi perché il signor de Schnack potesse prendere effettivo possesso del tesoro, in nome della Groenlandia.

Ciò non aveva importanza; il tesoro era sotto custodia. Quando si tratta di cinquemila settecento ottantotto miliardi, non si è mai troppo prudenti.

Page 201: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Per desiderio del signor de Schnack, una nave era partita per portare a conoscenza del mondo intero, per mezzo del telegrafo, la buona novella. Nel giro di quarantotto ore la caduta del bolide sarebbe stata nota a tutti. Ciò non avrebbe ostacolato i piani del signor Lecoeur? In alcun modo. La partenza dell'Atlantic risaliva a ventiquattr'ore prima e la marcia dello yacht era notevolmente superiore a quella della nave partita ora; il banchiere aveva quindi trentasei ore di anticipo, sufficienti per condurre a buon fine la sua speculazione finanziaria.

Se il governo groenlandese si era sentito tranquillo per la presenza di cinquanta uomini armati, nel pomeriggio dello stesso giorno non dovette esserlo più tanto quando si rese conto che gli uomini che sorvegliavano la meteora erano saliti a settanta.

Verso mezzogiorno, un incrociatore si era ancorato dinanzi a Upernivik: al suo picco sventolava la bandiera stellata degli Stati Uniti d'America. Gettata l'ancora, dall'incrociatore erano sbarcati venti uomini, i quali, al comando di un midshipman,24 erano andati ad accamparsi nelle vicinanze del bolide.

Quando apprese dell'accresciuto servizio d'ordine, il signor de Schnack non seppe che cosa pensare; se fu soddisfatto di sapere che il prezioso bolide era difeso con zelo, lo sbarco di marinai americani armati sul territorio groenlandese suscitò in lui perplessità e inquietudine. Il midshipman, con il quale parlò della faccenda, non seppe dirgli nulla. Obbediva agli ordini dei suoi superiori e non sapeva altro.

Il signor de Schnack decise di manifestare il giorno dopo le proprie doglianze al comandante dell'incrociatore, ma quando volle farlo si trovò dinanzi a un doppio lavoro.

Durante la notte era giunto un incrociatore inglese e il suo comandante, nell'apprendere che la caduta del bolide era già avvenuta, aveva sbarcato, come il collega americano, una ventina di marinai, i quali, al comando di un altro midshipman, si diressero in fretta verso il nord-ovest dell'isola.

Le perplessità del signor Schnack crebbero: che cosa significava tutto ciò? Le sue perplessità crebbero ancora con il passare del 24 Guardiamarina. (N.d.T.)

Page 202: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

tempo. Nel pomeriggio fu segnalata la presenza di un altro incrociatore battente bandiera francese e, due ore dopo, venti marinai francesi, al comando di un sottotenente di vascello, andavano a loro volta a montare la guardia intorno al bolide.

La situazione si complicava; e non si sarebbe fermata qui. Nella notte dal 21 al 22 sopraggiunse, quarto, un incrociatore russo. Poi, nel corso del giorno 22, furono viste giungere, una dopo l'altra, una nave giapponese, una italiana e una tedesca. Il giorno 23 un incrociatore argentino e uno spagnolo precedettero di poco un battello cileno, seguito a breve distanza da una nave portoghese e da una olandese.

Il 25 agosto, sedici navi da guerra, in mezzo alle quali l’Atlantic aveva discretamente ripreso il suo posto, costituivano, dinanzi a Upernivik, una squadra internazionale come non si era mai vista in quei paraggi. E poiché ogni nave da guerra aveva sbarcato i suoi venti uomini al comando di un ufficiale, trecentoventi marinai e sedici ufficiali di varie nazionalità calpestavano ora un suolo che, nonostante il loro coraggio, i cinquanta soldati groenlandesi non avrebbero potuto difendere.

Ogni nave apportava il proprio contributo di notizie, che, a giudicare dai risultati, non dovevano essere soddisfacenti. Si era rilevato che la Conferenza internazionale continuava le sue sedute soltanto per la forma. Ormai la parola era alla diplomazia, in attesa, si diceva nell'intimità, che passasse al cannone. Si discuteva animatamente nelle cancellerie e non senza una certa acrimonia.

A mano a mano che le navi giungevano, le notizie si facevano più inquietanti. Non si sapeva nulla di preciso, ma correvano strane voci negli stati maggiori e tra gli equipaggi e le relazioni si facevano ogni giorno più tese tra le forze d'occupazione.

Se il commodoro americano aveva invitato alla sua tavola, in un primo momento, il collega inglese, e se quest'ultimo, restituendogli la cortesia, aveva approfittato dell'occasione per rendere un cordiale omaggio al comandante dell'incrociatore francese, ora lo scambio di cortesie era finito. Ciascuno rimaneva sulla propria nave, in attesa di sapere, allo scopo di regolare il proprio comportamento, da quale

Page 203: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

parte sarebbe spirato il vento, i cui primi soffi sembravano precursori di tempesta.

La collera di Zeffirino non sembrava, nel frattempo, diminuire. Il signor Lecoeur era stordito dalle sue incessanti recriminazioni e si sforzava minuziosamente di fare appello al suo buon senso.

— Devi capire, caro Zeffirino — gli diceva — che il signor de Schnack ha ragione e che non è possibile lasciare a una sola persona la libera disponibilità di una somma così enorme. E quindi logico che si intervenga. Ma lascia fare a me. Quando ci sarà un po' di calma, interverrò a mia volta; ritengo che non si potrà fare a meno di tener conto in larga misura della nostra giusta causa. Otterrò certamente qualcosa.

— Qualcosa! — gridò Zeffirino. — Me ne infischio del vostro qualcosa! Che volete che me ne faccia di quell'oro. Ne ho forse bisogno?

— Ma, allora, perché sei così arrabbiato? — Perché il bolide mi appartiene; m'indigna il fatto che si cerchi

di portarmelo via. Non lo tollererò mai! — Non vorrai lottare contro tutto il mondo! — Se potessi, lo avrei già fatto. Quando quel delegato ha avanzato

la pretesa di prendersi il mio bolide, ne sono rimasto disgustato! Che dire, oggi? Tanti paesi, tanti ladri; per non dire che finiranno per sbranarsi tra loro, a ciò che si dice. Avrei fatto meglio a lasciare il bolide dov'era! Ho creduto di fare uno scherzo facendolo cadere. L'esperienza mi è parsa interessante… Se avessi saputo!… Dei poveri diavoli che non hanno un soldo in tasca ora lotteranno per dei miliardi! Dite quel che volete, ma la cosa si fa sempre più ripugnante!

Zeffirino era sempre allo stesso punto. Aveva torto, comunque, a prendersela con il signor de Schnack. Il

povero delegato era nei guai, anche lui. L'invasione del territorio groenlandese non prometteva nulla di buono e la prodigiosa fortuna della repubblica gli sembrava che poggiasse su basi molto fragili. Che fare? Poteva, con appena cinquanta uomini, gettare in mare i trecentoventi marinai stranieri? o cannoneggiare e mandare a fondo le sedici mastodontiche corazzate che lo circondavano?

Page 204: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Non poteva, evidentemente. Ma ciò che poteva e doveva fare era protestare, in nome del proprio paese, contro la violazione del territorio nazionale.

Un giorno in cui i comandanti inglese e francese erano scesi insieme a terra, da semplici turisti, il signor de Schnack approfittò dell'occasione per chiedere loro spiegazioni e avanzare rimostranze ufficiose, la cui moderazione diplomatica non escludeva la fermezza.

Il commodoro inglese rispose che il signor de Schnack faceva male a prendersela. I comandanti delle navi in rada obbedivano agli ordini dei rispettivi Ammiragliati. A loro non competeva né discutere né interpretare gli ordini, ma soltanto eseguirli. Si presumeva, tuttavia, che lo sbarco internazionale avesse soltanto lo scopo di mantenere l'ordine, data la numerosa folla di curiosi, che indubbiamente si era prevista molto più numerosa.

Per il resto, il signor de Schnack poteva stare tranquillo. La questione era allo studio e il diritto di ciascuno sarebbe stato rigorosamente rispettato.

— Esatto! — approvò il comandante francese. — Poiché tutti i diritti saranno rispettati, potrò allora difendere

anche i miei! — esclamò a un tratto una persona, intervenendo senza complimenti nella discussione.

— A chi ho l'onore… — chiese il commodoro. — Sono Dean Forsyth di Whaston, astronomo, e legittimo

proprietario del bolide — rispose con aria d'importanza il nuovo personaggio, mentre il signor de Schnack faceva spallucce.

— Benissimo! — disse il commodoro. — Conosco il vostro nome; ma se avete qualche diritto, perché non siete in condizione di farlo valere?

— Quale diritto? — esclamò in quel momento una seconda persona. — Che cosa dirò allora del mio? Non sono io, e io solo, io dottor Sydney Hudelson, che ho segnalato per primo la meteora all'attenzione di tutti?

— Voi! — protestò il signor Forsyth, voltandosi come morso da una vipera.

— Io!

Page 205: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Un mediconzolo di periferia pretende di aver fatto una scoperta del genere!

— Tanto quanto lo pretenda un ignorante come voi! — Un cialtrone che non sa neppure da quale parte si guardi dentro

il cannocchiale! — Un buffone che non ha mai visto un telescopio! — Ignorante, io! — Io, un mediconzolo! — Non tanto ignorante da non sapere smascherare un impostore. — Non tanto mediconzolo da non sapere smascherare un ladro! — Questo è troppo! — esclamò con voce strozzata il signor

Forsyth, schiumando di rabbia. — Badate, signore! Con i pugni stretti, i due rivali si lanciavano sguardi d'odio,

minacciando di venire alle mani. Francis e Jenny si posero tra i contendenti.

— Zio! — diceva Francis, trattenendo con mano vigorosa il signor Forsyth.

— Papà!… Ti prego… — implorava Jenny, piangendo. — Chi sono quei due energumeni? — chiese Zeffirino Xirdal al

signor Stanfort, accanto al quale si trovava per caso, mentre assisteva da lontano alla tragicomica scena.

Quando si è in viaggio, si fa facilmente a meno del protocollo mondano. Il signor Stanfort non ebbe difficoltà a rispondere alla domanda rivoltagli, senza tante cerimonie, dallo sconosciuto.

— Immagino che abbiate sentito parlare del signor Forsyth e del dottor Hudelson.

— I dilettanti astronomi di Whaston? — Precisamente. — Quelli che hanno scoperto il bolide? — Precisamente. — Perché litigano? — Non riescono a mettersi d'accordo, perché ciascuno rivendica

per sé la priorità della scoperta. Zeffirino Xirdal si strinse sdegnosamente nelle spalle. — Bella faccenda! — disse. — Reclamano entrambi la proprietà del bolide.

Page 206: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Per il solo motivo che lo hanno visto, per caso, in cielo? — Proprio così. — Hanno una bella faccia tosta — disse Zeffirino. — Ma quel

giovane e quella ragazza che c'entrano? Con molta cortesia, il signor Stanfort espose la situazione.

Raccontò per quale concorso di circostanze i due fidanzati avessero dovuto rinunciare alla progettata unione, e in seguito a quale assurda gelosia era nato l'odio che separava le due famiglie e calpestava il loro tenero affetto.

Zeffirino parve sconvolto; guardò, come se avesse contemplato un fenomeno, il signor Forsyth trattenuto per il braccio da Francis, e Jenny che circondava con le braccia il padre esasperato. Quando il signor Stanfort ebbe finito di parlare, Zeffirino, senza neppure ringraziarlo, lanciò un rimbombante: «Questa è grossa!», e si allontanò in fretta. Il flemmatico signor Stanfort lo seguì con lo sguardo e poi fece ritorno dalla signora Walker, rimasta temporaneamente sola durante quel breve dialogo.

Zeffirino era fuor di sé; aprì brutalmente la porta della capanna e poi apostrofò energicamente lo zio:

— Zio, dichiaro che tutto questo è disgustoso! Lo zio ebbe un sussulto:

— Che cosa è successo? — chiese. — Il bolide, perbacco! Sempre quel maledetto bolide! — Che cosa ha fatto? — Sta per devastare la terra. I suoi misfatti non si possono più

contare. Non soddisfatto dì trasformare la gente in ladri, non fa che seminare ovunque discordia e guerra. E non è tutto. Ora si permette di far bisticciare i fidanzati. Andate a vedere quella povera piccina, zio, e mi saprete dire. Farebbe piangere persino un paracarro. Tutto ciò fa venire la nausea!

— Quali fidanzati? Di quale piccina parli? Che cos'è quest'altra storia? — chiese il signor Lecoeur, sbalordito.

Zeffirino non si degnò di rispondergli. — E troppo! — disse con veemenza. — Ma non finirà così!

Penserò io a metterli d'accordo, e presto! — Quale sciocchezza vorresti fare?

Page 207: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

— Nessuna stregoneria; caccerò il loro bolide in mare! Il signor Lecoeur balzò in piedi. Pallido per l'intensa emozione,

temette che il cuore gli si fermasse. Non credette neppure per un istante che Zeffirino, sotto l'impulso della collera, minacciasse di fare cose che gli fosse impossibile realizzare. Aveva già dato prova di ciò che poteva fare. Da lui ci si poteva aspettare qualunque cosa.

— Tu non lo farai, Zeffirino! — esclamò il signor Lecoeur. — Lo farò, invece. Nulla me lo impedirà. Ne ho abbastanza; mi

metterò subito al lavoro! — Non pensi, sciagurato… Il signor Lecoeur s'interruppe di colpo. Un pensiero geniale,

stupefacente e improvviso come il lampo, era nato di colpo nel suo cervello. Bastarono pochi istanti a quel grande capitano delle battaglie finanziarie per esaminare i diversi aspetti del problema.

— Dopo tutto… — mormorò. Un'ulteriore riflessione gli confermò che il suo progetto era

magnifico. Si rivolse a Zeffirino: — Non voglio contraddirti — disse subito, da uomo che non ha

tempo da perdere. — Vuoi gettare il bolide in mare? Fallo! Ma non puoi darmi qualche giorno di respiro?

— Vi sono costretto — esclamò Zeffirino. — Debbo far subire alcune modifiche alla macchina, per il nuovo lavoro che dovrà eseguire. Mi ci vorranno quattro o cinque giorni.

— Saremo allora al 3 settembre. — Sì. — Benissimo! — Il signor Lecoeur uscì e si recò in fretta a

Upernivik, mentre il figlioccio si metteva al lavoro. Senza perdere tempo si fece poi condurre a bordo dell' Atlantic, il

cui camino cominciò subito a lanciare torrenti di fumo nero. Due ore dopo, tornato a terra il suo armatore, l’Atlantic filava a tutto vapore.

Come tutto ciò che è geniale, il piano del signor Lecoeur era semplicissimo.

Gli si presentavano due soluzioni: denunciare il figlioccio alla truppa internazionale e metterlo nell'impossibilità di agire, o lasciare che le cose seguissero il loro corso. Il signor Lecoeur scelse la seconda.

Page 208: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Nel primo caso, avrebbe potuto ragionevolmente contare sulla riconoscenza dei governi interessati. Una parte del tesoro, salvato in seguito al suo intervento, gli sarebbe stata indubbiamente riservata. Ma in che misura? Irrisoria, probabilmente, e resa anche più irrisoria dallo svilimento dell'oro, che un tale afflusso di quel metallo avrebbe logicamente provocato.

Se avesse mantenuto il silenzio, invece, oltre a eliminare le calamità che quella malefica massa d'oro portava in germe in se stessa, e che stava per spargere come un torrente devastatore sulla superficie della terra, avrebbe evitato ogni inconveniente personale e si sarebbe assicurato, in cambio, enormi vantaggi. Poiché per cinque giorni era il solo a conoscere quel segreto, gli sarebbe stato facile trarne profitto. Per fare ciò, bastava spedire per mezzo dell'Atlantic un altro telegramma, nel quale, dopo averlo decifrato, si sarebbe letto, in via Drouot, quanto segue: «Avvenimento importantissimo imminente. Comprate miniere quantità illimitata».

Quell'ordine sarebbe stato sollecitamente eseguito. La caduta del bolide era certamente nota, a quell'ora, e le azioni delle miniere d'oro, precipitate quasi a zero, dovevano essere offerte a prezzi insignificanti senza trovare contropartita. Quale boom,25 invece, quando si sarebbe conosciuta la fine della storia! Con quale rapidità sarebbero allora risaliti i prezzi di quelle azioni, con grande profitto del felice possessore!

Diciamo subito che il signor Lecoeur aveva avuto buon fiuto. Il telegramma fu recapitato in via Drouot e quello stesso giorno furono puntualmente eseguite in Borsa le sue istruzioni. La banca Lecoeur comprò in contanti e a termine tutte le azioni di miniere d'oro che furono offerte e il giorno seguente fece la stessa cosa.

Quale messe di azioni raccolse in quei due giorni! Miniere di poca importanza per alcuni centesimi ciascuna, miniere già fiorenti cadute a due o tre franchi, miniere di prim'ordine svilite a dieci o dodici franchi: la banca raccattò tutto, indiscriminatamente.

Quarantotto ore dopo, la voce di quegli acquisti cominciò a circolare nelle varie Borse del mondo e vi suscitò un po' di trepidazione: la banca Lecoeur, azienda seria nota per il suo fiuto, 25 Grande richiesta, con relativo notevole rialzo del prezzo. (N.d.T.)

Page 209: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

non doveva agire alla leggera buttandosi sui quegli specifici titoli. Sotto covava certamente qualcosa; e la quotazione di quei titoli risalì sensibilmente.

Ma era tardi, ormai: il colpo era stato fatto. Robert Lecoeur possedeva già più della metà della produzione aurifera del mondo.

Mentre ciò accadeva a Parigi, Zeffirino utilizzava per modificare la sua macchina gli accessori di cui si era provvisto prima della partenza. All'interno della macchina allacciava dei fili che s'incrociavano in complicati circuiti. All'esterno, aggiungeva ampolle di strana foggia in mezzo a due nuovi riflettori. Alla data stabilita, e cioè il 3 settembre, il lavoro era terminato e Zeffirino si dichiarò pronto per l'azione.

La presenza del padrino gli assicurava eccezionalmente un vero uditorio. Era un'occasione unica per esercitare il suo talento oratorio: non se la lasciò sfuggire.

— La mia macchina — disse chiudendo il circuito elettrico — non ha nulla di misterioso o di diabolico. È soltanto un organo di trasformazione: riceve l'elettricità nel solito modo e la restituisce in una forma superiore scoperta da me. L'ampolla che vedete girare come matta è quella di cui mi sono servito per attirare il bolide. Con l'aiuto del riflettore, nel centro del quale essa è posta, mando nello spazio una corrente di particolare natura, alla quale ho dato il nome di corrente neutro-elicoidale. Come dice il suo nome, essa si muove come un'elica. D'altra parte essa ha la caratteristica di respingere con violenza ogni corpo con il quale viene a contatto. L'insieme delle sue spire costituisce un cilindro cavo, da dove l'aria, come ogni altra materia, è scacciata, in modo che nell'interno di questo cilindro non ci sia nulla. Capite bene, zio, il valore della parola nulla! Voi dite a voi stesso che ovunque, nell'infinità dello spazio, c'è qualcosa, e che il mio cilindro invisibile che si avvita nell'atmosfera è, per un istante, il solo punto dell'universo in cui non vi sia nulla! Istante brevissimo, più breve della durata del lampo. Quest'unico punto in cui regna il vuoto assoluto è uno scaricatoio dal quale sfugge in onde compresse l'indistruttibile energia che la terra trattiene prigioniera, condensata nelle maglie pesanti della sostanza. Non debbo far altro, dunque, che sopprimere un ostacolo.

Page 210: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Il signor Lecoeur aveva seguito con la massima attenzione quella strana spiegazione.

— La cosa più delicata — riprese Zeffirino — consiste nel regolare la lunghezza d'onda della corrente neutro-elicoidale. Se raggiunge l'oggetto sul quale si vuole agire, essa lo respinge, invece di attirarlo. Occorre quindi che essa spiri a una certa distanza dall'oggetto, ma il più vicino possibile, in modo che l'energia sprigionata si irradii nelle sue immediate vicinanze.

— Ma perché il bolide scivoli in mare occorre spingerlo, non attirarlo! — obiettò il signor Lecoeur.

— Sì e no — rispose Zeffirino. — Fate bene attenzione, zio. Io so con precisione quale distanza ci separa dal bolide: essa è esattamente di cinquecentoundici metri e quarantotto centimetri e perciò regolo la portata della corrente in conseguenza.

Mentre parlava, Zeffirino manovrava un reostato intercalato nel circuito tra la sorgente elettrica e la macchina.

— Ecco fatto — riprese. — Ora la corrente muore a meno di tre centimetri dal bolide, dalla parte della sua convessità nord-orientale. L'energia liberata lo circonda, quindi, da quel lato con un intenso irradiamento. Questa però non sarebbe forse sufficiente per smuovere una massa così aderente al suolo. Per maggior prudenza, impiegherò quindi altri due mezzi sussidiari.

Zeffirino immerse la mano nell'interno della macchina: una delle due ampolle cominciò subito a crepitare furiosamente.

— Rileverete, zio — commentò — che questa ampolla non gira come l'altra. La sua efficacia è di altro genere. Gli effluvi che essa emette sono speciali. Se non vi dispiace, li chiameremo correnti neutre rettilinee per distinguerle dalle precedenti. La lunghezza delle correnti rettilinee non ha bisogno di essere regolata. Esse se ne andrebbero, invisibili, nell'infinito, se io non le proiettassi sulla convessità sud-occidentale della meteora, la quale le ferma. Non vi consiglio di mettervi sulla loro strada: fareste un bel capitombolo, come dicono le persone malate di sportmania, dalle quali evidentemente è stata tratta la parola sportman. Ma torniamo a noi. Che cosa sono queste correnti rettilinee? Come quelle elicoidali e, del resto, come ogni corrente elettrica di qualsiasi natura — come il

Page 211: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

suono, il calore e la stessa luce — esse non sono altro che un trasporto di atomi materiali all'ultimo grado di semplificazione. Avrete un'idea della piccolezza degli atomi, quando vi avrò detto che in questo momento essi colpiscono la superficie del blocco d'oro, nel quale essi s'incrostano in numero di settecentocinquanta milioni al secondo. Si tratta dunque di un vero bombardamento, nel quale la leggerezza dei proiettili è compensata dal loro numero infinito e dalla velocità. Aggiungendo questa spinta all'attrazione esercitata sull'altra faccia, si può ottenere un risultato soddisfacente.

— Il bolide però non si muove — disse Lecoeur. — Si moverà — affermò tranquillamente Zeffirino. — Occorre un

po' di pazienza. Del resto, ecco qui qualcosa che affretterà il risultato. Questo terzo riflettore spedirà altri obici atomici diretti sul terreno che lo sostiene dal lato del mare, invece che sul bolide. Vedrete che il terreno a poco a poco si disgregherà e che, con l'aiuto del proprio peso, il bolide comincerà a scivolare sulla china.

Zeffirino cacciò di nuovo la mano nella macchina e la terza ampolla cominciò a crepitare a sua volta.

— Guardate, zio! — disse — credo che ora ci sarà da ridere.

Page 212: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XX

CAPITOLO CHE SARÀ LETTO FORSE CON AMAREZZA, MA CHE IL RISPETTO PER LA VERITÀ STORICA HA IMPOSTO ALL AUTORE DI

SCRIVERE COSÌ COME UN GIORNO LO REGISTRERANNO GLI ANNALI DELL'ASTRONOMIA

AL PRIMO fremito della massa d'oro le grida singole si fusero in un sol grido: fu come un ruggito formidabile lanciato dalla folla.

Gli sguardi si volsero ansiosamente dalla stessa parte. Che cosa accadeva? Era stata forse un'allucinazione collettiva? oppure la meteora si era realmente mossa? In tal caso, quale ne era la causa? Forse il suolo cedeva a poco a poco sotto il suo peso, mandando il tesoro a finire nell'abisso?

— Sarebbe la buffa conclusione di una faccenda che ha messo in subbuglio il mondo — rilevò la signora Walker.

— Forse non sarebbe la conclusione peggiore — rispose il signor Stanford.

— Sarebbe la migliore — aggiunse Francis Gordon. Non si erano sbagliati: il bolide continuava a scivolare lentamente

dalla parte del mare. Non c'era dubbio alcuno: il terreno cedeva a poco a poco. Se quel movimento non si fermava, la sfera d'oro sarebbe rotolata sino all'orlo del pianoro per essere poi inghiottita dagli abissi marini.

Fu uno stupore generale misto a un po' di disprezzo per quel suolo che si rivelava indegno di sostenere un così meraviglioso fardello. Che peccato che la caduta fosse avvenuta su quell'isola e non sull'incrollabile roccia basaltica del litorale groenlandese, dove quelle migliaia di miliardi non avrebbero corso il rischio di essere perduti per sempre per l'avida umanità!

Page 213: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

La meteora effettivamente scivolava; forse sarebbe stata una faccenda di ore, o forse di minuti, se il pianoro fosse sprofondato bruscamente sotto l'enorme peso.

Tra le grida suscitate dall'imminenza della sciagura, il signor de Schnack aveva lanciato un'esclamazione di spavento: addio, unica occasione di rendere miliardario il suo paese! Addio, speranza di arricchire i cittadini della Groenlandia!

Il signor Forsyth e il dottor Hudelson tendevano disperatamente le braccia e chiedevano aiuto, come se fosse stato possibile rispondere alle loro invocazioni: era lecito temere per la loro ragione.

Un movimento più deciso del bolide finì per far perdere loro la testa. Senza pensare al pericolo a cui si esponeva, il dottor Hudelson ruppe la linea dei sorveglianti e corse verso la sfera:

Non gli fu possibile andare lontano; soffocato dall'atmosfera ardente, dopo un centinaio di passi vacillò di colpo e si afflosciò a terra.

Il signor Forsyth avrebbe dovuto essere soddisfatto: l'eliminazione del rivale faceva venir meno ogni competizione. Ma, prima di essere un appassionato astronomo, il signor Forsyth era un brav'uomo: l'intensa emozione lo restituì alla sua vera natura. L'odio fittizio sparì di colpo, come un brutto sogno sparisce al risveglio, e nel suo cuore rimase soltanto il ricordo dei vecchi giorni. Senza pensare a se stesso, il signor Forsyth - diciamolo a sua gloria! — invece di rallegrarsi per la morte del rivale, volò coraggiosamente in soccorso del vecchio amico.

Le sue forze non erano però all'altezza del suo coraggio. Aveva appena raggiunto il dottore, era appena riuscito a trascinarlo indietro di qualche passo, allorché cadde accanto a lui, soffocato a sua volta dal calore.

Per fortuna, Francis lo aveva seguito precipitosamente e il signor Stanfort non aveva esitato a corrergli dietro. Bisogna credere che ciò non lasciasse indifferente la signora Walker, perché ella gridò istintivamente, quasi fosse spaventata dal pericolo al quale si esponeva l'ex marito:

— Seth!… Seth!…

Page 214: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Francis e il signor Stanfort, seguiti da altri coraggiosi spettatori, dovettero trascinarsi sul terreno e strisciare con un fazzoletto sulla bocca, a causa dell'aria irrespirabile. Giunti accanto al signor Forsyth e al dottor Hudelson, li rialzarono e li trasportarono al di qua del limite che non era permesso di varcare senza pericolo di bruciare sino alle viscere.

Per fortuna, i due, vittime della loro imprudenza, erano stati salvati in tempo. Le cure non furono loro risparmiate ed essi tornarono in vita in tempo, ahimè! per assistere alla rovina delle loro speranze.

Il bolide, infatti, continuava a scivolare lentamente, sia a causa del proprio movimento sul piano inclinato, sia perché la superficie si piegava a poco a poco sotto il suo peso. Il suo centro di gravità si avvicinava al ciglio, al di là del quale la rupe sprofondava verticalmente in mare.

Le grida che echeggiarono da ogni parte manifestarono l'emozione della folla. Tutti si agitavano senza saperne la causa. Alcuni, tra i quali erano il signor Stanfort e la signora Walker, corsero dalla parte del mare per non perdere nessun particolare della catastrofe.

Si ebbe tuttavia un momento di speranza: la sfera d'oro si era fermata!

Ma la speranza durò appena un momento. A un tratto si udì un orribile scricchiolio: la roccia aveva ceduto e la meteora s'inabissava nel mare.

Se gli echi del litorale non ripeterono l'enorme clamore della folla, ciò si deve al fatto che quel clamore fu subito coperto dal fracasso di un'esplosione più violenta dello scoppio della folgore. Nel contempo un furioso colpo di vento spazzò la superficie dell'isola, e tutti gli spettatori, nessuno eccettuato, furono irresistibilmente rovesciati a terra.

Il bolide era esploso. Penetrata attraverso le migliaia di pori della superficie negli innumerevoli alveoli di quella spugna d'oro, l'acqua era evaporata istantaneamente al contatto del metallo incandescente e la meteora era saltata in aria come una caldaia surriscaldata. Ora i suoi frantumi ricadevano in mare, tra fischi assordanti.

Page 215: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

La violenza dell'esplosione sollevò il mare; un'onda prodigiosa parti all'assalto del litorale e vi ricadde con furore irresistibile. Gli imprudenti che si erano avvicinati alla riva fuggirono spaventati, cercando di raggiungere la parte alta del pendio.

Ma non tutti dovevano raggiungerla. Vilmente respinta da alcuni suoi compagni che la paura aveva trasformato in belve, la signora Walker, raggiunta dall'onda, fu rovesciata a terra. Sarebbe stata trascinata in mare al momento in cui la massa liquida sarebbe tornata indietro, se, pronto, il signor Stanfort, a rischio della propria vita, quasi senza speranza alcuna di salvarla non si fosse precipitato a soccorrerla, lasciando credere per un momento che, in quelle condizioni, alla fine si sarebbero contate due vittime, invece di una sola.

Seth Stanfort riuscì a raggiungere la giovane; piegandosi ad arco contro una roccia, riuscì poi a resistere alla mostruosa ondata. Numerosi turisti corsero allora in loro aiuto e li ricondussero al sicuro. Erano salvi!

Se il signor Stanfort non aveva perduto i sensi, la signora Walker era invece svenuta; sollecite cure non tardarono, però, a riportarla in vita. Le sue prime parole furono per l'ex marito.

— Poiché dovevo essere salvata, era giusto che lo fossi da voi — disse stringendogli la mano e rivolgendogli uno sguardo di tenera riconoscenza.

Meno fortunato della signora Walker, il meraviglioso bolide non era riuscito a sfuggire al suo funesto destino. Al sicuro dagli uomini, i suoi resti ora riposavano, irraggiungibili, nelle profondità marine. Quand'anche fosse stato possibile con sforzi inauditi tirar fuori una tal massa dagli insondabili abissi marini, bisognava rinunciare a quella speranza. Del nocciolo sbriciolato dall'esplosione, le molte migliaia di schegge si erano, infatti, sparpagliate al largo. I signori de Schnack, Forsyth e Hudelson ne cercarono inutilmente una piccola particella sul litorale. I cinquemila settecento ottantotto miliardi erano scomparsi tutti, fino all'ultimo centesimo. Della straordinaria meteora non restava più nulla.

Page 216: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

CAPITOLO XXI

ULTIMO CAPITOLO CHE CONTIENE L'EPILOGO DI QUESTA STORIA E IN CUI L'ULTIMA PAROLA RESTA AL SIGNOR JOHN

PROTH, GIUDICE A WHASTON

SODDISFATTA la curiosità, alla folla non restava che di andar via. Siamo però sicuri che la curiosità fosse stata soddisfatta? Quella

conclusione valeva la fatica e la spesa del viaggio? Aver potuto vedere la meteora soltanto da lontano, senza poterla avvicinare, era un risultato ben magro. Tuttavia, bisognava accontentarsi.

Era lecito almeno sperare di prendersi, un giorno, la rivincita? Non sarebbe mai riapparso un altro bolide d'oro sul nostro orizzonte? Cose del genere non capitano mai due volte. Possono esistere indubbiamente altri astri d'oro galleggianti nello spazio, ma le probabilità che essi vengano colti dall'attrazione terrestre sono assai poche: non è perciò il caso di tenerne conto.

È una fortuna, tutto sommato; sei trilioni d'oro immessi sul mercato deprezzerebbero enormemente tale metallo, vile per coloro che non ne posseggono, ma preziosissimo per gli altri. Non era il caso, quindi, di rimpiangere la perdita del bolide, il quale, non contento di mettere a soqquadro il mercato finanziario del mondo, avrebbe potuto forse scatenare una guerra a livello mondiale.

Gli interessati avevano però il diritto di essere delusi da quella conclusione. Il signor Forsyth e il dottor Hudelson andarono a contemplare, con profonda amarezza, il luogo dove il bolide era esploso. Era dura cosa dover fare ritorno senza portar via nulla di quell'oro celeste! neppure tanto quanto ne occorre per una spilla da cravatta o per un bottone da polsini; neppure un grano da conservare quale ricordo, a meno che il signor de Schnack non lo avesse reclamato per il suo paese!

Page 217: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Nel comune dolore, i due rivali avevano perduto persino il ricordo della passata ostilità. Né poteva essere diversamente. Come avrebbe potuto il dottor Hudelson tenere il broncio a chi aveva generosamente sfidato la morte per salvarlo? E, d'altra parte, non è umano che si rimanga affezionati a colui per il quale si è corso il rischio di morire? La scomparsa del bolide avrebbe condotto comunque alla completa riconciliazione. A che serve disputarsi il nome di una meteora che non esisteva più?

Pensavano a questo i due ex rivali? si rendevano conto dell'inconsistenza della loro tardiva generosità mentre gareggiavano nel far mostra di disinteresse, passeggiando sottobraccio nel primo quarto di luna di miele di una rinnovata amicizia?

— È una grande disgrazia — diceva il dottore — la perdita del bolide Forsyth.

— Del bolide Hudelson — rettificava il signor Forsyth. — Era vostro, caro amico, proprio vostro.

— Niente affatto — protestava il dottore. — La vostra osservazione, caro amico, aveva preceduto la mia.

— L'aveva seguita, caro amico. — Ma no! La poca precisione della mia lettera all'osservatorio di

Cincinnati ne costituirebbe la prova, all'occorrenza. Invece di dire come voi, da tale ora a tale ora, ho detto: tra tale ora e tale ora. E un'altra cosa!

Il buon dottore non voleva cedere, ma nemmeno Dean Forsyth cedeva; e quindi altre discussioni, per fortuna inoffensive.

Quel commovente ravvedimento aveva qualcosa di comico. Chi non pensava di riderne era, però, Francis Gordon, ridiventato il fidanzato ufficiale della sua cara Jenny. Dopo tante burrasche, i due giovani approfittavano il più possibile del ritorno del bel tempo e facevano del loro meglio per guadagnare le ore perdute.

La mattina del 4 settembre, le navi da guerra e le altre ormeggiate al largo di Upernivik salparono per latitudini più meridionali. Dei curiosi che, per qualche tempo, avevano animato quell'isola delle regioni artiche, rimasero il signor Robert Lecoeur e lo pseudo nipote Zeffirino Xirdal, costretti ad attendere il ritorno dell'Atlantic. Lo yacht fece ritorno il giorno dopo e i due s'imbarcarono subito. Ne

Page 218: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

avevano avuto abbastanza delle ultime ventiquattr'ore trascorse nell'isola.

Poiché la loro capanna era stata distrutta dall'ondata seguita all'esplosione del bolide, avevano dovuto passare la notte all'aria aperta, in pessime condizioni. Il mare non si era accontentato di portar via la baracca, li aveva anche inzuppati ben bene. Poco asciugati dal pallido sole delle contrade polari, non avevano più alcuna coperta per difendersi dal freddo della brevissima notte. Nel disastro era andato perduto tutto, persino la valigia e gli strumenti di Zeffirino. Perduto anche il cannocchiale con il quale aveva osservato tante volte la meteora. Egualmente perduta la macchina che aveva attirato la meteora sulla terra per poi precipitarla in fondo al mare.

Il signor Lecoeur non riusciva a consolarsi della perdita di quel meraviglioso apparecchio. Zeffirino invece ne rideva; avendone costruito uno, nulla avrebbe potuto impedirgli di costruirne un altro migliore e più potente.

Avrebbe potuto farlo, certamente, ma non ci pensò più, purtroppo. Il padrino lo sollecitò inutilmente perché si rimettesse al lavoro, ma egli rimandò sempre; fino a quando, giunto in età avanzata, portò il suo segreto nella tomba.

Bisogna rassegnarsi, dunque: quella macchina prodigiosa è perduta per sempre per l'umanità; il suo principio resterà ignorato fino a quando un nuovo Zeffirino non apparirà sulla terra.

A conti fatti, quest'ultimo faceva ritorno dalla Groenlandia più povero di quanto non fosse alla partenza. Senza contare gli strumenti e gli indumenti personali, vi lasciava un vasto terreno difficilmente rivendibile perché situato in gran parte in fondo al mare.

Per contro, quanti milioni aveva guadagnato il suo padrino, durante quel viaggio? Quei milioni egli li trovò al ritorno, in via Drouot: tale fu l'origine della favolosa fortuna che doveva rendere la banca Lecoeur all'altezza dei più potenti imperi finanziari.

Zeffirino non fu estraneo, è vero, a quel colossale incremento di potenza. Il signor Lecoeur, che ora sapeva di che cosa fosse capace, gli assegnò una larga partecipazione agli utili. La banca sfruttò dal punto di vista pratico tutte le invenzioni uscite dal suo cervello geniale. E non ebbe a pentirsene; in mancanza dell'oro del cielo, essa

Page 219: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

colmò le proprie casseforti con una notevole parte di quello della terra.

Il signor Lecoeur non era certamente uno Shylock.26 Di quelle ricchezze che erano opera sua, Zeffirino avrebbe potuto prendere la propria parte, e anche la più grossa, se avesse voluto. Ma Zeffirino, quando si parlava di tali cose, vi guardava come uno stupido, e allora si preferiva non insistere. Denaro? Oro? Per che farne? Farsi dare, ogni tanto, le piccole somme che occorrevano ai suoi modesti bisogni, era ciò che chiedeva. A tale scopo, egli continuò a recarsi a piedi, sino alla fine della sua vita, dallo «zio» che era anche il suo banchiere, senza mai voler lasciare il suo alloggio, al sesto piano di via Cassette, né separarsi dalla vedova Thibaut, che fu sino all'ultimo la sua ciarliera domestica.

Sette giorni dopo l'annuncio che il signor Lecoeur ne aveva dato al suo corrispondente di Parigi, la perdita del bolide fu nota a tutto il mondo. Era stato l'incrociatore francese a informarne il primo posto semaforico, durante il viaggio di ritorno; da questo la notizia era stata poi trasmessa ovunque.

L'emozione fu grande, com'è facile immaginare, ma si placò da sé abbastanza presto. Ci si trovava dinanzi al fatto compiuto ed era meglio non pensarci più. In breve, la gente fu ripresa dalle proprie preoccupazioni personali e smise di pensare al messaggero celeste che aveva fatto quella brutta e un po' buffa fine.

Non se ne parlava già più quando il Mozik gettò l'ancora, il 18 settembre, nel porto di Charleston.

Oltre ai passeggeri di prima, il Mozik sbarcava una passeggera che non aveva imbarcato nel viaggio di andata. La passeggera era la signora Arcadia Walker, la quale, volendo manifestare più a lungo la propria riconoscenza per l'ex marito, si era fatta sistemare nella cabina lasciata vuota dal signor de Schnack.

Dalla Carolina del Sud alla Virginia la distanza non è molta; peraltro, le ferrovie non mancano negli Stati Uniti. Il giorno seguente, il 19 settembre, il signor Forsyth, Francis e Omicron da una parte, il signor Hudelson e sua figlia dall'altra, erano di ritorno: i 26 Impersona la figura dell'usuraio nella nota commedia di W. Shakespeare Il Mercante di Venezia. (N.d.T.)

Page 220: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

primi alla torre di Elisabeth Street, i secondi al torrione di Moriss Street.

Vi erano attesi con impazienza. La signora Hudelson e sua figlia Loo erano alla stazione di Whaston, così come la buona Mitz, quando il treno di Charleston vi depose i viaggiatori; i quali furono commossi dell'accoglienza che venne loro fatta. Francis abbracciò la futura suocera e il signor Forsyth strinse cordialmente la mano della signora Hudelson, come se nulla fosse mai accaduto. Nessuna allusione ai giorni penosi del passato sarebbe stata mai fatta, se miss Loo, un pochino inquieta, non avesse voluto essere tranquillizzata.

— Dunque è finita? — esclamò, gettandosi al collo del signor Forsyth. Era finita, proprio finita. Il 30 settembre, infatti, le campane della chiesa di Sant'Andrea diffusero a distesa i loro sonori rintocchi sulla città. Dinanzi ad una brillante assemblea di parenti, amici delle due famiglie e notabili della città, il reverendo O'Garth celebrò il matrimonio di Francis Gordon e di Jenny Hudelson, giunto felicemente in porto dopo traversie e vicissitudini.

Nessuno ne dubiti: miss Loo era presente alla cerimonia quale damigella d'onore, graziosissima nel suo bel vestito, pronto da quattro mesi. E c'era anche Mitz, che rideva e piangeva, a un tempo, per la felicità del suo ragazzo. Non era stata mai così commessa, diceva a chi voleva ascoltarla e capirla.

Quasi alla stessa ora, un altro matrimonio era celebrato da un'altra parte, con meno pompa. Stavolta non era celebrato né a piedi né a cavallo, né in pallone; il signor Stanfort e la signora Walker andarono dal giudice Proth seduti l'uno accanto all'altra in una comoda carrozza e, per la prima volta, misero piede nella sua casa, sottobraccio, per presentargli le proprie carte in maniera meno fantasiosa del solito.

Dopo aver sposato nuovamente i due giovani, il magistrato si inchinò con galanteria dinanzi a loro,

— Grazie, signor Proth — disse la signora Stanfort. — E addio — aggiunse il signor Stanfort. — Addio, signori Stanfort — rispose il signor Proth, tornando

subito a curare i fiori del suo giardino.

Page 221: Jules Verne - La Caccia Alla Meteora

Ma un dubbio turbava il bravo filosofo. Aveva riempito per la terza volta l'innaffiatoio quando la mano cessò di spargere la benefica pioggia sui gerani assetati.

— Addio?… — mormorò fermandosi, assorto, in mezzo al viale. — Forse avrei fatto meglio a dir loro arrivederci…