Jules Verne - L'Isola a Elica

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Racconto

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JULES VERNE

L'ISOLA A ELICA

Disegni di Leon Benett

incisi da Froment, A. Lerondeau e F. Moller Copertina di Carlo Alberto Michelini

TITOLO ORIGINALE DELL'OPERA

L'ILE A HELICE (1895)

Traduzione integrale dal francese di GIUSEPPE CASTOLDI

Proprietà letteraria e artistica riservata – Printed in Italy © Copyright 1976 U. Mursia editore

1906/AC – U. Mursia editore – Milano – Via Tadino, 29

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INDICE PRESENTAZIONE ________________________________________5

L'ISOLA A ELICA _____________________________________ 8 PARTE PRIMA _______________________________________ 8

Capitolo I ________________________________________________9 Il quartetto orchestrale __________________________________________ 9

Capitolo II_______________________________________________19 Potenza di una sonata cacofonica _________________________________ 19

Capitolo III ______________________________________________33 Un «cicerone» loquace _________________________________________ 33

Capitolo IV ______________________________________________44 Il quartetto orchestrale sconcertato________________________________ 44

Capitolo V_______________________________________________59 Standard-island e milliard-city ___________________________________ 59

Capitolo VI ______________________________________________71 Invitati… «inviti» ____________________________________________ 71

Capitolo VIII ____________________________________________85 Rotta a ovest_________________________________________________ 85

Capitolo VIII ____________________________________________98 In navigazione _______________________________________________ 98

Capitolo IX _____________________________________________110 L'arcipelago delle sandwich ____________________________________ 110

Capitolo X______________________________________________122 Il passaggio della linea equinoziale ______________________________ 122

Capitolo XI _____________________________________________136 Le isole marchesi ____________________________________________ 136

Capitolo XII ____________________________________________150 Tre settimane alle pomotu _____________________________________ 150

Capitolo XIII ___________________________________________163 Sosta a tahiti ________________________________________________ 163

Capitolo XIV____________________________________________175 Di festa in festa______________________________________________ 175

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PARTE SECONDA ______________________________ 190 Capitolo I ______________________________________________191

Alle isole cook ______________________________________________ 191 Capitolo II______________________________________________203

D'isola in isola ______________________________________________ 203 Capitolo III _____________________________________________216

Concerto a corte _____________________________________________ 216 Capitolo IV _____________________________________________227

Ultimatum britannico _________________________________________ 227 Capitolo V______________________________________________239

Il «tabu» a tonga-tabu_________________________________________ 239 Capitolo VI _____________________________________________252

Una collezione di belve _______________________________________ 252 Capitolo VII ____________________________________________263

Battute di caccia _____________________________________________ 263 Capitolo VIII ___________________________________________270

Figi e figiani ________________________________________________ 270 Capitolo IX _____________________________________________282

Un «casus belli» _____________________________________________ 282 Capitolo X______________________________________________296

Cambiamento di proprietà _____________________________________ 296 Capitolo XI _____________________________________________312

Attacco e difesa _____________________________________________ 312 Capitolo XII ____________________________________________324

Sinistra contro dritta __________________________________________ 324 Capitolo XIII ___________________________________________337

Una battuta di pinchinat descrive la situazione _____________________ 337 Capitolo XIV____________________________________________350

Conclusione ________________________________________________ 350

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PRESENTAZIONE

L'attacco di questo romanzo potrebbe subito far pensare ad uno «scherzo musicale» del grande narratore francese. Il quartetto orchestrale di Sébastien Zorn, vittima di un incidente stradale in piena campagna, ha persino il buon umore di giocare con le parole, mentre si riassetta le vesti strappate e impolverate e si medica graffi e scorticature. Per fortuna gli strumenti (violoncello, viola e due violini) sono rimasti indenni e i quattro musicisti, ripresa a piedi la marcia, sveglieranno nottetempo gli abitanti del primo villaggio in cui si imbattono con un concertino fuori programma e tale da far ballare gli orsi…

Ma il romanzo non è affatto uno scherzo musicale, anche se i quattro concertisti ne costituiranno, per così dire, il filo conduttore. È piuttosto un romanzo di fantascienza, con un suo sottile e amaro messaggio politico.

Il bizzarro quartetto, infatti, dopo le prime disavventure, viene scoperto e apprezzato da uno sconosciuto musicofilo, che aprirà loro le porte della più straordinaria avventura della loro vita. Essi vengono invitati ad esibirsi a Milliard-City, la capitale di Standard-Island, su cui resteranno ospiti sino alla fine dell'incredibile vicenda.

E qui il romanzo entra davvero in piena fantascienza. Che cos'è Standard-Island? È una gigantesca isola artificiale, un

gigantesco natante mosso da eliche gigantesche, creato da supertecnici per supermiliardari. Sulla sua vasta superficie sorge una città, Milliard-City, con parchi, ruscelli, giardini. Ha due porti collegati da una tramvia e a poppa e a prua, per ogni evenienza, sporgono le bocche di potenti cannoni.

Standard-Island è dunque un prodigio della scienza e della tecnica che naviga nelle acque del Pacifico mantenendosi costantemente alle latitudini più calde perché il suo popolo di miliardari possa vivere in un clima di perpetua crociera. Un vero e proprio Eden del 2000.

Eppure, anche in questo paradiso che galleggia sulle acque,

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qualcosa all'improvviso s'incrina. La sete del potere (e qui nel quadro fantascientifico si inserisce la riflessione più propriamente umana e politica di Verne) viene a turbare l'accordo e l'idillio. Neppure a Standard-Island la felicità è possibile. E non sarà certo il nostro simpatico quartetto che riuscirà con la musica a frenare le rivalità e le contese.

Il finale a sorpresa del libro è quanto mai significativo, come un sogno che si tramuti in un incubo, e svela uno degli aspetti meno approfonditi della fase matura di Verne (l'opera è infatti del 1895) e cioè la sua perplessità di fronte alle meraviglie possibili della scienza e di fronte all'uso che l'uomo ne farà.

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JULES VERNE nacque a Nantes l'8 febbraio 1828. A undici anni,

tentato dallo spirito d'avventura, cercò di imbarcarsi clandestinamente sulla nave La Coralie, ma fu scoperto per tempo e ricondotto in famiglia. A vent'anni si trasferì a Parigi per studiare legge, e nella capitale entrò in contatto con il miglior mondo intellettuale dell'epoca. Frequentò soprattutto la casa di Dumas padre, dal quale venne incoraggiato nei suoi primi tentativi letterari. Intraprese dapprima la carriera teatrale, scrivendo commedie e libretti d'opera; ma lo scarso successo lo costrinse nel 1856 a cercare un'occupazione più redditizia presso un agente di cambio a Parigi. Un anno dopo sposava Honorine Morel. Nel frattempo entrava in contatto con l'editore Hetzel di Parigi e, nel 1863, pubblicava il romanzo Cinque settimane in pallone.

La fama e il successo giunsero fulminei. Lasciato l'impiego, si dedicò esclusivamente alla letteratura e un anno dopo l'altro – in base a un contratto stipulato con l'editore Hetzel – venne via via pubblicando i romanzi che compongono l'imponente collana dei «Viaggi straordinari – I mondi conosciuti e sconosciuti» e che costituiscono il filone più avventuroso della sua narrativa. Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Ventimila leghe sotto i mari, L'isola misteriosa, Il giro del mondo in 80 giorni, Michele Strogoff sono i titoli di alcuni fra i suoi libri più famosi. La sua opera completa comprende un'ottantina di romanzi o racconti lunghi, e numerose altre opere di divulgazione storica e scientifica.

Con il successo era giunta anche l'agiatezza economica, e Verne, nel 1872, si stabilì definitivamente ad Amiens, dove continuò il suo lavoro di scrittore, conducendo, nonostante la celebrità acquistata, una vita semplice e metodica. La sua produzione letteraria ebbe termine solo poco prima della morte, sopravvenuta a settantasette anni, il 24 marzo 1905.

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L'ISOLA A ELICA PARTE PRIMA

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CAPITOLO I

IL QUARTETTO ORCHESTRALE

QUANDO un viaggio comincia male è difficile che finisca bene. Perlomeno questa è l'opinione che avrebbero il diritto di sostenere quattro concertisti, i cui strumenti giacciono al suolo. Infatti la carrozza, nella quale avevano dovuto prendere posto alla precedente stazione ferroviaria, si è bruscamente ribaltata contro il ciglio della strada.

— Nessun ferito? — domanda quello che si è rialzato per primo. — Io me la sono cavata con un graffio! — risponde il secondo

asciugandosi la guancia scalfita da una scheggia di vetro. — E io con una scorticatura! — aggiunge il terzo che perde

qualche goccia di sangue dal polpaccio. Tutte cose, in sostanza, poco gravi. — E il mio violoncello?… — esclama il quarto. — Basta che non

sia capitato nulla al mio violoncello!… Per fortuna gli astucci sono intatti. Né il violoncello né i due

violini né la viola hanno riportato guai nell'urto, ed è molto se si dovrà solo riaccordarli. Strumenti di classe, non vi pare?

— Maledetta ferrovia che ci ha lasciato negli impicci a metà strada!… — riprende il primo.

— Maledetta carrozza che ci ha rovesciati in mezzo alla campagna deserta! — aggiunge il secondo.

— Proprio mentre comincia a farsi notte! — replica il terzo. — Fortunatamente il nostro concerto è in programma solo per

dopo-, domani! — osserva il quarto. Poi ecco tutto un incrociarsi di battute scherzose fra questi artisti

che hanno preso allegramente la loro disavventura. E uno di loro, seguendo un'inveterata abitudine, comincia a dire prendendo a prestito per le sue sciocchezze il linguaggio musicale:

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— Intanto, ecco la nostra carrozza Si…stemata sul do…rso!1 — Pinchinat! — esclama uno dei suoi compagni. — E secondo me — prosegue Pinchinat — ci sono un po' troppi

accidenti in chiave! — Vuoi star zitto?… — E faremo bene a trasportare i nostri pezzi in un'altra carrozza!

— ha la faccia tosta di aggiungere Pinchinat. Sì! Un po' troppi accidenti, davvero, come i nostri lettori non

tarderanno ad apprendere. Questo scambio di frasi è stato tenuto in francese. Ma avrebbe

potuto esserlo anche in inglese, poiché il quartetto parla la lingua di Walter Scott e di Cooper come la propria, a causa di numerose tournées tenute nei paesi d'origine anglo-sassone. Perciò è in questa lingua che si rivolgono al postiglione.

Il brav'uomo è quello che ha riportato i danni maggiori poiché è stato sbalzato di cassetta proprio al momento in cui si è spezzato l'assale dell'avantreno. Tuttavia essi si riducono a varie contusioni più dolorose che gravi: però, non può camminare a causa d'una storta e questo implica la necessità di trovargli qualche mezzo di trasporto fino al villaggio più vicino.

È stato davvero un miracolo che l'accidente non abbia provocato dei morti. La strada serpeggia attraverso una regione montuosa, rasentando precipizi profondi, fiancheggiata in più punti da torrenti tumultuosi, interrotta da guadi malamente praticabili. Se l'avantreno si fosse spezzato qualche metro più a valle, il veicolo sarebbe certamente rotolato sulle rocce di quegli abissi e forse nessuno sarebbe sopravvissuto alla catastrofe.

Comunque sia, la carrozza è fuori d'uso. Uno dei due cavalli, che ha battuto la testa contro una pietra aguzza, rantola al suolo; e l'altro è gravemente ferito al fianco. Quindi niente più carrozza e niente più cavalli.

Insomma la cattiva sorte non li ha proprio risparmiati, questi quattro artisti, sul territorio della Bassa California. Due accidenti in ventiquattr'ore… e a meno di essere filosofi…

1 Qui, come più oltre, sono state messe in corsivo le locuzioni musicali sul cui significato gioca Pinchinat. (N.d.T.)

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A quest'epoca la capitale dello Stato, San Francisco, è collegata mediante una ferrovia diretta con San Diego, città situata quasi alla frontiera della vecchia provincia californiana. Ed è verso quella importante città, dove fra due giorni devono dare un importante concerto preannunciato con molto anticipo e attesissimo, che erano diretti i quattro viaggiatori. Il treno, partito il giorno prima da San Francisco, era giunto appena a una cinquantina di miglia da San Diego, quando si è verificato il primo contrattempo…

Sì, proprio contrattempo! come dice il più allegro della comitiva e il lettore tollererà volentieri questa espressione da parte di un ex diplomato in solfeggio.

E la sosta forzata alla stazione di Paschal era avvenuta perché, per una piena improvvisa, i binari della ferrovia erano stati divelti per un tratto di tre o quattro miglia. Impossibile andare a riprendere il treno due miglia più avanti perché non era ancora stato organizzato il trasbordo, essendo l'accidente avvenuto solo poche ore prima.

Si era dovuto scegliere: o aspettare che la ferrovia fosse rimessa in condizioni di viabilità o prendere al vicino villaggio una carrozza per raggiungere San Diego.

Il quartetto aveva optato per quest'ultima soluzione. In un vicino villaggio era stato trovato una specie di vecchio landeau scricchiolante, divorato dalle tarme e niente affatto comodo. Se ne era concordato il noleggio con il proprietario, si aveva allettato il postiglione con la promessa di una buona mancia, e si era partiti con gli strumenti e senza i bagagli. Erano circa le due del pomeriggio, e fino alle sette di sera, il viaggio si era svolto senza grandi difficoltà e senza troppa fatica. Ma ecco che era capitato un secondo contrattempo: il ribaltamento della carrozza e così in malo modo che è impossibile utilizzarla per continuare la strada.

E il quartetto si trova a venti miglia abbondanti da San Diego! Ma come mai quattro concertisti nativi di Francia e, meglio

ancora, di Parigi, si sono spinti attraverso quelle regioni terribili della Bassa California?

Come mai?… Ora lo racconteremo in breve e tracceremo un rapido profilo dei quattro artisti che il caso, questo fantasioso distributore di parti, doveva introdurre fra i personaggi di questa

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storia straordinaria. Durante quell'anno – più o meno una trentina d'anni fa – gli Stati

Uniti d'America hanno raddoppiato il numero delle stelle della bandiera federale; sono nel pieno fulgore della loro potenza industriale e commerciale dopo essersi annesso il Dominion del Canada fino agli estremi confini del mare polare, e gli stati del Messico, del Guatemala, dell'Honduras, del Nicaragua e della Costarica fino al canale di Panama. Nello stesso tempo in quegli yankees conquistatori è venuto sviluppandosi il senso del bello e anche se nel campo artistico la loro produzione è molto limitata, se il loro genio nazionale si mostra ancora piuttosto ribelle in fatto di pittura, di scultura e di musica, perlomeno il gusto per le cose belle si è diffuso universalmente fra loro. A forza di comperare a peso d'oro i quadri dei maestri antichi e moderni per formarne gallerie pubbliche o private, a forza di attirare con cifre enormi gli artisti lirici e drammatici di maggior fama, i migliori musicisti, essi sono giunti a infondersi il senso delle cose belle e nobili che per tanto tempo era loro mancato.

Per quanto riguarda la musica, gli amatori del nuovo continente si sono dapprima appassionati all'audizione dei Meyerbeer, Halévy, Gounod, Berlioz, Wagner, Verdi, Massé, Saint-Saëns, Reyer, Massenet, Delibes, i celebri compositori della seconda metà del XIX secolo. Poi, a poco a poco, sono arrivati a comprendere la produzione più profonda dei Mozart, Haydn, Beethoven, risalendo verso le sorgenti di quest'arte sublime che era meravigliosamente fiorita durante il XVIII secolo. Dopo le opere i drammi lirici, dopo i drammi lirici le sinfonie, le sonate, le suites. E proprio mentre stiamo raccontando, nei diversi Stati dell'Unione furoreggia la sonata. La si pagherebbe volentieri un tanto alla nota, venti dollari le minime, dieci dollari le semiminime, cinque dollari le crome.

Fu allora che, venuti a conoscenza di quell'eccezionale entusiasmo, quattro strumentisti di valore ebbero l'idea di andare a cercare il successo e la fortuna negli Stati Uniti d'America. Quattro buoni amici, già allievi del Conservatorio, conosciutissimi a Parigi, e molto apprezzati nelle audizioni di quella che viene chiamata «musica da camera» fino allora poco diffusa nell'America del Nord.

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Con quale rara perfezione, quale meraviglioso insieme, quale profondo sentimento, essi interpretavano le opere di Mozart, di Beethoven, di Mendelssohn, di Haydn, di Chopin, scritte per quattro strumenti ad arco, un primo ed un secondo violino, una viola, e un violoncello! Nulla di eccessivamente rumoroso o che apparisse «mestiere», ma che esecuzioni impeccabili, che incomparabile virtuosismo! Il successo di quel quartetto si spiega ancor più per il fatto che, a quell'epoca, ci si cominciava a stancare delle formidabili orchestre armoniche e sinfoniche. Che la musica non sia che un sommovimento artisticamente combinato di onde sonore, sia: ma non bisogna scatenare queste onde in tempeste assordanti.

In breve, i nostri quattro concertisti decisero di iniziare gli americani ai dolci e ineffabili piaceri della musica da camera. Partirono insieme per il nuovo mondo, e nei due anni precedenti gli amatori yankees non lesinarono loro né gli urrà né i dollari. Le loro matinées o soirées musicali furono frequentatissime. Il Quartetto Orchestrale – come essi venivano chiamati – riusciva a stento a soddisfare le richieste dei ricchi privati. Senza di esso non c'era festa, riunione, ricevimento, té o persino «garden party» che meritasse di essere segnalato all'attenzione del pubblico. Grazie a quel successo il quartetto aveva potuto intascare grosse somme che, se si fossero accumulate nelle casseforti della Banca di New York, avrebbero costituito già un discreto capitale. Ma perché non ammetterlo? I nostri parigini americanizzati spendono, e come! Non pensano certo a mettere da parte, quei principi dell'archetto, quei sovrani delle corde!

Hanno preso gusto a quell'esistenza avventurosa, sicuri di incontrare dappertutto e sempre buona accoglienza e buoni incassi passando da New York a San Francisco, da Quebec a New Orléans, dalla Nuova Scozia al Texas, insomma un po' bohémiens, di quella Bohème2 della giovinezza che è la più antica, la più simpatica, la più invidiabile e la più amata provincia della vecchia Francia!

Non c'inganniamo di certo se crediamo che ora sia giunto il momento di presentarli singolarmente e per nome a quelli dei nostri

2 Gioco di parole intraducibile: qui Bohème significa sia Boemia sia spirito zinga-resco, bohémien. (N.d.T.)

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lettori che non hanno mai avuto finora e nemmeno avranno mai il piacere di sentirli.

Yvernès – primo violino – trentadue anni, statura al disopra della media, ha avuto l'intelligenza di restare magro; capelli biondi dalle punte ricciute, viso glabro, grandi occhi neri, mani lunghe fatte apposta per aprirsi smisuratamente sulle corde del suo Guarnerius3 atteggiamento elegante; gli piace drappeggiarsi in un mantello di colore scuro e porta volentieri un cappello a cilindro di seta; un po' posatore forse, e sicuramente il più spensierato della comitiva, il meno preoccupato dalle questioni d'interesse, artista nel vero senso della parola, ammiratore entusiasta delle cose belle, virtuoso di grande talento e di grande avvenire.

Frascolin – secondo violino – trent'anni, piccolo con tendenza all'obesità (il che lo rende furibondo), capelli e barba castani, testa massiccia, occhi neri, naso lungo dalle pinne mobili e con due segni rossi là dove poggiano le molle degli occhiali d'oro da miope senza i quali non può stare; bravo ragazzo, cortese, servizievole, pronto ad assumersi qualsiasi fatica pur di liberarne i compagni; incaricato della contabilità del quartetto, predica l'economia senza essere mai ascoltato; per nulla invidioso dei successi dell'amico Yvernès, non ha l'ambizione di innalzarsi fino al leggio del violino solo, pur essendo un ottimo musicista; in questo momento indossa un ampio spolverino sopra l'abito da viaggio.

Pinchinat – viola, chiamato generalmente «Sua Altezza» – ventisette anni, il più giovane della compagnia e il più birbante, uno di quegli incorreggibili che restano monelli per tutta la vita; ha la testa piccola, occhi intelligenti e sempre sul chi vive, capelli rossicci, baffi a punta, lingua sempre schioccante fra due file di denti bianchi e aguzzi, fanatico per le battute e i giochi di parole, pronto all'attacco come alla replica, col cervello perennemente in ebollizione, cosa che egli attribuisce alla lettura delle svariate chiavi di do richieste dal suo strumento («un vero e proprio mazzo degno di una massaia», a suo

3 Bartolomeo Giuseppe Antonio Guarneri (1687-1745?) di Cremona, celeberrimo liutaio. Gli splendidi strumenti da lui costruiti vengono chiamati solitamente con il suo cognome latinizzato come risultava dal cartiglio con la sua firma che egli apponeva nel loro interno. (N.d.R.)

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dire); è sempre di buon umore e ama lo scherzo senza preoccuparsi minimamente del fastidio che esso può causare ai suoi compagni, e per questo appunto spesso rimproverato, corretto, redarguito dal capo del quartetto orchestrale.

Perché il quartetto ha un capo, il violoncellista Sébastien Zorn, capo per ingegno e capo per età: ha cinquantacinque anni, è piccolo, rotondo, tuttora biondo; i capelli piuttosto lunghi gli formano due ricci sulle tempie e i baffi folti gli si confondono con i favoriti che finiscono in punta. Ha il colorito tendente al rosso mattone, gli occhi che brillano dietro le lenti degli occhiali che rinforza con un secondo paio quando deve decifrare uno spartito e infine le mani grassocce delle quali la destra, abituata ai movimenti ondulatori dell'archetto, è adorna di grossi anelli all'anulare ed al mignolo.

Pensiamo che questo leggero schizzo basti per dipingere l'uomo e l'artista. Ma non si è certo tenuta impunemente per una quarantina d'anni tra le ginocchia una cassa armonica. Uno ne risente per tutta la vita e il carattere ne rimane influenzato. La maggior parte dei violoncellisti sono loquaci e rabbiosi, hanno il tono di voce alto e sono verbosi pur non mancando di spirito. E così è appunto Sébastien Zorn, al quale Yvernès, Frascolin e Pinchinat hanno ceduto volentieri la direzione delle loro tournées musicali. Dato che si dimostra capace gli lasciano completa libertà d'azione. Abituati ai suoi modi autoritari, ne ridono quando essi «superano la misura», cosa che però è spiacevole per un musicista, come faceva osservare quell'irrispettoso di Pinchinat. La composizione dei programmi, la direzione degli itinerari, la corrispondenza con gli impresari, le molteplici occupazioni che permettono al suo temperamento aggressivo di manifestarsi in mille occasioni sono riservate a lui. Egli non interviene solamente nella faccenda degli incassi e nell'amministrazione della cassa sociale che è affidata alle cure del secondo violino e primo contabile, il minuzioso, il meticoloso Frascolin.

A questo punto il quartetto è stato presentato esattamente come se si fosse trovato su una pedana da concerto. Si conoscono i tipi, se non originalissimi, perlomeno abbastanza singolari che lo compongono. Il lettore permetta dunque lo svolgimento delle vicende

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di questo bizzarro racconto: vedrà che parte vi avranno questi quattro parigini i quali, dopo aver raccolto tanti applausi negli Stati della Confederazione americana, stavano per essere trasportati… Ma non anticipiamo, «non acceleriamo il movimento!» esclamerebbe Sua Altezza, e pazientiamo un poco.

I quattro parigini si trovano dunque verso le otto di sera su una strada deserta della Bassa California, accanto ai rottami della loro «carrozza rovesciata» – musica di Boieldieu, come ha detto Pinchinat. Ma se Frascolin, Yvernès e lui hanno accettato con filosofia le conseguenze di quell'avventura, se essa anzi ha addirittura suggerito loro qualche battuta di repertorio, si conceda invece al capo del quartetto di sfruttare l'occasione per abbandonarsi a un accesso di collera. Che volete? Il violoncellista si scalda facilmente e come si suol dire, ha il sangue a fior di pelle. Per questo Yvernès sostiene che egli discende da Aiace e da Achille, i due illustri iracondi dell'antichità.

Per non dimenticarlo, facciamo presente che Sébastien Zorn è bilioso, Yvernès flemmatico, Frascolin arrendevole e Pinchinat di una giovialità esuberante; tutti quanti però sono ottimi compagni e provano gli uni per gli altri un'amicizia fraterna. Si sentono uniti da un vincolo che nessuna discussione d'interesse o di suscettibilità potrebbe mai rompere, da una comunanza di gusti attinti alla medesima fonte. I loro cuori, come se fossero stati strumenti di marca, andavano perfettamente d'accordo.

Mentre Sébastien Zorn bestemmia, tastando l'astuccio del suo violoncello per assicurarsi che sia sano e salvo, Frascolin si avvicina al postiglione.

— Ebbene, amico — gli domanda — e adesso, per piacere, che cosa si fa?…

— Quello che si fa — risponde l'uomo — quando non si hanno più né cavalli né vettura… si aspetta…

— Si aspetta che qualcuno si faccia vivo! — esclamò Pinchinat. — E se non si fa vivo nessuno?…

— Allora lo si va a cercare — osserva Frascolin che conserva sempre uno spirito pratico.

— Dove? — rugge Sébastien Zorn che va e viene febbrilmente

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per la strada. — Dove c'è gente! — risponde il postiglione. — Ehi! voi, carrettiere, — replica il violoncellista con un tono di

voce che va salendo verso i registri più alti — si chiama rispondere, questo? Come! Ecco un incompetente che ci rovescia, sfascia la carrozza, storpia i cavalli e si limita a dire: «Arrangiatevi come potete!…».

Trascinato dalla sua naturale loquacità, Sébastien Zorn comincia a diffondersi in una serie interminabile di invettive per lo meno inutili, quando Frascolin lo interrompe con queste parole:

— Lascia fare a me, vecchio Zorn. Quindi volgendosi nuovamente al postiglione: — Amico, dove ci troviamo?… — A cinque miglia da Freschal. — Una stazione della linea ferroviaria? — No… un villaggio vicino alla costa. — E là potremo trovare una carrozza?… — Una carrozza… no… ma forse un carretto… — Un carretto tirato da buoi come al tempo dei re merovingi! —

esclama Pinchinat. — E che cosa importa? — fa Frascolin. — Eh! — replica Sébastien Zorn — domandagli piuttosto se in

quel buco di Freschal esiste una locanda… Io ne ho abbastanza di andare in giro di notte…

— Amico — chiede Frascolin — c'è qualche albergo a Freschal?…

— Sì… la locanda dove dovevamo cambiare i cavalli. — E per arrivare a questo villaggio basta seguire la strada

maestra?… — Sempre dritto. — Andiamo! — proclama il violoncellista. — Ma questo poveretto… sarebbe crudele abbandonarlo qui… nei

guai — fa osservare Pinchinat. — Su, amico, aiutandovi alla meglio… non potreste…

— Impossibile! — risponde il postiglione. — D'altronde preferisco rimanere qui con la carrozza… Quando sarà giorno,

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cercherò di darmi da fare… — Giunti a Freschal — riprende Frascolin — potremo mandarvi

qualcuno in aiuto… — Sì… il locandiere mi conosce e non mi lascerà negli impicci… — Allora, andiamo?… — esclama il violoncellista che ha già

alzato l'astuccio del suo strumento. — Subito — risponde Pinchinat. — Prima datemi una mano per

sistemare il nostro vetturino lungo il ciglio della strada… Infatti, bisogna toglierlo dalla sede stradale e, dal momento che

non può servirsi delle proprie gambe parecchio indolenzite, Pinchinat e Frascolin lo sollevano, lo trasportano e lo appoggiano alla base d'un grosso albero i cui rami inferiori ricadendo formano una specie di baldacchino di verzura.

— Andiamo, insomma?… — urla Sébastien Zorn una terza volta, dopo essersi fissato l'astuccio del violoncello sulla schiena, assicurandolo con una doppia cinghia sistemata opportunamente.

— Ecco fatto! — dice Frascolin. Quindi rivolto all'uomo: — Allora siamo intesi… il locandiere di Freschal manderà ad

aiutarvi… Fino ad allora, non avete bisogno di niente, vero, amico?…

— Sì… — risponde il postiglione — d'un buon sorso di gin se ne resta ancora nelle vostre fiaschette.

La fiaschetta di Pinchinat è ancora piena e Sua Altezza la sacrifica volentieri.

— E con questa, amico — fa — stanotte non avrete freddo… perlomeno al di dentro!

Un'ultima invettiva del violoncellista decide i compagni a mettersi in cammino. Per fortuna i loro bagagli sono rimasti nel bagagliaio del treno invece di essere caricati sulla carrozza. Arriveranno a San Diego con un po' di ritardo ma almeno i nostri musicisti non saranno costretti a trascinarseli dietro fino a Freschal. Bastano già gli astucci dei violini e soprattutto quello del violoncello! Anche se un concertista che si rispetti non si separa mai dal suo strumento, proprio come un soldato dal suo fucile e una lumaca dal suo guscio.

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CAPITOLO II

POTENZA DI UNA SONATA CACOFONICA

ANDARSENE di notte a piedi per una strada che non si conosce, in un paese quasi deserto, dove i malfattori solitamente sono meno rari dei viaggiatori, è certo una cosa un po' preoccupante. E il quartetto si trova appunto in questa situazione. I francesi sono coraggiosi, è vero, e questi lo sono quanto mai lo si può essere. Ma fra il coraggio e la temerarietà esiste un limite che la ragione vieta di passare. Dopo tutto, se la ferrovia non avesse trovato una pianura inondata dalle piene, se la carrozza non si fosse rovesciata a cinque miglia da Freschal, i nostri concertisti non sarebbero stati costretti ad avventurarsi di notte per quella strada sospetta. Speriamo, ad ogni modo, che non capiti loro nulla di spiacevole.

Sono circa le otto quando Sébastien Zorn e i suoi compagni si avviano verso il litorale, seguendo le indicazioni del postiglione. Dovendo trasportare solo gli astucci in pelle dei loro strumenti, leggeri e poco ingombranti, i violinisti non avrebbero certo avuto ragione di lamentarsi. E infatti nessuno si lamenta, né il saggio Frascolin né l'allegro Pinchinat né l'idealista Yvernès. Ma il violoncellista ha a che fare con l'astuccio del violoncello; una specie di armadio che gli grava sulla schiena! Dato il suo carattere, si capisce come egli trovi in ciò motivo di arrabbiarsi. E quindi, ecco tutta una serie di brontolii e di gemiti che si manifestano sotto la forma onomatopeica di «ah!» di «oh!» e di «uf!».

L'oscurità è già profonda. Attraverso il cielo corre una fitta nuvolaglia, che a volte si fende in stretti strappi dai quali appare una luna beffarda, quasi al suo primo quarto. Non si capisce bene il perché, se non per il fatto che è scontroso e irritabile, a Sébastien Zorn la bionda Artemide Febea non ha la fortuna di piacere. Egli le mostra il pugno gridando:

— E allora! Che cosa vieni a fare qui col tuo profilo idiota!…

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Davvero non conosco niente di più stupido di quella specie di fetta di melone acerbo che sta passeggiando lassù!

— Sarebbe meglio che la luna ci guardasse di faccia — dice Frascolin. — E perché? — chiede Pinchinat.

— Perché ci vedremmo meglio. — O casta Diana, — comincia a declamare Yvernès — o placido

corriere della notte, o pallido satellite della terra, o idolo adorato dell'adorabile Endimione…

— Hai finito la tua serenata? — grida il violoncellista. — Quando questi primi violini cominciano a pizzicare il cantino…

— Allunghiamo il passo — fa Frascolin — o rischiamo di passare la notte alla luce delle stelle…

— Se ce ne fossero… e rischiamo anche di non arrivare in tempo per il nostro concerto a San Diego — osserva Pinchinat.

— Bell'idea, quella, per Bacco! — esclama Sébastien Zorn scuotendo il suo astuccio che emette un suono lamentoso.

— Ma quest'idea, vecchio mio, — ribatte Pinchinat — l'hai avuta tu…

— Io?… — Ma certo! Ah, perché non siamo rimasti a San Francisco dove

potevamo rallegrare tutta una collezione di orecchie californiane? — E allora — domanda il violoncellista — perché siamo

partiti?… — Perché l'hai voluto tu. — Allora bisogna confessare che ho avuto un'ispirazione

deplorevole e se… — Ah!… amici! — fa a questo punto Yvernès indicando con la

mano un punto del cielo in cui un sottile raggio di luna orla di un profilo biancastro il bordo di una nuvola.

— Che cosa c'è, Yvernès?… — Guardate se quella nuvola non sta assumendo la forma di un

drago, con le ali spiegate e la coda aperta come quella del pavone disseminata dai cento occhi d'Argo!

Sébastien Zorn non deve possedere la centuplice potenza visiva che distingueva il guardiano della figlia di Inaco, poiché non nota una profonda carreggiata nella quale disgraziatamente va a mettere il

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piede. Ne consegue una caduta sulla pancia che fa sì che, con l'astuccio del violoncello sul dorso, egli assomigli a un grosso coleottero che striscia sul terreno.

Violenta rabbia del musicista – e ne ha ben donde – e quindi contumelie nei confronti del primo violino rimasto in ammirazione davanti al suo mostro aereo.

— È colpa di Yvernès! — sostiene Sébastien Zorn. — Se non avessi cercato di guardare il suo maledetto drago…

— Non è più un drago, adesso è un'anfora! E con un minimo d'immaginazione si può vederla nelle mani di Ebe mentre è intenta a versare il nettare…

— Ho l'impressione che ci sia molta acqua in quel nettare — esclama Pinchinat — e che la tua graziosa dea della giovinezza stia per innaffiarci con una bella doccia!

Questo complicherebbe le cose, ma pare proprio che il vento volga alla pioggia. Perciò la prudenza impone di affrettare il passo per cercare riparo a Freschal.

Il violoncellista furibondo e imprecante viene rialzato e rimesso in piedi. Il compiacente Frascolin si offre di portare il suo violoncello. Dapprima Sébastien Zorn rifiuta di acconsentire… Separarsi dal suo strumento!… un violoncello di Gand e Bernardel!… come dire una metà di se stesso… Ma poi cede e la preziosa metà passa sulle spalle del servizievole Frascolin, il quale a sua volta affida al sunnominato Zorn il suo leggero astuccio.

Si riprende il cammino. Per due miglia si procede di buon passo senza che ci sia da notare alcun incidente. La notte va facendosi sempre più nera, minacciando la pioggia. Cominciano a cadere goccioloni enormi il che significa che provengono da nubi alte e temporalesche. Ma l'anfora della graziosa Ebe di Yvernès, non si piega ulteriormente e i nostri quattro vagabondi notturni possono sperare di arrivare a Freschal perfettamente asciutti.

Ci sono però pur sempre da prendere accurate precauzioni per evitare di cadere per quella strada buia, dal fondo scavato dalle carreggiate, che a volte si piega in bruschi gomiti, fiancheggiata da vaste anfrattuosità e costeggiante cupi precipizi dove si sente echeggiare lo scrosciare dei torrenti. Dato il loro stato d'animo se

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Yvernès trova la situazione poetica, Frascolin la trova preoccupante. È anche il caso di temere qualcuno di quei pericolosi incontri che

rendono molto problematica la sicurezza dei viaggiatori sulle strade della Bassa California. Il quartetto è armato soltanto degli archetti di tre violini e di un violoncello, armamento che può sembrare insufficiente nel paese in cui furono inventate le rivoltelle Colt, a quest'epoca già estremamente perfezionate. Se Sébastien Zorn e i suoi compagni fossero stati americani si sarebbero muniti di uno dei revolver tascabili che trovano posto in un taschino speciale dei pantaloni. Un vero yankee, anche solo per andare in ferrovia da San Francisco a San Diego, non si metterebbe in viaggio senza portare con sé quel viatico a sei colpi. Ma i francesi non l'avevano ritenuto necessario. Aggiungiamo anzi che non vi hanno nemmeno pensato e forse dovranno pentirsene.

Pinchinat cammina in testa alla comitiva esaminando con lo sguardo le scarpate che fiancheggiano la strada. Nei punti in cui questa è molto incassata sia sulla destra sia sulla sinistra, infatti, il pericolo di essere sorpresi da una improvvisa aggressione è minore. Burlone come sempre, Sua Altezza ogni tanto prova il desiderio di giocare qualche scherzetto ai suoi amici, una voglia matta di «far loro paura», per esempio di fermarsi di colpo e di mormorare con voce tremante per lo spavento:

— Ehi!… Che cosa vedo laggiù?… Stiamo pronti a sparare… Ma allorché la strada penetra in una fitta boscaglia, fra i

mammoth-trees, le sequoia, alti centocinquanta piedi, i giganti vegetali delle regioni californiane, la voglia di scherzare gli passa. Dietro ognuno di quegli enormi tronchi possono nascondersi dieci uomini… Un lampo seguito da una secca detonazione… il rapido fischiare di un proiettile… non si sta forse per vederli?… Non si sta per sentirli?… Quei passaggi, evidentemente fatti apposta per un attacco notturno, si prestano benissimo a un'imboscata. Se per fortuna non si viene a contatto con i banditi, ciò è dovuto al fatto che questa stimata categoria di individui è del tutto scomparsa dall'America Occidentale, oppure al momento è occupata in operazioni finanziarie sui mercati del vecchio e del nuovo continente!… Che fine per i discendenti dei vari Karl Moor e Jean

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Sbogar! E chi mai fa queste riflessioni se non Yvernès? «Decisamente»

egli pensa «lo spettacolo non è degno della messa in scena!». Ad un tratto Pinchinat si ferma. Frascolin che lo segue fa altrettanto. Sébastien Zorn e Yvernès si affrettano a raggiungerli. — Che c'è?… — domanda il secondo violino. — Mi è parso di vedere… — risponde la viola. E questa volta non si tratta davvero di uno scherzo. Fra gli alberi

sta muovendosi una forma più che reale. — Umana o animale?… — domanda Frascolin. — Non so. Nessuno si sarebbe azzardato a dire quale delle due sarebbe stata

da preferirsi. Si guarda stretti in gruppo, senza muoversi, senza dire una parola.

Da uno strappo fra le nuvole i raggi lunari scendono a bagnare la cupola dell'oscura foresta, e attraverso i rami delle sequoia filtrano fino al suolo. Tutto ciò che sta là sotto è visibile fino a un centinaio di passi di distanza.

Pinchinat non è stato vittima di un'illusione. Quella massa, troppo grossa per un uomo non può essere che quella di un quadrupede di grosse dimensioni. Ma quale quadrupede?… Una fiera?… Una fiera di sicuro!… Ma quale?…

— Un plantigrado!… — fa Yvernès. — Maledettissimo animale! — mormora Sébastien Zorn con voce

bassa ma spazientita — e per animale intendo te, Yvernès!… Non puoi parlare come i cristiani?… Che cosa sarebbe un plantigrado?

— Una bestia che cammina sulle piante… dei piedi! — spiega Pinchinat.

— Un orso! — risponde Frascolin. Si tratta infatti di un orso, un orso formato extra. Nelle foreste

della Bassa California non si incontrano né leoni né tigri né pantere. I loro ospiti abituali sono gli orsi e i rapporti con essi di solito sono spiacevoli.

Nessuno quindi si stupirà che i nostri parigini abbiano di comune accordo l'idea di cedere il passo al plantigrado. D'altra parte non si

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trovava in casa sua?… Così il gruppetto stringe i ranghi e comincia a indietreggiare, in modo da continuare a fronteggiare l'animale, ma muovendosi lentamente, tranquillamente, senza aver l'aria di fuggire.

La bestia li segue a passettini, agitando le zampe anteriori come braccia del telegrafo,4 dondolandosi sulle anche come una manola a spasso. A poco a poco guadagna terreno e i suoi atteggiamenti cominciano a divenire ostili: grida rauche e un battere di mascelle per nulla rassicurante.

— Se ce la battessimo ognuno in una direzione diversa?… — propone Sua Altezza.

— Niente da fare! — risponde Frascolin. — Uno di noi verrebbe raggiunto in ogni caso e la pagherebbe per tutti!

E quell'imprudenza non fu commessa: evidentemente avrebbe potuto avere spiacevoli conseguenze.

Il quartetto arriva così, tutto compatto, sul limitare di una radura meno oscura. L'orso si è avvicinato, è solo a una decina di passi. Forse il posto gli sembra propizio per un'aggressione?… È probabile, perché le sue urla raddoppiano, ed esso affretta il passo.

Marcia indietro precipitosa del gruppo e raccomandazioni più pressanti del secondo violino:

— Sangue freddo… sangue freddo, amici. Si attraversa la radura e si torna sotto la protezione degli alberi.

Ma là il pericolo non è minore. Nello scivolare da un tronco all'altro, l'animale può partire all'assalto senza che si possa prevenire l'attacco, è proprio sul punto di farlo, quando i suoi grugniti cessano, il suo passo rallenta…

L'ombra fitta comincia a risuonare di una musica penetrante, un largo espressivo nel quale si rivela tutta l'anima di un artista.

È Yvernès che, estratto il violino dall'astuccio, lo fa vibrare sotto la robusta carezza dell'archetto. Idea geniale! Perché mai dei musicisti non avrebbero dovuto chiedere la salvezza alla musica? Le pietre, commosse dagli accordi di Anfione, non venivano forse a disporsi da sole intorno a Tebe? E le belve, addomesticate dalla sua lira ispirata, non accorrevano ai piedi di Orfeo? Ebbene, bisogna

4 Si fa qui allusione al telegrafo ottico, naturalmente. (N.d.R.)

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credere che quell'orso della California, sotto l'influenza di predisposizioni ataviche, sia dotato di gusto artistico quanto i suoi congeneri della Favola, perché la sua ferocia si placa, l'istinto melomane prende il sopravvento, e a mano a mano che il quartetto indietreggia ordinatamente, lo segue emettendo dei gridolini da amatore. Ancora un po' e si mette a gridare: — Bravi! Bravi!…

Un quarto d'ora dopo Sébastien Zorn e i suoi compagni si trovano sul ciglio del bosco e lo oltrepassano, con Yvernès che continua a suonare…

L'animale si è fermato e non pare che abbia l'intenzione di andare avanti. Si mette a battere le grandi zampe una contro l'altra.

Ed allora anche Pinchinat afferra il suo strumento esclamando: — Il ballo degli orsi, e diamoci dentro! Poi, mentre il primo violino strimpella a tutto potere in tono

maggiore quel motivo tanto noto, la viola lo accompagna con un basso aspro e in falsetto sulla mediante5 minore…

Ed ecco che la bestia comincia a ballare, alzando prima il piede destro, poi il piede sinistro, dimenandosi, contorcendosi, lasciando che il gruppo si allontani per la strada.

— Peuh! — osserva Pinchinat — era solo un orso da circo! — Non importa! — risponde Frascolin, — quel diavolo d'Yvernès

ha avuto un'ottima idea! — Filiamo… allegretto — replica il violoncellista — e senza

guardare indietro! Sono circa le nove quando i quattro discepoli di Apollo arrivano

sani e salvi a Freschal. Hanno camminato di buon passo per quell'ultimo tratto, anche se non hanno più il plantigrado alle calcagna.

Una quarantina di case, o meglio di baracche di legno, intorno a una piazza ricca di faggi: ecco Freschal, villaggio isolato lontano due miglia dalla costa.

I nostri artisti si insinuano fra alcuni edifici ombreggiati da grandi alberi, sboccano in una piazza, intravedono in fondo il piccolo campanile di una modesta chiesa; allora si dispongono in cerchio

5 Terzo grado della scala diatonica, detto anche nota modale o caratteristica. (N.d.R.)

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come se dovessero eseguire un pezzo di circostanza, e rimangono lì immobili con l'intenzione di consultarsi.

— Questo un villaggio?… — fa Pinchinat. — Credevi forse di trovare una città sul tipo di Filadelfia o di

New York? — ribatte Frascolin. — Ma dormono tutti, nel vostro villaggio! — afferma Sébastien

Zorn alzando le spalle. — Non svegliare il… villaggio che dorme! — sospira

melodiosamente Yvernès. — Svegliamolo, invece! — esclama Pinchinat. Infatti, a meno di voler passare la notte all'aperto, bisogna proprio

adottare questo sistema. Peraltro, la piazza è completamente deserta, e il silenzio assoluto.

Non una persiana socchiusa, non un lume alle finestre. Lì avrebbe potuto ergersi il castello della Bella addormentata nel bosco, in completo riposo e tranquillità.

— Ebbene… e la locanda?… — domanda Frascolin. Sì… la locanda di cui aveva parlato il postiglione, dove i

viaggiatori in imbarazzo devono trovare buona accoglienza e buon giaciglio?… E il locandiere pronto a mandare qualcuno in aiuto allo sfortunato cocchiere?… Forse quel poveretto si è sognato tutto ciò?… O… — altra ipotesi, — Sébastien Zorn e i suoi compagni si sono perduti?… Questo non è il villaggio di Freschal?…

Queste diverse domande richiedono una risposta decisa. Dunque, diventa necessario interrogare uno degli abitanti del paese e per far ciò bisogna bussare alla porta di una delle baracche, a quella della locanda se ciò è possibile, se un caso fortunato permette loro di scoprirla.

E i quattro musicisti si mettono in ricognizione girando per quella piazza tenebrosa, strisciando lungo le facciate, cercando di scorgere un'insegna appesa a un qualche davanzale… Di locande, neanche l'ombra.

Beh, in mancanza di locanda, non è possibile che non ci sia una casa ospitale e, dal momento che non si è in Scozia, si agirà all'americana. Quale abitante di Freschal rifiuterebbe di dare una cena e un letto per uno o due dollari a testa?…

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— Bussiamo — dice Frascolin. — A tempo — aggiunge Pinchinat — e a sei ottavi! Si sarebbe potuto battere a tempo di valzer o di polca che il

risultato sarebbe stato lo stesso. Nessuna porta, nessuna finestra si apre anche se il Quartetto Orchestrale ha tentato di farsi rispondere da una dozzina di case.

— Ci siamo sbagliati — dichiara Yvernès. — Questo non è un villaggio, è un cimitero dove chi dorme, dorme sicuramente il sonno eterno… Vox clamantis in deserto.

— Amen! — risponde Sua Altezza con la voce sonora di un cantante di cappella.

Che fare, visto che ci si ostina nel silenzio più assoluto?… Proseguire per San Diego?… Ma crepano, alla lettera, di fame e di fatica… E poi che strada prendere, senza guida, nel cuore di quella notte buia?… Tentare di raggiungere un altro villaggio!… Ma quale?… Stando a quanto aveva detto il cocchiere non ce n'è nessuno su questa parte di litorale… Si rischierebbe di perdersi ancora di più… Meglio aspettare il giorno!… Però, passare una mezza dozzina d'ore senza riparo, sotto un cielo che andava sempre più ricoprendosi di nuvole basse, che minacciavano di sfogarsi in pioggia a rovesci, non è davvero piacevole, nemmeno per degli artisti.

Allora Pinchinat ebbe un'idea. Non sempre ne ha di buone, ma la sua mente ne è particolarmente fertile. Questa, d'altra parte, ottiene l'approvazione del savio Frascolin.

— Amici, — propone — perché quello che ci è riuscito nei confronti di un orso non dovrebbe riuscirci nei confronti di un villaggio della California?… Con un po' di musica abbiamo placato il plantigrado… Svegliamo questi villani con un sonoro concerto in cui non risparmieremo né i forte né gli allegro…

— Si può provare… — risponde Frascolin. Sébastien Zorn non ha nemmeno atteso la fine della frase di

Pinchinat. Estrae dall'astuccio il violoncello, lo rizza sulla sua punta d'acciaio, e in piedi, dal momento che non ha un sedile a disposizione, con l'archetto in mano, è pronto a cavar fuori tutte le voci nascoste in quella cassa armonica.

Quasi contemporaneamente i suoi compagni sono pronti a

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seguirlo fino ai supremi limiti dell'arte. — Il quartetto in si bemolle di Onslow — sceglie. — Avanti… A

tempo… Il quartetto di Onslow lo conoscono a memoria e, da esperti

concertisti, non hanno certo bisogno di luce per far scorrere le loro abili dita sopra le corde di un violoncello, di due violini e di una viola.

Eccoli dunque abbandonarsi tutti all'ispirazione. Mai forse hanno suonato con maggior talento e con più animo nei casinò e nei teatri della Confederazione americana. Lo spazio è pervaso di sublimi armonie e, a meno che siano tutti sordi, come degli esseri umani potrebbero resistere? Anche se si fosse stati in un cimitero, così come ha preteso Yvernès, sotto l'incanto di quella musica, le tombe si sarebbero aperte, i morti si sarebbero alzati e gli scheletri avrebbero applaudito…

Ma le case rimangono chiuse, i dormienti non si svegliano. Il pezzo termina fra le note sonore del suo finale poderoso senza che Freschal abbia dato segno di vita.

— Ah! è così!… — esclama Sébastien Zorn al colmo del furore. — Per le loro orecchie di selvaggi ci vuole una chiassata come per i loro orsi?… E va bene! Ricominciamo: ma tu Yvernès devi suonare in re, tu Frascolin in mi, tu Pinchinat in sol, mentre io resterò in si bemolle… e adesso, diamoci dentro!

Che cacofonia! Che rottura di timpani! La musica ricorda proprio quell'orchestra improvvisata, diretta dal principe di Joinville in un villaggio sconosciuto di non so quale regione brasiliana. C'è da credere che si stia eseguendo su delle scatole per scarpe una qualche atroce sinfonia, qualcosa di Wagner, suonato a rovescio!…

Insomma l'idea di Pinchinat è ottima. Ciò che una esecuzione perfetta non è riuscita a ottenere, lo ottiene questo pandemonio. Freschal comincia a risvegliarsi. Alcuni vetri si illuminano, due o tre finestre si accendono. Gli abitanti del villaggio non sono morti, dal momento che danno segno di vita. Non sono sordi, dal momento che sentono e ascoltano.

— Temo che stiano per tirarci delle mele! — dice Pinchinat durante una pausa, poiché, in mancanza della tonalità del pezzo, il

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tempo è stato rispettato scrupolosamente. — Beh! tanto meglio… le mangeremo! — risponde il pratico

Frascolin. E al segnale di Sébastien Zorn, il concerto riattacca con rinnovato vigore.

Poi, quando si conclude con un vigoroso e perfetto accordo in quattro tonalità diverse, gli artisti si fermano.

No! Non sono mele che piovono dalle venti o trenta finestre spalancate, ma applausi, urrà, hip!, hip!, hip! Mai le orecchie freschaliane sono state pervase da tali delizie musicali! E non c'è da dubitare che tutte le case saranno pronte a fornire ospitalità a tanto eletti virtuosi.

Ma mentre essi si abbandonavano alla foga strumentale, un nuovo spettatore si è fatto avanti di alcuni passi senza che lo abbiano visto avvicinarsi. Costui è sceso da una specie di giardiniera6 elettrica e si è posto in un angolo della piazza. Si tratta di un uomo di alta statura e assai corpulento per quanto si poteva giudicare in quella notte buia.

Ora, mentre i nostri parigini si stanno domandando se dopo le finestre, anche le porte delle case si apriranno per riceverli — cosa che pare perlomeno incerta – il nuovo arrivato si avvicina e in perfetta lingua francese dice con molta amabilità:

— Signori, sono un appassionato di musica e ho avuto la fortuna di applaudirvi…

— Durante il nostro ultimo pezzo?… — domanda Pinchinat in tono ironico.

— No, signori… durante il primo, e raramente ho udito eseguire con maggior talento il quartetto di Onslow!

Il personaggio in questione è indubbiamente un conoscitore. — Signore — risponde Sébastien Zorn a nome dei compagni —

siamo assai sensibili ai vostri complimenti… E se il nostro secondo pezzo vi ha straziato le orecchie, è perché…

— Signore — replica lo sconosciuto interrompendo una frase che sarebbe stata lunga — non ho mai udito stonare con tanta perfezione. Ma ho capito perché vi comportavate così: era per svegliare i bravi abitanti di Freschal, che si sono già riaddormentati. Ebbene, signori,

6 Carrozza scoperta a quattro ruote, con sedili laterali. (N.d.R.)

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permettetemi di offrirvi quanto cercavate di ottenere da loro con questo mezzo disperato…

— L'ospitalità?… — chiede Frascolin. — Sì, l'ospitalità, e un'ospitalità più che scozzese. Se non mi

sbaglio, ho davanti il famoso Quartetto Orchestrale, celebre in tutta la nostra superba America che non gli ha lesinato il suo entusiasmo…

— Signore — crede di dover dire Frascolin — siamo veramente lusingati… E… questa ospitalità, grazie a voi, dove potremmo trovarla?…

— A due miglia da qui… — In un altro villaggio?… — No… in una città… — Una città importante?… — Certamente. — Permettete — osserva Pinchinat — ci hanno detto che prima di

San Diego non c'è nessun'altra città… — È un errore… che non mi so spiegare… — Un errore?… — ripete Frascolin. — Sì, signori, e se volete accompagnarmi, vi prometto

l'accoglienza alla quale hanno diritto artisti del vostro valore. — Io sono del parere di accettare… — dice Yvernès. — E io condivido il tuo parere — afferma Pinchinat. — Un momento… un momento… — esclama Sébastien Zorn —

e non andiamo più in fretta del direttore d'orchestra. — Cioè?… — domanda l'americano. — Noi siamo attesi a San Diego — risponde Frascolin. — A San Diego — aggiunge il violoncellista — dove la

cittadinanza ci ha impegnati per una serie di pomeriggi musicali, la cui prima deve aver luogo dopodomani, domenica…

— Ah! — risponde il personaggio con un tono che rivela una viva contrarietà.

Quindi riprendendo: — Non importa, signori, — aggiunge. — In un giorno avrete il

tempo di visitare una città che ne vale la pena, e io mi impegno a farvi riaccompagnare alla più vicina stazione, in modo che possiate

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trovarvi a San Diego per l'ora stabilita! L'offerta è seducente perbacco! e anche opportuna. Ecco il

quartetto sicuro di trovare una buona camera in un buon albergo, senza parlare dei riguardi che gli garantisce questo cortese individuo.

— Accettate, signori?… — Accettiamo — risponde Sébastien Zorn, che è disposto dalla

fame e dalla fatica ad accogliere favorevolmente una proposta di quel genere.

— Benissimo — replica l'americano. — Partiremo subito… in venti minuti saremo arrivati e sono sicuro che mi ringrazierete!

Inutile dire che, dopo gli ultimi urrà provocati dallo stonatissimo concerto, le finestre delle case si sono richiuse. Spenti i lumi, il villaggio di Freschal è ripiombato in un sonno profondo.

L'americano e i quattro concertisti raggiungono la giardiniera, vi depositano i loro strumenti, si sistemano sulla parte posteriore mentre l'americano va a sedere a cassetta accanto al meccanico autista. Si aziona una leva, gli accumulatori elettrici entrano in funzione, il veicolo si muove e non tarda a prendere una buona velocità dirigendosi verso ovest.

Un quarto d'ora dopo appare una vasta luminosità biancastra, come una splendida diffusione di raggi lunari. Là è una città di cui i nostri parigini non avrebbero certo potuto sospettare l'esistenza.

La giardiniera allora si ferma e Frascolin esclama: — Eccoci finalmente sul litorale! — Il litorale… no — risponde l'americano. — E un corso d'acqua

che dobbiamo traversare… — E come?… — domanda Pinchinat. — Mediante quel traghetto sul quale ora salirà la nostra

giardiniera. Infatti lì c'è uno di quei ferry-boats tanto numerosi negli Stati Uniti, sul quale la vettura con tutti i passeggeri si imbarca. Questo ferry-boat è certamente azionato dall'energia elettrica, perché non emette vapore e in due minuti, traversato il corso d'acqua, accosta al molo di una darsena in fondo a un porto.

La giardiniera riprende la sua marcia attraverso la campagna, entra in un parco, sopra il quale alcune apparecchiature aeree riversano torrenti di luce.

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Nella cancellata di quel parco si apre una porta che dà accesso ad una via larga e lunga pavimentata di lastre di pietra risonanti. Cinque minuti dopo gli artisti si trovano ai piedi di una scalinata che porta ad un albergo confortevole, dove, grazie a una parola detta dall'americano, essi vengono ricevuti con una premura di buon augurio. Vengono subito guidati fino a una tavola apparecchiata con gran lusso dove possono cenare, il lettore lo creda, con buon appetito.

Terminato il pasto, il maggiordomo li porta fino a una camera spaziosa, illuminata con lampade a incandescenza che alcuni interruttori permettono di trasformare in dolci lampade da notte. E là, finalmente, rimandando all'indomani la spiegazione di tante meraviglie, si addormentano in quattro letti disposti nei quattro angoli della camera e cominciano a russare con l'accordo straordinario che ha costituito la fama del Quartetto Orchestrale.

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CAPITOLO III

UN «CICERONE» LOQUACE

L'INDOMANI mattina alle sette, dopo una squillante imitazione del suono della tromba – una specie di «sveglia» per reggimento – queste parole o piuttosto queste grida risuonano nella camera comune:

— Su, su!… hop!… in piedi… e in due tempi!… — urla Pinchinat. Yvernès, il più indolente del quartetto, avrebbe preferito metterci tre tempi – e magari quattro – per liberarsi delle calde coperte del letto. Ma è costretto a seguire l'esempio dei suoi compagni e a lasciare la posizione orizzontale per la verticale.

— Non abbiamo un minuto da perdere, nemmeno uno! — osserva Sua Altezza.

— Sì — risponde Sébastien Zorn — dato che domani dobbiamo trovarci a San Diego.

— Bene! — replica Yvernès, — per visitare la città di questo simpatico americano basterà una mezza giornata.

— Ciò che mi stupisce — aggiunge Frascolin — è che ci sia una città importante nelle vicinanze di Freschal!… come mai il nostro cocchiere si è scordato di indicarcela?

— L'importante è che noi vi si sia, vecchia chiave di sol — fa Pinchinat — come infatti ci siamo!

La luce entra a fiotti nella camera attraverso due ampie finestre e la vista spazia per circa un miglio lungo una magnifica strada fiancheggiata da alberi.

I quattro amici provvedono alla loro toeletta in un comodo bagno, cosa facile e rapida, dal momento che il locale è fornito dei più recenti perfezionamenti moderni: rubinetti regolabili termometricamente per l'acqua calda e per l'acqua fredda, lavabi che si vuotano mediante scarico automatico, scaldabagni, scaldaferri, atomizzatori di profumo che funzionano su comando, asciugacapelli

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a ventola azionati elettricamente, vari tipi di spazzole meccaniche, ai quali basta sottoporre i capelli, oppure i vestiti e le scarpe per ottenere una spazzolatura e una lucidatura complete.

Inoltre, in punti diversi, senza tener conto dell'orologio e delle lampadine elettriche che basta un semplice cenno di mano ad accendere e spegnere, pulsanti di campanello e apparecchi telefonici, mettono immediatamente in comunicazione con i vari servizi dell'albergo.

Inoltre Sébastien Zorn e i suoi compagni possono non solo corrispondere con l'albergo, ma anche con tutti i quartieri della città e forse – secondo Pinchinat – con qualunque altra città degli Stati Uniti d'America.

— O persino dei due mondi! — aggiunge Yvernès. Nell'attesa di avere l'occasione di sperimentarlo, ecco che alle

sette e quarantasette viene loro telefonata questa frase in lingua inglese:

— Calistus Munbar presenta i suoi omaggi mattutini ad ognuno degli onorevoli componenti del Quartetto Orchestrale e li prega, appena pronti, di scendere nella sala da pranzo dell'Excelsior Hotel dove verrà loro servita la prima colazione.

— Excelsior Hotel! — fa Yvernès. — Il nome di questo albergo è veramente superbo!

— Calistus Munbar — osserva Pinchinat — è il nostro cortese americano ed il suo nome è splendido!

— Amici — esclama il violoncellista, il cui stomaco è autoritario quanto il suo padrone — dal momento che la colazione è servita andiamo a far colazione e poi…

— E poi… facciamo un giro per la città — aggiunge Frascolin. — Ma che città può essere, questa?…

E poiché i nostri parigini sono vestiti o quasi, Pinchinat risponde per telefono che entro cinque minuti essi faranno onore all'invito del signor Calistus Munbar.

Terminata dunque la loro toeletta, si dirigono a un ascensore che, messosi subito in movimento, li depone nella monumentale hall dell'albergo. In fondo ad essa si apre la porta della sala da pranzo, vasto salone scintillante di dorature.

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— Sono a vostra disposizione, signori, completamente a vostra disposizione.

Questa frase di nove parole è stata pronunciata dall'individuo di ieri. Egli appartiene a quella categoria di personaggi che, si può dire, si presentano da soli. Non pare di conoscerlo da molto tempo o, per usare un'espressione più giusta, «da sempre»?

Calistus Munbar deve avere dai cinquanta ai sessant’anni ma ne dimostra solo quarantacinque. È piuttosto alto e ha lo stomaco prominente; braccia e gambe sono massicce e robuste; vigoroso e sano, ha movimenti decisi; scoppia di salute, se ci permettete l'espressione.

Sébastien Zorn e i suoi compagni hanno incontrato spesso tipi di questo genere che non sono rari negli Stati Uniti. La testa di Calistus Munbar è enorme, rotonda come una palla, con capelli ancora biondi e ricciuti che si agitano come le foglie di un albero mosse dalla brezza; ha il colorito acceso, la barba giallastra, piuttosto lunga e divisa in due; non porta baffi; la bocca gli si rialza alla congiunzione delle labbra ed è sorridente, anzi ironica con i denti di un bianco scintillante; il suo naso è un po' grosso in punta, con narici palpitanti, e presenta una solida radice alla base della fronte con due pieghe verticali al disopra: tale naso sostiene un paio d'occhiali con montatura d'argento sottile e morbida come seta. Dietro le lenti di quegli occhiali brillano degli occhi mobilissimi, dalle iridi verdastre e con le pupille scintillanti. La testa è unita alle spalle da un collo taurino. Il tronco si erge saldamente su due cosce carnose, due gambe diritte e due piedi con le punte piuttosto divaricate.

Calistus Munbar indossa una giacca molto ampia, in tessuto diagonale marrone chiaro. Da un taschino laterale gli spunta l'angolo di un fazzoletto a disegni. Il suo panciotto è bianco, profondamente scollato, chiuso da tre bottoni d'oro mentre da un taschino all'altro gli pende una massiccia catena alla quale sono appesi a un'estremità un cronometro e all'altra un podometro, senza contare i gingilli che tintinnano nel mezzo. A tutta quell'oreficeria si aggiunge una lunga serie di anelli che adornano le sue mani grasse e rosee. La camicia è di un candore immacolato, lucida e brillante per l'amido, con tre bottoni di diamanti, e sormontata da un colletto a punte larghe, sotto

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la cui piega si arrotola una cravatta molto sottile, quasi un semplice nastro cangiante sull'oro. I pantaloni a righe, piuttosto larghi, ricadono restringendosi su scarpe allacciate con fibbie d'alluminio.

La fisionomia di questo yankee è quanto mai espressiva, estremamente aperta: la fisionomia delle persone sicure di sé e «che ne hanno viste tante», come si suol dire. Quest'uomo è certamente pieno di risorse e anche un tipo energico, come rivelano il suo tono muscolare e il contrarsi evidentissimo delle sopracciglia e del massetere. Per concludere, ride volentieri e rumorosamente, ma il suo riso è più nasale che di bocca, una specie di sogghigno, quello che i fisiologi chiamano hennitus.

Ecco chi è e com'è Calistus Munbar. Quando il Quartetto Orchestrale entra nella sala, egli si toglie il grande cappello sul quale non stonerebbe una piuma alla Luigi XIII, e stringe la mano ai quattro artisti. Li guida quindi a una tavola su cui bolle una teiera e fumano i tradizionali crostini. Parla in continuazione, senza lasciare la possibilità di fare una domanda – forse per schivare le risposte – vantando gli splendori della città, la sua straordinaria creazione, in un monologo ininterrotto, che, quando la colazione è terminata, conclude con queste parole:

— Venite, signori, e seguitemi; ma prima una raccomandazione… — Quale? — chiede Frascolin. — Nelle nostre strade è severamente vietato sputare… — Non ne abbiamo l'abitudine… — protesta Yvernès. — Bene!… ciò vi risparmierà delle multe salate! — Non sputare… in America! — mormora Pinchinat con un tono

in cui la sorpresa si unisce all'incredulità. Sarebbe stato difficile procurarsi una guida e insieme un cicerone

più perfetti di Calistus Munbar. Egli conosce a fondo la città. Non c'è un palazzo di cui egli non sappia indicare il nome del proprietario, non una casa di cui egli ignori chi vi abita, non un passante dal quale egli non sia salutato con simpatica familiarità.

La città è costruita in modo regolare. I viali e le vie, provvisti di tettoie vetrate al di sopra dei marciapiedi, si tagliano ad angolo retto, formando una specie di scacchiera. La sua pianta geometrica sta a testimoniare della sua unità; però, non vi manca la varietà e, tanto

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nello stile quanto nell'adattamento interno delle abitazioni, la sola regola a cui ci si è uniformati è stata la fantasia degli architetti. Tranne che lungo poche vie a carattere commerciale, gli edifici hanno tutti l'aspetto di palazzi, con vasti cortili fiancheggiati da eleganti padiglioni, facciate impostate in base a un preciso ordine architettonico, i lussuosi appartamenti interni che tali facciate permettono di presupporre, giardini per non dire parchi, che si estendono sui vari retri. Va tuttavia fatto notare che gli alberi, piantati di recente, non hanno ancora raggiunto il loro completo sviluppo. Lo stesso avviene nelle piazze ricavate agli incroci delle principali arterie della città, tappezzate di aiuole d'una freschezza assolutamente inglese: i boschetti che le adornano, nei quali le piante tipiche delle zone temperate si affiancano a quelle delle zone torride, non hanno ancora succhiato dalle viscere della terra sufficiente potenza vegetativa. Così, questa particolarità della natura offre un evidente contrasto con quella parte dell'America occidentale in cui, nei pressi delle grandi città californiane, abbondano le gigantesche foreste.

Il quartetto cammina, osservando ognuno alla sua maniera quel quartiere della città: Yvernès, attirato da quello che non attira Frascolin, Sébastien Zorn interessandosi a ciò che non interessa Pinchinat, tutti poi estremamente incuriositi dal mistero che avvolge questa città sconosciuta. Da tale disparità di vedute uscirà certo un insieme di osservazioni molto giuste. D'altronde Calistus Munbar è lì per rispondere a tutto. Ma perché diciamo «rispondere»?… Non attende di sicuro che lo si interroghi, parla parla, e non c'è altro da fare che lasciarlo parlare. Macina parole a tutto spiano come un mulino a vento al minimo soffio d'aria.

Un quarto d'ora dopo aver lasciato l’Excelsior Hotel, Calistus Munbar dice:

— Eccoci nella Terza Avenue: nella città ve ne sono una trentina. Questa è quella a carattere maggiormente commerciale, è la nostra Broadway, la nostra Regent-street, il nostro Boulevard des Italiens. In questi negozi, in questi bazar si trova il necessario e il superfluo, tutto ciò che possono richiedere coloro che più desiderano il benessere e gli agi della vita moderna.

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— Vedo i negozi — osserva Pinchinat — ma non vedo i compratori…

— Forse è ancora troppo presto?… — aggiunge Yvernès. — Questo dipende — risponde Calistus Munbar — dal fatto che

la maggior parte delle ordinazioni vengono fatte telefonicamente o anche telautograficamente…

— Il che significa?… — chiede Frascolin. — Il che significa che noi solitamente ci serviamo del

telautografo, apparecchio perfezionato che trasporta la scrittura come il telefono trasporta la parola, senza poi dimenticare il kinetografo che registra i movimenti ed è per l'occhio quello che il fonografo è per l'orecchio, e il telefoto che riproduce le immagini. Il telautografo dà garanzie molto più serie che non il semplice dispaccio telegrafico, di cui il primo venuto può abusare. Noi possiamo firmare elettricamente mandati e tratte…

— Anche gli atti di matrimonio?… — ribatte Pinchinat in tono ironico.

— Sicuramente, signora «viola». Perché non ci si potrebbe sposare per filo elettrico?…

— E divorziare?… — E anche divorziare!… È anzi quello che consuma di più i nostri

apparecchi. E il cicerone scoppia in una sonora risata che fa tintinnare tutti i

ninnoli del suo panciotto. — Siete allegro, signor Munbar — fa Pinchinat, condividendo

l'ilarità dell'americano. — Sì… come uno stormo di fringuelli in un giorno di sole. In questo punto la via è intersecata da un'arteria trasversale: si

tratta della Diciannovesima Avenue, dalla quale il commercio è totalmente bandito. Anche questa, come la via precedente, è solcata da parecchie linee tranviarie. Veloci vetture passano senza sollevare un granello di polvere, poiché il selciato ricoperto da una pavimentazione inalterabile di legno «karri» e «jarrah» australiani – e perché non di mogano brasiliano? – è pulito come se l'avessero piallato. Dal canto suo, Frascolin, che è un grande osservatore dei fenomeni fisici, constata che esso risuonava sotto i piedi come se

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fosse una lastra di metallo. «Anche questo sta a dimostrare come gli americani siano

abilissimi nella lavorazione del ferro» pensa. «Adesso fanno di metallo persino la pavimentazione stradale.»

E sta per chiedere informazioni a Calistus Munbar, quando questi esclama:

— Guardate quell'edificio, signori! E mostra una vasta costruzione d'aspetto grandioso i cui avancorpi

fiancheggiano un bel cortile e sono collegati da una cancellata in alluminio.

— Questo edificio, si potrebbe dire questo palazzo, è abitato dalla famiglia di uno dei personaggi più autorevoli della città: voglio dire Jem Tankerdon, proprietario d'inesauribili pozzi di petrolio nell'Illinois, che è forse il più ricco e per conseguenza il più onorevole ed il più onorato dei nostri concittadini…

— Milionario?… — chiede Sébastien Zorn. — Peuh! — fa Calistus Munbar. — Per noi il milione è la moneta

corrente e qui li contiamo a centinaia! In questa città vi sono solo nababbi ricchissimi. Ciò spiega come in pochi attimi i negozianti dei quartieri commerciali facciano fortuna, intendo i negozianti al dettaglio, perché di negozianti all'ingrosso non ce n'è neppure uno in questo microcosmo unico al mondo…

— E industriali? — chiede Pinchinat. — Niente industriali! — E gli armatori?… — domanda Frascolin. — Nemmeno. — Solo gente che vive di rendita, allora?… — fa Sébastien Zorn. — Solo gente che vive di rendita o che sta per divenirlo. — Ebbene… e gli operai?… — osserva Yvernès. — Quando si ha bisogno di operai, signori, si va a prenderli fuori,

e allorché il lavoro è terminato, essi se ne vanno… con un buon gruzzolo!…

— Suvvia, signor Munbar; — ribatte Frascolin — avrete pure dei poveri nella vostra città, se non altro per non lasciarne estinguere la razza?…

— Poveri, signor secondo violino?… Non ne incontrerete uno!

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— Allora è vietato mendicare?… — Non vi è mai stato motivo di vietarlo perché la città non dà

accesso ai mendicanti. Questi stanno bene nelle città dell'Unione che hanno i loro ricoveri, i loro asili, le loro Work Houses… e le case di correzione che ne sono il complemento…

— Vorreste dire che non avete prigioni?… — Esattamente come non abbiamo prigionieri. — Ma i criminali?… — Sono pregati di starsene nel vecchio e nel nuovo continente

dove la loro vocazione può venire esercitata in condizioni più vantaggiose.

— Eh! signor Munbar, — fa Sébastien Zorn — a sentirvi, si potrebbe davvero credere che non siamo più in America.

— Vi eravate ieri, signor violoncellista, — risponde lo straordinario cicerone.

— Ieri?… — ripete Frascolin, che si domanda che cosa può significare quella frase così strana.

— Sicuro!… Oggi vi trovate in una città indipendente, una città libera, sulla quale l'Unione non ha nessun diritto e che dipende solo da se stessa…

— E che si chiama?… — domanda Sébastien Zorn, la cui naturale irritabilità comincia a far capolino.

— Il suo nome?… — risponde Calistus Munbar. — Permettetemi di non dirvelo ancora…

— E quando lo potremo sapere?… — Quando avrete finito di visitarla, cosa di cui del resto essa sarà

molto onorata. La riserva dell'americano è perlomeno bizzarra. Ma insomma

poco importa. Prima di mezzogiorno il quartetto avrà terminato la sua curiosa passeggiata e anche se dovesse venire a sapere il nome della città soltanto al momento di lasciarla, la cosa gli basterà, non vi pare? La sola riflessione da fare è questa: «Come mai una città così importante può occupare un punto della costa californiana senza appartenere alla federazione degli Stati Uniti? E, d'altra parte, come spiegare che il postiglione non abbia pensato di parlarne?» L'essenziale, in fondo, è che fra ventiquattr'ore i nostri musicisti

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abbiano raggiunto San Diego dove verrà loro fornita la soluzione dell'enigma, qualora Calistus Munbar non si decida a rivelarla lui.

Lo strano personaggio si è di nuovo abbandonato alla sua facondia descrittiva, non senza lasciar capire che non desidera affatto spiegarsi più categoricamente.

— Signori — dice — eccoci all'imbocco della Trentasettesima Avenue. Guardate che meravigliosa prospettiva! Anche in questo quartiere non ci sono né negozi né grandi magazzini né quel traffico che sta a indicare l'esistenza della vita commerciale. Qui vi sono solo palazzi e case di privati: però i patrimoni qui sono inferiori a quelli della Diciannovesima Avenue. Coloro che abitano qui hanno rendite che vanno dai dieci ai dodici milioni…

— Poveracci! — risponde Pinchinat le cui labbra si storcono in una smorfia significativa.

— Eh! signora «viola» — ribatté Calistus Munbar — è sempre possibile essere più poveri d'un altro! Un milionario è ricco rispetto a chi non possiede che un centinaio di migliaia di franchi, ma non lo è rispetto a chi possiede cento milioni!

Già parecchie volte i nostri artisti hanno potuto notare che fra tutte le parole usate dal loro cicerone quella di «milioni» capita con maggior frequenza, parola straordinaria quanto mai! Egli la pronuncia gonfiando le gote con sonorità metallica. Si direbbe che batta moneta semplicemente parlando. Se non sono pietre preziose a sfuggirgli dalle labbra come sfuggivano dalla bocca della nota figlioccia delle fate, sono monete d'oro.

E Sébastien Zorn, Pinchinat, Frascolin, Yvernès continuano a passeggiare per questa città straordinaria di cui non conoscono ancora il nome geografico. Tutte le strade sono animate dall'andirivieni dei passanti tutti assai ben vestiti, senza che la vista sia mai turbata dai cenci d'un pezzente. Ovunque tram, carri e camion azionati dall'elettricità. Alcune grandi arterie sono provviste di marciapiedi mobili, azionati per trazione da una catena senza fine, sui quali la gente passeggia come farebbe a bordo di un treno in corsa, partecipando al suo proprio movimento.

Vi sono in circolazione anche numerose automobili elettriche, che scorrono sul selciato con la dolcezza di una bilia sul tappeto di un

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biliardo. Gli equipaggi – nel senso vero e proprio di questa parola – ossia le carrozze trainate dai cavalli si vedono solo nei quartieri opulenti.

— Toh! Ecco una chiesa! — esclama Frascolin. E indica un edificio dalle linee piuttosto pesanti, senza alcuno stile

architettonico, una specie di pasticcio savoiardo sistemato in mezzo a una piazza dalle aiuole verdeggianti.

—- È il tempio protestante — risponde Calistus Munbar, soffermandosi davanti a quella costruzione.

— Nella vostra città ci sono chiese cattoliche?… — domanda Yvernès. — Sì signore. Vi farò anzi osservare che, nonostante che sul nostro globo si professino più di mille diverse religioni, qui noi ci limitiamo al protestantesimo e al cattolicesimo. Non avviene come negli Stati Uniti che se non sono disuniti in politica lo sono in materia di religione, dal momento che vi sono tante sette quante famiglie, metodisti, anglicani, presbiteriani, anabattisti, wesleyani ecc. Qui ci sono solo protestanti fedeli alla dottrina calvinista e cattolici romani.

— E che lingua si parla?… — Si parlano correntemente inglese e francese… — E ce ne rallegriamo — fa Pinchinat. — La città — riprende Calistus Munbar — è dunque divisa in due

sezioni pressappoco uguali. Qui noi siamo nella sezione… — Occidentale, credo… — osserva Frascolin orientandosi sulla

posizione del sole. — Occidentale… se volete… — Come, se voglio?… — replica il secondo violino piuttosto

sorpreso da quella risposta. — Forse i punti cardinali di questa città variano a seconda dei gusti della gente?…

— Sì… e no… — risponde Calistus Munbar. — Vi spiegherò tutto più tardi… Torniamo dunque a questa sezione… occidentale, se vi piace, che è abitata unicamente dai protestanti restati anche qui gente pratica, mentre i cattolici più intelligenti e più raffinati, occupano la sezione… orientale. Questo tempio dunque è il tempio protestante.

— Si vede — osserva Yvernès. — Con la sua architettura pesante,

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qui la preghiera non deve essere elevazione verso il cielo ma abbassamento verso la terra…

— Bella frase! — esclama Pinchinat. — Signor Munbar, ma in una città impiantata alla moderna si potrà certo ascoltare la predica o assistere alla messa per telefono…

— Sicuro. — E anche confessarsi?… — Proprio come ci si può sposare per telautografo, e converrete

che ciò è molto pratico… — Tanto da non crederlo, signor Munbar! — risponde Pinchinat,

— tanto da non crederlo!

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CAPITOLO IV

IL QUARTETTO ORCHESTRALE SCONCERTATO

ALLE UNDICI, dopo una passeggiata così lunga, è concesso essere affamati. E i nostri quattro artisti abusano di tale concezione. I loro stomachi si lamentano all'unisono e si accordano sul punto che bisogna assolutamente fare colazione.

E anche il parere di Calistus Munbar non meno sottomesso dei suoi ospiti alla necessità della refezione quotidiana. Si tornerà dunque all'Excelsior Hotel?

Sì, perché non pare che i ristoranti siano numerosi in questa città in cui ognuno certo preferisce starsene fra le pareti di casa propria e che non pare proprio frequentata dai turisti del vecchio e del nuovo mondo.

In pochi minuti un tram trasporta gli affamati all'albergo ed essi vanno a sedersi intorno a una tavola riccamente imbandita. Il contrasto con i pasti all'americana, in cui la molteplicità delle portate non riesce a compensare la scarsità delle porzioni, è evidente. La carne di manzo o di montone è ottima; il pollame tenero e profumato; il pesce freschissimo. Poi, invece dell'acqua ghiacciata che viene servita in tutti i ristoranti dell'Unione, una gran varietà di birre e vini che il sole ha distillato dieci anni or sono sulle colline di Medoc e della Borgogna.

Pinchinat e Frascolin fanno onore alla colazione almeno quanto Sébastien Zorn e Yvernès… Naturalmente Calistus Munbar ha voluto invitarli e sarebbe stato scortese da parte loro non accettare.

Inoltre questo yankee, la cui facondia non si esaurisce, mostra di possedere un carattere piacevolissimo. Parla di tutto ciò che concerne la città, ad eccezione però di quanto i suoi invitati vorrebbero sapere: cioè, quale sia questa città indipendente di cui egli esita tanto a dire il nome. Ma un po' di pazienza, lo dirà quando la visita sarà al termine.

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Che abbia forse intenzione di far ubriacare il quartetto per fargli perdere il treno per San Diego?… No, ma si beve meglio dopo aver mangiato bene e il pranzo sta per concludersi con tè, caffè e liquori, quando una detonazione fa tremare i vetri dell'albergo.

— Che succede?… — domanda Yvernès sobbalzando. — Non preoccupatevi, signori, — risponde Calistus Munbar. — È

il cannone dell'osservatorio. — Se vuole indicare il mezzogiorno — replica Frascolin

consultando il suo orologio, — sostengo che è in ritardo… — No, signora «viola», no! Qui il sole non ritarda più di quanto

faccia altrove! E le labbra dell'americano si piegano all'insù in un bizzarro

sorriso, gli occhi gli scintillano dietro gli occhiali, mentre egli si stropiccia le mani. Si direbbe che si congratuli con se stesso per «aver combinato un bello scherzo».

Frascolin meno frastornato dei compagni per l'abbondante colazione gli lancia uno sguardo sospettoso, senza saper troppo che cosa pensare.

— Suvvia, amici (mi permetterete, spero, di chiamarvi simpaticamente così) — aggiunge in tono pieno di allegria — ora si tratta di visitare la seconda sezione della città e morirei di dispiacere se vi sfuggisse un solo particolare! Non abbiamo tempo da perdere!

— A che ora parte il treno per San Diego?… — domanda Sébastien Zorn, perennemente preoccupato di non mancare agli impegni presi per causa di ritardato arrivo.

— Già… a che ora?… — ripeté Frascolin insistendo. — Oh!… in serata — risponde Calistus Munbar, strizzando

l'occhio sinistro. — Venite, amici miei, venite… non vi pentirete d'avermi preso per guida!

Come disobbedire a un individuo tanto cortese? I quattro artisti lasciano la sala dell'Excelsior Hotel e riprendono a passeggiare. Per dire la verità bisogna che abbiano un po' troppo ecceduto con il vino, dal momento che si sentono correre per le gambe una specie di fremito. Pare che il suolo abbia una lieve tendenza a sfuggire loro sotto i piedi: e sì che non sono saliti su uno di quei marciapiedi mobili che si svolgono ai lati della via.

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— Ehi!… ehi!… sosteniamoci, Chatillon!… — esclama Sua Altezza titubante.

— Credo che abbiamo bevuto un po' troppo! — aggiunge Yvernès asciugandosi la fronte.

— Bah, signori parigini, — osserva l'americano — una volta tanto non significa abitudine!… Bisognava pur festeggiare il vostro arrivo…

— E la festa l'abbiamo fatta fino in fondo! — risponde Pinchinat che non si è tenuto in disparte e non si è mai sentito di umore migliore.

Sotto la guida di Calistus Munbar, i nostri si avviano per una strada che li porta in uno dei quartieri della seconda sezione. Là, l'animazione è ben diversa, gli atteggiamenti meno severi. Si potrebbe credere di essere stati trasportati dagli Stati Uniti del Nord a quelli del Sud, da Chicago a New Orléans, dall'Illinois alla Louisiana. I negozi sono più frequentati, le case più eleganti, le homesteads o case di famiglia più confortevoli, i palazzi splendidi quanto quelli della sezione protestante ma di aspetto più allegro. Anche la popolazione è diversa per atteggiamenti, modo di camminare, addirittura nell'aspetto. C'è da credere che questa città sia doppia come certe stelle, con la sola differenza che le due sezioni non girano una intorno all'altra, sono due città sovrapposte.

Il gruppo arrivato quasi al centro della sezione si ferma verso la metà della Quindicesima Avenue, e Yvernès esclama:

— Oh! questo si che è un palazzo! — Il palazzo della famiglia Coverley — risponde Calistus

Munbar — Nat Coverley, l'equivalente di Jem Tankerdon… — Più ricco di lui?… — chiede Pinchinat. — Altrettanto — risponde l'americano — un ex-banchiere di New

Orléans che ha più centinaia di milioni che dita nelle mani. — Un bel paio di guanti, caro signor Munbar! — Proprio così. — E queste due personalità, Jem Tankerdon e Nat Coverley,

naturalmente… sono nemiche?… — Per lo meno rivali che si sforzano di stabilire la propria

preminenza negli affari della città e hanno invidia l'uno dell'altro…

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— E finiranno per mangiarsi reciprocamente?… — chiede Sébastien Zorn.

— Forse… e se uno divora l'altro… — Che indigestione, quel giorno!… — risponde Sua Altezza. Al che Calistus Munbar esplode in una risata che lo fa vibrare

tutto, tanto quella risposta gli è sembrata divertente. La chiesa cattolica si erge in un'ampia piazza che permette di

ammirarne le felici proporzioni. È di stile gotico, stile che richiede di essere osservato non da eccessiva distanza, dal momento che le linee verticali che ne costituiscono la bellezza perdono risalto ad essere viste da lontano. La chiesa di Saint-Mary merita di essere ammirata per i suoi svelti pinnacoli, i suoi aerei rosoni, le eleganti volte gotiche e le aggraziate finestre a sesto acuto.

— Bell'esempio di gotico anglosassone! — esclama Yvernès che è molto appassionato di architettura. — Avevate ragione, signor Munbar, le due sezioni della vostra città non si assomigliano esattamente come il tempio dell'una non assomiglia alla cattedrale dell'altra.

— Eppure, signor Yvernès, queste due sezioni sono figlie della stessa madre…

— Ma non dello stesso padre?… — osserva Pinchinat. — Sì… miei buoni amici, anche dello stesso padre! Solamente

esse sono state «tirate su» in maniera differente. Sono state realizzate secondo ciò che meglio si confaceva a coloro che dovevano venirvi a cercare un'esistenza tranquilla, felice, lontano da qualsiasi preoccupazione… un'esistenza che non può essere offerta da nessun'altra città del vecchio o del nuovo continente.

— Per Apollo, signor Munbar, — risponde Yvernès — badate di non eccitare troppo la nostra curiosità!… È come se cantaste una di quelle frasi musicali che fanno sospirare a lungo prima di arrivare alla tonica…

— E questo finisce con lo stancare chi ascolta! — aggiunge Sébastien Zorn. — Su, è giunto, alla fine, il momento in cui voi acconsentirete a dirci il nome di questa città straordinaria?…

— Non ancora, miei cari ospiti — replica l'americano, sistemandosi gli occhiali d'oro sul naso. — Aspettate la fine della

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nostra passeggiata, e proseguiamo… — Prima di proseguire — dice Frascolin, che comincia a provare

una vaga preoccupazione insieme col senso di curiosità — voglio fare una proposta.

— E quale?… — Perché non saliamo sulla guglia della chiesa di Saint-Mary? Di

là potremmo vedere… — No! — esclama Calistus Munbar, scuotendo la grossa testa

scarmigliata, — ora no… più tardi… — E quando?… — chiede il violoncellista che comincia a

seccarsi di tutti questi misteriosi tentativi di scappatoia. — Alla fine della nostra gita, signor Zorn. — Torneremo a questa chiesa, allora?… — No, amici miei, perché la nostra passeggiata si concluderà con

una visita all'osservatorio, la cui torre è più alta di un terzo della guglia della chiesa di Saint-Mary.

— Ma insomma — riprende Frascolin insistendo — perché non approfittare ora?…

— Perché… mi guastereste l'effetto! E non c'è mezzo di cavare fuori un'altra risposta da

quell'enigmatico personaggio. Dato che bisogna adattarsi, le varie strade della seconda sezione

vengono percorse con tutta coscienza. Poi si visitano i quartieri commerciali, quelli dei sarti, dei calzolai, dei cappellai, dei macellai, dei droghieri, dei fornai, dei fruttivendoli, ecc. Calistus Munbar, salutato dalla maggior parte delle persone che incontra, risponde a quei saluti con vanitosa soddisfazione. Le sue ampollose descrizioni continuano senza sosta, come fa un imbonitore da fiera e la sua lingua non cessa un attimo il suo andirivieni come il batacchio di una campana in un giorno di festa.

Verso le due il quartetto arriva alla fine di questa parte della città, cinta da una magnifica cancellata, ornata di fiori e di piante rampicanti. Al di là si estende la campagna, che all'orizzonte va a confondersi con il cielo.

Lì Frascolin osserva dentro di sé un fatto che non ritiene di dover comunicare ai suoi compagni. Tutto si spiegherà certamente una

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volta saliti in cima alla torre dell'osservatorio. Il fatto da lui notato è questo: che il sole invece di trovarsi a sud-ovest, come avrebbe dovuto essere alle due, si trova a sud-est.

Ciò può stupire una mente riflessiva come quella di Frascolin, ed egli comincia a lambiccarsi il cervello, quando Calistus Munbar fu cambiare corso ai suoi pensieri, esclamando:

— Signori, il tram partirà fra pochi minuti. In cammino per il porto…

— Il porto?… — replica Sébastien Zorn… — Oh! Un viaggetto di un miglio al massimo, e questo vi

permetterà di ammirare il nostro parco! Se c'è un porto, bisogna che esso si trovi un po' al disotto o un po'

al disopra della città, sulla costa della Bassa California… E per la verità, dove potrebbe trovarsi se non in un punto qualunque di quel litorale?

Gli artisti un po' storditi vanno a prendere posto sui sedili di un'elegante vettura, dove sono già seduti diversi viaggiatori. Costoro porgono la mano a Calistus Munbar (questo diavolo d'uomo è conosciuto da tutti) e gli accumulatori del tram cominciano a funzionare.

Calistus Munbar ha ragione di chiamare parco la campagna che si estende intorno alla città. Viali interminabili, prati verdeggianti, recinti dipinti, rettilinei a zig-zag, chiamati fences;7 intorno ai vari cintati, ciuffi d'alberi, querce, aceri, faggi, castagni, bagolari, olmi, cedri, tutti ancora giovani, pieni d'un'infinità di uccelli delle più svariate specie. È un vero e proprio giardino inglese, con fontane zampillanti, aiuole di fiori nel pieno rigoglio primaverile, macchie d'arbusti in cui si mescolano le specie più diverse, gerani giganti come quelli di Montecarlo, aranci, limoni, olivi, oleandri, lentischi, aloe; camelie, dalie, roseti bianchi d'Alessandria, ortensie, fiori di loto bianchi e rosa, passiflore dell'America del Sud, ricchi ciuffi di fucsie, di salvie, di begonie, di giacinti, di tulipani, di crochi, di narcisi, di anemoni, di ranuncoli di Persia, di giaggioli, di ciclamini, di orchidee; calceolarie, felci arborescenti ed essenze particolari delle

7 Inglese: staccionata, steccato. (N.d.R.)

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zone tropicali, canne indiche, palme, palme da cocco, datteri, fichi, eucalyptus, mimose, banani, guaiave, zucche lunghe, in una parola, tutto ciò che un appassionato può domandare al più ricco degli orti botanici.

Con la sua tendenza a evocare i ricordi della poesia antica Yvernès deve credersi trasportato nei paesaggi bucolici del romanzo dell'Astrea. Effettivamente, se questi freschi prati nutrono numerosi agnelli, se vacche rossastre pascolano dentro i recinti, se daini, damme ed altri graziosi quadrupedi della fauna delle foreste saltellano tra i ciuffi d'alberi, sono i pastori di d'Urfè e le sue graziose pastorelle di cui si dovrebbe rimpiangere l'assenza. Quanto al Lignon, esso è rappresentato da un Serpentine-river che distribuisce le sue acque vivificanti attraverso gli avvallamenti di quella campagna.

Solamente tutto vi sembra artificiale. Il che spinge l'ironico Pinchinat a esclamare: — Ah, beh! È tutto qui quello che avete in fatto di fiumi? E

Calistus Munbar risponde: — Fiumi?… E per che farne?… — Per avere l'acqua, perbacco! — L'acqua… cioè una sostanza generalmente malsana, microbica

e tifica?… — Sia… ma si può depurarla… — E perché procurarsi questa seccatura, quando è tanto facile

fabbricare un'acqua igienica, esente da ogni impurità, e anche gasata o ferrugginosa a piacere…

— Fabbricate la vostra acqua?… — domanda Frascolin. — Certamente, e la distribuiamo calda o fredda a domicilio, come

distribuiamo la luce, il suono, l'ora, il calore, il fresco, la forza motrice, gli agenti antisettici, l'elettricità per autoconduzione…

— Non mi farete credere — ribatte Yvernès — che fabbricate anche la pioggia per innaffiare i vostri prati e i vostri fiori?…

— Dite benissimo… signore — replica l'americano facendo scintillare gli anelli che porta alle dita attraverso le ciocche fluenti della barba.

— La pioggia dietro ordinazione! — esclama Sébastien Zorn.

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— Sì, amici miei, pioggia che apposite condutture sistemate nel nostro sottosuolo permettono di distribuire in modo regolare, opportuno e pratico. Non è meglio così, piuttosto che attendere i comodi della natura, piuttosto che dover sottostare ai capricci del clima, piuttosto che imprecare contro le intemperie senza potervi rimediare, piuttosto che avere ora una persistente umidità, ora una siccità troppo prolungata?…

— Alt a questo punto, signor Munbar — dichiara Frascolin. — Che voi possiate produrre la pioggia a vostro piacimento ve lo concedo! Ma quanto a impedirle di cadere dal cielo…

— Il cielo?… E che cosa c'entra in tutto ciò?… — Il cielo, o, se preferite, le nuvole che si aprono, le correnti

atmosferiche con il loro seguito di cicloni, di tornadi, di burrasche, di colpi di vento, di uragani… Così, per esempio, durante la cattiva stagione…

— La cattiva stagione?… — ripete Calistus Munbar. — Sì… l'inverno… — L'inverno?… Che cosa sarebbe?… — Vi diciamo l'inverno, le gelate, le nevi, i ghiacci! — esclama

Sébastien Zorn stizzito dalle risposte ironiche dello yankee. — Mai sentito parlare! — risponde Calistus Munbar con la

massima tranquillità. I quattro parigini si guardano. Si trovano davanti a un pazzo o a

un mistificatore? Nel primo caso bisogna provvedere a rinchiuderlo; nel secondo bisogna prenderlo bellamente a bastonate.

Nel frattempo le vetture del convoglio tranviario procedono a piccola velocità in mezzo a quei giardini incantevoli. A Sébastien Zorn e ai suoi compagni sembra che, al di là dei confini di quell'immenso parco, degli appezzamenti di terreno coltivati con cura ostentino le loro svariate colorazioni, sul tipo di quei campionari di stoffe che un tempo erano esposti fuori delle porte delle botteghe da sarto. Si tratta, non c'è dubbio, di campi di legumi, di patate, di cavoli, di carote, di rape, e di porri, di tutto ciò infine che è necessario per la realizzazione di un ottimo pot-au-feu.8

8 Bollito fatto cucinare con molte verdure. È un piatto tipico francese. (N.d.R.)

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Ad ogni modo essi sono impazienti di arrivare in aperta campagna, dove potranno vedere ciò che quella curiosa regione produce in grano, avena, mais, orzo, segale, granturco ed altri cereali.

Ad un tratto ecco apparire uno stabilimento le cui ciminiere metalliche dominano dei tetti bassi provvisti di lucernari a vetri opachi. Queste ciminiere fissate con cavi di ferro assomigliano a quelle di un piroscafo in movimento, di un Great-Eastern le cui potenti eliche siano azionate da centomila cavalli, con la differenza che invece del fumo nero, da esse sfuggono solo vapori leggeri che con le loro scorie non inquinano per nulla l'atmosfera.

Questa fabbrica copre una superficie di diecimila iarde quadrate,9 cioè quasi un ettaro. È la prima costruzione di carattere industriale in cui il quartetto si sia imbattuto da quando ha cominciato a «escursionare» (ci si perdoni il vocabolo) sotto la guida dell'americano.

— Ehi! Che cos'è quello stabilimento?… — domanda Pinchinat. — È una fabbrica con apparecchi di vaporizzazione a petrolio —

risponde Calistus Munbar, il cui sguardo penetrante minaccia di forare le lenti degli occhiali.

— E che cosa fabbrica questa vostra fabbrica? — Energia elettrica che viene distribuita in tutta la città, nel parco

e nella campagna, producendo luce e forza motrice. Contemporaneamente questo stabilimento alimenta i nostri telegrafi, telautografi, telefoni, telefoti, campanelli, fornelli da cucina, macchine utensili, apparecchi d'illuminazione ad arco e a incandescenza, cavi sottomarini.

— Cavi sottomarini? — osserva Frascolin con molta vivacità. — Già!… Quelli che collegano la città con diversi punti del

litorale americano. — Ed è stato necessario costruire una fabbrica di questa

importanza?… — Lo credo… con tutto il consumo che abbiamo di energia

elettrica… e anche d'energia morale! — risponde Calistus Munbar. — Credete, signori, che ce n'è voluta una quantità immensa per

9 Una iarda quadrata è pari a m2 0,8361. (N.d.R.)

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fondare questa città straordinaria, che non ha rivali al mondo! Si sente il brontolio sordo del gigantesco stabilimento, i fischi

assordanti del suo vapore, il pulsare delle sue macchine, le vibrazioni alla superficie del suolo che attestano uno sforzo meccanico superiore a quanto fino a oggi ha saputo dare l'industria moderna. Chi avrebbe mai potuto immaginare che fosse necessaria tanta potenza per mettere in movimento delle dinamo o per caricare degli accumulatori?

Il tram prosegue e un quarto di miglio più in là si arresta davanti alla stazione del porto.

I viaggiatori scendono e la loro guida, sempre traboccante in frasi laudative, li conduce lungo i moli che costeggiano i docks e i magazzini. Il porto di forma ovale può ospitare una decina di navi, non di più. È più una darsena che un porto, che termina con due gittate, due piers, sostenute da armature di ferro e illuminate da due semafori che ne facilitano l'ingresso ai bastimenti provenienti dal largo.

Oggi la darsena contiene solo una mezza dozzina di navi a vapore, alcune destinate al trasporto del petrolio e altre a quello dei generi di consumo quotidiano, e alcune barche, munite di motore elettrico utilizzate per la pesca in alto mare.

Frascolin osserva che l'entrata del porto è orientata verso nord e ne conclude che esso debba occupare la parte settentrionale di una di quelle punte che il litorale della Bassa California protende nel Pacifico. Egli constata anche che la corrente marina si muove verso est con una certa velocità poiché fila contro le teste delle dighe come l'acqua lungo i fianchi di una nave in movimento (effetto dovuto, certamente, all'azione della marea crescente, quantunque le maree siano assai poco sensibili sulle coste occidentali d'America).

— Ma dov'è il fiume che abbiamo attraversato ieri sera in ferry-boati — chiede Frascolin.

— Gli voltiamo le spalle — si accontenta di rispondere lo yankee. Ma è meglio non trattenersi troppo se si vuole tornare in città in tempo per prendere il treno della sera per San Diego.

Sébastien Zorn ricorda questa condizione a Calistus Munbar, che risponde:

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— Niente paura, cari amici… Abbiamo tutto il tempo… Un tram ci riporterà in città dopo aver seguito il litorale… Volevate avere una panoramica di questa regione, ed entro un'ora l'avrete dall'alto della torre dell'osservatorio.

— Ci assicurate?… — chiede il violoncellista con insistenza. — Vi assicuro che domani al sorgere del sole non vi troverete più

dove vi trovate ora. Ci si deve accontentare di questa risposta oltretutto ben poco

esplicita. D'altra parte, ancor più di quella dei suoi compagni, è la curiosità di Frascolin ad essere eccitata al massimo. Egli non vede l'ora di trovarsi in cima a quella torre, dalla quale l'americano sostiene che la vista spazia su un orizzonte di cento miglia almeno di circonferenza. Dopo di che, se non si riuscirà a farsi un'idea esatta della posizione geografica di questa città inverosimile, bisognerà rinunciare a farsela per sempre.

Dal fondo della darsena si stacca una seconda linea tranviaria che segue la costa. Il convoglio è composto di sei vetture, nelle quali hanno già preso posto numerosi viaggiatori. Le vetture sono trainate da una locomotiva elettrica, con accumulatori della capacità di 200 ampères-ohms,10 a una velocità che può andare dai quindici ai diciotto chilometri orari.

Calistus Munbar fa salire il quartetto sul tram e i nostri parigini poterono credere che esso attendesse solo loro per partire.

Quanto vedono della campagna differisce ben poco dal parco che si stende fra la città e il porto. Stesso terreno piatto e accuratamente coltivato: praterie verdi e campi invece delle aiuole, ecco tutto, campi di legumi e non di cereali. Ora una pioggia artificiale

10 L'ampère è l'unità di intensità di corrente, nel Sistema

Internazionale, che trasporta la carica elettrica di un coulomb in un secondo; l'ohm è l'unità di resistenza elettrica, nel Sistema Internazionale, pari a quella di un conduttore ai cui estremi si stabilisce la differenza di potenziale di un volt quando è percorso dalla corrente di un ampère. (N.d.R.)

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proiettata in aria da condutture sotterranee sta ricadendo in benefico acquazzone su questi lunghi rettangoli tracciati con la riga e la squadra.

Il cielo non l'avrebbe certo dosata e ripartita in modo più matematico e più opportuno.

I binari seguono il litorale, con il mare da un lato e la campagna dall'altro. Il convoglio procede così per quattro miglia (cinque chilometri circa). Poi si ferma davanti a una batteria di dodici pezzi di grosso calibro, l'ingresso alla quale è indicato da questa scritta: Batteria dello Sperone.

— Cannoni che si caricano ma che non si scaricano mai dalla culatta… come purtroppo accade in tanti di questi ordigni della vecchia Europa!… — fa osservare Calistus Munbar.

In quel punto la costa ha un profilo assai netto. Da essa si stacca una specie di promontorio molto aguzzo, simile alla prua d'uno scafo di nave o persino allo sperone di una corazzata contro il quale le acque si dividono inondandolo di schiuma bianca. Effetto della corrente, senza dubbio, poiché l'onda lunga proveniente dal largo si sta riducendo in ondulazioni che tendono a diminuire a mano a mano che il sole declina.

Da quel punto parte un'altra linea tranviaria che si dirige verso il centro, mentre la prima continua a seguire il profilo del litorale.

Calistus Munbar fa cambiare linea ai suoi ospiti, informandoli che ora si ritornerà direttamente in città.

La passeggiata sta per finire. Calistus Munbar estrae di tasca l'orologio (capolavoro del ginevrino Sivan), un orologio parlante, un orologio fonografico, ne preme il pulsante ed esso fa udire molto chiaramente queste parole: «Ore quattro e tredici minuti».

— Non dimenticate che dobbiamo salire sulla torre dell'osservatorio?… — rammenta Frascolin.

— Dimenticarlo, miei cari e anche… vecchi amici! Dimenticherei più facilmente il mio nome che pure gode d'una certa celebrità! Ancora quattro miglia e ci troveremo davanti al suo magnifico edificio, costruito all'inizio della Prima Avenue, che è quella che divide le due sezioni della nostra città.

Il tram parte. Al di là dei campi sui quali seguita sempre a cadere

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(come la chiama l'americano) «una pioggia pomeridiana» si ritrova il parco recintato, con le sue aiuole, i suoi fiori e i suoi ciuffi d'alberi.

In quel momento suonano le quattro e mezzo. Due sfere indicano l'ora su un quadrante gigantesco, molto simile a quello del palazzo del Parlamento di Londra, fissato su un lato di una torre quadrangolare.

Ai piedi di questa torre si ergono le costruzioni dell’osservatorio destinate ai diversi servizi: alcune di esse coperte da cupole metalliche sfinestrate da lucernari di vetro permettono agli astronomi di seguire il cammino delle stelle. Gli edifici sono posti tutt'attorno a una corte centrale in mezzo alla quale sorge la torre alta 150 piedi. Dalla sua galleria superiore lo sguardo può spaziare per un raggio di venticinque chilometri poiché l'orizzonte non è limitato da nessun sollevamento di colline o di montagne.

Precedendo i suoi ospiti, Calistus Munbar entra in una porta che gli viene aperta da un portiere che indossa una superba livrea. All'estremità della hall è in attesa la cabina di un ascensore azionato elettricamente. Il quartetto e la sua guida vi prendono posto e la cabina comincia a salire con movimento dolce e regolare: dopo quarantacinque secondi si arresta al livello della piattaforma superiore della torre.

Su questa piattaforma si erge l'asta di un'immensa bandiera che sventola al soffio della brezza proveniente dal nord.

Che nazionalità indica questa bandiera? Nessuno dei nostri parigini riesce a stabilirlo. Si tratta, sì, della bandiera americana con le sue strisce trasversali bianche e rosse; ma il rettangolo azzurro, invece delle sessantasette stelle, che a quest'epoca11 brillano nel firmamento della Confederazione, ne porta una sola: una stella o meglio un sole d'oro spiccante sul campo azzurro e che sembra rivaleggiare per splendore con l'astro del giorno.

— La nostra bandiera, signori — dice Calistus Munbar scoprendosi rispettosamente.

Sébastien Zorn e i suoi compagni non possono fare a meno di

11 Si tratta di un'epoca puramente di fantasia: gli Stati che compongono gli Stati Uniti sono, a tutto il 1976, cinquantuno e cinquantuno sono naturalmente le stelle ad essi corrispondenti sulla bandiera nazionale. (N.d.R.)

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imitarlo. Quindi avanzano fino al parapetto della piattaforma e si sporgono…

Un grido terribile – prima di sorpresa, dopo di collera, – sfugge dalle loro bocche!

Sotto il loro sguardo si stende l'intera campagna e questa campagna si presenta come un ovale regolare circoscritto da un orizzonte di mare; al largo, fin dove lo sguardo può spingersi, non c'è nessuna terra in vista.

Eppure il giorno prima, durante la notte, dopo aver lasciato a bordo della vettura dell'americano il villaggio di Freschal, Sébastien Zorn, Frascolin, Yvernès e Pinchinat hanno sempre seguito la strada sulla terraferma per un percorso di almeno due miglia… Poi, con la carrozza, sono saliti sul ferry-boat per attraversare il fiume… Quindi si sono ritrovati sulla terraferma… Se avessero veramente abbandonato il litorale californiano per una qualunque traversata, se ne sarebbero certamente accorti…

Frascolin si rivolge a Calistus Munbar. — Siamo su un'isola?… — chiede. — Come vedete! — rispose lo yankee atteggiando le labbra al più

amabile sorriso. — E di che isola si tratta?… — Di Standard-Island. — E questa città?… — È Milliard-City.

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CAPITOLO V

STANDARD-ISLAND E MILLIARD-CITY

ALL'EPOCA in cui si svolge il nostro racconto si era ancora in attesa che un audace cultore di statistica, foderato da geografo, desse il numero esatto delle isole sparse sulla superficie del globo. Numero, che non è temerario affermare che ammonti a parecchie migliaia. E fra tutte queste isole, dunque, non ve ne era nemmeno una che rispondesse ai desiderata dei fondatori di Standard-Island e alle esigenze dei suoi futuri abitanti? No! Nemmeno una! Da ciò è nata l'idea «americameccanicamente» pratica di creare un'isola artificiale in tutte le sue parti, che avrebbe dovuto essere l'«ultimo grido» nel campo dell'industria metallurgica moderna.

Standard-Island – che si potrebbe tradurre con «isola-tipo» – è un'isola a elica e Milliard-City è la sua capitale. E perché questo nome? Evidentemente perché questa capitale è la città dei miliardari, la città dei Gould, dei Van-derbilt, dei Rothschild. Ma, potrebbe osservare qualcuno, la parola «miliardo» non esiste nella lingua inglese…12 Gli anglosassoni del vecchio e del nuovo mondo hanno sempre detto «a thousand millions», mille milioni… Miliardo è vocabolo nostro… Sta bene, ma intanto già da qualche anno esso è passato nella lingua corrente della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, e correttamente quindi lo si è applicato alla capitale di Standard-Island.

Un'isola artificiale è un'idea che in sé non ha nulla di straordinario. Con un sufficiente quantitativo di materiali immersi nell'acqua d'un fiume, d'un lago, d'un mare, non è impossibile all'uomo di fabbricarne una. Ma ciò non sarebbe bastato. Dato lo

12 Non bisogna dimenticare che il romanzo è stato scritto nel 1895. Oggigiorno il vocabolario inglese registra anche la parola milliard. (N.d.R.)

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scopo a cui essa era destinata, le esigenze che avrebbe dovuto soddisfare, bisognava che tale isola potesse spostarsi e, di conseguenza, che fosse galleggiante. La difficoltà stava lì, difficoltà però non superiore alla produzione delle fabbriche che lavorano il ferro e grazie anche a macchinari di una potenza per così dire infinita.

Già alla fine del XIX secolo, con la loro passione per il «big», con la loro ammirazione per quanto è «enorme», gli americani avevano progettato di sistemare ad alcune centinaia di leghe al largo della costa una piattaforma ancorata al fondo marino. Essa sarebbe stata, se non una città, perlomeno un centro balneare dell'Atlantico con ristoranti, alberghi, circoli, teatri, ecc., dove i turisti avrebbero potuto trovare tutti i passatempi delle città termali più alla moda. Ebbene, è stato proprio questo progetto ad essere realizzato e perfezionato. Però invece della piattaforma fissa si creò l'isola mobile.

Sei anni prima dell'epoca in cui ha inizio il nostro racconto, si era costituita una società americana, con la ragione sociale di Standard-Island Company limited e con un capitale di cinquecento milioni di dollari13 divisi in cinquecento azioni, avente per scopo la fabbricazione di un'isola artificiale che potesse offrire ai nababbi degli Stati Uniti i diversi vantaggi di cui sono prive le regioni «sedentarie» del globo terrestre. Le azioni trovarono rapidamente collocamento, tanto erano numerosi allora i grandi patrimoni in America, sia che provenissero dai redditi delle linee ferroviarie, sia da quelli delle operazioni di Borsa, sia dallo sfruttamento dei pozzi petroliferi, sia dal commercio delle conserve di carne di maiale.

Per la costruzione di quest'isola sono stati impiegati quattro anni: di essa ora sarà opportuno fornire le dimensioni principali e indicare le sistemazioni interne e i sistemi locomotorii che le permettono di utilizzare la parte più bella dell'immensa superficie dell'Oceano Pacifico. Daremo queste dimensioni in chilometri e non in miglia, poiché a quest'epoca il sistema decimale ha trionfato dell'inesplicabile repulsione che un tempo ispirava a tutti gli anglosassoni.

13 Equivalenti a due miliardi e cinquecento milioni di franchi. (Nota dell'edizione originale.)

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Villaggi galleggianti esistono in Cina sul fiume Yang-tse-Kiang, in Brasile sul rio delle Amazzoni e in Europa sul Danubio. Ma si tratta soltanto di costruzioni provvisorie, di poche baracche erette su dei lunghi «treni» di legname. Giunto a destinazione, il «treno» viene scomposto, le baracche smontate e il villaggio cessa di vivere.

Ma l'isola di cui parliamo è tutt'altra cosa. Doveva navigare sul mare, doveva durare… almeno quanto possono durare le cose uscite dalla mano dell'uomo.

E poi chissà se un giorno la terra non sarà troppo ristretta per i suoi abitanti che nel 2072 dovranno arrivare a sei miliardi (almeno secondo quanto, dopo Ravestein, gli scienziati asseriscono con precisione stupefacente)? E allora, quando le terre saranno tutte occupate, non sarà necessario fabbricare sul mare?…

Standard-Island è un'isola d'acciaio e la resistenza del suo scafo è stata calcolata in rapporto al peso enorme che deve sostenere. Essa è formata da duecentosettantamila cassoni, ognuno dei quali è alto sedici metri e settanta, lungo dieci metri e largo pure dieci metri. Il loro sviluppo in piano equivale dunque a un quadrato di dieci metri di lato, ossia a cento metri quadrati di area. Tutti questi cassoni imbullonati e inchiavardati assieme, danno all'isola una superficie di circa ventisette milioni di metri quadrati, cioè di ventisette chilometri. Nella forma ovale che i costruttori le hanno dato, l'isola misura sette chilometri di lunghezza per cinque di larghezza, mentre il suo perimetro è di diciotto chilometri in cifra tonda.14

La parte immersa di questo scafo misura trenta piedi, mentre quella emersa è di venti. Ciò significa che Standard-Island a pieno carico ha un pescaggio di dieci metri; ne risulta che il suo volume è di quattrocentotrentadue milioni di metri cubi e il suo dislocamento (cioè i tre quinti del volume) di duecentocinquantanove milioni di metri cubi.

La parte immersa dei cassoni è stata interamente ricoperta con un preparato per tanto tempo ricercato invano (ha fatto diventare miliardario il suo inventore) che impedisce a conchiglie e molluschi d'attaccarsi alle pareti a contatto con l'acqua marina.

14 La cinta fortificata di Parigi è lunga trentanove chilometri, mentre la sua vecchia cinta daziaria ne misurava ventitré. (Nota dell'edizione originale.)

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Il sottosuolo della nuova isola non deve temere né le deformazioni né le rotture, poiché le lastre d'acciaio del suo scafo sono saldamente tenute insieme mediante traverse e gli imbullonamenti e le inchiavardature sono stati fatti con estrema solidità.

Per la realizzazione di questo gigantesco natante si erano dovuti creare dei cantieri speciali. La Standard-Island Company vi aveva appunto provveduto dopo aver acquistato la Madeleine-bay e il suo litorale all'estremità di quella lunga penisola della Vecchia California che si trova quasi al confine del Tropico del Cancro. Il lavoro è stato eseguito in quella baia sotto la direzione degli ingegneri della Standard-Island Company a capo dei quali era il famoso William Tersen, morto pochi mesi dopo il completamento dell'opera, come era accaduto a Brunel dopo l'infruttuoso varo del suo Great-Eastern. E questa Standard-Island è forse qualcosa di diverso di un Great-Eastem modernizzato e di dimensioni mille e mille volte maggiori?

È chiaro come non si potesse nemmeno pensare a varare l'isola nell'oceano. Così essa è stata costruita pezzo per pezzo, affiancando gli uni agli altri i vari compartimenti sulle acque della Madeleine-bay. Quella porzione di costa americana è così diventata il porto d'armamento dell'isola mobile che viene ad incastrarvisi allorché le sono necessarie delle riparazioni.

La carcassa dell'isola, il suo scafo, se preferiamo, formata di quei duecentosettantamila compartimenti di cui si è detto, tranne che nella parte riservata alla città centrale (dove tale scafo è particolarmente rinforzato), è stata ricoperta da uno strato di terra vegetale. Questo humus basta per i bisogni di una vegetazione limitata a delle aiuole, a dei cespugli di fiori e d'arbusti, ad alcuni ciuffi d'alberi, a dei prati e a dei campi di legumi. Sarebbe sembrato poco pratico chiedere a quel suolo fittizio di produrre cereali e di provvedere al mantenimento del grosso bestiame da macello, che costituiscono, del resto, oggetto di regolari importazioni. È stato invece possibile creare le installazioni necessarie perché i rifornimenti di latte e dei prodotti degli animali da cortile non dipendessero da tali importazioni.

I tre quarti del suolo di Standard-Island sono occupati dalla vegetazione: circa ventuno chilometri quadrati, dei quali i tappeti verdi del parco offrono alla vista una verzura permanente, i campi

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coltivati in modo intensivo abbondano di legumi e di frutti, i prati artificiali servono da pascolo ad alcune greggi. Inoltre, vi si utilizza su larga scala l'elettrocoltura, ossia l'influenza delle correnti continue che si manifesta con una straordinaria accelerazione della crescita e con una produzione di legumi di inverosimili dimensioni come, per esempio, ravanelli di quarantacinque centimetri e carote di tre chili. Giardini, orti e frutteti possono gareggiare con i più belli della Virginia e della Louisiana. Ma non ci se ne meravigli: non si bada a spese in quest'isola così giustamente chiamata il «Gioiello del Pacifico».

La sua capitale, Milliard-City, occupa circa il quinto che le è stato riservato dei ventisette chilometri di superficie, ossia circa cinque chilometri quadrati o cinquecento ettari, con una circonferenza di nove chilometri. Quelli fra i nostri lettori che hanno voluto accompagnare Sébastien Zorn e i suoi compagni durante la loro gita ormai la conoscono abbastanza per non perdervisi. Del resto non ci si perde nelle città americane, quando esse hanno la fortuna e la sventura nello stesso tempo di essere moderne (fortuna per la semplicità delle comunicazioni interne e sventura per il lato artistico e poetico che manca loro assolutamente). Sappiamo che Milliard-City, di forma ovale, è divisa in due sezioni separate da un'arteria centrale, la Prima Avenue, lunga poco più di tre chilometri. L'osservatorio che si erge a una delle sue estremità è controbilanciato dal municipio, la cui massa imponente si delinea all'estremità opposta. Là sono accentrati tutti i servizi pubblici riguardanti lo stato civile, le acque, la viabilità, i parchi e i giardini, la polizia municipale, la dogana, i mercati, i servizi funebri, i servizi ospedalieri, le varie scuole, i culti e le arti.

E ora qual è la popolazione raccolta dentro questa spazio di diciotto chilometri di circonferenza?

La terra, dicono, oggigiorno conta dodici città (di cui quattro in Cina) la cui popolazione supera il milione d'abitanti.15 Ebbene l'isola a elica non ne ha che diecimila circa, tutti nativi degli Stati Uniti. Non si è voluto che, fra i cittadini venuti a cercare riposo e

15 Si ripete qui l'avvertimento a tener presente che il romanzo è del 1895. (N.d.R.)

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tranquillità a bordo di questo natante di così moderna concezione, potessero mai insorgere delle discussioni di carattere internazionale. E sufficiente, anzi anche troppo, che non militino sotto la stessa bandiera dal punto di vista della religione. Ma sarebbe stato difficile riservare agli yankees del Nord (che a Standard-Island sono i sinistresi) o inversamente agli americani degli Stati del Sud (che sull'isola sono i drittesi) l'esclusiva a fissare la loro residenza su quest'isola. D'altra parte gli interessi della Standard-Island Company ne avrebbero sofferto anche troppo.

Una volta consolidato il terreno metallico, una volta scelta per dare inizio alle costruzioni la parte riservata alla città, una volta stabilito il piano delle strade e dei viali, cominciano a sorgere gli edifici: palazzi superbi, abitazioni più semplici, stabili destinati al commercio al dettaglio, edifici pubblici, chiese e templi, ma nessuna di quelle costruzioni a ventisette piani, quegli sky-scrapers, ossia grattacieli che si vedono a Chicago. I materiali sono leggeri e insieme resistenti. Il metallo inossidabile che domina in tutte quelle costruzioni è l'alluminio, che a parità di volume è sette volte meno pesante del ferro, il metallo dell'avvenire, come già lo aveva chiamato Sainte-Claire Deville e che si presta a tutte le necessità di una edilizia robusta. Ad esso poi, viene ad affiancarsi la «pietra artificiale», quei cubi di cemento che si accostano e si sovrappongono tanto facilmente. Vengono anche usati i mattoni di vetro vuoti, soffiati e fabbricati come le bottiglie, saldati insieme con una malta fine a base di calce, mattoni trasparenti che, se lo si desidera, possono realizzare il sogno della casa di cristallo. Ma in sostanza, di preferenza viene utilizzata l'armatura metallica, esattamente come ora la si impiega nei differenti tipi di architettura navale. E che cos'è infatti Standard-Island se non un'immensa nave?

Queste varie proprietà appartengono alla Standard-Island Company. Coloro che le abitano, qualunque sia l'importanza del loro patrimonio, ne sono soltanto i locatari. Inoltre si ha avuto cura di prevedere tutte le possibili esigenze in fatto di comodità e di sistemazione richieste da quegli Americani inverosimilmente ricchi, al cui confronto i sovrani d'Europa o i nababbi delle Indie non possono fare che una mediocre figura.

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Infatti, se le statistiche stabiliscono che il valore delle riserve auree mondiali ammonta a diciotto miliardi e di quelle d'argento a venti, state pur certi che gli abitanti del «Gioiello del Pacifico» ne possiedono la loro buona parte.

Inoltre, fin dal principio, l'affare si è avviato benissimo dal lato finanziario. Palazzi e case sono stati affittati a prezzi favolosi. Alcuni di questi affitti ammontano a diversi milioni eppure parecchie famiglie hanno potuto spendere senza preoccupazione somme del genere pagando per l'intero anno. Un introito più che rispettabile per la società solo da questo cespite. Dovete ammettere che la capitale di Standard-Island giustifica pienamente il nome che porta nella nomenclatura geografica.

A parte le famiglie ricchissime, se ne contano alcune centinaia che si accontentano di una posizione più modesta e il cui affitto va dai cento ai duecentomila franchi. Il resto della popolazione comprende gli insegnanti, i fornitori, gli impiegati, i domestici e gli stranieri la cui affluenza è però assai ridotta e che del resto non sarebbero autorizzati a stabilirsi né a Milliard-City né nell'isola. Vi sono pochissimi avvocati, il che rende i processi piuttosto rari; di medici, ve ne sono anche meno, il che ha abbassato il livello della mortalità a una cifra ridicola. D'altra parte ogni abitante conosce esattamente il proprio fisico, la propria forza muscolare misurata con il dinamometro, la capacità polmonare misurata con lo spirometro, la potenza di contrazione del cuore misurata con lo sfigmomanometro, e finalmente il potenziale energetico misurato con il magnetometro. E poi in questa città non vi sono né bar né caffè né bettole, nulla che possa portare all'alcolismo. Non vi è mai il minimo caso di dipsomania, o diciamo d'ubriachezza, per essere compresi anche da chi non sa il greco. Non si deve inoltre dimenticare che i servizi generali distribuiscono a tutti i cittadini l'energia elettrica, la luce, la forza meccanica e il riscaldamento, l'aria compressa, l'aria rarefatta e l'aria fredda, l'acqua sotto pressione, esattamente come i telegrammi pneumatici e le audizioni telefoniche. In quest'isola a elica metodicamente sottratta alle intemperie climatiche e riparata da qualsiasi influenza microbica, quando si muore è proprio perché morire si deve pure, ma solo dopo che tutte le molle della vita si sono

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logorate fino a una vecchiaia di cento anni. Vi sono soldati a Standard-Island? Sì! Un corpo di cinquecento

uomini agli ordini del colonnello Stewart, perché si è dovuto prevedere la possibilità che il Pacifico non sia sempre sicuro. Nei pressi di alcuni gruppi d'isole è prudente premunirsi contro l'aggressione dei pirati di ogni specie. Non c'è da meravigliarsi se questi soldati hanno una paga altissima, se ogni uomo è trattato meglio di un generale in capo della vecchia Europa. Il reclutamento di questi soldati, alloggiati, nutriti e vestiti a spese dell'amministrazione, si effettua a ottime condizioni sotto il controllo di capi ricchi come Cresi. C'è solo l'imbarazzo della scelta.

Vi è polizia a Standard-Island? Sì, qualche squadra che però basta a garantire la sicurezza d'una città che non ha nessun motivo di essere turbata. Per abitarvi è necessario un permesso delle autorità municipali. Le coste sono sorvegliate da una squadra di doganieri che vigilano giorno e notte. Vi si può sbarcare solo nei porti; perciò come vi si potrebbero introdurre dei malfattori? Quanto poi a coloro che diventassero delinquenti in loco, verrebbero immediatamente arrestati, condannati e, come tali, deportati a un'estremità o all'altra del Pacifico, su qualche angolo del vecchio o del nuovo continente senza la possibilità di ritornare mai più a Standard-Island.

Abbiamo detto: i porti di Standard-Island. Ve ne è dunque più d'uno? Sì, due, situati ognuno a un'estremità del diametro minore- dell'ovale che è la forma generale dell'isola. Uno di essi si chiama Tribord-Harbour e l'altro Babord-Harbour secondo le denominazioni in uso nella marina francese.16

Infatti, in nessun caso c'è da temere che la regolarità delle importazioni corra il rischio di venire interrotta, né ciò può essere, grazie appunto alla creazione di quei due porti orientati l'uno in senso opposto all'altro. Se a causa del cattivo tempo uno di essi è impraticabile, ai bastimenti rimane aperto l'altro e il servizio rimane così garantito con ogni tempo. È appunto attraverso Babord-Harbour e Tribord-Harbour che si effettuano i rifornimenti delle varie merci,

16 Tribord-Harbour è letteralmente « Porto di Dritta », e Babord-Harbour « Porto di Sinistra ». Si è però preferito conservare la denominazione originale « anglofrancese » trattandosi di nome geografico. (N.d.T.)

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del petrolio che viene portato con navi particolari, delle farine e dei cereali, dei vini, delle birre e delle altre bevande della moderna alimentazione, tè, caffè, cioccolato, coloniali, marmellate, ecc. Là giungono anche i bovini, gli ovini e i suini dei migliori mercati americani, e che garantiscono il consumo di carne fresca, infine tutto ciò che può richiedere il più esigente gastronomo in fatto di generi commestibili. Là, inoltre, arrivano i tessuti, la biancheria, gli articoli di moda quali può esigere il dandy più raffinato o la più elegante signora. Tutti questi oggetti vengono poi messi in vendita presso i fornitori di Milliard-City a un prezzo che non osiamo ripetere, per timore di suscitare l'incredulità del lettore.

Ammesso ciò, ci si domanderà come mai il servizio dei piroscafi possa funzionare regolarmente fra il litorale americano e un'isola a elica, che per sua natura è mobile, un giorno in un posto e quello successivo venti miglia più in là.

La risposta è semplicissima. Standard-Island non va alla ventura. Il suo spostamento si adegua al programma stabilito dall'amministrazione superiore in base alle informazioni fornite dai meteorologi dell'osservatorio. Si tratta di una passeggiata (suscettibile tuttavia di eventuali modifiche) attraverso la parte del Pacifico in cui si trovano gli arcipelaghi più belli cercando di evitare, per quanto possibile, quegli sbalzi improvvisi di temperatura che provocano tante affezioni polmonari. È appunto questo che ha permesso a Calistus Munbar di rispondere «Mai sentito parlare!» a proposito dell'inverno. Standard-Island si sposta solamente fra il 35° parallelo a nord e il 35° parallelo a sud dell'equatore. Un percorso di 70 gradi, cioè, di circa millequattrocento leghe marine, che magnifica crociera! Le navi sanno quindi sempre dove trovare il Gioiello del Pacifico, dal momento che il suo spostamento è stabilito in anticipo fra i diversi gruppi di quelle splendide isole che sono come altrettante oasi nel deserto costituito dall'immenso Oceano.

E anche in questa occasione i bastimenti non devono cercare a caso la posizione di Standard-Island. Eppure la società non ha voluto ricorrere ai venticinque cavi, lunghi milleseicento miglia, posseduti dall'Eastern Extension Australasia and China Company. No! L'isola a elica non vuole dipendere da nessuno. È stato quindi sufficiente

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disporre alla superficie del mare alcune centinaia di boe sostenenti le estremità di cavi elettrici, collegati con Madeleine-bay. Accostandosi a queste boe si collega il filo con gli apparecchi dell'osservatorio, si invia un messaggio telefonico, e gli agenti della baia sono sempre informati della posizione, in longitudine e in latitudine, di Standard-Island. Ne consegue che il servizio delle navi-rifornimento si svolge con una precisione ferroviaria.

Ma c'è ancora un importante problema che vale la pena di chiarire. Come ci si procura l'acqua dolce per le molteplici necessità

dell'isola? L'acqua?… La si fabbrica per distillazione in due stabilimenti

particolari situati in vicinanza dei porti; viene poi portata nelle case o distribuita nel sottosuolo agricolo mediante apposite tubature. Così, essa serve a tutti gli usi domestici e pubblici e ricade in pioggia benefica sui campi e sui tappeti erbosi che non sono più sottomessi ai capricci del cielo. E quest'acqua non soltanto è dolce, ma anche distillata, elettrolicizzata, più igienica quindi di quella delle più pure sorgenti dei due continenti, delle quali una sola goccia, grossa come una capocchia di spillo, può contenere quindici miliardi di microbi.

Rimane da dire come si effettua lo spostamento di questo meraviglioso natante. Esso non ha bisogno di una grande velocità dal momento che, nel lasso di tempo di sei mesi, non deve abbandonare la zona compresa fra i Tropici da un lato e il 130° e il 147° meridiano dall'altro. Dalle quindici alle venti miglia al giorno, Standard-Island non chiede di più. Ora sarebbe stato facile ottenere questo spostamento grazie a un tonneggio effettuato per mezzo di un cavo fabbricato con la pianta indiana detta bastiti, robusto e leggero nel contempo, che avrebbe galleggiato sotto il pelo dell'acqua in modo da non finire a tranciarsi sui fondali sottomarini. Tale cavo avrebbe dovuto avvolgersi su argani a vapore posti alle due estremità dell'isola e Standard-Island sarebbe stata tonneggiata avanti e indietro, come certi battelli che risalgono o scendono alcuni fiumi. Ma, per trainare un peso simile il cavo avrebbe dovuto essere di un diametro enorme e sarebbe certo andato soggetto a molte avarie. Si trattava di una libertà incatenata, si sarebbe stati costretti a seguire l'inalterabile linea del tonneggio, e invece quando si tratta di libertà i

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cittadini della libera America sono di una superba intransigenza. Fortunatamente gli elettrotecnici hanno spinto tanto avanti il loro

progresso che è stato possibile rivolgersi per tutto quanto all'elettricità, anima dell'universo. È dunque ad essa che è affidata la locomozione dell'isola. Due centrali azionano delle dinamo di potenza per così dire infinita, fornendo l'energia elettrica sotto forma di corrente continua al modesto voltaggio di duemila volts. Tali dinamo azionano anche un potente sistema di eliche situate in prossimità dei due porti. Ognuna di esse grazie a centinaia di caldaie riscaldate mediante formelle di olio minerale meno ingombranti e sporchevoli del carbon fossile e molto più ricche in potere calorico, sviluppa cinque milioni di cavalli-vapore. Queste centrali sono dirette da due ingegneri-capo, i signori Watson e Somwah, coadiuvati da una numerosa équipe di meccanici e di macchinisti, alle dipendenze tuttavia del commodoro Ethel Simcoë. Dalla sua residenza presso l'osservatorio, il commodoro è in contatto telefonico permanente con le centrali situate una presso Tribord-Harbour e l'altra presso Babord-Harbour. È da lui che provengono gli ordini di avanzare o di retrocedere a seconda dell'itinerario stabilito. Ed è appunto dalla sua residenza che è partito, nella notte fra il 25 e il 26, l'ordine per Standard-Island, che si trovava nelle vicinanze della costa californiana all'inizio della sua crociera annuale, di salpare.

Coloro dei nostri lettori, che vorranno con il pensiero imbarcarsi fiduciosi sull'isola, assisteranno alle diverse peripezie di quel viaggio alla superficie del Pacifico e forse non avranno da lamentarsene.

Ora diciamo anche che la velocità massima di Standard-Island, quando le sue macchine sviluppano i loro dieci milioni di cavalli-vapore, può raggiungere gli otto nodi all'ora. Le ondate più potenti sollevate dai colpi di vento non hanno presa su di essa. Le sue grandi dimensioni le permettono di sfuggire alle ondulazioni del mare lungo. Il mal di mare non è affatto da temere. Durante i primi giorni «a bordo» al massimo si avverte quel leggero fremito che la rotazione delle eliche imprime al sottosuolo. A prua e a poppa essa termina con degli speroni lunghi una sessantina di metri che fendono le acque senza alcuno sforzo e le permettono di percorrere senza scosse l'ampia distesa liquida destinata alle sue escursioni.

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Naturalmente l'energia elettrica prodotta dalle due centrali non viene utilizzata solo per la locomozione di Standard-Island. Essa serve per illuminare la campagna, il parco e la città. È lei che produce dietro le lenti dei fari quella luce intensa i cui raggi proiettati al largo segnalano fin da lontano la presenza dell'isola a elica e prevengono ogni possibilità di collisione. Essa fornisce le diverse correnti utilizzate per servizi telegrafici, telefotici, telautografici e telefonici, per le necessità delle case private e dei quartieri commerciali. Da ultimo è lei che alimenta le lune artificiali, ognuna provvista di una luminosità di cinquemila candele, che possono illuminare una superficie di cinquecento metri quadrati.

A quest'epoca, lo straordinario natante è alla sua seconda crociera attraverso il Pacifico. Un mese prima aveva lasciato Madeleine-bay, risalendo verso il 35° parallelo, per riprendere il suo itinerario all'altezza delle isole Sandwich. E si trovava lungo la costa della Bassa California, quando Calistus Munbar, avendo appreso grazie a un contatto telefonico che il Quartetto Orchestrale, dopo aver lasciato San Francisco, si dirigeva verso San Diego, propose d'assicurarsi il concorso di quegli illustri artisti. Sappiamo come egli abbia proceduto nei loro confronti, in che modo li abbia trasportati sull'isola a elica che era allora ferma a poche lunghezze di cavo dal litorale e come, grazie appunto a quel tiro mancino, la musica da camera stesse per rallegrare gli amatori di Milliard-City.

Ecco dunque la nona meraviglia del mondo, il capolavoro dell'ingegno umano degno veramente del XX secolo, in cui si trovano ora ospiti due violini, un violoncello e una viola che Standard-Island trasporta verso la zona occidentale dell'Oceano Pacifico.

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CAPITOLO VI

INVITATI… «INVITI» 17

ANCHE supponendo che Sébastien Zorn, Frascolin, Yvernès e Pinchinat fossero state persone che non si meravigliavano di nulla, tuttavia per loro sarebbe stato molto difficile non abbandonarsi a un legittimo accesso di collera saltando alla gola di Calistus Munbar. Avere tutti i motivi per credere che i propri piedi calpestano il suolo dell'America settentrionale e trovarsi invece trasportati in pieno Oceano! Credersi a una ventina di miglia da San Diego, dove si è attesi all'indomani per un concerto, e venire a sapere bruscamente che ci se ne sta allontanando, a bordo di un'isola artificiale, galleggiante e semovente! A dire la verità un simile accesso sarebbe stato giustificabilissimo.

Ma l'americano, per fortuna sua, si è messo al riparo da un primo assalto del genere. Approfittando della sorpresa o, meglio, dell'inebetimento in cui è piombato il quartetto, egli lascia la piattaforma della torre, si infila nell'ascensore e, per il momento, si mette fuori portata delle recriminazioni e delle invettive dei quattro parigini.

— Che furfante! — esclama il violoncellista. — Che animale! — aggiunge la viola. — Eh! eh!… ma se, per merito suo, ora siamo testimoni di tutte

queste meraviglie… — comincia il primo violino. — Non vorrai scusarlo! — ribatte il secondo. — Niente scuse — ribatte Pinchinat — e se c'è giustizia a

Standard-Island, lo faremo condannare, questo yankee mistificatore!…

— E se c'è un carnefice — urla Sébastien Zorn — lo faremo impiccare! Ora, per ottenere questi vari risultati bisogna prima di

17 Per forza. (N.d.T.)

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tutto ridiscendere a livello degli altri abitanti di Milliard-City, poiché la polizia non può certo esercitare le proprie funzioni a centocinquanta piedi dal suolo. E questo richiederebbe pochi attimi, se solo fosse possibile. Ma la cabina dell'ascensore non è risalita e non c'è niente che assomigli a una scala. Il quartetto dunque si trova in cima a quella torre, senza più comunicazione con il resto della umanità.

Dopo il primo sfogo di dispetto e di collera, Sébastien Zorn, Pinchinat e Frascolin, lasciando Yvernès alla sua ammirazione, sono rimasti silenziosi e finiscono col restarsene immobili. Sopra di loro la bandiera sventola all'asta. Sébastien Zorn prova una voglia feroce di tagliarne la drizza e di abbassarla, come se si trattasse della bandiera di un bastimento che ammaina la sua insegna. Ma è meglio non andare a cacciarsi in altri guai e i suoi compagni lo trattengono proprio nel momento in cui ha brandito un bowie-knife ben affilato.

— Non mettiamoci dalla parte del torto — fa osservare il saggio Frascolin.

— Allora… accetti la situazione?… — chiede Pinchinat. — No… ma cerchiamo di non complicarla. — E i nostri bagagli che stanno filando verso San Diego!… —

osserva Sua Altezza incrociando le braccia. — E il nostro concerto di domani!… — esclama Sébastien Zorn. — Lo daremo per telefono! — risponde il primo violino, ma il suo

scherzo non calma di sicuro l'irascibilità del bollente violoncellista. Non si è dimenticato che l'osservatorio occupa il centro di una

vasta piazza, su cui sbocca la Prima Avenue. All'altra estremità di quell'arteria principale lunga tre chilometri, che divide le due sezioni di Milliard-City, gli artisti notano una specie di palazzo monumentale sormontato da una torre campanaria molto leggera ed elegante. Essi immaginano che quella sia la sede del governo, la residenza della municipalità, sempre che Milliard-City abbia un sindaco e una giunta. Non s'ingannano. E proprio in quel momento l'orologio di quella torre comincia a suonare un allegro motivo le cui note grazie alla brezza giungono fino all'osservatorio.

— Toh!… È in re maggiore — fa Yvernès. — E in due quarti — aggiunge Pinchinat. L'orologio batte le

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cinque. — E pranzare? — esclama Sébastien Zorn — E dormire?… Per

colpa di quel mascalzone di Munbar dovremo passare la notte su questa piattaforma, a centocinquanta piedi dal suolo?

C'è da temerlo, se l'ascensore non viene a offrire ai prigionieri il mezzo di abbandonare la loro prigione.

Infatti, il crepuscolo dura poco alle basse latitudini, e il sole cade come un proiettile sotto l'orizzonte. Gli sguardi che il quartetto lancia fino agli estremi limiti del cielo, abbracciano solo un mare deserto, senza una vela, senza un fumo. Attraverso la campagna circolano dei tram che portano alla periferia dell'isola o che effettuano il servizio fra i due porti. A quest'ora il parco è ancora animatissimo. Dall'alto della torre lo si direbbe un immenso cesto di fiori, pieno di azalee, di clematidi, di gelsomini, di glicini, di passiflore, di begonie, di salvie, di giacinti, di dalie, di camelie e di centinaia di specie di rose. Molta gente vi passeggia – uomini fatti, giovanotti, ma non quei damerini che sono la vergogna delle grandi città europee, giovani robusti, dal fisico atletico. Donne e ragazze vestite perlopiù con abiti di color paglierino (la tonalità più adatta alle latitudini torride) hanno al guinzaglio eleganti piccoli levrieri con gualdrappe di seta e legacci dorati. Parte di questa aristocratica folla segue i viali cosparsi di sabbia fine tracciati capricciosamente fra le aiuole. Alcuni sono seduti sui sedili imbottiti dei tram elettrici, altri sulle panchine all'ombra delle chiome degli alberi. Più lontano dei giovanotti si dedicano al tennis, al crocket, al golf, al foot-ball e anche al polo, a cavallo di vivaci ponies. Schiere di bambini, di quei bimbi americani di straordinaria esuberanza e dall'individualismo tanto precoce (nelle bambine, soprattutto), giocano sui prati. Alcuni cavalieri cavalcano lungo curatissime piste, mentre altri gareggiano in emozionanti garden-parties.

I quartieri commerciali della città a quest'ora sono ancora molto frequentati.

I marciapiedi mobili trasportano il loro carico lungo le principali arterie. Ai piedi della torre, nella piazza dell'osservatorio, c'è un andirivieni di passanti dei quali i nostri prigionieri gradirebbero certo di attirare l'attenzione. Perciò, più volte, Pinchinat e Frascolin

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lanciano urla stentoree. Uditi lo sono, dal momento che delle braccia si tendono verso di loro e perfino qualche parola arriva alle loro orecchie. Ma nessun gesto di sorpresa. Nessuno sembra stupirsi di quel simpatico gruppo che si agita sulla piattaforma. Le parole poi consistono in «good-bye», «how-do-you-do», saluti vari e in altre formule piene di amabilità e di cortesia. Si direbbe che gli abitanti di Milliard-City siano informati dell'arrivo dei quattro parigini a Standard-Island di cui Calistus Munbar ha fatto loro gli onori…

— Ah, beh!… Ci stanno prendendo in giro — fa Pinchinat. — Mi pare proprio! — ribatte Yvernès. Passa un'ora, un'ora durante la quale tutti i richiami sono inutili.

Le preghiere supplichevoli di Frascolin non hanno più successo delle svariate invettive di Sébastien Zorn. E, poiché il momento del pranzo si avvicina, il parco comincia a vuotarsi di coloro che vi passeggiano e le strade di coloro che le percorrono. Questo alla fin fine fa inferocire i nostri!

— Certo — dice Yvernès, evocando romantici ricordi — noi assomigliamo a quei profani che un genio malefico ha attirato dentro un recinto sacro e che sono condannati a morire perché i loro occhi hanno visto ciò che non dovevano vedere…

— E ci lascerebbero soccombere alle torture della fame! — esclama Pinchinat.

— Ma ciò non avverrà prima che abbiamo impiegato ogni mezzo per prolungare la nostra esistenza! — grida Sébastien Zorn.

— E se saremo costretti a mangiarci gli uni con gli altri… cominceremo da Yvernès!… — aggiunge Pinchinat.

— Come vorrete! — sospira il primo violino con voce commossa, piegando la testa per ricevere il colpo mortale.

In quella, all'interno della torre si fa udire un rumore: la cabina dell'ascensore risale e si ferma all'altezza della piattaforma. All'idea di veder comparire Calistus Munbar, i prigionieri si preparano ad accoglierlo come si merita…

Ma la cabina è vuota. Ebbene, la partita è soltanto rimandata. Gli ingannati sapranno

certo ritrovare l'ingannatore. La cosa più urgente è di riportarsi al suo livello e il mezzo più idoneo per farlo consiste nel prendere posto

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nell'ascensore. Detto fatto. Non appena il violoncellista e i suoi compagni sono

entrati nella cabina, questa si mette in moto e in meno d'un minuto raggiunge il piano terreno della torre.

— E pensare — commenta Pinchinat battendo per terra con il piede — che non siamo su un sol naturale!18

Il momento per battute del genere è proprio scelto bene! Quindi nessuno gli risponde. La porta è aperta e tutti e quattro escono. Il cortile interno è deserto: essi lo attraversano e si avviano per la piazza.

Lì, la gente va e viene e sembra che non badi minimamente agli stranieri. Un'osservazione di Frascolin che raccomanda la prudenza costringe Sébastien Zorn a rinunciare a recriminazioni intempestive. È alle autorità che bisogna chiedere giustizia e aspettare non peggiorerà le cose. Si decide così di ritornare all'Excelsior Hotel, aspettare l'indomani per far valere i propri diritti di uomini liberi, e il quartetto si avvia a piedi per la Prima Avenue.

Ma i Parigini hanno almeno il privilegio d'attirare l'attenzione della gente?… Sì e no. Li guardano, ma senza troppa insistenza, come fossero quei rari turisti che vengono ogni tanto a visitare Milliard-City. Loro, poi, in tali circostanze fuori dell'ordinario, si trovano piuttosto a disagio e credono di venire squadrati più di quanto avvenga in realtà. D'altra parte non ci si deve stupire se essi attribuiscono una natura bizzarra a quegli isolani… mobili, che si sono separati volontariamente dai loro simili per errare sulla superficie del più vasto oceano del nostro sferoide. Con un leggero sforzo d'immaginazione si potrebbe credere che questa gente appartenga a un altro pianeta del sistema solare. Così, perlomeno afferma Yvernès, spinto verso i mondi immaginari dal suo animo sovreccitato. Pinchinat, invece, si limita a osservare:

— Tutta questa gente ha proprio l'aria molto milionaria e mi dà l'impressione di avere una piccola elica in fondo alla schiena proprio come la sua isola.

Frattanto l'appetito aumenta. La colazione è già molto lontana e lo

18 Pinchinat, qui parlando della nota musicale, vuole anche alludere al suolo artificiale di Standard-Island. (N.d.T.)

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stomaco reclama quanto gli è dovuto quotidianamente. Bisogna dunque rientrare al più presto all'Excelsior Hotel. L'indomani si cominceranno a intraprendere i passi necessari al fine di farsi riportare a San Diego da uno dei piroscafi di Standard-Island previo il pagamento di un indennizzo che, giustamente, Calistus Munbar dovrà sobbarcarsi.

Ma ecco che, mentre percorrono la Prima Avenue, Frascolin si ferma davanti ad un sontuoso edificio sul cui frontone si legge questa parola impressa a lettere d'oro: Casino. Sulla destra del superbo arco che sormonta la porta principale, un ristorante lascia vedere attraverso i suoi vetri arabescati una serie di tavoli, alcuni dei quali sono occupati da persone intente a mangiare e intorno ai quali si muovono numerosi camerieri.

— Qui si mangia!… — dice il secondo violino consultando con lo sguardo i suoi compagni affamati.

Ciò gli vale questa laconica risposta di Pinchinat: — Entriamo. E uno dietro l'altro entrano nel ristorante. Nel locale, frequentato

abitualmente dagli stranieri, la loro presenza non viene notata in modo particolare. Cinque minuti dopo i nostri affamati attaccano con energia i primi piatti di un ottimo pranzo di cui Pinchinat, che se ne intende, ha stabilito il menu. Fortunatamente il portafogli del quartetto è ben fornito e poi, se si vuotasse a Standard-Island, i guadagni di San Diego torneranno ben presto a riempirlo.

Ottima cucina, molto superiore a quella degli alberghi di New York o di San Francisco, preparata su fornelli elettrici adatti ugualmente bene sia al fuoco basso sia al fuoco vivo. Con la zuppa di ostriche conservate, la polenta con salsa fricassea, i sedani crudi e la composta di rabarbaro, che sono tradizionali, si succedono piatti di pesce freschissimo, rumsteaks straordinariamente teneri, cacciagione proveniente, senza dubbio, dalle praterie e dalle foreste della California, legumi delle coltivazioni intensive dell'isola. Le bevande non si limitano all'acqua ghiacciata, secondo la moda americana, ma comprendono diverse qualità di birra e di vini che i vigneti di Borgogna, di Bordeaux e del Reno hanno versato, e ci si può immaginare a che prezzo, nelle cantine di Milliard-City.

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Questo pranzo rinvigorisce i nostri parigini e il loro modo di ragionare ne risente subito. Sembra che comincino a vedere l'avventura loro capitata sotto una luce meno fosca. Tutti sanno che i musicisti sono grandi bevitori: ma se questo può essere naturale per coloro che consumano il fiato per far uscire le onde sonore dagli strumenti a fiato appunto, è meno giustificabile nel caso di quanti suonano strumenti a corda. Non fa nulla! Yvernès, Pinchinat, lo stesso Frascolin cominciano a vedere rosa e addirittura dorata la vita in quella città di miliardari. Solo Sébastien Zorn, pur tenendo testa agli amici, non lascia annegare la collera nei vini francesi d'annata.

A farla corta, quando viene il momento di chiedere il conto il quartetto, come si suol dire in Francia, è «partito», e bene. La nota viene consegnata a Frascolin, cassiere della compagnia, da un maitre in frac.

Il secondo violino getta lo sguardo sul totale, si alza, torna a sedersi, si stropiccia gli occhi, alza lo sguardo al soffitto.

— Che ti succede?… — domanda Yvernès. — Mi ha preso un brivido dalla punta dei capelli alla punta dei

piedi! — risponde Frascolin. — È caro?… — Altro che caro… Sono duecento franchi… — In quattro?… — No… a testa. Infatti sono centosessanta dollari, né più né meno, e il conto

dettagliato elenca i volatili a quindici dollari, il pesce a venti, i rumsteaks a venticinque, il Medoc e il Borgogna a trenta dollari la bottiglia, e il resto in proporzione.

— Capperi!… — esclama Sua Altezza. — Ladri!… — urla Sébastien Zorn. Queste espressioni pronunciate in francese non vengono capite dal

sussiegoso maitre. Tuttavia egli sembra sospettare qualcosa di quanto sta accadendo. Ma, se sulle sue labbra appare un lieve sorriso, è il sorriso della sorpresa, non quello del disprezzo: a lui sembra naturalissimo che un pranzo per quattro persone costi centosessanta dollari. Sono i prezzi normali di Standard-Island.

— Non facciamo scandali! — fa Pinchinat. — La Francia ci

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guarda! Paghiamo… — E in qualsiasi modo — replica Frascolin — partiamo per San

Diego. Altrimenti, fra due giorni non ci resterebbe il denaro per comprare un panino!

Dopodiché, estrae il portafogli, ne toglie un rispettabile numero di biglietti di banca, di dollari, che, fortunatamente, hanno corso legale anche a Milliard-City e sta per pagare il cameriere, quando si ode una voce dire:

— Questi signori non devono pagare. È la voce di Calistus Munbar.

Lo yankee è appena entrato nella sala, allegro, sorridente, sprizzante buon umore, come il solito.

— Lui! — grida Sébastien Zorn che ha una gran voglia di mettergli le mani intorno al collo e di stringerglielo come stringe il manico del suo violoncello nei forte.

— Calmatevi, caro Zorn — fa l'americano — e vogliate passare con i vostri compagni nel salone dove ci aspetta il caffè. Là potremo chiacchierare con tutto comodo e alla fine della conversazione…

— Vi strangolerò! — completa Sébastien Zorn. — No… mi bacerete le mani… — Non vi bacerò un bel niente! — esclama il violoncellista rosso

e bianco di collera al tempo stesso. Un istante dopo Calistus Munbar si dondola su una rocking-

chair19 mentre i suoi invitati hanno preso posto su morbidi divani. Ed ecco quanto egli dice presentando se stesso agli ospiti: — Calistus Munbar di New York; ho cinquant’anni e sono

pronipote del famoso Barnum; attualmente sono sovrintendente alle Belle Arti a Standard-Island, incaricato di tutto ciò che concerne la pittura, la scultura, la musica e più in generale tutti i piaceri di Milliard-City. Ed ora che mi conoscete, signori…

— Non siete forse — chiede Sébastien Zorn — per caso, anche un agente di polizia incaricato di attirare la gente in qualche trappola e di mantenervela suo malgrado…

— Non giudicatemi affrettatamente, collerico violoncellista, —

19 Poltrona a dondolo. (N.d.T.)

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ribatte il sovrintendente — lasciatemi finire. — Finite pure — risponde Frascolin, serio — vi ascoltiamo. — Signori — riprende Calistus Munbar assumendo una posa

elegante — nel corso di questo colloquio desidero trattare con voi solo il problema musica, esattamente come si presenta oggi nella nostra isola a elica. Milliard-City non possiede ancora teatri, ma quando ne vorrà essi sorgeranno dal suolo come per incanto. Finora i nostri concittadini hanno soddisfatto la loro passione per la musica, chiedendo ad apparecchi perfezionati di tenerli al corrente dei capolavori lirici. I compositori antichi e moderni, i grandi artisti del momento, gli esecutori più alla moda, possiamo udirli quando vogliamo grazie al fonografo…

— Un pappagallo il vostro fonografo! — fa sprezzante Yvernès. — Non tanto quanto potete credere, signor primo violino —

replica il sovrintendente. — Noi possediamo apparecchi che hanno commesso più di una volta l'indiscrezione d'ascoltarvi, quando vi esibivate a Boston o a Filadelfia. E se lo desiderate, potrete applaudirvi con le vostre stesse mani…

A quest'epoca le invenzioni del celebre Edison hanno raggiunto la massima perfezione. Il fonografo non è più la scatola musicale a cui all'origine assomigliava fin troppo. Grazie al suo straordinario inventore, l'effimero talento degli esecutori, concertisti, o cantanti, può venire conservato all'ammirazione dei posteri con la stessa precisione dell'opera degli scultori e dei pittori. Un'eco, se si vuole, ma un'eco fedele come una fotografia, che riproduce le sfumature e le delicatezze del canto o dell'esecuzione in tutta la loro inalterabile purezza.

Calistus Munbar mette tanto calore nel dire queste cose, che gli ascoltatori ne sono impressionati. Parla di Saint-Saëns, di Reyer, di Thomas, di Gounod, di Massenet, di Verdi e degli eterni capolavori di Berlioz, di Meyerbeer, di Halévy, di Rossini, di Beethoven, di Haydn, di Mozart, da persona che li conosce a fondo, che li apprezza, che ha consacrato la sua già lunga esistenza di impresario a diffonderli; fa piacere ascoltarlo. Non sembra tuttavia che sia stato contagiato dall'epidemia wagneriana che del resto a quest'epoca sta decrescendo.

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Pinchinat, approfittando di un momento di calma dovuto al fatto che l'altro si è fermato per riprendere fiato:

— Tutto questo va benissimo — dice — ma la vostra Milliard-City, a quanto vedo, ha sempre ascoltato soltanto musica in scatola, della conserva di musica, che le viene spedita come le sardine sott'olio e la carne salata…

— Perdonatemi, signora «viola». — La mia Altezza vi perdona, insistendo però su questo punto: i

vostri fonografi riproducono solo il passato, e a Milliard-City non è mai possibile ascoltare un artista nel momento in cui sta eseguendo il suo pezzo…

— Vi domando perdono ancora una volta. — L'amico Pinchinat vi perdonerà quanto volete, signor Munbar

— dice Frascolin. — Ha le tasche piene di perdono. Ma la sua osservazione è giusta. Almeno, poteste mettervi in comunicazione con i teatri d'America e di Europa…

— Ma, caro Frascolin, credete che questo sia impossibile? — esclamò il sovrintendente cessando di dondolarsi nella poltrona.

— Come dite?… — Dico che è solo una questione di denaro, e la nostra città è

abbastanza ricca per soddisfare tutti i suoi ghiribizzi e tutte le sue aspirazioni liriche! E l'ha fatto…

— E come?… — Per mezzo dei teatrofoni installati nella sala dei concerti di

questo Casino. La compagnia non possiede forse diversi cavi sottomarini immersi sotto le acque del Pacifico, collegati per un'estremità con Madeleine-bay e aventi l'altra appesa a solide boe? Ebbene, quando i nostri concittadini vogliono ascoltare un cantante del Vecchio o del Nuovo Mondo, si ripesca uno dei cavi e si invia un ordine telefonico agli agenti di Madeleine-bay. Costoro stabiliscono la comunicazione sia con l'America, sia con l'Europa. Si raccordano i fili o i cavi con questo o quel teatro, con questa o quella sala di concerti e i nostri musicofili seduti qui al Casino assistono effettivamente a quelle lontane esecuzioni ed applaudono…

— Ma laggiù i loro applausi non vengono uditi!… — esclama Yvernès.

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— Vi domando scusa, signor Yvernès, si sentono per mezzo del filo di ritorno.

E Calistus Munbar si butta a perdifiato in considerazioni trascendenti sulla musica ritenuta non solo come una manifestazione dell'arte, ma come agente terapeutico. In base al sistema di J. Harford, di Westminster Abbey, gli abitanti di Milliard-City hanno avuto modo di constatare di persona gli straordinari risultati di questa applicazione dell'arte lirica. Quel sistema li mantiene in perfetto stato di salute. Poiché la musica esercita un'azione che si riflette sui centri nervosi, le vibrazioni armoniche permettono la dilatazione dei vasi arteriosi, influiscono sulla circolazione, la accrescono o la diminuiscono secondo le necessità. Grazie alla tonalità e all'intensità dei suoni, la musica accelera i battiti del cuore e il moto respiratorio, coadiuvando la nutrizione dei tessuti. Per questo a Milliard-City funzionano stazioni d'energia musicale, che trasmettono per via telefonica le onde sonore a domicilio, ecc.

Il quartetto ascolta a bocca aperta. Esso non ha mai sentito parlare della propria arte dal punto di vista medico, e probabilmente non ne prova molto piacere. Nondimeno ecco il fantasioso Yvernès pronto ad entusiasmarsi per queste teorie che del resto risalgono ai tempi di re Saul secondo la formula del celebre arpista David.

— Sì!… sì!… — esclama alla fine della tirata del sovrintendente — è una terapia indicatissima, basta scegliere secondo la diagnosi! Wagner e Berlioz per i temperamenti anemici…

— E Mendelssohn o Mozart per i temperamenti sanguigni, il che sostituisce vantaggiosamente il bromuro — replica Calistus Munbar.

Ma a questo punto interviene Sébastien Zorn riportando sulla terra il discorso salito a così alto livello.

— Non si tratta di questo — fa. — Perché ci avete portati qui? — Perché gli strumenti a corda sono quelli che esercitano l'azione

più potente… — Davvero, signore! Ed è per calmare le vostre nevrosi ed i vostri

nevrotici, che avete interrotto il nostro viaggio, che ci impedite di arrivare a San Diego dove domani dovevamo dare un concerto?

— Proprio per questo, amici carissimi! — Così in noi non avete visto che una specie di studenti di

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medicina musicale, o di farmacia lirica?… — sbotta Pinchinat. — No, signori, — risponde Calistus Munbar alzandosi. — In voi

ho visto solo degli artisti di grande ingegno e di gran fama. Gli applausi che hanno accolto il Quartetto Orchestrale nelle sue tournées in America, sono giunti fino alla nostra isola. E la Standard-Island Company ha pensato che era venuto il momento di sostituire ai fonografi e ai teatrofoni, degli artisti autentici, tangibili in carne ed ossa, e di offrire così agli abitanti di Milliard-City l'inesprimibile godimento di un'esecuzione diretta dei capolavori dell'arte. Prima d'organizzare dei concerti operistici, ha voluto cominciare con la musica da camera: e ha pensato a voi che siete i rappresentanti più qualificati in questo campo. Essa mi ha dato incarico di avervi a qualunque prezzo, di rapirvi se fosse stato necessario. Voi siete dunque i primi artisti che hanno avuto accesso a Standard-Island, e vi lascio immaginare quale accoglienza vi aspetta!

Yvernès e Pinchinat si sentono molto scossi dall'entusiastico frasario del sovrintendente. Non passa loro minimamente per la mente che potesse trattarsi di una mistificazione. Frascolin, invece, che è riflessivo, si domanda se è il caso di prendere sul serio questa avventura. Dopo tutto, in un'isola così straordinaria, perché le cose non devono apparire sotto un aspetto straordinario? Sébastien Zorn, però, è ben deciso a non arrendersi.

— No, signore — esclama — non ci s'impadronisce così delle persone senza chiedere il loro assenso!… Vi denunceremo!…

— Denunciarmi!… quando, invece, dovreste subissarmi di ringraziamenti, ingrati che non siete altro! — replica il sovrintendente.

— E otterremo un indennizzo, signore… — Un indennizzo… quando io vi offro cento volte di più di quello

che potreste sperare… — Di che si tratta? — domanda il pratico Frascolin. Calistus Munbar estrae il suo portafogli e ne toglie un foglio di

carta con l'intestazione di Standard-Island. Quindi lo porge agli artisti e dice:

— Le vostre quattro firme in calce a questo contratto, e l'affare è fatto.

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— Firmare senza avere letto?… — risponde il secondo violino. — Ma questo non si è mai visto!

— Ad ogni modo, non avreste motivo di pentirvene! — ribatte Calistus Munbar, abbandonandosi a un accesso d'ilarità che gli scuote tutto il corpo. — Ma seguiamo una procedura regolare. La Compagnia vi propone un contratto, un contratto di un anno a partire da oggi, con lo scopo di eseguire della musica da camera, esattamente come indicavano i vostri programmi d'America. Fra dodici mesi Standard-Island sarà di ritorno a Madeleine-bay, dove arriverete in tempo…

— Per il nostro concerto di San Diego forse?… — esclama Sebastien Zorn. — Ma San Diego ci accoglierà a suon di fischi…

— No, signori, con ovazioni e applausi. Gli amatori sono sempre fin troppo felici e onorati di poter ascoltare artisti come voi… anche con un anno di ritardo!

Come si fa a tenere il muso a un uomo simile? Frascolin prende il foglio e lo legge attentamente. — E che garanzia avremo? — domanda. — La garanzia della Standard-Island Company con la firma del

signor Cyrus Bikerstaff, nostro governatore. — E gli emolumenti saranno quelli che vedo indicati nel

contratto?… — Precisamente, cioè un milione di franchi… — Per quattro?… — esclama Pinchinat. — Per ognuno — risponde sorridendo Calistus Munbar — e

questa cifra è decisamente inferiore al vostro valore che non potrebbe in nessun modo venire ricompensato equamente!

È un fatto che non si può essere più amabili di così. Ciononostante Sébastien Zorn protesta: non intende accettare a nessun prezzo, vuole partire per San Diego e Frascolin riesce con gran fatica a calmare la sua indignazione.

D'altronde davanti alla proposta del sovrintendente non si può nascondere una certa diffidenza. Un contratto di un anno, con il compenso di un milione per ciascuno, può essere preso sul serio?… Sul serissimo, e Frascolin lo può constatare quando chiede:

— E il pagamento di questi emolumenti?…

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— Avverrà in quattro trimestralità — risponde il sovrintendente — ed ecco il primo trimestre.

Con i biglietti di banca che gonfiano il suo portafogli, Calistus Munbar fa quattro pacchetti da cinquantamila dollari l'uno, ossia duecentocinquantamila franchi, e li consegna a Frascolin e ai suoi amici.

Ecco un modo simpatico di trattare gli affari, all'americana. Sébastien Zorn non può fare a meno di mostrarsi alquanto scosso.

Però, siccome il suo cattivo umore non è ancora placato, non può trattenersi dal commentare:

— Bah, alla fin fine, con i prezzi che ci sono sulla vostra isola, se ci vogliono venticinque franchi per una pernice, ce ne vorranno, senza dubbio, cento per un paio di guanti e cinquecento per un paio di scarpe…

— Oh! signor Zorn — esclama Calistus Munbar — la Compagnia è superiore a queste sciocchezze e desidera che gli artisti del Quartetto Orchestrale siano esentati da qualunque spesa durante il loro soggiorno nel suo territorio!

Come rispondere a delle offerte tanto generose se non apponendo subito le firme in calce al contratto?…

È appunto quanto fanno Frascolin, Pinchinat e Yvernès. Sébastien Zorn borbotta che tutto questo è assurdo… che non c'è il minimo buon senso ad imbarcarsi su un'isola ad elica… che si vedrà come finiranno le cose… Ma alla fine si decide a firmare.

Adempiuta questa formalità, Frascolin, Pinchinat e Yvernès se non baciano la mano a Calistus Munbar, perlomeno gliela stringono molto amichevolmente. Quattro strette di mano di un milione l'una!

Ed ecco in che modo il Quartetto Orchestrale viene a trovarsi coinvolto in un'inverosimile avventura e come i suoi membri sono divenuti gli invitati inviti di Standard-Island.

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CAPITOLO VII

ROTTA A OVEST

STANDARD-ISLAND fila dolcemente sulle acque di quell'Oceano Pacifico che a quest'epoca dell'anno giustifica pienamente il suo nome. Abituati da ventiquattr'ore a quel movimento tranquillo, Sébastien Zorn e i suoi amici non si accorgono nemmeno più di star navigando. Per potenti che siano le centinaia di eliche mosse da una forza di dieci milioni di cavalli, attraverso lo scafo metallico dell'isola si propaga solo un leggero fremito. Milliard-City non trema sulla sua base e non si sentono nemmeno le oscillazioni causate dall'onda lunga alle quali pure devono sottostare anche le maggiori corazzate della marina da guerra. Nelle case non vi sono né mobili né lampade antirollio.

Infatti, a cosa servirebbero? Le case di Parigi, di Londra, di New York non sono certo fissate più saldamente sulle loro fondamenta.

Dopo alcune settimane di sosta a Madeleine-bay, il Consiglio dei notabili di Standard-Island, riunito per cura del presidente della Compagnia, aveva fissato il programma dello spostamento annuale. L'isola a elica avrebbe toccato i maggiori arcipelaghi del Pacifico orientale, in mezzo a quell'atmosfera igienica, tanto ricca di ozono, di ossigeno condensato, elettrizzato, dotato di particolarità attive che non sono possedute dall'ossigeno allo stato ordinario. Poiché il natante ha libertà di movimenti, ne approfitta e può così a piacere dirigersi sia verso ovest sia verso est, avvicinarsi al litorale americano, se lo preferisce, o andare a visitare le coste orientali dell'Asia, se ne ha piacere. Standard-Island va dove vuole in modo da poter gustare le distrazioni di una navigazione variata. E se addirittura volesse abbandonare il Pacifico per l'Oceano Indiano o per l'Atlantico, scapolare il Capo Horn o quello di Buona Speranza, non dovrebbe fare altro che prendere quella direzione e state pur certi

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che né correnti né tempeste le impedirebbero di raggiungere la sua mèta.

Ma non è il caso di andare a fare rotta fin su quei mari lontani, dove il Gioiello del Pacifico non troverebbe ciò che questo oceano invece gli offre lungo lo sgranarsi interminabile dei suoi gruppi di isole. Esso è un teatro vasto quanto basta per permettere svariati itinerari. L'isola ad elica poteva percorrerlo da un arcipelago all'altro. Se essa non è dotata di quell'istinto caratteristico degli animali, quel sesto senso dell'orientamento che li guida là dove li chiamano i loro bisogni, pure è diretta da una mano sicura, che segue un programma discusso a lungo e approvato all'unanimità.

Fino ad allora non c'era mai stato disaccordo di sorta fra i drittesi e i sinistresi: e in quel momento era appunto in seguito a una decisione presa che si procedeva ad ovest verso il gruppo delle isole Sandwich. La distanza di milleduecento leghe che separava quel gruppo di isole dal punto dove s'era imbarcato il quartetto, sarebbe stata percorsa da Standard-Island, in un mese, mantenendo una velocità moderata; essa, alla fine, sarebbe andata a fermarsi in quell'arcipelago fino al giorno in cui le sarebbe convenuto raggiungere un altro punto dell'emisfero meridionale.

L'indomani di quel giorno memorabile i componenti del quartetto abbandonano l'Excelsior Hotel e prendono possesso di un appartamento del Casino, messo a loro disposizione: appartamento con ogni comodità e ammobiliato con una certa ricercatezza.

Dalle sue finestre si verde tutta la Prima Avenue. Sébastien Zorn, Frascolin, Pinchinat e Yvernès hanno una camera per ciascuno disposte intorno a un salone comune. Il cortile centrale dell'edificio offre loro l'ombra dei suoi alberi frondosi e la freschezza delle sue fontane gorgoglianti. Da una parte di quel cortile si trova il Museo di Milliard-City, dall'altra la sala da concerto dove le esecuzioni degli artisti parigini avrebbero sostituito certamente con maggiore successo i fonografi e i teatrofoni. Due, tre, quante volte al giorno lo avessero desiderato, avrebbero trovato il loro tavolo apparecchiato nella sala da pranzo, dove il cameriere non avrebbe più presentato loro un conto inverosimile.

Quella mattina, quando tutt'e quattro si trovano riuniti nel salone

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prima di scendere per la colazione, Pinchinat domanda: — Ebbene, signori violini, che cosa dite di quanto vi sta

accadendo? — Un sogno — risponde Yvernès — un sogno per il quale siamo

stati scritturati a un milione l'anno… — Resta però da vedere come andrà a finire… Molto male, io

temo! — esclama Sébastien Zorn, poiché da quel testardo che era voleva trovare per forza la foglia di rosa nel letto in cui si era coricato suo malgrado.

— E poi… il nostro bagaglio?… — aggiunge allarmato. Infatti il loro bagaglio, che doveva essere arrivato a San Diego,

non poteva certamente tornare indietro e tantomeno i loro proprietari potevano andarlo a ritirare.

Oh! un bagaglio molto semplice: poche valigie, un po' di biancheria, qualche oggetto personale da toeletta, alcuni vestiti di ricambio e gli abiti ufficiali che gli artisti indossano quando devono esibirsi davanti al pubblico.

Ma in quanto a ciò non c'è davvero da preoccuparsi. In quarantott'ore quel guardaroba ormai fuori moda sarebbe stato rimpiazzato da una serie di nuovi indumenti, messi a disposizione dei quattro artisti e senza che essi avessero dovuto pagare millecinquecento franchi i loro abiti e cinquecento franchi le loro scarpe.

Del resto Calistus Munbar, felicissimo per avere condotto a termine con tanta abilità quell'affare così delicato, vuole che i componenti il quartetto non abbiano da esprimere nessun desiderio. È impossibile pensare un sovrintendente più squisitamente cortese! Egli occupa uno degli appartamenti del Casino, i cui vari servizi sono sotto la sua alta direzione e la Compagnia gli passa uno stipendio adeguato alla sua ragguardevole posizione e alla sua munificenza… Preferiamo non indicarne nemmeno la cifra.

Il Casino comprende sale di lettura e da gioco; ma il «baccarà», il «trente et quarante», la «roulette», il «poker» e gli altri giochi d'azzardo sono rigorosamente vietati. C'è inoltre una sala per fumatori dove viene convogliato direttamente il fumo di tabacco preparato da una società fondata di recente. Il fumo di tabacco,

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bruciato nei fornelli di uno stabilimento centrale, purificato e liberato dalla nicotina, viene distribuito a ciascun fumatore per mezzo di tubi muniti di un boccaglio d'ambra. Non si deve fare altro che applicarvi le labbra e un contatore registra il consumo quotidiano.

In quel Casino dove gli appassionati possono ascoltare la musica che proviene da lontano, cui ora si sono aggiunti i concerti del Quartetto Orchestrale, si trovano anche le collezioni d'arte di Milliard-City. Agli amanti della pittura il museo, ricco di quadri antichi e moderni, offre numerosi capolavori acquistati a peso d'oro. Vi sono esposte tele di scuola italiana e olandese, tedesca e francese, che avrebbero potuto essere invidiate dalle gallerie d'arte di Parigi e Londra, di Monaco, Roma e Firenze: Raffaello e Leonardo da Vinci, Giorgione, Correggio, Domenichino e Ribera, Murillo, Ruysdaél e Rembrandt, Rubens, Frans Hals e Hobbema, Van Dyck, Holbein e così via. Poi, fra i moderni: Fragonard, Ingres, Delacroix, Scheffer, Cabat, Delaroche, Regnault, Couture, Meissonier, Millet, Rousseau, Jules Dupré, Brascassat, Mackart, Turner, Troyon, Corot, Daubigny, Baudry, Bonnard, Carolus Duran, Jules Lefebvre, Vollon, Breton, Binet, Yon, Cabanel e altri ancora. Al fine di assicurare loro un'eterna durata, quei quadri sono chiusi dentro speciali vetrine in cui preventivamente è stato creato il vuoto. Si può facilmente constatare che gli impressionisti e i futuristi non hanno ancora ingombrato con le loro tele quel museo; ma questa situazione non durerà ancora per lungo tempo e anche Standard-Island dovrà per forza sottostare a quella pestifera invasione dei decadenti dell'arte. Il museo possiede anche statue di gran valore, marmi di famosi scultori antichi e moderni, sistemati nei cortili del Casino. Grazie a quel clima senza piogge né nebbie, gruppi marmorei, statue e busti possono resistere tranquillamente agli oltraggi del tempo.

Sarebbe pretendere troppo che quelle meravigliose raccolte di capolavori fossero visitate molto più spesso e che i nababbi di Milliard-City dimostrassero di possedere un gusto molto più raffinato per quelle produzioni d'arte e che anche il loro senso artistico fosse più sviluppato. Tuttavia dobbiamo segnalare che la sezione drittese conta un maggior numero di intenditori d'arte della sezione sinistrese. Tutti, del resto, sono d'accordo sul fatto che è

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necessario acquistare qualche capolavoro messo all'asta: con offerte vantaggiose sarebbero riusciti a strapparlo a tutti i duchi d'Aumale e a tutti gli Chauchard dell'antico e del nuovo continente.

I locali più frequentati del Casino sono le sale di lettura, destinate alle riviste, ai giornali europei o americani recapitati dai vapori di Standard-Island nel loro regolare servizio con Madeleine-bay. Dopo essere state sfogliate, lette e rilette, le riviste vengono sistemate negli scaffali della biblioteca dove si trovano allineate parecchie migliaia di opere, la cui classificazione necessita la presenza di un bibliotecario con uno stipendio di venticinquemila dollari e che, senz'altro, è il meno occupato di tutti i funzionari dell'isola. Quella biblioteca contiene anche un certo numero di libri-fonografo, non c'è nemmeno la fatica di leggerli: basta premere un bottone e si può ascoltare la voce di un eccellente annunciatore che procede alla lettura; figuratevi la Fedra di Racine 20 letta da Legouvé!

I giornali «locali» sono redatti, composti e stampati negli stabilimenti tipografici del Casino sotto la direzione di due capi-redattori. Un giornale è lo «Starboard-Chronicle» per la sezione drittese; l'altro, il «New-Herald», per la sezione dei sinistresi. Le notizie di cronaca riguardano fatti diversi: gli arrivi e le partenze dei piroscafi, le notizie sulle condizioni del mare, gli scontri marittimi, i rialzi e i ribassi In Borsa, i rilievi quotidiani della longitudine e della latitudine, le decisioni del Consiglio dei notabili, gli ordini del governatore e gli atti dello stato civile: nascite, matrimoni, morti; queste ultime molto rare. D'altronde non ci sono mai stati né furti, né assassini e l'unico tribunale funziona solo per le cause civili, per qualche contestazione. Non fanno nemmeno notizia sensazionale gli articoli sui centenari, poiché la longevità degli abitanti dell'isola non era solo il privilegio di pochi.

Per quanto riguarda la politica estera, essa è tenuta aggiornata dalle comunicazioni telefoniche con Madeleine-bay dove fanno capo i cavi sottomarini che attraversano il Pacifico. In tal modo i Milliardesi sono tenuti al corrente di tutto ciò che avviene nelle varie parti del mondo, quando naturalmente gli avvenimenti sono di un

20 Jean Racine (1639-99), poeta tragico francese. (N.d.R.)

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certo interesse. Aggiungiamo, inoltre, che lo «Starboard-Chronicle» e il «New-Herald» non si fanno concorrenza. Fino allora non si erano data battaglia, ma non si poteva certo giurare che quello scambio di cortesie potesse durare eternamente. Erano molto tolleranti e concilianti sul terreno religioso: la religione protestante e quella cattolica vivevano in buona armonia a Standard-Island.

Chissà, poi, se in avvenire si sarebbe intrufolata la politica apportatrice di odi o se la nostalgia degli affari o delle questioni d'interesse personale e d'amor proprio, avrebbe avuto buon gioco, chissà?…

Oltre a quei due giornali vengono distribuiti anche giornali settimanali o mensili riproducenti gli articoli apparsi sui fogli esteri, quelli riguardanti i successori di Sarcey, di Lemaìtre, di Charmes, di Fournel, di Deschamps, di Fouquier, di France e di altri critici famosi; poi ci sono le riviste illustrate, senza contare una dozzina di notiziari letterari, teatrali e di spettacolo, inerenti alle mondanità quotidiane. Questi hanno il preciso scopo di distrarre per un momento, il lettore, con particolare riguardo allo spirito e allo stesso tempo… allo stomaco. Veramente! Alcuni di questi sono stampati sopra una pasta commestibile con inchiostro al cioccolato. Alla fine della lettura si mangiano come prima colazione. Alcuni sono astringenti, altri leggermente purgativi e i corpi dei lettori ne hanno un gran giovamento. I componenti il quartetto hanno trovato quest'invenzione tanto piacevole quanto pratica.

— Ecco una lettura di facile digestione! — osserva giudiziosamente Yvernès.

— E una letteratura nutriente! — risponde Pinchinat. — Pasticceria e letteratura in dolce connubio… ciò va perfettamente d'accordo con la musica igienica!

Ma ora viene spontaneo domandarsi di quali risorse disponeva l'isola a elica per poter mantenere la sua popolazione in tali condizioni di benessere, da non poterne trovare l'uguale in nessun'altra città della terra. Bisogna che le sue rendite raggiungano una cifra favolosa, date le spese sostenute per qualsiasi servizio e gli stipendi devoluti agli impiegati più modesti.

E quando i nostri quattro amici si rivolgono al sovrintendente per

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avere delucidazioni in merito: — Qui non si tratta di affari — risponde loro. — Qui noi non

abbiamo né Board of Trade,21 né Borsa, né industrie. In fatto di commercio, poi, si svolge quello normale che serve all'isola e noi non potremo mai offrire agli stranieri l'equivalente della World's Fair di Chicago del 1893 o dell'Esposizione di Parigi del 1900. No! la possente religione dei business da noi non esiste affatto e lanciamo il grido di go ahead!22 soltanto perché il Gioiello del Pacifico proceda avanti per la sua strada. Non è dunque da un certo giro di affari che noi ricaviamo le risorse necessarie per il mantenimento di Standard-Island, ma dalla dogana. Certamente! I diritti di dogana ci permettono di sopperire a tutti quanti i nostri bisogni, e alle esigenze del nostro bilancio…

— E questo bilancio?… — chiese Frascolin. — Si aggira sui venti milioni di dollari, miei buoni amici! — Cento milioni di franchi — ribatte il secondo violino — e per

un'isola di sole diecimila anime!… — Precisamente, mio caro Frascolin, e questa somma ci proviene

solo dai dazi doganali. Non abbiamo nulla da esportare poiché le produzioni locali sono assolutamente insignificanti. No!: abbiamo i soli diritti percepiti a Tribord-Harbour ed a Babord-Harbour. Ciò vi spiega l'alto prezzo dei generi di consumo, prezzo relativamente alto, s'intende, poiché, per quanto vi sembri elevato, è rapportato ai mezzi di cui ciascuno dispone.

Ed ecco Calistus Munbar entusiasmarsi di nuovo nel tessere elogi alla sua città e alla sua isola, un pezzo di pianeta celeste caduto in mezzo al Pacifico, un Eden galleggiante dove sono venute a rifugiarsi le persone assennate e se la vera felicità non è là, non si può certo trovarla in nessun altro luogo. Assomiglia a un imbonitore! Sembra che voglia dire: «Entrate, signori; acquistate i biglietti!… sono rimasti soltanto pochi posti!… e la rappresentazione sta per cominciare… Coraggio, fatevi avanti a prendere il biglietto!…»

È vero: i posti sono pochi ed biglietti molto cari! Bah! il sovrintendente si diverte a giocare con i miliardi che in quella città

21 Ministero del Commercio e dell'Industria. (N.d.T.) 22 Andiamo avanti! (N.d.T.)

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miliardaria non rappresentano che unità. Nel corso di quello sproloquio, in cui le frasi si accavallavano

come l'acqua di una cascata e i gesti si moltiplicavano come gli impulsi frenetici di un semaforo, il Quartetto Orchestrale viene messo al corrente di come si articolano i diversi rami dell'amministrazione cittadina. Si esaminano prima di tutto le scuole: in esse l'istruzione è gratuita e obbligatoria e sono dirette da professori pagati come ministri. Vi s'insegnano le lingue morte e le lingue moderne, la storia, la geografia, la fisica, la matematica e le belle arti molto meglio di quanto viene fatto, a detta di Calistus Munbar, in una università o accademia qualsiasi del vecchio mondo. La verità è che gli scolari non partecipano numerosi alle lezioni pubbliche e se l'attuale generazione possiede ancora qualche infarinatura degli studi fatti nei collegi degli Stati Uniti, la generazione che le sarebbe successa avrebbe avuto certamente più rendite che istruzione. Senza dubbio è questo il punto difettoso e forse è vero che gli uomini hanno soltanto da perdere, isolandosi in quella maniera dal resto dell'umanità.

A proposito: non si recano mai all'estero gli abitanti di quell'isola artificiale? Non vanno mai a visitare i Paesi d'oltremare, le grandi capitali d'Europa? Non percorrono mai le contrade cui il passato aveva legato tanti capolavori d'ogni specie? Sì! C'è qualcuno che, spinto dalla curiosità, è andato a visitare regioni molto lontane. Ma si è sempre affaticato; anzi, la maggior parte si è annoiata poiché non ha trovato nulla che ricordasse l'uniforme esistenza di Standard-Island; ha sofferto il caldo e il freddo; si è preso i reumatismi, mentre tutto ciò non è mai accaduto a Standard-Island. Così, alla fine, si sono affrettati a fare ritorno alla loro isola tutti coloro che avevano avuto, nella loro imprudenza, la malaugurata idea di abbandonarla. E poi: quale profitto hanno ricavato da quei viaggi? Nessuno. «Sono partiti in un baule e sono tornati in un sacco», come dice un antico proverbio e noi aggiungiamo: «E in un sacco sarebbero restati.»

Per quanto poi riguarda gli stranieri che la celebrità di Standard-Island avrebbe potuto interessarli, essendo considerata la nona meraviglia del mondo dal momento che, come si diceva, la torre Eiffel occupava l'ottavo posto, Calistus Munbar ritiene che non

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sarebbero mai stati in gran numero. Del resto non ci si teneva molto alla loro presenza, nonostante che gli ingressi dei due porti rappresentassero una notevole sorgente di rendite. Di coloro che avevano visitato l'isola l'anno precedente la maggior parte erano di origine americana: pochissimi gli appartenenti alle altre nazioni. Ciononostante si era visto anche qualche inglese, riconoscibile dai pantaloni rimboccati per il fatto che a Londra piove molto. Inoltre la Gran Bretagna aveva accettato mal volentieri la creazione di quella nuova isola che, a suo parere, era d'intralcio alla circolazione marittima e ne augurava la scomparsa. I Tedeschi, poi, erano accolti mal volentieri, come gente che avrebbero fatto di Milliard-City una seconda Chicago se si fosse lasciato prendere loro piede. Di tutti gli stranieri i Francesi erano quelli che la Compagnia accoglieva con maggiore simpatia, poiché non appartengono ai popoli europei con mire espansionistiche. Ma fino allora nessun francese aveva mai fatto la sua comparsa a Standard-Island?…

— Non è probabile — fa osservare Pinchinat. — Noi non siamo ricchi abbastanza — aggiunge Frascolin. — Per godere di rendita è possibile — risponde il sovrintendente

— ma non per ricoprire il ruolo di funzionario… — C'è dunque qualche nostro compatriota a Milliard-City ?… —

chiede Yvernès. — Ce ne è uno. — E chi è questo uomo privilegiato?… — Il signor Athanase Dorémus. — E che cosa fa il signor Athanase Dorémus?… — domanda

Pinchinat. — È professore di danza e di belle maniere largamente

ricompensato dall'amministrazione, senza parlare poi delle lezioni particolari pagate a parte…

— E che solo un francese è capace di dare — ribatte Sua Altezza. Adesso i quattro musicisti sanno che cosa pensare sull'organizzazione della vita amministrativa di Standard-Island. E non devono fare altro che abbandonarsi al piacere di quella navigazione che li avrebbe condotti verso la parte occidentale del Pacifico. Se non fosse stato che il sole ora si levava da una parte

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dell'isola, ora dall'altra, a seconda di come veniva orientata dal commodoro Simcoë, Sébastien Zorn e i suoi compagni avrebbero potuto credere di stare ancora sulla terraferma. Due volte, durante le settimane seguenti, scoppiarono uragani con burrasche violente e raffiche terribili, poiché ne avvengono anche sull'Oceano Pacifico nonostante il suo nome. Dal largo le ondate vennero a battere contro il guscio metallico e lo coprirono della loro schiuma come una scogliera del litorale. Ma Standard-Island non trema nemmeno sotto gli assalti di quel mare infuriato. I furori dell'Oceano si dimostrarono impotenti contro di essa. Il genio dell'uomo aveva vinto la natura. Dopo quindici giorni, l'11 giugno, finalmente ha luogo il primo concerto di musica da camera, il cui avviso a lettere elettriche era stato fatto percorrere su appositi tabelloni lungo le grandi avenues. È superfluo aggiungere che i musicisti prima di tutto erano stati presentati al governatore e alla municipalità. Cyrus Bikerstaff fece loro la più calorosa accoglienza. I giornali locali ricordarono i successi dei concerti dati dal Quartetto Orchestrale durante le sue tournées negli Stati Uniti d'America e se ne rallegrò vivamente il sovrintendente per essersi assicurato la partecipazione di quei musicisti, quantunque, come ben si sa, in maniera alquanto arbitraria. Che piacere vedere e, nello stesso tempo, ascoltare questi artisti mentre eseguono la musica dei grandi maestri! Che regalo per gli intenditori!

Per il fatto che i quattro Parigini siano stati scritturati per una serie di concerti al Casino di Milliard-City con un contratto favoloso, non si deve pensare che i loro concerti venissero offerti gratuitamente al pubblico. Tutt'altro. L'amministrazione conta di ricavarne un largo guadagno, come sono soliti fare quegl'impresari americani cui le cantanti costano un dollaro la nota. Come al solito, dal momento che si pagava per i concerti teatrofonici e fonografici del Casino, così si sarebbe pagato quel nuovo genere di concerto infinitamente più caro. I posti avevano un unico prezzo, cioè duecento dollari per ogni poltrona, vale a dire mille franchi francesi e Calistus Munbar si riprometteva anche di fare un pienone.

E non s'ingannò. Tutti i posti disponibili andarono a ruba. La confortevole ed elegante sala del Casino ne conteneva, è vero, solo

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un centinaio, e se si fossero messi all'asta non si sa a quale prezzo sarebbero saliti. Ma ciò sarebbe stato contrario alle abitudini di Standard-Island. Tutto ciò che ha un valore commerciale, sia le cose superflue sia le necessarie, era quotato anticipatamente dai listini. E, date le inverosimili ricchezze di alcuni abitanti di quell'isola, senza una tale precauzione si sarebbero potuti verificare spiacevoli accaparramenti che invece dovevano essere evitati nella maniera più assoluta. E vero anche che, se i ricchi drittesi frequentavano i concerti per amore dell'arte, i ricchi sinistresi non vi andavano forse che per convenienza.

Quando Sébastien Zorn, Pinchinat, Yvernès e Frascolin si esibivano davanti al pubblico di New York, di Chicago, di Filadelfia, di Baltimora, potevano ben dire senza tema di esagerazione: «Ecco un pubblico che vale parecchi milioni!» Ma quella sera sarebbero stati al di sotto della verità se non avessero detto «che vale parecchi miliardi». Si pensi: Jem Tankerdon, Nat Coverley e le loro famiglie occupavano le prime file. E negli altri posti, passim, un buon numero di veri intenditori che, pur essendo miliardari di seconda categoria, non per questo possedevano un «sacco meno pieno», come fece giustamente osservare Pinchinat.

— Andiamo — disse il capo del Quartetto Orchestrale quando giunse il momento di presentarsi sul palco.

E vi salirono con la stessa commozione che avrebbero provato nel presentarsi su un altro palco o nell'esibirsi davanti a un pubblico parigino, il quale, forse, avrebbe avuto meno denaro in tasca, ma si sarebbe rivelato più competente e dotato di un gusto artistico più elevato.

Bisogna dire che per quanto non avessero ancora preso lezione di belle maniere dal loro compatriota Dorémus, Sébastien Zorn, Yvernès, Frascolin e Pinchinat erano vestiti con estrema eleganza: cravatta bianca da 25 franchi, guanti grigio-perla da 50, camicia da 70, stivaletti da 180, panciotto da 200, pantaloni neri da 500 e giacca da 1500 franchi; tutto, beninteso, a spese dell'amministrazione. Al momento di presentarsi al pubblico una calda ovazione li accoglie; vengono applauditi con più calore dai drittesi e con più discrezione dai sinistresi: questione di temperamento.

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Il programma del concerto comprende quattro pezzi rintracciati nella Biblioteca del Casino, riccamente fornita per il solito interessamento del sovrintendente:

Primo quartetto in mi bemolle: Op. 12 di Mendelssohn. Secondo in fa maggiore: Op. 16 di Haydn. Decimo quartetto in mi bemolle: Op. 74 di Beethoven. Quinto in la maggiore: Op. 10 di Mozart. I quattro esecutori suonano a meraviglia, in quella sala da

miliardari, a bordo di quell'isola galleggiante, sulla superficie di un abisso che in quella parte del Pacifico superava i 5000 metri di profondità. Ottengono un successo strepitoso e giustificato, soprattutto davanti ai dilettanti della sezione drittese. Bisognava vedere il sovrintendente durante quella memorabile serata: era esultante. Si sarebbe detto che era stato lui a suonare allo stesso tempo con i due violini, con la viola e con il violoncello. Quale felice debutto per gli esecutori di quei concerti musicali e per il loro impresario!

Dobbiamo anche osservare che se la sala era piena, le vicinanze del Casino rigurgitavano di folla. Infatti, c'erano tutti quelli che non erano riusciti a procurarsi né una poltrona, né uno strapuntino, senza parlare di coloro che non erano potuti entrare nella sala per il prezzo troppo elevato dei posti. Quegli spettatori esterni erano costretti ad ascoltare una minima parte del concerto: lo percepivano da lontano come se quella musica uscisse dalla cassetta di un fonografo o dall'auricolare di un telefono. Ma non per questo i loro applausi furono meno calorosi.

E scoppiarono più fragorosi quando, terminato il concerto, Sébastien Zorn, Yvernès, Frascolin e Pinchinat si presentarono sulla terrazza del padiglione di sinistra. La Prima Avenue era inondata di raggi luminosi. Dall'alto le lune elettriche rovesciavano i loro raggi di cui la pallida Selene doveva certamente essere gelosa.

Di fronte al Casino sul marciapiede, un poco in disparte, una coppia attira l'attenzione d'Yvernès. C'è un uomo che tiene una donna appoggiata al suo braccio. L'uomo, la cui altezza è superiore alla media, dal volto distinto, severo e anche un poco triste, può avere una cinquantina d'anni. La donna, alta, dall'aria fiera, con qualche

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anno di meno, lascia scorgere sotto l'ala del cappello i capelli brizzolati dall'età.

Yvernès, colpito da quell'atteggiamento così riservato, mostra la coppia a Calistus Munbar.

— Chi sono? — gli domanda. — Quelle persone?… — risponde il sovrintendente, le cui labbra

si atteggiano a una smorfia sdegnosa. — Oh! quelli sono dei veri patiti della musica!…

— E perché allora non hanno preso posto nella sala del Casino?… — Senza dubbio perché per loro il prezzo era troppo alto. — A quanto ammonta la loro fortuna? — Dà una rendita di appena duecentomila franchi. — Peuh! — interviene Pinchinat. — E chi sono quei poveri

diavoli?… — Il re e la regina di Malécarlie.

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CAPITOLO VIII

IN NAVIGAZIONE

DOPO avere creato questo fantastico mezzo di navigazione la Standard-Island Company dovette provvedere alle esigenze di una doppia organizzazione sia marittima sia amministrativa.

La prima, come sappiamo, ha per direttore o piuttosto per capitano il commodoro Ethel Simcoë della marina degli Stati Uniti. È questi un uomo sulla cinquantina, esperto navigatore, profondo conoscitore di tutta la zona del Pacifico, delle sue correnti, delle sue tempeste, dei suoi scogli e delle sue frange coralline. È dotato perciò di una perfetta esperienza per guidare con mano sicura l'isola a elica affidata alle sue cure insieme con tutti i suoi ricchi abitanti che vi vivevano sopra e di cui egli era responsabile dinanzi a Dio e dinanzi agli azionisti della Società.

La seconda organizzazione, quella cioè che comprende i diversi servizi amministrativi, dipende da un governatore dell'isola.

Il signor Cyrus Bikerstaff è uno yankee del Maine, uno degli Stati federali che presero parte in tono minore alle lotte fratricide della Confederazione americana durante le guerre di secessione. Cyrus Bikerstaff, dunque, era stato scelto molto felicemente per conservare una giusta imparzialità fra le due sezioni dell'isola a elica.

Il governatore, la cui età sfiora la sessantina, è celibe. È un uomo freddo padrone di se stesso, energico sotto la sua flemmatica apparenza, di tipo inglese per il suo atteggiamento riservato, per le sue maniere da gentiluomo e per la sua diplomatica discrezione nell'improntare tutte quante le sue azioni come anche le sue parole. In un altro Paese fuori di Standard-Island sarebbe stato certamente un uomo molto considerevole e, di conseguenza, avrebbe goduto di grande considerazione. Ma su quell'isola, tutto sommato, non è che l'agente superiore della Compagnia. Oltre a ciò, quantunque il suo

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stipendio fosse pari a quello di un piccolo sovrano d'Europa, non è affatto ricco, e avrebbe certamente sfigurato di fronte ai nababbi di Milliard-City.

Cyrus Bikerstaff, oltre che governatore dell'isola, è anche il sindaco della capitale. Come tale occupa il palazzo comunale che sorge all'estremità della Prima Avenue, dalla parte opposta dell'Osservatorio dove ha la sua residenza il commodoro Ethel Simcoë. Là si trovano i suoi uffici, là vengono accolti tutti quanti gli atti dello stato civile: le nascite, con una media di natalità sufficiente per assicurare l'avvenire dell'isola; i decessi (i morti vengono tumulati nel cimitero di Madeleine-bay); i matrimoni che, secondo il codice di Standard-Island, prima che religiosamente devono essere celebrati civilmente. Là funzionano i diversi rami dell'amministrazione, che non danno mai luogo ad alcun reclamo da parte degli amministrati. Questo faceva veramente onore sia al sindaco sia ai suoi funzionari.

Quando Sébastien Zorn, Pinchinat, Yvernès e Frascolin gli furono presentati dal sovrintendente, ne provarono una favorevole impressione, quella appunto che deriva dalla personalità di un uomo giusto e buono, dotato di uno spirito pratico, che non si lascia trascinare né dai pregiudizi né dai sogni.

— Signori — disse loro — è una vera fortuna avervi con noi. Forse il mezzo usato a tale scopo dal nostro sovrintendente non è stato molto corretto. Ma sono sicuro che lo scuserete. D'altra parte non avrete da lamentarvi della nostra comunità municipale. Vi si chiederanno soltanto due concerti al mese, lasciandovi liberi di accettare gli inviti privati che vi potrebbero essere rivolti. A nome della comunità saluto in voi quattro musicisti di gran valore e non dimenticherò mai che voi siete i primi artisti che quest'isola ha avuto l'onore di ospitare.

I componenti del quartetto rimasero molto soddisfatti di quell'accoglienza e non nascosero certo la loro soddisfazione a Calistus Munbar.

— Sì! è un uomo molto amabile il signor Cyrus Bikerstaff — risponde il sovrintendente con una leggera scrollatina di spalle. — Dispiace solo che egli non possieda uno o due miliardi…

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— A questo mondo non si è mai perfetti! — fa di rimando Pinchinat.

Il sindaco governatore di Milliard-City viene coadiuvato nella semplicissima amministrazione dell'isola a elica da due segretari. Sotto i loro ordini un ristretto numero di impiegati, largamente retribuiti, era adibito ai diversi servizi. Non esiste la Giunta municipale. A che scopo? Essa è rimpiazzata dal Consiglio dei notabili composto da un trentina di persone scelte fra le più qualificate per le loro sostanze e per la loro intelligenza. Questo Consiglio si riunisce quando si deve prendere qualche decisione importante, come, per esempio, il tracciato dell'itinerario che deve essere seguito nell'interesse dell'igiene generale. Come potevano notare anche i nostri Parigini, su quell'argomento c'era talvolta da discutere e c'era sempre qualche difficoltà per trovare un accordo. Ma fino allora, grazie all'intervento abile e opportuno del signor Cyrus Bikerstaff, tutti gli interessi contrastanti si erano sempre potuti conciliare e accordare così le diverse opinioni dei suoi amministrati.

Naturalmente uno dei suoi aiutanti è protestante, Barthélemy Ruge, e l'altro cattolico, Hubley Harcourt, ambedue scelti fra i più alti funzionari della Standard-Island Company, che assecondavano con grande zelo l'opera di Cyrus Bikerstaff.

E così procedeva, già da diciotto mesi, completamente indipendente, al di fuori di ogni relazione diplomatica, libera sulla vasta superficie del Pacifico, al riparo dalle intemperie, ogni volta sotto un nuovo cielo, quell'isola artificiale sulla quale i quattro musicisti avrebbero trascorso un intero anno. Nessuno avrebbe potuto né immaginare, né temere le avventure che il destino stava per riservare a loro, nonostante i dubbi del violoncellista, poiché effettivamente tutto era regolato con ordine straordinario. Intanto, però, nel creare quel nuovo dominio artificiale, lanciato sulla superficie dell'Oceano immenso, il genio umano non aveva forse oltrepassato i limiti assegnati all'uomo dal suo Creatore?…

La navigazione sta procedendo verso l'Ovest. Ogni giorno, nel momento preciso in cui il sole supera il meridiano, gli ufficiali dell'osservatorio, agli ordini del commodoro Ethel Simcoë, ne rilevano il punto. Un quadrante a quattro facce, situato sui quattro lati

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del campanile del municipio, segna la posizione esatta della longitudine e della latitudine e quelle indicazioni vengono trasmesse telegraficamente agli angoli dei diversi crocicchi, nei palazzi, negli edifici pubblici, nell'interno delle case private insieme con l'ora che varia a seconda dell'avvenuto spostamento verso Oriente o verso Occidente. I Milliardesi possono dunque ad ogni istante conoscere il punto dell'itinerario occupato in quel momento da Standard-Island.

Se si esclude questo insensibile spostamento sulla superficie del mare, Milliard-City non presenta alcuna differenza con le altre grandi capitali dell'antico o del nuovo continente. L'andamento cittadino è praticamente identico; lo stesso dicasi per la vita pubblica e privata. Nel frattempo i nostri artisti, non troppo occupati, impiegano il loro tempo libero a visitare tutte quelle curiosità che si trovano sul Gioiello del Pacifico. I tram li conducono nei vari punti del litorale. Le due fabbriche d'energia elettrica suscitano in loro un vero senso di ammirazione per l'ordine così semplice del loro meccanismo: la potenza delle loro ruote che azionano un doppio ordine di eliche; l'ammirevole disciplina del loro personale diretto dall'ingegner Watson e dall'ingegner Somwah. A intervalli regolari Babord-Harbour e Tribord-Harbour accolgono nei loro bacini le navi destinate al servizio di Standard-Island, a seconda che la sua posizione presenti una certa facilità d'approdo.

Se l'ostinato Sébastien Zorn si rifiuta di ammirare quelle meraviglie, se Frascolin è il più moderato nei suoi sentimenti, in quale stato di esaltazione invece si trova di continuo l'entusiastico Yvernès! Secondo lui il XX secolo non sarebbe certamente trascorso senza vedere i mari di tutta la terra solcati da numerose città galleggianti. Quella avrebbe dovuto essere l'ultima parola in fatto di progresso e di comodità per l'avvenire. Che spettacolo meraviglioso quello di un'isola galleggiante che si accingeva a raggiungere le altre isole, sue consorelle, dell'Oceania! Pinchinat, poi, in quell'ambiente di favolose ricchezze, prova un certo senso di ebbrezza nel sentir parlare di milioni nello stesso modo come si parla in altri Paesi di una ventina di luigi. I biglietti di banca rappresentano la moneta corrente. In tasca, d'abitudine, non si tengono mai meno di due o tremila dollari. E più di una volta Sua Altezza ebbe a dire a

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Frascolin: — Amico mio, non avresti per caso in tasca una cinquantina di

mila franchi?… Nel frattempo quelli del Quartetto Orchestrale hanno fatto qualche

conoscenza, sicuri di trovare dovunque un'accoglienza eccellente. D'altronde chi è che di fronte a questi artisti protetti dall'autoritario Munbar non si sarebbe affrettato a riservare loro una buona accoglienza?

Prima d'ogni altro si sono recati a fare visita al loro compatriota Athanase Dorémus, professore di danza, di belle maniere e di buon portamento.

Quel buonuomo occupa nella sezione drittese una modesta casa nella Venticinquesima Avenue a tremila dollari d'affitto.

Ha per domestica una vecchia negra cui dà cento dollari al mese. Si può immaginare la sua felicità nel poter conoscere altri Francesi… Francesi che facevano onore alla patria.

È un vecchio sulla settantina d'anni, piuttosto magro, senza fianchi, piccolo di statura, con lo sguardo ancora vivo, con ancora tutti i denti sani e abbondanti capelli ricciuti e bianchi come la barba. Cammina con molta calma e con una certa cadenza ritmica, il busto spinto in avanti, le reni arcuate, le braccia tornite e i piedi con scarpe eleganti ma leggermente in fuori. I nostri artisti provano un gran piacere a farlo chiacchierare, ed egli si presta volentieri, dato che le sue belle maniere si adeguano alla sua loquacità.

— Come sono felice, miei cari compatrioti, come sono felice — continuò a ripetere per una ventina di volte alla loro prima visita — come sono felice di vedervi! Che idea eccellente avete avuto di venire a stabilirvi in questa città! Sono certo che non ve ne pentirete; da parte mia, dato che mi ci sono abituato non saprei concepire come sia possibile vivere in un'altra maniera!

— E da quanto tempo vi trovate qui, signor Dorémus? — chiede Yvernès.

— Da diciotto mesi — risponde il professore, assumendo una posizione di riposo — sono qui fino dalla fondazione di Standard-Island; grazie alle forti raccomandazioni di cui disponevo a New Orléans, dove abitavo, sono riuscito a far accettare con una certa

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facilità le mie prestazioni al signor Cyrus Bikerstaff, nostro beneamato governatore. Da quel benedetto giorno mi fu concesso uno stipendio per dirigere un conservatorio di danza, di belle maniere e di buon portamento che mi ha permesso di vivere…

— Da milionario! — esclama Pinchinat. — Oh! qui i milionari… — Lo so… lo so… mio caro compatriota. Ma da quanto ci ha

fatto intendere il sovrintendente, i corsi del vostro conservatorio non sarebbero troppo frequentati…

— Veramente i miei allievi sono solo in città e fra i giovani. Le ragazze americane si credono dotate fin dalla nascita di tutte le grazie necessarie.

Perciò i giovanotti preferiscono prendere lezioni in segreto, ed è in segreto che io cerco di inculcare loro le belle maniere francesi.

Mentre parlava continuava a sorridere, assumendo pose leziose come una vecchia civetta e atteggiandosi in graziose movenze.

Athanase Dorémus, della città di Santerre in Piccardia, aveva lasciato la Francia fin dalla sua prima giovinezza per andare a stabilirsi a New Orléans negli Stati Uniti. Là, fra la popolazione d'origine francese, nella nostra rimpianta Louisiana, non gli erano certo mancate le occasioni per esercitare il suo talento. Accolto nelle più altolocate famiglie, egli riscosse un gran successo e poté anche fare delle economie che, purtroppo, un giorno uno dei crack tipicamente americani si inghiottì. Ciò avvenne nel momento in cui la Standard-Island Company metteva in pratica l'idea dell'isola galleggiante, completando i suoi progetti, divulgando annunci pubblicitari, appellandosi a tutta quella gente straricca cui le linee ferroviarie, i pozzi di petrolio, il commercio dei maiali vivi o della loro carne in scatola avevano procurato ricchezze incalcolabili. Allora Athanase Dorémus ebbe l'idea di rivolgersi per un impiego al governatore della nuova città, dove i professori del suo stampo non si sarebbero certo fatti concorrenza. Ben noto alla famiglia Coverley, originaria di New Orléans e grazie alla raccomandazione del capo di essa, che stava per diventare uno dei personaggi più autorevoli fra i drittesi di Milliard-City, ecco come accadde che un francese, e un francese della Piccardia, venne annoverato tra i funzionari di

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Standard-Island. Era vero che le lezioni si davano soltanto in casa sua, e la sala per i corsi di danza del Casino vedeva soltanto la persona del professore riflessa negli specchi! Ma che importanza aveva, dal momento che il suo stipendio non subiva alcuna diminuzione?

Tutto sommato era un buonuomo, un po' ridicolo e maniaco, infatuato di se stesso e persuaso di aver ereditato le qualità dei Vestris e dei Saint-Leon, le tradizioni di eleganza dei Brummel e dei Seymour. Inoltre, agli occhi dei quattro musicisti egli era un compatriota, qualità questa che si apprezza maggiormente quando ci si trova a qualche migliaio di leghe lontani dalla patria.

A questo punto bisogna narrargli le ultime avventure dei quattro Parigini, raccontargli in quali condizioni sono arrivati sull'isola a elica, come Calistus Munbar li ha attirati a bordo, – è la parola esatta – e come l'isola si è messa in moto non appena vi hanno messo piede.

— Ecco ciò che non mi stupisce del nostro sovrintendente — risponde il vecchio professore. — Anche questo è uno dei suoi tiri mancini… Ne ha già fatti parecchi e ne farà ancora degli altri!… Un vero figlio di Barnum che finirà col compromettere la Compagnia… un tipo senza tanti scrupoli, che avrebbe bisogno di prendere qualche lezione di buona creanza… uno di quegli yankees che si sprofondano in una poltrona appoggiando i piedi sulla scrivania o sul davanzale della finestra!… In fondo, non è cattivo, ma crede che tutto gli sia permesso!… D'altronde, miei cari compatrioti, non pensate di serbargli rancore poiché, salvo l'inconveniente di non aver potuto dare il vostro concerto a San Diego, dovrete soltanto rallegrarvi della vostra permanenza qui a Milliard-City. Useranno per voi molti riguardi… cui sarete sensibili…

— Soprattutto alla fine di ogni trimestre! — aggiunge Frascolin, le cui funzioni di cassiere della compagnia cominciano a fargli assumere un certo tono d'importanza.

Per quanto concerne la rivalità esistente fra le due sezioni dell'isola, Athanase Dorémus conferma quanto aveva già detto Calistus Munbar. A suo parere, quello poteva rappresentare un punto nero sull'orizzonte e forse anche una minaccia di prossima burrasca. Fra i drittesi e i sinistresi c'era da temere un conflitto di interessi e di

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orgogli feriti. Le famiglie Tankerdon e Coverley, le più ricche del paese, erano pervase da una gelosia sempre crescente l'una contro l'altra e forse si sarebbe creata una pericolosa frattura se non si fosse verificato qualche particolare evento per riavvicinarle. Sì… proprio una frattura!

— Purché non faccia spaccare l'isola in due, noi non dobbiamo preoccuparcene… — osserva Pinchinat.

— Almeno fino a quando ci saremo noi! — aggiunge il violoncellista.

— Oh!… l'isola è solida, miei cari compatrioti! — ribatte Athanase Dorémus. — È da diciotto mesi che si sposta da una parte all'altra del mare e non le è mai capitato nessun incidente di una certa importanza. Solo qualche riparazione insignificante che non l'ha nemmeno costretta a rifugiarsi alla Madeleine-bay! Ricordatevi che il suo scafo è d'acciaio!

Ecco la risposta che va bene per tutto: e se a questo mondo non è l'acciaio che dà un'assoluta garanzia, di quale altro metallo ci si potrebbe fidare? L'acciaio in fondo non è che ferro, e lo stesso nostro globo nella sua quasi totalità che cos'è se non un enorme derivato di carbonio? Ebbene, Standard-Island assomiglia alla terra in piccolo.

Pinchinat vuole allora domandare al professore che cosa ne pensa di Cyrus Bikerstaff.

— Anche lui è d'acciaio?… — Sì, signor Pinchinat — risponde Athanase Dorémus. — Dotato

di una grande energia, è un abilissimo amministratore. Malauguratamente a Milliard-City non è sufficiente essere d'acciaio…

— Bisogna essere d'oro — ribatte Yvernès. — Esatto, altrimenti non si conta nulla. Ecco la parola esatta. Cyrus Bikerstaff, nonostante la sua

posizione di prestigio, non è che un agente della Compagnia. Presiede alla compilazione dei diversi atti dello stato civile, è incaricato di riscuotere le tasse doganali, di vigilare sulla pubblica igiene, sulla pulizia delle strade, sulla manutenzione delle piante, deve ascoltare i reclami dei contribuenti, in una parola, deve correre il rischio di farsi nemica la maggior parte dei suoi amministrati, ma

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niente di più. A Standard-Island bisogna essere tenuti in gran conto e, come aveva detto il professore, Cyrus Bikerstaff non contava nulla.

Del resto i suoi incarichi l'obbligano a mantenersi neutrale fra i due partiti, ad essere conciliante, a non fare mai nulla che possa essere gradevole agli uni e sgradevole agli altri. Una politica, insomma, non molto facile.

Infatti, già incominciano a delinearsi certe idee che avrebbero potuto far nascere un conflitto fra le due sezioni. Se i drittesi si sono stabiliti a Standard-Island per godere delle loro ricchezze, i sinistresi, invece, incominciano a rimpiangere i loro affari. Essi si domandano, infatti, perché non si può usare l'isola come un'immensa nave mercantile che possa trasportare carichi di merce nei diversi scali dell'Oceano; perché qualsiasi tipo di industria deve essere bandita da Standard-Island… Infine quegli yankees, capitanati da Tankerdon, benché si trovino sull'isola da meno di due anni, provano una certa nostalgia degli affari. Quantunque fino a quel momento si siano limitati alle sole parole, ciò non lascia tranquillo il governatore Cyrus Bikerstaff. Tuttavia egli nutre la speranza che l'avvenire dell'isola non si offuschi di più e che le discordie interne non turbino l'andamento di un natante così ingegnoso, costruito espressamente per la tranquillità dei suoi abitanti.

Prendendo congedo da Athanase Dorémus i componenti il Quartetto promettono di tornare a fargli visita. Abitualmente il professore si reca ogni pomeriggio al Casino dove non c'è mai nessuno. E là, non volendo essere incolpato di mancanza di puntualità, aspetta gli allievi preparando la sua lezione di danza davanti agli inutili specchi della sala.

Intanto l'isola a elica procedeva sempre verso Ovest e un poco verso Sud-ovest al fine di raggiungere l'arcipelago delle Sandwich. Nelle vicinanze della zona torrida la temperatura è molto elevata; i Milliardesi l'avrebbero sopportata male se non fosse stata mitigata dalla brezza marina. Fortunatamente le notti sono fresche ed anche in piena canicola gli alberi e le aiuole, innaffiati da una pioggia artificiale, si conservano sempre verdi. Al mezzogiorno di ogni dì il punto indicato sul quadrante del municipio viene telegrafato ai diversi quartieri. Il 17 giugno Standard-Island si trova a 155° di

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longitudine ovest e a 27° di latitudine nord e si sta avvicinando al tropico.

— Si direbbe che è il sole a rimorchiare l'isola — osserva Yvernès — o se volete una similitudine più elegante: si direbbe che ad essa sono attaccati i cavalli del divino Apollo!

Osservazione altrettanto giusta quanto poetica, ma che viene accolta da Sébastien Zorn con un'alzata di spalle. A lui non piace sostenere quella parte di rimorchiato… suo malgrado!

— E poi — non cessa mai di ripetere — staremo a vedere come andrà a finire quest'avventura!

È raro che il Quartetto Orchestrale non vada a fare ogni giorno il suo giro nel parco, nell'ora in cui è affollato dai passanti. Tutta la nobiltà di Milliard-City vi si riversa a piedi, a cavallo o in tram: il punto d'incontro è intorno alle aiuole. Le signore sfoggiano il loro terzo abito da pomeriggio, in tinta unita dal cappello alle scarpe, generalmente confezionato in seta indiana che quell'anno era molto di moda. Spesse volte viene usata una specie di seta artificiale – derivata dalla cellulosa – molto elegante, o anche cotone artificiale – uno dei tanti derivati del legno di abete o di larice, ridotto in fibre e disgregato.

Ed ecco il commento di Pinchinat: — Vedrete che un giorno si fabbricheranno i tessuti in legno

d'edera per gli amici fedeli e in legno di salice piangente per le vedove inconsolabili!

In ogni caso i ricchi Milliardesi non avrebbero mai acquistato quelle stoffe se non fossero giunte da Parigi, né avrebbero indossato quegli abiti se non fossero stati firmati dal re dei sarti della capitale; di colui che ad alta voce aveva sentenziato: «La donna non è che una questione di forme».

Qualche volta il re e la regina di Malécarlie passeggiano in mezzo a quella gente elegante. La coppia reale, ormai decaduta, ispira una gran simpatia ai nostri artisti. Quante riflessioni venivano loro alla mente vedendo quegli augusti personaggi a braccetto!… Essi sono relativamente poveri in mezzo a quei ricconi, ma si sentono fieri e pieni di dignità come certi filosofi estranei alle preoccupazioni di questo mondo. È vero che, tutto sommato, gli Americani di

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Standard-Island sono molto lusingati di avere un re come concittadino ed usano verso di lui tutti quei riguardi dovuti alla sua antica posizione. I quattro artisti salutano rispettosamente le Loro Maestà, tutte le volte che s'incontrano con loro per le vie della città o lungo i viali del parco.

Il re e la regina si mostrano molto sensibili a questi atti di deferenza tutta francese. Ma in fondo le Loro Maestà non contano certamente più di Cyrus Bikerstaff e forse contano ancora meno.

I viaggiatori che, in genere, si preoccupano di dover affrontare un viaggio per mare, dovrebbero adottare quel genere di traversata a bordo di un'isola galleggiante. In quelle condizioni non avrebbero certamente temuto di dover affrontare le avverse condizioni del mare. Non c'era nulla da temere dalle sue burrasche.

Dotata di una forza motrice pari a dieci milioni di cavalli-vapore, una Standard-Island non avrebbe mai potuto essere trattenuta dalla calma dei venti ed è, per contrapposto, in grado di affrontare con la sua potenza i venti contrari. Le collisioni costituiscono un serio pericolo, ma essa non le teme. Tanto peggio per quelle navi che si fossero scagliate a tutto vapore o a vele spiegate contro i suoi fianchi di ferro. E anche nell'eventualità di tali scontri non c'è da nutrire soverchie preoccupazioni, grazie ai fanali che rischiarano i due porti, a prua ed a poppa, e grazie alla luce elettrica delle sue lune d'alluminio che rischiarano l'atmosfera durante la notte. Delle tempeste è inutile parlare. L'isola è talmente solida da sostenere tutte quante le furie dei mari in burrasca.

Quando, però, la passeggiata di Pinchinat e Frascolin li conduce sulla prua o sulla poppa dell'isola, sia alla batteria dello Sperone sia a quella di Poppa… entrambi sono dell'avviso che quell'isola manca di capi, di promontori, di punte, di rade e di baie. Quel litorale non è che una fiancata d'acciaio tenuta ferma da milioni di bulloni e da viti. Chissà come un pittore avrebbe dovuto rimpiangere quelle vecchie rocce, rugose come una pelle d'elefante, dove il mare sale ad accarezzare le alghe!

È proprio vero che con le meraviglie dell'industria non si possono rimpiazzare le bellezze della natura! Nonostante la sua ammirazione continua, Yvernès è costretto a convenirne. Ciò che manca a

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quell'isola artificiale è l'impronta del Creatore. La sera del 25 giugno Standard-Island supera il Tropico del

Cancro ai limiti della zona torrida del Pacifico. A quell'ora il Quartetto Orchestrale si esibisce per la seconda volta nella sala del Casino. C'è da osservare che, dato il primo grande successo, è stato notevolmente aumentato il prezzo dei posti.

Non ha molta importanza: la sala è ancora troppo piccola. Gli appassionati si disputano i posti. Evidentemente quella musica da camera deve essere un vero toccasana per la salute e nessuno si sarebbe permesso di mettere in dubbio le sue qualità terapeutiche. Secondo la formula continuano le esecuzioni di Mozart, Beethoven ed Haydn.

Fu un altro strepitoso successo per gli esecutori, cui però gli applausi parigini avrebbero certamente procurato maggiore soddisfazione. Ma in mancanza di questi Yvernès, Frascolin e Pinchinat sanno fare buon viso ai «bravo» dei Milliardesi, per i quali Sébastien Zorn continua a provare un assoluto disprezzo.

— Che potremmo esigere di più — gli domanda Yvernès — quando si sta superando il Tropico?…

— Il Tropico del «concerto»! — aggiunge Pinchinat. E quando escono dal Casino chi mai scorgono in mezzo a tutti

quei «poveri diavoli» che non avevano potuto spendere trecento dollari per una poltrona?… Il re e la regina di Malécarlie che, modestamente, erano rimasti sulla porta.

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CAPITOLO IX

L'ARCIPELAGO DELLE SANDWICH

IN QUELLA parte del Pacifico esiste una catena sottomarina il cui sviluppo da Ovest-nord-ovest ad Est-sud-est, per un'estensione di novecento leghe lo si potrebbe vedere se fosse possibile svuotare gli abissi di quattromila metri che la separano dalle altre terre oceaniche. Di quella catena si vedono soltanto otto cime: Niihai, Kauai, Oahu, Molokai, Lanai, Maui, Kahoolawe, Hawaii. Queste otto isole di varia grandezza costituiscono l'arcipelago delle Hawaii detto anche gruppo delle Sandwich. Questo gruppo supera la zona tropicale con alcune rocce e scogli che si spargono verso Ovest.

Lasciando che Sébastien Zorn brontoli come al solito nel suo angolo e si mantenga volutamente indifferente di fronte a tutte le curiosità della natura, proprio come un violoncello nel suo astuccio, Pinchinat, Yvernès e Frascolin ragionano in un altro modo e non a torto.

— Accidenti — esclama uno — non mi dispiace affatto visitare queste isole Hawaii. Dal momento che dobbiamo navigare sull'Oceano Pacifico, meglio di ogni altra cosa è riportarne un buon ricordo.

— Aggiungi — ribatte un altro — che i nativi delle Sandwich ci ripagheranno un po' della mancanza dei soliti Pawnies, Sioux o altri Indiani troppo civilizzati del Far-West e non mi dispiace incontrare veri selvaggi… magari cannibali…

— Forse questi abitanti delle Hawaii lo sono ancora? — chiede il terzo.

— Speriamolo — risponde seriamente Pinchinat. — Dicono che sono stati i loro nonni a mangiare il capitano Cook,23 e quando i

23 James Cook (1728-1779), capitano della marina inglese, uno dei più grandi

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nonni hanno potuto gustare un navigatore così illustre, non è ammissibile che i nipoti abbiano perduto il gusto della carne umana.

Bisogna riconoscere che Sua Altezza parlava con troppo poco rispetto del celebre capitano della marina inglese che, nel 1778, aveva scoperto quell'arcipelago.

Risulta, però, da questa conversazione che i nostri artisti sperano durante la navigazione di potersi trovare alla presenza di indigeni un poco più autentici dei campioni presentati nelle varie esposizioni, e in ogni modo, nei loro Paesi d'origine, nei luoghi stessi dove sono nati.

Manifestano dunque una certa impazienza di arrivare, e ogni giorno sono in attesa che le vedette dell'osservatorio segnalino le prime montagne del gruppo delle Sandwich.

Ciò accade nella mattinata del 6 luglio. La notizia viene divulgata subito e il tabellone luminoso del Casino riporta questa comunicazione trasmessa per mezzo del telautografo:

«Standard-Island è in vista delle isole Sandwich». Veramente si era ancora distanti una cinquantina di leghe; ma le

più alte cime del gruppo – quelle dell'isola Hawaii – poiché superano i quattromila metri, ed essendo il tempo bello, a quella distanza si vedevano benissimo.

Provenendo da nord-est il commodoro Ethel Simcoë si è diretto verso Oahu la cui capitale è Honolulu, che al tempo stesso è la capitale dell'arcipelago.

Quest'isola per la sua latitudine è la terza del gruppo. Niihai, che assomiglia a un vasto parco da bestiame, e Kauai si trovano a nord-ovest. Oahu non è certo la più grande delle Sandwich poiché misura soltanto mille e seicentottanta chilometri quadrati, mentre Hawaii ne conta quasi diciassettemila. Le altre isole, complessivamente, non arrivano che a tremilaottocentododici chilometri quadrati.

Si comprende benissimo come gli artisti parigini, dal momento della loro partenza abbiano allacciato simpatici rapporti di amicizia con i principali funzionari di Standard-Island. Tutti, compreso il governatore, il commodoro Simcoë, il colonnello Stewart e anche i

esploratori di ogni tempo, venne trucidato dagli indigeni nell'isola Hawaii nel tentativo di sedarvi una sommossa. (N.d.R.)

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due ingegneri Watson e Somwah sono stati solleciti nell'offrire loro la più cortese accoglienza.

Recandosi spesso a visitare l'osservatorio, a loro piace rimanere per diverse ore sulla piattaforma della torre. Non c'è quindi da stupirsi se quel giorno Yvernès e Pinchinat, i più impazienti della compagnia, si siano recati da quella parte e verso le dieci del mattino l'ascensore li abbia sollevati -come è solito dire Sua Altezza – «sulla cima dell'albero».

Il commodoro Ethel Simcoë era già sul posto e, offrendo il suo cannocchiale ai due amici, li consigliò di osservare un punto dell'orizzonte a sud-ovest seminascosto dalla nebbia bassa.

— È il Mauna-Loa dell'isola Hawaii — egli spiega — o è il Mauna-Kea, due superbi vulcani che nel 1852 e nel 1855 rovesciarono sull'isola un torrente di lava che coprì settecento metri quadrati di terreno e i cui crateri, nel 1880, eruttarono settecento milioni di metri cubi di lapilli e cenere.

— Meraviglioso! — è la risposta di Yvernès. — E voi credete, commodoro, che noi non potremo aver la fortuna di assistere a un simile spettacolo?…

— Non lo posso sapere, signor Yvernès — risponde Ethel Simcoë. —

I vulcani non agiscono… su nostro comando… — Suvvia! solamente per questa volta!… magari con qualche

raccomandazione!… — aggiunge Pinchinat. — Se io fossi ricco come i signori Tankerdon e Coverley mi vorrei appagare di tutte le eruzioni che mi suggerisce la mia fantasia…

— Ebbene, gliene parleremo — risponde il commodoro sorridendo — e non dubito che essi faranno l'impossibile per accontentarvi.

Pinchinat chiede allora quanti sono gli abitanti delle isole Sandwich.

Il commodoro gli fa sapere che al principio del secolo potevano essere circa duecentomila, ma che ora erano ridotti alla metà.

— Bene, signor Simcoë, centomila selvaggi sono più che sufficienti e, purché essi siano rimasti dei bravi cannibali e non abbiano perduto il loro consueto appetito, potrebbero fare un solo

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boccone di tutti i milliardesi di Standard-Island! Non è la prima volta che l'isola a elica raggiunge l'arcipelago delle

Hawaii. Anche l'anno precedente, attratta dalla salubrità del clima, essa aveva attraversato quelle località. Infatti l'America vi manda i suoi malati, in attesa che i medici d'Europa vi mandino i loro clienti a respirare l'aria del Pacifico. Chissà mai che un giorno?…

Honolulu è a soli venticinque giorni di distanza da Parigi e quando c'è in programma di fornire ai polmoni un ossigeno che non si respira in nessun'altra parte…

Standard-Island giunge in vista del gruppo la mattina del 9 luglio. Oahu si profila a cinque miglia a sud-ovest ed è dominata sul lato orientale dal Diamond-Head, antico vulcano che si affaccia sulla rada e da un altro cono che gli Inglesi hanno soprannominato Scodella di Punch. Come fa osservare il commodoro, quella enorme conca avrebbe potuto essere riempita di brandy o di gin, che John Bull24 non si sarebbe trovato in difficoltà a vuotare. Si passa fra le isole Oahu e Molokai. Standard-Island, come una nave governata dal suo timone, gira alternando il movimento delle eliche di dritta con quelle di sinistra. Dopo avere doppiato il capo sud-est di Oahu, l'isola galleggiante, avendo trovato un tratto di mare adatto all'ancoraggio, si arresta a dieci gomene dal litorale. Poiché era necessario mantenere all'isola una certa libertà di manovra conveniva fermarla a una sufficiente distanza dalla terra. Perciò essa non «ancorava» nel vero senso della parola; non adoperava cioè le àncore, operazione impossibile da eseguirsi sopra un fondale di cento metri e più. Infatti, per mezzo di macchine che girano avanti o indietro, durante tutto il tempo della sua permanenza si può mantenerla immobile al suo posto quanto le otto isole dell'arcipelago delle Hawaii.

I quattro musicisti sono intenti a contemplare le montagne che si stendono davanti ai loro occhi. Dal largo si scorgono gruppi di alberi, boschetti di aranci ed altri magnifici esemplari della flora della zona temperata. Ad ovest, attraverso una stretta spaccatura della roccia, si scorge un lago interno, il lago delle Perle, una specie di pianura lacustre tutta bucherellata dagli antichi crateri.

24 Personificazione caricaturale del popolo inglese, la cui predilezione per le be-vande alcoliche è qui messa in evidenza molto argutamente. (N.d.R.)

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L'aspetto dell'isola Oahu è molto ridente e, veramente, quegli antropo-fagi tanto desiderati da Pinchinat non possono di certo lamentarsi del teatro delle loro prodezze. Purché essi conservino ancora i loro istinti di cannibali, Sua Altezza non avrà più nulla da desiderare.

Tutto ad un tratto egli grida: — Mio Dio! che cos'è quello che vedo? — Che cosa vedi?… — chiede Frascolin. — Laggiù… ci sono campanili… — Sì… e torri… e facciate di palazzi!… — risponde Yvernès. — Non è possibile che sia questo il luogo in cui il capitano Cook

è stato mangiato!… — Non ci troviamo affatto alle isole Sandwich! — commenta

Sébastien Zorn alzando le spalle. — Il commodoro ha sbagliato strada…

— Certamente! — fa eco Pinchinat. No! il commodoro Simcoë non si è affatto smarrito. Quella è

proprio l'isola di Oahu e quella città, che si stende sopra una superficie di parecchi chilometri quadrati, è Honolulu.

Suvvia! Bisogna ridimensionare i fatti! Quanti cambiamenti dall'epoca in cui il grande esploratore inglese aveva scoperto quel gruppo di isole. I missionari si erano battuti sul piano della devozione e dello zelo. Metodisti, anglicani e cattolici avevano lottato in favore dell'opera civilizzatrice, e avevano trionfato sul paganesimo degli antichi Kanachi. Non solo la lingua originale sta per scomparire di fronte alla lingua anglosassone, ma nell'arcipelago ora vivono Americani, Cinesi – per la maggior parte lavoratori della terra e dai quali è nata una razza bastarda chiamata Hapa-Pakè – e finalmente Portoghesi, grazie al commercio marittimo che si svolge fra le Sandwich e l'Europa. Vi si trova ancora qualche indigeno, a sufficienza per soddisfare la curiosità dei nostri quattro artisti quantunque i nativi siano stati decimati dalla lebbra, la tremenda malattia importata dai Cinesi. E non presentano affatto le caratteristiche dei mangiatori di carne umana.

— O colore locale, — esclama il primo violino — quale evento straordinario ti ha fatto scomparire dalla «tavolozza» che la natura

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offre a noi mortali?… Sì! il tempo, la civiltà, il progresso, che sono leggi di natura, sono

stati la causa della scomparsa quasi totale di quel colore locale. Lo si è potuto constatare con mano, con un certo rimpianto, quando una delle lance azionate elettricamente da Standard-Island, superando la lunga linea di scogli, ha sbarcato a terra Sébastien Zorn e i suoi amici.

Fra due specie di frangiflutti a palafitte, che quasi si congiungono ad angolo acuto, si apre un porto riparato dai venti da un anfiteatro di montagne. Dal 1794 gli scogli che lo difendono contro il mare grosso si sono alzati di un metro. Nondimeno c'è abbastanza acqua perché dei battelli con pescaggio dai diciotto ai venti piedi possano attraccare lungo la calata.

— Che delusione!… Che gran delusione!… — mormora Pinchinat — è veramente deplorevole che durante un viaggio si vedano svanire tante illusioni…

— Infatti, sarebbe preferibile restarsene a casa propria — risponde il violoncellista alzando le spalle.

— No! — esclama Yvernès sempre entusiasta — quale spettacolo potrebbe paragonarsi a quello di un'isola d'acciaio che si sposta fino a raggiungere gli arcipelaghi dell'oceano?…

Ciò nondimeno, se il sistema di vita delle Sandwich con sommo dispiacere dei nostri artisti si è tanto modificato, non è avvenuto lo stesso per il suo clima. È sempre uno dei più salubri di quelle zone dell'Oceano Pacifico, nonostante che il gruppo delle isole occupi una regione designata con il nome di Mar dei Calori. Se il termometro segna sempre una temperatura elevata, quando non vi dominano gli alisei di Nord-est e i controalisei del Sud causano violenti uragani che, nel Paese, vengono chiamati «kouas», il valore medio del calore ad Honolulu non supera mai i 21° centigradi. E non sarebbe certo giusto lamentarsi del caldo di quei luoghi situati al limite della zona torrida: infatti, gli abitanti non se ne lamentano affatto e, come abbiamo già detto, i malati americani affluiscono in gran numero in quell'arcipelago.

Comunque sia, man mano che i quattro musicisti scoprono i misteri dell'arcipelago, cadono purtroppo le loro illusioni… come le

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foglie in autunno. Essi sostengono di essere stati ingannati, mentre avrebbero dovuto

incolpare se stessi per essersi lasciati coinvolgere in quell'inganno. — È quel Calistus Munbar che ci ha presi in giro ancora una

volta! — afferma Pinchinat, ricordando come il sovrintendente gli avesse confermato che le isole Sandwich erano l'ultima terra abitata ancora dai selvaggi indigeni nel Pacifico.

E quando gli rimproverano aspramente questa sua leggerezza, egli risponde strizzando l'occhio destro:

— Che cosa volete, miei cari amici?… Sono tanto cambiate le cose dal mio ultimo viaggio che non mi ci raccapezzo più.

— Mattacchione! — fa Pinchinat affibbiando una bella manata sulla pancia del sovrintendente.

Quello che è certo, se qualche cambiamento è avvenuto ciò è stato fatto con una rapidità veramente straordinaria. Non molto tempo fa le isole Sandwich erano governate da una monarchia costituzionale, fondata nel 1837, con due Camere: quella dei nobili e quella dei deputati. La prima veniva eletta dai soli proprietari di terreni, la seconda da tutti i cittadini che sapevano leggere e scrivere: i nobili duravano in carica sei anni, i deputati due. Ogni Camera si componeva di ventiquattro membri che deliberavano in comune davanti al Ministero reale, il quale era formato di quattro consiglieri di Sua Maestà.

— Perciò — commenta Yvernès — esisteva un re, un re costituzionale invece di una «scimmia» piumata, al quale gli stranieri venivano a presentare i loro deferenti omaggi!…

— Io sono sicuro — afferma Pinchinat — che questo sovrano non aveva nemmeno l'anello al naso… e si faceva sostituire i denti mancanti con quelli finti dai migliori dentisti del nuovo mondo.

— Ah! la civiltà!… la civiltà!… — riprende il primo violino — non avevano nemmeno bisogno della forchetta questi Kanachi quando si cibavano dei loro prigionieri di guerra!

Si perdoni ai nostri artisti bizzarri la loro strana maniera di considerare le cose. È vero! C'è stato un re a Honolulu o almeno una regina, Liluokalani, oggi detronizzata, che si è battuta contro una certa principessa, Kaiulani, per conservare il trono dell'isola Hawaii

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al principe Adey, suo figlio. Durante un lungo periodo di tempo l'arcipelago si è trovato coinvolto da una rivoluzione, come un qualsiasi altro Stato d'America o d'Europa al quale assomiglia anche sotto questo aspetto. Ciò avrebbe potuto causare l'intervento dell'esercito havaiano e aprire così l'era funesta delle rivoluzioni militari? No certamente, poiché l'esercito è composto soltanto di duecentocinquanta soldati e di altrettanti volontari. Non si rovescia un governo con cinquecento uomini, almeno in questa zona del Pacifico.

Ma gli Inglesi erano presenti in vigile attesa. La principessa Kaiulani godeva i favori dell'Inghilterra, a quanto sembra. D'altra parte il governo giapponese era pronto a estendere il suo protettorato su quelle isole e contava molti simpatizzanti fra i «coolies» 25i quali sono per la maggior parte addetti alle piantagioni.

E gli Americani? ci si domanderà. È questa appunto la domanda che Frascolin rivolge a Calistus Munbar a proposito di un loro probabile intervento… — Gli Americani? — risponde il sovrintendente — non ci tengono molto a questo protettorato. Purché essi possano istituire alle Sandwich uno scalo marittimo per i loro piroscafi di linea del Pacifico, si considerano per il momento soddisfatti.

Intanto, però, nel 1875, il re Kaméhaméha, recandosi a fare visita a Washington al presidente Grant, aveva posto l'arcipelago sotto il protettorato degli Stati Uniti. Ma diciassette anni dopo, quando Cleveland26 decise di rimettere sul trono la regina Liluokalani, quando il regime repubblicano era già stato stabilito alle Sandwich sotto la presidenza di Sanford Dole, nei due Paesi si ebbero violente manifestazioni di protesta.

D'altra parte, niente può impedire ciò che sta scritto nel grande libro del destino dei popoli, antichi o moderni che siano: così l'arcipelago havaiano si trova sotto il regime repubblicano fin dal 1894, sotto la presidenza di Dole e dei suoi successori.

Standard-Island deve fermarsi nelle vicinanze dell'isola Hawaii

25 Lavoratori indigeni che venivano adibiti alle fatiche più pesanti e più umili; nel nostro caso a lavorare nelle piantagioni. (N.d.R.) 26 Stephen Grover Cleveland, presidente degli Stati Uniti nel 1885-89 e 1893-97.

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per una decina di giorni. Perciò molti ne approfittano per visitare Honolulu e i suoi dintorni. Le famiglie Coverley e Tankerdon e i principali notabili di Milliard-City quotidianamente si fanno trasportare al porto. D'altra parte, benché sia la seconda volta che l'isola a elica si avventura in quella zona del Pacifico, l'ammirazione degli Havaiani è senza limiti e in folla si recano a visitare quel meraviglioso natante. Però la polizia di Cyrus Bikerstaff, molto rigorosa nell'ammettere gli stranieri, sopraggiunta la sera, si assicura che tutti i visitatori all'ora stabilita facciano ritorno alle loro case. Grazie a quelle misure di sicurezza sarebbe stato molto difficile a un intruso rimanere nel «Gioiello del Pacifico» senza un'autorizzazione che non si otteneva con molta facilità. Insomma corrono ottimi rapporti di vicinato ma fra le due isole non si scambiano affatto ricevimenti ufficiali.

Nel frattempo i nostri artisti si concedono delle passeggiate molto interessanti; a loro piace l'aspetto fisico degli indigeni locali. Le loro caratteristiche sono marcate; il colore della pelle è olivastro, la loro fisionomia dolce è al tempo stesso piena di fierezza. E quantunque gli Havaiani fossero governati da una repubblica, forse rimpiangevano la loro selvaggia indipendenza dei tempi passati.

«L'aria del nostro Paese è libera» dice uno dei loro proverbi; essi, però, non lo sono più.

Infatti dopo la conquista dell'arcipelago da parte di Kaméhaméha, dopo la monarchia rappresentativa fondata nel 1837, ogni isola venne amministrata da un governatore con incarichi speciali. Al tempo del nostro racconto, sotto il regime repubblicano, quelle isole sono divise in distretti e sottodistretti.

— Suvvia — commenta Pinchinat — qui ci mancano soltanto i prefetti, i sottoprefetti e i consiglieri di prefettura con la costituzione dell'anno VIII!

— Io chiedo di andarmene! — insiste Sébastien Zorn. E avrebbe avuto torto di farlo senza avere prima ammirato i

dintorni più interessanti di Oahu. Sono veramente superbi, anche se la flora non è molto abbondante. Sulla zona litoranea crescono numerose palme e cocchi, gli alberi del pane, quelli dell'olio, i ricini, e altre piante. Nelle vallate irrigate dai corsi d'acqua delle montagne,

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ricoperte da quel tipo d'erba chiamata «menervia», si vede un gran numero di arbusti arborescenti, come i chenopodii e gli «halapepe», che assomigliano a una specie di asparagi giganteschi. La zona arborea, che sale fino a un'altezza di duemila metri, è coperta di mirti d'alto fusto, di «rumex» colossali e di liane che s'intrecciano come un viluppo intricato di serpenti in mezzo a un'infinità di rami. I prodotti del suolo che rappresentano una fonte di guadagno perché possono venire esportati sono il riso, le noci di cocco e le canne da zucchero. C'è dunque uno scambio di prodotti fra un'isola e l'altra, che vengono in seguito concentrati a Honolulu, da dove vengono spediti per l'America.

La fauna non offre una gran varietà. Se i Kanachi tendono ad assimilare tutte le abitudini delle razze più intelligenti, le specie animali invece non hanno queste intenzioni. Fra quelli domestici si trovano unicamente: maiali, polli e capre; non vi sono bestie feroci se non si vogliano annoverare fra queste poche coppie di cinghiali; molte mosche dalle quali non si riesce facilmente a sbarazzarsi; numerosi scorpioni e vari tipi di lucertole inoffensive. Infine ci sono uccelli che non cantano mai, come l’«oo», la «drepanis» pacifica dalle piume corvine, abbellite da quelle penne gialle di cui era formato il famoso mantello di Kaméhaméha, intorno al quale avevano lavorato nove generazioni d'indigeni.

In quell'arcipelago l'uomo ha avuto una parte veramente preponderante: lo ha civilizzato, sull'esempio degli Stati Uniti, istituendo società scientifiche, scuole d'istruzione obbligatoria, che furono anche premiate all'Esposizione del 1878, ricche biblioteche, giornali pubblicati in lingua inglese e kanaca. I nostri parigini non potevano esserne sorpresi poiché la maggioranza dei notabili dell'arcipelago è formata da Americani e la loro lingua viene usata correntemente come la loro moneta.

Quegli americani, però, cercano abilmente di assoldare al loro servizio i cinesi del Celeste Impero, contrariamente a quanto avviene nell'America occidentale, dove invece si cerca di combattere tale invasione cui viene affibbiato il nome molto espressivo di «peste gialla».

Si capirà come fin dal momento dell'arrivo di Standard-Island in

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vista della capitale di Oahu le barche del porto cariche di curiosi ne facessero il giro. Con quel tempo magnifico, quel mare calmo, niente è più piacevole di una escursione d'una ventina di chilometri a poca distanza da quel litorale metallico, sul quale i doganieri esercitano una così severa sorveglianza.

Fra quegli escursionisti è possibile notare un piccolo bastimento che ogni giorno si ostina a navigare nelle acque dell'isola a elica. È una specie di ketch malese a due alberi, con poppa quadra, montato da una decina di uomini agli ordini di un capitano dalla fisionomia energica. Il governatore, però, non se ne preoccupa, benché quella persistenza possa sembrare sospetta. Quella gente, infatti, non cessa di osservare l'isola su tutta la sua circonferenza, passando da un porto all'altro ed esaminando la sistemazione del litorale. Dopo tutto, anche ammettendo che avesse intenzioni malevole, che cosa avrebbe mai potuto fare quell'equipaggio contro una popolazione di diecimila abitanti? Così, nessuno si preoccupa delle mosse del ketch sia che esso manovri durante il giorno, sia che trascorra anche la notte sul mare. L'amministrazione marittima di Honolulu quindi non viene interpellata al riguardo.

La mattina del 10 luglio il quartetto saluta l'isola di Oahu. All'alba Standard-Island salpa sotto l'impulso dei suoi potenti propulsori. Dopo aver virato sul posto, essa si dirige verso sud-ovest in modo da avvistare le altre isole havaiane. Deve allora affrontare di sbieco la corrente equatoriale che va da est ad ovest, contrariamente a quella che costeggia l'arcipelago verso nord.

Per il diletto di quelli fra i suoi abitanti, che si sono recati sul litorale di sinistra, Standard-Island si infila arditamente fra le isole Molokai e Kauai. Sopra quest'ultima (una delle più piccole del gruppo) svetta un vulcano di 1800 metri d'altezza, il Nirhau, che emette ogni tanto qualche nuvola fuliginosa. Ai suoi piedi si stendono delle coste ricurve di origine corallina, dominate da una fila di dune, che echeggiano con una sonorità metallica quando vengono battute con violenza dalla risacca. È calata la notte, il natante si trova ancora in quello stretto canale, ma, affidato alla mano del commodoro Simcoë, non ha nulla da temere. Allorché il sole scompare dietro le colline di Lanai, le vedette non potrebbero vedere

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il ketch che, abbandonato il porto sulla scia di Standard-Island, cerca di mantenersi nelle sue acque. D'altronde, ripetiamo, perché ci si dovrebbe preoccupare della presenza di quell'imbarcazione malese?

L'indomani quando il giorno ricompare, il ketch non è più che un punto bianco sull'orizzonte del nord. Durante quella giornata la navigazione prosegue fra Koluhani e Maui. Grazie alla sua estensione quest'isola, che ha per capitale Lahaina, porto riservato ai balenieri, occupa il secondo posto nell'arcipelago delle Sandwich. Lo Haleahala, la Casa del Sole, si spinge a tremila metri verso l'astro radioso. Le due giornate seguenti vengono impiegate a costeggiare la grande Hawaii le cui montagne, come abbiamo detto, sono le più alte del gruppo. Nella baia Kealakeacua il capitano Cook, ricevuto dapprima come un dio dagli indigeni, fu massacrato nel 1779, un anno dopo avere scoperto quell'arcipelago a cui aveva dato il nome di Sandwich in onore del famoso ministro inglese. Hilo, capoluogo di quell'isola, si trova sulla costa orientale e quindi non si può vedere; si intravvede invece Kailu che è situata dalla parte occidentale. La grande Hawaii possiede 57 chilometri di ferrovia, che servono principalmente al trasporto delle merci, e il quartetto può ammirare il pennacchio bianco delle locomotive…

— Non ci mancava che questa! — esclama Yvernès. L'indomani il Gioiello del Pacifico lascia quei paraggi nel

momento in cui il ketch scapola la punta estrema di Hawaii dominata dal Mauna-Loa, la Grande Montagna la cui cima si perde fra le nuvole a quattromila metri.

— Derubati!… — fa allora Pinchinat — siamo derubati! — Hai ragione — risponde Yvernès — bisognava venirvi un

centinaio d'anni fa. Ma allora non avremmo navigato su questa fantastica isola a elica!

— Non importa! aver trovato indigeni in giacca e colletto duro invece che selvaggi con le piume, come ci aveva annunziato quel chiacchierone di Calistus che Dio confonda! Rimpiango i tempi del capitano Cook!

— E se quei cannibali avessero divorato Tua Altezza?… — fa osservare Frascolin.

— Beh… avrei avuto questa consolazione… una volta in

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vita… di piacere solamente per me stesso!…

CAPITOLO X

IL PASSAGGIO DELLA LINEA EQUINOZIALE

DAL 23 GIUGNO il sole retrocede verso l'emisfero meridionale. Bisogna dunque abbandonare le zone in cui la cattiva stagione ben presto verrà ad imperversare. Poiché l'astro diurno nella sua corsa apparente si dirige verso la linea equinoziale, è opportuno passarla insieme con lui. Al di là si incontrano climi piacevoli dove nonostante la loro denominazione d'ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, questi mesi non son certo meno caldi di quelli della stagione estiva. La distanza che separa l'arcipelago havaiano dalle isole Marchesi è di circa tremila chilometri. Perciò Standard-Island, che vuole superarla in fretta, assume la velocità massima.

La Polinesia propriamente detta è compresa in quella vasta porzione di mare limitata a nord dall'Equatore e a sud dal Tropico del Capricorno. Là, in una superficie di cinque milioni di chilometri quadrati, vi sono undici gruppi composti di duecentoventi isole corrispondenti a una superficie emersa di diecimila chilometri, dove gli isolotti si contano a migliaia. Sono le cime di quelle montagne sottomarine la cui catena si prolunga da nord-ovest a sud-est fino alle Marchesi e all'isola Pitcairn proiettando ramificazioni quasi parallele.

Se riuscissimo ad immaginarci con gli occhi della fantasia questo vasto bacino svuotato all'improvviso, se il Diavolo Zoppo, liberato da Cleofa, sollevasse tutta quella massa liquida come faceva con i tetti di Madrid, che straordinario paese apparirebbe allo sguardo! Quale Svizzera, quale Norvegia, quale Tibet potrebbe eguagliarlo in grandezza? Di questi monti sottomarini, per la maggior parte

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vulcanici, alcuni, di origine madreporica, sono costituiti da una materia calcarea o cornea, secreta in strati concentrici dai polipi, minuscoli e semplicissimi radiolari dotati di un'immensa forza di produzione. Alcune di quelle isole, le più giovani, hanno il manto vegetale solo sulla cima; le altre, avvolte nella loro verzura dalla testa ai piedi, sono le più antiche, anche quando la loro origine è corallina. Esiste dunque un'intera regione montuosa nascosta sotto le acque del Pacifico. E Standard-Island passeggia al di sopra delle sue cime come farebbe un aerostato fra i picchi delle Alpi o dell'Himalaya. Soltanto non è l'aria a sostenerla, ma l'acqua.

Ma, così come si verificano grandi spostamenti di onde atmosferiche attraverso lo spazio, si producono spostamenti liquidi alla superficie dell'oceano. La corrente principale va da est a ovest e negli strati inferiori si propagano due controcorrenti, da giugno a ottobre, all'epoca in cui il sole si dirige verso il Tropico del Cancro. Inoltre, nei pressi di Tahiti si osservano quattro specie di flussi che non raggiungono mai il livello massimo alla stessa ora, e che neutralizzano la marea al punto da renderla quasi insensibile. Il clima, poi, di cui godono questi diversi arcipelaghi è essenzialmente variabile. Le isole montuose bloccano le nuvole che rovesciano su di esse le loro piogge; le isole basse sono più secche poiché le brezze che vi regnano cacciano le nuvole.

Sarebbe stato alquanto strano che la biblioteca del Casino non possedesse le carte riguardanti il Pacifico. Essa ne ha una collezione completa e Frascolin, il più serio della comitiva, le consulta spesso. Yvernès, invece, preferisce abbandonarsi alle sorprese della traversata, all'ammirazione causatagli da quell'isola artificiale e non desidera affatto sovraccaricarsi il cervello di nozioni geografiche. Pinchinat non pensa che a pigliar le cose dal lato piacevole o fantastico. Quanto a Sébastien Zorn l'itinerario gli interessa poco, dal momento che Io porta dove egli non aveva mai avuto intenzione di andare.

Frascolin è dunque il solo a «spulciare» la sua Polinesia, studiandone i gruppi principali che la compongono: le Isole Basse, le Marchesi, le Pomotu, le isole della Società, quelle di Cook, le isole Tonga, le Samoa, le isole Australi, le Wallis, le Fanning, senza

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parlare di quelle sperdute come Niue, Tokolau, Phoenix, Manahiki, Pasqua, Sala y Gomez, ecc. Egli non ignora che nella maggior parte di quegli arcipelaghi, anche in quelli sottoposti a protettorato, il potere si trova sempre nelle mani di capi potenti la cui influenza non è mai discussa; che le classi povere sono totalmente sottomesse alle classi ricche. Sa inoltre che quegli indigeni professano la religione bramanica, maomettana, protestante e cattolica, ma che nelle isole dipendenti dalla Francia il cattolicesimo è preponderante (il che è dovuto alla pompa esteriore del suo culto). Sa anche che la lingua indigena, il cui alfabeto è poco complicato poiché è formato di tredici-diciassette caratteri, contiene molto inglese e finirà con l'essere assorbito dalla lingua anglosassone. Sa infine che dal punto di vista etnico la popolazione polinesiana tende generalmente a decrescere; il che dispiace poiché il tipo kanaco (parola che significa uomo) più bianco sotto l'Equatore che nei gruppi lontani dalla linea equinoziale è veramente bello, e la Polinesia perderà infinitamente nel venire assorbita dalle razze straniere! Sicuro! Sa queste e altre cose che impara in occasione delle sue conversazioni col commodoro Ethel Simcoë; e allorché i suoi compagni l'interrogano, egli non è affatto imbarazzato a rispondere.

Per questo Pinchinat lo chiama il «Larousse zone tropicali». Ecco i principali gruppi fra i quali Standard-Island deve portare a

spasso la sua ricca popolazione. A buon diritto merita il nome di isola felice, perché vi è regolato tutto ciò che può assicurare la felicità materiale e, in un certo qual senso, anche la felicità morale. Perché mai questo stato di cose deve rischiare d'essere turbato da rivalità, da gelosie, da disaccordi, da quei problemi d'influenza o di precedenza che dividono Milliard-City in due campi così come essa è divisa in due sezioni: il campo Tankerdon e il campo Coverley? In ogni modo per degli artisti disinteressati in quella faccenda la lotta promette d'essere interessante.

Jem Tankerdon è yankee dai piedi alla testa, individuale e ingombrante, dalla faccia larga con una corta barba rossastra; i capelli a spazzola, gli occhi vivi nonostante i sessantanni, con l'iride quasi gialla come quella dei cani, e la pupilla ardente. È alto di persona, con un torace poderoso e membra vigorose. Ha qualcosa del

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cacciatore della prateria, del trapper, quantunque, in fatto di «trappole», egli si sia limitato a tendere quelle attraverso le quali fa precipitare milioni di maiali nei suoi scannatoi di Chicago. È un uomo violento che la sua posizione avrebbe dovuto rendere più fino, ma al quale è mancata l'educazione di fondo. Gli piace ostentare il proprio patrimonio ed ha, come suol dirsi, «le tasche suonanti». E pare che non le trovi abbastanza piene dal momento che, con qualche altro della sua parte, intende riprendere gli affari…

La signora Tankerdon è un'americana qualunque, buona donna, sottomessa al marito, madre eccellente, dolce coi suoi figli, predestinata a tirar su una numerosa progenie e che non ha mancato di adempiere alle sue funzioni. Quando si ha da dividere un paio di miliardi fra i propri eredi diretti, perché non fabbricarne una dozzina? E lei vi ha provveduto con premura.

Di tutta quella truppa l'attenzione del quartetto doveva essere attratta solo dal figlio maggiore, destinato a recitare una parte importante nel corso di questa nostra istoria. Walter Tankerdon, bel giovane elegante, di intelligenza media, simpatico nei modi e nella fisionomia, ha preso più dalla madre che dal capo della famiglia. Abbastanza istruito, ha percorso l'America e l'Europa, tornando ogni tanto a viaggiare, ma sempre richiamato dalle proprie abitudini e dai propri gusti all'attraente esistenza di Standard-Island; pratica tutti gli sport, ed è alla testa della gioventù milliardese nelle gare di tennis, di polo, di golf e di crocket. Però non si vanta del patrimonio che un giorno possiederà, ed è di animo buono. Certo che, mancando i mendicanti nell'isola, egli non ha occasione di praticare la carità. Nel complesso, c'è da augurarsi che i fratelli e le sorelle gli assomiglino. Se quelli non sono ancora in età di sposarsi, egli, che tocca la trentina, deve invece pensarvi. E vi pensa?… Lo vedremo.

Il contrasto fra la famiglia Tankerdon, che era la più considerevole della sezione sinistrese, e la famiglia Coverley che è la più importante della sezione drittese colpisce immediatamente. Nat Coverley è di natura più fine del suo rivale. Risente dell'origine francese dei suoi antenati. La sua fortuna non è uscita dalle viscere della terra sotto forma di giacimenti petroliferi né dalle carni fumanti della razza suina. No! Sono le industrie, le ferrovie, la banca che lo

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hanno reso quello che oggi è. Da parte sua egli non pensa che a godersi in pace le sue ricchezze e – non lo nasconde — si opporrebbe a qualsiasi tentativo di trasformare il Gioiello del Pacifico in un'enorme officina o in una immensa azienda commerciale. Alto, distinto, con una bella testa coronata di capelli tendenti al grigio, ha la barba intera, castana, inframmezzata da fili d'argento. Di carattere piuttosto freddo, modi distinti, occupa il primo posto fra i notabili che, a Milliard-City, conservano le tradizioni dell'alta società degli Stati Uniti del Sud. Egli ama le arti, s'intende di pittura e di musica, parla volentieri il francese molto in uso fra i drittesi, si mantiene al corrente della letteratura americana ed europea e quando gliene capita l'occasione inserisce nei propri applausi dei «bravo» e dei «brava», mentre i rozzi individui del Far-West e della Nuova Inghilterra si sgolano nei loro «hip» e «hurrah».

La signora Coverley, di dieci anni minore del marito, ha appena scapolato (senza troppi inconvenienti) il capo della quarantina. È una signora elegante, distinta, appartenente a una di quelle famiglie semicreole della vecchia Louisiana, buona musicista, buona pianista, poiché non bisogna credere che un Reyer del secolo XX abbia proscritto il pianoforte da Milliard-City. Nel palazzo della Quindicesima Avenue il quartetto ha più volte occasione di suonare con lei e non può che rallegrarsi per il suo talento d'artista.

Il cielo però non ha benedetto i coniugi Coverley nella stessa proporzione dei coniugi Tankerdon. Tre figlie sono le sole eredi d'un patrimonio immenso, di cui il signor Coverley non si fa bello come invece fa il suo rivale. Esse sono molto graziose e troveranno certo molti pretendenti nella nobiltà o nella finanza dei due mondi, quando verrà per loro il momento di maritarsi. In America, d'altronde, doti inverosimili come le loro non sono rare. Qualche anno fa non si citava la piccola signorina Terry che fin dall'età di due anni era richiesta in moglie per i suoi settecentocinquanta milioni? Speriamo che quella fanciulla si sia maritata secondo i suoi gusti e che al vantaggio di essere una delle donne più ricche degli Stati Uniti, unisca anche quello di esserne una delle più felici.

La figlia maggiore dei signori Coverley, Diane o meglio Dy come la chiamano in famiglia, ha appena vent'anni. È una graziosissima

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fanciulla in cui le qualità fisiche e morali del padre e della madre si fondono. Begli occhi azzurri, capelli magnifici fra il castano e il biondo, carnagione fresca come i petali di una rosa appena sbocciata, figura elegante e graziosa: tutto ciò spiega come la signorina Coverley sia notata da tutti i giovanotti di Milliard-City, i quali certo non lasceranno a stranieri la cura di conquistare quell'«inestimabile tesoro» per usare un'espressione di esattezza matematica. È anzi probabile che il signor Coverley non trovi, nella differenza di religione, un ostacolo a un'unione che potrebbe sembrargli assicurare la felicità di sua figlia.

In realtà, è un peccato che questioni di rivalità sociale separino le due famiglie più distinte di Standard-Island. Walter Tankerdon sembrerebbe fatto apposta per diventar lo sposo di Dy Coverley.

Ma questa è una combinazione alla quale non bisogna pensare… Piuttosto tagliare in due Standard-Island e andarsene, i sinistresi da una parte e i drittesi dall'altra, che firmare un simile contratto di matrimonio.

— A meno che non vi si venga a mischiare l'amore! — dice qualche volta il sovrintendente, ammiccando dietro i suoi occhiali d'oro.

Ma non pare che Walter Tankerdon abbia alcuna propensione per Dy Coverley e viceversa; o almeno se ciò è, entrambi sono talmente riservati da ingannare tutte le curiosità della scelta società di Milliard-City.

L'isola a elica continua a scendere verso l'Equatore seguendo pressappoco il 160° meridiano. Dinanzi a lei si apre quella parte del Pacifico che presenta le maggiori estensioni sprovviste d'isole e d'isolotti, e la cui profondità arriva persino a due leghe. Durante la giornata del 25 luglio si passa sopra la fossa di Belknap, un abisso di seimila metri, da cui la sonda ha potuto portare alla luce bizzarre conchiglie o zoofiti, strutturati in modo da sopportare impunemente la pressione di tali masse d'acqua, valutata a seicento atmosfere.

Cinque giorni dopo, Standard-Island viene ad attraversare un arcipelago appartenente all'Inghilterra, quantunque a volte sia designato con il nome di Isole Americane. Dopo aver lasciato a dritta Palmyra e Suncarung, essa si avvicina fino a cinque miglia da

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Fanning, uno dei numerosi giacimenti di guano di quei paraggi e il più importante dell'arcipelago. Del resto quelle sono cime emerse, più aride che verdeggianti, e di cui il Regno Unito fino ad ora non ha saputo trarre alcun profitto. Però esso ha un piede posato in quel punto e tutti sanno che il gran piede dell'Inghilterra lascia generalmente orme incancellabili.

Ogni giorno mentre i suoi compagni percorrono il parco o la campagna circostante, Frascolin che s'interessa vivamente ai particolari di quella bizzarra navigazione, si reca alla batteria dello Sperone. Là s'incontra spesso con il commodoro. Ethel Simcoë lo informa volentieri sui fenomeni particolari di quei mari e quando essi presentano qualche interesse, il secondo violino non trascura di comunicarli ai compagni.

Essi non hanno potuto per esempio celare la loro ammirazione davanti a uno spettacolo che la natura ha loro offerto gratuitamente nella notte dal 30 al 31 luglio.

Un immenso banco di meduse che copriva parecchie miglia quadrate, è stato segnalato nel pomeriggio. Gli abitanti dell'isola a elica finora non hanno mai incontrato una tale immensa massa di quelle meduse, alle quali alcuni naturalisti hanno applicato il nome di «Oceanie». Questi animali dal ciclo di vita molto rudimentale, per la loro forma emisferica confinano coi prodotti del regno vegetale. I pesci, per quanto voraci, le considerano come fiori, perché nessuno a quel che pare se ne serve come nutrimento. Le Oceanie particolari della zona torrida del Pacifico si mostrano solo sotto forma di ombrelli multicolori, trasparenti e provvisti di tentacoli. Non misurano più di due o tre centimetri. Si pensi dunque quanti miliardi ne occorrono per formare dei banchi di tale estensione!

E quando tali cifre vengono pronunciate davanti a Pinchinat, Sua Altezza osserva:

— La cosa non può certo sorprendere questi notabili di Standard-Island per i quali i miliardi sono moneta corrente!

Scesa la notte, una parte della popolazione si reca verso il «cassero di prua» vale a dire sul terrazzo che domina la batteria dello Sperone. I tram sono stati invasi. Le vetture elettriche sono cariche di curiosi. Eleganti vetture hanno portato fin lì i nababbi della città! I

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Coverley e i Tankerdon si trovano vicino… Il signor Jem non saluta il signor Nat che a sua volta non saluta il signor Jem. Le famiglie sono al completo. Yvernès e Pinchinat hanno il piacere di chiacchierare con la signora Coverley e con sua figlia che fanno sempre loro un'ottima accoglienza. Forse Walter Tankerdon prova un certo dispetto a non potersi unire alla loro conversazione, e forse anche la signorina Dy avrebbe accolto volentieri la conversazione del giovanotto. Ma… che scandalo sarebbe stato e che allusioni più o meno indiscrete sulle cronache mondane dello «Starboard-Chronicle» o del «New-Herald»!

Quando l'oscurità è completa, per quanto può esserlo nelle notti tropicali seminate di stelle, sembra che il Pacifico s'illumini sin dai suoi più profondi abissi. L'immensa superficie è impregnata di bagliori fosforescenti, illuminata da riflessi rosei o azzurri, non tracciati come un profilo luminoso sulla cresta delle onde, ma simili allo scintillio che avrebbero potuto emettere innumerevoli legioni di lucciole. Quella fosforescenza diviene tanto intensa da permettere di leggere come sotto l'irradiare di una lontana aurora boreale. Si direbbe che il Pacifico, dopo aver disciolto il fuoco che il sole vi ha riversato durante il giorno, lo restituisca la notte in ondate di luce.

Ben presto la prora di Standard-Island fende la massa degli acalefi che si divide in due scivolando lungo i litorali metallici. In poche ore l'isola a elica rimane circondata da una cintura di quegli animali nottiluchi, la cui sorgente fotogena non è stata alterata. La si direbbe un'aureola, un alone nel cui centro si stagliano le figure dei santi, uno di quei nimbi dalle tonalità lunari che si irradiano intorno alle teste dei Cristi. Il fenomeno dura fino al sorgere dell'alba le cui prime colorazioni finiscono per spegnerlo.

Sei giorni dopo il Gioiello del Pacifico raggiunge l'immaginario cerchio massimo del nostro sferoide che, disegnato materialmente, taglierebbe in due parti uguali l'orizzonte. Da quel punto si possono vedere nello stesso tempo i due poli della sfera celeste, uno al Nord acceso dai bagliori della Stella Polare, l'altro al Sud decorato (come un petto di soldato) della Croce del Sud. Bisogna anche aggiungere che dai diversi punti della linea equatoriale gli astri sembrano descrivere ogni giorno dei cerchi perpendicolari al piano

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dell'orizzonte. Se volete godere di giorni e di notti perfettamente eguali è in questi paraggi, nelle regioni delle isole o dei continenti attraversati dall'equatore che dovete andare a porre i vostri penati.

Dalla sua partenza dall'arcipelago havaiano, Standard-Island ha percorso circa seicento chilometri. È la seconda volta da quando è stata costruita che essa passa da un emisfero all'altro tagliando la linea equinoziale, prima scendendo verso sud, quindi risalendo verso nord. Al momento di quel passaggio per la popolazione milliardese è festa. Nel parco si faranno pubblici giochi, cerimonie religiose sia nel tempio sia nella cattedrale e corse di vetture elettriche intorno all'isola. Dalla piattaforma dell'osservatorio si lancerà uno splendido fuoco d'artificio, i cui meravigliosi colori cangianti gareggeranno con gli stellati splendori del firmamento.

Si tratta, lo avrete indovinato, di un'imitazione delle scenette e delle manifestazioni che avvengono abitualmente a bordo delle navi quando queste raggiungono l'equatore, e che costituiscono quello che si dice «il battesimo della Linea». E quel giorno viene sempre scelto per battezzare i bambini nati dopo la partenza da Madeleine-bay. E analoga cerimonia battesimale per gli stranieri che non sono ancora entrati nell'emisfero australe.

— Questa volta toccherà a noi — dice Frascolin ai compagni — e riceveremo il battesimo…

— Ci mancherebbe altro! — risponde Sébastien Zorn protestando con gesti d'indignazione.

— Sì, vecchio strimpellatore di basso! — replica Pinchinat. — Ci verseranno in testa secchi d'acqua non benedetta, ci faranno sedere su panche che oscilleranno e ci faranno cadere dentro trabocchetti e il buon Tropico non tarderà a presentarsi seguito dal suo corteo di buffoni, per imbrattarci il viso col suo vaso di catrame!

— Se credono — ribatte Sébastien Zorn — che mi sottometterò alle farse di questa mascherata…

— Bisognerà pure — dice Yvernès. — Paese che vai, usanza che trovi, e gli ospiti devono ubbidire…

— Non quando sono trattenuti contro la loro volontà! — esclama l'intrattabile capo del Quartetto Orchestrale.

Ma si rassicuri a proposito di quella carnevalata con la quale

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alcune navi si divertono passando l'equatore! Non tema l'arrivo del buon Tropico! Egli e i suoi compagni verranno aspersi non con acqua di mare, ma con champagne di gran marca. Né verranno tratti in inganno da un equatore tracciato preventivamente attraverso l'obiettivo di un cannocchiale. Cose del genere si addicono a marinai in crociera d'istruzione, non alle persone serie di Standard-Island.

La festa si svolge nel pomeriggio del 5 agosto. Eccettuati i doganieri che non devono abbandonare mai il loro posto, gli altri impiegati sono tutti in permesso. Nella città e nei porti è stato sospeso ogni lavoro. Le eliche non funzionano più. Gli accumulatori sono provvisti di un potenziale elettrico sufficiente per sopperire al servizio dell'illuminazione e delle comunicazioni elettriche. D'altra parte Standard-Island non rimane ferma: una corrente la porta verso la linea che divide i due emisferi del globo. Canti e preghiere si elevano nelle chiese (tanto nel tempio protestante quanto in Saint-Mary) e gli organi suonano a pieno volume. Una gioia generale regna nel parco, dove gli esercizi sportivi vengono eseguiti con notevole entusiasmo. Tutte le classi sociali vi prendono parte. I giovani più ricchi, capitanati da Walter Tankerdon, fanno meraviglie nelle partite di golf e di tennis. Quando il sole sarà caduto a perpendicolo sotto l'orizzonte, lasciando dietro di sé solo un crepuscolo di 45 minuti, i razzi del fuoco d'artificio s'innalzeranno nello spazio, e una notte senza luna si presterà all'esposizione di quelle magnificenze.

Nella sala principale del Casino il quartetto viene battezzato, come è stato detto e dalla mano stessa di Cyrus Bikerstaff; il governatore gli offre la coppa spumeggiante e lo champagne scorre a torrenti. Gli artisti hanno cospicua parte di Cliquot e di Roederer. Sébastien Zorn avrebbe torto a lamentarsi di un battesimo che non gli ricorda in nessuna maniera l'acqua salata posatagli sulle labbra nei primi giorni della sua vita.

E i parigini rispondono a quelle testimonianze di simpatia con l'esecuzione dei pezzi migliori del loro repertorio: il settimo quartetto in fa maggiore, op. 59, di Beethoven; il quarto quartetto in mi bemolle, op. 10, di Mozart; il quarto quartetto in re minore, op. 17, di Haydn; il settimo quartetto, andante, scherzo capriccioso e fuga, op. 81, di Mendelssohn. Sì! tutte quelle meraviglie della musica da

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concerto e l'audizione è gratuita. La gente si schiaccia agli ingressi: nella sala si soffoca. Si devono ripetere i pezzi due o tre volte e il governatore fa dono agli artisti di una medaglia d'oro incorniciata di brillanti notevoli per il numero dei loro carati, con su una faccia lo stemma di Milliard-City e sull'altra queste parole scritte in francese:

Offerta al Quartetto Orchestrale

dalla Compagnia, dal Municipio e dalla popolazione di Standard-Island.

E se tutti questi onori non penetrano fino in fondo all'anima

dell'irreconciliabile violoncellista è proprio perché, come gli ripetono i suoi compagni, egli ha un brutto carattere.

— Aspettiamo la fine! — si accontenta di rispondere Sébastien Zorn tormentandosi la barba con mano febbrile.

Alle 10,35 di sera (il calcolo è stato eseguito dagli astronomi di Standard-Island) l'isola a elica deve tagliare la linea equinoziale. In quel momento preciso un colpo di cannone, sarà sparato da uno dei pezzi della batteria dello Sperone. Questa batteria è collegata per mezzo di un filo con l'apparecchio elettrico sistemato in mezzo al giardino dell'osservatorio. Straordinaria soddisfazione d'amor proprio per quello dei notabili a cui è riservato l'onore di inviare la corrente che deve provocare la formidabile detonazione.

Ora, quel giorno due importanti personaggi pretendono quell'onore. Sono, lo si indovina, Jem Tankerdon e Nat Coverley. Ne deriva estremo imbarazzo per Cyrus Bikerstaff. Difficoltose trattative sono state imbastite preventivamente fra il municipio e le due sezioni dell'isola. Ma non si è arrivati a mettersi d'accordo. Dietro invito del governatore vi si è intromesso anche Calistus Munbar. Ma, nonostante la sua abilità tanto nota, le risorse del suo spirito diplomatico e del suo famoso saper fare, il sovrintendente ha fatto un fiasco completo. Jem Tankerdon non vuole affatto cedere il passo a Nat Coverley che naturalmente rifiuta di cederlo a Jem Tankerdon. Si aspetta uno scoppio.

E questo non ha tardato a prodursi in tutta la sua violenza, quando i due capi si sono incontrati nel giardino, l'uno in faccia all'altro.

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L'apparecchio è a cinque passi da loro… Basta toccarlo con la punta del dito…

Informata del problema, la folla, entusiasmata da quella questione di precedenza, ha invaso il giardino.

Dopo il concerto Sébastien Zorn, Yvernès, Frascolin e Pinchinat si sono recati all'osservatorio, curiosi di vedere le varie fasi di quella rivalità. Date le disposizioni dei sinistresi e dei drittesi, la faccenda mostra veramente di poter diventare di una gravità eccezionale per l'avvenire.

I due personaggi si avanzano senza nemmeno salutarsi con un lieve cenno del capo.

— Penso, signore — fa Jem Tankerdon — che non mi disputerete l'onore…

— È precisamente quello che mi aspetto da voi, o signore… — risponde Nat Coverley.

— Non sopporterò mai che si insulti pubblicamente la mia persona…

— Né io la mia… — La vedremo! — esclama Jem Tankerdon facendo un passo

verso l'apparecchio. Ed anche Nat Coverley ne fa uno. I partigiani dei due notabili

cominciano a intromettersi. Qualche provocazione cominciò a scoppiare nelle file da una parte e dall'altra. Certo Walter Tankerdon è pronto a sostenere i diritti di suo padre, eppure quando vede la signorina Coverley che si tiene un poco in disparte, rimane visibilmente imbarazzato.

Il governatore, quantunque abbia al suo fianco il sovrintendente pronto a far la parte di tampone, è desolato di non riuscire a riunire in un solo mazzolino la rosa bianca di York e la rosa rossa di Lancaster. E chissà che quella deplorevole rivalità non abbia conseguenze funeste quanto quelle che ne derivarono nel secolo XV all'aristocrazia inglese?

Intanto si avvicina il momento in cui la prua di Standard-Island taglierà la linea equatoriale. Stabilito con la precisione di un quarto di secondo, il calcolo comporterebbe un errore di appena otto metri. Il segnale non può tardare ad essere emesso dall'osservatorio.

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— Ho un'idea! — mormora Pinchinat. — Quale? — chiede Yvernès. — Vado a dare un pugno sul bottone dell'apparecchio e questo li

metterà certamente d'accordo… — Per carità! — esclama Frascolin arrestando Sua Altezza con

braccio vigoroso. Bah, non si sa certo come l'incidente sarebbe andato a finire se ad

un tratto non si fosse intesa una sonora detonazione… Questa detonazione non viene dalla batteria dello Sperone. È un

colpo di cannone proveniente dal largo, che è stato udito distintamente.

La folla rimane in angosciosa attesa. Che cosa può significare quella scarica di una bocca da fuoco che

non appartiene all'artiglieria di Standard-Island? Un telegramma, spedito da Tribord-Harbour, ne dà quasi subito la

spiegazione. A due o tre miglia di distanza una nave in pericolo ha segnalato la

sua presenza e chiede soccorso. Fortunata e inattesa diversione! Non si pensa più a litigare davanti

al pulsante elettrico, né a salutare il passaggio dell'equatore. D'altra parte non è nemmeno più tempo. La linea è stata passata e il colpo regolamentare è rimasto nell'anima del cannone. Meglio così, in ogni caso, per l'onore delle famiglie Tankerdon e Coverley.

Il pubblico svuota il giardino e, siccome i tram non funzionano più, si dirige a piedi e con sollecitudine verso i moli di Tribord-Harbour.

Del resto, dopo il segnale mandato dal largo, il capitano del porto ha preso le misure relative al salvataggio. Una delle lance elettriche ancorate nella darsena, è stata inviata al largo. E nel momento in cui la folla arriva, l'imbarcazione riconduce i naufraghi raccolti sulla nave che poco dopo è stata inghiottita dagli abissi del Pacifico.

Quella nave è il ketch malese, che ha seguito Standard-Island fin dalla sua partenza dalle isole Sandwich.

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CAPITOLO XI

LE ISOLE MARCHESI

NELLA MATTINATA del 29 agosto, il Gioiello del Pacifico passa attraverso l'arcipelago delle Marchesi posto fra i 7° 55' e 10° 30' di latitudine sud, e i 41° e 143° 6' di longitudine ovest del meridiano di Parigi. Ha percorso una distanza di 3500 chilometri dal gruppo delle Sandwich.

Questo arcipelago si chiama anche Mendana, perché uno spagnolo di questo nome ne fece la scoperta della parte meridionale nel 1595. Si chiama anche «Isola della Rivoluzione» perché nel 1791 è stato visitato nella sua parte di nord-ovest dal capitano Marchand. Si chiama anche arcipelago di Nuka-Hiva perché tale è il nome della più importante delle isole che lo compongono. Eppure, non foss'altro che per giustizia, avrebbe dovuto prendere anche il nome di Cook poiché fu appunto il celebre viaggiatore che ne eseguì la ricognizione nel 1774.

È quanto il commodoro Ethel Simcoë fa osservare a Frascolin, il quale trova molto logica l'osservazione ed aggiunge:

— Si potrebbe chiamarlo anche l'Arcipelago Francese, perché qui alle Marchesi siamo un po' come in Francia.

Effettivamente un francese ha il diritto di considerare quel gruppo di undici fra isole e isolotti come una specie di squadra navale del suo paese ancorata in mezzo al Pacifico. Le più grandi sono le corazzate di prima classe Nuka-Hiva e Hiva-Oa; le mezzane sono gli incrociatori di varie classi Hiau, Uapu, Uauka; le più piccole sono gli avvisi Molane, Fatu-Hiva, Tau-Ata, mentre gli isolotti o gli atolli sarebbero semplici imbarcazioni di collegamento della squadra. È vero però che queste isole non possono spostarsi come fa Standard-Island.

Fu il 1° maggio del 1842 che il comandante della stazione navale

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del Pacifico, contrammiraglio Dupetit-Thouars prese possesso dell'arcipelago in nome della Francia. Da mille a duemila leghe lo separano tanto dalla costa americana che dalla Nuova Zelanda, dall'Australia, dalla Cina, dalle Molucche o dalle Filippine. Date tali condizioni l'atto del contrammiraglio era da lodarsi o da disapprovarsi? Lo si disapprovò da parte dell'opposizione, ma lo si lodò da parte dei personaggi del governo.

Ciononostante la Francia possiede così un possedimento insulare dove le sue navi per la pesca d'alto mare trovano dove ripararsi, vettovagliarsi e a cui il canale di Panama – se mai verrà aperto 27 – darà una reale importanza commerciale. Quel dominio doveva essere completato con la presa di possesso o con la dichiarazione di protettorato delle isole Pomotu, delle isole della Società che ne formano il prolungamento naturale. Poiché l'influenza britannica si stende sopra i paraggi del nord-ovest di quell'immenso oceano, è opportuno che l'influenza francese venga a controbilanciarla nei paraggi del sud-est.

— Ma — chiede Frascolin al compiacente cicerone — abbiamo qui forze militari di qualche importanza?

— Fino al 1859 — risponde il commodoro Simcoë — a Nuka-Hiva si trovava un distaccamento di fucilieri di marina. Da quando quel distaccamento è stato ritirato, la guardia della bandiera è stata affidata ai missionari che non la lascerebbero certo ammainare senza difenderla.

— E ora? — Non troverete a Taio-Hoé che un residente, pochi gendarmi e

soldati indigeni agli ordini di un ufficiale che funge anche da giudice di pace…

— Per i processi degli indigeni?… — Degli indigeni e dei coloni. — Vi sono dunque dei coloni a Nuka-Hiva?… — Sì… un paio di dozzine. — Nemmeno sufficienti per formare un'orchestra sinfonica,

nemmeno un concertino… appena una fanfara!

27 Si ricorda ancora una volta che il volume è stato scritto nel 1895. Il Canale di Panama è stato aperto al traffico nel 1914. (N.d.T.)

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Effettivamente, se l'arcipelago delle Marchesi si stende per centonovantacinque miglia di lunghezza e per quarantotto di larghezza e copre un'area di tredicimila chilometri quadrati, la sua popolazione non arriva ai ventiquattromila indigeni. Il che fa appunto un colono per ogni mille abitanti.

La popolazione marchesana è destinata ad aumentare, quando una nuova via di comunicazione sarà aperta tra le due Americhe? L'avvenire lo dirà. Ma per ciò che concerne la popolazione di Standard-Island il numero dei suoi abitanti è cresciuto da qualche giorno a causa del salvataggio del ketch malese avvenuto la sera del 5 agosto.

I malesi sono dieci oltre al loro capitano, uomo, come si è detto, dall'aspetto molto energico. Questo capitano, che può avere una quarantina d'anni di età, si chiama Saro!. I suoi marinai sono robusti giovanotti di quella razza originaria delle isole periferiche della Malesia occidentale. Tre mesi prima Sarol li aveva condotti a Honolulu con un carico di copra. Quando Standard-Island giunse in quel porto per una sosta di dieci giorni, la comparsa dell'isola artificiale suscitò la loro curiosità così come avveniva in tutti gli arcipelaghi. Se essi non la visitarono, perché quel permesso si otteneva solo con grande difficoltà, il lettore non avrà però dimenticato che il ketch aveva spesso preso il mare per osservarla più da vicino, circumnavigandola a una distanza di mezza lunghezza di cavo dalle sue coste. L'ostinata presenza di quella nave non aveva però suscitato nessun sospetto e la sua partenza da Honolulu poche ore dopo quella del commodoro Simcoë non ne fece sorgere nemmeno. D'altronde sarebbe stato il caso di preoccuparsi per quell'imbarcazione d'un centinaio di tonnellate, montata da una decina d'uomini? No, senza dubbio, ma forse questo fu uno sbaglio…

Quando il colpo di cannone attirò l'attenzione dell'ufficiale di Tribord-Harbour il ketch si trovava a sole due o tre miglia. La lancia di salvataggio, inviata in suo soccorso, arrivò a tempo per raccogliere il capitano e il suo equipaggio.

I malesi parlano correntemente la lingua inglese, il che non deve stupire da parte di indigeni del Pacifico occidentale dove, come abbiamo detto, la preponderanza britannica è incontestata. Si viene

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così a sapere per quale motivo essi si sono trovati in pericolo. E addirittura, se la lancia avesse ritardato di pochi minuti, gli undici malesi sarebbero scomparsi nelle profondità dell'oceano.

Stando a quanto essi hanno detto, ventiquattr'ore prima, nella notte dal 4 al 5 agosto il ketch era stato investito da un piroscafo che procedeva a tutto vapore. Nonostante che egli avesse i fuochi di posizione, il capitano Sarol non era stato avvistato. La collisione dovette essere così leggera per il piroscafo che questo non ne risentì minimamente, a quanto sembra, poiché continuò la sua rotta, a meno che tuttavia (e disgraziatamente il caso non è raro) esso avesse preferito, filando a tutto vapore, «liberarsi da reclami spiacevoli e costosi».

Ma quell'urto, insignificante per un bastimento di grande tonnellaggio, il cui scafo di ferro avanza lanciato a una velocità considerevole, fu terribile per la nave malese. Tagliata in due a proravia dell'albero di trinchetto, era inspiegabile come non fosse colata a picco immediatamente. Pure rimase a galla per un certo tempo e i marinai restarono aggrappati alle impavesate. Se il mare fosse stato cattivo nessuno avrebbe potuto resistere alle ondate spazzanti il relitto. Per fortuna la corrente lo spinse verso est avvicinandolo a Standard-Island.

Tuttavia, quando interroga il capitano Sarol, il commodoro manifesta la sua meraviglia sentendo come il ketch semisommerso abbia potuto derivare fino a trovarsi in vista di Tribord-Harbour.

— Non lo comprendo nemmeno io — rispose il malese. — Che la vostra isola abbia fatto poca rotta nelle ultime ventiquattr'ore?…

— È la sola spiegazione possibile — replica il commodoro Simcoë. — Ma, dopo tutto, non importa. L'essenziale è di avervi salvati.

Appena in tempo, peraltro. Prima che la lancia si fosse allontanata d'un quarto di miglio, il ketch era colato a picco.

Ecco il racconto che il capitano Sarol ha fatto prima all'ufficiale che comandava l'operazione di salvataggio, poi al commodoro Simcoë, quindi al governatore Cyrus Bikerstaff dopo che erano stati apprestati tutti quei soccorsi di cui egli ed il suo equipaggio sembravano avere il più urgente bisogno.

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Sorge ora la questione del rimpatrio dei naufraghi. Essi facevano vela verso le Nuove Ebridi, quando si è verificata la collisione. Standard-Island che scende verso sud-est non può modificare il suo itinerario e piegare ad ovest. Cyrus Bikerstaff propone quindi ai naufraghi di sbarcarli a Nuka-Hiva dove essi attenderanno il passaggio di una nave mercantile in rotta per le Nuove Ebridi.

Il capitano e i suoi uomini si guardano. Sembrano dispiaciutissimi. La proposta infatti preoccupa quei poveri diavoli, senza risorse, spogliati di tutto ciò che possedevano con il ketch e il suo carico. Aspettare alle Marchesi significa esporsi a rimanervi per un tempo interminabile: e come vi potranno vivere?

— Signor governatore, — dice il capitano in tono supplichevole — voi ci avete salvati e noi non sappiamo come provarvi la nostra gratitudine… Ma intanto vi chiediamo ancora di assicurare il nostro ritorno in condizioni migliori…

— E in che modo?… — domanda Cyrus Bikerstaff. — A Honolulu si diceva che Standard-Island, dopo essersi diretta

verso i paraggi di sud, doveva visitare le Marchesi, le Pomotu, le isole della Società, per poi raggiungere la parte occidentale del Pacifico…

— È vero — risponde il governatore — e molto probabilmente l'isola si spingerà fino alle Figi, prima di tornare a Madeleine-bay.

— Le Figi — riprende il capitano — sono un arcipelago inglese dove troveremo facilmente il modo di essere rimpatriati alle Nuove Ebridi, che sono poco lontane… e se voleste ospitarci fin là…

— Non posso promettervi nulla a questo proposito — replica il governatore. — Ci è proibito accordar passaggi a stranieri. Aspettiamo fino all'arrivo a Nuka-Hiva. Là consulterò via telefono l'amministrazione della Compagnia a Madeleine-bay e, se essa acconsente, vi condurremo alle Figi, dalle quali effettivamente il vostro rimpatrio sarà molto più facile.

Ed ecco la ragione per cui i malesi si trovano installati a bordo di Standard-Island, quando la mattina del 29 agosto essa avvista le isole Marchesi.

Questo arcipelago è situato sul percorso degli alisei. E la stessa posizione hanno i due arcipelaghi delle Pomotu e della Società a cui

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tali venti assicurano una temperatura moderata ed un clima salubre. Il commodoro Simcoë si presenta davanti al gruppo di nord-ovest

alle prime ore del mattino. Dapprima egli riconosce un atollo sabbioso che le carte indicano con il nome di Isolotto di Corallo, e contro il quale il mare, spinto dalle correnti, si accanisce con estrema violenza.

Lasciato sulla sinistra l'atollo, le vedette non tardano a segnalare una prima isola Fetouou, molto erta, cinta da scogliere a picco alte quattrocento metri. Al di là si trova Hiaou, alta seicento metri, arida su questo lato, mentre, fresca e verdeggiante dall'altro, offre due rade praticabili per le piccole navi.

Frascolin, Yvernès, Pinchinat, lasciando Sébastien Zorn al suo permanente cattivo umore, sono saliti sulla torre, assieme ad Ethel Simcoë e a parecchi dei suoi ufficiali. Non ci si stupirà del fatto che il nome di Hiaou abbia spinto Sua Altezza a emettere alcuni bizzarri suoni onomatopeici.

— Sicuramente — dice — quest'isola è abitata da una colonia di gatti che hanno per capo un soriano…

Hiaou rimane sulla sinistra. Non vi si deve far sosta e ci si dirige verso l'isola principale del gruppo che da essa ha preso nome e a cui va temporaneamente ad aggiungersi la meravigliosa Standard-Island.

L'indomani, 30 agosto, fin dall'alba i nostri parigini sono tornati al loro posto. Le alture di Nuka-Hiva erano già state avvistate la sera precedente. Con un tempo limpido le catene di monti di quell'arcipelago si scorgono da una distanza di diciotto o venti leghe (perché l'altezza di alcune cime supera i milleduecento metri), disegnandosi come una gobba gigantesca che segue la lunghezza dell'isola.

— Noterete — dice il commodoro Simcoë ai suoi ospiti — una caratteristica comune a tutto quanto l'arcipelago. Le sue cime sono di una nudità che in questa zona è per lo meno singolare, mentre la vegetazione che comincia ai due terzi delle montagne, scende in fondo ai burroni e alle gole e si sviluppa in tutta la sua magnificenza fino alle spiagge bianche del litorale.

— Eppure — fa osservare Frascolin — pare che Nuka-Hiva si sottragga a questa regola generale, almeno per quanto concerne la

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vegetazione delle zone medie. Sembra sterile… — Perché ci avviciniamo dalla parte di nord-ovest — risponde il

commodoro Simcoë — ma quando la aggireremo dalla parte di mezzogiorno, il contrasto vi sorprenderà. Dovunque piane verdeggianti, foreste, cascate alte trenta metri…

— Eh! — esclama Pinchinat — una massa d'acqua che cade come dall'alto della torre Eiffel merita davvero rispetto!… Il Niagara ne sarebbe geloso…

— Niente affatto! — ribatte Frascolin. — Si rifà in larghezza e la sua cascata si estende per novecento metri dalla riva americana a quella canadese… E lo sai bene, Pmchinat, dal momento che vi siamo stati…

— È giusto, e faccio le mie scuse al Niagara! — conclude Sua Altezza. Quel giorno Standard-Island costeggia l'isola a un miglio di distanza.

Sempre pendii aridi che salgono fino all'altopiano centrale di Tovii, scogliere rocciose che sembrano non avere nessuna spaccatura. Nondimeno, stando a quanto detto dal navigatore Brown vi erano dei buoni ancoraggi che infatti sono stati in seguito scoperti.

Insomma l'aspetto di Nuka-Hiva, il cui nome evoca tanti graziosi paesaggi, è piuttosto triste. Ma come giustamente hanno riferito i signori Dumoulin e Desgraz, compagni di Dumont d'Urville durante il suo viaggio al Polo sud e nell'Oceania «tutte le bellezze naturali sono confinate nell'interno delle baie, nei solchi formati dalle ramificazioni della catena di monti che si elevano nel centro dell'isola».

Dopo aver costeggiato quel litorale deserto, al di là dell'angolo acuto che esso proietta verso occidente, Standard-Island modifica leggermente la sua direzione diminuendo la velocità delle eliche di dritta e scapola il capo Chichagoff, così battezzato dal navigatore russo Krusenstern. La costa in quel punto si incava descrivendo un arco allungato, in mezzo al quale una stretta imboccatura dà accesso al porto di Taioa o di Akani, una delle rade del quale offre sicuro riparo contro le più terribili tempeste del Pacifico.

Il commodoro Simcoë non vi si ferma. A sud vi sono due altre baie, quella di Anna-Maria o Taio-Haé al centro e quella di

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Comptroller o dei Taipi di là dal capo Martin, punta estrema a sud-est dell'isola. È davanti a Taio-Haé che si deve sostare per una dozzina di giorni.

A poca distanza dalle coste di Nuka-Hiva la sonda segnala grandi profondità. Nei pressi delle baie si può benissimo gettare l'ancora su fondali di quaranta o cinquanta braccia. È dunque molto facile avvicinarsi alla baia di Taio-Haé e ciò appunto avviene nel pomeriggio del 31 agosto.

Non appena si è in vista del porto, alcune detonazioni risuonano sulla destra e volute di fumo si alzano sopra le scogliere orientali.

— Ehi! — fa Pinchinat. — Sparano cannonate per festeggiare il nostro arrivo…

— No — risponde il commodoro Simcoë. — Né i Tai né gli Happas, le due principali tribù dell'isola, possiedono un'artiglieria capace di rendere anche solo delle semplici salve di saluto. Quello che udite è il rumore del mare che si riversa nelle viscere di una caverna che si trova a metà della costa di capo Martin e quel fumo non è altro che il pulviscolo delle onde rigettate al di fuori.

— Peccato — replica Sua Altezza — poiché una cannonata equivale a una scappellata.

L'isola di Nuka-Hiva possiede parecchi nomi (si potrebbe dire parecchi nomi di battesimo) dovuti ai diversi padrini che l'hanno successivamente battezzata: isola Federale da Ingraham, isola Beaux da Marchand, isola Sir Henry Martin da Hergert, isola Adam da Roberts, isola Madison da Porter. Essa misura diciassette miglia da oriente a occidente e dieci miglia da nord a sud, ossia ha una circonferenza di circa cinquantaquattro miglia. Il suo clima è salubre. La sua temperatura eguaglia quella delle zone intertropicali con la moderazione apportatavi dai venti alisei.

Su quell'ancoraggio Standard-Island non avrà certo mai da temere i tremendi uragani e le cateratte di pioggia, poiché deve sostarvi solo nel periodo da aprile a ottobre, allorché vi dominano i venti asciutti da est a sud-est che gli indigeni chiamano «tuatuka». È in ottobre che vi si sentono i maggiori calori, in novembre e dicembre le maggiori siccità. Dopo, da aprile a ottobre, le correnti aeree regnano da est a nord-est.

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Per ciò che riguarda la popolazione delle isole Marchesi è stato necessario ricredersi dalle esagerazioni dei primi esploratori che la valutavano in centomila abitanti.

Elisée Reclus, basandosi su seri documenti, la stima in meno di seimila anime per tutto l'arcipelago, di cui la maggior parte è concentrata a Nuka-Hiva. Se dall'epoca di Dumont d'Urville il numero dei Nuka-Hiviani ha potuto salire ad ottomila individui divisi in Tai, Happa, Taiona e Taipi, questa cifra però non ha mai cessato di decrescere. Da che cosa deriva questo spopolamento? Dallo sterminio degli indigeni in seguito alle guerre, dal rapimento dei maschi per le piantagioni peruviane, dall'abuso dei liquori forti e anche – perché non confessarlo? – da tutti i mali che porta con sé la conquista, anche quando i conquistatori appartengono alle razze civili.

Durante la settimana di sosta i milliardesi fanno numerose visite a Nuka-Hiva. E i notabili europei le rendono, grazie all'autorizzazione del governatore, che ha lasciato loro libero l'accesso a Standard-Island.

Da parte loro, Sébastien Zorn e i suoi compagni intraprendono lunghe escursioni il cui piacere li ricompensa ampiamente delle loro fatiche.

La baia di Taio-Haé descrive un cerchio tagliato dalla sua stretta imboccatura, nel quale Standard-Island non avrebbe trovato posto, oltre tutto perché tale baia è sezionata da due spiagge sabbiose. Queste spiagge sono separate da una specie di montagnola dai fianchi erti, su cui si ergono ancora i resti di un forte costruito da Porter nel 1812. A quell'epoca, quel navigatore effettuava la conquista dell'isola, e il campo americano occupava la spiaggia orientale (presa di possesso che non fu mai ratificata dal governo federale).

Quanto a città, sulla spiaggia opposta i nostri parigini non trovano che un modesto villaggio perché le abitazioni marchesane sono per la maggior parte sparse in mezzo agli alberi. Ma che stupende vallate vi conducono, quali quella di Taio-Haé, dove appunto i Nuka-Hiviani preferiscono stabilire le loro dimore! È un vero piacere infilarsi in mezzo a quei boschetti di palme da cocco, di banani, di casuarine, di

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goyave, di alberi del pane, di ibischi e di tante altre essenze vegetali, gonfie di linfa da scoppiare. I turisti sono accolti ospitalmente nelle capanne. Là dove un secolo prima avrebbero rischiato di venire divorati, poterono apprezzare le gallette fatte di banane e di pasta del mei (l'albero del pane), la fecola giallastra del taro, dolce quando è fresca e asprigna quand'è rafferma, e le radici commestibili del tacca. Quanto allo haua, specie di grande razza che si mangia cruda, e ai filetti di pescecane tanto più apprezzati quanto più sono putrefatti, essi rifiutarono assolutamente di accostarvi la bocca.

Athanase Dorémus qualche volta li accompagna nelle loro passeggiate. L'anno prima il brav'uomo ha visitato l'arcipelago e serve loro di guida. Forse non è un grande esperto né in botanica né in storia naturale, forse confonde la superba spondia cytherea i cui frutti sembrano mele, col pandanus odoratissimus che giustifica il superlativo del suo epiteto; o con la casuarina, il cui legno ha la durezza del ferro; o con l'ibisco, la cui scorza serve di vestiario agli indigeni; o con la papaya; o con la gardenia florida. Però il quartetto non ha bisogno di ricorrere alla sua scienza un po' sospetta quando la flora marchesana gli presenta delle magnifiche felci, o superbi polipodi, o rosai di Cina dai fiori rossi e bianchi, le sue graminacee, le sue solanacee, fra cui il tabacco, le sue labiate dai grappoli violetti che formano l'acconciatura più ricercata dalle giovani Nuka-Hiviane, i suoi ricini alti una decina di piedi, le sue dracene, le sue canne da zucchero, i suoi aranci, i suoi limoni, l'importazione dei quali, piuttosto recente, ha attecchito magnificamente in quelle terre impregnate di calori estivi e innaffiate dai molteplici ruscelli che scendono dalle montagne.

E un mattino, quando il quartetto si è portato al disopra del villaggio dei Tai, costeggiando un torrente, ed è giunto sulla cima della catena, quando sotto i suoi piedi, davanti ai suoi occhi, vede spiegarsi le vallate dei Tai, dei Taipi e degli Happa, gli sfugge un grido d'ammirazione! Se avesse avuto i suoi strumenti non avrebbe resistito al desiderio di rispondere con l'esecuzione di un capolavoro lirico, allo spettacolo di quei capolavori della natura! Certo gli esecutori non sarebbero stati ascoltati altro che da qualche coppia d'uccelli! Ma la colomba kurukuru che vola a quelle altezze è tanto

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graziosa, la rondine salangana tanto gentile, e il fetonte, ospite abituale delle gole nukahiviane, spazza l'aria con un volo così capriccioso!

Inoltre, non c'è da temere nessun rettile velenoso nel cuore di quelle foreste; non ci si preoccupa né dei boa lunghi due piedi appena e inoffensivi quanto le nostre bisce, né dei simchi la cui coda azzurra si confonde coi fiori.

Gli indigeni mostrano caratteristiche notevoli. Hanno qualcosa di asiatico, il che assegna loro un'origine molto diversa dalle altre popolazioni dell'Oceania. Sono di altezza media, di proporzioni perfette, molto muscolosi e larghi di petto. Hanno estremità sottili, viso ovale, fronte alta, occhi neri con lunghe ciglia, naso aquilino, denti bianchi e regolari, colore né rosso né nero, bistro piuttosto come quello degli arabi, fisionomia fatta al tempo stesso di gaiezza e di dolcezza.

Il tatuaggio è quasi interamente scomparso, quel tatuaggio che si faceva non con i tagli nella pelle, ma per mezzo di punture su cui si versava la polvere dell'aleurite triloba carbonizzata. Esso ora è sostituito dalle cotonine dei missionari.

— Bellissimi questi uomini, — fa Yvernès — forse meno però che all'epoca in cui indossavano solo i loro perizoma, si coprivano il capo con i loro soli capelli, e brandivano l'arco e le frecce.

Quest'osservazione viene fatta durante una gita alla baia Comptroller in compagnia del governatore. Cyrus Bikerstaff ha desiderato condurre i suoi ospiti in questa baia suddivisa, come La Valletta, in parecchi porti: senza dubbio in mano agli inglesi, Nuka-Hiva sarebbe diventata una Malta dell'Oceano Pacifico. In questa regione si è concentrata la popolazione degli Happa fra le gole di una fertile campagna, con un fiumicello alimentato da una sonora cascata. Quello fu il teatro principale della lotta fra l'americano Porter e gli indigeni.

L'osservazione di Yvernès richiedeva una risposta e il governatore la fornisce dicendo:

— Forse avete ragione, signor Yvernès. I marchesani avevano un più bell'aspetto con il perizoma, il maro e il pareo dai colori vistosi, l'ahu bun, specie di sciarpa volante, e il tiputa che è una specie di

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poncho messicano. Certo l'abbigliamento moderno non si addice loro affatto! Ma che volete? Alla civilizzazione tien dietro il senso del pudore. I nostri missionari pensano allo stesso tempo a istruire gli indigeni e ad insegnar loro a vestirsi in una maniera meno primitiva.

— Non hanno forse ragione, commodoro? — Dal punto di vista delle convenienze, si! Ma dal punto di vista

igienico, no! Da quando sono vestiti più decentemente i Nuka-Hiviani e gli altri isolani, statene pur certo, hanno perduto del loro vigore nativo e anche della loro naturale gaiezza. Si annoiano e la loro salute ne ha sofferto. Prima essi ignoravano le bronchiti, le polmoniti, la tisi…

— E da quando non vanno più nudi prendono il raffreddore… — esclama Pinchinat.

— Precisamente! Questa è stata una seria causa di deperimento della razza.

— Da cui si conclude — riprende Sua Altezza — che Adamo ed Eva hanno cominciato a starnutire solo il giorno in cui, dopo essere stati cacciati dal Paradiso terrestre, hanno indossato gonne e pantaloni, il che ha fruttato a noi, loro figli degeneri e responsabili, le flussioni di petto.

— Signor governatore — chiede Yvemès — ci è parso che in questo arcipelago le donne siano meno belle degli uomini…

— Come negli altri — risponde Cyrus Bikerstaff — eppure qui voi vedete il tipo più perfetto delle donne dell'Oceania. D'altra parte non è forse questa una legge di natura comune alle razze che si avvicinano allo stato selvaggio? Non è così anche nel regno animale dove la fauna, dal punto di vista della bellezza fisica, ci mostra quasi invariabilmente i maschi superiori alle femmine?

— Ehi! — esclama Pinchinat — bisogna venire agli antipodi per tare simili osservazioni, ed ecco delle cose che le nostre graziose parigine non vorranno mai ammettere.

Nella popolazione di Nuka-Hiva esistono solo due classi le quali sono sottomesse alla legge del «tabu». Questa legge fu inventata dai forti contro i deboli e dai ricchi contro i poveri, per salvaguardare i loro privilegi e i loro beni. Il «tabu» ha il bianco per suo colore e la gente modesta non ha il diritto di accostarsi agli oggetti su cui è stato

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indetto il «tabu», luogo sacro o monumento funerario o casa di qualche capo. Da questo stato di cose è sorta una classe «tabu» a cui appartengono i preti, gli stregoni o «tua», gli «akarki» o capi civili; ed una classe non «tabu» in cui sono relegati la maggior parte delle donne e il popolino. Inoltre non solo non è permesso di portar la mano sopra un oggetto protetto dal «tabu» ma è addirittura proibito posarvi sopra lo sguardo.

— E alle Marchesi questa regola — aggiunge Cyrus Bikerstaff — è talmente severa così come alle Pomotu e alle isole della Società, che io non vi consiglierei mai d'infrangerla, signori.

— Hai sentito, amico Zorn? — disse Frascolin. — Bada alle mani! Bada agli occhi!

Il violoncellista si limita ad alzare le spalle da uomo cui quelle cose non importano minimamente.

Il 5 settembre Standard-Island lascia l'ancoraggio di Taio-Haé. Si tiene ad occidente dell'isola Houa-Houna (Kahuga), la più orientale del primo gruppo, di cui si vedono solo le lontane cime verdeggianti e che manca di spiagge, dato che le sue coste sono formate da scogliere tagliate a picco. Inutile dire che costeggiando quelle isole, Standard-Island si preoccupa di rallentare la velocità, poiché una massa come la sua, lanciata a tutta velocità, produrrebbe una specie di maremoto che getterebbe sulla costa le imbarcazioni e inonderebbe il litorale. Si passa a sole poche lunghezze di cavo da Uapou, il cui aspetto è notevole, irta com'essa è di guglie basaltiche. Due rade, una detta baia della Possessione e l'altra baia del Bon Accueil, indicano che hanno avuto un francese per padrino. È là infatti che il capitano Marchand alzò il vessillo di Francia.

Più oltre, Ethel Simcoë, penetrando fra le isole del secondo gruppo si dirige verso Hiva-Oa, l'isola Dominica secondo la denominazione spagnola. Essa è la più vasta dell'arcipelago, d'origine vulcanica, e ha una circonferenza di cinquantasei miglia. Si possono osservare molto chiaramente le sue scogliere tagliate in una roccia nerastra e le cascate che precipitano dalle colline centrali che sono rivestite da una vegetazione superba.

Uno stretto di tre miglia separa quest'isola da Tau-Ata. Poiché non avrebbe potuto trovarvi sufficiente larghezza per passarvi, Standard-

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Island deve aggirare Tau-Ata da ovest, dove la baia Madre de Dios (baia della Risoluzione, di Cook) accolse le prime navi europee. Quest'isola guadagnerebbe molto se fosse meno vicina alla sua rivale Hiva-Oa. Forse allora, dal momento che la guerra fra l'una e l'altra sarebbe più difficile, le popolazioni non verrebbero a contatto e non si decimerebbero con la foga che hanno attualmente.

Dopo aver rilevato ad est la posizione di Motane, sterile, senza porti, senza abitanti, il commodoro Simcoë dirige su Fatu-Hiva, l'antica isola di Cook. Questa non è, a dire il vero, che un enorme scoglio roccioso, su cui pullulano gli uccelli della zona tropicale, una specie di pan di zucchero di tre miglia di circonferenza.

Questo è l'ultimo isolotto di sud-est che i milliardesi perdono di vista nel pomeriggio del 9 settembre. Per conformarsi al suo itinerario, Standard-Island mette la prora a sud-ovest per raggiungere l'arcipelago delle Pomotu, di cui deve attraversare la parte mediana.

Il tempo è sempre propizio, poiché il mese di settembre corrisponde al mese di marzo dell'emisfero boreale.

La mattina dell'11 settembre la lancia di Babord-Harbour ha raccolto una delle boe galleggianti a cui è collegato il cavo di Madeleine-bay. L'estremità di quel filo di rame, perfettamente isolato da una guaina di guttaperca, viene collegata con le apparecchiature dell'osservatorio e la comunicazione telefonica con la costa americana viene stabilita.

L'amministrazione di Standard-Island Company è consultata circa la faccenda dei naufraghi del ketch malese. Autorizza il governatore a dar loro un passaggio fin nei paraggi delle Figi dove il loro rimpatrio potrebbe avvenire in maniera più sollecita e meno costosa?

La risposta è favorevole. Standard-Island ha anche il permesso di spostarsi verso ovest fino alle Nuove Ebridi onde sbarcarvi i naufraghi, se i notabili di Milliard-City non vi trovano nessun inconveniente.

Cyrus Bikerstaff informa il capitano Sarol di questa decisione e questi prega il governatore di trasmettere i suoi ringraziamenti agli amministratori di Madeleine-bay.

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CAPITOLO XII

TRE SETTIMANE ALLE POMOTU

VERAMENTE il quartetto dimostrerebbe una ingratitudine disgustosa nei confronti di Calistus Munbar se non gli fosse stato riconoscente d'averlo, benché a tradimento, attirato a Standard-Island. Ma che importa il mezzo di cui si è servito il sovrintendente per fare degli artisti parigini gli ospiti festeggiati, adulati e principescamente rimunerati di Milliard-City! Sébastien Zorn continua a brontolare, poiché è impossibile cambiare un istrice dagli aculei pungenti in una gattina dal pelo morbido. Ma Yvernès, Pinchinat e lo stesso Frascolin non avrebbero potuto sognare una esistenza più deliziosa. Una escursione senza pericoli né fatiche attraverso quei meravigliosi mari del Pacifico! Un clima sempre ottimo e quasi perennemente costante grazie ai cambiamenti di paraggi! E poi non dovendo assolutamente partecipare alla rivalità dei due campi, accolti come l'anima canora dell'isola a elica, ricevuti tanto dalla famiglia Tankerdon e da quelle più rappresentative della sezione sinistrese, quanto dalla famiglia Coverley e da quelle più autorevoli della sezione drittese, onorati dal governatore e dalla giunta al Municipio, dal commodoro Simcoë e dai suoi ufficiali all'osservatorio, dal colonnello Stewart e dai suoi soldati, prestando il loro concorso tanto alle feste del tempio come alle cerimonie di Saint-Mary Church, trovando simpatie nei due porti, nelle officine, fra i funzionari e gl'impiegati, noi lo chiediamo ad ogni persona ragionevole, i nostri compatrioti possono rimpiangere il tempo in cui correvano per le città della repubblica federale e qual è l'uomo tanto nemico di se stesso da non invidiarli?

— Mi bacerete le mani! — aveva detto il sovrintendente fino dal loro primo colloquio.

E se non lo avevano fatto, se non lo fecero, è perché non bisogna mai baciare una mano maschile.

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Un giorno Athanase Dorémus, il più fortunato di tutti i mortali, disse loro:

— Ecco quasi due anni che mi trovo a Standard-Island, e vorrei esserci almeno da sessanta, se mi si assicurasse di potervi restare per altri sessant’anni ancora…

— Non vi stancate certo — risponde Pinchinat — di sperare di diventare centenario!

— Eh! signor Pinchinat, state sicuro che raggiungerò i cent'anni! Perché volete che si muoia a Standard-Island?…

— Perché si muore dappertutto… — Non qui, signore… qui non si muore come non si muore in

paradiso! Che cosa rispondere a ciò? Eppure c'erano, di quando in quando, degli sprovveduti che passavano da questa all'altra vita anche su quell'isola incantata. E allora i piroscafi ne trasportavano le spoglie fino ai lontani cimiteri di Madeleine-bay. Decisamente è scritto che in questo mondo non si può mai essere perfettamente felici.

Intanto c'è sempre qualche punto nero all'orizzonte. Bisogna anzi riconoscerlo, quei punti neri prendono a poco a poco la forma di nuvole cariche di elettricità che potranno in breve tempo provocare uragani, raffiche e burrasche. Preoccupante, per esempio, la spiacevole rivalità fra i Tankerdon e i Coverley, rivalità che sta avvicinandosi alla fase critica. I loro partigiani fanno causa comune con loro. Forse che un giorno le due sezioni si troveranno l'una contro l'altra? Milliard-City è forse minacciata da disordini, tumulti, rivoluzioni? L'amministrazione avrà il braccio abbastanza energico e il governatore Cyrus Bikerstaff la mano tanto ferma per conservar la pace fra i Capuleti e i Montecchi di un'isola a elica?… Non è facile saperlo. Tutto è possibile fra rivali il cui amor proprio pare non avere limiti.

Ora, dopo la scena avvenuta al momento del passaggio della linea, i due miliardari sono nemici dichiarati. Da una parte e dall'altra i loro amici li sostengono. Ogni rapporto fra le due sezioni è completamente cessato. Quando ci si vede di lontano ci si evita e se ci si incontra è tutto uno scambio di gesti minacciosi e di sguardi feroci! Si è persino diffusa la voce che l'ex commerciante di Chicago

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con qualche altro sinistrese stia per fondare una impresa commerciale e che essi abbiano domandato alla compagnia il permesso di costruire un grande stabilimento, in cui importerebbero centomila maiali per abbatterli e, dopo averli salati, andare a venderli nei diversi arcipelaghi del Pacifico…

Da ciò si comprenderà come i due palazzi Tankerdon e Coverley siano diventati due polveriere. Basterebbe una scintilla per farli saltare in aria, e con loro tutta Standard-Island. Ora non bisogna dimenticare che si tratta di un natante che galleggia sopra i più profondi abissi. È vero che quella esplosione non potrebbe che essere «del tutto morale» se così possiamo esprimerci; ma essa potrebbe avere come conseguenza il fatto che i notabili deciderebbero certamente di andarsene. Determinazione, questa, che potrebbe compromettere l'avvenire e, molto probabilmente, anche la situazione finanziaria della Standard-Island Company!

Tutto ciò è pieno di minacciose complicazioni se non di materiali catastrofi. E chissà se non è il caso di temere anche queste?…

Effettivamente, forse le autorità, meno fiduciose in un'ingannevole tranquillità, avrebbero dovuto sorvegliare meglio il capitano Sarol e i suoi malesi, tanto ospitalmente accolti dopo il loro naufragio! Non che essi manifestino propositi sospetti dal momento che sono poco loquaci, vivono in disparte, non intrattengono amicizie, pur godendo di un benessere che certo poi rimpiangeranno nelle loro selvagge Nuove Ebridi! Che cosa sospettare da parte loro, allora? Tutto e niente. In ogni caso un osservatore più accorto rileverebbe che essi continuano a percorrere Standard-Island in tutti i sensi, studiano continuamente Milliard-City, la disposizione delle sue strade, la situazione delle sue case e dei suoi palazzi, come se cercassero di rilevarne un piano esatto. Lì s'incontra nel parco e nelle campagne. Si recano spesso sia a Babord-Harbour sia a Tribord-Harbour, osservando gli arrivi e le partenze dei piroscafi.

Lì si vedono anche fare lunghe passeggiate, esplorando il litorale nei punti dove i doganieri sono di fazione giorno e notte, visitare le batterie sistemate a poppa e a prua dell'isola. Del resto che cosa può esservi di più naturale? Come possono occupare meglio il loro tempo, quei malesi disoccupati, se non facendo passeggiate, e come

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vedere in ciò qualche cosa di sospetto? Intanto il commodoro Simcoë procede a poco a poco verso sud-

ovest a piccola velocità. Yvernès, come se il suo essere si fosse trasformato da quando egli si trova diventato isolano, si abbandona al fascino di quella navigazione. Anche Pinchinat e Frascolin subiscono quell'incanto. Quante ore deliziose passate al Casino in attesa dei concerti quindicinali e delle serate private in cui essi sono disputati a peso d'oro! Ogni mattina, grazie ai giornali di Milliard-City informati delle novità via cavo telefonico e dei fatti di cronaca arretrati di qualche giorno per mezzo dei piroscafi del servizio regolare, essi sono al corrente di tutto ciò che di interessante avviene nei due continenti sotto il quadruplice punto di vista: mondano, scientifico, artistico e politico. E sotto quest'ultimo punto bisogna riconoscere che la stampa inglese d'ogni colore non cessa di recriminare contro l'esistenza di quest'isola ambulante che ha preso per teatro delle sue escursioni il Pacifico. Ma tali lamentele vengono ignorate sia a Standard-Island come a Madeleine-bay.

Non dimentichiamo d'osservare che già da qualche settimana Sébastien Zorn e i suoi compagni hanno potuto leggere sotto la rubrica «Informazioni dall'estero» che la loro scomparsa è stata segnalata dai giornali americani. II celebre Quartetto Orchestrale tanto bene accolto negli Stati Uniti, e tanto atteso da coloro che non hanno ancora potuto udirlo, non poteva essere scomparso senza che la faccenda facesse gran rumore. San Diego non li ha visti il giorno indicato e San Diego ha dato l'allarme. Vengono prese informazioni e dall'inchiesta è uscita questa constatazione, che gli artisti francesi si trovano a bordo dell'isola a elica dopo il ratto effettuato sul litorale della bassa California. Ma infine, dal momento che essi non hanno formulato nessuna protesta nei confronti di questo rapimento, non vi è stato scambio di note diplomatiche fra la Compagnia e la Repubblica Federale. Quando il quartetto vorrà ritornare sulla scena dei suoi successi, sarà il benvenuto.

Ecco perché i due violini e la viola hanno imposto silenzio al violoncello al quale non sarebbe dispiaciuto di essere causa d'una dichiarazione di guerra che avrebbe messo l'uno contro l'altro il nuovo continente e il Gioiello del Pacifico.

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Inoltre i nostri musicisti dall'epoca del loro imbarco forzato hanno scritto più volte in Francia. Le loro famiglie rassicurate scrivono loro di frequente e la corrispondenza viene intrattenuta con la stessa regolarità che hanno i servizi postali fra Parigi e New York.

Un giorno – il 17 settembre – Frascolin, istallato nella biblioteca del Casino, prova il naturalissimo desiderio di consultare la carta di quell'arcipelago delle Pomotu verso il quale si dirige. Appena aperto l'atlante, appena il suo sguardo si ferma su quei paraggi dell'Oceano Pacifico, egli esclama fra sé e sé:

— Corpo di mille bombe! Come farà Ethel Simcoë a sbrogliarsela in questo caos?… Non riuscirà mai a trovare un passaggio attraverso questo ammasso d'isole e di isolotti!… ve ne sono centinaia! Un vero mucchio di sassi in mezzo a una palude!… Egli toccherà sicuramente, si arenerà, andrà a sbattere con la macchina addosso a quella punta o andrà a spezzarla su quest'altra!… E finiremo col rimanere allo stato sedentario in un gruppo più numeroso di quello del nostro Morbihan in Bretagna!…

Il ragionatore Frascolin ha ragione. Il Morbihan ha solo trecentosessantacinque isole (tante quanti i giorni dell'anno), mentre nell'arcipelago delle Pomotu sarebbe facile contarne il doppio. È vero che il mare che le bagna è circoscritto da una cintura di scogli coralligeni, la cui circonferenza non è inferiore, secondo Elisée Reclus, alle seicentocinquanta leghe.

Nondimeno osservando la carta di quel gruppo è permesso di stupirsi che una nave, e a fortiori un natante del genere di Standard-Island osi avventurarsi attraverso quell'arcipelago. Compreso fra il 17° e il 28° parallelo sud e fra il 134° e il 147° meridiano ovest, esso si compone di un migliaio fra isole e isolotti – dicono settecento a occhio e croce – da Mata-Hiva fino a Pitcairn.

Non deve dunque sorprendere che esso abbia ricevuto parecchie denominazioni: fra le altre quelle di Arcipelago Pericoloso o di Mare Cattivo. Grazie alla prodigalità geografica di cui l'Oceano Pacifico ha il privilegio, esso si chiama anche gruppo delle Isole Basse, delle Tuamotu (che significa «isole lontane»), delle Meridionali, isole della Notte, Terre Misteriose. Quanto al nome di Pomotu o di Pamautou – che significa «isole sottomesse» – nel 1850 una

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deputazione dell'arcipelago riunitasi a Papeete, la capitale di Tahiti, ha protestato contro tale denominazione. Ma nonostante che il governo francese, accettando nel 1852 quella protesta, abbia scelto fra tutti i nomi quello di Tuamotu, preferiamo in questo nostro racconto conservare la denominazione più conosciuta di isole Pomotu.

Frattanto per pericolosa che possa essere questa navigazione il commodoro Simcoë non esita. Conosce talmente bene questi mari che si può lasciarlo fare ad occhi chiusi. Manovra la sua isola come se si trattasse di un canotto. La fa virare sul posto: si potrebbe dire che la guidi a remi. Frascolin dunque può stare tranquillo per quanto riguarda Standard-Island. Le punte delle Pomotu non sfioreranno nemmeno la sua carena d'acciaio.

Nel pomeriggio del 19 le vedette dell'osservatorio hanno segnalato a una dozzina di miglia i primi rilievi del gruppo. Quelle isole infatti sono bassissime. Se alcune superano il livello del mare di una quarantina di metri, 74 non ne emergono che per una mezza tesa, e sarebbero invase dai flutti due volte al giorno se là le maree non fossero pressoché nulle. Le altre isole non sono che atolli circondati da frangenti, da banchi di corallo di un'aridità assoluta, da semplici scogli, tutti regolarmente orientati nello stesso senso dell'arcipelago.

Standard-Island entra nel gruppo da est per avvicinarsi all'isola di Anaa che Fakarava ha rimpiazzato come capitale, da quando Anaa è stata parzialmente distrutta dal terribile ciclone del 1878 che fece perire un gran numero dei suoi abitanti e portò la distruzione fino all'isola di Kaukura.

Dapprima, a tre miglia al largo, viene rilevata Vahitahi. Sono state prese le più diligenti precauzioni in questi paraggi che per le correnti e l'estendersi degli scogli verso oriente sono i più pericolosi dell'arcipelago. Vahitahi non è che un mucchio di corallo fiancheggiato da tre isolotti boscosi, dei quali quello a nord è occupato dal villaggio principale.

L'indomani si scorge Akiti con i suoi scogli tappezzati di prionia, di portulaca, di borracina vellutata e di un'erba rampicante dalle tinte giallastre. Quest'isola differisce dalle altre inquantoché non possiede come le altre una laguna interna. Se essa è visibile da una certa

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distanza è perché la sua altezza, sopra il livello dell'Oceano è superiore alla media.

Mentre la popolazione milliardese non domanda altro che passeggiare indolentemente in mezzo a quell'arcipelago che ha già visitato l'anno precedente, accontentandosi di ammirarne le meraviglie al passaggio, Pinchinat, Frascolin e Yvernès, sarebbero ben felici di qualche sosta, durante le quali poter esplorare quelle isole dovute al lavorio dei polipi, ossia artificiali… come Standard-Island…

— Solo — fa osservare il commodoro Simcoë — la nostra ha la facoltà di spostarsi…

— L'ha anche troppo — risponde Pinchinat — dal momento che non si ferma da nessuna parte!

— Si fermerà alle isole Hao, Anaa e Fakarava e voi, signori, avrete agio di percorrerle.

Interrogato sul come si erano formate quelle isole Ethel Simcoë si allinea con la teoria più generalmente ammessa: che cioè in quella parte del Pacifico il fondo sottomarino ha dovuto abbassarsi gradatamente d'una trentina di metri. Gli zoofiti e i polipi hanno trovato sopra i picchi sommersi una base abbastanza solida per stabilirvi le loro costruzioni di corallo. A poco a poco, grazie al lavoro di quegli infusori, queste costruzioni si sono elevate poiché essi non sono in grado di vivere a una profondità più considerevole. Così, sono arrivate fino alla superficie, hanno formato questo arcipelago, le cui isole si possono classificare in barriere, frange e atolli (nome indiano dato a quelle isole che sono provviste di laguna interna). Poi gli avanzi portati dalle onde hanno formato una specie di terriccio. I venti vi hanno portato dei semi e la vegetazione è apparsa su quegli anelli coralligeni. Il ciglio calcareo si è rivestito d'erbe e di piante, arricchito d'arbusti e di alberi sotto l'influenza di quel clima intertropicale.

— E chissà? — dice Yvernès in uno slancio di entusiasmo profetico — chissà se il continente inghiottito sotto le acque del Pacifico non ricomparirà un giorno alla sua superficie ricostruito da queste miriadi di animaletti microscopici? E allora su questi paraggi ora solcati da velieri e da piroscafi correranno a tutto vapore treni

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espressi che collegheranno il vecchio al nuovo continente. — Cala… cala, vecchio Isaia — replica quell'irriverente di

Pinchinat. Come aveva detto il commodoro Simcoë, il 23 settembre Standard-Island va a fermarsi davanti all'isola di Hao a cui, grazie agli alti fondali, essa ha potuto avvicinarsi parecchio. Le sue imbarcazioni vi conducono alcuni turisti attraverso la strettoia che, sulla destra, rimane nascosta sotto l'ombra delle palme da cocco. Bisogna percorrere cinque miglia per raggiungere il villaggio principale situato su una collina. Questo villaggio non conta che due o trecento abitanti per la maggior parte pescatori di madreperla impiegati a questo scopo da società tahitiane. Là abbondano quei pandani e quei mirti «miki-miki» che furono i primi alberi di un suolo dove ora allignano la canna da zucchero, l'ananas, il taro, la prionia, il tabacco e soprattutto le palme da cocco le cui immense piantagioni dell'arcipelago sono costituite da più di quarantamila esemplari.

Si può dire che quest'albero provvidenziale cresca quasi senza coltura. Il suo frutto serve come alimento abituale per gli indigeni essendo molto superiore in sostanze nutritive ai frutti del pandano. Con esso ingrassano i loro maiali e le loro galline e persino i loro cani le cui costolette e i cui filetti sono molto apprezzati. Inoltre la noce di cocco grattata, ridotta in polpa seccata al sole e sottoposta alla pressione di una macchina molto primitiva produce un olio prezioso. Le navi trasportano interi carichi di questi frutti di copra fin sul continente dove gli stabilimenti li lavorano in una maniera più fruttuosa.

Non è ad Hao che bisogna farsi un'idea della popolazione pomotuana. Gli indigeni vi sono troppo poco numerosi. Ma dove il quartetto ha potuto osservarli con una certa calma è stato all'isola di Anaa davanti alla quale Standard-Island è arrivata la mattina del 27 settembre.

Anaa ha rivelato solo da breve distanza le sue masse boscose d'aspetto superbo; fra le isole più grandi dell'arcipelago, misura diciotto miglia di lunghezza per nove di larghezza misurate alla sua base madreporica.

Abbiamo detto che nel 1878 un ciclone aveva devastato

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quest'isola il che ha costretto a trasferire la capitale dell'arcipelago a Fakarava. Ciò è vero benché sotto quel clima così vigoroso della zona tropicale si potesse presumere che la devastazione sarebbe stata riparata in pochi anni. Infatti, recuperata la vitalità di un tempo, Anaa oggi conta millecinquecento abitanti. Ciononostante essa è inferiore a Fakarava sua rivale per l'importante ragione che la comunicazione fra il mare e la laguna interna si può effettuare solo attraverso uno stretto canale solcato da vortici dall'interno all'esterno dovuti alla sopraelevazione delle acque. A Fakarava, invece, la laguna interna ha due larghi passaggi a nord e a sud. Tuttavia nonostante che il principale mercato d'olio di cocco sia stato trasportato in quest'ultima isola, Anaa più pittoresca attira sempre la preferenza dei visitatori.

Non appena Standard-Island ha raggiunto un ancoraggio favorevole, diversi milliardesi si fanno trasportare a terra. Sébastien Zorn e i suoi compagni sono tra i primi, dal momento che il violoncellista ha accettato di prender parte all'escursione.

Prima di tutto essi si recano al villaggio di Tuahora dopo aver studiato in quali condizioni si era formata l'isola (formazione comune a tutte quelle dell'arcipelago). Qui il ciglio calcareo, o la larghezza dell'anello, se vogliamo dire, è di quattro o cinque metri, molto ripido dalla parte del mare e in dolce pendio dalla parte della laguna interna, la cui circonferenza come a Raira e a Fakarava è di circa cento miglia.

Su questo anello sono ammassate migliaia di palme da cocco, principale per non dire unica ricchezza dell'isola e sotto le cui fronde stanno le capanne degli indigeni.

Il villaggio di Tuahora è attraversato da una strada sabbiosa, di un biancore smagliante. Il residente francese dell'arcipelago non vi abita più da quando Anaa non è più capitale. Ma la sua abitazione è sempre là, protetta da una siepe modesta. Sulla caserma della piccola guarnigione, affidata alla guardia di un sergente di marina, sventola la bandiera tricolore.

Le case di Tuahora sono veramente degne d'elogio. Non sono più capanne, sono costruzioni confortevoli e salubri, provviste di mobilio sufficiente, e per la maggior parte posate su basamenti di corallo. Le foglie del pandano sono state utilizzate per i loro tetti, mentre il legno

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di quest'albero prezioso è stato adoperato per le porte e per le finestre. Le case sono attorniate qua e là da orticello che la mano dell'indigeno ha riempito di terra vegetale e il cui aspetto è veramente incantevole.

Questi indigeni, d'altronde, se sono di un tipo meno rimarchevole per la loro pelle nera, se hanno la fisionomia meno espressiva e l'indole meno amabile di quelli delle isole Marchesi, costituiscono però ancora dei begli esemplari della popolazione dell'Oceania equatoriale. Inoltre, lavoratori intelligenti e laboriosi, possono opporre una maggiore resistenza alla degenerazione fisica che minaccia tutti quanti gli indigeni del Pacifico.

La loro principale industria – come può constatare Frascolin – consiste nella fabbricazione dell'olio di cocco. Da ciò, naturalmente, quella gran quantità di palme da cocco piantate nelle varie parti dell'arcipelago. Questi alberi si riproducono tanto facilmente quanto le escrescenze coralline alla superficie degli atolli. Ma essi hanno un nemico e i turisti parigini se ne sono accorti un giorno che si trovavano stesi sulla spiaggia della laguna interna, le cui acque verdi contrastavano coll'azzurro del mare circostante.

A un certo punto prima la loro attenzione, poi il loro orrore vengono attirati da un rumore di qualcosa che striscia fra le erbe.

E che cosa vedono? Un crostaceo di dimensioni mostruose. Il loro primo movimento è di alzarsi, il secondo di guardare

l'animale. — Che bestiaccia! — esclama Yvernès. — Ma è un granchio! — risponde Frascolin, Un granchio infatti, quel granchio che gli indigeni chiamano

«birgo» e di cui quelle isole sono popolarissime. Le sue zampe anteriori formano due solide tenaglie o cesoie con le quali esso arriva ad aprire le noci di cocco che costituiscono il suo principale nutrimento. Questi birgo vivono in fondo a delle specie di tane scavate profondamente fra le radici dove essi ammucchiano a mo' di lettiera le fibre del cocco. Principalmente durante la notte vanno in cerca dei frutti caduti e si arrampicano persino sul tronco e sui rami degli alberi per farne cadere le noci. Come dice Pinchinat, bisogna che questo abbia una fame da lupo per aver lasciato in pieno giorno il

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suo buio ricovero. Si lascia fare l'animale perché il suo lavoro promette di essere

molto curioso. Esso raggiunge una noce grossa in mezzo ai rami; con le sue chele ne lacera a poco a poco le fibre; poi quando la noce è messa a nudo, ne attacca la dura scorza battendola, martellandola sempre nello stesso punto. Praticatovi un foro, il birgo estrae la sostanza interna adoperando le sue pinze posteriori la cui estremità è molto sottile.

— Certo — osserva Yvernès — la natura ha creato questo birgo per aprire le noci di cocco…

— E ha creato la noce di cocco per nutrire il birgo — aggiunge Frascolin.

— Ebbene — propone Pinchinat — se noi ci opponessimo alle intenzioni della natura impedendo a quel granchio di mangiar quella noce, e a quella noce di essere mangiata da quel granchio?…

— Io propongo invece — dice Yvernès — di non disturbarlo: non diamo, nemmeno a un birgo, una cattiva idea dei parigini in viaggio.

Gli altri acconsentono e il granchio che senza dubbio aveva gettato uno sguardo irritato su Sua Altezza, ne lancia uno riconoscente al primo violino del Quartetto Orchestrale.

Dopo sessanta ore di sosta davanti ad Anaa, Standard-Island si dirige verso nord. Penetra attraverso il formicaio di isole e di isolotti fra cui il commodoro Simcoë s'inoltra con perfetta sicurezza. Si comprende che in tali casi gli abitanti di Milliard-City abbandonano la città per il litorale, e più particolarmente per la parte che si trova più vicina alla batteria dello Sperone. Si hanno sempre in vista isole o piuttosto cesti di verzura che sembrano galleggiare alla superficie delle acque. Sembrerebbe un mercato di fiori su uno dei canali d'Olanda. Numerose piroghe gironzolano nelle vicinanze dei due porti; ma non è loro permesso entrarvi avendo gli agenti ricevuto a questo riguardo ordini tassativi. Molte donne indigene si avvicinano a nuoto, quando l'isola mobile costeggia a breve distanza le scogliere madreporiche. Esse non accompagnano gli uomini nei loro canotti perché quelle imbarcazioni sono tabù per il gentil sesso pomotuano ed è loro proibito prendervi posto.

Il 4 ottobre Standard-Island si ferma davanti a Fakarava

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all'estremità del passaggio di sud. Prima che i canotti si allontanino per trasportare a terra i turisti, il

residente francese si è presentato a Tribord-Harbour, da dove il governatore ha dato ordine che fosse condotto al palazzo municipale.

L'incontro è cordialissimo. Cyrus Bikerstaff ha assunto la sua aria ufficiale, quella che egli prende nelle cerimonie di tal genere. Il residente, ex ufficiale della fanteria di marina, non gli rimane indietro. Impossibile immaginare niente di più serio, di più dignitoso, di più corretto, di più «compassato» da una parte e dall'altra.

Terminato il ricevimento il residente è autorizzato a visitare Milliard-City, e Calistus Munbar è incaricato di fargli gli onori di casa. Nella loro qualità di francesi i parigini e Athanase Dorémus, hanno voluto unirsi al sovrintendente. E per quel brav'uomo è una vera gioia ritrovarsi con dei compatrioti.

L'indomani il governatore si reca a Fakarava per restituire la visita all’ex ufficiale e ambedue riassumono la loro aria austera del giorno prima. Il quartetto sceso a terra si dirige verso la residenza. È un'abitazione semplicissima, sormontata da un albero sul quale sventola la bandiera di Francia e occupata da una guarnigione di dodici ex marinai.

Quantunque Fakarava sia diventata, come abbiamo detto, la capitale dell'arcipelago, non vale certo la sua rivale Anaa. Il villaggio principale non è altrettanto pittoresco sotto la verzura degli alberi, e i suoi abitanti sono meno sedentari. Oltre alla fabbricazione dell'olio di cocco, il cui centro è a Fakarava, essi si dedicano alla pesca delle ostriche perlifere. Il commercio della madreperla che essi ricavano da questa pesca, li obbliga a frequentare la vicina isola di Toau che è particolarmente dedita a tale industria. Arditi tuffatori, questi indigeni non esitano a scendere fino a venti e a trenta metri di profondità, abituati a sopportare quelle pressioni senza fastidio e a trattenere il respiro per oltre un minuto.

Alcuni di quei pescatori sono stati autorizzati ad offrire i loro prodotti (perle o madreperla) alle personalità di Milliard-City. Certo non sono i gioielli che mancano alle ricche signore della città. Ma quei prodotti naturali allo stato grezzo non si trovano certo molto facilmente e, presentatasi l'occasione, i pescatori vengono

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«svaligiati» a prezzi veramente inverosimili. Dal momento che la signora Tankerdon ha comprato una perla di gran valore, è logico che la signora Coverley segua il suo esempio. Fortunatamente non fu il caso di giocare al rialzo per un unico oggetto, altrimenti chissà a quale punto l'asta sarebbe arrivata. Altre famiglie vogliono imitare i loro amici e quel giorno, come si dice in linguaggio marinaresco, i Fakaraviani hanno fatto «buona pesca».

Dopo una decina di giorni, il 13 ottobre, il Gioiello del Pacifico salpa alle prime ore del mattino. Abbandonando la capitale delle Pomotu, raggiunge l'estremità occidentale dell'arcipelago. Ora il commodoro Simcoë non deve più preoccuparsi di tutta quella massa inverosimile di isole e isolotti.

E uscito, senza il minimo urto, da quei paraggi del Mar Cattivo. Al largo si stende quella parte del Pacifico che, per uno spazio di quattro gradi, separa il gruppo delle Pomotu da quello della Società. E facendo rotta a sud-ovest, Standard-Island mossa dai dieci milioni di cavalli delle sue macchine, si dirige verso l'incantevole Tahiti, tanto poeticamente celebrata da Bougainville.

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CAPITOLO XIII

SOSTA A TAHITI

L'ARCIPELAGO della Società o di Tahiti è compreso fra il 15° (15° 52') e il 17° (17° 49') di latitudine sud e fra il 150° (150° 8') e il 156° (156° 30') di longitudine a ovest del meridiano di Parigi. Esso copre una superficie di 2200 chilometri quadrati.

Due gruppi lo costituiscono. 1°: le isole del Vento, di Tahiti o di Tahiti-Tahaa, Tapamanoa, Eimeo o Morea, Tetiaroa, Meetia che si trovano sotto il protettorato della Francia; 2°: le isole Sottovento, Tubuai, Manu, Huahine, Raiatea Thao, Bora-Bora, Moffy-Iti, Maupiti, Mapetia, Bellingshausen e Scilly governate da capi indigeni. Gli inglesi le chiamano isole Georgiane, quantunque il loro scopritore, Cook, le abbia battezzate col nome di Isole della Società in onore della Società Reale di Londra. Questo gruppo situato a 250 leghe marine dalle isole Marchesi, come risulta dai vari censimenti fatti in questi ultimi tempi, non conta che 40.000 abitanti fra indigeni e stranieri.

Venendo da nord-est Tahiti è la prima delle isole del Vento che appaia allo sguardo dei naviganti. Ed è questa appunto che le vedette dell'osservatorio segnalano da grande distanza, grazie al monte Maiao o Diadema che raggiunge i 1239 metri sopra il livello del mare.

La traversata si è compiuta senza incidenti. Aiutata dai venti alisei Standard-Island ha percorso quelle acque magnifiche sopra le quali il sole si sposta scendendo verso il tropico del Capricorno. Fra un paio di mesi e qualche giorno l'astro radioso lo raggiungerà e poi risalirà verso la linea equatoriale: quindi l'isola a elica ne avrà al suo zenit per parecchie settimane l'ardente calore; poi essa lo seguirà come un cane segue il padrone, tenendosi sempre a regolare distanza.

È la prima volta che i milliardesi fanno sosta a Tahiti. L'anno

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prima la loro campagna era cominciata troppo tardi. Essi non erano andati più lontano verso ovest e dopo aver lasciato le Pomotu erano risaliti verso l'equatore. Ora, l'arcipelago della Società è senza dubbio il più bello del Pacifico. Percorrendolo i nostri parigini non potrebbero che apprezzare maggiormente tutto ciò che vi è d'incantevole in quello spostarsi di un natante libero di scegliere le soste e il clima.

— Sì!… ma vedremo come andrà a finire questa assurda avventura! — conclude invariabilmente Sébastien Zorn.

— Che non finisca mai… ecco quanto domando! — esclama Yvernès. Standard-Island arriva in vista di Tahiti all'alba del 17 ottobre. L'isola si presenta dal suo litorale settentrionale. Durante la notte è stato rilevato il faro della punta Venere. La giornata basterebbe per raggiungere la capitale Papeete, situata a nord-ovest, al di là della punta. Ma il consiglio dei notabili, riunito sotto la presidenza del governatore, come ogni consesso ben equilibrato si è diviso in due campi. Gli uni con Jem Tankerdon si sono pronunciati per l'ovest, gli altri con Nat Coverley si sono pronunciati per l'est. Cyrus Bikerstaff, avendo il voto decisivo in caso di parità di voti, stabilisce di giungere a Papeete aggirando l'isola dalla parte di mezzogiorno. Questa decisione soddisfa molto il quartetto poiché gli permette di ammirare in tutta la sua bellezza quella perla del Pacifico, la Nuova Citera di Bougainville.

Tahiti ha una superficie di 104.215 ettari, nove volte cioè la superficie di Parigi. La sua popolazione che nel 1875 comprendeva 7600 indigeni, 300 francesi e 1100 altri stranieri, ora non supera i 7000 abitanti. La sua forma richiama molto da vicino quella di una fiasca rovesciata, il cui corpo sarebbe formato dall'isola principale e il collo dalla penisola di Tatarapu con la strozzatura dell'istmo di Taravao.

È Frascolin a fare questo paragone esaminando la carta dell'arcipelago e i suoi compagni la trovano così appropriata che battezzano Tahiti col nuovo nome: la Fiasca dei tropici.

Amministrativamente Tahiti si divide in sei parti a loro volta suddivise in 21 distretti dall'epoca in cui è stato stabilito il protettorato il 9 settembre 1842. Nessuno avrà dimenticato le

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difficoltà che sopravvennero fra l'ammiraglio Dupetit-Thouars, la regina Pomaré e l'Inghilterra, per istigazione di quel losco trafficante di bibbie e di cotonine che si chiamava Pritchard,28 tanto spiritosamente messo in caricatura da Alphonse Karr29 nelle sue «Vespe».

Ma questa è storia vecchia, caduta nell'oblio non meno di quella del famoso speziale anglo-sassone.

Standard-Island può arrischiarsi senza pericolo fino a un miglio di distanza dalla Fiasca dei tropici. Questa Fiasca riposa infatti sopra una base coralligena, le cui pareti scendono a picco nelle profondità dell'Oceano. Ma prima di avvicinarvisi fino a tanto, la popolazione milliardese ha potuto contemplare la sua massa imponente, le sue montagne più generosamente favorite dalla natura di quelle delle isole Sandwich, con le loro cime verdeggianti, le loro gole boscose, i loro picchi diritti come le guglie aguzze d'una cattedrale gigantesca, e la cintura dei suoi cocchi innaffiati dalla schiuma bianca della risacca rompentesi sopra le scogliere della riva.

Durante quel giorno si costeggia il lato occidentale e i curiosi nei dintorni di Tribord-Harbour col cannocchiale alla mano – e i parigini ne sono tutti forniti – possono interessarsi alle mille particolarità del litorale: il distretto di Papenoo, di cui si scorge il fiumicello che scorre attraverso la sua larga vallata dalla base delle montagne fino all'Oceano in cui va a scaricarsi in una località in cui gli scogli vengono a mancare per uno spazio di parecchie miglia; Hitiaa, porto sicurissimo, dal quale si esportano per San Francisco milioni e milioni d'aranci; Mahaena dove nel 1845 la conquista dell'isola si concluse a prezzo di un terribile combattimento contro gli indigeni.

Nel pomeriggio si arriva davanti allo stretto istmo di Taravao. Girando attorno alla penisola il commodoro Simcoë vi si accosta

28 George Pritchard, missionario protestante britannico (1796-1883). Missionario e console di Gran Bretagna a Tahiti, persuase la regina Pomaré IV a ribellarsi ai francesi dopo l'instaurazione del protettorato da parte della Francia. (N.d.T.) 29 Giornalista e scrittore francese (1808-1890); celebre appunto per i suoi pamphlets «Les guêpes» (Le vespe) pubblicati mensilmente tra il 1839 e il 1848: pervasi di un pungente e vivace spirito satirico, essi non risparmiarono nessuna personalità dell'epoca.

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quanto basta perché le fertili campagne del distretto di Taurira, i numerosi corsi d'acqua che lo rendono uno dei più ricchi dell'arcipelago, si lascino ammirare in tutto il loro splendore. Tatarapu, adagiata sul suo piatto di corallo, alza maestosamente al cielo i ripidi fianchi dei suoi crateri spenti.

Poi, quando il sole declina all'orizzonte, le cime s'imporporano un'ultima volta, i toni delle tinte si addolciscono, i colori si fondono in una nebbia calda e trasparente. Ben presto rimane solo una massa confusa, i cui effluvi carichi del profumo degli aranci e dei limoni si propagano intorno con la brezza della sera. Dopo un brevissimo crepuscolo scende profonda la notte.

Standard-Island passa allora al di là dell'estrema punta di sud-est e il giorno dopo, all'apparire del giorno, aggira la costa occidentale dell'istmo.

Il distretto di Taravao, coltivatissimo e popolosissimo mostra le sue belle strade fra i boschetti d'aranci che lo uniscono con l'altro distretto di Papeari.

Sul punto più alto si vede un forte che domina le due parti dell'istmo, difeso da alcuni cannoni le cui bocche escono dalle feritoie come doccioni di bronzo. In fondo si scorge il porto Phaéton.

— Perché il nome del presuntuoso auriga del carro solare brilla su quest'istmo? — si domanda Yvernès.

La giornata, sotto andatura lenta, viene impiegata a seguire i contorni più accentuati della costruzione coralligena che caratterizza la parte occidentale di Tahiti. Nuovi distretti mostrano i loro svariati panorami. Papeiri con le sue pianure qua e là paludose; Mataeia l'ottimo porto di Papeiri; poi una larga vallata corsa dalla Vaihiria e, in fondo, quella montagna di 500 metri, una specie di base di lavabo sostenente un bacino d'un mezzo chilometro di circonferenza. Questo antico cratere, senza dubbio pieno d'acqua dolce non sembra avere nessuna comunicazione col mare.

Dopo il distretto di Ahauraono dedicato alle estese colture del cotone su larga scala, dopo quello di Papara che soprattutto si occupa delle coltivazioni agricole, Standard-Island, al di là del Capo Mara scopre la grande vallata di Paruvia che si stacca dal Diadema ed è percorsa dal Punarun. Un poco più lontano di Taapuna, del capo

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Tatao e dell'imboccatura della Faa, il commodoro Simcoë piega leggermente verso nord-est, evitando abilmente l'isolotto di Motu-Uta e alle sei della sera si arresta davanti all'apertura che dà accesso alla baia di Papeete.

All'entrata di essa si disegna in sinuosità capricciose, attraverso le scogliere di corallo, il canale che fino alla punta di Farente è indicato mediante cannoni fuori uso. Naturalmente Ethel Simcoë, grazie alle sue carte, non ha affatto bisogno di ricorrere ai piloti i cui canotti incrociano davanti all'imbocco del canale. Tuttavia una imbarcazione esce con la bandiera gialla issata a poppa. È la «Sanità» che viene ad approdare a Tribord-Harbour. A Tahiti si è severi e nessuno può sbarcare prima che il medico sanitario, accompagnato dall'ufficiale di porto, abbia lasciato libertà di passaggio.

Appena arrivato a Tribord-Harbour il medico si mette in contatto con l'autorità. È questa una semplice formalità. A Milliard-City e nei suoi dintorni non vi sono malati di sorta: e le malattie epidemiche come colera, influenza, febbre gialla, vi sono assolutamente sconosciute. La libera entrata viene dunque concessa secondo l'uso. Ma siccome la notte, preceduta da un brevissimo crepuscolo, cade rapidamente, lo sbarco è rimandato al giorno seguente e Standard-Island si addormenta in attesa del sorgere del sole.

All'alba risuonano alcune detonazioni. È la batteria dello Sperone che saluta coi suoi ventun colpi il gruppo delle isole Sottovento e Tahiti, la capitale del protettorato francese. Nello stesso tempo, sulla torre dell'osservatorio la bandiera rossa con il sole d'oro sale e si abbassa per tre volte.

Una identica salva viene resa colpo per colpo dalla batteria dell'Embascadé posta sulla punta del passaggio grande di Tahiti.

Tribord-Harbour è affollato fin dalle prime ore. I tram vi conducono numerosa folla curiosa di vedere la capitale dell'arcipelago. Non crediate che Sébastien Zorn e i suoi compagni siano tra i meno impazienti. Siccome le imbarcazioni non possono bastare a trasportare tutta la folla dei curiosi, gli indigeni si affrettano a offrire i loro servigi per percorrere la distanza di sei lunghezze di cavo che separa Tribord-Harbour dal porto.

Però, le convenienze impongono di lasciare sbarcare per primo il

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governatore. Si tratta dell'incontro d'uso con le autorità civili e militari di Tahiti e della visita altrettanto ufficiale che egli deve fare alla regina.

Dunque verso le 9 Cyrus Bikerstaff con i suoi vice Barthélemy Rudge e Hubert Harcourt, tutti e tre in grande uniforme, le maggiori personalità delle due sezioni, fra cui Nat Coverley e Jem Tankerdon, il commodoro Simcoë e i suoi ufficiali nelle loro brillanti divise, il colonnello Stewart e la sua scorta prendono posto nelle lance di gala e si dirigono verso il porto di Papeete.

Sébastien Zorn, Frascolin, Yvernès, Pinchinat, Athanase Dorémus e Calistus Munbar entrano in un'altra imbarcazione con un certo numero di funzionari.

Molti canotti e piroghe indigene fanno corteo alle autorità di Milliard-City, degnamente rappresentate dal suo governatore, dalle sue maggiori autorità e personalità, le cui due principali erano tanto ricche da potere acquistare non solo l'intera Tahiti, ma anche tutto l'arcipelago della Società, regina compresa.

Il porto di Papeete è un porto eccellente e di tale profondità che anche i bastimenti di forte tonnellaggio possono entrarvi e ancorarvisi. Vi danno accesso tre passaggi: quello grande a nord, largo circa 70 metri e lungo 80 che è rimpicciolito da un piccolo banco segnato con pali; il passaggio di Tanoa a est e quello di Tapuna a ovest.

Le lance elettriche costeggiano maestosamente la spiaggia, tutta adorna di ville e di eleganti costruzioni, e poi i moli ai quali sono ancorati i bastimenti. Lo sbarco viene effettuato ai piedi di un'elegante fontana dove si va ad attingere acqua e che è alimentata dai diversi corsi d'acqua freschissima che scendono dalle montagne vicine, una delle quali è occupata dal semaforo.

Cyrus Bikerstaff e il suo seguito sbarcano in mezzo a una numerosa folla costituita dalla popolazione francese, indigena e straniera, che acclama il Gioiello del Pacifico come la più straordinaria delle meraviglie create dal genio dell'uomo.

Dopo i primi entusiasmi dello sbarco il corteo si dirige verso il palazzo del governatore di Tahiti.

Calistus Munbar, splendido nel suo abito di cerimonia che indossa

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solo nei giorni di grande parata, invita il quartetto a seguirlo e il quartetto si affretta ad aderire all'invito del sovrintendente.

Il protettorato francese abbraccia non solo l'isola di Tahiti e l'isola Morea ma anche tutto quanto il gruppo circostante. Il capo è un comandante-commissario che ha ai suoi ordini un coordinatore che dirige i diversi settori dell'esercito, della marina, delle finanze coloniali e locali e dell'amministrazione giudiziaria. Il segretario generale del commissario ha fra le sue attribuzioni la direzione degli affari civili del paese. Vari altri residenti sono stabiliti nelle isole, a Morea, a Fakarava nelle Pomotu, a Taio-Haé di Nuka Hiva e vi è anche un giudice di pace che appartiene alla giurisdizione delle Marchesi. Dal 1861 vi funziona un comitato consultivo per l'agricoltura e il commercio, che tiene seduta una volta l'anno a Papeete. E là hanno sede anche le direzioni dell'artiglieria e del genio. La guarnigione comprende alcuni distaccamenti di gendarmeria coloniale, d'artiglieria e di fanteria di marina. Un parroco ed un vicario stipendiati dal governo e nove missionari sparsi qua e là per i vari gruppi assicurano l'esercizio del culto cattolico. E veramente i nostri parigini possono credersi in un porto qualunque della Francia e questo certamente non dispiace loro affatto.

I villaggi delle varie isole sono amministrati da una specie di consiglio municipale indigeno, presieduto da un «tavana» assistito da un giudice, da un capo «mutoi» e da due consiglieri eletti dai cittadini.

All'ombra di bellissimi alberi il corteo procede verso il palazzo del governo. Dovunque palme da cocco splendide, «miros» dal fogliame rosato, boschetti d'aranci, di goyave e alberi della gomma. Il palazzo si erge in mezzo a quel verde dal quale il suo ampio tetto provvisto di eleganti lucernari emerge appena. Con la sua facciata divisa in due soli piani esso presenta un aspetto molto grazioso. Là sono riunite le principali personalità francesi e la gendarmeria coloniale fa la guardia d'onore.

Il comandante-commissario riceve Cyrus Bikerstaff con infinita buona grazia che questi certo non ritroverebbe negli arcipelaghi inglesi di quei paraggi. Egli lo ringrazia di aver condotto Standard-Island nelle acque dell'arcipelago e spera che tale visita si ripeterà

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ogni anno, spiacente solo che Tahiti non possa restituirla. L'intervista dura mezz'ora e si conviene che Cyrus Bikerstaff

aspetterà l'indomani le autorità al Municipio. — Contate di rimanere per qualche tempo all'ancoraggio di

Papeete? — domanda il comandante-commissario. — Una quindicina di giorni — risponde il governatore. — Allora avrete il piacere di vedere la divisione navale francese

che deve arrivare qui verso la fine della settimana. — Saremo ben felici di far gli onori della nostra isola, signor

commissario. Cyrus Bikerstaff presenta le persone del suo seguito, i suoi vice, il

commodoro Ethel Simcoë, il comandante della milizia, i diversi funzionari, il sovrintendente delle belle arti e gli artisti del Quartetto Orchestrale che vengono accolti come c'era da aspettarsi da un compatriota.

Poi c'è un momento d'imbarazzo per la presentazione dei delegati di Milliard-City. Come regolarsi con l'amor proprio di Jem Tankerdon e di Nat Coverley, due irritabili personaggi che avevano il diritto…

— Di precedenza nello stesso tempo… — fa osservare Pinchinat parodiando un famoso verso di Scribe.

La difficoltà è risolta dallo stesso comandante-commissario, il quale conoscendo la rivalità dei due celebri milliardesi fa uso di tanto tatto, di una così perfetta correttezza ufficiale e agisce con tanta diplomazia che le cose avvengono come se fossero state regolate dal decreto di Messidoro. Certo, in analoga occasione il capo d'un protettorato inglese avrebbe messo fuoco alle polveri allo scopo di servire la politica del Regno Unito. Niente di simile avviene al palazzo del comandante-commissario e Cyrus Bikerstaff soddisfattissimo dell'accoglienza si ritira seguito dalla sua gente.

Inutile dire che Sébastien Zorn, Yvemès, Pinchinat e Frascolin avevano l'intenzione di lasciare Athanase Dorémus, già spolmonato, ritornarsene solo alla sua casa della Venticinquesima Avenue. Essi infatti contano di passare a Papeete il maggior tempo possibile, visitandone i dintorni, facendo escursioni nei distretti principali, percorrendo la penisola di Tatarapu e infine «scolare» fino all'ultima

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goccia quella Fiasca del Pacifico. Il loro progetto è dunque ben stabilito e quando èssi lo

comunicano a Calistus Munbar il sovrintendente non può fare a meno di dare la sua completa approvazione.

— Ma — dice loro — vi domando solo 48 ore prima di mettervi in viaggio.

— E perché?… — chiede Yvemès, impaziente di prendere il bastone del turista.

— Perché le autorità di Standard-Island andranno a porgere i loro omaggi alla regina ed è bene che anche voi siate presentati a Sua Maestà e alla corte.

— E domani allora?… — domanda Frascolin. — Domani il comandante-commissario dell'arcipelago si recherà

presso le autorità di Standard-Island a restituire la visita che ha ricevuto, ed è bene che…

— Noi siamo presenti — finisce Pinchinat. — Ebbene vi saremo, signor sovrintendente, vi saremo.

Lasciando il palazzo del governo Cyrus Bikerstaff e gli altri si dirigono verso il palazzo di Sua Maestà. Una semplice passeggiata sotto gli alberi, per la quale non si impiega più d'un quarto d'ora di cammino.

La dimora reale è costruita in bella posizione fra verdeggianti boschetti. È un quadrilatero a due piani il cui tetto, come gli chàlets svizzeri, copre due ordini di terrazze sovrapposte. Dalle finestre superiori la vista può abbracciare le larghe piantagioni che si stendono fino alla città, e al di là si svolge un'ampia striscia di mare. Una graziosa dimora, insomma, non lussuosa ma confortevole.

La regina, del resto, non ha perduto nulla del suo prestigio passando sotto il regime del protettorato francese. Se la bandiera di Francia sventola sull'alberatura delle navi ancorate nel porto di Papeete o nella rada, sopra gli edifici civili e militari della città, cionondimeno la bandiera della sovrana fa sventolare gli antichi colori dell'arcipelago (una serie di bande bianche e rosse trasversali portanti all'angolo uno yacht tricolore) sopra il palazzo reale.

Fu nel 1706 che Quiros scoprì l'isola di Tahiti a cui pose il nome di Sagittaria. Dopo di lui Wallis nel 1767 e Bougainville nel 1768

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completarono l'esplorazione del gruppo. Al momento della prima scoperta regnava la regina Oberea e fu dopo la sua morte che comparve in Oceania la famosa dinastia dei Pomaré.

Pomaré I (1762-1780), che aveva iniziato a regnare sotto il nome di Otoo, l'Airone nero, lo abbandonò per prendere quello di Pomaré.

Suo figlio Pomaré II (1780-1819) accolse favorevolmente nel 1797 i primi missionari inglesi e dieci anni più tardi si converti alla religione cristiana. Fu quella un'epoca di dissensi e di lotte a mano armata ragion per cui la popolazione dell'arcipelago scese gradatamente da 100.000 a 16.000 abitanti.

Pomaré III, figlio del precedente, regnò dal 1819 al 1827 e sua sorella Aimata, la celebre Pomaré, la protetta del farabutto Pritchard, nata nel 1812, diventò regina di Tahiti e delle isole vicine. Non avendo avuto figli da Tapoa suo primo marito, essa lo ripudiò per sposare Ariifaaite. Da questa unione nacque nel 1840 Arione, erede presunto, morto a 35 anni. A partire dall'anno seguente, la regina diede quattro figli a suo marito che era il più bell'uomo dell'arcipelago: una figlia, Teriimaevarna, principessa dell'isola Bora-Bora fin dal 1860; il principe Tamatoa nato nel 1842, re dell'isola Raiatea che fu rovesciato dai suoi sudditi, ribellatisi contro la sua brutalità; il principe Teriitapunui, nato nel 1846 purtroppo claudicante, finalmente il principe Tuavira nato nel 1848 e che fu educato in Francia.

Il regno della regina Pomaré non fu del tutto tranquillo. Nel 1835 i missionari cattolici entrarono in lotta coi missionari protestanti. Allontanati inizialmente, essi vi tornarono con una spedizione francese nel 1838. Dopo quattro anni il protettorato francese era accettato da cinque capi dell'isola. Pomaré protestò e gli inglesi pure. L'ammiraglio Dupetit-Thouars nel 1843 dichiarò decaduta la regina ed espulse Pritchard, fatti che provocarono le due sanguinose campagne di Mohaena e di Rapepa.

Ma, poiché (come si sa) l'operato dell'ammiraglio venne assai criticato, Pritchard fu compensato con un'indennità di 25.000 franchi e l'ammiraglio Bruat ebbe l'incarico di sistemare la faccenda.

Tahiti si sottomise nel 1846 e Pomaré accettò il trattato di protettorato del 19 giugno 1847, conservando la sovranità sopra le

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isole Raiatea, Huahine e Bora-Bora. Vi fu ancora qualche altro turbamento. Nel 1852 una rivolta rovesciò la regina e fu proclamata la repubblica. Finalmente il governo francese restaurò la sovrana sul trono, ed essa abbandonò tre delle sue corone: a favore del suo primogenito quella di Raiatea e di Tahaa, quella di Huahine a favore del suo secondogenito e quella di Bora-Bora a favore di sua figlia.

Attualmente è una delle sue discendenti, Pomaré VI, che occupa il trono dell'arcipelago.

Il compiacente Frascolin non cessa mai di giustificare il titolo di «Larousse del Pacifico» che gli ha affibbiato Pinchinat. Egli fornisce tutti i particolari storici e biografici ai suoi compagni, affermando che è sempre bene conoscere prima le persone presso le quali si va e con le quali si conversa. Yvernès e Pinchinat gli rispondono che ha fatto bene a ragguagliarli sulla genealogia dei Pomaré, lasciando Sébastien Zorn ripetere che «tutto ciò gli è perfettamente indifferente».

Quanto all'eccitabile Yvernès, egli è tutto assorto nell'ammirare la bellezza incantevole della poetica natura tahitiana. Gli tornano in mente i meravigliosi racconti di viaggio di Bougainville e di Dumont d'Urville. E non cela la sua emozione pensando che presto si troverà alla presenza di quella sovrana della Nuova Citerà, d'un'autentica regina Pomaré, il cui solo nome…

— Significa «notte della tosse!» — gli risponde Frascolin. — Bene! — esclamò Pinchinat. — Come chi dicesse: la dea del

reuma, l'imperatrice del raffreddore! Attento, Yvernès, e non dimenticare il fazzoletto.

Yvernès s'arrabbia a quell'intempestivo scherzo di cattivo genere; ma gli altri ridono così allegramente che anche il primo violino finisce col prendere parte alla loro ilarità.

Il ricevimento del governatore di Standard-Island, delle autorità e della delegazione dei notabili viene tenuto senza alcuna pompa. Gli onori erano resi dal «mutoi», capo della gendarmeria al quale si sono aggiunti gli ausiliari indigeni.

La regina Pomaré VI ha circa una quarantina d'anni. Porta, come la famiglia che l'attornia, un abito da cerimonia rosa pallido, il colore preferito dalla popolazione tahitiana. Essa riceve con affabile dignità

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i complimenti di Cyrus Bikerstaff e risponde in una maniera che potrebbe essere accettata anche da una Maestà europea, e in un francese correttissimo essendo questa la lingua corrente nell'arcipelago della Società. Essa ha d'altra parte il più vivo desiderio di conoscere quella Standard-Island di cui si parla in tutte le regioni del Pacifico e spera che quella fermata non sia l'ultima. Jem Tankerdon è anche oggetto d'una particolare accoglienza, il che naturalmente tocca alquanto la suscettibilità di Nat Coverley. Ma ciò si spiega da questo, che la famiglia reale appartiene alla religione protestante e Jem Tankerdon è il più noto personaggio della sezione protestante di Milliard-City.

Il Quartetto Orchestrale non viene dimenticato nelle presentazioni. La regina si degna di assicurare i quattro membri che sarà molto lieta di poterli ascoltare ed applaudire. Essi s'inchinano rispettosamente, affermando di essere agli ordini di Sua Maestà e che il sovrintendente farà in modo che la sovrana venga soddisfatta.

Dopo l'udienza durata mezz'ora, al corteo vengono ripetuti gli onori coi quali esso è stato accolto al suo entrare nel palazzo reale.

Tutti ridiscendono verso Papeete. Si sosta al Circolo Militare dove gli ufficiali hanno preparato un lunch in onore del governatore e dei rappresentanti della popolazione milliardese. Lo champagne scorre a fiumi nei bicchieri, i brindisi si succedono ai brindisi e sono le sei quando le imbarcazioni si staccano dal porto di Papeete per ritornare a Tribord-Harbour.

La sera, quando i nostri artisti si ritrovano nella sala del Casino, Frascolin dice:

— Abbiamo la prospettiva di un concerto. Che cosa suoneremo a Sua Maestà?… Preferirà Mozart o Beethoven?…

— Le suoneremo Offenbach, Varney, Lecoq o Audran!… — risponde Sébastien Zorn.

— No!… ci vuole la «bamboula!» — replica Pinchinat, abbandonandosi agli ancheggiamenti di quella danza negra.

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CAPITOLO XIV

DI FESTA IN FESTA

L'ISOLA di Tahiti è destinata a diventare un luogo di sosta per Standard-Island. Ogni anno prima di proseguire la sua rotta verso il tropico del Capricorno, i suoi abitanti soggiorneranno nei paraggi di Papeete.

Ricevuti con simpatia dalle autorità francesi, come dagli indigeni, essi se ne mostrano riconoscenti aprendo ampiamente le loro porte o per meglio dire i loro porti.

I cittadini e i militari di Papeete affluiscono dunque nell'isola percorrendone la campagna, il parco e le vie, e certo nessun incidente può sorgere, per alterare quelle ottime relazioni.

È vero che alla partenza la polizia del governatore deve sempre assicurarsi che nessuno si sia fraudolentemente intruso ad accrescere la popolazione di quello Stato galleggiante.

Da ciò deriva che in contraccambio delle loro gentilezze, viene concessa ai milliardesi ogni libertà di visitare le isole dell'arcipelago quando il commodoro Simcoë verrà a farvi scalo.

In previsione di quella sosta qualche ricca famiglia ha avuto l'idea di prendere in affitto delle ville, e le ha prenotate in anticipo per mezzo di un telegramma. Quei felici contano di fermarvisi proprio come fanno i parigini nei dintorni di Parigi, con domestici e vetture onde vivervi la vita dei grandi proprietari, da viaggiatori, da turisti e, per poco che abbiano il gusto della caccia, anche da cacciatori.

In una parola faranno un po' di villeggiatura senza aver nulla a temere da quel clima salubre la cui temperatura, fra aprile e dicembre, varia dai 14° ai 30°, mentre gli altri sei mesi dell'anno costituiscono l'inverno dell'emisfero meridionale.

Fra le diverse personalità che hanno lasciato i loro palazzi per le confortevoli case della campagna tahitiana, dobbiamo citare le

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famiglie Tankerdon e Coverley. I signori Tankerdon coi loro figli e le loro figlie fin dal giorno seguente si sono recati in un pittoresco villino situato sulle alture del capo Tatao. I Coverley, la signorina Diana e le sue sorelle hanno cambiato ugualmente il loro palazzo della Quindicesima Avenue con una villa deliziosa nascosta sotto i grandi alberi di punta Venere.

Fra quelle abitazioni c'è una distanza di parecchie miglia che Walter Tankerdon trova veramente un po' eccessiva. Ma non è certo in suo potere riavvicinare quei due capi del litorale tahitiano. Del resto strade carrozzabili, mantenute molto bene, li mettono in diretta comunicazione con Papeete.

Frascolin fa osservare a Calistus Munbar che, dal momento che si sono allontanate le due famiglie non potranno assistere alla visita che il comandante-commissario deve restituire al governatore.

— Eh! meglio così — risponde il sovrintendente i cui occhi mandano un lampo di diplomatica furberia — questo eviterà i conflitti d'amor proprio. Se il rappresentante della Francia si fosse recato prima dai Coverley che cosa avrebbero detto i Tankerdon, e se fosse andato prima dai Tankerdon che cosa avrebbero detto i Coverley? Cyrus Bikerstaff non può certo che rallegrarsi di questa doppia partenza.

— Ma — domanda Frascolin — non c'è dunque da sperare che la rivalità di queste famiglie abbia una fine?…

— Chissà? — risponde Calistus Munbar — ciò forse non dipende che dal simpatico Walter e dalla graziosa Diana…

— Ma — osserva Yvernès — non pare che fino ad ora queste due persone…

— Bene!… bene!… — ripete il sovrintendente — basta però un'occasione e se il caso non la fa nascere penseremo noi a prendere il posto del caso… a tutto vantaggio della nostra amatissima isola…

E Calistus Munbar esegue una piroetta che Athanase Dorémus avrebbe sicuramente applaudito e che non sarebbe stata sgradita ad un marchese del gran secolo.

Nel pomeriggio del 20 ottobre, il comandante-commissario, il coordinatore, il segretario generale e i principali funzionari del protettorato sbarcano al molo di Tribord-Harbour. Alla batteria dello

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Sperone e a quella di Poppa vengono sparati alcuni colpi di cannone. Alcune vetture decorate con le bandiere francesi e milliardesi

conducono il corteo alla capitale, dove i saloni di ricevimento del Municipio sono stati preparati per quell'incontro. Durante il percorso l'accoglienza della popolazione è veramente lusinghiera e dinanzi alla scalinata del Municipio viene tenuto uno scambio di discorsi ufficiali per fortuna piuttosto contenuti.

Quindi vengono visitati il tempio, Saint-Mary Church, l'osservatorio, le due fabbriche d'energia elettrica, i due porti, il parco e finalmente si fa una passeggiata circolare sui tram che collegano i due porti. Al ritorno viene servito un lunch nella gran sala del Casino. Sono le 6 quando il comandante-commissario ed il suo seguito tornano ad imbarcarsi per Papeete fra il tuonar delle artiglierie di Standard-Island con un eccellente ricordo di quel ricevimento.

L'indomani mattina 21 ottobre, i quattro parigini si fanno condurre a Papeete.

Non hanno invitato nessuno a far loro compagnia, nemmeno il professore di belle maniere le cui gambe non si presterebbero a una lunga passeggiata. Sono liberi come l'aria, come scolari in vacanza, felici di sentirsi sotto i piedi un suolo di roccia e di terra vegetale.

Prima di tutto si tratta di visitare Papeete. La capitale dell'arcipelago appare loro com'è, una graziosa città: e il quartetto si diletta a gironzolare sotto l'ombra dei begli alberi che circondano le case della spiaggia, i magazzini della marina, quelli dei servizi vari e i principali stabilimenti commerciali situati in fondo al porto. Quindi risalendo una delle strade che finisce sul molo dove funziona una ferrovia a sistema americano, i nostri artisti si avventurano nell'interno della città.

Là le strade sono larghe, tagliate col compasso e con la squadra, come le vie di Milliard-City fra giardini verdeggianti e in piena fioritura. Già a quest'ora del mattino vi è un incessante andirivieni di europei e d'indigeni, e quell'animazione che sarà anche più intensa dopo le 8 della sera, andrà aumentando durante tutta la notte. Comprenderete bene che le notti dei tropici e in special modo le notti tahitiane non sono fatte per essere trascorse a letto, quantunque i letti

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di Papeete siano composti d'un intreccio di corde di palma di cocco, di un pagliericcio in foglie di banano e di un materasso di barbe dell'albero del formaggio, per non parlare delle zanzariere che difendono il dormiente dall'incomodo attacco delle zanzare.

Le case europee si distinguono facilmente dalle indigene. Le prime sono costruite quasi tutte con legno, sopraelevate di qualche piede su blocchi di muratura e non lasciano nulla a desiderare quanto a comodità. Le seconde, molto rare in città, sono disseminate a capriccio sotto l'ombra degli alberi e sono fatte di bambù legati insieme e tappezzati di foglie, il che le rende pulite, arieggiate e piacevoli.

Ma gli indigeni?… — Gl'indigeni?… — dice Frascolin ai suoi compagni. — Qui non

ve ne sono più di quanti ve ne fossero alle Sandwich; non ritroveremo affatto quei bravi selvaggi che, prima della conquista, pranzavano volentieri con una cotoletta umana e riservavano per il sovrano gli occhi del guerriero ucciso e arrostito secondo le regole della cucina tahitiana.

— Ah! davvero! non vi sono dunque più cannibali in Oceania? — esclama Pinchinat. — Così, avremo fatto parecchie migliaia di miglia senza incontrarne uno solo.

— Pazienza! — risponde il violoncellista battendo l'aria con la sua mano destra come Rodin dei Misteri di Parigi — pazienza! forse ne troveremo più di quel che sia necessario per soddisfare la tua sciocca curiosità.

Egli non sa di essere buon profeta. I tahitiani molto probabilmente sono d'origine malese, di quella

razza che va sotto il nome di Maori. Raiatea, l'isola Santa, sarebbe stata la culla dei loro re, una graziosa culla bagnata dalle acque limpide del Pacifico nell'arcipelago delle isole Sottovento.

Prima dell'arrivo dei missionari, la società tahitiana comprendeva tre classi: quella dei principi, gente privilegiata, a cui si riconosceva anche il diritto di far miracoli; quella dei capi o proprietari del terreno, molto poco considerati e tenuti al servizio dei principi; e il popolino che non possedeva nulla di proprietà fondiaria o, possedendola, il suo diritto non arrivava al di là dell'usufrutto.

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Tutto ciò fu modificato dopo e in parte anche prima della conquista, sotto l'influenza dei missionari anglicani e cattolici. Ma non sono affatto cambiati né l'intelligenza di quegli indigeni, né la loro parola vivace, né il loro spirito brillante, né il loro coraggio a tutta prova, né la bellezza del loro tipo. I parigini non possono far a meno d'ammirare quest'ultima in città come in campagna.

— Perbacco! che bei giovanotti! — esclama uno. — E che belle figliuole! — risponde l'altro. Sì! Gli uomini sono di altezza al disopra della media, con la pelle

color rame come impregnata dell'ardore del loro sangue, dalle forme meravigliose, come sono state conservate dalla statuaria antica, dalla fisionomia dolce e piacente. I Maori sono veramente superbi coi loro grandi occhi vivi, le loro labbra un po' grosse ma disegnate con molta finezza. Ora il tatuaggio di guerra accenna a sparire con le occasioni che nel passato lo causarono.

I più ricchi dell'isola si vestono all'europea e sembrano anche eleganti con la loro camicia inamidata, il panciotto di un color rosa pallido e i pantaloni ricadenti sulle scarpine. Ma questi non attirano affatto l'attenzione del quartetto. No! al pantalone di taglio moderno i nostri amici preferiscono il «pareo» la cui cotonina colorata e variegata si drappeggia dalla cintola alle caviglie: e invece del cappello a cilindro o anche del panama essi preferiscono lo «hei», quell'acconciatura comune ai due sessi, nella quale sono intrecciati fiori e foglie.

Le donne sono sempre le poetiche e graziose otahitiane di Bougainville sia che i petali bianchi del tiara — una specie di gardenia — si mescolino alle ciocche nere disciolte per le spalle; sia che la loro testa sia ricoperta di quel leggero cappellino fatto con la scorza del cocco e il cui «nome soave di revareva sembra derivare da una cosa ideale» come dice Yvernès. Alla graziosità di questo costume i cui colori, come quelli di un caleidoscopio, si modificano al più piccolo movimento vanno aggiunte la grazia dell'incedere, la scioltezza degli atti, la dolcezza del sorriso, l'acutezza dello sguardo, l'armoniosa sonorità della voce e il lettore comprenderà perché quando uno dei nostri amici esclama:

— Perbacco che bei giovanotti!, gli altri rispondano in coro:

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— E che belle figliuole! Quando il Creatore ha fabbricato tipi così meravigliosi, come può

non aver pensato a metterli in un ambiente in tutto degno di loro? E che cosa avrebbe mai potuto immaginare di più delizioso di quei paesaggi tahitiani, la cui vegetazione è così intensa sotto l'influenza delle acque correnti e dell'abbondante rugiada delle notti?

Durante le loro escursioni nei dintorni di Papeete, i parigini non cessano di ammirare quella quantità di meraviglie vegetali. Lasciando le rive del mare più favorevoli alla coltura, dove le foreste sono rimpiazzate da piantagioni d'aranci e di cedri, d'«arrow-root» e di canne da zucchero, di caffè e di cotone, da campi d'igname, di manioca, d'indaco, di sorgo e di tabacco, essi si avventurano nelle fitte boscaglie dell'interno, alla base delle montagne, le cui cime emergono dalle cupole vegetali. Dovunque si vedono eleganti alberi di cocco dalla rigogliosa vegetazione, «miros» o legno di rosa, «casoarine» o legno di ferro, «tiari», «puraus», «tamanas», «ahis» o «sandali», «taccas» le cui radici sono commestibili e il superbo «taro» quel prezioso albero del pane, dal tronco alto, liscio e bianco, con le sue larghe foglie di un verde cupo fra le quali fanno capolino grossi frutti dalla scorza che sembra cesellata e la cui polpa bianca costituisce il principale nutrimento degli indigeni.

L'albero che con quelli di cocco è il più diffuso è la «goiava» che cresce fin quasi sulla cima delle montagne e che in lingua tahitiana si chiama anche «tuava». Esso si ammassa in foreste dense mentre il «puraus» forma grovigli intricati dai quali si esce a stento, quando si ha la sventataggine d'andarsi a cacciare in quegli intrichi.

Del resto non vi sono animali pericolosi. Il solo quadrupede indigeno è una specie di porco, a metà fra il maiale domestico e il cinghiale. Nell'isola poi sono stati importati buoi e cavalli che vi prosperano benissimo come anche le capre e le pecore. La fauna quindi è molto meno ricca della flora, anche per ciò che riguarda i volatili. Vi sono colombi e salangane come alle Sandwich. Nessun rettile, se si eccettui il centopiedi e lo scorpione. Di insetti vi sono vespe e zanzare.

I prodotti di Tahiti si riducono al cotone e alla canna da zucchero, la cui coltivazione è largamente sviluppata a detrimento del tabacco e

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del caffè, poi olio di cocco, «arrow-root», aranci, perle e madreperla. Tuttavia ciò è sufficiente per alimentare un commercio importante

con l'America, l'Australia, la Nuova Zelanda e la Cina in Asia, con la Francia e l'Inghilterra in Europa, per un valore di 3.200.000 franchi d'importazione contro 4.500.000 d'esportazione.

Le escursioni del quartetto si spingono fino alla penisola di Tabaratu. Una visita al porto Phaéton li mette in rapporto con un distaccamento di soldati di marina felici di ricevere dei compatrioti.

In un albergo del porto tenuto da un colono, Frascolin fa adeguatamente gli onori di casa. Agli indigeni dei dintorni e al «mutoi» del distretto vengono serviti vini francesi che il degno albergatore ha accettato di vendere a buon prezzo. In contraccambio sono loro offerti i prodotti del paese, quei frutti di un bel color giallo prodotti da una specie di banano detto «fei», ignami preparati in maniera succulenta, la «maiora» che è il frutto dell'albero del pane cotto in un buco riempito di sassi arroventati, e finalmente una certa marmellata dal sapore piuttosto acre fatta con la polpa della noce di cocco e che sotto il nome di «taiero» vien conservata dentro canne di bambù, ragion per cui la merenda risulta allegrissima. Gli invitati fumano parecchie centinaia di quelle sigarette fatte della foglia di tabacco seccata al fuoco e chiusa dentro una foglia di pandano, solamente invece di imitare i tahitiani e le tahitiane che dopo averne aspirato qualche boccata se le passano di bocca in bocca, i francesi si accontentano di fumarle alla francese. E allorquando il mutoi gli offre la sua, Pinchinat lo ringrazia con un «mea-maitai» vale a dire con un «benissimo» la cui ridicola intonazione mette di buon umore tutti gli astanti.

Si comprende come durante quelle escursioni i nostri quattro amici non possano pensare a tornare tutte le sere a Papeete o a Standard-Island. Del resto essi sono ricevuti con tanta simpatia quanta comodità nei villaggi e nelle abitazioni campestri, fra i coloni come fra gli indigeni.

Essi decidono di trascorrere la giornata del 7 novembre visitando il Capo Veliere, escursione a cui non dovrebbe sottrarsi nessun viaggiatore che volesse tener alto il suo nome.

Partono allegramente all'alba. Attraversano su un ponte il grazioso

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fiumicello Fantahua. Risalgono la vallata fino a quella strepitosa cascata che per altezza è doppia di quella del Niagara, ma infinitamente meno larga e che cade in un superbo tumultuare di acque da 75 metri di altezza. Così seguendo la strada costeggiante il fianco della collina Taharahi arrivano sulla riva del mare a quel picco a cui Coòk diede il nome di capo dell'Albero – nome giustificato a quell'epoca per l'esistenza di un albero isolato, attualmente morto di vecchiaia. – Una strada piantata di alberi meravigliosi, dal villaggio di Taharahi conduce al faro che si erge all'estrema punta dell'isola.

È qui, a mezza costa d'una verdeggiante collina, che la famiglia Coverley ha fissato la sua residenza. Non vi è dunque nessun serio motivo perché Walter Tankerdon, la cui villa si trova lontano, molto lontano, al di là di Papeete, possa spingere le sue passeggiate dalla parte del Capo Venere. Tuttavia i parigini lo incontrano. Il giovanotto si è recato a cavallo nelle vicinanze della casa abitata da Coverley. Egli ricambia il saluto dei quattro francesi e chiede loro se contano di ritornare a Papeete in serata.

— No, signor Tankerdon — risponde Frascolin. — Abbiamo ricevuto un invito dalla signora Coverley e probabilmente passeremo la serata nella loro villa.

— Allora, arrivederci —- risponde Walter Tankerdon. E pare che la sua fisionomia si rabbui, quantunque nessuna nuvola

sia passata in quel momento sul sole. Quindi, lavorando di sproni, egli si allontana al trotto dopo aver lanciato un ultimo sguardo sul villino biancheggiante fra gli alberi. Perché mai l'ex negoziante è rispuntato sotto l'epidermide del ricchissimo Tankerdon, rischiando di seminare il dissenso in quella Standard-Island che non era stata minimamente creata per le angustie degli affari?

— Eh! — fa Pinchinat — forse quell'elegante cavaliere avrebbe voluto accompagnarci…

— Sì — aggiunge Frascolin — ed è evidente che il nostro amico Munbar potrebbe aver ragione! Se ne è andato tutto malinconico per non aver potuto incontrare la signorina Coverley…

— Ciò prova che i miliardi non fanno la felicità! — risponde quel gran filosofo di Yvernès.

Durante il pomeriggio e la sera le ore passano deliziosamente al

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villino dei Coverley. Il quartetto ritrova qui la stessa accoglienza avuta al palazzo della Quindicesima Avenue. Simpatica riunione a cui l'arte viene molto felicemente a mischiarsi. Si fa dell'ottima musica, naturalmente al pianoforte. La signora Coverley legge qualche nuova partitura: e la signorina Dy canta da vera artista mentre Yvernès, che è dotato di una bella voce, unisce i suoi toni da tenore con quelli da soprano della giovinetta.

Non sappiamo perché – forse però lo ha fatto apposta – Pinchinat trova modo di dire che egli e i suoi compagni hanno incontrato Walter Tankerdon che passeggiava nei dintorni della villa. Ha fatto bene o non avrebbe fatto meglio a tacere? No: e se il sovrintendente fosse stato là non avrebbe potuto che approvare Sua Altezza. Un leggero sorriso, quasi impercettibile, si disegna sulle labbra della signorina Dy, i suoi occhi brillano di una luce vivissima e quando si rimette a cantare, sembra che la sua voce sia diventata più penetrante.

La signora Coverley la guarda un istante e, mentre suo marito aggrotta la fronte, si limita a dire:

— Non sei stanca?… — No, mamma. — E voi, signor Yvernès? — Affatto, signora. Prima di nascere ehi sa che io non sia stato

cantante di cappella in Paradiso! La sera termina ed è quasi mezzanotte quando il signor Coverley

giudica venuta l'ora d'andarsi a riposare. Il giorno dopo, contentissimo per quel ricevimento così semplice e

così cordiale, il quartetto ridiscende verso Papeete. La fermata a Tahiti non deve durare più di un'altra settimana. Seguendo l'itinerario stabilito precedentemente, Standard-Island si rimetterà in cammino verso sud-ovest. E certo niente di straordinario segnalerebbe quest'ultima settimana, durante la quale i nostri quattro amici completano le loro escursioni, se l’11 novembre non avvenisse un fatto simpaticissimo.

La divisione della squadra francese del Pacifico viene segnalata nella mattinata dal semaforo della collina che si alza dietro Papeete.

Alle 11 il Paris, un incrociatore di prima classe, scortato da altri due incrociatori di seconda e da un piccolo piroscafo va ad ancorarsi

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nella rada. Da una parte e dall'altra vengono scambiati i saluti regolamentari

e il contrammiraglio, la cui bandiera sventola sul Paris, scende a terra con i suoi ufficiali.

Dopo i colpi di cannone a cui le batterie dello Sperone e di Poppa aggiungono il simpatico tuonare dei loro pezzi, il contrammiraglio e il comandante-commissario delle isole della Società si affrettano a rendersi visita reciprocamente.

È una fortunata combinazione per le navi della divisione, per i loro ufficiali e per i loro equipaggi essere giunti nella rada di Tahiti durante il soggiorno di Standard-Island. Ciò fornisce nuovi pretesti per ricevimenti e feste. Il Gioiello del Pacifico rimane aperto ai marinai francesi che si affrettano ad andarne ad ammirare le meraviglie.

Per quarantotto ore le uniformi della marina francese si mescolano coi costumi dei soldati milliardesi.

Cyrus Bikerstaff li riceve all'osservatorio, il sovrintendente al Casino e negli altri stabilimenti da lui dipendenti.

In quell'occasione allo straordinario Calistus Munbar viene un'idea, un'idea geniale la cui realizzazione lascerà indimenticabili ricordi.

Egli comunica quell'idea al governatore e il governatore, ascoltato il parere del consiglio dei notabili, l'adotta.

Sì! Viene decisa una grande festa per il 15 novembre. Nel programma sono compresi un pranzo di cerimonia ed un ballo dato nei saloni del Municipio.

Per quell'epoca i Milliardesi in villeggiatura saranno di ritorno, poiché due giorni dopo si dovrà effettuare la partenza.

Gli alti personaggi delle due sezioni non mancheranno quindi a quella festa data in onore della regina Pomaré VI, dei tahitiani europei o indigeni, e della squadra francese.

Calistus Munbar viene incaricato di organizzarla e ci si può fidare tanto del suo ingegno che del suo 2elo. Il quartetto si mette a sua disposizione e si decide di far figurare un concerto fra le parti più attraenti del programma.

Il governatore poi avrà l'incombenza di diffondere gli inviti.

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Cyrus Bikerstaff si reca prima di tutto a pregare personalmente la regina Pomaré, i principi e le principesse della corte d'assistere a quella festa. La regina si degna di rispondere accettando. E gli stessi ringraziamenti si hanno da parte del comandante-commissario e degli alti funzionari francesi, del contrammiraglio e dei suoi ufficiali i quali si mostrano tutti sensibilissimi a quella cortesia.

Insomma vengono diramati mille inviti. Beninteso, non tutti i mille invitati siederanno alla tavola municipale. No! solamente un centinaio: i reali, gli ufficiali della divisione, le autorità del protettorato, gli alti funzionari, il consiglio dei notabili e l'alto clero di Standard-Island. Ma nel parco si terranno banchetti, giuochi e fuochi artificiali, da contentare tutta la popolazione.

Il re e la regina di Malécarlie non sono stati certo dimenticati. Ma le Loro Maestà nemiche di qualunque pompa, vivendo appartate nella loro modesta abitazione della Trentaduesima Avenue, ringraziano il governatore di un invito che sono dolenti di non poter accettare.

— Poveri sovrani! — dice Yvernès. Il gran giorno arriva e Standard-Island viene pavesata di bandiere

francesi e tahitiane unite agli stendardi milliardesi. Al tuonare della doppia batteria la regina Pomaré con tutta la sua

corte in abiti di gala è ricevuta a Tribord-Harbour. A quelle detonazioni rispondono i cannoni di Papeete e della

divisione navale. Verso le sei della sera, dopo una passeggiata attraverso il parco, tutta la compagnia giunge al Municipio splendidamente decorato.

Che colpo d'occhio offre lo scalone monumentale, ogni gradino del quale, come quello del palazzo Wanderbilt a New York, non è costato meno di diecimila franchi!

E, nella splendida sala da pranzo, gli invitati vanno a sedersi intorno alle tavole di quell'indimenticabile festino.

Il codice delle precedenze è stato osservato con tatto perfetto dal governatore. E fra le grandi famiglie rivali delle due sezioni non vi sarà nessuna ragione di conflitto. Ognuno è contento del posto che gli è stato riservato, e fra questi la signorina Dy Coverley che si trova di fronte a Walter Tankerdon. Ciò basta al giovane e alla fanciulla ed

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è meglio non avvicinarli di più. Non c'è bisogno di dire che anche gli artisti francesi non hanno da

lamentarsi. Mettendoli alla tavola d'onore si è loro data una nuova prova di stima e di simpatia per il loro talento e per le loro persone.

La lista del pranzo studiata, meditata e composta dal sovrintendente, prova che anche sotto il punto di vista delle risorse culinarie Milliard-City non ha nulla da invidiare alla vecchia Europa.

Del resto ognuno può giudicare esaminando questo menu stampato a cura di Calistus Munbar in caratteri d'oro su carta finissima:

Minestra alla Orléans Crema alla Contessa Rombo alla Mornay

Filetto di bue alla Napoletana Polpette di cacciagione alla Viennese Mousse di fegato d'oca alla Trevisana

Gelati Quaglie arrosto con crostini

Insalata alla Provenzale Piselli all'Inglese

Bomba, miscellanea, frutta Pasticcini vari

Grissini alla Parmigiana Vini:

Yquem – Château Margaux Chambertin – Champagne

Liquori diversi Alla tavola della regina d'Inghilterra, dell'imperatore di Russia,

dell'imperatore di Germania o del presidente della Repubblica francese si sono mai trovate combinazioni migliori per una lista di pranzo ufficiale e avrebbero potuto scegliere meglio i cuochi più in voga dei due continenti?

Alle 9 gli invitati si recano nei saloni del Casino per il concerto: il

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cui programma è composto di quattro soli pezzi, non uno di più: Quarto quartetto in la maggiore: Op. 18 di Beethoven. Secondo quartetto in re minore: Op. 10 di Mozart. Secondo quartetto in re maggiore: Op. 64 (seconda parte) di

Haydn. Dodicesimo quartetto in mi bemolle di Onslow. Questo concerto è un nuovo trionfo per i virtuosi parigini così

felicemente imbarcati – nonostante le idee del recalcitrante violoncellista – a bordo di Standard-Island.

Intanto europei e stranieri prendono parte ai diversi giochi sistemati nel parco. Balli campestri sono stati organizzati sulle aiuole e si danza al suono delle cornamuse, strumenti molto in voga presso gli indigeni. Ora si sa che i marinai francesi hanno un debole per quello strumento a fiato e siccome molti di essi sono sbarcati dal Paris e dalle altre navi della divisione, le orchestre sono ben presto al completo e le cornamuse fanno furore. Vi si mescolano anche le voci e le canzoni di bordo rispondono alle «himerre» che sono le ariette popolari e favorite della popolazione oceanica.

Del resto gli indigeni di Tahiti, uomini e donne, hanno un gusto molto spiccato per il canto e per la danza, nella quale poi eccellono. Quella sera a parecchie riprese eseguono le varie figure della «repanipa» che può essere considerata come una danza nazionale e in cui il tempo viene dato battendo il tamburo. E i ballerini d'ogni razza, europei ed indigeni, vi si abbandonano gioiosamente, in conseguenza dei rinfreschi d'ogni specie offerti dal Municipio.

Nello stesso tempo altre danze ma di un ordine e d'una compostezza più fine riuniscono sotto la direzione di Athanase Dorémus le famiglie nei saloni del Municipio. Le signore milliardesi e tahitiane hanno fatto sfoggio delle loro toelette. Nessuno si stupirà che le prime, fedeli clienti dei sarti parigini, eclissino senza fatica le più eleganti europee della Colonia. I diamanti scintillano sulle loro teste, sulle loro spalle, sui loro seni ed è solo fra loro che la lotta può presentare qualche interesse. Ma chi potrebbe pronunciarsi a favore della signora Tankerdon piuttosto che della signora Coverley, ambedue sfolgoranti? Non certo Cyrus Bikerstaff, sempre preoccupato di mantenere il più perfetto equilibrio fra le due sezioni

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dell'isola. Nella quadriglia d'onore figurano la regina di Tahiti e il suo

augusto sposo, Cyrus Bikerstaff e la signora Coverley, il contrammiraglio e la signora Tankerdon, il commodoro Simcoë e la prima dama d'onore della regina. Nello stesso tempo si formano altre quadriglie in cui le coppie si uniscono consultando solo i loro gusti o le loro simpatie. Tutto quell'insieme è molto bello. Eppure Sébastien Zorn si tiene in disparte in un atteggiamento di sdegno se non di protesta, come i due Romani brontoloni del famoso quadro della Decadenza. Ma Yvernès, Pinchinat e Frascolin ballano valzers, polke e mazurche con le più graziose tahitiane e le più deliziose ragazze di Standard-Island. E chi sa che in quella sera sulla fine del ballo non si decidano dei matrimoni, che causeranno certo un raddoppio di lavoro per gli impiegati dello Stato Civile?…

Del resto quale non è la generale sorpresa quando si vede il caso dare Walter Tankerdon per cavaliere in una quadriglia alla signorina Coverley? Il caso sì, ma forse quell'astuto diplomatico del sovrintendente non lo ha forse aiutato con una sua qualche sapiente combinazione? In ogni modo questo è l'avvenimento del giorno, gravido forse di conseguenze se destinato a segnare un primo passo verso la riconciliazione delle due potenti famiglie.

Dopo i fuochi artificiali lanciati sulla grande aiuola, le danze riprendono nel parco e nel Municipio e si protraggono fino a giorno.

Così termina questa festa memorabile, il cui ricordo si perpetuerà per quella lunga e felice serie di anni che l'avvenire – speriamo – riserva a Standard-Island.

Due giorni dopo, poiché il periodo della sosta è terminato, il commodoro Simcoë trasmette fin dall'alba i suoi ordini per salpare. Spari di artiglieria salutano la partenza dell'isola a elica come ne hanno salutato l'arrivo ed essa rende i saluti, colpo per colpo, tanto a Tahiti quanto alla divisione navale.

La rotta è a nord-ovest in modo da passare in vista delle altre isole dell'arcipelago, il gruppo delle Sottovento, e poi quelle del Vento.

Si costeggiano così le pittoresche coste di Morea irta di picchi superbi la cui punta centrale è forata a giorno, Baiatea l'isola santa che fu la culla del reame indigeno, Bora-Bora dominata da una

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montagna di mille metri e poi gli isolotti Motu-Iti, Mapeta, Tubùai, Manu, anelli della catena tahitiana tesa in quei paraggi.

Il 19 novembre all'ora in cui il sole tramonta le ultime punte dell'arcipelago scompaiono all'orizzonte.

Standard-Island allora si rivolge a sud-ovest, rotta che gli apparecchi telegrafici indicano sulle carte disposte nelle vetrine del Casino.

E chi in questo momento osservasse il capitano Sarol sarebbe colpito dal cupo lampeggiare dei suoi sguardi e dalla sua espressione feroce, quando con mano minacciosa mostra ai suoi malesi la rotta delle Nuove Ebridi situate a milleduecento leghe verso ovest.

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PARTE SECONDA

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CAPITOLO I

ALLE ISOLE COOK

DA SEI MESI Standard-Island, partita da Madeleine-bay, va di arcipelago in arcipelago attraverso il Pacifico. Nessun incidente è avvenuto nel corso di questa meravigliosa navigazione. A quest'epoca dell'anno i paraggi della zona equatoriale sono calmi, gli alisei spirano regolarmente fra i tropici. Inoltre, quando si scatena qualche burrasca o qualche tempesta la robusta base che sostiene Milliard-City, i due porti, il parco e la campagna non risente la minima scossa. La burrasca passa, la tempesta si acquieta. Sul Gioiello del Pacifico ci se ne è accorti appena.

Piuttosto, ciò che vi sarebbe da temere in queste condizioni è la monotonia di un'esistenza troppo uniforme. Ma i nostri parigini sono i primi a convenire che ciò non accade minimamente. Sull'immenso deserto dell'Oceano le oasi si susseguono, come i gruppi già visitati delle Sandwich, delle Marchesi, delle Pomotu, delle isole della Società e come quelli che si visiteranno prima di riprendere la rotta verso nord, le isole Cook, le Samoa, le Tonga, le Figi, le Nuove Ebridi e forse anche altre. Tante soste svariate, altrettante occasioni aspettate che permetteranno di percorrere quelle regioni così interessanti dal punto di vista etnografico.

Per ciò che riguarda il Quartetto Orchestrale, come potrebbe pensare a lamentarsi, se anche ne avesse il tempo? Può forse considerarsi come separato dal resto del mondo? I servizi postali coi due continenti non sono forse regolari? Non solo le petroliere portano quasi a giorno fisso il loro carico per le necessità delle fabbriche, ma non passano due settimane senza che i piroscafi non scarichino a Tribord-Harbour o a Babord-Harbour merci d'ogni sorta assieme col contingente d'informazioni e di notizie che fanno le spese dell'ozio della popolazione milliardese.

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Si capisce che gli emolumenti pattuiti con gli artisti vengono pagati con una puntualità che prova le inesauribili risorse della Compagnia. Migliaia di dollari cadono nelle loro tasche, vi si accumulano, ed alla fine della loro tournée e si saranno non solo ricchi ma straricchi. Mai altri musicisti si sono trovati in una situazione simile ed essi non possono certo rimpiangere i risultati «relativamente mediocri» delle precedenti tournées attraverso gli Stati Uniti d'America.

— Vediamo — chiese un giorno Frascolin al violoncellista. — Ti sei ravveduto circa le tue prevenzioni contro Standard-Island?…

— No — risponde Sébastien Zorn. —Eppure — aggiunge Pinchinat — ci porteremo a casa dei bei

soldi, alla fine della campagna. — Avere dei bei soldi non significa avere tutto: bisogna essere

sicuri di poterli portar via. — E tu non ne sei sicuro?… — No. Che cosa rispondere? Eppure non c'è nulla da temere per i soldi in

questione, poiché l'incasso trimestrale viene spedito sotto forma di tratte in America e versato nelle casse della Banca di New York. Dunque è meglio lasciare il testardo alle sue ingiustificabili diffidenze.

Infatti l'avvenire pare sempre più assicurato. Sembra che le rivalità delle due sezioni siano entrate in un periodo di tranquillità. Cyrus Bikerstaff e i suoi aiutanti hanno ragione di congratularsene. Il sovrintendente si moltiplica dal giorno dell'«importante avvenimento del ballo al Municipio». Sì! Walter Tankerdon ha ballato con la signorina Dy Coverley. Se ne deve concludere che i rapporti delle due famiglie sono meno tesi? Quei che è certo è che Jem Tankerdon e i suoi amici non parlano più di fare di Standard-Island un'isola industriale e commerciale. Insomma, nell'alta società si parla molto di quell'avvenimento del ballo. Alcune menti perspicaci vi vedono un ravvicinamento, forse più che un ravvicinamento, un'unione che metterebbe fine a tutti i dissensi pubblici e privati.

E se queste previsioni si realizzeranno, un giovanotto e una giovinetta, sicuramente degni l'uno dell'altra, vedranno avverarsi il

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loro voto più caro (e crediamo proprio di poterlo affermare). C'è poco da dubitare: Walter Tankerdon non ha potuto rimanere

insensibile al fascino pieno di grazia di Dy Coverley e la cosa risale già a un anno addietro. Data la situazione egli non ha confidato a nessuno il segreto dei suoi sentimenti. La signorina Dy l'ha indovinato, l'ha compreso ed è stata commossa da quella discrezione. Fors'anche ha, visto chiaro nel proprio cuore ed il suo cuore è pronto a rispondere a quello di Walter?… Del resto, ella non ha mai lasciato trapelare nulla. Si è mantenuta nella riservatezza impostale dalla sua dignità e dall'allontanamento in cui vivono le due famiglie.

Frattanto un osservatore potrebbe rilevare che Walter e la signorina Dy non prendono mai parte alle discussioni che qualche volta si tengono tanto nel palazzo della Quindicesima Avenue, quanto in quello della Diciannovesima. Quando l'intrattabile Jem Tankerdon si abbandona a qualche fulminante diatriba contro i Coverjey, suo figlio curva la testa, tace e s'allontana. Quando Nat Coverley tempesta contro i Tankerdon, sua figlia abbassa gli occhi, il suo bel viso impallidisce e prova, quantunque senza riuscirvi, a far cambiare strada al discorso. Che quei due personaggi non si siano accorti di nulla è la sorte comune dei padri, a cui la natura ha messo una benda sugli occhi. Ma – almeno come afferma Calistus Munbar – tanto la signora Coverley quanto la signora Tankerdon non sono altrettanto cieche. Le mamme non hanno occhi che non vedono, e lo stato d'animo dei loro figliuoli è per loro oggetto d'apprensione costante poiché il solo rimedio possibile è inapplicabile. In fondo esse sentono bene che dinanzi all'inimicizia dei due rivali, dinanzi al loro amor proprio costantemente ferito in questioni di precedenza, nessuna riconciliazione, nessuna unione è possibile. Ciononostante Dy e Walter si amano… E le loro madri non devono più procedere alla scoperta di questo amore…

Già più d'una volta il giovanotto è stato sollecitato a far la sua scelta fra le ragazze da marito della sezione sinistrese. Ve ne sono di graziose, ottimamente educate, con una situazione patrimoniale quasi uguale alla sua e le cui famiglie sarebbero veramente felici di tale unione. Suo padre ve lo ha spinto in maniera molto esplicita: ed anche sua madre, quantunque ella si sia dimostrata meno assillante.

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Walter ha sempre rifiutato, avanzando come pretesto il motivo che egli non sente nessuna propensione per il matrimonio. Ma l'ex negoziante di Chicago non vuol sentire da quest'orecchio. Quando si possiedono parecchie centinaia di milioni non si deve restar celibi. Se suo figlio non trova una ragazza di suo gusto a Standard-Island – s'intende, del suo ambiente – ebbene, viaggi, percorra l'America o l'Europa!… Col suo nome e la sua ricchezza, senza parlare delle doti personali, non avrà che l'imbarazzo della scelta, persino se volesse una principessa di sangue imperiale o reale!… Così pensa Jem Tankerdon. E ogni volta che suo padre l'ha messo con le spalle al muro, Walter si è rifiutato di superare l'ostacolo e di andare a cercar moglie all'estero. E poiché sua madre una volta gli ha detto:

— Figliolo, qui c'è dunque qualche fanciulla che ti piace?… — Sì, mamma! — ha risposto. E siccome la signora Tankerdon non si è spinta fino a chiedergli

chi sia questa fanciulla, egli non ha creduto opportuno di farne il nome.

Indubbiamente, un'analoga situazione esiste nella famiglia Coverley, dal momento che l'ex banchiere di New-Orléans desidera maritare la figlia a uno dei giovanotti che frequentano il suo palazzo i cui ricevimenti sono molto alla moda. Se nessuno di loro le piace, ebbene suo padre e sua madre la condurranno all'estero… Visiteranno la Francia, l'Italia, l'Inghilterra… ma la signorina Dy allora risponde che preferisce non lasciare Milliard-City … Si trova bene a Standard-Island… Non chiede altro che di restarvi… E il signor Coverley è molto preoccupato da questa risposta il cui vero significato gli sfugge.

D'altra parte la signora Coverley non ha posto a sua figlia una domanda esplicita quanto quella della signora Tankerdon a Walter, ovviamente, ed è presumibile che la signorina Dy non avrebbe osato rispondere con altrettanta franchezza, neanche a sua madre.

Ecco a che punto sono le cose. Da quando non possono più ingannarsi sulla natura dei loro sentimenti, se il giovanotto e la ragazza qualche volta si sono scambiati uno sguardo, mai però si sono rivolti una parola. Se s'incontrano, ciò avviene solo nei saloni ufficiali, ai ricevimenti di Cyrus Bikerstaff in occasione di qualche

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cerimonia a cui le personalità milliardesi non possono mancare, se non altro per mantenere la loro posizione. Ora in queste circostanze, Walter Tankerdon e la signorina Dy Coverley si mantengono in assoluta riservatezza, trovandosi su un terreno dove la minima imprudenza potrebbe dare origine alle più serie conseguenze.

Il lettore può dunque giudicare dall'effetto prodotto dallo straordinario incidente avvenuto al ballo del governatore, incidente nel quale gli animi portati all'esagerazione hanno visto uno scandalo e di cui il giorno dopo tutta la città ha parlato. La causa che lo ha provocato non poteva essere più semplice. Il sovrintendente aveva invitato a ballare la signorina Coverley… ma non si è trovato al suo posto all'inizio della quadriglia (ah, quel volpone di un Munbar!)… in sua vece si è presentato Walter Tankerdon e la giovinetta lo ha accettato per suo cavaliere…

Probabilmente, anzi sicuramente, in seguito a questo fatto tanto importante per la cronaca mondana di Milliard-City ci devono essere state spiegazioni da una parte e dall'altra. Il signor Tankerdon deve aver interrogato in proposito il figlio e il signor Coverley la figlia. Ma… che cosa ha risposto la signorina Dy?… che cosa ha risposto Walter?… Sono forse intervenute le signore Tankerdon e Coverley e qual è stato il risultato del loro intervento?… Con tutta la sua perspicacia di furetto, tutta la sua finezza diplomatica Calistus Munbar non è riuscito a saperlo. Così quando Frascolin lo interroga sull'argomento, egli si accontenta di rispondere strizzando l'occhio destro, il che non significa nulla, dal momento che egli non sa assolutamente niente. È però interessante notare che, da quel giorno memorabile, quando Walter incontra a passeggio la signora Coverley con sua figlia Dy, egli fa un rispettoso inchino e che le due donne rispondono al suo saluto.

A sentire il sovrintendente si tratta di un passo immenso, «un gran passo avanti verso l'avvenire!».

Nella mattina del 25 novembre si verifica un fatto di mare che non ha nessuna relazione con le due principali famiglie dell'isola a elica.

All'alba le vedette dell'osservatorio segnalano parecchie navi d'alto bordo, che fanno rotta verso sud-ovest. Quelle navi procedono in linea, a distanze regolari. Certo non può trattarsi che di una divisione

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di una delle squadre del Pacifico. Il commodoro Simcoë avverte telegraficamente il governatore, il

quale dà ordine che si scambino i saluti con le navi da guerra. Frascolin, Yvernès e Pinchinat si recano alla torre dell'osservatorio

desiderosi di assistere a questo scambio di cortesie internazionali. I cannocchiali vengono puntati sulle navi, quattro, che distano

cinque o sei miglia. Nessuna bandiera sventola al loro picco e perciò non si può riconoscere la loro nazionalità.

— Niente indica a che marina appartengono?… — chiede Frascolin all'ufficiale.

— Niente — risponde questi — ma dall'aspetto direi che si tratta di navi di nazionalità inglese. Del resto, in questi paraggi, s'incontrano solo divisioni di squadre inglesi, francesi o americane. Ad ogni modo, ne sapremo di più quando si saranno avvicinate di un paio di miglia.

Le navi si avvicinano a velocità molto moderata e se non cambiano rotta, dovranno passare a poche lunghezze di cavo da Standard-Island.

Un certo numero di curiosi si reca alla batteria dello Sperone e segue con interesse l'avanzata di quelle navi.

Un'ora dopo esse sono a meno di due miglia e risultano essere degli incrociatori di vecchio modello, attrezzati a tre-alberi, molto superiori nell'aspetto ai bastimenti moderni ridotti ad alberatura militare. Dai loro grandi fumaioli sfuggono volute di fumo che la brezza d'ovest spinge fino agli estremi limiti dell'orizzonte.

Quando sono soltanto a un miglio e mezzo l'ufficiale può affermare che essi formano la divisione britannica del Pacifico occidentale, alcuni arcipelaghi del quale, come quelli di Tonga, di Samoa e di Cook sono posseduti dalla Gran Bretagna o messi sotto il suo protettorato.

L'ufficiale allora si tiene pronto a far issare la bandiera di Standard-Island che, con il suo smagliante sole d'oro al centro si spiegherà elegantemente sotto la brezza. Si attende che la nave ammiraglia della divisione faccia il suo saluto.

Passano una decina di minuti. — Se sono inglesi — osserva Frascolin — non hanno fretta a

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mostrarsi educati. — Che cosa vuoi? — risponde Pinchinat. — John Bull ha

generalmente il cappello avvitato sulla testa e svitarlo richiede un lavoro piuttosto lungo.

L'ufficiale alza le spalle. Sono proprio inglesi — dice. — Li conosco: non saluteranno.

Infatti nessuna bandiera viene issata all'antenna di mezzana della nave in testa alla colonna. La divisione passa, occupandosi dell'isola a elica esattamente come se essa non esistesse. E del resto, con che diritto essa esiste? Con che diritto viene a ingombrare questi paraggi del Pacifico? Perché l'Inghilterra dovrebbe accordarle attenzione, dal momento che non ha mai cessato di protestare contro la costruzione di quell'enorme natante che, a rischio di provocare naufragi, va spostandosi su questi mari e tagliando le rotte marittime?…

La divisione si è allontanata come un signore maleducato che rifiuta di riconoscere qualcuno sul marciapiede di Regent-Street e dello Strand e la bandiera di Standard-Island rimane ai piedi del suo pennone.

È facile immaginare in qual maniera nella città e nei porti venga trattata l'altera Inghilterra, la perfida Albione, questa Cartagine dei tempi moderni. Si decide di non rispondere mai più ad un saluto britannico quando questo venga fatto, il che però è al di là di ogni supposizione.

— Che differenza con la nostra squadra quando è arrivata a Tahiti! — esclama Yvernès.

Ma i francesi — ribatte Frascolin — sono sempre d'una cortesia… — Sostenuta con espressione!30 — aggiunge Sua Altezza battendo

graziosamente il tempo. Nella mattinata del 29 novembre le vedette avvistano le prime

vette dell'arcipelago di Cook situato a 20° di latitudine sud e a 160° di longitudine ovest. Chiamato prima coi nomi di Mangia e di Harvey, poi con quello di Cook che vi sbarcò nel 1770, esso si compone delle isole Mangia, Rarotonga, Watim, Mittio, Harvey, Palmeston, Hagemeister, ecc. La sua popolazione di origine maori,

30 In italiano nel testo. (N.d.T.)

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scesa da ventimila a dodicimila abitanti, è formata da malesi polinesiani convertiti al cristianesimo dai missionari europei. Questi isolani, molto gelosi della loro indipendenza, hanno sempre resistito all'invasione straniera. Essi si credono ancora padroni in casa loro benché a poco a poco subiscano l'influenza protettrice (e si sa che cosa ciò voglia dire) del governo dell'Australia inglese.

Del gruppo, la prima isola che si incontra è Mangia, la più importante e popolosa, la vera capitale dell'arcipelago. L'itinerario vi comporta una sosta di quindici giorni.

È dunque in questo arcipelago che Pinchinat farà conoscenza con i veri selvaggi, quei selvaggi alla Robinson Crusoe che aveva cercato inutilmente alle isole Marchesi, alle isole della Società e di Nuka-Hiva? La sua curiosità di parigino sarà soddisfatta? Vedrà dei cannibali, veramente autentici, che hanno fatto le loro prove?…

— Vecchio Zorn — egli dice quel giorno al suo compagno — se qui non ci sono antropofagi è segno che non ve ne sono più da nessuna parte.

— Io potrei risponderti: che me ne importa? — replica l'istrice del quartetto. — Ma invece ti domanderò: perché da nessuna parte?…

— Perché un'isola che si chiama Mangia non può essere abitata che da cannibali.

E Pinchinat fa appena a tempo a schivare il pugno che merita la sua atroce freddura.

Del resto che vi siano o no antropofagi a Mangia, Sua Altezza non avrà la possibilità di entrare in relazione con loro.

Infatti quando Standard-Island è arrivata a un miglio da Mangia, una piroga staccatasi dal porto si presenta al molo di Tribord-Harbour. Essa porta il ministro inglese, semplice pastore protestante, il quale esercita sull'arcipelago la sua sgradevole tirannia più che i capi mangiani. In quest'isola di trenta miglia di circonferenza, con quattromila abitanti, accuratamente coltivata, ricca di piantagioni di «taro», di campi di «arrow-root» e di igname, le terre migliori appartengono a questo reverendo. Egli abita nella casa migliore di Ouchora, capitale dell'isola, ai piedi d'una collina tutta rivestita d'alberi da pane, di cocchi, di manghi e di alberi del pepe, senza parlare di un giardino fiorito dove crescono rigogliose le colea, le

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peonie e le gardenie. La sua potenza è rappresentata dai «mutois», poliziotti indigeni che costituiscono una squadra, davanti a cui le Loro Maestà mangiane s'inchinano. Questa polizia proibiva di arrampicarsi sugli alberi, di cacciare e di pescare la domenica e le altre feste, di passeggiare dopo le nove della sera, di comprare oggetti d'uso a prezzi diversi da quelli assegnati da un'arbitraria tariffa, il tutto sotto pena di multe pagabili in piastre (ogni piastra vale cinque franchi) la maggior parte delle quali va a finire nelle tasche del poco scrupoloso pastore.

Quando quest'omiciattolo sbarca, il capitano del porto gli va incontro e ne ricambia il saluto.

In nome del re e della regina di Mangia — dice l'inglese — io presento a Sua Eccellenza il governatore di Standard-Island i complimenti delle Loro Maestà.

— Ed io, signor ministro — risponde l'ufficiale — in attesa che il nostro governatore si rechi, personalmente a presentare i suoi omaggi sono incaricato di riceverli e di ringraziarvene.

— Sua Eccellenza sarà la benvenuta — fa il ministro, la cui fisionomia fainesca è impastata d'astuzia e d'avidità.

Poi riprende con tono mellifluo: _ — Suppongo che lo stato sanitario di Standard-Island non lasci nulla a desiderare…

— Non è mai stato migliore. — Potrebbe però darsi che qualche malattia epidemica come

l'influenza, il tifo, il vaiolo… — Nemmeno il raffreddore, signor ministro. Rilasciateci dunque

pure il permesso di sosta e non appena saremo al nostro ancoraggio stabiliremo regolarmente le nostre comunicazioni con Mangia…

— È che… — risponde il pastore non senza una certa esitazione — se qualche malattia…

— Vi ripeto che non ve ne è traccia. — Allora gli abitanti di Standard-Island hanno intenzione di

sbarcare… — Sì, come appunto hanno appena fatto negli altri arcipelaghi

orientali… — Benissimo… benissimo… — risponde l'ometto. — State sicuro

che saranno splendidamente accolti dal momento che nessuna

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epidemia… — Nessuna vi dico. — Che sbarchino dunque… numerosi… gli abitanti li riceveranno

del loro meglio, perché i mangiani sono ospitali… solamente… — Solamente?… — Le Loro Maestà, d'accordo col consiglio dei capi, hanno deciso

che a Mangia come nelle altre isole dell'arcipelago gli stranieri debbano pagare una tassa d'introduzione…

— Una tassa?… — Sì… due piastre… Poca cosa, vedete bene… due piastre per

chiunque metta piede sull'isola. Evidentemente è il ministro l'autore di questa proposta che il re, la

regina e il consiglio dei capi si sono affrettati ad accettare e di cui una forte percentuale è riservata a Sua Eccellenza. Ora nei gruppi del Pacifico orientale non si è mai parlato di simili tasse e il capitano del porto non può fare a meno di manifestare la sua sorpresa.

— Dite sul serio? — chiede. — Eccome — conferma il ministro — e senza questo pagamento

di due piastre non potremmo lasciar nessuno… — Va bene! — risponde l'ufficiale. Poi, salutata Sua Eccellenza, si reca all'ufficio telefonico per

trasmettere la proposta al commodoro. Ethel Simcoë si mette subito in comunicazione col governatore.

Conviene che l'isola a elica si fermi davanti a Mangia, dal momento che le pretese delle autorità mangiane sono tanto formali quanto ingiustificate?

La risposta non si fa aspettare. Dopo aver conferito coi suoi aiutanti Cyrus Bikerstaff rifiuta di sottoporsi a quella tassa vessatoria. Standard-Island non sosterà né davanti a Mangia né davanti a nessun'altra isola di quell'arcipelago. L'avido pastore imparerà a fare certe proposte e i milliardesi andranno nei paraggi vicini a visitare indigeni meno esigenti e meno rapaci.

Viene dunque dato ordine agli ufficiali di macchina di scioglier le briglie ai loro milioni di cavalli-vapore; ed ecco come Pinchinat rimane privo del piacere di stringere la mano a qualche onorevole antropofago, se pure ve n'erano! Ma si consoli! Alle isole Cook, forse

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con dispiacere, non ci si mangia più gli uni con gli altri! Standard-Island fa rotta attraverso il largo braccio che si

prolungava fino a quell'agglomeramento di quattro isole che si stende verso nord. Molte piroghe compaiono, alcune costruite con una certa accuratezza e attrezzate con vele, altre scavate semplicemente in un tronco, ma montate da arditi pescatori che si avventurano alla caccia delle balene così numerose in quei mari.

Queste isole sono verdeggianti e molto fertili e si comprende che l'Inghilterra abbia loro imposto il suo protettorato, nell'attesa di annoverarle fra le sue proprietà del Pacifico. In vista di Mangia si sono potute osservare le sue coste rocciose, circondate da una collana di corallo, le sue case di un biancore abbagliante, intonacate con una calce viva estratta dalle formazioni coralligene, le sue colline tappezzate dalla cupa verzura degli alberi tropicali e la cui altezza non supera i duecento metri.

L'indomani il commodoro Simcoë riconosce Rarotonga con le sue montagne coperte di boschi fino alla cima. Verso il centro di essa si erge fino a millecinquecento metri d'altezza un vulcano la cui cima spunta da una fitta corona di grandi alberi. In mezzo a quel verde si staglia un edificio candido, dalle finestre gotiche. È il tempio protestante costruito in mezzo alle grandi foreste di mapé che scendono fino alla riva del mare. Gli alberi altissimi, dai rami poderosi, dal tronco capriccioso sono sbilenchi, ingobbiti, contorti, come i vecchi meli di Normandia o i vecchi olivi di Provenza.

Forse il reverendo che governa le coscienze rarotongane, a mezzo con il direttore della «Società oceanica tedesca» fra le cui mani è concentrato tutto quanto il movimento commerciale dell'isola, ha anch'egli imposto una tassa agli stranieri sull'esempio del suo collega di Mangia? Potranno i milliardesi andare senza aprire il portafogli a presentare i loro omaggi alle due regine che si disputano la sovranità, l'una nel villaggio di Arognani e l'altra in quello di Avarua? Ma Cyrus Bikerstaff non giudica opportuno sbarcare su questa isola ed è approvato dal consiglio dei notabili abituati ad essere accolti come tanti re in viaggio. Insomma, una perdita secca per tutti quegli indigeni dominati da maldestri anglicani, perché i nababbi di Standard-Island hanno le tasche ben fornite e la piastra facile.

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Al tramonto si vede soltanto la cima del vulcano ergersi aguzza sull'orizzonte. Miriadi d'uccelli di mare si sono imbarcati senza permesso e volteggiano sopra Standard-Island: ma, venuta la notte, se ne fuggono velocemente ritornando ai loro isolotti battuti incessantemente dal mare lungo a nord dell'arcipelago.

Allora si tiene una riunione presieduta dal governatore, nella quale viene proposta una modifica all'itinerario. Standard-Island attraversa dei paraggi in cui l'influenza inglese è predominante. Continuare a navigare verso ovest, sul ventesimo parallelo, come era stato deciso, significa procedere verso le isole Tonga e le Figi. Ora ciò che è avvenuto alle isole Cook non è certo molto incoraggiante. Non conviene piuttosto raggiungere la Nuova Caledonia, l'arcipelago Loyalty, possedimenti dove il Gioiello del Pacifico sarebbe ricevuto con urbanità tutta francese? Poi, dopo il solstizio d'inverno, si tornerebbe direttamente verso le zone equatoriali. È vero che ciò significa allontanarsi da quelle Nuove Ebridi dove si debbono rimpatriare i naufraghi del ketch e il loro capitano…

Durante questa delibera circa un nuovo itinerario, i malesi si sono mostrati in preda ad una preoccupazione spiegabilissima poiché qualora la modifica fosse adottata, il loro rimpatrio sarebbe più difficile. Il capitano Sarol non può nascondere la sua contrarietà, diciamo anche la sua collera e chi lo avesse udito parlare ai suoi uomini, avrebbe certo trovato la sua irritazione più che sospetta.

Li vedete — diceva — ci depositeranno alle Loyalty… o alla Nuova Caledonia!… E i nostri amici che ci aspettano a Erromango!… E il nostro piano tanto ben preparato alle Nuove Ebridi!… Forse che questo colpo di mano dovrà sfuggirci?…

Fortunatamente per i malesi (e disgraziatamente per Standard-Island) il progetto di cambiare itinerario non è approvato. I notabili di Milliard-City non gradiscono che si apportino modifiche alle loro abitudini. La rotta proseguirà come è stata indicata dal programma combinato alla partenza da Madeleine-bay. Solo, per rimpiazzare la sosta di quindici giorni che si doveva fare alle isole Cook, si decide di dirigersi verso l'arcipelago delle Samoa, risalendo a nord-ovest, prima di recarsi alle isole Tonga.

Quando questa decisione viene resa nota, i malesi non possono

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nascondere la loro soddisfazione… Dopo tutto, che c'è di più naturale? Non devono essere contenti

che il consiglio dei notabili non abbia rinunciato a sbarcarli nelle Nuove Ebridi?

CAPITOLO II

D'ISOLA IN ISOLA

SE L'ORIZZONTE di Standard-Island sembra essersi rasserenato da una parte, dal momento che i rapporti fra i sinistresi e i drittesi sono meno tesi, se questo miglioramento è dovuto al sentimento che Walter Tankerdon e Dy Coverley provano l'una per l'altro, se infine il governatore e il sovrintendente hanno ragione di credere che l'avvenire non sarà più compromesso da dissensi interni, il Gioiello del Pacifico non è però meno minacciato nella sua esistenza ed è ben difficile che esso possa sfuggire alla catastrofe preparatagli già da tempo. A mano a mano che esso si sposta verso ovest, si va avvicinando a quei paraggi dove la sua distruzione sarà assicurata: e l'autore di questa infernale macchinazione non è altri che il capitano Sarol.

Infatti non è stata una combinazione fortuita quella che ha condotto i malesi alle isole Sandwich. Il ketch si era fermato a Honolulu solo per attendervi l'arrivo di Standard-Island all'epoca del suo passaggio annuale, per seguirla dopo la sua partenza, navigare nelle sue acque senza destare sospetti e, non potendovi essere ammessi come passeggeri, farvisi accogliere come naufraghi e allora, col pretesto di un rimpatrio, dirigerla verso le Nuove Ebridi: ecco il piano del capitano Sarol.

Si sa come quel piano sia stato messo in esecuzione nella sua

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prima parte. La collisione del ketch è stata un'invenzione. Nessuna nave lo aveva urtato nelle vicinanze dell'equatore. Sono stati i malesi stessi ad affondare la loro imbarcazione, ma in modo che essa potesse rimanere a galla fino al momento in cui sono giunti i soccorsi richiesti, e in modo anche di poter subito colare a picco appena la lancia di Tribord-Harbour ne ha raccolto l'equipaggio. Così non si avrebbe avuto nessun dubbio circa la collisione; non si sarebbe contestata la qualità di naufraghi a dei marinai la cui nave era affondata e sarebbe stato necessario conceder loro un asilo.

È vero che forse il governatore non avrebbe voluto tenerli: forse i regolamenti si sarebbero opposti a che degli stranieri fossero autorizzati a risiedere a Standard-Island; forse si sarebbe deciso di sbarcarli sull'arcipelago più prossimo… Ma bisognava tentare e il capitano Sarol ha tentato. Poi, dopo il parere favorevole avuto dalla compagnia, era stata presa la decisione di trattenere a bordo i naufraghi del ketch e di condurli in vista delle Nuove Ebridi.

Così sono andate le cose. Già da quattro mesi il capitano Sarol e i suoi dieci malesi vivono in piena libertà a bordo dell'isola a elica.

Essi hanno potuto esplorarla da cima a fondo e non hanno trascurato nulla per scoprirne tutti i segreti. Tutto procede con loro soddisfazione. Per un momento hanno dovuto temere che il consiglio dei notabili modificasse l'itinerario e se ne sono mostrati molto preoccupati, fino a rischiare addirittura di rendersi sospetti! Fortunatamente per i loro progetti l'itinerario non ha subito nessun cambiamento. Fra tre mesi Standard-Island arriverà nei paraggi delle Nuove Ebridi e là avrà luogo una catastrofe senza uguali negli annali dei sinistri marittimi.

L'arcipelago delle Nuove Ebridi è pericoloso per i naviganti non solo per gli scogli disseminati nei suoi approcci e per le correnti rapidissime che vi si propagano, ma anche per la naturale ferocia di una parte dei suoi abitanti. Dall'epoca in cui Quiros scoprì queste isole nel 1706, dopo che furono esplorate da Bougainville nel 1768 e da Cook nel 1773, esse furono teatro di mostruosi massacri e forse la loro cattiva reputazione può giustificare i timori di Sébastien Zorn sulla fine della crociera di Standard-Island. Kanachi, papou, malesi vi si mischiano ai negri australiani, perfidi, vili, refrattari a qualsiasi

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tentativo di civilizzazione. Alcune isole di questo gruppo sono veri nidi di banditi e gli abitanti vi vivono solo di pirateria.

Il capitano Sarol, malese d'origine, appartiene a quel tipo di pirati, balenieri, negrieri e negozianti di sandalo che, come ha osservato il medico di marina Hagon all'epoca del suo viaggio alle Nuove Ebridi, infestano quei paraggi. Audace, intraprendente, abituato a percorrere gli arcipelaghi sospetti, bravissimo nel suo mestiere essendosi più volte incaricato di dirigere sanguinose spedizioni, questo Sarol non è alla sua prima prova e le sue gesta lo hanno reso celebre in tutta quella parte del Pacifico occidentale.

Ora, alcuni mesi or sono, il capitano Sarol e i suoi compagni, avendo per complice l'intera popolazione sanguinaria dell'isola Erromango, una delle Nuove Ebridi, hanno preparato un colpo che, se riuscirà, permetterà loro di andare a vivere come gente onesta dove più preferiranno. Essi conoscono di fama quell'isola a elica che, fin dall'anno precedente, va spostandosi fra i due tropici. Sanno quali incalcolabili ricchezze sono racchiuse nell'opulenta Milliard-City. Ma siccome essa non deve spingersi tanto lontano verso occidente, si tratta di attirarla in vista di quella selvaggia Erromango, dove tutto è preparato per assicurarne la distruzione completa.

D'altra parte, benché rinforzati dai nativi delle isole vicine, quei neo-ebridesi devono tener conto della loro inferiorità numerica, data la numerosa popolazione di Standard-Island e senza parlare dei mezzi di difesa che essa ha a sua disposizione. Così, non è il caso di attaccarla in mare come una semplice nave mercantile né di lanciare al suo abbordaggio una flottiglia di piroghe. Grazie ai sentimenti umanitari che i malesi hanno saputo ridestare, senza sollevare alcun sospetto, Standard-Island raggiungerà i paraggi di Erromango… si ancorerà a poche lunghezze di cavo dalla sua costa… e allora migliaia di indigeni l'invaderanno di sorpresa… la scagneranno sugli scogli… essa vi si fracasserà e verrà lasciata in balia a saccheggi e massacri… Davvero, questa orribile macchinazione ha qualche probabilità di riuscita. In premio dell'ospitalità che hanno accordato al capitano Sarol e ai suoi complici, i milliardesi vanno incontro ad una terribile catastrofe.

Il 9 dicembre il commodoro Simcoë raggiunge il 171° meridiano

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al suo punto d'intersezione col 15° parallelo. Fra quel meridiano e il 175° giace il gruppo delle isole Samoa visitato da Bougainville nel 1768, da Laperouse nel 1787 e da Edwards nel 1791.

La prima ad essere rilevata a nord-ovest è l'isola Rose, isola disabitata che non merita nemmeno l'onore d'una visita.

Due giorni dopo si riconosce l'isola Manoua, fiancheggiata dai due isolotti di Olosaga e di Ofou. Il suo punto culminante raggiunge i 760 metri sopra il livello del mare. Benché abbia circa duemila abitanti, essa non è l'isola più interessante dell'arcipelago e il governatore non dà l'ordine di sostarvi. È meglio soggiornare per una quindicina di giorni alle isole Tetuila, Upolu, Savai, le più belle di questo gruppo che a sua volta è il più bello di tutti. Manoua pertanto gode d'una certa celebrità negli annali marinareschi. Infatti sul suo litorale, a Ma-Oma, perirono parecchi dei compagni di Cook in fondo ad una baia, a cui è restato il nome fin troppo giustificato di baia del Massacro. Una ventina di leghe separa Manoua dalla sua vicina Tetuila. Standard-Island vi si avvicina nella notte tra il 14 e il 15 dicembre. Quella sera il quartetto, che sta passeggiando nei dintorni della batteria dello Sperone, ha «sentito» la vicinanza di Tetuila, benché essa sia ancora ad una distanza di parecchie miglia. L'aria è pervasa dai più deliziosi profumi.

— Questa non è un'isola — esclama Pinchinat — è la profumeria di Piver… è lo stabilimento del profumiere Lubin… è l'ultimo grido delle profumerie…

— Se Sua Altezza non vi vede alcun inconveniente — osserva Yvernès — preferisco che tu la paragoni a un bruciaprofumi…

— Vada per il bruciaprofumi! — risponde Pinchinat che non vuole contrariare i voli poetici del suo compagno.

E davvero sembra che una corrente di effluvi odorosi sia portata dalla brezza alla superficie di quelle acque meravigliose. Sono le emanazioni di quella essenza tanto penetrante, a cui i kanachi samoani hanno dato il nome di «moussooi».

Al levar del sole Standard-Island costeggia Tetuila a sei lunghezze di cavo dalla sua costa settentrionale. La si potrebbe definire un cesto verdeggiante o meglio una sovrapposizione di boschi che si sviluppano fino alle cime più alte, la maggiore delle quali supera i

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1700 metri. Alcuni isolotti le stanno davanti, fra cui quello di Anuu. Centinaia di eleganti piroghe, montate da vigorosi indigeni seminudi che maneggiano i loro remi accompagnandosi al ritmo d'una canzone samoana, si affrettano a fare da scorta. Dai cinquanta ai sessanta rematori, non è una cifra esagerata per queste lunghe imbarcazioni di una solidità tale che permette loro di tener l'alto mare. I nostri parigini comprendono allora perché i primi europei hanno dato a queste isole il nome di Arcipelago dei Navigatori. Però, il vero nome geografico è Hamoa o meglio Samoa.

Savai, Upolu, Tetuila scaglionate da nord-ovest a sud-est, Olosaga, Ofou, Manoua ripartite a sud-est sono le principali isole di questo gruppo di origine vulcanica. La sua superficie totale è di 2800 chilometri quadrati e la sua popolazione di 35.600 abitanti. Vanno dunque ridotti alla metà i censimenti rilevati dai primi esploratori.

Osserviamo che una qualsiasi di tali isole può presentare le stesse condizioni di clima favorevole che presenta Standard-Island. La temperatura vi si mantiene fra i 26° e i 34°, luglio e agosto sono i mesi più freddi e i calori più intensi si hanno in febbraio. Da dicembre ad aprile, per esempio, i samoani sono innaffiati da piogge abbondanti ed è questa appunto l'epoca in cui si scatenano burrasche e tempeste, causa di tanti sinistri.

Il commercio prima nelle mani degli inglesi, poi degli americani e infine dei tedeschi, si può elevare a 1.800.000 franchi per l'importazione e a 900.000 per l'esportazione. Questa è costituita da alcuni prodotti agricoli come il cotone, la cui coltivazione aumenta ogni anno di più, e il «copra» cioè le mandorle seccate del cocco.

Per il resto, la popolazione che è d'origine malese-polinesiana è completata da soli trecento bianchi e da qualche migliaio di operai racimolati nelle diverse isole della Melanesia. Dal 1830 i missionari hanno convertito i samoani al cristianesimo: essi però hanno conservato qualche pratica dei loro antichi riti religiosi. La grande maggioranza degli indigeni è protestante, a causa dell'influenza inglese e tedesca. Tuttavia il cattolicesimo vi conta alcune migliaia di neofiti che i padri maristi cercano di aumentare di numero onde combattere il proselitismo anglo-sassone.

Standard-Island si è fermata a sud dell'isola Tetuila, all'apertura

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della rada di Pago-Pago. Là è il vero porto dell'isola, la cui capitale è Leone, situata nella parte centrale. Questa volta fra Cyrus Bikerstaff e le autorità samoane non sorge nessuna difficoltà. La libera pratica viene accordata. Il sovrano dell'arcipelago non abita a Tetuila ma a Upolu, dove sono anche stabilite le residenze inglese, americana e tedesca. Niente ricevimenti ufficiali, dunque. Un certo numero di samoani approfitta della possibilità loro offerta di visitare Milliard-City e i suoi dintorni. Quanto ai milliardesi, essi sono sicuri che la popolazione di quel gruppo farà loro una splendida accoglienza.

Il porto è situato in fondo alla baia. Il riparo che esso offre contro i venti del largo è eccellente ed il suo accesso è molto facile. Sovente le navi da guerra vi vanno ad ancorare.

Nessuno si stupirà se fra i primi a sbarcare in quel giorno si trovino Sébastien Zorn e i suoi compagni accompagnati dal sovrintendente che volle essere dei loro. Calistus Munbar è, come il suo solito, d'umore allegro ed espansivo. Egli ha saputo che fra tre o quattro delle famiglie notabili è stata organizzata una gita fino a Leone con vetture tirate da cavalli neozelandesi. Ora poiché i Coverley e i Tankerdon devono prendervi parte, forse si verificherà un altro avvicinamento fra Walter e la signorina Dy, cosa che non gli dispiacerà affatto.

Passeggiando coi quattro amici egli parla del grande avvenimento. Si anima e, secondo il suo solito, si lascia facilmente trasportare.

— Amici miei — continua a ripetere — siamo in piena opera comica… Un felice incidente e arriviamo alla conclusione della commedia… Un cavallo che pigli la mano… Una carrozza che ribalti…

— Un attacco di briganti… — suggerisce Yvernès. — Un massacro generale dei turisti — aggiunge Pinchinat. — Potrebbe anche succedere!… — borbotta il violoncellista con

voce funebre simile ai lugubri suoni della sua quarta corda. — No, amici, no! — esclama Calistus Munbar — non arriviamo

fino al massacro!… Non ci serve tanto!… Solamente un accidente accettabile, nel quale Walter Tankerdon potrebbe avere la fortuna di salvare la vita della signorina Dy Coverley…

— E qui un po' di musica di Boieldieu o di Auber! — fa Pinchinat

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imitando con la mano chiusa a pugno il gesto di girare la manovella di un organetto.

— Così, signor Munbar — chiede Frascolin — voi ci tenete sempre a questo matrimonio?…

— Se ci tengo, mio caro Frascolin! vi penso giorno e notte!… Ci perdo tutto il mio buon umore! — il che però non pare. — Ne dimagrisco… — e anche questo non si vede affatto. — E se non si fa, vi assicuro che ne morrò…

— Si farà, signor sovrintendente — risponde Yvernès dando alla sua voce un'intonazione profetica — Iddio non vorrà permettere la morte di Vostra Eccellenza…

— Ci perderebbe! — conclude Calistus Munbar. E tutti si dirigono verso un caffè indigeno dove bevono alla salute

dei futuri sposi parecchi bicchieri d'acqua di cocco accompagnandoli con saporite banane.

Per gli occhi dei nostri parigini è una vera festa la popolazione samoana sparsa lungo le strade di Pago-Pago, attraverso i boschetti che circondano il porto. Gli uomini sono di statura superiore alla media, dal colorito bruno giallastro, testa rotonda, ampio torace, membra solidamente muscolose, fisionomia dolce e gioviale. Forse hanno troppi tatuaggi sulle braccia, sul torso ed anche sulle cosce che sono appena coperte da una specie di gonnellino di erbe o di foglie. Si dice che la loro capigliatura sia nera, liscia o ondulata, a seconda dei gusti indigeni: ma sotto lo strato di calce bianca che la ricopre, essa sembra solo una parrucca.

— Selvaggi alla Luigi XV — fa osservare Pinchinat. — Non mancano loro che la giacca, la spada, i pantaloni al ginocchio, le calze, le scarpe a tacchi rossi, il cappello piumato e la tabacchiera per poter far bella figura ai petits levers31di Versailles.

Le samoane, donne o fanciulle, vestite primitivamente quanto gli uomini, tatuate sulle mani e sul petto, con la testa inghirlandata di gardenie, il collo adorno d'ibischi rossi, giustificano benissimo l'ammirazione di cui abbondano le descrizioni dei primi navigatori, perlomeno finché giovani. D'altra parte riservatissime, di una

31 Con questa espressione veniva indicata la cerimonia che presiedeva all'alzarsi del sovrano al mattino. (N.d.T.)

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riservatezza un po' affettata, graziose e sorridenti, incantano il quartetto, augurandogli il «kalofa», cioè il buon giorno pronunciato con voce dolce e melodiosa.

Un'escursione o piuttosto un pellegrinaggio che i nostri amici volevano fare ed hanno fatto il giorno seguente ha procurato loro l'occasione di attraversare l'isola da un litorale all'altro. Una carrozza del paese li conduce sulla costa opposta, alla baia di Franga, il cui nome ricorda quello della patria. Là, su un monumento di corallo bianco, inaugurato nel 1884, si staglia una placca di bronzo su cui sono incisi i nomi indimenticabili del comandante De Langle, del naturalista Lamanon e di nove marinai – i compagni di Laperouse – massacrati in quel luogo l'11 dicembre 1787.

Sébastien Zorn e i suoi compagni ritornano a Pago-Pago per l'interno dell'isola. Che magnifici gruppi d'alberi, stretti dalle liane, di cocchi, di banani selvatici, di piante indigene il cui legname è apprezzatissimo in ebanisteria! Nella campagna si stendono campi di «taro», di canne da zucchero, di caffè, di cotone, di cannella. Dovunque aranci, gioiave, manghi, avocados e piante rampicanti, orchidee e felci arboree. Una flora straordinariamente ricca germoglia in quel suolo fertile, fecondato da un clima umido e caldo. La fauna samoana, ridotta a pochi uccelli e a pochi rettili quasi inoffensivi, conta fra i mammiferi indigeni solo un topolino, unico rappresentante della famiglia dei roditori.

Quattro giorni dopo, il 18 dicembre, Standard-Island abbandona Temila senza che il «provvidenziale incidente» tanto desiderato dal sovrintendente sia avvenuto. Ma è visibile che i rapporti fra le due famiglie continuano ad essere meno tesi.

Una dozzina di leghe appena separano Tetuila da Upolu. Nella mattina del giorno seguente il commodoro Simcoë passa a un quarto di miglio dai tre isolotti Nuntua, Samusu e Suluafata che proteggono l'isola come altrettanti forti avanzati. Egli manovra con grande abilità e nel pomeriggio viene ad ancorarsi davanti ad Apia.

Upolu è la più importante isola dell'arcipelago coi suoi 16.000 abitanti. È là che l'Inghilterra, l'America e la Germania hanno stabilito i loro rappresentanti riuniti in consiglio per proteggere gli interessi dei loro connazionali. Il sovrano del gruppo «regna»

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circondato dalla sua corte di Malimu alla estremità orientale del capo Apia.

L'aspetto di Upolu è identico a quello di Tetuila; un cumulo di montagne dominate dalla vetta del monte della Missione, che costituisce nella sua lunghezza la spina dorsale dell'isola. Questi antichi vulcani spenti sono attualmente coperti di fitte foreste che salgono fino al cratere. Dalla base di quelle montagne campi e pianure si ricongiungono alla fascia alluvionale del litorale dove la vegetazione s'abbandona a tutta la lussureggiante fantasia dei tropici.

Il giorno dopo il governatore Cyrus Bikerstaff, con i suoi aiutanti e qualcuno dei notabili si fa sbarcare al porto di Apia. Si deve fare una visita ufficiale ai rappresentanti della Germania, dell'Inghilterra e degli Stati Uniti d'America, a quella specie di municipalità cosmopolita nelle cui mani sono concentrati tutti i servizi amministrativi dell'arcipelago.

Mentre Cyrus Bikerstaff e il suo seguito si recano presso quei rappresentanti, Sébastien Zorn, Frascolin, Yvernès e Pinchinat, che sono scesi a terra insieme con gli altri, dedicano il loro tempo a percorrere la città.

Prima d'ogni altra cosa sono colpiti dal contrasto che presentano le case europee dove i negozianti tengono bottega e quelle dell'antico villaggio kanaco dove gli indigeni hanno voluto mantenere ostinatamente le loro abitazioni. Queste, in realtà sono confortevoli, salubri e, in una parola, molto graziose. Sparse lungo le rive del fiume Apia, si nascondono coi loro tetti bassi sotto l'elegante parasole dei palmizi.

Il porto è assai animato. È il più frequentato del gruppo e la Società commerciale d'Amburgo, vi mantiene una flotta destinata al cabotaggio fra Samoa e le isole circostanti.

Frattanto se l'influenza di questa triplice32 inglese, americana e tedesca è preponderante in questo arcipelago, la Francia vi è rappresentata da missionari cattolici la cui onorabilità, devozione e zelo tengono alto il suo nome presso la popolazione samoana. Una

32 Allusione alla Triplice (poi Quadruplice) Alleanza stretta nel 1717 fra Inghilterra, Province Unite e Francia al fine di far mantenere il trattato di Utrecht contro la Spagna. (N.d.T.)

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grande soddisfazione e una profonda emozione invade i nostri artisti quando scorgono la chiesuola della Missione che non ha la severità puritana delle cappelle protestanti e guarda, poco lontano sulla collina, un edificio adibito a scuola, sul quale sventola la bandiera tricolore.

Essi si dirigono da quella parte e pochi minuti dopo sono ricevuti nel collegio francese. I maristi fanno ai falaui – come i samoani chiamano gli stranieri – una accoglienza patriottica. Là risiedono tre padri, al servizio della Missione che ne conta altri due a Savai ed un certo numero di suore qua e là per le isole.

Che piacere conversare con il rettore di età già avanzata e che da parecchi anni abita alle isole Samoa! Ed egli è così felice di ricevere dei compatrioti e — quel che più importa – degli artisti della sua città! La conversazione viene «confortata» da bibite rinfrescanti di cui la Missione possiede la ricetta.

— E prima di tutto — dice il vecchio — non pensate, cari figlioli, che le isole dell'arcipelago siano selvagge. Non è certo alle Samoa che troverete quegli indigeni che praticano il cannibalismo…

— Finora non ne abbiamo incontrati in nessuna parte — risponde Frascolin.

— Con nostro gran dispiacere — aggiunge Pinchinat. — Come… con vostro dispiacere?… — Scusate, padre, questa confessione di un parigino curioso!…

era per amore del colore locale. — Oh! — fa Sébastien Zorn — non siamo ancora alla fine della

nostra crociera e forse ne vedremo più che non vorremmo di questi antropofagi che il nostro compagno desidera tanto…

— È possibile — risponde il rettore. — Nelle vicinanze dei gruppi occidentali, alle Nuove Ebridi, alle isole Salomone, i naviganti devono avanzare con estrema prudenza. Ma alle isole Tahiti, alle Marchesi, a quelle della Società, come anche alle Samoa la civiltà ha fatto grandi progressi. So bene che i massacri dei compagni di Laperouse hanno valso ai samoani la reputazione di indigeni feroci, dediti al cannibalismo. Ma sono cambiati, grazie all'influenza della religione di Cristo! Gli indigeni di oggi sono gente educata, che gode di un governo all'europea, con due camere all'europea e anche delle

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rivoluzioni… — All'europea?… — osserva Yvernès. — Precisamente, cari figlioli, i samoani non sono affatto esenti da

dissensi politici. — A Standard-Island lo si sa — risponde Pinchinat — perché,

padre, che cosa non si sa in quell'isola benedetta dagli Dei? Noi credevamo anzi di piombare qui in mezzo a una guerra dinastica fra due famiglie reali…

— Infatti, amici miei, vi è stata lotta fra il re Tupua che discende dagli antichi sovrani dell'arcipelago, e che noi sosteniamo con tutta la nostra influenza, e il re Malietoa, l'uomo degli inglesi e dei tedeschi. Molto sangue è stato versato, specialmente nella grande battaglia del dicembre 1887. Questi re si sono veduti successivamente proclamati e detronizzati fino a che Malietoa è stato dichiarato sovrano dalle tre potenze in conformità delle disposizioni stabilite dalla corte di Berlino… Berlino!…

E il vecchio missionario non può trattenere un movimento convulso, mentre quel nome gli sfugge due volte dalle labbra.

— Vedete — dice — come l'influenza tedesca è stata finora dominante alle isole Samoa. I nove decimi delle terre coltivate sono nelle loro mani. Nei dintorni di Apia e Suluafata essi hanno ottenuto dal governo una importantissima concessione in prossimità del porto che potrà servire per l'approvvigionamento delle loro navi da guerra. Sono loro che hanno introdotto le armi a tiro rapido… ed i samoani hanno imparato a servirsene. Ma tutto ciò dovrà pur finire un giorno…

— A profitto della Francia? — chiede Frascolin. — No… a profitto del Regno Unito. — Oh! — esclama Yvernès — Inghilterra o Germania… — No, figliolo — risponde il rettore — vi è una differenza

notevole… — Ma il re Malietoa?… — dice Yvernès. — Il re Malietoa fu rovesciato già un'altra volta, e sapete quale era

il pretendente che avrebbe avuto più probabilità di succedergli?… Un inglese, uno dei personaggi più considerevoli dell'arcipelago, un semplice romanziere…

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— Un romanziere?… — Sì… Robert Louis Stevenson, l'autore dell'Isola del tesoro e

delle Notti arabe. — Ecco dove può condurre la letteratura! — esclama Yvernès. — Quale esempio da seguire per i nostri romanzieri francesi —

ribatte Pinchinat. — Ehm! Zola I, re dei samoani… riconosciuto dal governo inglese sul trono dei Tupua e dei Malietoa, e la sua dinastia succedente a quella dei sovrani indigeni!… che sogno!

La conversazione finisce dopo che il rettore ha fornito diversi dettagli sui costumi di quelle isole. Egli aggiunge che se la maggioranza appartiene alla religione protestante Wesleyana, pure sembra che il cattolicesimo faccia ogni giorno nuovi progressi. La chiesa della Missione è già troppo piccola e la scuola richiede di ingrandirsi entro breve tempo. Egli si mostra felicissimo di ciò e i suoi ospiti ne godono con lui.

La sosta di Standard-Island a Upolu dura tre giorni. I missionari si recano a restituire agli artisti francesi la visita

ricevuta. Vengono condotti a passeggio per Milliard-City e ne rimangono meravigliati. E nella sala del Casino il quartetto musicale fa sentire ai padri vari pezzi del suo repertorio. Il buon rettore si commuove, poiché adora la musica classica, e con suo gran dispiacere non è certo nei festini di Upolu che avrà mai occasione di sentirne.

La vigilia della partenza Sébastien Zorn, Frascolin, Pinchinat, Yvernès accompagnati questa volta dal professore di belle maniere, si recano a prendere congedo dai missionari maristi. I saluti sono commoventi da una parte e dall'altra. Saluti di gente che si è veduta per pochi giorni e che sa di non doversi rivedere mai più. Il vecchio rettore li benedice abbracciandoli ed essi si ritirano profondamente commossi. L'indomani, 23 dicembre, il commodoro Simcoë salpa all'alba e Standard-Island si mette in movimento seguita da un corteo di piroghe che la scorteranno fino alla vicina isola di Savai.

Quest'isola è separata da Upolu da uno stretto di sette o otto leghe; ma essendo il porto d'Apia situato sulla costa settentrionale, è necessario costeggiare quel lato per tutta la giornata prima di raggiungere lo stretto.

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Secondo l'itinerario stabilito dal governatore non si tratta di fare il giro di Savai, ma di passare fra essa e Upolu per raggiungere da sud-ovest l'arcipelago delle Tonga. Così Standard-Island non procede che con una velocità molto moderata, non volendo trovarsi durante la notte dentro a quel passaggio fiancheggiato dalle due isolette di Apolinia e di Mauono.

All'alba del giorno seguente il commodoro Simcoë entra fra i due isolotti di cui uno, Apolinia, non conta che duecentocinquanta abitanti e l'altro, Mauono, un migliaio. Questi indigeni godono la giusta fama d'essere i più bravi ed i più onesti samoani dell'arcipelago.

Da quel punto si può ammirare Savai in tutto il suo splendore. Essa è protetta da solide muraglie di granito contro gli attacchi di un mare che gli uragani, le tempeste e i cicloni del periodo invernale rendono terribile. Coperta da una fitta boscaglia dominata da un antico vulcano alto mille e duecento metri, cosparsa di villaggi scintillanti sotto la cupola dei palmizi giganteschi, è bagnata da cascate tumultuose, scavata da profonde caverne, dove risuonano in echi strepitosi i colpi di mare del litorale.

A credere alla leggenda, quell'isola fu l'unica culla delle razze polinesiane di cui i suoi 11.000 abitanti hanno conservato il tipo più puro. Essa si chiamava allora Savaiki ed era il famoso Paradiso terrestre delle divinità maori.

Standard-Island se ne allontana lentamente e la sera del 24 dicembre ne perde di vista le ultime cime.

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CAPITOLO III

CONCERTO A CORTE

DOPO IL 21 dicembre, il sole, nel suo moto apparente, dopo essersi fermato sopra il tropico del Capricorno, ha ricominciato la sua corsa verso nord, abbandonando quei paraggi alle intemperie dell'inverno e riconducendo l'estate nell'emisfero settentrionale.

Standard-Island ormai è a solo una decina di gradi da quel tropico. Scendendo fino alle isole di Tonga-Tabu essa raggiungerà la latitudine estrema fissata dall'itinerario e riprenderà la sua rotta verso il nord, rimanendo così nelle condizioni climatiche più favorevoli. È vero che non potrà evitare un periodo di calore estremo quando il sole incendierà il suo zenit: ma questo calore verrà temperato dalla brezza marina e diminuirà con l'allontanarsi dell'astro da cui emana.

Fra le Samoa e l'isola principale di Tonga-Tabu corrono 8 gradi, ossia circa un migliaio di chilometri. Non è il caso di accelerare la velocità. L'isola a elica procederà come a passeggio su quel mare costantemente bello, non meno tranquillo dell'atmosfera appena turbata da uragani rari e veloci. Basta trovarsi a Tonga-Tabu verso i primi giorni di gennaio, fermarvisi una settimana e dirigersi poi sulle isole Figi. Di là Standard-Island risalirà dalla parte delle Nuove Ebridi dove depositerà l'equipaggio malese; quindi, messa la prora a nord-est, raggiungerà la latitudine di Madeleine-bay e la sua seconda crociera così finirà.

La vita dunque continua a Milliard-City in una calma inalterabile. Sempre la stessa esistenza da grande città americana o europea, in contatto permanente per mezzo dei piroscafi e dei cavi telefonici col nuovo continente; e poi con le abituali visite di famiglia, con il palese ravvicinamento che si va operando fra le due sezioni rivali, le passeggiate, i giochi e i concerti del quartetto sempre altamente apprezzati da quel pubblico di amatori.

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Venuto il Natale, il «Christmas» così caro a cattolici e a protestanti è celebrato con gran pompa tanto nel tempio quanto in Saint-Mary Church, nei palazzi, palazzetti ed edifici vari del quartiere commerciale. La solennità mette tutta l'isola in festa per la settimana che inizia a Natale e finisce col 1° di gennaio.

Frattanto i giornali di Standard-Island, lo «Starboard Chronicle» e il «New-Herald» non cessano di offrire ai loro lettori le notizie recenti dell'interno e dell'estero. E anzi una notizia simultaneamente pubblicata dai due fogli fa sorgere una infinità di commenti.

Infatti nel numero del 26 dicembre si è potuto leggere che il re di Malécarlie si è recato in Municipio dove il governatore gli ha concesso udienza. Quale scopo aveva la visita di Sua Maestà?… Quale motivo?… Commenti di ogni genere corrono per la città e certamente si baserebbero sulle ipotesi più inverosimili, se il giorno seguente i giornali non avessero recato una informazione positiva su quel fatto.

Il re di Malécarlie ha chiesto un posto presso l'osservatorio di Standard-Island, e l'amministrazione superiore si è fatta un dovere di accogliere immediatamente la sua domanda.

— Perbacco! — esclama Pinchinat — bisogna abitare Milliard-City per vedere di queste cose!… Un sovrano con gli occhi al cannocchiale, intento a studiare le stelle all'orizzonte!…

— Un astro della terra che interroga i suoi confratelli del cielo!… — risponde Yvernès.

La notizia è autentica, ed ecco perché Sua Maestà si è trovato obbligato a sollecitare quel posto.

Il re di Malécarlie era un buon re, e la principessa sua moglie una buona regina. In uno degli Stati dell'Europa centrale avevano fatto tutto il bene che possono fare delle menti illuminate, liberali, senza pretendere che la loro dinastia benché fosse una delle più antiche del vecchio continente, avesse origini divine. Il re era molto istruito nelle cose di scienza e valente critico delle cose d'arte, appassionato soprattutto di musica. Scienziato e filosofo, non si illudeva affatto sull'avvenire dei regni europei. Così era sempre pronto ad abbandonare il suo reame non appena il suo popolo non avesse più voluto saperne di lui. Non avendo eredi diretti, non avrebbe certo

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fatto un torto alla sua famiglia quando gli fosse sembrato giunto il momento di abbandonare il trono e di deporre la corona.

Quel momento è arrivato tre anni or sono. Ma non vi è stata rivoluzione nel reame di Malécarlie, o per lo meno nessuna rivoluzione sanguinosa. Di comune accordo il contratto fra Sua Maestà e i suoi sudditi fu rotto. Il re tornò un uomo libero, i suoi sudditi diventarono cittadini repubblicani ed egli se ne andò come un viaggiatore che ha preso il suo biglietto ferroviario lasciando tranquillamente sostituirsi un regime ad un altro.

Ancora vigoroso a sessant’anni, il re aveva una costituzione migliore forse di quella che cercava di darsi il suo ex regno. Ma la salute della regina, piuttosto delicata, richiedeva un ambiente al riparo dei bruschi cambiamenti di temperatura. Ora questa quasi uniformità di condizioni climateriche era difficile trovarla altrove che a Standard-Island, dal momento che non era possibile sobbarcarsi la fatica di inseguire la bella stagione di latitudine in latitudine. Pareva dunque che il natante della Standard-Island Company presentasse quei diversi vantaggi poiché i più ricchi nababbi degli Stati Uniti ne avevan fatto la loro città adottiva.

Ecco perché, non appena l'isola a elica venne terminata, il re e la regina di Malécarlie decisero di eleggere il loro domicilio a Milliard-City. L'autorizzazione fu loro accordata purché si rassegnassero a vivervi da semplici cittadini senza distinzione alcuna o privilegio. Si poteva essere sicuri che le Loro Maestà non pensavano a vivervi altrimenti. Fu affittata loro una palazzina sulla Trentanovesima Avenue della sezione drittese, circondata da un giardino che si apriva sul gran parco. I due sovrani abitano là, vivendo appartati e tenendosi assolutamente estranei ai dissensi e agli intrighi delle sezioni rivali, accontentandosi di una esistenza modesta. Il re si occupa di studi astronomici per i quali ha sempre avuto una forte passione. La regina, cattolica profonda, conduce una vita quasi claustrale, non avendo nemmeno occasione di dedicarsi ad opere di carità, poiché sul Gioiello del Pacifico la miseria è sconosciuta.

Ecco la storia degli ex sovrani del regno di Malécarlie, storia che il sovrintendente ha raccontato ai nostri artisti, aggiungendo che il re e la regina sono le persone migliori che si possano incontrare anche

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se il loro patrimonio è relativamente limitato. Il quartetto, molto commosso dinanzi a quella regale decadenza,

sopportata con tanta filosofia e tanta rassegnazione, prova per i sovrani detronizzati una rispettosa simpatia. Invece di rifugiarsi in Francia, che è un po' la patria di tutti i re in esilio, le Loro Maestà hanno scelto Standard-Island come i ricchi per ragioni di salute scelgono Nizza o Corfù. Certo, essi non sono degli esiliati, non sono stati cacciati dal loro regno, potevano rimanervi e potrebbero ritornarvi reclamando semplicemente i loro diritti di cittadini. Ma non vi pensano affatto e si accontentano di quella tranquilla esistenza, uniformandosi alle leggi ed ai regolamenti dell'isola a elica.

Che il re e la regina di Malécarlie non siano ricchi è vero se si paragona la loro ricchezza a quella della maggioranza dei milliardesi e relativamente alle esigenze di vita di Milliard-City. Che cosa si può fare con duecentomila franchi di rendita, quando il solo affitto di una modesta palazzina ne costa cinquantamila? Ora gli ex sovrani avevano già un patrimonio ben modesto al confronto con quelli degli altri re e imperatori d'Europa (i quali a loro volta non fanno certo una gran figura accanto ai Gould, ai Vanderbilt, ai Rothschild, agli Astor, ai Mackay e alle altre divinità della finanza). Così, benché la loro vita si svolgesse senza alcun lusso, anzi limitata allo stretto necessario, a poco a poco essi sono venuti a trovarsi in una situazione piuttosto difficile. Ma la salute della regina è tanto migliorata durante questo soggiorno, che il re non ha potuto nemmeno pensare di troncarlo. Allora ha voluto aumentare le sue rendite lavorando, ed essendo rimasto vacante un posto all'osservatorio – un posto il cui stipendio era elevatissimo – egli è andato a chiederlo al governatore; Cyrus Bikerstaff, dopo aver interpellato telegraficamente l'amministrazione superiore di Madeleine-bay, ha concesso il posto al sovrano; ed ecco come è avvenuto che i giornali hanno potuto annunciare che il re di Malécarlie è stato nominato astronomo di Standard-Island.

Che materia di chiacchiere in qualsiasi altro paese! Qui invece se ne è parlato solo per due soli giorni e poi non ci si è pensato più. Sembra naturalissimo che un re cerchi nel lavoro la possibilità di

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continuare la tranquilla esistenza di Milliard-City. È uno scienziato: si trarrà profitto dalla sua scienza. Non vi è nulla che non sia dignitoso in ciò. Se egli scoprisse qualche nuovo astro, un pianeta, una cometa o una stella, gli daranno il suo nome che figurerà degnamente fra gli altri nomi mitologici di cui formicolano gli annuari ufficiali.

Passeggiando per il parco, Sébastien Zorn e i suoi compagni hanno discusso di questo fatto. Nella mattina hanno visto il re recarsi al suo ufficio e non sono ancora abbastanza americanizzati per accogliere indifferentemente una situazione tanto poco comune. Così, stanno parlando su questo argomento e Frascolin finisce col dire:

— Pare che, se Sua Maestà non fosse stato capace di disimpegnare le funzioni di astronomo, avrebbe potuto dare lezione come maestro di musica.

— Un re in cerca di allievi! — esclama Pinchinat. — Senza dubbio e al prezzo che i suoi ricchi allievi gli avrebbero

poi pagato le lezioni… — Già, lo dicono un intenditore in fatto di musica — osserva

Yvernès. — Non sono sorpreso — aggiunge Sébastien Zorn — che vada

pazzo per la musica, dal momento che lo abbiamo visto sulla porta del Casino durante i nostri concerti, non potendo acquistare una poltrona per sé e per la regina!

— Ehi! menestrelli, ho un'idea! — fa Pinchinat. — Un'idea di Sua Altezza — ribatte il violoncellista — non può

essere che un'idea barocca! — Barocca o no, amico Sébastien — risponde Pinchinat — sono

sicuro che l'approverai. — Sentiamo l'idea di Pinchinat — dice Frascolin. — Sarebbe di andare a dare un concerto alle Loro Maestà, a loro

soli, nel loro salotto e di eseguirvi i pezzi più belli del nostro repertorio.

— Ehi! — fa Sébastien Zorn — lo sai che questa volta la tua idea non è cattiva?

— Perbacco! di idee simili ne ho la testa piena e quando la

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scuoto… — Suona come un campanello! — completa Yvernès. — Caro Pinchinat — dice Frascolin — per oggi accontentiamoci

della tua proposta. Sono sicuro che faremo un gran piacere a quel bravo re e a quella brava regina.

— Domani scriveremo loro per chiedere un'udienza — propone Sébastien Zorn.

— Meglio ancora! — fa Pinchinat. — Questa sera stessa ci presenteremo alla casa dei sovrani con i nostri strumenti come un gruppo di musicanti che venga a tenere un concertino…

— Vuoi dire una serenata — replica Yvernès — dato che sarà di sera…

— E va bene, severo e giusto fra i primi violini! Non cavilliamo sulle parole! Deciso?…

— Deciso. Hanno proprio avuto un'ottima idea. Certo, il sovrano-musicista

sarà molto sensibile a questa delicata attenzione degli artisti francesi e felicissimo di poterli sentire.

E venuta la sera, il Quartetto Orchestrale carico di tre astucci da violino e di una cassa del violoncello lascia il Casino e si dirige verso la Trentanovesima Avenue, situata all'estremità della sezione drittese.

La casa è semplicissima, preceduta da un piccolo cortile con una verdeggiante aiuola. Da un lato i locali di servizio, dall'altro le scuderie, che non vengono utilizzate. La casa si compone di un piano terreno al quale si accede per una gradinata e di un primo piano sormontato da un mezzanino e da un tetto alla Mansart. Sulla destra e sulla sinistra due magnifici bagolari ombreggiano il doppio sentiero che conduce al giardino. E fra i boschetti di questo, che non supera i 200 metri di superficie, si stende un tappeto erboso. Non si deve pensare a paragonare questo villino con i palazzi dei Coverley, dei Tankerdon e di altri notabili di Milliard-City. È invece il rifugio di uno studioso che vive appartato, o di un saggio, o di un filosofo. Abdolonimo, sceso dal trono dei re di Sidone, se ne sarebbe accontentato.

Il re di Malécarlie ha per unico ciambellano il suo cameriere e la

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regina per unica dama d'onore la sua cameriera. Aggiungendovi una cuoca americana, ecco tutto il personale addetto al servizio di questi sovrani decaduti, che nel momento della loro migliore fortuna avevano chiamato fratelli gli imperatori del vecchio continente.

Frascolin preme un pulsante elettrico. Ed il cameriere viene ad aprire la porta della cancellata.

Frascolin espone come lui e i suoi compagni, artisti francesi, desiderino presentare i loro ossequi alle Loro Maestà e quindi chiedono di essere ricevuti.

Il domestico li prega di entrare, ed essi si fermano dinanzi alla gradinata. Quasi subito poi il cameriere torna per informarli che il re li riceverà con molto piacere. Vengono introdotti nel vestibolo, dove depositano i loro strumenti, e quindi nel salotto, dove le Loro Maestà entrano contemporaneamente a loro.

Ecco tutto il cerimoniale di quel ricevimento. Gli artisti si inchinano pieni di rispetto davanti al re e alla regina.

La sovrana è vestita molto semplicemente di stoffa scura, con i lunghi capelli pettinati in onde grige che conferiscono un grande fascino al suo volto un po' pallido, al suo sguardo leggermente velato. Ella va a sedersi in una poltrona posta vicino alla finestra che dà sul giardino, aldilà del quale si delineano i boschetti del parco.

Il re, in piedi, risponde al saluto dei visitatori e li invita a fargli conoscere quale sia il motivo che li ha condotti in casa sua, perduta alla punta estrema di Milliard-City.

Tutti e quattro si sentono emozionati guardando quel sovrano, la cui persona promana una inesprimibile dignità. Il suo sguardo vivace sotto sopracciglia quasi nere è lo sguardo profondo dello scienziato. La sua barba bianca gli scende ampia e morbida sul petto. La sua fisionomia, la cui espressione piuttosto seria è mitigata da un simpatico sorriso, non può che accattivargli tutti coloro che lo avvicinano.

Frascolin prende la parola, e con voce un pochino tremante dice: — Ringraziamo Vostra Maestà per essersi degnata di ricevere

quattro artisti che desideravano presentarle i loro rispettosi ossequi. — La regina ed io — risponde il re — vi ringraziamo, signori, e il

vostro gesto ci commuove. Su quest'isola, dove speriamo di

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concludere una esistenza che è stata tanto turbata, pare che voi abbiate portato un poco di quella vostra buon'aria di Francia. Signori, voi non siete affatto sconosciuti ad un uomo che pur occupandosi di scienza ama appassionatamente la musica, arte per la quale voi godete di tanta fama nel mondo artistico. Noi conosciamo il successo che avete riportato in Europa e in America. A quegli applausi che hanno accolto a Standard-Island il Quartetto Orchestrale, abbiamo preso parte anche noi quantunque un po' di lontano. Ed è perciò che abbiamo un dolore: quello di non avervi ancora potuto sentire come sarebbe necessario di sentirvi.

Il re indica ai suoi ospiti di sedere: quindi si pone davanti al caminetto, il cui piano sorreggeva un magnifico busto della regina, ancora giovane, opera di Franchetti.

Per entrare in materia, Frascolin non deve far altro che rispondere all'ultima frase del re.

— Vostra Maestà ha ragione — dice — e il dispiacere che ella esprime non è giustificato in ciò che concerne il genere di musica di cui noi siamo gli interpreti. La musica da camera, i quartetti dei maestri della musica classica, richiedono una intimità maggiore che non sia quella di una pubblica assemblea. Necessitano un po' come del raccoglimento di un santuario…

— Sì, signori — dice la regina — tale musica deve essere ascoltata come si ascolterebbe una pagina di un'armonia celeste, ed è proprio un santuario quello che ci vorrebbe…

— Che le Loro Maestà — dice allora Yvernès — ci permettano di trasformare per un'ora questo salotto in santuario e di farci ascoltare solo che dalle Loro Maestà…

Yvernès non ha finito di pronunciare quelle parole, che la fisionomia dei due sovrani si è animata.

— Signori — risponde il re — voi volete… avete avuto il pensiero…

— È lo scopo della nostra visita… — Ah! — esclama il re, tendendo loro la mano — riconosco in

ciò gli artisti di Francia, per i quali il cuore eguaglia il talento!… vi ringrazio a nome della regina e mio, signori!… Niente… no, niente avrebbe potuto recarci un piacere più grande.

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E mentre il cameriere riceve l'ordine di portare gli strumenti e di preparare il salotto per quel concerto improvvisato il re e la regina invitano i loro ospiti a seguirli nel giardino. Là, si conversa, si parla di musica come potrebbero fare degli artisti nella più completa intimità.

Il re si abbandona al suo entusiasmo per quest'arte, da uomo che ne sente tutto l'incanto e ne comprende tutte le bellezze. Egli dimostra, fino a renderne stupiti i suoi ascoltatori, quanta conoscenza abbia di quei maestri che fra pochi istanti gli sarà concesso di ascoltare. Esalta l'arte ingenua e insieme geniale di Haydn… Ricorda ciò che un critico ha detto di Mendelssohn, compositore eccezionale di musica da camera, che esprime le sue idee nella lingua di Beethoven… Weber, quale squisita sensibilità, quale spirito cavalleresco che ne fanno un maestro particolarissimo… Beethoven, il principe della musica strumentale… che rivela l'anima sua nelle sue sinfonie… Le opere del suo genio non la cedono certo, né in grandezza né in valore, ai capolavori della poesia, della pittura, della scultura e dell'architettura, astro sublime venuto a spegnersi col suo ultimo tramonto in quella Nona Sinfonia, dove la voce degli strumenti si fonde tanto intimamente con la voce umana.

— E pensare che non è mai riuscito a ballare a tempo!… Si capisce che è stato il signor Pinchinat a esprimere questa

osservazione così poco opportuna. — Sì — risponde il re sorridendo — il che prova, signori, che

l'orecchio non è un organo indispensabile per il musicista. È con il cuore, solamente con il cuore che egli sente. E Beethoven non l'ha forse dimostrato in quella sinfonia incomparabile di cui vi parlavo prima, composta quando già la sua sordità non gli permetteva più di udire i suoni?

Dopo Haydn, Weber, Mendelssohn e Beethoven, Sua Maestà parla di Mozart con un'eloquenza piena di foga.

— Ah! signori — disse — lasciate che la mia ammirazione esploda! È tanto tempo che la mia anima desidera sfogarsi così. Non siete forse i primi artisti dai quali io avrò potuto essere compreso dal giorno del mio arrivo a Standard-Island? Mozart!… Mozart!… Uno dei vostri compositori drammatici, anzi, a mio parere, il più grande,

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gli ha dedicato pagine meravigliose! Le ho lette e niente le cancellerà dalla mia memoria! Egli ha descritto quale scioltezza porta Mozart dando ad ogni parola la sua parte speciale di giustezza e d'intonazione, senza turbare l'andamento e il carattere della frase musicale… Ha anche detto che alla verità patetica egli aggiungeva la perfezione della bellezza plastica… Mozart non è forse il solo che abbia indovinato, con una sicurezza tanto costante e tanto completa, la forma musicale di tutti i sentimenti, di tutte le varie fasi della passione e del carattere, vale a dire di tutto ciò che forma il dramma umano?… Mozart non è un re (e che cosa è mai un re al giorno d'oggi?) — aggiunge Sua Maestà crollando il capo, — dirò che è un dio, dal momento che si sopporta che Dio esista ancora, sì… è il dio della Musica!…

Ciò che non si può certo riferire è l'ardore col quale Sua Maestà manifesta la sua ammirazione. E, quando la regina insieme con lui rientra nel salone e gli artisti ve lo seguono, egli prende un libro da un tavolino. Questo libro, che egli deve aver letto e riletto, porta questo titolo: Don Giovanni di Mozart. Allora lo apre e ne legge queste poche righe uscite dalla penna del maestro che meglio di ogni altro ha compreso e amato Mozart, l'illustre Gounod: «O Mozart! divino Mozart! basta comprenderti un poco per adorarti! Tu la beltà perfetta! Tu l'incanto inesauribile! Tu sempre profondo e sempre limpido! Tu l'umanità completa e la semplicità del fanciullo! Tu che hai tutto provato e tutto espresso in una frase musicale che non è stata mai superata né mai lo sarà!»

Allora Sébastien Zorn e i suoi compagni prendono i loro strumenti e alla luce della lampada elettrica che effonde una tranquilla luminosità nel salotto, eseguono il primo pezzo da loro scelto per quel concerto.

È il secondo quartetto in la minore, op. 13, di Mendelssohn, al quale il regale uditorio prova un godimento infinito.

Ad esso succede il terzo in do maggiore, op. 75, di Haydn, vale a dire l'Inno austriaco, eseguito con incomparabile maestria. Mai musicisti sono arrivati più vicino alla perfezione quanto nell'intimità di quel santuario, dove i nostri artisti hanno per ascoltatori solo due sovrani detronizzati!

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E quando hanno terminato quell'inno reso grande dal genio del compositore, eseguono il sesto quartetto in si bemolle, op. 18, di Beethoven, quella Malinconia tanto pervasa di tristezza, ma di così penetrante potenza, che gli occhi delle Loro Maestà si riempiono di lacrime.

Quindi viene la meravigliosa fuga in do minore di Mozart, così perfetta, così priva di qualsiasi ricerca scolastica, così naturale, che sembra colare come acqua limpida o passare come la brezza attraverso un leggero fogliame. Finalmente uno dei più straordinari quartetti del divino compositore, il decimo in re maggiore, op. 35, che conclude quella serata indimenticabile, di cui i nababbi di Milliard-City non hanno mai avuto l'uguale.

E non sono certo i nostri francesi a stancarsi nell'esecuzione di quelle opere meravigliose, così come il re e la regina non si stancano di ascoltare.

Ma sono ormai le undici e Sua Maestà dice loro: — Signori, noi vi ringraziamo, e questi ringraziamenti partono dal

più profondo del nostro cuore! Grazie alla perfezione della vostra esecuzione abbiamo provato un godimento che non potremo mai più dimenticare!… Ciò ci ha fatto tanto bene…

— Se il re lo desidera — dice Yvernès — noi potremmo ancora… — Grazie, signori, un'ultima volta grazie! Non vogliamo abusare

della vostra bontà! È tardi… e poi questa notte… io sono di servizio…

Quell'espressione sulla bocca del re richiama gli artisti al senso della realtà. Davanti al sovrano che parla loro così, essi si sentono quasi confusi… ed abbassano gli occhi…

— Sì, signori — riprende il re in tono allegro. — Non sono forse astronomo dell'osservatorio di Standard-Island?… e — aggiunge non senza una certa emozione — ispettore delle stelle… delle stelle cadenti?…

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CAPITOLO IV

ULTIMATUM BRITANNICO

DURANTE l'ultima settimana dell'anno, dedicata alle gioie del «Christmas», numerosi inviti vengono fatti a pranzi, serate e ricevimenti ufficiali. Un banchetto offerto dal governatore ai principali personaggi di Milliard-City e accettato dai notabili delle due sezioni, attesta una certa qual fusione che ora regna fra sinistresi e drittesi. I Tankerdon e i Coverley si ritrovano alla stessa tavola. Per il capodanno ci sarà scambio di biglietti fra i due palazzi della Diciannovesima e della Quindicesima Avenue. Walter Tankerdon riceve addirittura un invito per uno dei concerti della signora Coverley. L'accoglienza che gli viene fatta dalla padrona di casa pare di buon augurio. Ma da qui ad allacciare legami più stretti il cammino è ancora lungo, quantunque Calistus Munbar nel suo cronico entusiasmo non cessi di ripetere a chi vuole sentirlo:

— È fatta, amici miei, è fatta! Intanto l'isola a elica continua la sua tranquilla navigazione verso

l'arcipelago di Tonga-Tabu. Niente pareva dovesse turbarla, senonché nella notte tra il 30 e il 31 dicembre si verifica un fenomeno meteorologico piuttosto inatteso.

Fra le due e le tre del mattino si odono delle detonazioni in lontananza. Le vedette non se ne preoccupano più di quel che convenga. Non si può pensare che si tratti di un combattimento navale a meno che non sia fra navi di quelle repubbliche dell'America meridionale che spesso vengono alle prese fra loro. Dopo tutto, perché se ne dovrebbero preoccupare a Standard-Island, isola indipendente e in pace con tutte le potenze dei due mondi?

Inoltre quelle detonazioni che vengono dai paraggi occidentali del Pacifico durano fino a giorno, e certo non potrebbero essere confuse col risuonare pieno e regolare di un lontano fuoco d'artiglieria.

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Il commodoro Simcoë, avvertito da uno dei suoi ufficiali, si reca ad osservare l'orizzonte dall'alto della torre dell'osservatorio. Alla superficie di quel largo tratto di mare che si stende dinanzi ai suoi occhi non si vede nessuna luce. Il cielo tuttavia non ha il suo aspetto abituale. Riflessi di fiamme lo colorano fino allo zenit. L'atmosfera pare annebbiata quantunque il tempo sia bello e il barometro non indichi con un repentino abbassamento, una perturbazione delle correnti aeree.

Sul far del giorno, i mattinieri di Milliard-City provano una strana sorpresa. Non soltanto le detonazioni non cessano di echeggiare, ma l'aria si riempie di una nebbia rossa e nera, una specie di polvere impalpabile che comincia a cadere in pioggia. La si direbbe una tempesta di molecole fuliginose. In pochi istanti le vie della città, i tetti delle case sono ricoperti di una sostanza in cui si combinano i colori carminio, rosso arancio e porpora insieme con scorie di un colore nerastro.

Tutti gli abitanti sono all'aperto (faremo eccezione per Athanase Dorémus che non si alza mai prima delle undici, nonostante che vada a coricarsi alle otto). Il quartetto balza dal letto e corre all'osservatorio, dove il commodoro, i suoi ufficiali e i suoi astronomi, fra cui c'è anche il nuovo funzionario regale, cercano di spiegare la natura di quel fenomeno.

— Peccato — osserva Pinchinat — che questa sostanza rossa non sia liquida, e che questo liquido non sia una pioggia di Pomard o di Chàteau-Lafltte!33

— Beone! — risponde Sébastien Zorn. Ma, per la verità, qual è la causa del fenomeno? Si hanno

numerosi esempi di queste piogge di polveri rosse, composte di silice, albumina, ossido di cromo e ossido di ferro. All'inizio del secolo la Calabria e gli Abruzzi furono inondati da acquazzoni analoghi, nei quali gli abitanti superstiziosi volevano vedere dei diluvi di sangue, mentre si trattava soltanto (come era avvenuto nel 1819 a Blanchenberghe) di cloruro di cobalto. Vi sono anche unite molecole di carbone e di fuligine, strappate a lontani incendi. Non si

33 Celebri vini francesi. (N.d.T.)

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sono forse vedute cadere piogge di fuligine a Pernambuco nel 1820, piogge gialle nel 1829 a Orléans e nel 1836 sui bassi Pirenei, piogge di polline strappato agli abeti in fiore?

Che origine attribuire a questa caduta di polveri mescolate a scorie di cui sembra carica l'atmosfera e che proietta su Standard-Island e sul mare circostante quelle grosse masse rossastre?

Il re di Malécarlie ritiene che quelle materie debbano provenire da qualche vulcano delle isole occidentali. I colleghi dell'osservatorio sono della sua opinione. Si raccattano parecchie manciate di questa cenere la cui temperatura è superiore a quella dell'aria e che non si è raffreddata nel suo passaggio attraverso l'atmosfera. Un'eruzione di grande violenza spiegherebbe quelle detonazioni irregolari che si fanno ancora sentire. Ora, questi paraggi sono disseminati di crateri, alcuni in attività altri spenti, ma suscettibili di riaccendersi sotto un'azione infratellurica, senza parlare di quelli che una spinta geologica solleva a volte dal fondo dell'Oceano e la cui potenza di proiezione è spesso straordinaria.

E appunto in mezzo a quell'arcipelago delle Tonga al quale si sta avvicinando Standard-Island, qualche anno prima, il vulcano Tufua non ha forse coperto una superficie di cento chilometri con le sue materie eruttive? E per parecchie ore, le sue detonazioni non si sono propagate a oltre duecento chilometri di distanza?

E nel mese d'agosto del 1883 le eruzioni del Krakatoa non desolarono quella parte delle isole di Giava e di Sumatra, vicine allo stretto della Sonda, distruggendo interi villaggi, facendo numerose vittime, provocando terremoti, riempiendo il suolo di una melma compatta, sollevando le acque in giganteschi vortici, infettando l'atmosfera con vapori sulfurei, mandando a picco navi?…

C'è anzi da domandarsi se l'isola a elica non è minacciata da un pericolo simile…

Il commodoro Simcoë è abbastanza preoccupato, perché la navigazione minaccia di diventare difficilissima. Dato l'ordine di procedere con estrema lentezza, Standard-Island ora si sposta quasi impercettibilmente.

Un certo qual timore si impadronisce della popolazione milliardese. Gli spiacevoli pronostici di Sébastien Zorn circa la fine

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di questa crociera stanno dunque per verificarsi?… Verso mezzogiorno l'oscurità è divenuta profonda. Gli abitanti

hanno lasciato le loro case che non resisterebbero certo se lo scafo metallico venisse sollevato dalle forze plutoniche. Pericolo non meno terribile è che il mare superi le armature del litorale e precipiti le sue trombe d'acqua sopra la campagna.

Il governatore Cyrus Bikerstaff e il commodoro Simcoë si recano alla batteria dello Sperone seguiti da una parte della popolazione. Alcuni ufficiali vengono mandati ai due porti con ordine di restarvi in permanenza. I macchinisti sono pronti a far virare l'isola a elica se sarà necessario prendere la fuga in direzione opposta. Il guaio è che la navigazione diventa sempre più difficile a mano a mano che il cielo si ricopre di dense tenebre.

Verso le tre della sera non ci si vede a dieci passi di distanza. Non vi è traccia di luce diffusa, perché la massa delle ceneri assorbe i raggi solari. Ciò che si deve temere soprattutto è che Standard-Island, sovraccaricata dalle ceneri cadute sulla sua superficie, non riesca a conservare la sua linea di galleggiamento al di sopra del livello dell'Oceano.

Essa non è una nave che si possa alleggerire gettando il carico a mare, sbarazzandola della zavorra!… Non si può far altro che aspettare fidando nella stabilità del natante.

Arriva la sera, o per meglio dire la notte, e ci se ne accorge solo per l'ora indicata sugli orologi. L'oscurità è completa. Sotto la pioggia delle scorie è impossibile di mantenere in aria le lune elettriche che vengono così calate al suolo. Naturalmente, l'illuminazione delle strade e delle case che ha funzionato per tutta la giornata, continuerà per tutto il tempo che durerà il fenomeno.

Venuta la notte, la situazione non si modifica. Pare tuttavia che le detonazioni siano meno frequenti e meno violente. I furori dell'eruzione tendono a diminuire e la pioggia di cenere trasportata da una forte brezza verso il sud, comincia lentamente a cessare.

I milliardesi, un po' rassicurati, si decidono a rientrare nelle loro abitazioni con la speranza che l'indomani Standard-Island si ritroverà nelle sue condizioni normali. Non vi sarà più da far altro che procedere a una lunga e completa pulizia dell'isola a elica.

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Non importa! Che triste capodanno per il Gioiello del Pacifico e quanto poco è mancato che Milliard-City subisse la sorte di Ercolano e Pompei! Quantunque essa non sia situata ai piedi del Vesuvio, la sua navigazione non la espone forse a imbattersi in vulcani di cui sono irte le regioni sottomarine del Pacifico?

Tuttavia il governatore, i suoi aiutanti e il consiglio dei notabili rimane in permanenza in Municipio. Le vedette della torre osservano ogni cambiamento che si possa produrre all'orizzonte o allo zenith. Per mantenere la sua rotta verso sud-ovest l'isola a elica non ha cessato di muoversi, ma solo a una velocità di due o tre miglia all'ora. Quando tornerà il giorno (o almeno quando le tenebre si saranno dissipate) essa rimetterà la prora sull'arcipelago delle Tonga. Là certamente si saprà quale delle isole di questa parte d'oceano è stata il teatro di tale eruzione.

In ogni caso è evidente che con l'avanzare della notte il fenomeno tende a diminuire.

Verso le tre del mattino però si verifica un nuovo incidente che provoca un nuovo spavento fra gli abitanti di Milliard-City.

Standard-Island riceve un urto il cui contraccolpo si propaga attraverso i vari compartimenti del suo scafo. Per la verità la scossa non ha avuto forza sufficiente per far vacillare le case o guastare le macchine. Le eliche non hanno arrestato il loro movimento propulsivo. Ad ogni modo non c'è dubbio che ci sia stata collisione a prua.

Che cosa è avvenuto?… Standard-Island ha forse urtato in qualche bassofondo?… No, poiché continua a muoversi… Ha forse incontrato uno scoglio?… In mezzo a quella così profonda oscurità si è verificato un abbordaggio con qualche nave che ha incrociato la sua rotta e che non ha potuto vedere i suoi fanali?… Da questa collisione sono forse risultate gravi avarie, tali se non da compromettere la sua sicurezza, almeno da rendere necessarie riparazioni importanti al prossimo ancoraggio?…

Cyrus Bikerstaff e il commodoro Simcoë si recano, non senza difficoltà a causa del fitto strato di cenere e di scorie, alla batteria dello Sperone.

Là i doganieri li informano che l'urto è effettivamente dovuto a

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una collisione. Una nave di grosso tonnellaggio, un piroscafo che andava da ovest a est, è stato urtato dallo sperone di Standard-Island. Che l'urto non sia stato grave per l'isola a elica non prova che sia avvenuto lo stesso per il piroscafo. La sua massa è stata avvistata solo al momento stesso dell'abbordaggio… Si sono udite anche delle grida ma erano durate solo pochi attimi… Il capo del posto e i suoi uomini sono accorsi alla punta della batteria ma non hanno né visto né udito nulla… Il bastimento è forse colato a picco?… L'ipotesi è forse fin troppo ammissibile.

Si constata che la collisione non ha recato nessun danno serio a Standard-Island. La sua massa è tale che le basterebbe, anche a piccola velocità, rasentare una nave, pur poderosa che sia, fosse anche una corazzata di prima classe, perché questa corra rischio di perdersi corpo e beni. Ed è senza dubbio ciò che è avvenuto.

Quanto alla nazionalità di quella nave, il capo del posto crede di aver udito dei comandi lanciati con una voce rude, uno di quei ruggiti caratteristici dei comandi della marina inglese. Ma non potrebbe certo affermarlo formalmente.

Caso gravissimo e che può avere gravissime conseguenze. Che dirà il Regno Unito?… Un bastimento inglese è un pezzo d'Inghilterra e si sa che l'Inghilterra non si lascia amputare impunemente… Quali reclami e quali responsabilità deve attendersi Standard-Island?

Così comincia il nuovo anno. Quel giorno, fino alle due del mattino il commodoro Simcoë non è in grado di intraprendere ricerche al largo. L'atmosfera è ancora satura di vapori, benché il vento sorto abbia cominciato a dissipare la pioggia di cenere. Finalmente il sole esce dalle nebbie dell'orizzonte.

In quale stato sono ridotti Milliard-City, il parco, la campagna, le case, i porti! Che enorme lavoro di ripulitura sarà necessario! Bah, dopo tutto la cosa riguarda il settore dei lavori pubblici. È solo questione di tempo e di danaro: e veramente non manca né l'uno né l'altro.

Ci si dedica a quanto è più urgente. Prima d'ogni altra cosa i tecnici si recano alla batteria dello Sperone, dalla parte del litorale dove l'abbordaggio è avvenuto. I danni sono assolutamente

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insignificanti, il solido scafo d'acciaio non aveva sofferto più del cuneo che penetra nel legno (nel nostro caso, la nave abbordata).

Al largo non si vedono relitti di sorta. Dall'alto della torre dell'osservatorio i cannocchiali più potenti non lasciano vedere nulla, benché dopo la collisione Standard-Island non si sia spostata nemmeno di due miglia.

Ma in nome dell'umanità bisognava continuare le ricerche. Il governatore ha un colloquio col commodoro Simcoë. Si dà

ordine ai macchinisti di fermare le macchine, e alle lance elettriche dei due porti di prendere il mare.

Le ricerche estese su un raggio da cinque a sei miglia non danno alcun risultato. È purtroppo certo, il bastimento colpito nell'opera viva, deve essere affondato senza lasciar traccia della sua scomparsa.

Il commodoro Simcoë allora fa riprendere la regolare velocità. A mezzogiorno le osservazioni fatte indicano che Standard-Island si trova a centocinquanta miglia a sud-ovest delle isole Samoa.

Frattanto le vedette sono incaricate di vigilare con cura estrema. Verso le cinque di sera vengono segnalate spesse volute di fumo

che fuggono verso sud-est. Quel fumo è forse prodotto dagli ultimi sbocchi del vulcano la cui eruzione ha così profondamente turbato quei paraggi? Non è probabile, poiché le carte non indicano né isole né isolotti nelle vicinanze. È forse uscito un nuovo cratere dal fondo dell'Oceano?…

No, ed è chiaro che quel fumo sta avvicinandosi a Standard-Island.

Un'ora dopo tre navi che procedono di conserva si avvicinano rapidamente a tutto vapore.

Una mezz'ora dopo si può vedere che si tratta di navi da guerra. Dopo un'altra ora non si può avere nessun dubbio sulla nazionalità. È la divisione della squadra britannica che, cinque settimane prima si è rifiutata di salutare la bandiera di Standard-Island.

Al cadere della notte quelle navi sono a meno di quattro miglia dalla batteria dello Sperone. Passeranno al largo proseguendo la loro rotta? Pare di no, e anzi osservando i loro fanali di posizione si deve riconoscere che stanno ferme.

— Quelle navi — dice il commodoro Simcoë al governatore —

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hanno certo l'intenzione di comunicare con noi. — Aspettiamo — risponde Cyrus Bikerstaff. Ma in qual maniera il governatore risponderà al comandante della

divisione, se questi verrà a sporgere un reclamo per il recente abbordaggio? È possibile infatti che il suo proposito sia quello e forse l'equipaggio della nave affondata ha potuto salvarsi sulle sue lance ed essere raccolto. Del resto si avrà tempo di prendere una decisione quando si saprà di che si tratta.

E lo si sa fin dall'alba del giorno seguente. Al sorgere del sole la bandiera di contrammiraglio sventola

all'albero di mezzana dell'incrociatore di testa che si mantiene sotto piccolo vapore a due miglia di distanza da Babord-Harbour. Un'imbarcazione se ne stacca dirigendosi verso il porto.

Un quarto d'ora dopo il commodoro Simcoë riceve il seguente dispaccio:

«Il capitano Turner, dell'incrociatore Herald, capo di stato maggiore dell'ammiraglio sir Edward Collinson chiede di essere immediatamente condotto dal governatore di Standard-Island».

Cyrus Bikerstaff avvertito autorizza il capitano di porto a permettere lo sbarco e risponde che attende il capitano Turner al Municipio.

Dieci minuti dopo una vettura elettrica messa a disposizione del capo di stato maggiore che è accompagnato da un tenente di vascello deposita due personaggi davanti al Palazzo municipale.

Il governatore li riceve subito nel salone attiguo al suo studio. Vengono scambiati i saluti d'uso, molto freddi da una parte e

dall'altra. Quindi con molta calma, accentuando le parole come se recitasse

un brano di letteratura il capitano Turner prende a parlare, in una sola interminabile frase:

— Ho l'onore di portare a conoscenza di Sua Eccellenza il governatore di Standard-Island in questo momento a 177° e 13' a est del meridiano di Greenwich e a 16° e 54' di latitudine sud, che nella notte dal 31 dicembre al 1° gennaio il piroscafo Glen del porto di Glasgow stazzante 3500 tonnellate, carico di grano, indaco, riso, vini, il tutto di un valore considerevole, è stato abbordato da

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Standard-Island di proprietà della Standard-Island Company limited la cui sede sociale è a Madeleine-bay, Bassa California, Stati Uniti d'America, quantunque il detto piroscafo avesse i suoi fanali regolamentari bianco all'albero di mezzana, verde a dritta e rosso a sinistra, e che liberatosi dopo la collisione è stato incontrato il giorno seguente a trentacinque miglia dal teatro della catastrofe sul punto di colare a picco a causa di una via d'acqua nell'anca di sinistra e che è effettivamente affondato dopo che fortunatamente il suo capitano, i suoi ufficiali, il suo equipaggio hanno potuto mettersi in salvo a bordo dell'Herald incrociatore di prima classe di Sua Maestà Britannica navigante sotto la bandiera del contrammiraglio sir Edward Collinson, il quale denuncia il fatto a Sua Eccellenza il governatore Cyrus Bikerstaff chiedendogli di riconoscere la responsabilità della Standard-Island Company limited sotto la garanzia degli abitanti della detta Standard-Island verso gli armatori del suddetto Glen il cui valore in macchine, scafo e carico ammonta alla somma di 1.200.000 sterline,34 cioè sei milioni di dollari, somma che dovrà essere versata fra le mani del sopramenzionato ammiraglio sir Edward Collinson, in mancanza di che si procederà anche con la forza contro la nominata Standard-Island.

Una sola frase di 281 parole inframmezzate di virgole, senza un solo punto! Ma come dice tutto e non lascia la via a nessuna scappatoia! Sì o no il governatore si risolve ad ammettere il reclamo fatto da sir Edward Collinson e ne accetta le sue parti: 1) la responsabilità della Compagnia; 2) il valore di un milione e duecentomila sterline attribuito al piroscafo Glen di Glasgow?

Cyrus Bikerstaff risponde con gli argomenti di rito nei casi di collisione:

«Il tempo era molto oscurato a causa di un'eruzione vulcanica prodottasi nei paraggi dell'ovest; se il Glen aveva i suoi fanali, anche Standard-Island aveva i suoi; da una parte e dall'altra era impossibile scorgerli; per conseguenza questo è un caso di forza maggiore; ora, secondo i regolamenti marittimi, ognuno deve pagarsi le proprie avarie e non può esservi motivo di reclamo o di responsabilità».

34 Trenta milioni di franchi. (Nota della prima edizione francese.)

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Il capitano Turner a sua volta risponde: «Sua Eccellenza il governatore avrebbe senza dubbio ragione nel

caso in cui si trattasse di due navi naviganti in condizioni ordinarie. Se il Glen rispondeva a queste condizioni, Standard-Island no di certo, perché essa non potrebbe mai essere paragonata a un bastimento; perché spostando la sua enorme massa lungo le rotte marittime costituisce un pericolo permanente; perché essa è come un'isola, un isolotto, uno scoglio che si spostava senza che la sua posizione potesse mai essere definitivamente segnata sulle carte; che l'Inghilterra ha sempre protestato contro quell'ostacolo impossibile ad esser fissato per mezzo d'un rilievo idrografico; e che Standard-Island deve sempre essere considerata responsabile degli incidenti dovuti alla sua natura, ecc. ecc.».

È evidente che gli argomenti del capitano Turner non mancano di una certa logica e, in fondo, Cyrus Bikerstaff ne sente la giustezza. Ma egli, certo, non saprebbe prendere una decisione. La causa verrà portata davanti a chi di diritto, ed egli non può far altro che prendere atto del reclamo dell'ammiraglio sir Edward Collinson. Fortunatamente non vi è stata perdita d'uomini.

— Fortunatamente — risponde il capitano Turner — ma vi è stata morte di una nave, e parecchi milioni sono andati perduti per colpa di Standard-Island. Il governatore acconsente sin d'ora a versare nelle mani dell'ammiraglio sir Edward Collinson la somma rappresentante il valore attribuito al Glen ed al suo carico?

Come il governatore potrebbe acconsentire a fare tale versamento?… Dopo tutto, Standard-Island offre garanzie sufficienti… Essa è là per rispondere dei danni causati qualora i tribunali giudichino che essa è responsabile, dopo una perizia, tanto delle cause dell'incidente, quanto dell'importanza del danno causato.

— È l'ultima parola di Vostra Eccellenza?… — chiede il capitano Turner.

— La mia ultima parola — risponde Cyrus Bikerstaff — poiché non sono autorizzato a impegnare la responsabilità della Compagnia.

Nuovo scambio di saluti ancora più freddi fra il governatore e il capitano inglese. Partenza di quest'ultimo con la vettura elettrica che lo riconduce a Babord-Harbour e suo ritorno sull’Herald con la

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lancia a vapore, che lo riporta a bordo dell'incrociatore. Quando la risposta di Cyrus Bikerstaff viene conosciuta dal

Consiglio dei notabili, riceve da questo piena e completa approvazione e in seguito anche quella di tutta la popolazione di Standard-Island. Non si deve sottostare all'insolente e imperiosa richiesta dei rappresentanti di Sua Maestà britannica.

Convenuto ciò, il commodoro Simcoë dà ordini perché l'isola a elica riprenda la sua rotta a tutta velocità.

Ma se la divisione dell'ammiraglio Collinson si incaponisce sarà possibile sfuggire al suo inseguimento? I suoi bastimenti non hanno una velocità molto superiore? E se egli appoggiasse le sue pretese con qualche obice alla melinite, sarà possibile resistere? Certo, le batterie dell'isola sono capaci di rispondere agli Armstrong di cui sono armati gli incrociatori della divisione. Ma il bersaglio offerto al tiro inglese è infinitamente più vasto… Che cosa potrebbe capitare alle donne e ai bambini nella impossibilità di trovare un riparo?… Tutti i colpi arriveranno a segno mentre le batterie dello Sperone e della Poppa perderanno almeno il 50 per cento dei loro proiettili su un bersaglio mobile e molto ristretto!…

Bisogna dunque attendere la decisione dell'ammiraglio sir Edward Collinson.

Non si attende a lungo. Alle nove e tre quarti un primo colpo a salve parte dalla torre

centrale dell'Herald mentre la bandiera del Regno Unito viene issata in testa d'albero.

Sotto la presidenza del governatore e dei suoi aiutanti il Consiglio dei notabili si riunisce nella sala delle riunioni in Municipio. Questa volta Jem Tankerdon e Nat Coverley sono dello stesso parere. I due americani, gente pratica, non pensano affatto a tentare una resistenza che potrebbe trascinare alla perdita corpo e beni di Standard-Island.

Un secondo colpo di cannone rimbomba. Questa volta un obice passa fischiando, diretto in modo da cadere a una mezza lunghezza di cavo in mare dove scoppia con violenza formidabile, sollevando enormi masse d'acqua.

All'ordine del governatore, il commodoro Simcoë fa abbassare la bandiera che era stata issata in risposta a quella dell'Herald. Il

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capitano Turner torna a Babord-Harbour. Là egli riceve delle tratte firmate da Cyrus Biker-staff e avallate dai principali personaggi di Standard-Island per una somma di 1.200.000 sterline.

Tre ore dopo le ultime colonne di fumo della divisione si perdono ad oriente mentre Standard-Island continua la sua rotta verso l'arcipelago delle Tonga.

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CAPITOLO V

IL «TABU» A TONGA-TABU

— E ALLORA — dice Yvernès — ci ancoreremo presso le isole principali di Tonga-Tabu?

— Sì, mio caro amico! — risponde Calistus Munbar. — Avrete tutto l'agio di conoscere questo arcipelago che avete il diritto di poter anche chiamare arcipelago d'Hapai, o anche arcipelago degli Amici, come lo battezzò il capitano Cook in riconoscenza della buona accoglienza che vi aveva ricevuto.

— E vi saremo certamente trattati meglio di quanto lo siamo stati alle isole Cook?… — chiede Pinchinat.

— Probabilmente. — E visiteremo tutte le isole di questo gruppo?… — domanda

Frascolin. — No certo, dal momento che ve ne sono non meno di

centocinquanta… — E poi?… — dice Yvernès. — Poi andremo alle isole Figi, poi alle Nuove Ebridi e appena

avremo rimpatriato i malesi, ritorneremo a Madeleine-bay dove terminerà il nostro viaggio.

— Standard-Island sosterà in vari punti delle Tonga?… — riprende Frascolin.

— Solamente a Vavao e a Tonga-Tabu — risponde il sovrintendente — e nemmeno qui, caro Pinchinat, troverete i veri selvaggi dei vostri sogni!

— Decisamente non ve ne sono più nemmeno nel Pacifico occidentale!… — replica Sua Altezza.

— Scusate… ve ne è un numero rispettabile dalla parte delle Nuove Ebridi e delle isole Salomone, ma a Tonga i sudditi del re

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Giorgio I sono quasi civilizzati e aggiungo che le sue suddite sono anche graziose. Però non vi consiglierei di sposare una di queste bellissime tengane.

— E perché?… — Perché i matrimoni fra stranieri e indigeni non possono riuscir

bene: generalmente vi è incompatibilità di carattere! — Bene! — esclama Pinchinat. — E questo vecchio

strimpellatore di Zorn che contava di sposarsi a Tonga-Tabu! — Io! — ribatte il violoncellista alzando le spalle. — Né a Tonga-

Tabu né altrove, ficcatelo bene in testa, invece di prendermi in giro! — Decisamente — risponde Pinchinat — il nostro capo orchestra

è un saggio. Vedete, caro Calistus… e mi siete tanto simpatico che dovete permettermi di chiamarvi Eucalistus…

— Ve lo permetto, Pinchinat! — Ebbene, caro Eucalistus, non si può aver grattato per

quarant'anni le corde del violoncello senza essere diventati filosofi, e la filosofia insegna che l'unico mezzo per essere felici nel matrimonio consiste nel non ammogliarsi.

Nella mattinata del 6 gennaio appaiono all'orizzonte le cime di Vavao, l'isola più importante del gruppo settentrionale. Questo gruppo, a causa della sua formazione vulcanica, è molto diverso dagli altri due, Hapai e Tonga-Tabu. Tutti e tre sono compresi fra il 17° e il 22° sud e il 176° e il 178° ovest, una superficie, cioè, di 2500 chilometri quadrati su cui si raggruppano 150 isole popolate da 60.000 abitanti.

Là passarono le navi di Tasman nel 1643 e quelle di Cook nel 1773 durante il suo secondo viaggio di scoperte attraverso il Pacifico. Nel 1797 dopo che fu rovesciata la dinastia dei Finare-Finare e venne fondato lo Stato federale, una guerra civile decimò la popolazione dell'arcipelago. Era l'epoca in cui sbarcarono i missionari metodisti che fecero trionfare quell'ambiziosa setta della religione anglicana. Attualmente il re Giorgio I è il sovrano incontestato di quel regno sotto il protettorato dell'Inghilterra, in attesa che… I puntini di sospensione hanno lo scopo di avanzare una riserva sull'avvenire poiché non si sa mai quello che la protezione inglese regala ai suoi protetti d'oltremare.

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È molto difficile navigare in mezzo a quel dedalo di isole e di isolotti coperti di palme di cocco, fra i quali occorre passare per raggiungere Nu-Ofa, capitale del gruppo delle Vavao.

Vavao è vulcanica e come tale facile preda dei terremoti. Di questo ci si è preoccupati erigendo case nella cui costruzione non entra un solo chiodo. I muri sono formati di giunchi intrecciati, travicelli di legno di cocco, e sopra pilastri o tronchi d'albero poggia un tetto ovale. Il tutto è molto fresco e molto pulito. Questo insieme attira la particolare attenzione dei nostri artisti fermi sulla batteria dello Sperone allorché Standard-Island passa attraverso i canali fra i villaggi kanachi. Qua e là alcune case di stile europeo inalberano le bandiere tedesca e inglese.

Ma se questa parte dell'arcipelago è vulcanica, non è ad uno dei suoi vulcani che va attribuita la formidabile eruzione di scorie di cenere vomitata su questi paraggi. I tongani non sono nemmeno stati immersi nelle tenebre di quarantott'ore, poiché le brezze di ponente hanno scacciato le nuvole di materie eruttive verso l'orizzonte opposto. Molto verosimilmente il cratere che le ha espulse appartiene a qualche isola solitaria verso est, a meno che non sia un vulcano di formazione recente sorto fra le isole Samoa e le Tonga.

La sosta di Standard-Island a Vavao è durata solo otto giorni. Questa isola merita di essere visitata, benché parecchi anni or sono sia stata devastata da un terribile ciclone che distrusse la chiesetta dei maristi francesi e una quantità di abitazioni indigene. Ciononostante, la campagna è rimasta assai attraente con i suoi numerosi villaggi circondati da aranceti, le sue pianure fertili, i suoi campi di canne da zucchero e di ignami, i suoi boschi di banani e di gelsi, di alberi del pane e di sandalo. In fatto d'animali domestici non vi sono che polli e maiali. Quanto a uccelli, solo migliaia di piccioni e di pappagalli dai colori vivaci e dal rumoroso chiacchierio. Riguardo ai rettili, poi, qualche specie di serpenti inoffensivi e certe graziose lucertole verdi che si possono scambiare per foglie cadute dagli alberi.

Il sovrintendente non ha affatto esagerato la bellezza del tipo indigeno, comune del resto alla razza malese dei diversi arcipelaghi del Pacifico centrale. Uomini superbi, alti, forse un po' massicci ma con un fisico atletico e di nobile atteggiamento, sguardo fiero e

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colore che va dal rame cupo all'olivastro. Donne graziose e ben proporzionate con mani e piedi dalle forme così delicate e tanto piccoli da far commettere più d'un peccato d'invidia alle inglesi e alle tedesche della colonia europea. Le indigene non hanno altra occupazione all'infuori di quella della fabbricazione delle stuoie, dei panieri e di stoffe simili a quelle di Tahiti e le loro dita non si deformano in questi lavori manuali. E poi è molto facile di poter giudicare de visu della perfezione della bellezza tongana. La moda del paese non ha ancora adottato né gli abominevoli pantaloni né il ridicolo abito a strascico. Un semplice panno o un perizoma per gli uomini, il «caraco» e una sottanina ornata di fini scorze secche per le donne, le quali sono allo stesso tempo riservate e civette. In ambedue i sessi i capelli vengono molto curati e le giovinette li rialzano sulla fronte mantenendoli sollevati con un intreccio di fibre di cocco a foggia di pettine.

Ciononostante questi pregi non hanno il potere di far recedere dalle sue prevenzioni lo scontroso Sébastien Zorn. Egli non si sposerà certo né a Vavao né a Tonga-Tabu o in nessun altro paese di questo mondo sublunare.

Ma tanto per lui quanto per i suoi compagni è sempre una viva soddisfazione sbarcare su questi arcipelaghi. Certo Standard-Island piace loro moltissimo, ma non spiace loro nemmeno metter piede sulla terraferma. Vere montagne, vere campagne, veri corsi d'acqua, li distraggono dai fiumi fittizi e dai litorali artificiali. Bisogna essere un Calistus Munbar per dare al suo Gioiello del Pacifico la superiorità sulle opere della natura.

Benché Vavao non sia la residenza ordinaria di re Giorgio, pure egli possiede a Nu-Ofa un palazzo o meglio un grazioso villino nel quale egli soggiorna assai spesso. Ma il palazzo reale e gli edifici dei residenti inglesi si trovano sull'isola di Tonga-Tabu.

Standard-Island farà là la sua ultima sosta quasi al limite del tropico del Capricorno, punto estremo da essa raggiunto durante questa sua crociera nell'emisfero meridionale.

Dopo aver lasciato Vavao i milliardesi hanno goduto per due giorni di una navigazione variatissima. Si perde di vista un'isola solo per avvistarne un'altra. Tutte, con le stesse caratteristiche vulcaniche,

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sono sorte in seguito all'azione delle forze plutoniche. Sotto questo riguardo il gruppo settentrionale è come quello centrale delle Hapai. Le carte idrografiche di questi paraggi, disegnate con estrema precisione, permettono al commodoro Simcoë di avventurarsi senza pericolo fra i canali di quel dedalo, da Hapai fino a Tonga-Tabu. Del resto i piloti non gli mancherebbero se dovesse ricorrere ai loro servigi. Numerose imbarcazioni circolano lungo queste isole, per la maggior parte golette, battenti bandiera tedesca, impiegate per il cabotaggio, mentre le navi mercantili esportano il cotone, la copra, il caffè e il granoturco, principali prodotti dell'arcipelago. Se Ethel Simcoë li avesse fatti chiamare, non solo i piloti si sarebbero affrettati ad accorrere, ma anche gli equipaggi di quelle doppie piroghe a bilanciere riunite da una piattaforma che possono contenere fino a duecento uomini. Sì, centinaia di indigeni sarebbero accorsi al primo appello e che guadagno avrebbero ricavato se il prezzo del pilotaggio fosse stato calcolato sul tonnellaggio di Standard-Island! Duecentocinquantanove milioni di tonnellate! Ma il commodoro Simcoë a cui tutti quei paraggi sono familiari non ha bisogno dei loro servigi. Egli non ha fiducia che in se stesso e conta sull'abilità degli ufficiali che eseguono i suoi ordini con una precisione assoluta.

Tonga-Tabu viene avvistata nella mattina del 9 gennaio quando Standard-Island ne è a sole tre o quattro miglia. Bassissima, poiché la sua formazione non è dovuta ad uno sforzo geologico, essa non è salita dal fondo sottomarino come tante altre isole immobilizzatesi dopo esser venute a respirare alla superficie di questi mari. Sono stati gli infusori che l'hanno costruita a poco a poco con la sovrapposizione dei loro strati madreporici.

E che lavoro! Cento chilometri di circonferenza, una superficie di setteottocento chilometri quadrati sopra i quali vivono ventimila abitanti!

Il commodoro Simcoë si ferma davanti al porto di Maofuga. Immediatamente sono stabiliti i rapporti fra l'isola fissa e quella mobile, una sorella della Latona di mitologica memoria! Che differenza fra questo arcipelago e quelli delle Marchesi, delle Pomotu e della Società! L'influenza inglese vi predomina e il re Giorgio I, sottoposto a questa dominazione, non si affretterà certo a

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far buona accoglienza a questi milliardesi di origine americana. Tuttavia a Maofuga il quartetto trova un piccolo centro francese.

Là risiede il vescovo dell'Oceania che allora stava compiendo una visita pastorale per i diversi gruppi. Là sorgono la missione cattolica, il convento delle suore e le scuole maschili e femminili. È inutile dire che i parigini vengono accolti con grande cordialità dai loro compatrioti. Il rettore della missione offre loro ospitalità il che li dispensa dal ricorrere alla «Casa degli Stranieri». Le loro escursioni poi li conducono in due soli altri punti importanti: a Nakualofa, capitale degli Stati di re Giorgio, e al villaggio di Mua i cui quattrocento abitanti professano la religione cattolica.

Quando Tasman scoprì Tonga-Tabu le pose il nome di Amsterdam, nome non giustificato affatto dalle sue capanne di foglie di pandano e fibre di cocco. Le case all'europea non vi mancano, ma a quest'isola è meglio appropriato il nome indigeno.

Il porto di Maofuga è situato sulla costa settentrionale. Se Standard-Island avesse gettato le ancore poche miglia più a ovest, Nakualofa con i suoi giardini reali e il palazzo reale si sarebbe offerta ai suoi sguardi. Se invece il commodoro Simcoë si fosse diretto più ad est, egli avrebbe trovato una baia che incide profondamente la costa e il cui fondo è occupato dal villaggio di Mua. Ma egli non lo ha fatto perché il suo natante avrebbe corso rischio di incagliarsi fra quelle centinaia d'isolotti i cui passaggi permettono il transito solo a navi di medio tonnellaggio. L'isola a elica deve quindi restare dinanzi a Maofuga per tutta la durata della sosta.

Se un certo numero di milliardesi sbarca in questo porto è però molto piccolo il numero di coloro che pensano a percorrere l'interno dell'isola. Pure, essa è molto bella e merita le lodi di cui l'ha colmata Elisée Reclus. Certo il calore è molto forte, l'aria tempestosa e alcune piogge di estrema violenza sono tali da calmare l'ardore degli escursionisti e bisogna proprio esser pazzi per mettersi a correre il paese. Eppure è ciò che fanno Frascolin, Pinchinat e Yvernès poiché è impossibile persuadere il violoncellista ad abbandonare la sua comoda camera del Casino prima di sera quando la brezza marina viene a rinfrescare le spiagge di Maofuga. Anche il sovrintendente si scusa di non poter accompagnare i tre fanatici.

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— Mi scioglierei per strada! — dice loro. — Ebbene, vi porteremmo indietro in bottiglia! — risponde Sua

Altezza. La bella prospettiva però non convince Calistus Munbar, che preferisce conservarsi allo stato solido.

Fortunatamente per i milliardesi già da tre settimane il sole risale verso l'emisfero settentrionale e Standard-Island saprà tenersi distante da quell'incandescente focolaio in modo da conservare una temperatura normale.

L'indomani dunque i tre amici abbandonano Maofuga sul far dell'alba e si dirigono verso la capitale dell'isola. Certo fa caldo, ma il calore è sopportabile all'ombra delle palme da cocco, dei leki-leki, dei tui-tui (che sono gli alberi delle candele) e dei coca, le cui bacche rosse e nere formano grappoli splendidi.

È quasi mezzogiorno quando la capitale appare loro in tutta la sua meravigliosa fioritura, espressione che a quest'epoca dell'anno non manca certo di giustezza. Il palazzo del re sembra emergere da un gigantesco mazzo di verzura. Vi è un contrasto grandissimo fra le capanne indigene tutte fiorite e le abitazioni dall'aspetto molto inglese, come, ad esempio, quella appartenente ai missionari protestanti. Ad ogni modo l'influenza di questi ministri wesleyani è stata considerevole e i tongani dopo averne massacrati un certo numero, hanno finito con l'adottare le loro credenze. Bisogna osservare però che essi non hanno interamente rinunciato alle pratiche della loro mitologia kanaca.

Per loro il gran sacerdote è superiore al re. Negli insegnamenti della loro bizzarra cosmogonia, i geni buoni e cattivi hanno una parte importante. Il cristianesimo non sradicherà tanto facilmente il tabu che è tenuto sempre in onore, e quando si tratta di infrangerlo, la cosa non si fa senza cerimonie espiatorie nelle quali a volte hanno luogo sacrifici umani…

Bisogna anche osservare {stando ai resoconti degli esploratori, in particolare Aylie Marin, nei suoi viaggi del 1882) che Nakualofa per il momento è ancora un centro semicivilizzato.

Frascolin, Pinchinat e Yvernès non hanno provato affatto il desiderio di andare a deporre i loro omaggi ai piedi di re Giorgio. E ciò non va preso in senso metaforico, poiché l'usanza consiste

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effettivamente nel baciare i piedi del sovrano. E i nostri parigini si felicitano della loro decisione quando sulla piazza di Nakualofa scorgono il «tui» (così viene chiamato Sua Maestà) vestito con una specie di camicia bianca e di una gonnellina in stoffa locale avvolta intorno alle reni. Quel bacio di piede sarebbe stato certo annoverato fra i più spiacevoli ricordi del loro viaggio.

— Si vede — osserva Pinchinat — che i corsi d'acqua non abbondano in questo paese!

Infatti a Tonga-Tabu, a Vavao, come nelle altre isole dell'arcipelago, l'idrografia non comprende né una laguna, né un ruscello. L'acqua piovana, raccolta nelle cisterne, è quanto la natura offre agli indigeni ed è perciò che i sudditi di Giorgio I mostrano di risparmiarla così come il loro sovrano.

Lo stesso giorno i tre viaggiatori molto affaticati tornano al porto di Maofuga e ritrovano con gran soddisfazione il loro appartamento al Casino. Dinanzi all'incredulo Sébastien Zorn essi affermano che la loro escursione è stata interessantissima. Ma i poetici incitamenti di Yvernès non riescono a far decidere il violoncellista a recarsi al villaggio di Mua il giorno seguente.

Questo viaggio si prevede molto lungo e molto faticoso. Ci se ne risparmierebbe facilmente la fatica utilizzando una delle lance elettriche che Cyrus Bikerstaff volentieri metterebbe a disposizione degli escursionisti. Ma anche esplorare l'interno di questo curioso paese ha la sua importanza, e i nostri viaggiatori partono a piedi per la baia di Mua, seguendo la costa corallina punteggiata di isolotti su cui sembra che si siano date appuntamento tutte le palme da cocco dell'Oceania.

L'arrivo a Mua si è potuto effettuare solo nel pomeriggio. Converrà dunque pernottarvi. Un posto è indicatissimo per accogliere dei francesi: la residenza dei missionari cattolici. Il padre superiore, ricevendo i suoi ospiti, mostra una gioia commovente, il che ricorda loro come sono stati ricevuti dai maristi di Samoa. Che bella serata, che conversazione interessante in cui si è parlato più della Francia che della colonia tongana! Questi frati non pensano senza rimpianto alla loro terra natale tanto lontana! Pure quei loro rimpianti non sono compensati abbastanza da tutto il bene che essi fanno in quelle isole?

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Non è una consolazione il vedersi rispettati da quel piccolo mondo che essi sono riusciti a sottrarre all'influenza dei ministri anglicani e convertire alla fede cattolica? Tale è stato anzi il loro successo che i metodisti hanno dovuto fondare una specie d'appendice al villaggio di Mua, per provvedere agli interessi del proselitismo wesleyano.

Con un certo orgoglio il padre superiore fa ammirare ai suoi ospiti gli stabili della missione, la casa costruita gratuitamente dagli indigeni di Mua e la graziosa chiesa dovuta agli architetti tongani, che certo non verrebbe sconfessata dai loro confratelli francesi.

Durante la serata i nostri amici passeggiano nei dintorni del villaggio, si recano fino alle antiche tombe di Tui-Tonga dove lo schisto ed il corallo sono mescolati con un'arte primitiva ed elegante. Visitano anche l'antica piantagione di mea, banani o fichi mostruosi dalle radici intrecciate come serpenti e la cui circonferenza supera a volte i sessanta metri. Frascolin vuole misurarli: poi, riportata la cifra sul suo taccuino, ne fa confermare l'esattezza dal padre superiore. Dopo di che, andate a mettere in dubbio l'esistenza di un simile fenomeno vegetale!

Buona cena e buona nottata nelle migliori camere della missione. Quindi, buona colazione, cordiali saluti dei missionari residenti a Mua e ritorno a Standard-Island al momento in cui le cinque suonano al campanile del Municipio. Questa volta i tre escursionisti non devono ricorrere alle esagerazioni metaforiche per assicurare a Sébastien Zorn che quel viaggio lascerà loro indimenticabili ricordi..

Il giorno seguente Cyrus Bikerstaff riceve una visita del capitano jarol, ed ecco a che proposito.

Un certo numero di malesi (un centinaio circa) erano stati reclutati alle Nuove Ebridi e condotti a Tonga-Tabu per alcuni lavori di dissodamento. Reclutamento indispensabile tenuto conto dell'indifferenza e diciamo anche della naturale pigrizia dei tongani i quali vivono alla giornata. Ora essendo quei lavori da poco terminati, quei malesi stavano aspettando l'occasione di ritornare al loro arcipelago. Il governatore vorrebbe permetter loro di prender passaggio su Standard-Island? Il capitano Sarol viene appunto a chiedere questo permesso. Fra cinque o sei settimane si arriverà a Erromango ed il trasporto di quegli indigeni non sarebbe un grosso

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aggravio per il bilancio municipale. Non sarebbe stato certo generoso rifiutare a quella brava gente un servizio tanto modesto. Perciò il governatore accorda l'autorizzazione, cosa che gli vale i ringraziamenti del capitano Sarol e anche quelli dei maristi di Tonga-Tabu da cui i malesi erano stati reclutati.

Chi avrebbe potuto dubitare che il capitano Sarol in quella maniera aumentava i suoi complici, che quei neo-ebridiani gli sarebbero venuti in aiuto a tempo opportuno e che invece non c'era da felicitarsi per averli incontrati a Tonga-Tabu ed accolti a Standard-Island?

Questo giorno è l'ultimo che i milliardesi devono passare nell'arcipelago e la partenza è fissata per il domani.

Nel pomeriggio si potrà assistere ad una di quelle feste metà civili e metà religiose a cui gli indigeni prendono parte con uno slancio straordinario.

Il programma di queste feste, che i tongani amano moltissimo, come del resto i loro confratelli delle Samoa e delle Marchesi, comprende parecchi tipi di danze varie. Poiché ciò interesserà certamente i nostri parigini, essi verso le tre si recano a terra.

Il sovrintendente li accompagna e questa volta anche Athanase Dorémus si unisce a loro. La presenza d'un professore di belle maniere non è forse indicata in una cerimonia di quel genere? Sébastien Zorn si è deciso a seguire i suoi compagni desideroso certo più di sentire la musica tongana piuttosto che di assistere ai coreografici divertimenti della popolazione.

Quando arrivarono sulla piazza la festa era nel suo pieno. Il liquore di kava estratto dalla radice seccata dell'albero del pepe, circola nelle tazze e cola nelle gole d'un centinaio di ballerini uomini e donne, giovani e fanciulle, le quali ultime portano con civetteria i loro lunghi capelli che devono conservare così fino al giorno del matrimonio.

L'orchestra è delle più semplici. Unici strumenti quel flauto nasale, chiamato fanghu-fanghu, e una dozzina di nafas che sono una specie di tamburi sui quali si batte a colpi raddoppiati e secondo un certo ritmo, come fa osservare Pinchinat.

Evidentemente il «correttissimo» Athanase Dorémus non può che

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provare lo sdegno più completo per danze che non appartengono alla categoria delle quadriglie, delle polche, delle mazurche e dei valzer della scuola francese. Perciò non può fare a meno di alzar le spalle contrariamente a quanto pensa Yvernès a cui quelle danze sembrano piene di una vera originalità.

Dapprima si eseguono delle danze sedute che sono composte soltanto da atteggiamenti, da gesti mimici, da oscillazioni del corpo su un ritmo lento e triste di strano effetto.

A queste oscillazioni seguono le danze in piedi in cui tongani e tongane si abbandonano a tutta la foga del loro temperamento talora eseguendo passi graziosi, talora riproducendo nelle loro pose le furie del guerriero sul sentiero di guerra.

I nostri quattro amici guardano quello spettacolo da artisti, domandandosi fin dove arriverebbero quegli indigeni se fossero sovreccitati dalla musica entusiastica dei balli parigini.

E allora Pinchinat (e l'idea è proprio tipicamente sua) propone ai suoi compagni di mandare a prendere i loro strumenti al Casino e di offrire a tutti quei ballerini i più arrabbiati sei-otto e i più formidabili due-quattro del repertorio di Lecoq, di Audran e d'Offenbach.

La proposta viene accolta e Calistus Munbar non dubita che l'effetto ne sarà prodigioso.

Una mezz'ora dopo vengono portati gli strumenti e la danza incomincia.

Gli indigeni sono molto sorpresi ma anche molto contenti di sentire quel violoncello e quei tre violini suonati a pieno ritmo, da cui esce una musica ultra-francese.

Credete pure che non sono insensibili a questa musica, quei bravi indigeni, e rimane provato fino all'evidenza che le mosse caratteristiche dei balli musette sono istintive e si imparano senza maestro, checché ne possa pensare Athanase Dorémus. Tongani e tongane rivaleggiano nei piegamenti, negli ancheggiamenti, nei giri quando il quartetto attacca i ritmi indiavolati d'Orfeo all'Inferno. Anche il sovrintendente non può più contenersi ed eccolo abbandonarsi ad una quadriglia travolgente dovuta all'ispirazione del solo cavaliere mentre il professore di belle maniere si nasconde la faccia davanti a simili orrori. Al colmo di quella cacofonia a cui si

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mescolano i flauti nasali e i tamburi sonori, la furia dei ballerini raggiunge il massimo dell'intensità e non si sa dove sarebbero arrivati se non fosse sopravvenuto un incidente che pone fine a questa infernale coreografia.

Un tongano, un giovanotto grande e grosso, meravigliato dei suoni che il violoncellista trae dal suo strumento si è precipitato sul violoncello, glielo strappa dalle mani e fugge gridando:.

— Tabu!… Tabu!… Quel violoncello è «tabu»! Non si può più toccarlo senza

commettere sacrilegio! I grandi sacerdoti, il re Giorgio, i dignitari della Corte e tutta la popolazione dell'isola si solleverebbero qualora venisse violato quel sacro costume…

Sébastien Zorn però non la pensa così. Egli non vuol perdere quel capolavoro di Gand e Benardel. Così, eccolo lanciarsi sulle tracce del ladro. Immediatamente i suoi compagni si precipitano dietro di lui. Gli indigeni si mettono in mezzo: un fuggi-fuggi generale.

Ma il tongano fila con una tale rapidità che bisogna rinunciare a raggiungerlo. In pochi minuti è lontano… lontanissimo!

Sébastien Zorn e gli altri, sfiancati, tornano da Calistus Munbar, a sua volta rimasto senza fiato. Dire che il violoncellista è in uno stato di furore indescrivibile non sarebbe sufficiente. Ha la schiuma alle labbra, soffoca! Tabu o no, devono rendergli il suo strumento! Dovesse Standard-Island dichiarare guerra a Tonga-Tabu (e non si sono viste guerre scoppiare per motivi meno seri?) il violoncello deve essere restituito al suo proprietario.

Fortunatamente le autorità dell'isola sono intervenute nella faccenda. Un'ora dopo si è potuto arrestare l'indigeno e obbligarlo a riportare lo strumento. Ma quella restituzione non avviene senza difficoltà e non è stato lontano il momento in cui l'ultimatum del governatore Cyrus Bikerstaff era, per una questione di tabu, sul punto di sollevare le passioni religiose dell'intero arcipelago.

Del resto la rottura del tabu ha dovuto aver luogo con tutta regolarità e conformemente alle cerimonie religiose in uso in tali circostanze. Secondo l'usanza, viene sgozzato un considerevole numero di maiali, che sono poi cotti al forno in un buco riempito di pietre roventi, di patate dolci, di taro e di frutti del macoré, e poi

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mangiati con estrema soddisfazione degli stomaci tongani. Quanto a Sébastien Zorn, non dovette far altro che riportare al

diapason il suo violoncello, scordatosi alquanto in quella corsa, dopo aver constatato che esso non aveva perduto nessuna delle sue qualità in seguito agli incantesimi indigeni.

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CAPITOLO VI

UNA COLLEZIONE DI BELVE

LASCIANDO Tonga-Tabu, Standard-Island mette la prua a nord-ovest verso l'arcipelago delle Figi. Essa comincia ad allontanarsi dal tropico seguendo il sole che risale verso l'equatore. Non c'è necessità di affrettarsi. Duecento leghe solamente la separano dal gruppo delle Figi e il commodoro Simcoë si mantiene a una velocità da passeggiata.

La brezza è variabile; ma che importa la brezza per questo poderoso natante? Il Gioiello del Pacifico non si preoccupa certo dei violenti uragani che scoppiano su quel confine del 23° parallelo. L'elettricità che satura l'atmosfera è attratta dai numerosi parafulmini di cui i suoi palazzi e le sue case sono muniti. Le piogge poi, anche torrenziali, rovesciate dalle nuvole temporalesche sono le benvenute. Il parco e la campagna verdeggiano sotto queste docce, che del resto sono rare. L'esistenza dunque procede nelle migliori condizioni fra feste, concerti e ricevimenti. Le relazioni fra una sezione e l'altra sono diventate frequenti ora e pare che nulla ormai possa minacciare la sicurezza dell'avvenire.

Cyrus Bikerstaff non deve pentirsi per avere accordato il passaggio ai neo-ebridiani imbarcati dietro richiesta del capitano Sarol. Quegli indigeni cercano di rendersi utili. Si occupano dei lavori dei campi come già hanno fatto nella campagna tongana. Sarol e i suoi malesi non li lasciano mai durante la giornata e venuta la sera tornano ai due porti dove la Municipalità li ha sistemati. Nessun lamento viene elevato contro di loro. Forse questa può essere un'occasione per cercare di convertire quella brava gente. Essi non hanno fino allora adottato le credenze del cristianesimo alle quali una gran parte della popolazione delle Nuove Ebridi si mostra refrattaria, nonostante gli sforzi dei missionari anglicani e cattolici. Il clero di

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Standard-Island vi ha si pensato, ma il governatore non ha voluto autorizzare nessun tentativo in proposito.

Questi neo-ebridiani la cui età va dai venti ai quaranta anni sono di media statura. Di colore più scuro che quello dei malesi, essi presentano un tipo meno bello dei nativi delle Tonga o delle Samoa, ma sembrano dotati di una pertinacia estrema. Essi conservano preziosamente il poco denaro guadagnato al servizio dei maristi di Tonga-Tabu e non pensano affatto a spenderlo in bevande alcoliche che del resto verrebbero loro vendute con grande prudenza. Anzi, spesati di tutto, non sono mai stati così felici nel loro selvaggio arcipelago.

Eppure, mercé il capitano Sarol, questi indigeni uniti ai loro compatrioti delle Nuove Ebridi si renderanno complici dell'opera di distruzione la cui ora si avvicina. Allora riapparirà tutta la loro nativa ferocia. Non sono forse i discendenti di quei massacratori che hanno reso così spaventosa la fama delle popolazioni di questa parte del Pacifico?

I milliardesi vivono frattanto nella convinzione che niente potrebbe compromettere un'esistenza dove tutto è previsto tanto logicamente e tutto organizzato con tanta saggezza. Il quartetto ottiene sempre il medesimo successo. Nessuno si stanca di sentirlo e di applaudirlo. Tutta la produzione di Mozart, di Beethoven, di Haydn e di Mendelssohn verrà eseguita a poco per volta. Senza parlare dei concerti regolari del Casino, la signora Coverley dà delle serate musicali che sono affollatissime. Il re e la regina di Malécarlie le hanno più volte onorate della loro presenza. Se i Tankerdon non hanno ancora restituito la visita al palazzo della Quindicesima Avenue, ad ogni modo Walter è uno degli assidui a quei concerti. Impossibile che il suo matrimonio con la signorina Dy un giorno o l'altro non si compia… Se ne parla apertamente nei salotti drittesi e sinistresi… Si designano anche i testimoni dei futuri sposi… Manca solo l'autorizzazione dei capifamiglia… Non capiterà dunque una qualche circostanza che obblighi Jem Tankerdon e Nat Coverley a pronunciarsi?…

Questa circostanza così impazientemente attesa non tarda a verificarsi. Ma a prezzo di quali pericoli e di quali minacce per la

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sicurezza di Standard-Island! Nel pomeriggio del 16 gennaio quasi al centro di quella parte di

mare che separa le Tonga dalle Figi viene segnalata una nave a sud-est. Pare che faccia rotta su Tribord-Harbour. Dovrebbe essere un piroscafo dalle sette alle ottocento tonnellate. Nessuna bandiera sventola al suo picco né viene issata quando la nave si trova ad appena un miglio di distanza.

A quale nazione appartiene questo piroscafo? Le vedette dell'osservatorio non riescono a riconoscerlo dalla costruzione. Però, non avendo onorato nemmeno d'un saluto la detestata Standard-Island, è possibile che si tratti di una nave inglese.

Del resto essa non cerca di entrare in uno dei due porti. Pare voler passare al largo e certo ben presto sarà fuori di vista.

Cala la notte, buia e senza luna. Il cielo è coperto da quelle nuvole alte simili a stoffe pelose non brillanti e che assorbono tutta la luce. Niente vento. Calma assoluta nell'acqua e nell'aria. Un profondo silenzio in mezzo a quelle fitte tenebre.

Verso le undici l'atmosfera cambia. Il tempo diviene burrascoso. Lo spazio è solcato da lampi fin oltre la mezzanotte e il brontolio del tuono continua senza che cada una sola goccia di pioggia.

Forse quel brontolio dovuto a qualche lontano temporale ha impedito ai doganieri di guardia alla batteria di Poppa di sentire strani fischi e urla singolari venuti a turbare il silenzio di quella parte del litorale. Non sono certo né fischi di lampi né rombi di tuono. Quel fenomeno, qualunque ne sia stata la causa, si è verificato solo fra le due e le tre del mattino.

Il giorno seguente, una notizia preoccupante si diffonde nei quartieri periferici della città. Gli addetti alla sorveglianza delle mandrie che pascolano nella campagna, presi da improvviso panico cominciano a disperdersi da tutte le parti, gli uni in direzione dei porti, gli altri verso la cinta di Milliard-City.

Avvenimento di una gravità molto maggiore, una cinquantina di montoni sono stati semidivorati durante la notte e i loro resti sanguinolenti giacciono nei dintorni della batteria di Poppa. Alcune dozzine di vacche, di cerve, di daini, nei recinti della campagna e del parco, e così una ventina di cavalli hanno seguito la stessa sorte…

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Nessun dubbio che quegli animali siano stati attaccati da fiere… Ma quali fiere?… Leoni, tigri, pantere, iene?… Ma come è possibile?… Quando mai anche uno solo di quei terribili carnivori è mai comparso su Standard-Island?… È possibile forse che quegli animali vi siano arrivati via mare?… E infine il Gioiello del Pacifico si trova forse nelle vicinanze dell'India, della Malesia la cui fauna possiede quella terribile varietà di bestie feroci?…

No! Standard-Island non è più lontana dalla foce del Rio delle Amazzoni che dal delta del Nilo: eppure verso le sette del mattino due donne raccolte nel giardino del palazzo del Municipio, sono state inseguite da un enorme alligatore il quale, ritornato presto sulla riva del Serpentine-river, è sparito sott'acqua. Nello stesso tempo l'ondeggiare delle erbe lungo le rive indica che altri sauriani vi si stavano dibattendo in quel momento.

Si giudichi l'effetto prodotto da quelle notizie incredibili! Un'ora dopo le vedette constatano che diverse coppie di tigri, di leoni e di pantere scorrono per la campagna. Parecchi montoni in fuga verso la batteria dello Sperone sono strangolati da due tigri di grandi dimensioni. Da ogni parte gli animali domestici accorrono spaventati dalle urla delle fiere. Lo stesso avviene per le persone che erano state chiamate dalle loro occupazioni nei campi fin dal mattino. Il primo tram diretto a Babord-Harbour ha appena il tempo di ritornare nella sua rimessa. Tre leoni lo hanno inseguito e solo per un centinaio di passi non sono riusciti a raggiungerlo.

Non c'è più nessun dubbio: Standard-Island è stata invasa durante la notte da una banda di bestie feroci ed è sul punto di esserlo anche Milliard-City se non si prendono subito serie precauzioni.

È Athanase Dorémus a informare i nostri artisti di quella situazione. Il professore di belle maniere, uscito di casa più presto del solito, non ha osato tornare indietro e si è rifugiato al Casino donde nessuna potenza umana potrà mai strapparlo.

— Suvvia!… I vostri leoni e le vostre tigri sono frottole — esclama Pinchinat — e i vostri alligatori altrettanti pesci d'aprile!

Eppure, ci si deve arrendere all'evidenza. Perciò le autorità danno ordine di chiudere i cancelli della città, di sbarrare l'entrata dei due porti e dei posti doganali del litorale. Nello stesso tempo viene

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sospeso il servizio dei tram ed è proibito avventurarsi nel parco e per la campagna finché non si sarà scongiurato il pericolo di quest'inesplicabile invasione.

Al momento in cui gli agenti chiudevano l'estremità della Prima Avenue, dalla parte della piazza dell'osservatorio, a una cinquantina di passi di distanza, ecco balzare una coppia di tigri dagli occhi scintillanti e dalle fauci insanguinate. Ancora pochi secondi e quei feroci animali avrebbero passato i cancelli.

Dalla parte del Municipio vengono prese le stesse precauzioni e Milliard-City non deve così temere un'aggressione.

Che avvenimento! Quanto materiale per articoli, per la cronaca, per le notizie dall'interno per lo «Starboard-Chronicle», per il «New-Herald» e per gli altri giornali di Standard-Island!

Veramente il terrore è al colmo. Palazzi e case vengono barricati. I negozi del quartiere commerciale hanno chiuso le loro mostre. Non una sola porta è rimasta aperta. Alle finestre dei piani superiori si affacciano teste spaventate. Per le strade si vedono solo le squadre della milizia agli ordini del colonnello Stewart e qualche distaccamento di polizia diretto dai suoi ufficiali.

Cyrus Bikerstaff coi suoi aiutanti Barthélemy Rudge e Hubley Harcourt accorsi immediatamente stanno in permanenza nella sala dell'amministrazione. Per mezzo degli apparecchi telefonici dei due porti, delle batterie e dei posti del litorale le autorità ricevono notizie sempre più inquietanti. Ci sono bestie feroci dappertutto… a centinaia almeno, dicevano i telegrammi a cui la paura ha fatto aggiungere forse uno zero di più… Ciò che è sicuro è che un discreto numero di leoni, di tigri, di pantere e di caimani corre per la campagna.

Che cosa è avvenuto dunque?… Forse un serraglio di cui si siano aperte le gabbie è venuto a rifugiarsi su Standard-Island?… Ma da dove sarebbe venuto questo serraglio?… Quale nave lo trasportava?… Forse il piroscafo intravisto il giorno prima?… Se è così, che fine ha fatto quel piroscafo?… Si è forse accostato all'isola durante la notte?… E forse quelle bestie, fuggite a nuoto, hanno potuto salire sul litorale nella parte bassa che serve di scolo alle acque del Serpentine-river?… E il bastimento è forse andato a

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picco?… Pure, fin dove si può spingere la vista delle vedette, fin dove può arrivare il cannocchiale del commodoro Simcoë, nessun relitto galleggia alla superficie delle acque e lo spostamento di Standard-Island è stato quasi nullo dal giorno prima!… Inoltre se quella nave è naufragata perché il suo equipaggio non ha cercato rifugio su Standard-Island come hanno fatto tutti quei carnivori?…

Il telefono del Municipio interroga su questa faccenda i diversi posti di guardia, ma questi rispondono che non vi è stata né collisione né naufragio. Se ne sarebbero accorti certamente anche nella più profonda oscurità. Di tutte le ipotesi decisamente quella è la meno ammissibile.

— Mistero! Mistero!… — non cessa di ripetere Yvernès. Egli ed i suoi compagni sono riuniti al Casino dove Athanase

Dorémus sta per dividere con loro la colazione del mattino, la quale, se occorre, sarà seguita da quella del mezzogiorno e dal pranzo delle sei.

— In fede mia! — dice Pinchinat mordendo il suo biscotto al cioccolato che va intingendo nella tazza fumante — in fede mia do la lingua ai cani e anche alle fiere… Qualunque cosa accada, caro signor Dorémus, mangiamo in attesa d'essere mangiati…

— Chissà?… — replica Sébastien Zorn. — E che sia da parte dei leoni, delle tigri o dei cannibali…

— Io preferirei i cannibali! — risponde Sua Altezza. — A ciascuno il suo gusto, non è vero?…

L'instancabile burlone ride, ma non ride il professore di belle maniere, e tutta Milliard-City in preda allo spavento non ha nessuna ragione di stare in allegria.

Fin dalle otto del mattino il consiglio dei notabili, convocato in Municipio, non ha esitato a raggiungere il governatore. Non c'è più nessuno per le vie se non le squadre di soldati e di agenti in cammino verso i posti loro assegnati.

Il consiglio presieduto da Cyrus Bikerstaff, comincia subito a deliberare:

— Signori — dice il governatore — conoscete la causa del panico giustificatissimo che ha invaso la popolazione di Standard-Island. Questa notte la nostra isola è stata assalita da una banda di carnivori

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e di sauriani. La cosa più urgente ora è di procedere alla distruzione di questa banda e non dubitate che vi riusciremo. Ma i nostri amministrati dovranno adeguarsi alle misure che abbiamo dovuto prendere. Se la circolazione è ancora autorizzata nell'interno di Milliard-City dove sono state chiuse le porte, essa non può esserlo attraverso il parco e la campagna. Fino a nuovo ordine dunque, le comunicazioni fra la città, i due porti, le batterie di Poppa e dello Sperone, saranno proibite.

Approvate queste misure, il consiglio passa a discutere i mezzi per distruggere quegli animali feroci che infestano Standard-Island.

— I nostri soldati e i nostri marinai — riprende il governatore — organizzeranno delle battute nei diversi punti dell'isola. Quei di noi che sono stati cacciatori sono pregati di unirsi a loro, per dirigere le loro mosse, e per cercare di prevenire per quanto è possibile una qualsiasi catastrofe…

— Una volta — fa Jem Tankerdon — andavo a caccia in India e in America e non sono certo alle prime armi. Sono pronto e mio figlio maggiore mi accompagnerà…

— Ringraziamo l'onorevole signor Jem Tankerdon — risponde Cyrus Bikerstaff — e per parte mia lo imiterò. Contemporaneamente ai soldati del colonnello Stewart, una squadra di marinai agirà agli ordini del commodoro Simcoë e le loro file, signori, sono aperte a tutti!

Nat Coverley fa una proposta analoga a quella di Jem Tankerdon e finalmente tutti quei notabili a cui l'età lo permette si affrettano ad offrire il loro aiuto. Le armi a tiro rapido e a lunga portata non mancano davvero a Milliard-City. Non c'è dunque alcun dubbio che, grazie al coraggio e alla dedizione di ciascuno, Standard-Island sarà ben presto sbarazzata da quella temibile invasione. Ma, come ben ripete Cyrus Bikerstaff, l'importante è che non si debba lamentare la morte di nessuno.

— Quanto alle fiere di cui non possiamo calcolare il numero — egli aggiunge — è necessario che siano distrutte in breve tempo. Lasciare loro il tempo di acclimatarsi e di moltiplicarsi sarebbe compromettere la sicurezza dell'isola.

— È probabile — fa osservare uno dei notabili — che il loro

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numero non sia considerevole… — Infatti esse non sono potute venire che da una nave che

trasportava un serraglio — risponde il governatore, — una nave partita dall'India o dalle Filippine o dalle isole della Sonda per conto di qualche casa di Amburgo dove si fa precisamente il commercio di questi animali.

Là infatti si tiene il principale mercato di fiere, il cui prezzo corrente arriva a 12.000 franchi per gli elefanti, a 27.000 franchi per le giraffe, a 25.000 per gli ippopotami, a 5.000 per i leoni, a 4.000 per le tigri, a 2.000 per i giaguari, prezzi notevoli, come si vede, e che tendono ad aumentare mentre ribassano quelli dei serpenti.

E a questo proposito, poiché un membro del Consiglio ha fatto osservare che forse il serraglio di cui si trattava poteva anche possedere qualche rappresentante della classe degli ofidi, il governatore risponde che nessun rettile è stato ancora segnalato. D'altronde se per la foce del Serpentine-river hanno potuto introdursi a nuoto leoni, tigri e alligatori, ciò non sarebbe stato possibile per dei serpenti.

Ecco quanto fa osservare Cyrus Bikerstaff. — Penso — egli dice — che non dobbiamo temere la presenza di

boa, serpenti corallo, serpenti a sonagli, crotali, naja, vipere e altri campioni della specie. Ciononostante faremo tutto ciò che sarà necessario per rassicurare in proposito la popolazione. Ma non perdiamo tempo, signori, e prima di metterci a cercare quale sia stata la causa dell'invasione di questi animali feroci pensiamo a distruggerli. Ora ci sono, ma non vi debbono rimanere.

Si converrà che non si può parlar meglio né più sensatamente. Il consiglio dei notabili, stava per sciogliersi per prender parte alla battuta di caccia con l'aiuto dei più abili tiratori di Standard-Island, quando Hubley Harcourt domanda la parola per fare un'osservazione.

Gli viene subito concessa ed ecco quanto l'onorevole aiutante ritiene di dover dire al consiglio:

— Signori notabili, io non voglio minimamente ritardare le operazioni decise. La cosa più urgente è di iniziare la battuta. Permettetemi però di comunicarvi una mia idea. Forse essa presenterà una spiegazione molto plausibile sulla venuta di queste

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bestie a Standard-Island. Hubley Harcourt, di antica famiglia francese delle Antille,

americanizzata durante il suo soggiorno nella Louisiana, gode di grande considerazione. È una persona molto seria e molto riservata, che non s'impegna affatto alla leggera, molto parco di parole, e si attribuisce gran credito alle sue opinioni. Perciò il governatore lo prega di spiegarsi e Harcourt lo fa in poche frasi di una logica perfetta.

— Signori notabili, nel pomeriggio di ieri è stata segnalata in vista della nostra isola una nave. Questa nave non ha fatto sapere la propria nazionalità senza dubbio perché voleva rimanere sconosciuta. Ora a mio parere è indubbio che essa trasportasse questo carico di carnivori…

— Ciò è evidentissimo — risponde Nat Coverley. — Ebbene, signori notabili, se qualcuno di voi crede che

l'invasione di Standard-Island sia dovuta a un accidente di mare… io… non lo credo affatto.

— Ma allora — esclama Jem Tankerdon, che crede di veder chiaro attraverso le parole di Hubley Harcourt — sarebbe volontariamente… a bella posta… con premeditazione?…

— Oh! — allibisce il consiglio. — Ne sono convinto — afferma l'aiutante con voce sicura — e

questa macchinazione non può essere che l'opera del nostro eterno nemico, di quel John Bull per il quale tutti i mezzi sono leciti contro Standard-Island…

— Oh! — esclama nuovamente il consiglio. — Non avendo il diritto di esigere la distruzione della nostra isola,

ha voluto renderla inabitabile. Ed ecco questa collezione di leoni, di giaguari, di tigri, di pantere e di coccodrilli che il piroscafo ha gettato durante la notte sulla nostra proprietà.

— Oh! — fa per la terza volta il consiglio. Ma da dubitativa che era sul principio, quell'esclamazione è

diventata affermativa. Sì! Deve trattarsi di una vendetta di quegli inglesi accaniti che non indietreggiano dinanzi a nulla quando si tratta di mantenere la loro sovranità marittima! Sì! Quella nave è stata noleggiata per quell'opera criminosa: poi, commesso l'attentato,

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è scomparsa! Sì! Il governo del Regno Unito non ha esitato a sacrificare qualche migliaio di sterline per rendere impossibile ai suoi abitanti il soggiorno di Standard-Island.

E Hubley Harcourt aggiunge: — Se sono stato portato a formulare questa osservazione, se i

sospetti che avevo concepiti, signori, si sono cambiati in certezza è perché la mia memoria mi ha ricordato un fatto identico, una macchinazione perpetrata in circostanze pressappoco analoghe alla nostra e di cui gli inglesi non hanno mai potuto lavarsi.

— E non è certo l'acqua che manca loro! — osserva uno dei notabili.

— L'acqua salata non lava! — risponde un altro. — Come il mare non avrebbe potuto far scomparire la macchia di

sangue dalla mano di Lady Macbeth! — esclama un terzo. E si noti che quei degni consiglieri rispondono così ancor prima

che Hubley Harcourt li abbia informati dell'avvenimento al quale ha appena fatto allusione.

— Signori notabili, — egli riprende — quando l'Inghilterra dovette abbandonare le Antille francesi alla Francia volle lasciarvi una traccia del suo passaggio, e che traccia! Fino ad allora non c'era stato né alla Guadalupa né alla Martinica, un solo serpente, ma dopo la partenza della colonia anglosassone la Martinica ne fu infestata. Era la vendetta di John Bull! Prima di partire aveva lanciato centinaia di rettili sul territorio che gli sfuggiva e da quell'epoca quelle bestie velenose si sono moltiplicate all'infinito con gran pericolo dei coloni francesi!

È certo che quest'accusa contro l'Inghilterra non mai smentita rende abbastanza plausibile la spiegazione data da Hubley Harcourt. Ma si può credere che John Bull abbia voluto rendere inabitabile l'isola a elica come aveva tentato di fare per una delle Antille francesi?… Nessuno di questi due fatti ha potuto essere provato finora. Ciononostante per quanto riguarda Standard-Island la popolazione milliardese teneva ciò per più che sicuro.

— Ebbene — esclama Jem Tankerdon — se i francesi non sono riusciti a liberare la Martinica dalle vipere che gli inglesi vi hanno lasciato al loro posto…

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Un uragano di applausi accoglie questo paragone del focoso personaggio.

— …i milliardesi, da parte loro, sapranno sbarazzare Standard-Island dalle fiere che l'Inghilterra vi ha lanciato!

Un nuovo scoppio d'applausi si verifica, che cessa solo per ricominciare più intenso, quando Jem Tankerdon aggiunge:

— Ai nostri posti, signori, e non dimentichiamo che correndo sulle tracce di questi leoni, di questi giaguari, di queste tigri e di questi caimani, è agli inglesi stessi che diamo la caccia!

E il consiglio si scioglie. Un'ora dopo, quando i principali giornali pubblicano il resoconto

stenografico di questa seduta, quando si viene a sapere quali sono le mani nemiche che hanno aperto le gabbie di quel serraglio galleggiante, quando si sa a chi è dovuta quell'invasione di legioni intere di bestie feroci, un grido di indignazione si leva da tutti i petti e l'Inghilterra viene maledetta nei suoi figli e nei suoi nipoti in attesa che il suo nome detestato sparisca finalmente dai ricordi del mondo.

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CAPITOLO VII

BATTUTE DI CACCIA

Si TRATTA di procedere alla distruzione totale degli animali che hanno invaso Standard-Island. Se una sola coppia di quelle terribili bestie, sauriani o carnivori, rimanesse in vita, sarebbe finita ogni futura sicurezza. Quella coppia si moltiplicherà e altrettanto varrebbe andare a vivere nelle foreste delle Indie o dell'Africa. Aver fabbricato un natante in lamina d'acciaio, averlo fatto navigare sui larghi spazi del Pacifico senza che sia mai andato a urtare contro le coste o i più difficili arcipelaghi, essersi imposte tutte le misure perché esso sia al riparo da tutte le epidemie come da tutte le invasioni e ad un tratto in una notte… In verità la Standard-Island Company non dovrà esitare a citare il Regno Unito davanti a un tribunale internazionale reclamando danni formidabili! Forse che il diritto delle genti non è stato violato in quella circostanza? Sì! Lo è e qualora se ne fosse fatta la prova…

Ma come ha deciso il consiglio dei notabili bisogna cominciare da dove l'urgenza è maggiore.

E prima di tutto, contrariamente a quanto alcune famiglie hanno chiesto sotto il dominio dello spavento, non è il caso che la popolazione trovi rifugio a bordo dei piroscafi dei due porti e fugga da Standard-Island. D'altronde quelle navi non basterebbero nemmeno.

No! si darà la caccia a quégli animali d'importazione inglese, li si distruggerà e il Gioiello del Pacifico non tarderà a riacquistare la sua sicurezza di un tempo.

I milliardesi si mettono all'opera senza perdere un minuto. Alcuni non hanno esitato a proporre mezzi estremi, tra gli altri introdurre il mare sull'isola a elica, far divampare un incendio fra i boschetti del parco, le pianure e i campi in modo da annegare o da bruciare tutte

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quelle fiere. Ma in ogni modo il mezzo sarebbe inefficace per gli anfibi: meglio quindi procedere a battute di caccia saggiamente organizzate.

E così si fa. A questo punto, dobbiamo osservare che il capitano Sarol, i suoi

malesi e i neo-ebridiani hanno offerto i loro servigi che il governatore accetta con sollecitudine. Quella brava gente ha voluto dimostrare riconoscenza per quanto è stato fatto per loro. In sostanza il capitano Sarol teme soprattutto che quell'incidente interrompa la crociera, che i milliardesi e le loro famiglie vogliano abbandonare Standard-Island e che perciò obblighino l'amministrazione a ritornare direttamente a Madeleine-bay il che manderebbe in fumo i suoi progetti.

Il quartetto si mostra all'altezza della situazione e degno della sua nazione. Non sarà mai detto che quattro francesi non pagheranno di persona qualora ci siano pericoli da affrontare. Si mettono sotto la direzione di Calistus Munbar il quale, a sentirlo, ha veduto cose molto peggiori di quelle e alza le spalle in segno di disprezzo per quei leoni, quelle tigri, quelle pantere e quegli altri inoffensivi animali! Forse il nipote di Barnum è stato domatore di belve o per lo meno direttore di serragli ambulanti?…

Le battute di caccia cominciano quella stessa mattina e fin dall'inizio si rivelano fruttuose.

Durante questa prima giornata due coccodrilli hanno avuto l'imprudenza di avventurarsi fuori del Serpentine-river e si sa come i sauriani, ferocissimi in acqua, lo sono molto meno in terra per la difficoltà che essi hanno a voltarsi. Il capitano Sarol e i suoi malesi li attaccano coraggiosamente e non senza che uno di essi rimanga ferito, ne sbarazzano il parco.

Frattanto ne sono segnalati ancora una decina, che senza dubbio costituiscono l'intera banda. Sono animali di grosse dimensioni, dai quattro ai cinque metri e quindi pericolosissimi. Poiché si sono rifugiati sotto le acque del fiume, alcuni marinai si tengono pronti a spedire loro qualcuno di quei proiettili esplosivi che riescono a spezzare i gusci più solidi.

D'altra parte le squadre dei cacciatori si spargono per la

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campagna. Uno dei leoni viene ucciso da Jem Tankerdon il quale ha avuto ragione a dire di non essere al suo primo colpo, e ha ritrovato il suo sangue freddo, la sua antica abilità di cacciatore del Far-West. La bestia è meravigliosa, di quelle che possono valere cinque o seimila franchi. Un proiettile d'acciaio gli ha attraversato il cuore al momento in cui stava per spiccare un salto sul gruppo del quartetto e Pinchinat afferma di «avere inteso il sibilo della sua coda al passaggio».

Nel pomeriggio, durante un attacco nel corso del quale uno dei soldati viene raggiunto da un morso a una spalla, il governatore abbatte una splendida leonessa. Se John Bull ha fatto conto che quei due formidabili campioni dovessero far razza, il suo desiderio è stato bloccato sul nascere.

La giornata non termina senza che una coppia di tigri cada sotto i colpi del commodoro Simcoë alla testa di un distaccamento di marinai, uno dei quali gravemente ferito da un colpo d'artiglio, deve essere trasportato a Tribord-Harbour. Stando alle informazioni raccolte pare che questi felini siano i più numerosi fra i carnivori sbarcati sull'isola a elica.

Al cadere della notte le fiere, dopo essere state risolutamente inseguite, si ritirano sotto i boschetti dalla parte della batteria dello Sperone da dove ci si propone di snidarle all'inizio del giorno seguente.

Dalla sera al mattino urla spaventose non cessano di spargere il terrore fra le donne e i bambini di Milliard-City. Il loro spavento non è certo prossimo a calmarsi, se pure si calmerà mai. Infatti come si può esser sicuri che Standard-Island l'ha finita con quell'avanguardia dell'esercito britannico? Perciò le recriminazioni contro la perfida Albione vengono snocciolate in un rosario interminabile in tutte le classi di Milliard-City.

Sul far del giorno la caccia viene ripresa come il giorno precedente. Dietro ordine del governatore, conformemente al parere del commodoro Simcoë, il colonnello Stewart si dispone a utilizzare l'artiglieria contro il grosso dei carnivori, in modo da farli uscire dai loro ripari. Due cannoni di Tribord-Harbour, di quelli a funzionamento tipo Hotchkiss che lanciano cioè proiettili a mitraglia,

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vengono piazzati dalla parte della batteria dello Sperone. In quel punto i boschetti di bagolari sono attraversati dalla linea

tranviaria che va verso l'osservatorio. Un certo numero di fiere ha passato la notte sotto quegli alberi: e alcune teste di leone e di tigre appaiono fra i rami bassi di essi. I marinai, i soldati e i cacciatori diretti da Jem e da Walter Tankerdon, Nat Coverley e Hubley Harcourt, prendono posizione sulla sinistra di questi boschetti, aspettando l'uscita delle belve che la mitraglia non avrà uccise sul colpo.

Al segnale del commodoro Simcoë i due cannoni fanno fuoco simultaneamente. Urla formidabili rispondono a quei colpi. Non c'è dubbio che parecchi carnivori siano stati colpiti. Gli altri, una ventina, prendono lo slancio e, passando vicino al quartetto, sono salutati da una salva che ne colpisce due mortalmente. A questo punto una tigre enorme piomba sul gruppo e Frascolin, spinto dal terribile urto, va a cadere a dieci passi di distanza.

I suoi compagni si precipitano a soccorrerlo. Egli viene rialzato quasi svenuto, ma ben presto rientra in sé. È stato solo uno choc… ma che choc!…

Frattanto si cerca di far sloggiare i caimani dalle acque del Serpentine-river: ma come si potrà mai essere certi di trovarsi sbarazzati da quei voraci animali? Fortunatamente l'aiutante Hubley Harcourt ha l'idea di far alzare le chiuse del fiume e così è possibile attaccare i sauriani con successo e in migliori condizioni.

La sola vittima da lamentare è un magnifico cane, appartenente a Nat Coverley. Il povero animale, afferrato da un alligatore, viene tagliato in due con un colpo di mascella. Ma una dozzina di quei sauriani sono caduti sotto i colpi dei soldati e si può sperare che Standard-Island sia definitivamente liberata da quegli anfibi spaventosi.

Anche per il resto la giornata è stata buona. Sono stati abbattuti sei leoni, otto tigri, cinque giaguari, nove pantere, fra maschi e femmine.

Venuta la sera il quartetto, compreso Frascolin, rimessosi dal colpo ricevuto, è andato a sedersi intorno a una tavola al ristorante del Casino.

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— Credo che siamo alla fine delle nostre pene — dice Yvernès. — A meno che quel piroscafo, seconda arca di Noè — risponde

Pinchinat — non avesse a bordo tutti gli animali della creazione… Ciò non era probabile e Athanase Dorémus si è sentito abbastanza

rinfrancato da azzardarsi a ritornare alla sua abitazione sulla Venticinquesima Avenue. Là, barricato in casa, trova la sua vecchia domestica disperata al pensiero che il suo padrone fosse stato ridotto a un mucchio di carni informi!

Quest'altra notte è stata abbastanza tranquilla. Si sono udite solo alcune urla lontane dalla parte di Babord-Harbour. Si può credere che domani, effettuando una battuta generale attraverso la campagna, la distruzione di quelle fiere sarà completa.

I gruppi di cacciatori tornano a riunirsi fino dall'alba. Logicamente da ventiquattr'ore Standard-Island è rimasta ferma, poiché anche tutto il personale di macchina è intento all'opera comune.

Le squadre, formate ciascuna da una ventina d'uomini armati di fucili a tiro rapido, hanno ordine di percorrere tutta l'isola. Il colonnello Stewart non ha ritenuto utile, ora che le belve sono disperse, usare contro di loro i cannoni. Tredici animali braccati nei dintorni della batteria di Poppa, cadono sotto i colpi. Ma si sono dovuti liberare, con fatica, due doganieri del vicino posto, che buttati a terra da una tigre e da una pantera, hanno riportato gravi ferite.

Quest'ultima battuta porta a cinquantatré il numero degli animali abbattuti dal giorno prima.

Sono le quattro del mattino. Cyrus Bikerstaff e il commodoro Simcoë, Jem Tankerdon e suo figlio, Nat Coverley e i due aiutanti, e qualche altro notabile, scortati da un distaccamento di truppa si dirigono verso il Municipio dove il consiglio attende i rapporti inviati dai due porti e dalle batterie dello Sperone e di Poppa.

Al loro avvicinarsi, quando non sono più che a un centinaio di passi dall'edificio comunale, ecco che si odono delle grida violente. Si vedono molte persone, donne e ragazzi, presi da improvvisa paura, fuggire lungo la Prima Avenue.

Subito il governatore, il commodoro Simcoë e i loro compagni si precipitano verso il giardino il cui cancello avrebbe dovuto esser chiuso… Ma per inesplicabile negligenza, esso era aperto, e senza

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dubbio una delle fiere (forse l'ultima) l'aveva varcato. Nat Coverley e Walter Tankerdon arrivati fra i primi, si lanciano

nel giardino. Ad un tratto, a tre passi appena da Nat Coverley, Walter viene

rovesciato da una tigre enorme. Nat Coverley non avendo più il tempo di fare scivolare una

cartuccia dentro il suo fucile, trae dalla cintola il coltello da caccia e si lancia in soccorso di Walter, nel momento stesso in cui gli artigli della fiera si abbattono sulla spalla del giovanotto.

Walter è salvo, ma la tigre si rivolta e si butta contro Nat Coverley…

Questi la colpisce col suo coltello, ma senza riuscire a ficcarglielo nel cuore e cade all'indietro.

La tigre arretra, ruggendo terribilmente, con le fauci spalancate, la lingua sanguinante…

Si sente una prima detonazione… È Jem Tankerdon che ha fatto fuoco. Poi una seconda… È il proiettile del suo fucile che è esploso nel corpo della tigre. Walter viene rialzato con la spalla squarciata per metà. Quanto a Nat Coverley, se non è stato ferito, di certo non ha mai

visto la morte tanto da vicino. Egli si rialza e avanzando verso Jem Tankerdon gli dice con voce

grave: — Mi avete salvato… grazie! — Voi avete salvato mio figlio… grazie! — risponde Jem

Tankerdon. E ambedue si strinsero la mano a testimonianza di una riconoscenza che potrebbe benissimo finire in una sincera amicizia…

Walter è subito trasportato al palazzo della Diciannovesima Avenue dove si è rifugiata la sua famiglia, mentre Nat Coverley ritorna a casa sua a braccetto con Cyrus Bikerstaff.

Il sovrintendente si incarica di utilizzare la magnifica pelle della tigre. Il superbo animale è destinato ad essere imbalsamato e figurerà nel Museo di storia naturale di Milliard-City con la iscrizione seguente:

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OFFERTO DAL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA

A STANDARD-ISLAND INFINITAMENTE RICONOSCENTE.

Supponendo che l'attentato sia stato preparato dall'Inghilterra,

certo non ci si poteva vendicare con più ingegno. Perlomeno questo è il parere di Sua Altezza Pinchinat, esperto in questo campo.

Nessuno si stupirà poi se fin dal giorno dopo la signora Tankerdon va a far visita alla signora Coverley per ringraziarla del servizio reso a Walter, e se la signora Coverley restituisce subito la visita alla signora Tankerdon per ringraziarla del servizio reso a suo marito. Aggiungiamo anche che la signorina Dy ha voluto accompagnare sua madre ed è naturale che ambedue le abbiano chiesto notizie del suo caro ferito.

Infine tutto è andato per il meglio e, sbarazzata dei suoi ospiti feroci, Standard-Island può riprendere con tutta sicurezza la sua rotta verso l'arcipelago delle Figi.

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CAPITOLO VIII

FIGI E FIGIANI

— QUANTO DICI?… — chiede Pinchinat. — Duecentocinquantacinque, amici miei, — risponde Frascolin.

— Sì… si contano duecentocinquantacinque isole ed isolotti nell'arcipelago delle Figi.

— E che cosa c'importa questo — aggiunge Pinchinat — dal momento che il Gioiello del Pacifico non deve farvi duecentocinquantacinque soste?

— Tu non saprai mai la tua geografia! — proclama Frascolin. — E tu… tu la sai troppo! — replica Sua Altezza. Ed è sempre così che viene accolto il secondo violino quando

vuole erudire i suoi recalcitranti compagni. Frattanto Sébastien Zorn, che l'ascoltava più volentieri, si lascia

condurre davanti alla carta del Casino sulla quale ogni giorno viene segnato il punto. È facile seguire su di essa l'itinerario di Standard-Island dalla sua partenza da Madeleine-bay. Quell'itinerario forma una specie di S maiuscola, la cui coda inferiore si svolge fino al gruppo delle Figi.

Frascolin mostra allora al violoncellista quel gruppo d'isole scoperte da Tasman nel 1643, un arcipelago compreso da una parte fra il 16° e il 20° parallelo sud e dall'altra fra il 174° meridiano ovest e il 179° meridiano est.

— E così — osserva Sébastien Zorn — andremo a ficcarci con la nostra ingombrante zattera fra queste centinaia di sassi sparpagliati lungo la rotta?

— Sì, mio vecchio compagno di corde, — risponde Frascolin — e se guardi attentamente…

— Chiudendo la bocca… — aggiunge Pinchinat. — Perché?…

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— Perché, come dice il proverbio, in bocca chiusa non entrano mosche!

— E di quali mosche vuoi parlare?… — Di quelle che ti pungono quando si tratta di brontolare contro

Standard-Island. Sébastien Zorn alza sdegnosamente le spalle e torna a voltarsi

verso Frascolin. — Dicevi?… — Dicevo che per raggiungere le due grandi isole di Viti-Levu e

di Vanua-Levu esistono tre passaggi che attraversano il gruppo orientale: il passaggio Nanuku, il passaggio Lakemba e il passaggio Oneata…

— Senza contare il passaggio dove ci si fracassa in mille pezzi! — esclama Sébastien Zorn. — Andremo a finire così!… Come si può navigare in simili mari con tutta una città e un'intera popolazione dentro questa città?… No! È contrario alle leggi di natura!

— La mosca!… — replica Pinchinat. — Ecco la mosca di Zorn… eccola… Infatti, eccoli ancora una volta quei cattivi pronostici di cui il testardo violoncellista non vuole fare a meno.

Per la verità, in quella parte del Pacifico il primo gruppo delle Figi è come una barriera opposta alle navi che vengono dall'est. Ma, rassicuriamoci, i passaggi sono abbastanza larghi perché il commodoro Simcoë possa introdurvi il suo natante, per non parlare dei passaggi già indicati da Frascolin. Le più importanti di quelle isole, oltre alle due Levu situate a occidente, sono Ono Ngaloa, Kandabu, ecc.

Un intero mare è racchiuso fra queste terre sorte dal fondo dell'oceano, il mar di Koro, e se questo arcipelago intravisto da Cook, visitato da Bligh nel 1789 e da Wilson nel 1792, è ora conosciuto così minuziosamente, lo si deve agli importanti viaggi di Dumont d'Urville nel 1828 e nel 1833, dell'americano Wilkes nel 1839, dell'inglese Erskine nel 1853, poi alla spedizione dell’Herald comandata da Durham della marina britannica, i quali tutti hanno permesso di disegnare le carte con una precisione che fa onore agli idrografi.

Dunque non può esservi nessuna esitazione da parte del

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commodoro Simcoë. Venendo da sud-est imbocca il passaggio Vulanga lasciandosi a sinistra l'isola di questo nome — una specie di galletta smozzicata posta sul suo piatto di corallo. L'indomani Standard-Island entra nel mare interno protetto da solide catene sottomarine contro le mareggiate provenienti dal largo.

Certo, ogni timore circa le bestie feroci apparse sotto l'egida della bandiera britannica non è interamente scomparso. I milliardesi stanno sempre all'erta. Vengono organizzate in continuazione battute di caccia attraverso i boschi, i campi e le acque ma non si trova nessuna traccia di belve. Non si sentono più ruggiti né di giorno né di notte. Inizialmente qualcuno più pauroso si è rifiutato di lasciare la città per avventurarsi nel parco o nella campagna. Non poteva forse il piroscafo avere sbarcato anche – come alla Martinica – un carico di serpenti che avessero infestato i campi? Perciò è stato promesso un premio a chiunque si impadronisca di un esemplare di rettile. Lo si pagherà a peso d'oro oppure (misurandone la lunghezza) un tanto a centimetro, e se avrà le dimensioni di un boa rappresenterà una bella somma! Ma le ricerche sono state infruttuose e vi è quindi motivo di essere tranquilli. La sicurezza di Standard-Island è ritornata completa e gli autori di quella macchinazione, qualunque essi siano, vi hanno rimesso le loro bestie.

Il risultato più positivo è che una riconciliazione completa è avvenuta fra le due sezioni della città. Dopo la faccenda Walter-Coverley e quella Coverley-Tankerdon le famiglie drittesi e sinistresi hanno cominciato a farsi visita, a invitarsi, a riceversi. Ricevimenti su ricevimenti, feste su feste. Ogni sera balli e concerti in casa dei principali notabili, e più particolarmente nei palazzi della Diciannovesima e della Quindicesima Avenue. Il Quartetto Orchestrale rischia di non arrivare a tempo. D'altronde l'entusiasmo che esso provoca non diminuisce anzi aumenta sempre più.

Finalmente una mattina si diffonde la grande notizia, proprio mentre le potenti eliche di Standard-Island battono la tranquilla superficie del mar di Koro. Il signor Jem Tankerdon si è recato ufficialmente al palazzo del signor Nat Coverley e gli ha chiesto la mano della signorina Dy Coverley, sua figlia, per suo figlio Walter Tankerdon. E il signor Nat Coverley ha accordato la mano della

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signorina Dy Coverley, sua figlia, a Walter Tankerdon, figlio del signor Tankerdon.

La questione della dote non ha sollevato nessuna difficoltà. I due sposi riceveranno duecento milioni ciascuno.

— Avranno sempre di che vivere… anche in Europa! — fa osservare giudiziosamente Pinchinat.

Alle due famiglie arrivano felicitazioni da ogni parte. Il governatore Cyrus Bikerstaff non cerca di nascondere la sua immensa soddisfazione. Grazie a questo matrimonio spariscono le cause di rivalità così compromettenti per l'avvenire di Standard-Island. Il re e la regina di Malécarlie sono fra i primi ad inviare le loro felicitazioni e i loro auguri alla giovane coppia. I biglietti da visita stampati in oro su alluminio piovono nelle cassette postali dei due palazzi. I giornali ammassano cronache su cronache a proposito degli splendori che si preparano, tali quali non se ne saranno mai visti né a Milliard-City né in alcun altro punto del globo. Vengono inviati cablogrammi in Francia per preparare il corredo di nozze. I negozi più in voga, i laboratori delle grandi modiste, quelli dei grandi sarti, gli orefici e i mercanti d'arte ricevono ordinazioni inverosimili. Un piroscafo speciale, che partirà da Marsiglia, verrà, passando per Suez e l'Oceano Indiano, a portare quelle meraviglie dell'industria francese. Il matrimonio è stato fissato di lì a cinque settimane cioè il 27 di febbraio. Aggiungiamo anche che i negozianti di Milliard-City avranno la loro parte di benefici in quell'affare. Devono fornire il loro contributo a quel corredo nuziale e con le sole spese a cui andranno incontro i nababbi di Standard-Island ci saranno da realizzare delle vere fortune.

L'organizzatore di quelle feste non può essere che il sovrintendente Calistus Munbar. Bisogna rinunciare a descrivere il suo stato d'animo dopo che è stato notificato pubblicamente il matrimonio di Walter Tankerdon con la signorina Dy Coverley. Si sa quanto egli lo desiderasse e quanto ha fatto per arrivare a quel punto! È la realizzazione del suo sogno e, poiché la municipalità gli lascia carta bianca, state pur certi che egli rimarrà all'altezza delle sue funzioni organizzando una festa più che meravigliosa.

Il commodoro Simcoë fa conoscere con un comunicato ai giornali

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che alla data scelta per la cerimonia nuziale l'isola a elica si troverà in quella parte di mare fra le Figi e le Nuove Ebridi. Prima, essa raggiungerà Viti-Levu dove la sosta durerà una decina di giorni (sola fermata che si propone di fare in mezzo a quel vasto arcipelago).

Navigazione ottima. Alla superficie del mare s'inseguono numerose balene. Coi mille getti d'acqua dei loro sfiatatoi si direbbe un'immensa fontana di Nettuno in confronto alla quale (fa osservare Yvernès) quella di Versailles sembrava un giocattolo da bambini. Ma a centinaia compaiono anche enormi pescecani che scortano Standard-Island come avrebbero seguito una nave in cammino.

Questa parte del Pacifico limita la Polinesia, che confina con la Melanesia nel punto dove si trova il gruppo delle Nuove Ebridi.35 Essa è tagliata dal 180° di longitudine, linea convenzionale descritta dal meridiano di divisione fra le due metà di quell'immenso oceano. Quando superano questo meridiano, i marinai provenienti dall'est tolgono un giorno dal calendario e viceversa coloro che vengono dall'ovest ne aggiungono uno. Senza questa precauzione non vi sarebbe più concordanza di date. L'anno prima Standard-Island non ha dovuto far questo cambiamento poiché non ha avanzato verso occidente al di là del detto meridiano. Ma questa volta bisogna conformarsi alla regola e poiché Standard-Island viene dall'est il 22 gennaio è cambiato in 23.

Delle duecentocinquantacinque isole che compongono l'arcipelago delle Figi solo un centinaio sono abitate. La popolazione totale non supera i 128.000 abitanti, numero non grande per una superficie di 21.000 chilometri quadrati.

Di tutti questi isolotti, semplici frammenti di atolli o vette di montagne sottomarine, cinti da una frangia di corallo, non ve n'è nemmeno uno che superi i centocinquanta chilometri di superficie. Questo dominio insulare, veramente, non è che una divisione politica dell'Australasia, dipendente dalla Corona britannica dal 1874 (il che significa che l'Inghilterra l'ha bellamente annesso al suo impero coloniale). Se i figiani si sono finalmente sottomessi al protettorato

35 Questi rilevamenti sono tolti dalle carte francesi nelle quali il meridiano 0° passa per Parigi: tale meridiano era generalmente adottato a quell'epoca. (Nota della prima edizione francese.)

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britannico è stato perché nel 1859 sono stati minacciati da un'invasione tongana che il Regno Unito ha ostacolato mediante l'intervento del suo fin troppo famoso Pritchard, il Pritchard di Tahiti. L'arcipelago attualmente è diviso in diciassette distretti, amministrati da sottocapi indigeni più o meno imparentati con la famiglia reale dell'ultimo re Thakumbau.

— Che sia conseguenza del sistema inglese — dice il commodoro Simcoë che conversa su questo argomento con Frascolin — e che avvenga delle Figi quello che è avvenuto per la Tasmania, non lo so! Il fatto certo è, però, che gli indigeni tendono a sparire. La colonia non è affatto in via di prosperità, né la popolazione è in via d'aumento e lo dimostra l'inferiorità numerica delle donne in confronto degli uomini.

— Infatti questo è l'indizio della prossima estinzione d'una razza — risponde Frascolin — e in Europa ci sono già alcuni Stati minacciati da questa inferiorità.

— Qui d'altronde — riprende il commodoro — gli indigeni non sono altro che servi, proprio come quelli delle isole vicine, reclutati dai piantatori per i lavori dei campi. Inoltre le malattie li decimano e nel 1875 il solo vaiolo ne ha fatti morire più di 30.000. Eppure l'arcipelago delle Figi è un paese meraviglioso, come voi stessi potrete giudicare! Se la temperatura all'interno delle isole è alta, è moderata sul litorale che è molto fertile in frutta, in legumi, in palme da cocco, banani, ecc. Non c'è da far altro che raccogliere gli ignami, i taro36 e il midollo nutritivo della palma che produce il sagù…

— Il sagù! — esclama Frascolin — che ricordo del Robinson svizzero!

— Quanto ai maiali e ai polli, — continua il commodoro Simcoë — questi animali si sono moltiplicati dall'epoca della loro importazione con una prolificità straordinaria. Ne consegue, naturalmente, una gran facilità a soddisfare tutti i bisogni dell'esistenza. Disgraziatamente gli indigeni sono inclini all'indolenza, al «far niente», quantunque abbiano intelligenza molto viva e siano di umore molto spiritoso…

36 Ampiamente utilizzato nell'alimentazione degli indigeni del Pacifico. (Nola della prima edizione francese.)

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— E quando si ha tanto spirito… — dice Frascolin. — I bambini vivono poco! — finisce il commodoro Simcoë. Infatti tutti questi indigeni, polinesiani, melanesiani e altri, in che

cosa sono diversi dai bambini? Procedendo verso Viti-Levu, Standard-Island incontra parecchie

altre isole intermedie come Vanua-Vatu, Moala, Ngan, ma non vi si ferma.

Da ogni parte circolano, girando attorno al suo litorale, intere flotte di quelle lunghe piroghe a bilanciere di bambù incrociati che servono a mantenere l'equilibrio dell'imbarcazione e a sistemare il carico. Esse circolano volteggiando elegantemente ma non cercano d'entrare né a Tribord-Harbour né a Babord-Harbour. Forse ciò non verrebbe nemmeno loro permesso, essendo nota la cattiva reputazione dei figiani. Questi indigeni hanno si abbracciato il cristianesimo. Da quando i missionari europei si sono stabiliti a Lecumba, nel 1835, essi sono divenuti quasi tutti protestanti wesleyani, mescolati a poche migliaia di cattolici. Ma prima erano stati dediti talmente alle pratiche del cannibalismo che forse non hanno ancora perduto il gusto per la carne umana. Per di più quel loro cannibalismo era un fatto religioso. I loro dei amavano il sangue. La benevolenza, presso quelle popolazioni, era considerata come una debolezza e anche come un peccato. Mangiare un nemico era rendergli onore. L'uomo che si disprezzava lo si faceva bollire ma non lo si mangiava. I bambini servivano come piatto principale nelle feste e non è lontano il tempo in cui il re Thakumbau amava sedersi sotto un albero ad ogni ramo del quale era appeso un arto umano destinato alla tavola reale. Qualche volta anche una tribù (e ciò è avvenuto appunto a quella dei Nuloca a Viti-Levu, vicino a Namosi) è stata divorata per intero, eccezion fatta per qualche donna, una delle quali è vissuta fino al 1880.

Decisamente se Pinchinat non incontra su una qualsiasi di queste isole qualche nipote di antropofagi, che abbia conservato le antiche abitudini dei suoi nonni, dovrà rinunciare per sempre a chiedere un avanzo di colore locale a quegli arcipelaghi del Pacifico.

Il gruppo occidentale delle Figi comprende due grandi isole, Viti-Levu e Vanua-Levu e due isole di media grandezza: Kandavu e

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Taviuni. Più a nordovest si trovano le isole Wassava e si apre il passaggio dell'isola Rotonda attraverso il quale il commodoro Simcoë conta di uscire per far rotta verso le Nuove Ebridi.

Nel pomeriggio del 25 gennaio le cime di Viti-Levu si disegnano all'orizzonte. Quest'isola montuosa è la più notevole dell'arcipelago, di un terzo più estesa della Corsica, ossia con una superficie di 10.645 chilometri quadrati.

Le sue cime vanno dai milleduecento ai millecinquecento metri sul livello del mare. Sono vulcani spenti o per lo meno addormentati, il cui risveglio è di solito molto sgradevole.

Viti-Levu è collegata alla sua vicina di tramontana, Vanua-Levu, da una barriera di scogli sottomarini che senza dubbio emergeva all'epoca della formazione tellurica. Standard-Island poteva senza pericolo azzardarsi sopra quella barriera. Inoltre a nord di Viti-Levu la profondità si calcola dai quattro ai cinquecento metri e a sud dai cinquecento ai duemila.

Un tempo la capitale dell'arcipelago era Levuka nell'isola di Ovalau a est di Viti-Levu. Forse le case commerciali fondate dagli inglesi vi sono anche oggi più importanti di quelle di Suva, l'attuale capitale nell'isola di Viti-Levu. Ma quel porto offre notevoli vantaggi alla navigazione, essendo situato alla estremità sud-est dell'isola, fra due delta le cui acque bagnano largamente quella parte di litorale. Il porto d'ancoraggio dei piroscafi in relazione con le Figi si trova al fondo della baia di Ngalao a sud dell'isola di Kandava, la posizione più vicina alla Nuova Zelanda, all'Australia e alle isole francesi della Nuova Caledonia e della Lealtà.

Standard-Island viene ad ancorarsi all'ingresso del porto di Suva. Le formalità vengono adempiute quel giorno stesso, il permesso di sbarco è accordato. I milliardesi, poiché la loro visita non può che essere molto vantaggiosa tanto ai coloni che agli indigeni, sono sicuri che otterranno un'eccellente accoglienza, in cui forse c'è più interesse che simpatia. Non bisogna dimenticare d'altra parte che le Figi dipendono dalla Corona britannica e che i rapporti fra il Foreign-Office e la Standard-Island Company, tanto gelosa della sua indipendenza, sono sempre tesi.

Il giorno dopo, 26 gennaio, i commercianti di Standard-Island che

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hanno acquisti o vendite da fare, si fanno sbarcare fin dalle prime ore. I turisti, e fra questi i nostri parigini, non rimangono indietro. Quantunque Pinchinat e Yvernès scherzino spesso con Frascolin, lo scolaro preferito del commodoro Simcoë, sui suoi studi «etno-seccanti-geografici» come dice Sua Altezza, non per questo essi approfittano meno delle sue cognizioni. Alle domande dei suoi compagni circa gli abitanti di Viti-Levu, i loro usi e le loro abitudini, il secondo violino ha sempre pronta qualche risposta istruttiva. Nemmeno Sébastien Zorn disprezza di fargli delle domande e Pinchinat non appena apprende che questi paraggi sono stati non molto tempo fa il teatro principale del cannibalismo, non può trattenere un sospiro dicendo:

— Sì… ma noi arriviamo troppo tardi e vedrete che questi figiani smidollati dalla civiltà ora sono ridotti al pollo in fricassea e ai piedi di maiale in salsa.

— Antropofago! — gli grida Frascolin. — Avresti meritato di apparire sulla tavola del re Thakumbau…

— Eh! Eh! una costoletta di Pinchinat alla bordolese. — Andiamo — aggiunge Sébastien Zorn — se perdiamo tempo in

chiacchiere inutili… — Non attueremo il progresso avanzando! — esclama Pinchinat.

— Ecco una frase di quelle che piacciono a te, vero, vecchio violoncelluloidista. Va bene, avanti, march!

La città di Suva costruita sulla destra di una piccola baia ha le sue abitazioni sparse sul pendio di una verdeggiante collina. Essa possiede dei moli attrezzati per l'ancoraggio delle navi, strade provviste di marciapiedi selciati né più né meno che i lungomare delle nostre grandi stazioni balneari. Le case di legno, a un piano e a volte (ma raramente) a due, sono gaie e fresche. Nei dintorni della città le capanne indigene mostrano i loro frontoni a estremità rialzate ornati di conchiglie. I tetti solidissimi resistono alle piogge invernali, da maggio a ottobre, che sono torrenziali. Infatti nel marzo 1871, a quanto racconta Frascolin, fortissimo in statistica, Mbua situata all'est dell'isola, ha ricevuto in un giorno ben 38 centimetri d'acqua.

Viti-Levu, non meno che le altre isole dell'arcipelago, è sottoposta a sbalzi di clima, e la vegetazione differisce da un litorale all'altro.

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Dalla parte esposta ai venti alisei del sud-est l'aria è umida e magnifiche foreste coprono il terreno. Dall'altra parte si stendono pianure immense adatte alla coltivazione. Tuttavia si vede come certi alberi comincino a deperire, fra altri il sandalo che è quasi interamente scomparso ed anche il «dakua», pino caratteristico delle Figi.

Frattanto, nelle sue passeggiate il quartetto constata che la flora dell'isola è d'una ricchezza tropicale. Dovunque foreste di cocchi e di palmizi dai tronchi tappezzati di orchidee parassite, boschi di casuarine, di pandani, d'acacie, di felci arboree e nelle parti paludose un gran numero di paletuvieri le cui radici serpeggiano fuori della terra. Ma la coltura del cotone e del té non vi hanno dato quei risultati che la forza del clima aveva fatto sperare. In realtà il suolo di Viti-Levu – cosa comune in tutto il gruppo – argilloso e di colore giallastro, è formato soltanto da ceneri vulcaniche a cui la decomposizione ha concesso qualità produttive.

La fauna non vi è più variata di quello che sia negli altri paraggi del Pacifico: una quarantina di specie di uccelli, pappagalli e canarini acclimatati, pipistrelli, topi a legioni, rettili non velenosi molto apprezzati dagli indigeni come commestibile, un'infinità di lucertole e una quantità di gamberi ripugnanti d'una voracità da cannibali. Ma niente fiere di nessuna specie, il che provoca questa battuta di Pinchinat:

— Il nostro governatore Cyrus Bikerstaff avrebbe dovuto conservare qualche coppia di leoni, di tigri, di pantere, e di coccodrilli, e deporre, quindi, queste coppie di carnivori sulle Figi… dal momento che queste isole appartengono all'Inghilterra, non si sarebbe trattato altro che di una restituzione.

Questi indigeni, miscuglio delle razze melanesiana e polinesiana, presentano ancora tipi bellissimi anche se meno notevoli di quelli delle Samoa e delle Marchesi. Fra gli uomini dalla pelle color rame, quasi neri, col capo coperto da una capigliatura lanosa, si vedono numerosi meticci, e sono tutti grandi e vigorosi. Il loro abbigliamento è molto primitivo: consiste perlopiù in una semplice fascia o in un mantello-coperta fatto di quella stoffa indigena detta «masi» tratta da una specie di gelso che produce anche la carta. Nel suo primo stadio

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di fabbricazione questa stoffa è di un biancore assoluto; ma i figiani la sanno tingere, variegare ed essa è molto ricercata in tutti gli arcipelaghi del Pacifico orientale. Bisogna aggiungere che questi uomini non sdegnano di vestire, all'occasione, vecchi cenci europei, provenienti dalle botteghe di rigattiere del Regno Unito o della Germania. È estremamente ridicolo per i nostri parigini vedere quei figiani infagottati dentro pantaloni sformati, pastrani d'altri tempi e anche dentro frac che dopo molte fasi di decadenza, sono andati a finire sulle spalle di qualche indigeno di Viti-Levu.

— Ci sarebbe da fare il romanzo di uno di questi abiti… — osserva Yvernès.

— Un romanzo che rischierebbe di finire con la coda… — aggiunge Pinchinat.

Le donne poi sono vestite di una sottana e di un «caraco» di «masi» in modo più o meno decente a dispetto di tutti i sermoni wesleyani. Esse sono ben fatte e con le attrattive della gioventù alcune possono anche passare per belle. Ma hanno l'abitudine detestabile – condivisa anche dagli uomini – di cospargere di calce i loro capelli neri che diventano così una specie di cappello calcareo che ha lo scopo di preservarle dalle insolazioni! E poi esse fumano, tanto quanto i loro mariti e i loro fratelli, il tabacco del paese che ha odore del fieno bruciato e quando non tengono la sigaretta tra le labbra, la infilano nel lobo delle orecchie, proprio là dove comunemente in Europa si vede una perla o un diamante.

Generalmente le donne sono ridotte alla condizione di schiave incaricate dei lavori più faticosi della famiglia e non è molto lontano il tempo in cui, dopo aver penato tutta la vita a mantenere la pigrizia dei loro mariti, venivano poi strangolate sulla loro tomba.

Durante i tre giorni dedicati alle loro escursioni intorno a Suva, i nostri amici hanno tentato più volte di visitare qualche capanna indigena. Ma ne sono stati sempre respinti, non tanto dall'inospitalità dei loro proprietari, quanto dall'odore abominevole che ne emana. Tutti quei nativi spalmati d'olio di cocco, la loro promiscuità con i maiali, i poni, i cani, i gatti, dentro quelle nauseabonde capanne di paglia, la luce soffocante ottenuta bruciando la gomma resinosa del «dammana»… no! non era assolutamente possibile resistervi. E

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d'altra parte dopo aver preso posto intorno a un focolare figiano, non si sarebbe dovuto (a rischio di venir meno alle convenienze) accettare di intingere le labbra nel bicchiere del «kava» il liquore figiano per eccellenza? Questo «kava» pepato oltre ad essere inaccettabile ai palati europei perché estratto dalla radice seccata dell'albero del pepe, lo è anche per la maniera con cui viene preparato. E questa maniera non è tale da suscitare la ripugnanza più insormontabile? Quel pepe non viene pestato, ma lo si macina, lo si tritura fra i denti, poi lo si sputa dentro l'acqua di un vaso e poi lo si offre con un'insistenza selvaggia che non permette e non ammette rifiuto. E non c'è altro da fare che ringraziare con le parole seguenti che hanno corso nell'arcipelago: — E mana ndina — ossia: — Amen.

L'interno poi di quelle capanne di paglia formicola di granchi, di formiche bianche che ne devastano le pareti, di zanzare, zanzare a miliardi, che si vedono correre sulle pareti, per terra, sugli abiti degli indigeni a falangi innumerevoli.

Nessuno quindi si stupirà che Sua Altezza con l'accento comico-britannico dei clown inglesi, allo scorgere il formicolio di quegli insetti tremendi abbia esclamato:

— Oh! zènzere!… zènzere!… Insomma né lui né i suoi compagni hanno il coraggio di entrare

nelle capanne figiane. E su questo punto i loro studi etnologici restano incompleti e lo stesso sapiente Frascolin si è tirato indietro, il che costituisce una lacuna nei suoi ricordi di viaggio.

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CAPITOLO IX

UN «CASUS BELLI»

MENTRE i nostri artisti se la spassano in gite e danno un'occhiata ai costumi dell'arcipelago, qualche notabile di Standard-Island non ha sdegnato di entrare in relazione con le autorità indigene del paese. I «papalangi» – come in quelle isole sono chiamati gli stranieri – non potevano temere d'essere accolti male.

Le autorità europee sono rappresentate da un governatore generale che per quei gruppi occidentali, i quali subiscono più o meno efficacemente il protettorato del Regno Unito, è anche console generale d'Inghilterra. Cyrus Bikerstaff non credette di dovergli fare una visita ufficiale. Due o tre volte si sono guardati con occhio vitreo, da cani di maiolica, ma i loro rapporti non sono andati oltre quegli sguardi.

Col console di Germania, che era al tempo stesso uno dei principali negozianti del paese, le relazioni si sono limitate a un semplice scambio di biglietti da visita.

Durante la sosta le famiglie Tankerdon e Coverley avevano organizzato escursioni nei dintorni di Suva e nelle foreste che adornano le sue alture fino alle cime più elevate.

A questo proposito il sovrintendente ha fatto al quartetto un'osservazione giustissima.

— Se i nostri milliardesi — dice — sono così ghiotti di queste passeggiate a latitudini alte ciò avviene perché la nostra Standard-Island non è abbastanza accidentata… è troppo piana, troppo uniforme… ma spero che un giorno vi si fabbricherà una montagna artificiale che potrà rivaleggiare con le più alte vette del Pacifico. Nell'attesa, ogni volta che se ne presenta l'occasione, i nostri cittadini si affrettano ad andare a respirare a qualche centinaio di piedi d'altezza l'aria pura e tonificante dello spazio… Ciò risponde a un

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bisogno della natura umana… — Benissimo — risponde Pinchinat — ma io voglio darvi un

consiglio, caro Eucalistus! Quando costruirete la vostra montagna in lamina d'acciaio o d'alluminio, non dimenticate di chiudervi dentro un grazioso vulcano… un vulcano con bombe fulminanti e fuochi d'artificio…

— E perché no, signor motteggiatore?… — ribatte Calistus Munbar.

— È appunto ciò che dico io… e perché no?… — conclude Sua Altezza.

Naturalmente Walter Tankerdon e la signorina Dy Coverley prendono parte a queste escursioni e le fanno tenendosi a braccetto.

A Viti-Levu si sono visitate tutte le curiosità della capitale, i «mburé-kalu», che sono i templi degli spiriti, e il locale destinato alle assemblee politiche. Quelle costruzioni, erette su una base di pietre secche, sono formate da bambù intrecciati, da travi ricoperte da una specie di passamaneria vegetale e da listelli ingegnosamente disposti onde sopportare la paglia del tetto. I turisti visitano anche l'ospedale fabbricato in eccellenti condizioni igieniche e l'orto botanico, disposto ad anfiteatro dietro la città. Spesso queste passeggiate si prolungano fino alla sera e allora si torna al lume delle lanterne come si faceva al buon tempo antico. Nelle isole Figi non si è ancora arrivati al gasometro né ai becchi Auer, né alle lampade ad arco, né all'acetilene, ma (insinua Calistus Munbar) vi si arriverà sicuramente «sotto l'illuminato protettorato dell'Inghilterra»!

E il capitano Sarol, e i suoi malesi, e i neo-ebridiani imbarcati alle Samoa che cosa fanno durante questa sosta? Niente che sia in disaccordo con la loro abituale esistenza. Non scendono a terra, conoscendo già Viti-Levu e le altre isole, gli uni per averle frequentate durante la loro navigazione di cabotaggio, gli altri per avervi lavorato al servizio dei piantatori. Preferiscono di gran lunga rimanere a Standard-Island, che continuano ad esplorare in ogni sua parte non stancandosi di visitare la città, i porti, il parco, la campagna, e le due batterie della Poppa e dello Sperone. Ancora poche settimane e, grazie alla compiacenza della compagnia e del governatore Cyrus Bikerstaff, quella brava gente tornerà al suo paese

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dopo un soggiorno di cinque mesi sull'isola a elica… Qualche volta i nostri artisti parlano con Sarol che è

intelligentissimo e parla correntemente l'inglese. Sarol descrive loro con entusiasmo le Nuove Ebridi e gli indigeni che abitano quel gruppo, il loro modo di nutrirsi, la loro cucina, cosa che interessa particolarmente Sua Altezza. La segreta ambizione di Pinchinat sarebbe di scoprirvi una nuova pietanza di cui comunicare la ricetta alle società gastronomiche della vecchia Europa.

Il 30 gennaio Sébastien Zorn e i suoi compagni, ai quali il governatore ha messo a disposizione una delle lance elettriche di Tribord-Harbour partono con l'intenzione di risalire il corso del Rewa, uno dei principali fiumi dell'isola. Sulla lancia si sono imbarcati anche il capolancia, un macchinista, due marinai e un pilota figiano. Invano è stato offerto ad Athanase Dorémus di unirsi agli escursionisti. Nel professore di belle maniere il sentimento della curiosità è spento… E poi durante la sua assenza potrebbe capitargli qualche allievo, ed egli preferisce non abbandonare la sala da ballo del Casino.

Alle sei del mattino, ben armata e fornita di provviste dovendo far ritorno a Tribord-Harbour solo in serata, l'imbarcazione esce dalla baia di Suva e costeggia il litorale fino a quella del Rewa.

Non soltanto gli scogli ma anche i pescecani si mostrano numerosissimi in quei paraggi e bisogna guardarsi tanto dagli uni quanto dagli altri.

— Peuh! — fa osservare Pinchinat — i vostri pescecani non sono più nemmeno cannibali d'acqua salata!… I missionari inglesi devono averli convertiti al cristianesimo come hanno convertito i figiani!… Scommettiamo che queste bestie hanno perduto il gusto della carne umana?…

— Non fidatevi — risponde il pilota — così come non bisogna fidarsi dei figiani dell'interno.

Pinchinat si accontenta di alzare le spalle. Gliela contano bella con questi pretesi cannibali che non «cannibalano» più nemmeno nei giorni di festa!

Il pilota conosce perfettamente la baia e il corso del Rewa. Su questo importante fiume chiamato anche Wai-Levu la marea si fa

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sentire fino a una distanza di 45 chilometri e le barche possono risalirlo fino ad 80.

La larghezza del Rewa alla foce supera le cento tese. Esso scorre fra due rive sabbiose basse a sinistra, scoscese a destra, dove i banani e le palme da cocco si stagliano nitidi su uno sfondo di verzura. Il suo nome è Rewa-Rewa, seguendo quel raddoppiamento di parole che è pressocché generale in tutte le popolazioni del Pacifico. E, come osserva Yvernès, è questa una imitazione di quella pronuncia infantile che si ritrova nelle nostre parole: papà, mamma, tutu, bibi, ecc. E infatti, questi popoli sono appena usciti dall'infanzia!

Il Rewa vero e proprio è formato dal confluire del Wai-Levu (acqua grande) nel Wai-Manu e la sua imboccatura principale è indicata col nome di Wai-Ni-Ki.

Aggirato il delta, la lancia prosegue passando davanti al villaggio di Kamba, seminascosto fra i fiori. Non ci si ferma come non ci si ferma al villaggio di Naitasiri per non perdere il vantaggio del flusso. Inoltre a quest'epoca quel villaggio era stato dichiarato «tabu» con le sue case, i suoi alberi, i suoi abitanti fino alle acque del Rewa che ne bagnano il litorale. Gli indigeni perciò non avrebbero permesso a nessuno di scendervi. Il «tabu» del resto è un costume se non molto rispettabile certo molto rispettato (Sébastien Zorn ne sapeva qualche cosa) e lo si rispettò.

Mentre i nostri viaggiatori costeggiano Naitasiri, il pilota li invita a guardare un albero di grandi dimensioni, un «tavala» che si erge in un angolo della riva.

— E che cosa ha di notevole quell'albero?… — chiede Frascolin. — Niente — risponde il pilota — ma la sua scorza è tutta solcata

di incisioni dalle radici fino alla biforcazione dei rami. Ora quelle incisioni indicano il numero dei corpi umani cotti in quel punto e poi mangiati…

— Come dire le incisioni del fornaio sui bastoni di pane! — commenta Pinchinat, alzando le spalle in segno d'incredulità.

Ma ha torto. Le isole Figi sono state il paese del cannibalismo per eccellenza e purtroppo, bisogna insistere, quei costumi non sono del tutto spenti. La ghiottoneria li conserverà ancora a lungo presso le tribù dell'interno. Sì! proprio la ghiottoneria poiché stando ai figiani

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niente si può paragonare per gusto e delicatezza alla carne umana, molto superiore a quella del bue. A credere a quel pilota, vi fu un certo capo, Ra-Undrenudu, che faceva alzare delle pietre nel suo regno e quando egli morì il loro numero era di ottocentoventidue.

— E sapete che cosa indicavano quelle pietre?… — Ci è impossibile d'indovinarlo — risponde Yvernès — anche

impiegandovi tutta quanta la nostra intelligenza di concertisti. — Esse indicavano il numero di corpi umani che quel capo aveva

divorati! — Da solo?… — Da solo! — Doveva essere un gran mangiatore! — si accontenta di

rispondere Pinchinat che ormai si è fatto un'opinione ben precisa su queste «frottole figiane».

Verso le undici si sente risuonare una campana sulla riva destra. Il villaggio di Nailili composto di poche capanne di paglia appare fra le fronde all'ombra delle palme da cocco e dei banani. In questo villaggio ha sede una missione cattolica. I turisti non potrebbero fermarsi un'ora, giusto il tempo di stringere la mano del missionario, un compatriota? Il pilota non vi vede nessun inconveniente e l'imbarcazione viene ormeggiata alla radice di un albero.

Sébastien Zorn e i suoi compagni scendono a terra e, dopo aver camminato per nemmeno due minuti, incontrano il superiore della missione.

È un uomo sulla cinquantina, dalla fisionomia simpatica, dall'espressione energica. Tutto felice di poter salutare dei francesi, li conduce fino alla sua capanna in mezzo a quel villaggio abitato da un centinaio di figiani. Insiste perché i suoi ospiti accettino qualche rinfresco tipico del paese. Stiano sicuri; non si tratta certo del ripugnante «kava», ma di una specie di bevanda o di brodo di gusto abbastanza buono, ottenuto bollendo le «cyreae», conchiglie abbondantissime sulle rive del Rewa.

Questo missionario si è dedicato anima e corpo alla diffusione del cattolicesimo, non senza varie difficoltà, perché deve lottare con un pastore wesleyano che gli fa una seria concorrenza nel vicinato. Nel complesso è soddisfattissimo dei risultati ottenuti, ma riconosce che

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deve faticare parecchio per strappare i suoi fedeli dalla passione per il «bukalo» vale a dire per la carne umana.

— E dal momento che risalite verso l'interno, cari ospiti — aggiunge — siate prudenti e state molto in guardia.

— Capisci, Pinchinat! — dice Sébastien Zorn. Si parte poco prima che la campana della chiesetta abbia suonato

il mezzogiorno. Strada facendo l'imbarcazione incrocia alcune piroghe a bilanciere con la piattaforma carica di banane. Si tratta della moneta corrente che l'esattore delle tasse ha riscosso dai suoi amministrati. Le rive sono sempre fiancheggiate da lauri, acacie, limoni o cactus dai fiori rosso sangue. Al di sopra i banani e le palme da cocco ergono i loro alti rami carichi di frutta, e tutta quella verzura si spinge lontano fino alle montagne dominate dal picco del Mbugge Levu.

Fra quei boschi si vedono una o due fabbriche all'europea che stonano in mezzo alla natura selvaggia del paese. Sono zuccherifici provvisti dei macchinari più moderni e i cui prodotti (ha dichiarato il viaggiatore Verschnur) «possono sostenere vantaggiosamente il confronto con gli zuccheri delle Antille e delle altre colonie».

Verso l'una l'imbarcazione arriva alla fine del suo viaggio sul Rewa. Fra due ore il riflusso si farà sentire e se ne approfitterà per discendere il fiume. Il ritorno si effettuerà molto rapidamente perché il riflusso è forte: e prima delle dieci di sera gli escursionisti saranno rientrati a Tribord-Harbour.

Si ha dunque un certo tempo a disposizione ed il miglior modo per impiegarlo è di recarsi a visitare il villaggio di Tampoo di cui si vedono a mezzo miglio di distanza le prime capanne. Si stabilisce che il macchinista e i due marinai restino a guardia della lancia mentre il pilota «piloterà» i passeggeri fino a quel villaggio dove le antiche usanze sono conservate in tutta la loro purezza figiana. In questa parte dell'isola i missionari hanno perduto il loro tempo e le loro prediche. Qui regnano ancora gli stregoni, sopravvivono ancora le stregonerie soprattutto quelle che portano il nome complicato di «Vaka-Ndran-ni-Kan-Tacka» che vuol dire: «lo scongiuro praticato per mezzo delle foglie». Qui si adorano i Katoavu, dèi la cui esistenza non ha avuto mai principio e non avrà mai fine e che non

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sdegnano certi sacrifici particolari che il governatore generale è impotente a prevenire e anche a punire.

Forse sarebbe stato più prudente non avventurarsi in mezzo a queste tribù sospette. Ma i nostri artisti, curiosi come tutti i parigini insistono e il pilota acconsente ad accompagnarli raccomandando loro di non allontanarsi gli uni dagli altri.

All'inizio, all'entrata di Tampoo, formato da un centinaio di capanne di paglia, incontrano alcune donne, veri tipi di selvagge. Vestite di un semplice gonnellino annodato intorno alle reni, esse non provano nessun stupore alla vista di quegli stranieri venuti a sorprenderle nei loro lavori. Da quando l'arcipelago è sottoposto al protettorato dell'Inghilterra quelle visite non le imbarazzano più.

Queste donne sono intente a preparare il «curcuma», specie di radici conservate dentro fosse precedentemente tappezzate da erbe e da foglie di banano; le si estraggono, le si arrostiscono, le si puliscono, le si premono poi dentro panieri guarniti di felci e il succo che se ne estrae viene racchiuso dentro tubi di bambù. Quel succo è contemporaneamente alimento e pomata e sotto questa sua doppia qualità è molto diffuso.

La piccola schiera entra nel villaggio ma non riceve nessuna particolare accoglienza da parte degli indigeni i quali non si affrettano né a complimentare i visitatori né a offrir loro ospitalità. Del resto l'aspetto esterno delle capanne non offre nulla di attraente. Sentendo l'odore che ne emana in cui domina il rancido dell'olio di cocco, il quartetto si rallegra che le leggi della ospitalità lì non siano tenute in grande onore.

Intanto, arrivati davanti all'abitazione del capo, costui (un figiano alto, dall'aria torva e dalla fisionomia feroce) avanza verso di loro in mezzo a un corteo di indigeni. La sua testa crespa è bianca di calce. Egli indossa l'uniforme di cerimonia, una camicia a righe, una cintura attorno al corpo, il piede sinistro calzato in una vecchia pantofola ricamata e (chissà come Pinchinat è riuscito a non scoppiare dal ridere) un frac turchino a bottoni d'oro rappezzato in molti punti e le cui code ineguali gli battono una sul polpaccio e l'altra sulla caviglia.

Avanzando verso il gruppo dei «papalangi», il capo inciampa in una radice, perde l'equilibrio e cade lungo disteso al suolo.

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Subito, secondo l'etichetta del «bale muri», tutto il corteo perde a sua volta l'equilibrio e si abbatte rispettosamente a terra «per prender la propria parte di ridicolo in quella caduta».

Questo viene spiegato dal pilota e Pinchinat approva la formalità che, almeno a suo parere, non è più ridicola di tante altre in uso nelle corti europee.

Frattanto rialzatisi tutti in piedi, il capo ed il pilota scambiano qualche frase in lingua figiana di cui il quartetto non arriva a comprendere una sola parola. Le frasi tradotte dal pilota non hanno altro scopo che quello di chiedere agli stranieri che cosa vengono a fare nel villaggio di Tampoo. Poiché essi rispondono di non desiderare altro che visitare il villaggio e fare una gita nei dintorni, dopo uno scambio di qualche altra domanda e risposta, il permesso viene loro concesso.

Il capo, d'altronde, non manifesta né piacere né dispiacere per quell'arrivo di viaggiatori a Tampoo e ad un suo segno gli indigeni rientrano nelle loro capanne.

— Dopo tutto non hanno l'aria d'esser molto cattivi! — osserva Pinchinat.

— Non è una buona ragione per commettere delle imprudenze! — risponde Frascolin.

Per un'ora gli artisti passeggiano per il villaggio senza essere disturbati da nessuno. Il capo dal frac turchino è ritornato nella sua capanna e si vede che l'accoglienza dei nativi è improntata a una profonda indifferenza.

Sébastien Zorn, Yvernès, Pinchinat, Frascolin e il pilota dopo aver girato per le strade di Tampoo senza che nessuna capanna si apra per riceverli si dirigono verso le rovine di alcuni templi, specie di casolari diroccati situati non lontano dall'abitazione di uno degli stregoni del paese.

Questo stregone ritto sulla porta lancia loro un'occhiata poco incoraggiante, e i suoi gesti sembrano indicare che egli voglia maledirli.

Frascolin prova ad entrare in conversazione con lui per mezzo del pilota. Lo stregone assume allora una faccia così feroce e un aspetto così minaccioso che bisogna rinunciare a qualsiasi speranza di trarre

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anche una sola parola da quel porcospino figiano. Ma intanto, nonostante le raccomandazioni fattegli, Pinchinat si è

allontanato addentrandosi in un fitto bosco di banani scaglionati sul fianco della collina.

Quando Sébastien Zorn, Yvernès e Frascolin respinti dalle cattive maniere dello stregone stanno per lasciare Tampoo, si accorgono della scomparsa del loro compagno.

Intanto è venuta l'ora di tornare verso l'imbarcazione. Il riflusso non deve tardar molto a prodursi e bisogna approfittare delle poche ore che esso dura per ridiscendere il corso del Rewa.

Frascolin, preoccupato per la scomparsa di Pinchinat, comincia a chiamarlo ad alta voce.

Ma il suo appello rimane senza risposta. — Ma dove è finito?… — chiede Sébastien Zorn. — Non so… — risponde Yvernès. — Qualcuno di voi ha visto allontanarsi il vostro amico?… —

chiede il pilota. Nessuno l'ha visto. — Sarà senza dubbio tornato alla barca dalla parte del villaggio…

— dice Frascolin. — Ha avuto torto — risponde il pilota. — Ma non perdiamo

tempo e raggiungiamolo. Si parte, in preda ad una viva ansietà. Questo Pinchinat combina

sempre qualche guaio e il considerare immaginaria la ferocia di questi indigeni rimasti tanto ostinatamente selvaggi può esporlo a gravissimi pericoli.

Attraversando Tampoo il pilota osserva con una certa apprensione che non si vede più nessun figiano. Tutte le porte delle capanne sono chiuse, non vi è più nessun gruppo davanti alla capanna del capo, le donne intente alla preparazione del curcuma sono scomparse. Sembra che il villaggio sia stato abbandonato nell'ultima ora.

La piccola comitiva allora affretta il passo. Ogni tanto chiamano l'assente, ma l'assente non risponde. Non è dunque arrivato al punto dove la barca è stata ormeggiata?… O forse nemmeno la barca si trova più in quel posto sotto la guardia del macchinista e dei due marinai?…

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Ci sono ancora poche centinaia di passi da percorrere. Si affrettano e appena usciti dal limite della boscaglia vedono la lancia e i tre uomini fermi al loro posto.

— Il nostro compagno… — grida Frascolin. — Non è con voi?… — risponde il macchinista. — No… da una mezz'ora… — Non è tornato?… — domanda Yvernès. — No. Che cosa è dunque avvenuto a quell'imprudente? Il pilota non

nasconde la sua immensa preoccupazione. — Bisogna ritornare al villaggio — dice Sébastien Zorn, — non

possiamo abbandonare Pinchinat. La lancia viene lasciata in guardia ad uno dei marinai benché

forse può essere pericoloso agire così. Ma questa volta è meglio tornare a Tampoo in forze e bene armati. Si debbano pure metter sottosopra tutte le capanne, non si lascerà il villaggio, non si tornerà a Standard-Island senza prima aver ritrovato Pinchinat.

Si riprende la strada di Tampoo. Stesso abbandono di prima nel villaggio, e nei dintorni. Dove si è rifugiata dunque tutta la popolazione? Per le strade non si sente nessun rumore e le capanne sono vuote.

Purtroppo non si possono più avere dubbi, Pinchinat si è avventurato nel bosco dei banani… è stato catturato… trascinato via… dove?… quanto alla sorte che gli è riservata da quei cannibali di cui egli si era tanto burlato è fin troppo facile immaginarla!… Le ricerche nei dintorni di Tampoo non porterebbero a nessun risultato… Come ritrovare una pista in mezzo a quella selvaggia regione, in quell'intrico d'alberi che solo i figiani conoscono?… Inoltre non c'è da temere che essi vogliano impadronirsi dell'imbarcazione custodita da un solo marinaio?… Se avvenisse quella disgrazia ogni speranza di liberare Pinchinat sarebbe perduta e la salvezza dei suoi compagni compromessa.

La disperazione di Frascolin, d'Yvernès e di Sébastien Zorn non si può descrivere. Che cosa fare?… Il pilota e il macchinista non sanno più a qual partito appigliarsi.

Allora Frascolin, che ha mantenuto il suo sangue freddo, dice:

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— Torniamo a Standard-Island. — Senza il nostro compagno?… — esclama Yvernès. — Come puoi pensarlo?… — aggiunge Sébastien Zorn. — Non vedo altra decisione da prendere — risponde Frascolin. —

Bisogna che il governatore di Standard-Island sia avvertito… che le autorità di Viti-Levu siano avvisate e si tengano pronte ad agire…

— Sì… partiamo — consiglia il pilota — e se vogliamo approfittare della marea calante non abbiamo un minuto da perdere.

— È l'unico mezzo di salvare Pinchinat — esclama Frascolin, — seppure non è già troppo tardi.

L'unico mezzo, infatti. Si lascia Tampoo col timore di non ritrovare la lancia al suo posto.

Invano il nome di Pinchinat viene gridato da tutte le bocche! E se fossero meno turbati, forse il pilota e i suoi compagni potrebbero vedere dietro i cespugli alcuni di quei feroci figiani intenti a spiare la loro partenza.

L'imbarcazione non è stata disturbata. Il marinaio non ha veduto nessuno gironzolare sulle rive del Rewa.

Con inesprimibile stringimento di cuore Sébastien Zorn, Frascolin e Yvernès si decidono a prender posto nell'imbarcazione… esitano… chiamano ancora… ma come ha detto con ragione Frascolin, bisogna partire ed è necessario farlo.

Il macchinista mette in azione gli accumulatori, e la lancia aiutata dal riflusso discende il corso del Rewa a velocità prodigiosa.

Alle sei viene passata la punta occidentale del delta e mezz'ora dopo la lancia si trova nel porto di Tribord-Harbour. In un quarto d'ora Frascolin e i suoi due compagni trasportati dal tram raggiungono Milliard-City e si recano al Municipio.

Cyrus Bikerstaff, messo al corrente della situazione, si fa condurre a Suva e là chiede un colloquio, che gli viene subito accordato, al governatore generale dell'arcipelago.

Quando quel rappresentante della regina apprende ciò che è avvenuto a Tampoo, non nasconde che la cosa è molto grave… Quel francese in mano a una di quelle tribù dell'interno che sfuggono ad ogni autorità…

— Disgraziatamente — egli aggiunge — non possiamo tentare

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nulla prima di domani. Le nostre imbarcazioni non possono risalire fino a Tampoo, affrontando il Rewa controcorrente. D'altronde è indispensabile andare in molti, e la via più sicura sarebbe quella di prendere per la boscaglia…

— Sia — risponde Cyrus Bikerstaff — ma non è domani che si deve partire, ma subito…

— Ma io — replica il governatore — non ho a mia disposizione gli uomini necessari.

— Li abbiamo noi, signore — ribatte Cyrus Bikerstaff. — Prendete dunque le misure per unirvi i vostri soldati della milizia, agli ordini di uno dei vostri ufficiali che conosca il paese…

— Perdonate, signore — risponde seccamente Sua Eccellenza — io non ho l'abitudine…

— Perdonate anche voi — lo interrompe Cyrus Bikerstaff, — ma vi prevengo che se non agite subito, se il nostro amico, il nostro ospite non ci è reso subito, la responsabilità ricadrà su di voi e…

— E?… — chiede il governatore con alterigia. — Le batterie di Standard-Island distruggeranno Suva da cima a

fondo, la vostra capitale e tutte le proprietà straniere, siano esse inglesi o tedesche.

L'ultimatum è formale e non c'è che da sottomettervisi. I pochi cannoni dell'isola non potrebbero tenere testa all'artiglieria di Standard-Island. Il governatore dunque si sottomette, ed avrebbe certo fatto meglio se in nome dell'umanità l'avesse fatto con un po' più di buona grazia.

Mezz'ora dopo un centinaio d'uomini, marinai e soldati, sbarcano a Suva agli ordini del commodoro Simcoë che ha voluto mettersi a capo di quella spedizione.

Il sovrintendente, Sébastien Zorn, Yvernès, Frascolin gli sono accanto. Una squadra della gendarmeria di Viti-Levu si è unita a loro.

Una volta partita, la comitiva si getta attraverso la boscaglia aggirando la baia del Rewa, sotto la direzione del pilota che conosce quelle difficili regioni dell'interno. Si taglia per la via più breve, con passo rapido per giungere a Tampoo nel minor tempo possibile…

Non è necessario andare fino al villaggio. Verso l'una dopo

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mezzanotte si ordina alla colonna di far alt. Nel più profondo d'una macchia quasi impenetrabile si è avvistata

la luce di un fuoco. Certo là sono radunati dei nativi di Tampoo, poiché il villaggio non si trova che a mezz'ora di cammino verso est.

Il commodoro Simcoë, il pilota, Calistus Munbar e i tre parigini avanzano…

Non hanno fatto cento passi che si arrestano e rimangono immobili…

Davanti a un fuoco ardente, circondato da una folla tumultuosa di uomini e di donne, Pinchinat seminudo è legato ad un albero… e il capo fìgiano corre verso di lui brandendo un'ascia…

— Corriamo!… corriamo!… — grida il commodoro Simcoë ai marinai e ai soldati.

Sorpresa e improvviso terrore molto giustificato fra gli indigeni a cui il distaccamento non risparmia né le fucilate né i colpi di calcio di fucile. In un batter d'occhio la radura rimane vuota e tutta la banda si disperde nella foresta…

Pinchinat, slegato dall'albero, cade fra le braccia dell'amico Frascolin.

Come descrivere la gioia di quegli artisti, di quei fratelli? Gioia cui però vengono a mescolarsi lacrime e ben meritati rimproveri.

— Ma disgraziato! — urla il violoncellista. — Perché diavolo ti è venuto in mente di allontanarti?…

— Disgraziato finché vuoi, vecchio Sébastien — risponde Pinchinat, — ma ora non mortificare un violino così poco vestito come sono io in questo momento… datemi qualche cosa, in modo che possa presentarmi in maniera più adeguata davanti alle autorità.

I suoi abiti vengono ritrovati ai piedi di un albero ed egli se li rimette conservando sempre il più bel sangue freddo del mondo. Quando poi si ritrova «presentabile», si reca a stringere la mano al commodoro Simcoë e al sovrintendente.

— Vediamo — gli dice Calistus Munbar, — ci credete ora… al cannibalismo dei figiani?…

— Non tanto cannibali, poi, questi figli di cani — risponde Sua Altezza — visto che sono ancora tutto intero.

— Sempre lo stesso burlone indiavolato — esclama Frascolin.

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— E sapete che cosa mi seccava di più in quella situazione di selvaggina umana sul punto d'esser messa allo spiedo?… — domanda Pinchinat.

— Che sia impiccato se arrivo a indovinarlo!… — fa Yvernès. — Beh, non tanto il fatto di essere mangiato con le mani da questi

indigeni!… no! Ma il dover essere divorato da un selvaggio in frac… in frac azzurro a bottoni d'oro… con un ombrello sotto il braccio… un orribile prodotto inglese!

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CAPITOLO X

CAMBIAMENTO DI PROPRIETÀ

LA PARTENZA di Standard-Island viene fissata per il 2 febbraio. Il giorno prima, terminate le loro escursioni, i vari viaggiatori sono tutti ritornati a Milliard-City. L'avventura di Pinchinat ha suscitato molto rumore. Tutto il Gioiello del Pacifico ha preso posizione a favore di Sua Altezza, tanta è la simpatia di cui il quartetto gode a Milliard-City. Il consiglio dei notabili dà la sua completa approvazione all'energica condotta del governatore Cyrus Bikerstaff. E i giornali lo felicitano vivamente. Pinchinat dunque è diventato l'uomo del giorno. Vi figurate un suonatore di viola andare a finir la sua carriera artistica nello stomaco di un figiano?… Egli conviene che gli indigeni di Viti-Levu non hanno assolutamente rinunciato ai loro gusti antropofagi.

Dopo tutto, è tanto buona la carne umana, a sentir loro, e quel demonio di un Pinchinat è tanto appetitoso!

Standard-Island salpa all'alba e mette la prua sulle Nuove Ebridi. Questa deviazione la allontanerà di una decina di gradi, ossia duecento leghe verso ovest: ma non si può evitarla, poiché si devono depositare alle Nuove Ebridi il capitano Sarol e i suoi compagni. Del resto non è il caso di lamentarsene. Ognuno è felice di rendere un servizio a quella brava gente che ha dimostrato tanto coraggio nella lotta contro le fiere. E poi sembrano tanto soddisfatti di essere rimpatriati in quelle condizioni, dopo una così lunga assenza! Infine è una bella occasione per visitare quel gruppo di isole che i milliardesi non conoscono ancora.

La navigazione si effettua con voluta lentezza. Infatti è nei paraggi compresi fra le Figi e le Nuove Ebridi, a 170° 35' di longitudine est e i 19° 13' di latitudine sud che il piroscafo proveniente da Marsiglia per conto delle famiglie Tankerdon e

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Coverley deve raggiungere Standard-Island. Naturalmente il matrimonio di Walter con la signorina Dy è

sempre l'oggetto della preoccupazione generale. Si può forse pensare ad altro? Calistus Munbar non può più disporre di un solo minuto. Prepara, combina i diversi elementi di una festa che verrà elencata tra i fasti dell'isola a elica. Se egli si consuma in quella bisogna, ciò non può sorprendere nessuno.

Standard-Island procede a una media di soli 20 o 25 chilometri ogni 24 ore. Giunge in vista di Viti, le cui magnifiche coste sono coperte da foreste lussureggianti di un verde profondo. Si impiegano tre giorni a spostarsi su quelle acque tranquille, dall'isola Wanara fino all'isola Rotonda. Il passaggio, a cui le carte danno il nome di quest'ultima isola, permette ampiamente il transito al Gioiello del Pacifico che vi si immette dolcemente. Un gran numero di balene turbate e spaventate vengono a scontrarsi contro lo scafo d'acciaio dell'isola che risuona sotto quei colpi. Ma si può star sicuri: le lastre dei compartimenti sono solide e non c'è da temere nessuna avaria.

Finalmente, nel pomeriggio del 6, le ultime cime delle Figi spariscono sotto l'orizzonte. Il commodoro Simcoë abbandona così il dominio polinesiano dell'oceano Pacifico per quello melanesiano.

Nei tre giorni che seguono, Standard-Island continua a procedere verso ovest, dopo aver raggiunto il diciannovesimo grado di latitudine. Il 10 febbraio, si trova nei paraggi in cui il piroscafo atteso dall'Europa deve raggiungerla. Il punto, riportato sugli avvisi di Milliard-City è conosciuto da tutti gli abitanti. Le sentinelle dell'osservatorio erano sul chi vive. L'orizzonte è scandagliato da centinaia di cannocchiali e non appena il bastimento verrà segnalato… Tutta la popolazione è in attesa… Non si tratta forse di una specie di prologo di quello spettacolo tanto richiesto dal pubblico e che si concluderà con il matrimonio di Walter Tankerdon e della signorina Dy Coverley?

Standard-Island dunque non deve far altro che rimanere stazionaria, e mantenersi contro le correnti di quei mari rinserrati fra gli arcipelaghi. Di conseguenza il commodoro Simcoë dà i suoi ordini, e gli ufficiali badano che vengano eseguiti.

— Decisamente questa situazione è interessantissima —

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commenta quel giorno Yvernès. Era durante le due ore di riposo che i suoi compagni e lui si

trovavano insieme abitualmente dopo la colazione di mezzogiorno. — Sì… — risponde Frascolin — e così non dovremo rimpiangere

questa crociera a bordo di Standard-Island… checché ne pensi il nostro amico Zorn.

— E la sua eterna luna… luna maggiore con cinque diesis — riprende Pinchinat.

— Sì… e soprattutto quando sarà finita la crociera, — replica il violoncellista — e quando avremo intascato il quarto trimestre degli stipendi che avremo ben guadagnati…

— Eh! — dice Yvernès — la Compagnia ce ne ha già pagati tre dalla nostra partenza, e approvo molto che Frascolin, il nostro prezioso contabile, abbia spedito questa grossa somma alla banca di New-York.

E infatti il prezioso contabile ha creduto prudente versare il danaro, tramite i banchieri di Milliard-City, in una delle più serie casse dell'Unione. Non per diffidenza, ma solamente perché una cassa fissa sembra poter offrire maggiore sicurezza di una cassa galleggiante, al disopra di cinque o seimila metri di profondità, quanti in media ne misura il Pacifico.

Durante questa conversazione, fra le volute profumate dei sigari e delle pipe, Yvernès è indotto a fare la seguente osservazione.

— Amici miei, le feste del matrimonio promettono di essere splendide. Il nostro sovrintendente non risparmia né l'immaginazione né i fastidi, s'intende. Vi saranno piogge di dollari, le fontane di Milliard-City verseranno vini generosi, non ne dubito. Eppure sapete che cosa mancherà a questa cerimonia?

— Una cataratta d'oro liquido stillante sopra scogli di diamante! — suggerisce Pinchinat.

— No — risponde Yvernès — una cantata… — Una cantata? — ripete Frascolin. — Certamente… — dice Yvernès. — Si farà della musica, noi

eseguiremo i nostri pezzi più in voga, adatti per la circostanza… Ma se non vi è la cantata, il canto nuziale, l'epitalamio per gli sposi…

— Perché no, Yvernès? — fa Frascolin. — Se ti vuoi incaricare di

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far la rima fra core e amore e fra giorno e adorno per una dozzina di versi di misura ineguale, Sébastien Zorn che si è già cimentato come compositore, non domanderà di meglio che mettere in musica la tua poesia.

— Ottima idea! — esclama Pinchinat. — Ti va l'idea, vecchio brontolone?… Qualche cosa di molto matrimoniale con molti spiccato, allegro, molto agitato, e una coda fantastica… a cinque dollari la nota.

— No, questa volta si fa gratis — risponde Frascolin. — Sarà l'omaggio del Quartetto Orchestrale a questi nababbissimi di Standard-Island.

Si decide così, e il violoncellista si dichiara pronto a implorare le ispirazioni dal dio della Musica, se il dìo della poesia ispirerà il cuore di Yvernès. E da questa nobile collaborazione doveva uscire la Cantata delle Cantate, a imitazione del Cantico dei Cantici, in onore dei Tankerdon, uniti ai Coverley.

Nel pomeriggio del 10 si sparge la voce che un grande piroscafo proveniente da nord-est è stato avvistato. La sua nazionalità non può venire ancora riconosciuta poiché esso dista ancora una decina di miglia, al momento in cui le nebbie del crepuscolo hanno oscurato il mare.

Quel piroscafo sembrava forzare le macchine, e si può stare sicuri che si dirige verso Standard-Island. Molto probabilmente accosterà l'indomani al levar del sole.

La notizia produce un effetto indescrivibile. Tutte le immaginazioni femminili sono in subbuglio al pensiero delle meraviglie di oreficeria, di mode, di oggetti d'arte, portate da quella nave trasformata in enorme corredo di nozze… della forza di cinque-seicento cavalli!

Infatti non ci si è sbagliati, e quella nave si dirige proprio a Standard-Island. Così, il mattino successivo ha superato la diga foranea di Tribord-Harbour, issando al picco di mezzana la bandiera della Standard-Island Company.

A un tratto, altra notizia che i telefoni trasmettono a Milliard-City: la bandiera del bastimento è a mezz'asta.

Che cosa è accaduto?… Una disgrazia… un decesso a bordo?

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Sarebbe un auspicio sgradevole per un matrimonio che deve assicurare l'avvenire di Standard-Island.

Ma ecco ancora dell'altro. La nave in questione non è affatto quella attesa e non viene dall'Europa. Viene dal litorale americano, e precisamente da Madeleine-bay, In ogni caso il piroscafo carico del ricco corredo nuziale non è in ritardo. La data del matrimonio è fissata per il 27 e si è solo all'11 febbraio, perciò esso ha tutto il tempo di giungere.

Allora cosa vuole quest'altra nave? Che notizia porta?… Perché quella bandiera a mezz'asta?… Perché la Compagnia l'ha inviata fino in questi paraggi delle Nuove Ebridi, dove sapeva d'incontrare Standard-Island?…

Doveva forse fare ai milliardesi qualche urgente comunicazione di gravità eccezionale?

Sì, e non si tarderà a conoscerla. Non appena il bastimento ha gettato l'ancora, ne sbarca un

passeggero. È uno degli agenti superiori della Compagnia, il quale rifiuta di

rispondere alle domande dei molti e impazienti curiosi, accorsi sul molo di Tribord-Harbour.

Un tram è pronto per partire, e senza perdere un minuto, l'agente balza su una delle vetture.

Dieci minuti dopo, arrivato al Municipio, egli chiede udienza al governatore «per un affare urgente», udienza che gli viene subito concessa.

Cyrus Bikerstaff riceve l'agente nel suo ufficio a porte chiuse. Non è trascorso un quarto d'ora che ognuno dei membri del

consiglio dei trenta notabili viene avvertito telefonicamente di recarsi d'urgenza nella sala delle riunioni.

Frattanto le immaginazioni galoppano nei porti come in città e l'apprensione, tenendo dietro alla curiosità, raggiunge il colmo.

Alle otto meno venti il consiglio si riunisce sotto la presidenza del governatore, assistito dai suoi due aiutanti. L'agente fa allora la seguente dichiarazione:

«In data 23 gennaio la Standard-Island Company Limited è stata dichiarata fallita, ed il signor William T. Pomering è stato nominato

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liquidatore con pieni poteri per agire al meglio nell'interesse della detta Società».

Il signor William T. Pomering, al quale sono devolute queste funzioni, è l'agente in persona.

La notizia si diffonde, e la verità è che non provoca l'effetto che avrebbe prodotto in Europa. Che volete? Standard-Island è «un pezzo staccato del grande spartito degli Stati Uniti d'America», come dice Pinchinat. Ora, un fallimento non può certo sorprendere degli americani né tanto meno prenderli alla sprovvista… Non è forse una delle fasi naturali degli affari, un incidente accettabile ed accettato?… I milliardesi esaminano dunque il caso con la loro flemma abituale… La Compagnia è andata a picco… Va bene. È una cosa che può succedere alle più oneste società finanziarie… Il suo passivo è considerevole?… Considerevolissimo come fa rilevare il bilancio redatto dal liquidatore: cinquecento milioni di dollari, il che significa due miliardi e cinquecento milioni di franchi… E chi ha provocato questo fallimento?… Alcune speculazioni (insensate, dal momento che sono andate a finir male), ma che avrebbero potuto riuscire… un affare colossale per la fondazione di una nuova città su certi terreni dell'Arkansas che poi sono stati inghiottiti a causa di uno scoscendimento geologico che nulla aveva potuto far prevedere… Dopo tutto, non è stata colpa della Compagnia, poiché se i terreni sprofondano, non c'è da stupirsi che anche degli azionisti vadano a picco in conseguenza… Per quanto solida appaia l'Europa, ciò potrebbe capitare anche a lei un giorno o l'altro… Niente del genere da temere, invece, per Standard-Island e questo non dimostra forse vantaggiosamente la sua superiorità sopra i continenti e le altre isole terrestri?…

L'essenziale ora è agire. L'attivo della Compagnia si compone hic et nunc del valore dell'isola a elica, scafo, fabbriche, palazzi, case, campagna e flotta: in una parola tutto ciò che il natante dell'ingegner William Tersen sostiene, tutto ciò che ne dipende, e inoltre le costruzioni di Madeleine-bay. Vale la pena che si costituisca una nuova società per comprare tutto in blocco, sia all'amichevole, sia all'asta?… Sì… nessuna esitazione in proposito e il prodotto della vendita verrà erogato per liquidare i debiti della Compagnia… Ma,

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fondando la nuova società sarà necessario ricorrere a capitali stranieri?… I milliardesi non sono forse ricchi a sufficienza per comprarsi Standard-Island con le loro sole risorse?… Non è meglio che da semplici affittuari diventino i proprietari del Gioiello del Pacifico?… La loro amministrazione non varrà forse quella della Compagnia fallita?…

Si conosce del resto il numero dei miliardi contenuti nel portafogli dei membri del consiglio dei notabili. Perciò si conviene senza ritardo di comprare Standard-Island. Il liquidatore è autorizzato a trattare?… Lo è. Inoltre se la Compagnia ha qualche speranza di trovare a breve scadenza le somme necessarie alla sua liquidazione, non può averla meglio fondata che nelle tasche dei notabili di Milliard-City, alcuni dei quali risultano anche fra i suoi maggiori azionisti. Ora che la rivalità è cessata fra le due principali famiglie e le due sezioni della città, la cosa filerà liscia. Presso gli anglosassoni degli Stati Uniti le cose non vanno molto per le lunghe. I fondi perciò vengono raccolti seduta stante. Il consiglio dei notabili è del parere che sia inutile procedere ad una pubblica sottoscrizione. Jem Tankerdon, Nat Coverley e alcuni altri offrono 400 milioni di dollari. Nessuna discussione, del resto, su tale somma… Si deve prendere o lasciare… e il liquidatore prende.

Il consiglio si era riunito alle 8 e 13 minuti nella sala del Municipio. Quando si scioglie alle 9 e 47 minuti la proprietà di Standard-Island è passata nelle mani dei due «arciricchissimi» milliardesi e di qualche altro loro amico sotto la ragione sociale di Jem Tankerdon, Nat Coverley and Co.

Come la notizia del fallimento della Compagnia non ha, per così dire, recato alcun turbamento nella popolazione dell'isola a elica, così l'acquisto fattone dai principali notabili non produce nessuna emozione. Si trova la cosa naturalissima e, quand'anche si fosse dovuta raccogliere una somma più considerevole, i fondi si sarebbero trovati in un batter d'occhio. È una profonda soddisfazione per i milliardesi sapere che sono in casa propria o, per lo meno, che non dipendono più da una società straniera. Perciò il Gioiello del Pacifico, rappresentato da tutte le sue classi d'impiegati, agenti, funzionari, ufficiali, soldati e marinai, vuole ringraziare i due capi

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famiglia che hanno così ben compreso l'interesse generale. Quello stesso giorno, in un «meeting» tenuto in mezzo al parco

viene votata una mozione a tale proposito, seguita da una triplice salva di applausi. E subito viene nominata una commissione che invia alcuni deputati ai palazzi Tankerdon e Coverley.

Essa viene ricevuta benevolmente e riporta l'assicurazione che niente sarà cambiato nei regolamenti, usi e costumi di Standard-Island. L'amministrazione rimarrà quella che è! Tutti i funzionari conserveranno le loro funzioni e gli impiegati i loro impieghi.

E come avrebbe potuto essere altrimenti?… Risulta dunque da ciò che il commodoro Ethel Simcoë rimane

incaricato del servizio marittimo con la direzione suprema degli spostamenti di Standard-Island secondo l'itinerario stabilito dal consiglio dei notabili. Lo stesso avviene per il comando delle truppe, conservato dal colonnello Stewart. E lo stesso per i servizi dell'osservatorio che non vengono modificati, e la posizione d'astronomo del re di Malécarlie non è minacciata. Infine nessuno viene tolto dal posto che occupava né nei due porti né nelle fabbriche di energia elettrica né nell'amministrazione municipale. E quantunque nessun allievo frequenti il corso di danza e di belle maniere, nemmeno Athanase Dorémus viene licenziato dalla sua inutile carica.

Naturalmente nulla è cambiato nel contratto con il Quartetto Orchestrale il quale continuerà fino alla fine di quel viaggio a riscuotere gli inverosimili compensi che in base al contratto gli sono stati assegnati.

— Questa gente è veramente straordinaria! — dice Frascolin quando viene a sapere che l'affare è stato sistemato con soddisfazione di tutti.

— È perché hanno il miliardo facile! — risponde Pinchinat. — Forse avremmo potuto approfittare di questo cambiamento di

proprietario per rescindere il nostro contratto… — fa osservare Sébastien Zorn che non vuole abbandonare le sue assurde prevenzioni contro Standard-Island.

— Rescindere? — esclama Sua Altezza. — Ah, questa poi! Provaci solamente!

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E con la sinistra le cui dita si aprono e si chiudono come se dovesse suonare sulla quarta corda, minaccia di rifilare al violoncellista uno di quei pugni che riescono a raggiungere la velocità di otto metri e cinquanta al secondo.

Tuttavia una modifica verrà introdotta nella situazione del governatore. Cyrus Bikerstaff come diretto rappresentante della Standard-Island Company ritiene opportuno dover presentare le dimissioni. In realtà questa decisione appare logica allo stato attuale delle cose. Le dimissioni sono quindi accettate ma alle più onorevoli condizioni per il governatore. I suoi due aiutanti poi, Barthélemy Rudge e Hubley Harcourt, mezzo rovinati dal fallimento della Compagnia di cui erano grossi azionisti, intendono lasciare l'isola a elica con uno dei prossimi piroscafi.

Tuttavia Cyrus Bikerstaff accetta di rimanere a capo dell'amministrazione municipale fino alla fine della crociera.

Così quell'importante trasformazione finanziaria della proprietà di Standard-Island è avvenuta senza rumore e senza discussioni, senza cambiamenti e senza rivalità. E la cosa è stata condotta a termine tanto rapidamente e tanto saggiamente che in quello stesso giorno il liquidatore ha potuto reimbarcarsi portando con sé le firme dei compratori garantite dal consiglio dei notabili.

Quel personaggio poi, così prodigiosamente considerevole che risponde al nome di Calistus Munbar sovrintendente delle belle arti e dei divertimenti sullo stupefacente Gioiello del Pacifico, è semplicemente confermato nelle sue attribuzioni, emolumenti, benefici: e d'altronde come si sarebbe potuto trovare un successore a quell'uomo insostituibile?

— Via! — fa osservare Frascolin. — Tutto è andato per il meglio e l'avvenire di Standard-Island è stato assicurato in modo da non dover temere più nulla…

— Vedremo! — mormora il testardo violoncellista. Ecco in quali condizioni avrà luogo ora il matrimonio di Walter

Tankerdon con la signorina Dy Coverley. Le due famiglie verranno unite dagli interessi pecuniari che in America come altrove formano i più saldi vincoli sociali. E per i cittadini di Standard-Island questa è una vera assicurazione di prosperità. Dal momento in cui essa è

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divenuta proprietà dei principali milliardesi sembra che sia più indipendente di prima e ancor più padrona del suo destino! Prima, un cavo la univa a Madeleine-bay negli Stati Uniti, adesso questo cavo è stato spezzato.

Ed ora, dedichiamoci alla festa! E necessario insistere sulla gioia delle parti in causa, di descrivere

ciò che non si può descrivere, di dipingere la felicità che irradia intorno a loro? I due fidanzati non si lasciano più. Quello che era parso un matrimonio di convenienza, per Walter Tankerdon e Dy Coverley è invece un vero matrimonio d'amore. Ambedue si amano di un affetto nel quale – bisogna crederlo -l'interesse non entrava per nulla. La ragazza e il giovanotto possiedono quelle qualità che devono assicurare loro la più felice delle esistenze. Walter ha un'anima d'oro ed anche l'anima della signorina Dy è fatta dello stesso metallo (figuratamente s'intende e non nel senso materiale che sarebbe autorizzato dai loro milioni). Essi sono stati creati l'uno per l'altra, e mai questa frase piuttosto banale ha avuto significato più preciso. Essi contano i giorni e le ore che li separano dal tanto desiderato 27 febbraio. Rimpiangono una cosa sola, che Standard-Island cioè non si diriga verso il 180° di longitudine, perché venendo dall'occidente avrebbe potuto cancellare 24 ore dal suo calendario. La felicità dei futuri sposi sarebbe anticipata di un giorno. No! La cerimonia avrà luogo in vista delle Nuove Ebridi e bisogna rassegnarsi.

Osserviamo inoltre che il piroscafo carico di tutte le meraviglie europee, il «piroscafo-corredo» non è ancora arrivato. Ecco lì, per esempio, un lusso di cose di cui volentieri i due fidanzati farebbero a meno: che bisogno hanno di quelle magnificenze quasi regali? Si scambiano mutualmente il loro amore, e che cosa occorre loro di più?

Ma le famiglie, gli amici, la popolazione di Standard-Island desiderano che la cerimonia sia di un lusso straordinario. Perciò i cannocchiali sono ostinatamente puntati verso l'oriente. Jem Tankerdon e Nat Coverley hanno addirittura promesso un grosso premio a chi segnalerà per primo quel piroscafo che l'elica non spingerà avanti mai abbastanza in fretta quanto lo desidera

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l'impazienza del pubblico. Frattanto il programma della festa viene redatto con cura. Esso

comprende giochi, ricevimenti, la doppia cerimonia al tempio protestante e alla cattedrale cattolica, la serata di gala al Municipio, il ricevimento nel parco. Calistus Munbar pensa a tutto. Si prodiga, si divide, e si può anche dire che dal punto di vista della salute egli si rovina. Che cosa volete! il suo temperamento lo trascina e non si riuscirebbe a fermarlo proprio come non si riuscirebbe a bloccare un treno lanciato a gran velocità.

Anche la cantata è pronta. Yvernès, autore del testo, e Sébastien Zorn, autore della musica, si sono mostrati degni l'uno dell'altro. La cantata verrà eseguita dal coro di una società filarmonica espressamente fondata. L'effetto ne sarà grandioso quando essa risuonerà nel giardino dell'osservatorio, nella notte al chiarore della luce elettrica. Poi i giovani sposi compariranno davanti all'ufficiale di stato civile, mentre il matrimonio religioso verrà celebrato a mezzanotte in mezzo alla straordinaria illuminazione di Milliard-City.

Finalmente il piroscafo tanto atteso viene segnalato al largo. E il premio (un rispettabile numero di dollari) viene guadagnato da una delle vedette di Tribord-Harbour.

Sono le nove del mattino del 19 febbraio quando esso scapola la diga foranea del porto e lo sbarco incomincia subito.

È inutile dare l'elenco dettagliato degli articoli (gioielli, abiti, biancheria, oggetti d'arte) che compongono questo carico nuziale. Basti sapere che l'esposizione fattane nei vasti saloni di palazzo Coverley ottiene un successo senza pari. Tutta la popolazione di Milliard-City ha voluto sfilare davanti a quelle meraviglie. Che molti di questi personaggi inverosimilmente ricchi possano levarsi il gusto d'acquistare di quegli oggetti, passi. Ma bisogna anche tener conto del gusto, del senso artistico che ha presieduto alla loro scelta e non si potrebbe fare a meno di ammirarli. In ogni modo le straniere curiose di conoscere i nomi di tali articoli potranno consultare i numeri dello «Star-board-Chronicle» e del «New-Herald» del 21 e 22 febbraio. Se non ne sono soddisfatte, si deve proprio dire che la soddisfazione non è di questo mondo.

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— Corbezzoli! — dice semplicemente Yvernès dopo essere uscito dai saloni del palazzo della Quindicesima Avenue assieme ai suoi tre compagni.

— Corbezzoli, mi pare l'espressione più giusta — osserva Pinchinat. — Verrebbe voglia di sposar la signorina Dy Coverley senza dote… solamente per se stessa.

I giovani fidanzati, veramente, non hanno accordato che un'attenzione molto vaga a quell'ammasso di capolavori dell'arte e della moda.

Intanto dall'arrivo del piroscafo, Standard-Island ha ripreso la rotta verso ovest per raggiungere le Nuove Ebridi. Se si sarà in vista di una delle isole del gruppo prima del giorno 27 il capitano Sarol sbarcherà con i suoi compagni e Standard-Island inizierà la crociera di ritorno.

Ciò che faciliterà la navigazione in questi paraggi del Pacifico occidentale è che essi sono ben noti al capitano malese. Dietro richiesta del commodoro Simcoë che ha reclamato i suoi servigi, egli rimane in permanenza sulla torre dell'osservatorio. Appena le prime alture appariranno, niente sarà più facile dell'accostarsi all'isola Erromango, una delle più orientali del gruppo, il che permetterà di evitare i numerosi scogli delle Nuove Ebridi.

Sia un caso o sia che il capitano Sarol, desideroso di assistere ai festeggiamenti del matrimonio, faccia eseguire le manovre con una certa lentezza, le prime isole vengono segnalate solo nella mattina del 27 febbraio, precisamente il giorno fissato per la cerimonia nuziale.

Del resto, importa poco. Il matrimonio di Walter Tankerdon e della signorina Dy Coverley non sarà per questo meno felice celebrandosi in vista delle Nuove Ebridi e se ciò causa tanto piacere a quei bravi malesi (il che essi non dissimulano affatto) saranno liberi di prender parte alle feste di Standard-Island.

Dopo aver incontrato alcuni isolotti al largo e averli superati grazie alle precise indicazioni fornite dal capitano Sarol, l'isola a elica si dirige verso Erromango, lasciando a sud le alture dell'isola Tanna.

In questi paraggi Sébastien Zorn, Frascolin, Pinchinat e Yvernès

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non si trovano lontani (trecento miglia al massimo) dai possedimenti francesi di questa parte del Pacifico, cioè le isole Loyalty e la Nuova Caledonia, colonia penale situata agli antipodi della Francia.

Erromango, molto boscosa nell'interno, è accidentata da diverse colline ai cui piedi si stendono vaste pianure coltivate. Il commodoro Simcoë si ferma a un miglio dalla baia di Cook sulla costa orientale. Non sarebbe prudente d'avanzare di più, poiché le formazioni coralligene si spingono a fior d'acqua fino a mezzo miglio nel mare. Del resto l'intenzione del governatore Cyrus Bikerstaff non è di fermarsi dinanzi a quest'isola, né di sostare vicino a nessun'altra dell'arcipelago. Dopo le feste i malesi sbarcheranno e Standard-Island risalirà verso l'equatore per tornare a Madeleine-bay.

È l'una dopo mezzogiorno quando Standard-Island si ferma. Per ordine delle autorità tutti vengono lasciati in libertà,

funzionari e impiegati, marinai e soldati, eccezion fatta per i doganieri di guardia ai posti del litorale che niente deve distogliere dalla loro sorveglianza.

Inutile dire che il tempo è magnifico e rinfrescato dalla brezza marina. Per usare l'espressione consueta diremo che il «sole è della partita».

— Sicuramente — esclama Pinchinat, — questo disco orgoglioso sembra agli ordini di codesti ricconi! Se essi gli ordinassero, come un tempo Giosuè, di prolungare il giorno, esso obbedirebbe!… Oh! potenza dell'oro!

Non crediamo necessario insistere sulle diverse parti del programma sensazionale redatto dal sovrintendente ai divertimenti di Milliard-City. Fin dalle tre gli abitanti della campagna, della città e dei porti affluiscono nel parco lungo le rive del Serpentine-river. I notabili si uniscono familiarmente con il popolo. I giochi vengono seguiti con un entusiasmo a cui forse non è estraneo il desiderio dei premi che si possono guadagnare. Sono stati organizzati balli all'aria aperta. Ma quello più brillante è dato in una delle grandi sale del Casino dove i giovani, le signore e le giovinette gareggiano per grazia ed animazione. Yvernès e Pinchinat prendono parte a quelle danze non cedendo il posto a nessuno quando si tratta di far da cavalieri alle più graziose milliardesi. Sua Altezza non è mai stato

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tanto amabile, non ha mai avuto tanto spirito e non ha mai riportato un così grande successo. Non c'è da stupirsi quindi se al momento in cui una delle sue ballerine dopo i giri turbinosi di un valzer gli ha detto: «Ah! signore sono tutta in acqua» egli abbia osato risponderle: «Acqua di Colonia, signorina, acqua di Colonia!».

Frascolin, che lo ascolta, arrossisce fino alle orecchie e Yvernès, che pure lo ha udito, si domanda se i fulmini del cielo non verranno a cadere sulla testa del colpevole.

Aggiungiamo che le famiglie Tankerdon e Coverley sono al completo e le graziose sorelle della sposa si mostrano felicissime della sua felicità. La signorina Dy passeggia al braccio di Walter, cosa che non può ferire le convenienze trattandosi di cittadini originari della libera America. Si applaude a quel gruppo simpatico, lo si acclama, gli si offrono fiori e complimenti che sono ricevuti con la più perfetta amabilità.

Durante le ore successive, i rinfreschi serviti a profusione aumentano sempre più il buon umore del pubblico.

Venuta la sera, il parco comincia a risplendere della luce elettrica che le lune di alluminio rovesciano a fiotti. Il sole ha fatto bene a sparire sotto l'orizzonte! Avrebbe rischiato di restare umiliato dinanzi a quei fasci di luce artificiale che rendono la notte chiara quanto il giorno.

La cantata viene eseguita fra le nove e le dieci. Non conviene né al poeta né al compositore costatarne l'immenso successo. E forse in quel momento il violoncellista ha sentito svanire dal suo animo le sue ingiuste prevenzioni contro il Gioiello del Pacifico.

Alle undici un lungo corteo si dirige in processione verso il Municipio. Walter Tankerdon e la signorina Dy Coverley procedono in mezzo alle loro famiglie. Tutta la popolazione li accompagna risalendo la Prima Avenue.

Il governatore Cyrus Bikerstaff attende nel salone principale del palazzo municipale. Il più bel matrimonio che gli sia concesso di poter celebrare durante la sua carriera amministrativa sta finalmente per compiersi…

Ad un tratto alcune grida scoppiano verso l'ultimo quartiere della sezione sinistrese.

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Il corteo si ferma a mezza strada. Subito dopo le grida aumentano e in lontananza si odono

echeggiare delle detonazioni. Ed ecco che alcuni doganieri, parecchi dei quali feriti, si

precipitano entro il giardino del Municipio. L'ansietà è al colmo. Nella folla si propaga l'irragionevole

spavento che nasce da un pericolo sconosciuto… Cyrus Bikerstaff appare in cima alla gradinata dell'edificio seguito

dal commodoro Simcoë, dal colonnello Stewart e dai notabili che sono venuti a raggiungerlo.

I doganieri alle domande loro rivolte rispondono che Standard-Island è stata invasa da una banda di neo-ebridiani (tre o quattromila) e che il capitano Sarol è alla loro testa.

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CAPITOLO XI

ATTACCO E DIFESA

Così COMINCIA l'abominevole complotto preparato dal capitano Sarol e al quale hanno portato il loro concorso i malesi raccolti con lui a bordo di Standard-Island, i neo-ebridiani imbarcati alle Samoa, gli indigeni di Erromango e delle isole vicine. Come andrà a finire la vicenda? Non si potrebbe prevederlo, date le condizioni in cui è avvenuta quella brusca e terribile aggressione.

Il gruppo delle Nuove Ebridi comprende non meno di centocinquanta isole che, sotto la protezione dell'Inghilterra, formano una dipendenza geografica dell'Australia. Tuttavia qui come alle Salomone situate a nord-ovest degli stessi paraggi, la questione del protettorato è una specie di pomo della discordia tra la Francia e il Regno Unito. Ed anche gli Stati Uniti non vedono affatto di buon occhio lo stabilirsi di colonie europee in mezzo a un oceano di cui pensano sempre a rivendicare il godimento esclusivo. La Gran Bretagna piantando la sua bandiera su quei diversi gruppi ha cercato sempre di procurarsi uno scalo di vettovagliamento che le sarebbe poi indispensabile qualora le colonie australiane sfuggissero all'autorità del Foreign-Office.

La popolazione delle Nuove Ebridi si compone di negri e di malesi di origine kanaca. Ma il carattere di quegli indigeni, il loro temperamento e i loro istinti differiscono a seconda che essi appartengano alle isole settentrionali o a quelle meridionali, il che permette di dividere quell'arcipelago in due gruppi.

In quello settentrionale, all'isola Santo, nella baia di San Filippo, il tipo è meno primitivo, la tinta meno scura, la capigliatura meno crespa. Gli uomini tarchiati e robusti, dolci e pacifici, non hanno mai attaccato né le case né le navi europee. Lo stesso accade all'isola Vate o Sandwich dove parecchie borgate sono fiorenti, fra cui quella

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di Port-Vila, capitale dell'arcipelago (che porta anche il nome di Franceville), dove i coloni fruiscono dei prodotti di un suolo feracissimo, di pascoli rigogliosi, di campi adattissimi ad ogni coltura, di terreni favorevoli alle piantagioni di caffè, di banani, di cocco, e alla fruttuosa industria dei «coprahmakers».37 In quel gruppo le abitudini degli indigeni sono state completamente modificate dall'arrivo degli europei. Il loro livello morale e intellettuale si è elevato. Grazie agli sforzi dei missionari, le scene di cannibalismo, prima tanto frequenti, non si producono più. Disgraziatamente la razza kanaca tende a sparire ed è evidentissimo che finirà con lo spegnersi a detrimento di quel gruppo settentrionale dove essa si è trasformata a contatto della civiltà europea.

Ma questi rimpianti sarebbero fuori luogo a proposito delle isole meridionali dell'arcipelago. Non è perciò senza ragione che il capitano Sarol ha scelto il gruppo del sud per organizzarvi il suo criminoso tentativo contro Standard-Island. Su quelle isole gli indigeni, restati veri papou, sono relegati sullo scalino più basso della scala umana, a Tanna come a Erromango. Di quest'ultima soprattutto, un vecchio pescatore ha avuto ragione di dire al dottor Hayen: «Se quest'isola potesse parlare, racconterebbe cose da far rizzare i capelli in testa!».

Infatti la razza di questi kanachi d'origine inferiore non ha avuto la fusione con il sangue polinesiano come è avvenuto nelle isole settentrionali. A Erromango, su duemilacinquecento abitanti, i missionari inglesi (di cui cinque sono stati massacrati dal 1839 in qua) non sono riusciti a convertirne al cristianesimo che una metà. Gli altri sono rimasti pagani. D'altronde, convertiti o no, tutti rappresentano ancora il tipo di quegli indigeni feroci che meritano la loro triste reputazione, benché siano di fisico più meschino, di costituzione meno robusta che non gli indigeni dell'isola Santo o della Sandwich. Da ciò naturalmente derivano guai seri contro i quali i viaggiatori che si avventurano nel gruppo del sud debbono premunirsi.

37 Industria che utilizza le noci di cocco che, dopo essere state aperte e disseccate al sole o al fuoco, forniscono quella polpa chiamata anche «copra» che si adopera nella composizione dei saponi di Marsiglia. (Nota della prima edizione francese.)

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Citiamo qualche esempio: Cinquant'anni or sono furono esercitati atti di pirateria contro il

brigantino Aurore, atti che dovettero venire severamente rintuzzati dalla Francia. Nel 1869 il missionario Gordon fu ucciso a colpi d'ascia. Nel 1875 l'equipaggio di una nave inglese, sorpreso a tradimento, fu massacrato e divorato dai cannibali. Nel 1894 nei vicini arcipelaghi della Luisiade, all'isola Rossel, un negoziante francese coi suoi operai, il capitano di una nave cinese col suo equipaggio, perirono sotto i colpi degli antropofago Finalmente l'incrociatore inglese Royalist fu forzato ad iniziare una campagna per punire quelle popolazioni selvagge che avevano massacrato un così gran numero di europei. E Pinchinat, sfuggito di recente ai terribili denti dei figiani, quando gli viene raccontata questa storia si guarda bene dall'alzare le spalle.

Ecco com'è la popolazione tra cui il capitano Sarol ha reclutato i suoi complici. Egli ha promesso loro il saccheggio di quell'opulento Gioiello del Pacifico di cui nessun abitante deve essere risparmiato. Dei selvaggi che attendevano la sua apparizione nelle vicinanze di Erromango, ne sono venuti dalle isole vicine separate da stretti bracci di mare, principalmente da Tanna la quale non è che a trentacinque miglia più a sud. Ed è di qui che sono venuti i robusti nativi di Wanissi, terribili adoratori del dio Teapolo, e che vivono quasi completamente nudi; e gli indigeni della Spiaggia Nera, di Sangalli, i più feroci e i più temuti di tutto l'arcipelago.

Ma dal fatto che il gruppo settentrionale è relativamente meno selvaggio, non bisogna concludere che esso non abbia fornito nessun contingente al capitano Sarol. A nord dell'isola Sandwich si trova l'isola di Api coi suoi diciottomila abitanti che divorano i loro prigionieri riservandone il torso ai giovani, le braccia e le cosce agli adulti, e gli intestini a cani e a maiali. Vi è l'isola di Paama con le sue feroci tribù che non la cedono in nulla ai nativi di Api. Vi è l'isola di Mallicolo, coi suoi kanachi antropofagi. E vi è finalmente l'isola Aurora, una delle più temibili dove non risiede nessun bianco, e dove pochi anni prima era stato massacrato l'equipaggio di una nave di nazionalità francese. Da queste diverse isole sono venuti rinforzi al capitano Sarol.

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Appena Standard-Island è comparsa, quando essa si è trovata a poche lunghezze di cavo da Erromango, il capitano Sarol ha inviato il segnale atteso dagli indigeni.

In pochi minuti le rocce a fior d'acqua hanno lasciato passare tre o quattromila selvaggi.

Il pericolo è gravissimo perché quei neo-ebridiani scatenati sulla città milliardese non indietreggeranno dinanzi a nessun attentato e a nessuna violenza. Essi hanno dalla loro parte il vantaggio della sorpresa e sono non solo armati di lunghe lance a punta d'osso che producono pericolosissime ferite, e di frecce avvelenate con una specie di veleno vegetale, ma hanno anche fucili Snyder il cui uso è molto diffuso nell'arcipelago.

Fin dal principio di questa invasione preparata da lungo tempo dato che è lo stesso capitano Sarol a procedere alla testa degli assalitori, si sono chiamati all'appello i soldati, i marinai, i funzionari e quanti sono in grado di combattere.

Cyrus Bikerstaff, il commodoro Simcoë e il colonnello Stewart hanno conservato il loro sangue freddo. Il re di Malécarlie ha offerto i suoi servigi e se non ha più il vigore della giovinezza ne ha almeno il coraggio. Gli indigeni sono ancora lontani dalla parte di Babord-Harbour, dove il capitano del porto tenta di organizzare la resistenza; ma non c'è dubbio che le bande non tarderanno a precipitarsi sulla città.

Prima di tutto si dà ordine di chiudere le porte della cinta di Milliard-City dove si era riunita quasi tutta la popolazione per assistere alle feste del matrimonio. Non si potrà impedire che la campagna e il parco siano saccheggiati. Ci sarà da temere che i due porti e le fabbriche d'energia elettrica vengano devastati: e forse non si potrà impedire che le batterie dello Sperone e di Poppa siano distrutte. La sventura più grave sarebbe se l'artiglieria di Standard-Island venisse rivolta contro la città; e non è impossibile che i malesi sappiano manovrarla…

Prima di tutto, su proposta del re di Malécarlie vengono fatti entrare nel Municipio la maggior parte delle donne e dei fanciulli.

Questo vasto edificio è, come il resto dell'isola, piombato nella più profonda oscurità poiché dal momento che i macchinisti hanno

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dovuto fuggire davanti agli assalitori, le apparecchiature elettriche avevano cessato di funzionare.

Intanto, per cura del commodoro Simcoë, le armi depositate al Municipio vengono distribuite ai soldati e ai marinai e le munizioni non faranno loro difetto. Walter, lasciata la sua Dy con le signore Tankerdon e Coverley, ha raggiunto il gruppo in cui si trovano Jem Tankerdon, Nat Coverley, Calistus Munbar, Pinchinat, Yvernès, Frascolin, e Sébastien Zorn.

— Lo dicevo… che doveva finire pressappoco così!… — mormora il violoncellista.

— Ma non è finita affatto! — esclama il sovrintendente — No! non è finita e non sarà certo la nostra cara Standard-Island a soccombere davanti a una masnada di kanachi!

Ben detto, Calistus Munbar! E capiamo come la collera ti divori al pensiero che quei briganti di neo-ebridiani abbiano interrotto una festa tanto bene organizzata! Sì! bisogna sperare che vengano respinti… disgraziatamente, se non sono superiori di numero, perlomeno hanno il vantaggio dell'offensiva.

Frattanto in lontananza continuano a farsi sentire le detonazioni in direzione dei due porti. Il capitano Sarol ha cominciato con interrompere il funzionamento delle eliche perché Standard-Island non si allontani da Erromango dove è la sua base d'operazione.

Il governatore, il re di Malécarlie, il commodoro Simcoë e il colonnello Stewart riuniti in comitato di difesa dapprima hanno pensato di fare una sortita. Ma sarebbe stato sacrificare parecchi di quei difensori di cui c'è tanto bisogno. Da quei selvaggi non si può sperare più che da quelle fiere che quindici giorni prima avevano invaso Standard-Island. Inoltre non tenterebbero di mandarla a incagliarsi sugli scogli di Erromango per poi abbandonarla al saccheggio?…

Un'ora dopo gli assalitori sono arrivati davanti ai cancelli di Milliard-City. Provano ad abbatterli, ma essi resistono. Tentano di superarli, ma ne vengono impediti a colpi di fucile.

Poiché Milliard-City non si è potuta sorprendere fin dal principio, diventa difficile forzarne la cinta, in mezzo a quella profonda oscurità. Perciò il capitano Sarol riconduce gli indigeni verso il parco

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e la campagna dove attenderà il giorno. Fra le quattro e le cinque del mattino i primi albori imbiancano

l'orizzonte a oriente. I soldati e i marinai agli ordini del commodoro Simcoë e del colonnello Stewart, lasciata la metà dei loro effettivi al Municipio, si riuniscono nel giardino dell'osservatorio pensando che il capitano Sarol voglia forzare i cancelli da quella parte. Poiché nessun soccorso può venire dall'esterno, bisogna a tutti i costi impedire agli indigeni di entrare nella città.

Il quartetto ha seguito i difensori che i loro ufficiali guidano verso l'estremità della Prima Avenue.

— Essere sfuggito ai cannibali delle Figi — esclama Pinchinat — e ora essere obbligato a difendere le proprie costolette dai cannibali delle Nuove Ebridi!…

— Non ci mangeranno tutti interi, diavolo! — risponde Yvernès. — Ed io resisterò fino al mio ultimo pezzetto — aggiunge

Frascolin — come l'eroe di Labiche. Sébastien Zorn invece rimane silenzioso. Si sa che cosa pensa di

questa avventura, — il che però non gli impedirà di fare il suo dovere.

Fin dai primi albori ci si comincia a scambiare fucilate attraverso i cancelli del giardino. I difensori all'interno del recinto dell'osservatorio sono coraggiosi. Vi sono vittime da una parte e dall'altra. Dalla parte dei milliardesi Jem Tankerdon è ferito alla spalla, leggermente e perciò non vuole abbandonare il suo posto. Nat Coverley e Walter si battono in prima fila. Il re di Malécarlie, sfidando le palle degli Snyder, cerca di prendere di mira il capitano Sarol, il quale non si risparmia in mezzo agli indigeni.

Veramente gli assalitori sono tanti, troppi! Tutti i combattenti che Erromango, Tanna e le altre isole vicine hanno potuto fornire si sono scagliati contro Milliard-City. Una fortunata combinazione però – e il commodoro Simcoë può constatarlo – è che Standard-Island invece di essere trascinata verso Erromango se ne allontana sotto l'influenza di una leggera corrente, dirigendosi verso il gruppo settentrionale, quantunque sarebbe stato meglio far rotta verso il largo.

Nondimeno il tempo passa, gli indigeni raddoppiano gli sforzi e nonostante la loro coraggiosa resistenza, i difensori non riusciranno a

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trattenerli. Verso le dieci i cancelli vengono sfondati. Davanti alla folla urlante che invade il giardino, il commodoro Simcoë è costretto a ritirarsi verso il Municipio, dove bisognerà difendersi come in una fortezza.

Pur indietreggiando, i soldati e i marinai cedono passo a passo. Forse ora che hanno forzato la cinta della città i neo-ebridiani trascinati dall'istinto del saccheggio si disperderanno per i vari quartieri, il che permetterebbe ai milliardesi di riacquistare un certo vantaggio…

Vana speranza! Il capitano Sarol non lascerà che gli indigeni si scaglino fuori della Prima Avenue! Di là essi muoveranno all'assalto del Municipio dove elimineranno gli ultimi sforzi degli assediati. Quando il capitano Sarol ne sarà divenuto padrone, allora la vittoria sarà definitiva e l'ora del saccheggio e del massacro sarà suonata.

— Decisamente… sono troppi! — fa Frascolin a cui un colpo di zagaglia aveva sfiorato il braccio.

E le frecce e i proiettili fioccano mentre si affretta la ritirata. Verso le due i difensori sono stati sloggiati fino al giardino del

Municipio. Da ambedue le parti si contano già una cinquantina di morti, di feriti il doppio o il triplo. Prima che il Municipio sia invaso dagli indigeni, i difensori vi si precipitano, vi si chiudono, obbligando le donne e i fanciulli a cercare rifugio negli appartamenti interni dove potranno essere al riparo dai proiettili. Quindi Cyrus Bikerstaff, il re di Malécarlie, il commodoro Simcoë e il colonnello Stewart, Jem Tankerdon, Nat Coverley e i loro amici, i soldati e i marinai si appostano alle finestre e il fuoco ricomincia con nuova violenza.

— Bisogna mantenerci qui! — dice il governatore. — È la nostra ultima risorsa e Dio faccia un miracolo per salvarci!

Il capitano Sarol dà subito l'ordine dell'assalto ritenendosi sicuro del successo benché la fatica non sia poca. Effettivamente le porte sono solide e non è facile sfondarle senza artiglieria. Gli indigeni le attaccano a colpi di ascia, sotto il fuoco delle finestre, il che causa grandi perdite fra le loro file. Ma ciò non ferma minimamente il loro capo: eppure, se egli rimanesse ucciso, forse la sua morte cambierebbe l'aspetto delle cose…

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Passano due ore. Il Municipio resiste sempre. Se i proiettili decimano gli assalitori, la loro massa però si rinnova sempre. Invano i più abili tiratori, Jem Tankerdon, il colonnello Stewart, cercano di abbattere il capitano Sarol. Mentre molti dei suoi gli cadono intorno, pare che egli sia invulnerabile…

E non lui, in mezzo a un fuoco di fucileria più intenso che mai, viene colpito da un proiettile di fucile Snyder, bensì Cyrus Bikerstaff in pieno petto. Egli cade, può pronunciare solo poche parole soffocate, mentre il sangue gli sale alla gola. Viene trasportato in un salone interno dove poco dopo muore. Così si spegne colui che fu il primo governatore di Standard-Island, amministratore onesto, cuore nobile e grande.

L'assalto continua con furore raddoppiato. Le porte stanno per cedere sotto le asce degli indigeni. Come impedire l'invasione di quest'ultimo fortilizio di Standard-Island? Come salvare le donne, i ragazzi e tutti gli altri li raccolti, da un massacro generale?

Il re di Malécarlie, Ethel Simcoë, il colonnello Stewart prendono a discutere allora se non convenga fuggire dal retro dell'edificio. Ma dove cercare rifugio?… Nella batteria di Poppa?… Ma potrebbero giungervi?… In uno dei porti?… Ma gli indigeni non se ne sono impadroniti?… E i feriti, già numerosi, bisognerà abbandonarli?…

In quel momento si verifica una fortunata diversione, tale da modificare la situazione delle cose.

Il re di Malécarlie, portatosi avanti sul balcone, senza badare ai proiettili e alle frecce che gli piovono intorno, imbraccia il fucile, mira il capitano Sarol, proprio nel momento in cui una delle porte sta per cedere sotto i colpi degli assalitori…

Il capitano Sarol cade stecchito. I malesi, bloccati da quella improvvisa morte, indietreggiano

portando con loro il cadavere del loro capo e la massa degli indigeni torna a fluire verso i cancelli del parco.

Quasi nello stesso tempo alcune grida echeggiano nella parte alta della Prima Avenue dove le fucilate ricominciano con nuova intensità.

Che cosa avviene dunque?… I difensori dei forti e delle batterie sono tornati in vantaggio?… Stanno accorrendo verso la città?…

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Tentano di prendere gli indigeni alle spalle, nonostante l'esiguo numero?…

— Il fuoco aumenta dalla parte dell'osservatorio?… — dice il colonnello Stewart.

— Qualche rinforzo che arriva a quei briganti! — risponde il commodoro Simcoë.

— Non credo — osserva il re di Malécarlie — perché queste fucilate non si spiegherebbero…

— Sì!…, — esclama Pinchinat — ci sono certo delle novità e delle novità a nostro vantaggio…

— Guardate!… guardate!… — ribatte Calistus Munbar — ecco tutta questa canaglia che comincia a sloggiare…

— Andiamo, amici! — esclama il re di Malécarlie — cacciamo questi miserabili dalla città… Avanti!…

Ufficiali, soldati e marinai scendono tutti al pianterreno e si slanciano fuori del portone…

Il giardino è stato abbandonato dalla folla dei selvaggi i quali fuggono gli uni lungo la Prima Avenue, gli altri per le strade vicine.

Che è avvenuto per causare quel cambiamento così rapido e così inaspettato?… Bisogna attribuirlo alla scomparsa del capitano Sarol… e alla mancanza di direzione che ne è seguita?… È ammissibile che gli assalitori tanto superiori di forza siano stati scoraggiati fino a quel punto dalla morte del loro capo, e proprio nel momento in cui il Municipio stava per essere invaso?…

Trascinati dal commodoro Simcoë e dal colonnello Stewart circa duecento uomini di truppa e di marina e con loro Jem e Walter Tankerdon, Nat Coverley, Frascolin e i suoi compagni scendono la Prima Avenue inseguendo i fuggiaschi che non si volgono nemmeno per inviare loro un'ultima freccia o un ultimo proiettile e gettano fucili, archi e zagaglie.

— Avanti!… Avanti! — grida il commodoro Simcoë con voce tonante. Intanto nelle vicinanze dell'osservatorio il fuoco di fucileria aumenta…

è certo che là si combatte accanitamente… È dunque arrivato qualche soccorso a Standard-Island?… ma

quale soccorso?… e da quale parte è potuto venire?…

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Qualunque cosa sia, gli assalitori fuggono da tutte le parti in preda ad un incomprensibile panico. Sono stati dunque attaccati da rinforzi venuti da Babord-Harbour?…

Sì… un migliaio di neo-ebridiani ha invaso Standard-Island sotto la direzione dei coloni francesi dell'isola Sandwich!

Non c'è da stupirsi quindi se il quartetto, quando s'incontra coi suoi coraggiosi compatrioti, viene salutato nella sua lingua nazionale!

Ed ecco in quali circostanze si è effettuato questo inatteso intervento che si potrebbe dire quasi miracoloso.

Durante la notte precedente e dall'alba di quel giorno Standard-Island non aveva cessato di andare alla deriva verso quell'isola Sandwich dove (i lettori non l'avranno dimenticato) si trovava una colonia francese in via di prosperità. Appena i coloni ebbero sentore dell'attacco operato dal capitano Sarol, decisero con l'aiuto dei circa mille indigeni sottoposti alla loro influenza di correre in soccorso dell'isola a elica. Ma per recarvisi le imbarcazioni dell'isola Sandwich non potevano bastare…

Si pensi dunque la gioia di quei bravi coloni quando nella mattinata Standard-Island spinta dalla corrente arrivò all'altezza dell'isola Sandwich. Subito tutti si gettarono sulle barche da pesca, seguiti dagli indigeni, la maggior parte a nuoto, e tutti sbarcarono a Babord-Harbour…

In un istante, gli uomini delle batterie dello Sperone e della Poppa, quelli che erano restati nel porto, poterono unirsi a loro. Attraversata la campagna e il parco, essi si avvicinarono a Milliard-City, e grazie a questa diversione il Municipio non cadde nelle mani degli assalitori, già scossi per la morte del capitano Sarol.

Due ore dopo le bande neo-ebridiane, braccate da tutte le parti, erano costrette a cercare la salvezza precipitandosi in mare, per raggiungere l'isola Sandwich, e fra essi la maggior parte annega sotto i proiettili della milizia.

Ora Standard-Island non ha più nulla da temere: è salva dal saccheggio, dal massacro, dalla distruzione.

Sembrerebbe naturale che l'esito di questo fatto terribile debba dar luogo a manifestazioni di pubblica gioia e di rendimento di grazie.

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No! questi americani sono sempre stupefacenti! Si direbbe che il risultato finale non li abbia sorpresi… che lo avessero preveduto… Eppure c'è mancato solo un pelo perché il tentativo del capitano Sarol non finisse in una spaventosa catastrofe!

Tuttavia si può credere che i principali proprietari di Standard-Island dovettero felicitarsi nell'intimo di aver potuto conservare una proprietà del valore di due miliardi, e ciò sul punto in cui il matrimonio di Walter Tankerdon e della signorina Dy Coverley stava per assicurarne l'avvenire.

Facciamo presente che i due fidanzati come si rividero caddero l'uno nelle braccia dell'altro. Nessuno d'altronde si è azzardato di vedere in ciò una mancanza di convenienza. Non dovevano forse essere sposati da ventiquattr'ore?…

Per converso, dove non si deve cercare un esempio di quella riserva ultraamericana è nell'accoglienza che i nostri artisti parigini fanno ai coloni francesi dell'isola Sandwich. Che scambio di strette di mano! Quante felicitazioni riceve il Quartetto Orchestrale dai suoi compatrioti! Se i proiettili si sono degnati di risparmiarli, non per questo i due violini, il violoncello e la viola hanno compiuto meno il loro dovere! Quanto all'ottimo Athanase Dorémus che se ne è rimasto tranquillamente nella sala del Casino, è perché attendeva un allievo che si ostina a non venire… e chi potrebbe rimproverarglielo?

Una eccezione è rappresentata dal sovrintendente: per quanto yankee sia, la sua gioia è stata delirante. Che cosa volete? Nelle sue vene scorre il sangue dell'illustre Barnum e si capisce bene come il discendente di tanto antenato non possa essere compos sui come gli altri concittadini dell'America del Nord!

Dopo il fortunato esito di quell'avventura il re di Malécarlie accompagnato dalla regina è ritornato nella sua casa della Trentanovesima Avenue, dove il consiglio dei notabili gli recherà i ringraziamenti che meritano il suo coraggio e il suo attaccamento alla causa comune.

Dunque Standard-Island è sana e salva. La sua salvezza però le è costata cara. Cyrus Bikerstaff ucciso nel colmo della mischia, una sessantina di soldati e di marinai colpiti dai proiettili e dalle frecce, e quasi altrettanti fra funzionari, impiegati e negozianti che si sono

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tanto eroicamente battuti. A quel pubblico lutto si assocerà l'intera popolazione, e il Gioiello del Pacifico non li dimenticherà mai.

Del resto, con quella rapidità di esecuzione che è loro propria, i miiliardesi si accingono rapidamente a riportare tutto nelle condizioni primitive. Dopo una sosta di alcuni giorni all'isola Sandwich ogni traccia di quella lotta sanguinosa sarà scomparsa.

Nell'attesa vi è completo accordo per ciò che riguarda i poteri militari che vengono lasciati al commodoro Simcoë. Su questo punto non c'è nessuna difficoltà, nessun antagonismo. Né Jem Tankerdon né Nat Coverley avanzano alcuna pretesa in proposito. Più tardi poi l'elezione regolerà l'importante questione del nuovo governatore di Standard-Island.

Il giorno dopo un'imponente cerimonia chiama tutta la popolazione sui moli di Tribord-Harbour. I cadaveri dei malesi e degli indigeni vengono gettati in mare, ma non deve accadere lo stesso per i cittadini morti per la difesa dell'isola a elica. I loro corpi piamente composti, trasportati al tempio o alla cattedrale, vi ricevono meritati onori. Il governatore Cyrus Bikerstaff, come il più umile soldato, sono oggetto della stessa preghiera e dello stesso dolore.

Poi quel funebre carico viene affidato a uno dei rapidi piroscafi di Standard-Island e il bastimento parte per Madeleine-bay trasportando quelle preziose spoglie verso una terra cristiana.

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CAPITOLO XII

SINISTRA CONTRO DRITTA

STANDARD-ISLAND ha lasciato i paraggi dell'isola Sandwich il 3 marzo. Prima della sua partenza la colonia francese e gli alleati indigeni sono stati oggetto della viva riconoscenza dei miiliardesi. Sono amici che rivedranno, fratelli che Sébastien Zorn e i suoi compagni lasciano su quell'isola del gruppo delle Nuove Ebridi, che d'ora in poi figurerà nell'itinerario annuale di Standard-Island.

Sotto la direzione del commodoro Simcoë le riparazioni sono state eseguite con grande rapidità. Del resto i guasti erano poco considerevoli. Le macchine delle fabbriche d'elettricità sono intatte. Con ciò che resta delle scorte di petrolio, il funzionamento delle dinamo è assicurato per parecchie settimane. Inoltre l'isola a elica non tarderà a raggiungere quella parte del Pacifico dove i suoi cavi sottomarini le permetteranno di comunicare con Madeleine-bay. Si ha perciò la certezza che questa crociera si concluderà senza altri guai. Prima di quattro mesi Standard-Island avrà raggiunto la costa americana.

— Speriamolo — dice Sébastien Zorn mentre il sovrintendente come il solito si lascia trasportare sull'avvenire del suo meraviglioso natante.

— Ma — osserva Calistus Munbar — che lezione abbiamo ricevuto!… Quei malesi tanto servizievoli, quel capitano Sarol!… chi avrebbe mai potuto sospettare di loro?… Così questa è l'ultima volta che Standard-Island avrà offerto asilo a stranieri…

— Anche se un naufragio li getta sulla vostra rotta?… — chiede Pinchinat.

— Caro… io non credo più né ai naufraghi né ai naufragi! Frattanto nonostante che il commodoro Simcoë sia incaricato come prima della direzione dell'isola a elica, ciò non significa che anche i

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poteri civili siano nelle sue mani. Dalla morte di Cyrus Bikerstaff, Milliard-City non ha più sindaco e, come sappiamo, i suoi aiutanti non hanno conservato le loro funzioni. Perciò, sarà necessario nominare un nuovo governatore di Standard-Island.

Ora, a causa dell'assenza di un ufficiale di stato civile, non si può celebrare il matrimonio di Walter Tankerdon con la signorina Coverley. Ecco una difficoltà che non sarebbe sorta senza le macchinazioni di quel miserabile Sarol! E non soltanto i due sposi ma tutti i notabili di Milliard-City e tutta la popolazione desiderano che quel matrimonio si compia una volta per tutte. Esso costituisce una delle più sicure garanzie dell'avvenire. E non bisogna tardare perché Walter Tankerdon parla già di imbarcarsi su uno dei piroscafi di Tribord-Harbour per raggiungere con le due famiglie l'arcipelago più vicino dove un sindaco potrà procedere alla cerimonia nuziale… Che diavolo! Ve ne sono alle Samoa, alle Tonga, alle Marchesi, e procedendo a tutto vapore, in meno di una settimana…

I più saggi fanno ragionare l'impaziente giovanotto. Ci si sta occupando di preparare le elezioni… Fra pochi giorni sarà nominato il nuovo governatore… Il primo atto della sua amministrazione sarà quello di celebrare in gran pompa quel matrimonio aspettato con tanta ansia… Il programma delle feste verrà ripreso interamente… Un sindaco… un sindaco!… Non vi è che questo grido su tutte le bocche!…

— Purché queste elezioni non rinfocolino qualche rivalità forse mal spenta! — osserva Frascolin.

No! e Calistus Munbar è deciso, come si suol dire, a dividersi in quattro per condurre le cose a buon fine.

— E poi — esclama — i nostri innamorati non sono forse qui?… Mi concederete, penso, che l'orgoglio avrebbe dei guai a combattere contro l'amore!

Standard-Island continua a risalire verso nord-est, verso il punto dove si incrociano il 12° parallelo sud e il 175° meridiano ovest. È in quei paraggi che gli ultimi telegrammi spediti prima della sosta alle Nuove Ebridi hanno dato appuntamento alle navi d'approvvigionamento inviate da Madeleine-bay. Del resto, la questione delle provviste non preoccupa certo il commodoro Simcoë.

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Le riserve sono assicurate per oltre un mese e da quel lato non c'è nulla da temere. Certo, si è un po' a corto di notizie dall'estero. La cronaca politica è magra. Lo «Starboard-Chronicle» si lamenta, il «New-Herald» si desola… ma che cosa importa? Forse che Standard-Island non è da sé sola un piccolo mondo completo e che cosa le importa di ciò che accade sul resto dello sferoide terrestre?… Ha forse la passione della politica?… Eh! fra poco ne avrà fin troppa di politica!

Infatti il periodo elettorale comincia. Si nominano i trenta membri del consiglio dei notabili, dove sinistresi e drittesi sono rappresentati in egual numero. È certo fin d'ora che la scelta del nuovo governatore darà luogo a molte discussioni, perché Jem Tankerdon e Nat Coverley si troveranno uno contro l'altro.

Passano alcuni giorni in riunioni preparatorie. Dato il desiderio di primeggiare dei due candidati, fin dal principio si vede che non si andrà d'accordo facilmente. Perciò una sorda agitazione serpeggia per la città e nei porti. Gli agenti delle due sezioni cercano di provocare un movimento popolare per esercitare una pressione sui notabili. Il tempo passa e non pare che l'accordo sia possibile. Non c'è forse da temere che Jem Tankerdon e i principali sinistresi vogliano imporre le loro idee già respinte dai principali drittesi e riprendere l'infelice progetto di fare di Standard-Island un'isola industriale e commerciale?… Questo non verrà mai accettato dall'altra sezione! A farla breve, ora sembra avere il sopravvento il partito Coverley, ora sembra che la meglio tocchi al partito Tankerdon. Ne derivano recriminazioni spiacevoli, rancori fra i due campi e anche un manifesto raffreddamento fra le due famiglie, di cui del resto né Walter né la signorina Dy mostrano di accorgersi. Forse che queste beghe politiche li riguardano?…

Vi è però un mezzo semplicissimo di sistemare le cose, almeno dal punto di vista amministrativo: decidere, cioè, che i due competitori occuperanno a turno il posto di governatore, sei mesi per ciascuno, o anche un anno se lo si preferirà. Con ciò niente più rivalità e i due partiti saranno soddisfatti. Ma in questo basso mondo tutto ciò che deriva dal buon senso non ha mai la fortuna di essere adottato e Standard-Island, nonostante la sua indipendenza dai

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continenti terrestri, subisce del pari tutte le passioni dell'umanità sublunare.

— Ecco — dice un giorno Frascolin ai suoi compagni — ecco le difficoltà che temevo…

— Ma che cosa importano a noi questi dissensi? — risponde Pinchinat — che danno ce ne può derivare?… fra pochi mesi giungeremo a Madeleine-bay, il nostro contratto scadrà e ognuno di noi rimetterà piede sulla terra ferma… col suo milioncino in tasca.

— Se non capita qualche altra catastrofe! — replica l'intrattabile Sébastien Zorn. — Un galleggiante come questo può essere mai sicuro del suo avvenire?… Dopo la collisione con la nave inglese, l'invasione delle belve; dopo le belve l'assalto dei neo-ebridiani… dopo gli indigeni, i…

— Taci, uccello del malaugurio! — esclama Yvernès. — Taci o ti facciamo mettere il lucchetto al becco.

Nondimeno si teme molto che il matrimonio Tankerdon-Coverley non venga celebrato all'epoca stabilita. Se le due famiglie fossero state già unite da quel nuovo legame, forse la situazione si sarebbe potuta risolvere più facilmente… I due sposi si sarebbero messi di mezzo in maniera più efficace… Ad ogni modo però quell'agitazione non si prolungherà troppo poiché l'elezione avrà luogo il 15 marzo.

Allora il commodoro Simcoë prova a tentare un ravvicinamento fra le due sezioni della città. Lo si prega di non immischiarsi in ciò che non lo riguarda. Egli deve guidare l'isola e niente di più!… Badi ai suoi scogli e basta!… La politica non è di sua competenza.

Il commodoro Simcoë deve «incassare». Anche le passioni religiose entrano a far parte di questa lotta e il

clero, forse a torto, ci si mette di mezzo più di quanto non convenga. Eppure vivevano in tanto buon accordo il tempio e la chiesa, il pastore e il vescovo!

Anche i giornali, si capisce, sono scesi nell'arena. Il «New-Herald» combatte per i Tankerdon e lo «Starboard-Chronicle» per i Coverley. L'inchiostro cola a fiotti e c'è da temere che si mescoli col sangue. Gran Dio!… Il suolo vergine di Standard-Island non è forse stato innaffiato abbastanza durante la lotta contro le orde selvagge delle Nuove Ebridi?…

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Invece il popolino si interessa soprattutto dei due fidanzati, il cui romanzo è stato interrotto al primo capitolo. Ma che cosa può fare per assicurare la loro felicità? Le relazioni fra le due sezioni di Milliard-City sono già cessate. Non più ricevimenti, non più inviti, non più serate musicali! Se la cosa dura gli strumenti del Quartetto Orchestrale ammuffiranno nei loro astucci e i nostri artisti guadagneranno i loro colossali stipendi con le mani in tasca.

Il sovrintendente, per quanto non voglia confessarlo, è divorato da una inquietudine mortale. La sua situazione è falsa, lo sente, poiché tutta la sua intelligenza si esplica a non voler dispiacere né agli uni né agli altri, mezzo sicuro per dispiacere a tutti.

Il 12 marzo Standard-Island si è sensibilmente avvicinata all'equatore, non tanto però in latitudine da poter incontrare le navi inviate da Madeleine-bay. Ciò però non può tardare. Con ogni probabilità tuttavia le elezioni avranno luogo prima, poiché sono state fissate per il giorno 15.

Frattanto sia i drittesi sia i sinistresi si abbandonano a svariate previsioni. Ma i pronostici procedono sempre alla pari. Non vi può essere nessuna maggioranza se non si riesce a staccare qualche voto da una parte o dall'altra. Ma i voti stanno attaccati come i denti alla mascella d'una tigre.

Allora nasce un'idea geniale. Essa sembra essere nata nello stesso momento nella mente di tutti coloro che non dovevano essere consultati. Questa idea è semplice e dignitosa, e metterebbe termine a quelle rivalità. I candidati stessi si inchinerebbero davanti a questa giusta soluzione.

Perché non offrire al re di Malécarlie il governo di Standard-Island? Questo ex-sovrano è uno spirito saggio, colto e tenace. La sua tolleranza e la sua filosofia sarebbero le garanzie migliori contro le sorprese dell'avvenire. Egli conosce bene gli uomini per averli praticati a lungo. Sa che c'è da fare i conti con le loro debolezze e con la loro ingratitudine. L'ambizione non è mai stata suo difetto e mai gli verrà il pensiero di sostituire il potere personale a quelle istituzioni democratiche che costituiscono il regime dell'isola a elica. Egli non sarà che il presidente del Consiglio d'amministrazione della nuova Società Tankerdon-Coverley and Co.

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Un cospicuo gruppo di negozianti e di funzionari di Milliard-City a cui si unisce un certo numero di ufficiali e di marinai dei due porti decide di andare a presentare al loro regale concittadino quella proposta sotto forma di speranza.

Le Loro Maestà ricevono la deputazione nel salotto al pianterreno della loro abitazione nella Trentanovesima Avenue. Ascoltata con benevolenza, essa però si urta contro un irremovibile rifiuto: i sovrani decaduti si ricordano il passato e sotto il dominio di questa impressione il re risponde:

— Vi ringrazio, signori. La vostra domanda ci commuove, ma noi siamo felici del nostro presente, e speriamo che nulla ormai venga a turbare l'avvenire. Credetelo, le illusioni inerenti a una qualsiasi sovranità sono finite per noi! Io non sono più che un semplice astronomo all'osservatorio di Standard-Island, e non voglio essere altro.

Non vi è ragione d'insistere davanti a una risposta così formale; e la deputazione si ritira.

Negli ultimi giorni precedenti lo scrutinio la sovreccitazione degli animi cresce. È impossibile andare d'accordo. I partigiani di Jem Tankerdon e di Nat Coverley evitano di incontrarsi persino per le vie. Non c'è più contatto fra una sezione e l'altra. Né i drittesi né i sinistresi superano la Prima Avenue. Milliard-City è ora divisa in due città nemiche. Il disperato sovrintendente Calistus Munbar è il solo personaggio che corre dall'una all'altra, agitato, stanco morto, sudando acqua e sangue, esaurendosi in buoni consigli, ma respinto sempre tanto a destra quanto a sinistra. E tre o quattro volte al giorno egli piomba come una nave disalberata nei saloni del Casino dove il quartetto lo colma delle sue vane consolazioni.

Il commodoro Simcoë si è ridotto alle funzioni che gli sono state attribuite. Egli dirige l'isola a elica seguendo l'itinerario fissato. Avendo un santo orrore della politica, egli accetterà il governatore chiunque esso sia. Tanto i suoi ufficiali quanto quelli del colonnello Stewart non si preoccupano affatto di ciò che sconvolge tutte quante le teste. Non è certo a Standard-Island che si devono temere «pronunciamenti».

Frattanto il consiglio dei notabili riunito in permanenza in

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Municipio, discute e litiga. Si arriva anche alle questioni personali e la polizia è costretta a prendere alcune precauzioni, perché la folla che si ammassa dalla mattina alla sera davanti al palazzo municipale lancia grida sediziose.

D'altra parte una notizia deplorevole viene messa in circolazione: Walter Tankerdon si era presentato il giorno prima al palazzo dei Coverley e non era stato ricevuto. Si è vietato ai due fidanzati di vedersi e poiché il matrimonio non è stato celebrato prima dell'attacco delle bande neo-ebridiane chissà se si potrà mai compiere?…

Giunge finalmente il 15 marzo. Le elezioni si terranno nel salone principale del Municipio. Una folla fluttuante ingombra il giardino come un tempo la popolazione romana davanti al palazzo del Quirinale dove il conclave procedeva alla nomina del papa al trono di San Pietro.

Che cosa nascerà da questa deliberazione suprema? I calcoli danno sempre lo stesso numero di voti. Se tutti i drittesi rimangono fedeli a Nat Coverley e i sinistresi a Jem Tankerdon che cosa accadrà?

Il gran giorno è dunque arrivato. Dall'una alle tre la vita normale viene quasi sospesa sulla superficie di Standard-Island. Da cinque a seimila persone si agitano sotto le finestre del Municipio. Si aspetta il risultato del voto dei notabili che verrà immediatamente comunicato telefonicamente alle due sezioni e ai due porti.

Il primo scrutinio ha luogo alle ore 1,35. I candidati ottengono il medesimo numero di suffragi. Un'ora dopo si procede al secondo scrutinio, il quale non modifica

in nessun modo le cifre del primo. Alle 3 e 35 avviene il terzo ed ultimo scrutinio: ed anche questa

volta nessun nome ottiene un voto più della metà. Il consiglio allora si scioglie e con ragione. I suoi membri sono

talmente esasperati, che se continuasse così verrebbero alle mani. Quando attraversano il giardino per ritornare gli uni al palazzo Tankerdon e gli altri al palazzo Coverley la folla li accoglie col più sgradevole mormorio.

Bisogna però uscire da questa situazione che non può prolungarsi

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nemmeno per poche ore: è troppo dannosa per gli interessi di Standard-Island.

Quando i nostri francesi apprendono dal sovrintendente quale è stato l'esito dei tre scrutini, Pinchinat dice:

— Detto fra noi, mi pare che ci sia un mezzo semplicissimo per dirimere la questione.

— E quale?… — chiede Calistus Munbar alzando le braccia disperatamente al cielo — quale?…

— Tagliare l'isola per metà…, dividerla, come una pagnotta, in due parti uguali, facendo navigare per proprio conto ognuna delle due metà col governatore di sua scelta.

— Tagliare la nostra isola!… — esclama il sovrintendente, come se Pinchinat gli avesse proposto di tagliargli un braccio.

— Con un paio di tenaglie, un martello e una chiave inglese — ribatte Sua Altezza — la questione sarà risolta con una levata di chiodi e invece di una vi sarebbero due isole galleggianti sulla superficie del Pacifico!

Questo Pinchinat non riesce a star serio anche quando le circostanze sono così gravi!

Tuttavia se il suo consiglio non deve essere seguito (almeno materialmente) se non si adoperano né martello né chiavi inglesi, se non viene praticata nessuna levata di chiodi seguendo l'asse della Prima Avenue dalla batteria dello Sperone fino a quella di Poppa, nondimeno la separazione è già avvenuta dal punto di vista morale. I sinistresi e i drittesi stanno per diventar stranieri gli uni agli altri, come se cento leghe di mare li separano. Infatti i trenta notabili non riuscendo a mettersi d'accordo si sono decisi a votare separatamente. Da una parte Jem Tankerdon viene nominato governatore della sua sezione e la governerà a suo piacimento. Dall'altra Nat Coverley è nominato governatore della sua e la governerà come preferirà. Ogni parte conserverà il suo porto, le sue navi, i suoi ufficiali, i suoi marinai, i suoi soldati, i suoi funzionari, i suoi negozianti, la sua fabbrica di energia elettrica, le sue macchine, i suoi motori, i suoi meccanici e i suoi macchinisti e ognuna diventerà autosufficiente.

Molto bene, ma come farà il commodoro Simcoë a sdoppiarsi e il sovrintendente Calistus Munbar ad adempiere tutte le sue funzioni

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con soddisfazione comune? Per quanto riguarda quest'ultimo, davvero non c'è molta

importanza. Il suo posto non sarà più che una sinecura. Come poter parlare di feste e di divertimenti quando la guerra civile minaccia Standard-Island, poiché un riavvicinamento non è più possibile?

Lo si può giudicare da questo solo fatto: il 17 marzo i giornali annunciano la rottura definitiva del matrimonio di Walter Tankerdon con la signorina Dy Coverley.

Sì! rotto nonostante le loro preghiere, nonostante le loro suppliche; e, nonostante quello che un giorno aveva detto Calistus Munbar, l'amore non è stato il più forte! Ebbene, no! Walter e la signorina Dy non si separeranno… Abbandoneranno le loro famiglie… andranno a sposarsi all'estero… troveranno certo un angolino dove poter essere felici senza tanti milioni intorno al cuore!

Intanto, dopo la nomina di Nat Coverley e di Jem Tankerdon, niente è cambiato nell'itinerario di Standard-Island. Il commodoro Simcoë continua a dirigersi verso nord-est. Giunti a Madeleine-bay, forse, stanchi di quello stato di cose, parecchi milliardesi andranno a ridomandare al continente quella calma che è sparita dal Gioiello del Pacifico. Forse addirittura l'isola a elica verrà abbandonata… e allora la si liquiderà, la si metterà all'asta, la si venderà a peso, come ferro vecchio e inutile, la si manderà a fondere!

Sta bene: ma le 5000 miglia che restano da percorrere esigono ancora circa cinque mesi di navigazione. Durante questa traversata la rotta non verrà forse compromessa dal capriccio e dalla testardaggine dei due capi? Inoltre lo spirito di ribellione si è infiltrato nell'animo della popolazione. I sinistresi e i drittesi rischiano forse di venire alle mani, di prendersi a fucilate e di bagnare del loro sangue le strade metalliche di Milliard-City ?…

No! Certo i partiti non giungeranno fino a quel punto!… Non si vedrà un'altra guerra di secessione, se non tra nord e sud, almeno fra dritta e sinistra di Standard-Island… Ma ciò che era fatale è successo, a rischio di provocare una vera catastrofe.

La mattina del 19 marzo il commodoro Simcoë è nel suo ufficio, all'osservatorio, dove attende che gli venga comunicato il primo rilevamento dell'altezza. Secondo il suo giudizio, Standard-Island

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non può essere lontana dai paraggi in cui deve incontrare le navi delle provviste. Le vedette in cima alla torre sorvegliano il mare su un vasto perimetro per segnalare i piroscafi appena compariranno al largo. Accanto al commodoro si trovano il re di Malécarlie, il colonnello Stewart, Sébastien Zorn, Pinchinat, Frascolin, Yvernès e un certo numero di ufficiali e di funzionari, di quelli che si possono chiamare i neutrali, perché non hanno preso parte ai dissensi intestini. L'essenziale per loro è arrivare il più presto possibile a Madeleine-bay, dove questo deplorevole stato di cose finirà.

In quel momento due campanelli suonano e due ordini vengono trasmessi per telefono al commodoro. Provengono dal Municipio, dove Jem Tankerdon nell'ala destra, e Nat Coverley nell'ala sinistra sono riuniti coi loro principali seguaci. Di là essi amministrano Standard-Island e (cosa che non stupirà nessuno) con avvisi ed editti assolutamente contraddittori.

Ora, appunto questa mattina, a proposito dell'itinerario seguito da Ethel Simcoë, su cui i due governatori avrebbero dovuto intendersi, l'accordo non è stato raggiunto. L'uno, Nat Coverley, ha deciso che Standard-Island prenda la rotta di nord-est per raggiungere l'arcipelago delle Gilbert; l'altro, Jem Tankerdon, deciso ad aprire relazioni commerciali, ha stabilito di rivolgersi a sud-ovest verso i paraggi australiani.

Ecco a che punto sono arrivati i due rivali e i loro amici hanno deciso di sostenerli.

Il commodoro, al ricevere i due ordini inviati simultaneamente all'osservatorio, esclama:

— Ecco quanto temevo… — E che non va tirato troppo in lungo nell'interesse pubblico! —

aggiunge il re di Malécarlie. — Che cosa decidete? — domanda Frascolin. — Perbacco! — esclama Pinchinat. — Sono proprio curioso di

vedere come ve la caverete, signor Simcoë! — Male! — osserva Sébastien Zorn. — Facciamo prima di tutto sapere a Jem Tankerdon e a Nat

Coverley — dice il commodoro — che i loro ordini non possono venire eseguiti poiché si contraddicono. D'altronde è molto meglio

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che Standard-Island non si sposti, in attesa delle navi che aspettiamo appunto in questi paraggi.

Questa saggia risposta viene immediatamente telefonata al Municipio.

Passa un'ora senza che l'osservatorio riceva nessuna nuova comunicazione. Molto probabilmente i due governatori hanno rinunciato a modificare l'itinerario ognuno in direzione opposta all'altro…

Ad un tratto lo scafo di Standard-Island è scosso da un bizzarro movimento… Che cosa significa?… Che Jem Tankerdon e Nat Coverley hanno spinto la loro testardaggine fino ai limiti estremi.

Tutti i presenti si scambiano delle occhiate che sono come tanti punti interrogativi.

— Che c'è?… che c'è?… — Che cosa c'è?… — risponde il commodoro Simcoë alzando le

spalle. — C'è che Jem Tankerdon ha inviato direttamente i suoi ordini al signor Watson ufficiale di macchina di Babord-Harbour; mentre Nat Coverley ha mandato i suoi al signor Somwah, ufficiale di macchina di Tribord-Harbour. Uno ha ordinato di avanzare verso nord-est, l'altro di indietreggiare verso sud-ovest. E il risultato è che Standard-Island gira su se stessa e continuerà a girare finché durerà il capriccio di questi due individui.

— Molto bene! — esclama Pinchinat. — Le cose dovevano concludersi con un valzer!… il valzer dei miliardari!… Athanase Dorémus non può far altro che dimettersi!… I milliardesi non hanno più bisogno delle sue lezioni!…

Forse questa assurda situazione (comica da un certo lato) avrebbe potuto far ridere. Disgraziatamente la doppia manovra è estremamente pericolosa, come fa osservare anche il commodoro. Strapazzata nei due sensi sotto la trazione dei suoi dieci milioni di cavalli, Standard-Island rischia di andare a pezzi.

Infatti le macchine sono state lanciate a tutta velocità, le eliche funzionano al massimo, come si può sentire dai sussulti del sottosuolo d'acciaio. Si immagini una carrozza di cui un cavallo tiri da una parte e l'altro dall'altra, per avere un'idea di ciò che accade!

Intanto, accentuandosi questo movimento, Standard-Island gira su

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se stessa. Il parco e la campagna descrivono cerchi concentrici e i punti del litorale sulla circonferenza si spostano con una velocità di dieci o dodici miglia all'ora.

Non c'è da pensare a far intender ragione ai macchinisti, la cui manovra provoca quel movimento giratorio. Il commodoro Simcoë non ha nessuna autorità su di loro. Essi obbediscono alle stesse passioni di tutti gli altri sinistresi e drittesi. Fedeli servitori dei loro capi, i signori Watson e Somwah, terranno duro fino alla fine, macchina contro macchina, dinamo contro dinamo…

E allora comincia a prodursi un fenomeno molto poco piacevole, che avrebbe dovuto calmar le teste intenerendo gli animi.

In seguito alla rotazione di Standard-Island, molti milliardesi, soprattutto donne, cominciano a sentirsi stranamente disturbati. Nell'interno delle case, specialmente in quelle che più lontane dal centro subiscono un movimento giratorio più accentuato, cominciano a manifestarsi nausee snervanti.

E di fronte a quel risultato ridicolo e grottesco Yvernès, Pinchinat e Frascolin vengono presi da pazze risate nonostante che la situazione sia sul punto di diventare molto critica. Infatti il Gioiello del Pacifico è minacciato di una frantumazione materiale che eguaglierà, se non supererà, quella morale.

Sébastien Zorn, dal canto suo, sotto l'influsso di quel girare continuo è diventato pallido, pallidissimo. «Ammaina i suoi colori», come dice Pinchinat, e lo stomaco gli sale in gola. Forse questa beffa non finirà?… Essere prigioniero su quell’immensa tavola girevole che non ha nemmeno il dono di svelate i segreti dell'avvenire!…

Per una settimana che pare eterna, Standard-Island non cessa di girare sul suo centro che e Milliard-City. Perciò la città è sempre piena di una folla che vi cerca rifugio contro le nausee, poiché solo là la rotazione è meno sensibile. Invano il re di Malecarlie, il commodoro Simcoë e il colonnello Stewart hanno provato a intervenire tra i due poteri che si dividono il Municipio… Nessuno vuole arrendersi… Lo stesso Cyrus Bikerstaff se fosse ritornato al mondo avrebbe visto i propri sforzi spezzarsi contro quella tenacia ultraamericana.

Ora, per colmo di sventura, il cielo, durante quegli otto giorni, è

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rimasto talmente coperto di nuvole da rendere impossibile rilevare l'altezza. Il commodoro Simcoë non sa più quale sia la posizione di Standard-Island. Trascinata in due sensi opposti dalle sue poderose eliche la si sente fremere fino alle viscere dei suoi compartimenti. Nessuno perciò ha pensato a rientrare in casa propria. Il parco è pieno di gente accampata all'aria aperta. Da una parte si grida: — Viva Tankerdon! — dall'altra: — Viva Coverley! — Gli occhi lanciano lampi, e tutti si mostrano i pugni. La guerra civile sta dunque per manifestarsi con i suoi più terribili eccessi, ora che la popolazione è arrivata al massimo dell'eccitazione?…

In ogni caso né gli uni né gli altri vogliono vedere nulla del pericolo che si avvicina. Dovesse il Gioiello del Pacifico fracassarsi in mille pezzi, non si cederà, ed esso continuerà a girare fino all'ora in cui per mancanza di corrente le dinamo cesseranno di far funzionare le eliche…

In mezzo alla generale irritazione Walter Tankerdon, che non vi partecipa in nessun modo, è in preda a una viva angoscia. Teme, non per sé, ma per Dy Coverley, qualche frattura che annienti Milliard-City. Da otto giorni egli non ha più visto quella che era stata la sua fidanzata e che doveva essere la sua sposa. Disperato, ha supplicato ed è tornato a supplicare suo padre di non insistere in quella deplorevole manovra… Ma Jem Tankerdon lo ha allontanato senza voler sentir nulla…

Allora, nella notte dal 27 al 28 marzo, Walter, approfittando dell'oscurità, prova a raggiungere la fanciulla. In caso di una catastrofe vuole essere presso di lei. Dopo essersi insinuato fra la folla che ingombra la Prima Avenue, penetra nella sezione nemica per raggiungere il palazzo Coverley…

Poco prima dell'alba una formidabile esplosione sconvolge l'atmosfera fino nelle zone più alte. Spinte al di là del loro limite massimo di sopportazione, le caldaie di sinistra sono scoppiate facendo saltare tutti i fabbricati delle macchine; e poiché da quel lato la fonte dell'energia elettrica viene bruscamente a mancare, la metà di Standard-Island rimane immersa nell'oscurità più profonda.

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CAPITOLO XIII

UNA BATTUTA DI PINCHINAT DESCRIVE LA SITUAZIONE

SE LE MACCHINE di Babord-Harbour ora non sono più in condizione di funzionare in seguito allo scoppio delle caldaie, quelle di Tribord-Harbour sono ancora intatte. Però è come se Standard-Island non avesse più alcun apparecchio di locomozione. Ridotta alle sole eliche di dritta, continuerà a girare su se stessa, senza più andare avanti.

Questo incidente, dunque, ha reso più grave la situazione. Infatti quando Standard-Island possedeva le sue due macchine suscettibili di agire simultaneamente, sarebbe bastato l'accordo fra il partito Tankerdon e il partito Coverley per metter fine a quello stato di cose. I motori avrebbero ripreso la loro buona abitudine di girare nello stesso senso e il natante, con un ritardo di soli pochi giorni, sarebbe tornato a far rotta su Madeleine-bay.

Ora le cose non stanno più così. Anche se l'accordo avvenisse, la navigazione è diventata impossibile e il commodoro Simcoë non può più disporre della forza propulsiva per abbandonare quei lontani paraggi.

E almeno, se Standard-Island fosse rimasta stazionaria durante quell'ultima settimana, se i piroscafi attesi fossero riusciti a raggiungerla, forse sarebbe stato possibile ritornare nell'emisfero settentrionale…

Invece no: e quel giorno un'osservazione astronomica ha permesso di constatare che Standard-Island si è spostata verso sud durante quella rotazione prolungata. Dal 12° parallelo sud ha derivato fino al 17°.

Infatti fra il gruppo delle Nuove Ebridi e quello delle Figi esistono alcune correnti dovute alla strozzatura fra i due arcipelaghi, che si spingono verso sud-est. Finché le sue macchine hanno funzionato in

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perfetto accordo, Standard-Island ha potuto fronteggiare quelle correnti. Ma dal momento in cui essa è stata presa dalle vertigini, ha cominciato ad essere irresistibilmente trascinata verso il tropico del Capricorno.

Riconosciuto questo fatto, il commodoro Simcoë non nasconde a tutte quelle brave persone che abbiamo indicato con il nome di neutrali, la gravità della situazione. Ed ecco quel che dice loro:

— Siamo stati trascinati per cinque gradi verso sud. Ora quel che può fare un marinaio a bordo di un piroscafo privo della sua macchina, non posso farlo io a bordo di Standard-Island. La nostra isola non ha velatura che permetta di utilizzare la forza del vento e noi ci troviamo in balia delle correnti. Dove ci spingeranno? Non lo so. I piroscafi, poi, partiti da Madeleine-bay ci cercheranno invano nei paraggi stabiliti, poiché è verso la parte meno frequentata del Pacifico che procediamo a una velocità di otto o dieci miglia all'ora!

Con queste poche frasi Ethel Simcoë dà il quadro della situazione che egli è impotente a modificare. L'isola a elica è come un immenso scafo abbandonato ai capricci delle correnti. Se esse si dirigono verso nord risalirà verso nord: se muovono verso sud, scenderà verso sud, forse fino agli estremi limiti dell'Oceano antartico. E allora…

Questo stato di cose ben presto viene conosciuto dalla popolazione, tanto a Milliard-City quanto nei due porti. Il sentimento di un estremo pericolo viene nettamente percepito. Da ciò (cosa molto umana) deriva un certo abbattimento di spirito per il timore di un nuovo pericolo. Non si pensa più a venire alle mani in una lotta fratricida e se l'odio persiste non si tradurrà certo in violenza. A poco a poco tutti rientrano nelle loro sezioni, nel loro quartiere, nella loro casa, e Jem Tankerdon e Nat Coverley rinunciano a contendersi il primo posto. Perciò dietro la stessa proposta dei due governatori, il consiglio dei notabili prende il solo partito ragionevole dettato dalle circostanze: affida tutti i poteri nelle mani del commodoro Simcoë, unico capo a cui è oramai affidata la salvezza di Standard-Island.

Ethel Simcoë accetta quel compito senza esitare poiché conta sulla devozione dei suoi amici, dei suoi ufficiali e del suo personale. Ma che cosa mai potrà fare a bordo di questo immenso natante di 27

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chilometri quadrati di superficie divenuto ingovernabile poiché non dispone più delle sue due macchine?…

In fondo non è il caso di dire che questa è la condanna di quella Standard-Island che era stata considerata il capolavoro delle costruzioni marinaresche, dal momento che tali incidenti possono ridurla in balia dei venti e delle onde?…

È vero che l'incidente non è stato causato dalle forze della natura, poiché il Gioiello del Pacifico fin dalla sua fondazione ha sempre vittoriosamente sfidato gli uragani, le tempeste e i cicloni. E stato causato invece da quei dissensi interni, da quelle rivalità di miliardari, da quella testardaggine forsennata che aveva spinto alcuni a scendere verso sud, mentre gli altri volevano risalire a nord! È stata la loro incommensurabile stupidità a provocare lo scoppio delle caldaie di sinistra!

Ma a che valgono ora le recriminazioni? Ciò che bisogna fare è valutare prima di tutto le avarie avvenute a Babord-Harbour. Il commodoro Simcoë riunisce i suoi ufficiali e i suoi ingegneri. Il re di Malécarlie si unisce a loro. Non è certo questo regale filosofo che si può stupire perché le umane passioni hanno causato una tale catastrofe.

La commissione designata si reca sul luogo dove un tempo sorgevano le costruzioni della fabbrica di energia elettrica e delle macchine. L'esplosione degli apparecchi di evaporazione riscaldati oltre misura aveva distrutto ogni cosa, causando la morte di due tecnici e di sei macchinisti. I guasti non sono meno gravi nello stabilimento dove si produceva l'elettricità per i diversi servizi di quella metà di Standard-Island. Fortunatamente le dinamo di dritta continuano a funzionare e Pinchinat fa osservare che «se la sarebbero cavata col vederci con un occhio solo».

— D'accordo — risponde Frascolin — ma abbiamo perduto anche una gamba, e quella che ci resta ci servirà ben poco!

Guerci e zoppi era troppo! Dall'inchiesta risulta che le avarie non sono assolutamente

riparabili e sarà impossibile arrestare la deriva verso sud. Ne consegue che è necessario attendere che Standard-Island esca da questa corrente che la trascina al di là del tropico.

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Riconosciuti questi guasti, si procede alla verifica dei diversi compartimenti che costituivano lo scafo. Hanno sofferto qualcosa per quel movimento giratorio che li ha scossi così violentemente per otto giorni?… Le lastre metalliche si sono forse spostate, i bulloni si sono forse allentati, e se si sono aperte delle vie d'acqua come si potranno richiudere?

Gli ingegneri procedettero a questa seconda inchiesta. I loro rapporti, comunicati al commodoro Simcoë, non sono troppo rassicuranti. In molti punti lo stiramento ha fatto incrinare le lastre e fracassare i tiranti. Migliaia di chiodi sono saltati e si sono aperte alcune fessure. Alcuni compartimenti sono stati invasi dal mare. Ma poiché la linea di galleggiamento non si è abbassata, la stabilità del suolo metallico non è seriamente compromessa e i nuovi proprietari di Standard-Island non hanno nulla da temere per la loro proprietà. La batteria di Poppa è quella dove si conta il maggior numero di fenditure. A Babord-Harbour, uno dei moli è stato inghiottito dopo l'esplosione… ma Tribord-Harbour è intatto e le sue darsene offrono ogni sicurezza alle navi contro le ondate provenienti dal largo.

Frattanto viene dato ordine che tutto ciò che è riparabile sia riparato al più presto. Bisogna che dal punto di vista materiale la popolazione sia tranquillizzata. È già abbastanza, anche troppo, che in mancanza dei suoi motori di sinistra, Standard-Island non possa dirigersi verso la terra più prossima. A ciò non c'è alcun rimedio.

Rimane la questione, abbastanza grave, della fame e della sete… Le riserve sono sufficienti per uno o due mesi?…

Ecco quanto il commodoro Simcoë ha potuto rilevare. Nulla da temere per ciò che riguarda l'acqua. Se una delle fucine distil-latrici è stata distrutta dall'esplosione, l'altra che continua a funzionare può bastare a tutte le necessità.

Meno rassicuranti le scorte di viveri. A conti fatti non si potrà andare avanti per più di 15 giorni, a meno che non si imponga ai diecimila abitanti un vitto severamente regolato da razioni. All'infuori della frutta e dei legumi sappiamo che tutto veniva importato dall'esterno… E l'esterno… dov'è? A quale distanza si trovano le terre più vicine e come poterle raggiungere?…

Dunque, qualunque sia il deplorevole effetto che ne dovrà seguire,

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il commodoro Simcoë è costretto a prendere una decisione riguardo alle razioni. La sera stessa i cavi telefonici e telautografici diffondono la funesta notizia. Ne deriva uno spavento generale in Milliard-City e nei due porti, e il presentimento di catastrofi ancora più gravi. Lo spettro della fame (per usare un'immagine sfruttata, ma espressiva) non sorgerà presto all'orizzonte, poiché non c'è alcun mezzo di poter rinnovare le provviste?… Infatti il commodoro Simcoë non ha una sola nave da poter spedire verso il continente americano… La fatalità vuole che l'ultima sia partita già da tre settimane, trasportando le spoglie mortali di Cyrus Bikerstaff e degli altri eroi caduti durante la lotta contro Erromango. Non si pensava, allora, che una questione d'amor proprio avrebbe messo Standard-Island in una posizione peggiore di quella in cui si era trovata quando era stata assalita dalle bande neo-ebridiane!

Davvero, a che cosa serve possedere tanti miliardi, essere ricchi come i Rothschild, i Mackay, gli Astor, i Vanderbilt, e i Gould, quando nessuna ricchezza è capace di scongiurare la fame?… Senza dubbio quei nababbi avevano la maggior parte delle loro ricchezze al sicuro nelle banche del Nuovo e del Vecchio Continente! Ma chissà se non è vicino il giorno in cui un milione non potrà procurare loro né una libbra di carne né una libbra di pane?…

In fondo la colpa è dei loro dissensi assurdi, delle loro stupide rivalità,-del loro desiderio di impossessarsi del potere! Erano loro i colpevoli, i Tankerdon e i Coverley, sono loro la causa di tutti questi guai! Ma si guardino dalle rappresaglie, dalla collera di quegli ufficiali, di quei funzionari, di quegli impiegati, di quei negozianti, di tutta quella popolazione che è stata messa in tale pericolo! A quali eccessi potrà giungere se si troverà in preda ai tormenti della fame?

Quei rimproveri però non toccheranno mai né Walter Tankerdon né la signorina Dy Coverley ai quali non può salire il biasimo meritato dalle loro famiglie. No! il giovanotto e la ragazza non sono responsabili di nulla! Sono il legame che doveva assicurare l'avvenire delle due sezioni e non sono stati certo loro a spezzarlo.

Per 48 ore, visto lo stato del cielo, non si può fare nessuna osservazione e non è possibile rilevare la posizione di Standard-Island con esattezza.

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Il 31 marzo fin dall'alba il cielo si mostra abbastanza limpido e le nebbie del largo non tardano a sciogliersi. C'è da sperare che si possa rilevare l'altezza in buone condizioni.

Tale osservazione è attesa con febbrile impazienza. Parecchie centinaia di abitanti si sono riuniti alla batteria dello Sperone. E Walter Tankerdon si trova con loro. Ma né suo padre né Nat Coverley né nessun altro dei notabili che possono essere accusati di aver provocato questo stato di cose abbandonano i loro palazzi dove si sentono incarcerati dalla pubblica indignazione.

Poco prima di mezzogiorno gli osservatori sono pronti a rilevare l'altezza del sole, al momento in cui esso toccherà il suo punto più alto. Due sestanti, uno manovrato dal re di Malécarlie, l'altro dal commodoro Simcoë erano puntati all'orizzonte.

Presa l'altezza meridiana si procede ai calcoli con le necessarie correzioni e si trova che il risultato è di:

29° 71' latitudine sud. Verso le due una seconda osservazione fatta nelle medesime

favorevoli condizioni dà: 179° 32' longitudine est. Così da quando Standard-Island è stata in preda a quella «follia

rotatoria», le correnti l'hanno trascinata per circa mille miglia verso sud-est.

Riportato il punto sulla carta si riconosce che le isole più vicine – a cento miglia almeno – costituiscono il gruppo delle Kermadeck, rocce sterili, quasi disabitate e senza risorse: ma poi, come raggiungerle? A 300 miglia a sud si stende la Nuova Zelanda, ma come arrivarci se le correnti trascinano al largo? Verso ovest a 1500 miglia c'è l'Australia. Verso est a parecchie migliaia di miglia c'è l'America meridionale all'altezza del Cile. Al di là della Nuova Zelanda poi si stende l'oceano glaciale col deserto antartico. Standard-Island andrà forse a infrangersi sulle terre del polo?… Là forse un giorno i navigatori troveranno i resti di tutta una popolazione morta di miseria e di fame?…

Il commodoro Simcoë studierà con cura le correnti di quei mari. Ma che cosa avverrà se esse non si modificano? Se non s'incontrano correnti opposte? Se si scatena una di quelle formidabili tempeste

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così frequenti nei mari circumpolari?… Queste notizie producono lo spavento. Gli animi si esasperano

sempre più contro gli autori del male, contro i malefici nababbi di Milliard-City responsabili di quella situazione. Occorre tutta l'influenza del re di Malécarlie, del commodoro Simcoë, del colonnello Stewart e tutta la devozione degli ufficiali e la loro autorità sui soldati e sui marinai per impedire una ribellione.

La giornata passa senza novità. Ognuno deve sottomettersi al razionamento per. il cibo e limitarsi allo stretto necessario, tanto i più fortunati quanto i più poveri.

Frattanto il servizio delle vedette viene regolato con attenzione estrema e l'orizzonte viene attentamente sorvegliato in ogni sua parte. Se una nave apparirà le si invieranno segni e forse sarà possibile ristabilire le relazioni interrotte. Disgraziatamente l'isola a elica aveva girato fuori dal perimetro delle vie marittime ed era ben piccolo il numero di bastimenti che si avanzava in quei paraggi vicini al mare Antartico. E laggiù nel sud, dinanzi alle immaginazioni esaltate si drizzava lo spettro del polo illuminato dai bagliori vulcanici dell'Erebus e del Terror!

Intanto una fortunata circostanza si produsse nella notte dal 3 al 4 aprile.

Il vento di tramontana tanto forte da parecchi giorni si abbassò istantaneamente. Una gran calma gli successe e la brezza passò bruscamente al sud-est per uno di quei capricci atmosferici così frequenti all'epoca dell'equinozio. Il commodoro Simcoë riprese qualche speranza. Bastava che Standard-Island potesse tornare per un centinaio di miglia verso l'ovest, perché la controcorrente la riavvicinasse all'Australia o alla Nuova Zelanda.

In ogni caso il suo cammino verso il mar polare pareva essere arrestato e forse si sarebbero potute incontrare delle navi in prossimità delle grandi terre dell'Australia.

Al sorger del sole la brezza di sud-est era già freschissima. Standard-Island ne risenti l'influenza in una sensibilissima maniera. I suoi alti monumenti, l'osservatorio, il Municipio, il tempio, la cattedrale offrivano un po' di presa al vento.

Essi facevano le veci delle vele a bordo di quell'enorme

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bastimento di quattrocentotrentadue milioni di tonnellate di stazza. Quantunque il cielo fosse solcato da rapide nuvole, il disco solare

tuttavia ad intervalli appariva e si sarebbe potuta ottenere una buona osservazione.

Infatti a due riprese si riuscì ad afferrare il sole fra le nuvole ed il calcolo fatto stabilì che dal giorno avanti Standard-Island era risalita di due gradi verso il nord-ovest.

Ora era difficile ammettere che l'isola a elica non avesse obbedito che al vento. Se ne concluse che essa era entrata in una di quelle zone che separano le grandi correnti del Pacifico.

Se avesse avuto la fortuna d'imbattersi in quella risalente verso il nordovest, essa avrebbe di certo avuta una seria probabilità di salvezza. Ma perbacco! ciò non avrebbe dovuto tardare, poiché già si era stati costretti a diminuire le razioni. Le provviste diminuivano in una proporzione tale da impensierire seriamente dinanzi alla massa di diecimila abitanti che dovevano essere nutriti!

Quando l'ultima osservazione astronomica fu comunicata ai due porti e alla città gli animi si tranquillizzarono alquanto. Si sa con quale istantaneità una folla passa da un sentimento ad un altro e dalla disperazione alla speranza.

È ciò che avvenne. Quella popolazione molto differente dalle miserabili masse agglomerate nelle grandi città dei continenti doveva essere ed era meno soggetta alle improntitudini, più riflessiva e più paziente. Ma sotto le minacce della fame non c'era da temere di tutto?…

Durante la mattinata il vento mostrò tendenza a rinfrescare. Il barometro lentamente si abbassò, il mare si sollevò in ondate lunghe e potenti che mostravano come qualche gran turbamento fosse avvenuto nel sud-est. Standard-Island, solitamente impassibile, non sopportava più come il solito quegli enormi dislivelli. Qualche casa provava dal basso all'alto oscillazioni minacciose e gli oggetti vi si spostavano dentro come se si fosse trattato di un terremoto. Quel fenomeno nuovo per i milliardesi era tale da causare le più vive inquietudini.

Il commodoro Simcoë e il suo personale stavano in permanenza all'osservatorio dove erano concentrati tutti quanti i servizi. Quelle

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scosse che provava l'edificio li preoccupavano assai ed essi erano forzati a riconoscerne l'estrema gravità.

— È evidente — dice il commodoro — che Standard-Island ha sofferto nelle sue fondamenta… i suoi compartimenti si sono disgiunti… il suo scafo non offre più quella rigidezza che la rendeva tanto solida.

— E Dio voglia — aggiunge il re di Malécarlie — ch'essa non abbia a subire qualche violenta tempesta. Perché essa non offrirebbe più una sufficiente resistenza!

Ed ora la popolazione non aveva più fiducia in quel suolo artificiale… Essa sentiva che il suo punto d'appoggio stava per venir meno… Valeva cento volte meglio correre il rischio di spezzarsi sulle rocce delle terre antartiche!… Ciò che gli animi più fermi non potevano pensare senza tremare, era di dover temere ad ogni momento che Standard-Island s'aprisse e fosse inghiottita in uno di quegli abissi del Pacifico di cui ancora la sonda non aveva potuto raggiungere la profondità.

Ora era impossibile dubitare che nuove avarie si fossero prodotte in alcuni scompartimenti. Qualche tramezzo aveva ceduto, qualche mossa aveva fatto saltare i chiodi delle lastre. Nel parco lungo il Serpentine-river alla superficie delle vie fuori della città, si osservavano capricciosi ondulamenti causati dallo spostamento del suolo. Già parecchi edifici si erano inclinati e se fossero caduti avrebbero spezzato la base che sorreggeva i loro fondamenti. Era inutile poi pensare a chiudere le vie aperte all'acqua.

Certo era che il mare si era introdotto in parecchie parti del sottosuolo poiché s'era modificata la linea di galleggiamento. Quella linea su quasi tutta la periferia, tanto ai due porti come alle batterie dello Sperone e della Poppa, s'era abbassata di un piede e se il suo livello fosse ancora disceso le onde avrebbero invaso il litorale. L'esistenza di Standard-Island era compromessa, la sua scomparsa non era più che una questione di ore.

Il commodoro Simcoë avrebbe voluto nascondere quella situazione perché essa era tale da cagionare un panico e forse anche peggio. A quali eccessi mai la popolazione si sarebbe abbandonata contro i responsabili di tanti mali? Non si poteva cercar la salvezza

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nella fuga come fanno i passeggeri di una nave gettandosi nelle imbarcazioni o costruendo una zattera sulla quale l'equipaggio si rifugia colla speranza d'essere raccolto in mare… No! quella zattera è la stessa Standard-Island ed è sul punto di sommergersi!… D'ora in ora durante quella giornata il commodoro Simcoë fece notare i cambiamenti che subiva la linea di galleggiamento. Il livello di Standard-Island non cessava di scendere. E ciò indicava che l'infiltrazione continuava attraverso i compartimenti, lenta sì, ma incessante e irresistibile.

Nello stesso tempo l'aspetto del cielo era diventato brutto. Il cielo si era colorato di tinte rossastre cupe e ramate; il barometro aveva cominciato ad accentuare il suo movimento di discesa. L'atmosfera presentava tutte quante le apparenze di una prossima tempesta. Dietro i vapori accumulati l'orizzonte si era ristretto in modo da parer circoscritto al litorale di Standard-Island.

Al cadere del giorno si scatenarono spaventosi impeti di vento. Sotto la violenza delle onde i compartimenti si muovevano, i tramezzi si spezzavano, le lastre si spaccavano.

Ovunque si sentivano rumori di metallo che si rompeva. Le vie della città, le aiuole del parco minacciavano di aprirsi… Perciò appena la notte si avvicinava Milliard-City era abbandonata per la campagna la quale, meno carica di gravi fabbricati, offriva una sicurezza maggiore. La popolazione intera si spandeva fra i due forti e le batterie dello Sperone e della Poppa.

Verso le 9 uno scuotimento si propagò a Standard-Island fino nei suoi fondamenti. La fabbrica di Tribord-Harbour che forniva l'energia elettrica precipitava nell'abisso. L'oscurità era diventata così profonda che non si vedeva più né il cielo né il mare.

Ben presto un nuovo tremore del suolo annunciò che le case cominciavano ad abbattersi come castelli di carte. Fra qualche ora non sarebbe rimasto più nulla di tutte le costruzioni di Standard-Island!

— Signori — dice il commodoro Simcoë — non possiamo più a lungo rimanere in quest'osservatorio che minaccia di rovinare… Corriamo in campagna dove aspetteremo la fine di questa tempesta…

— È un ciclone — afferma il re di Malécarlie mostrando il

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barometro disceso a 713. Infatti l'isola a elica era stata presa da uno di quei movimenti

ciclonici che agiscono come potenti condensatori. Quelle tempeste giranti costituite da una massa d'acqua la cui rotazione si operava intorno ad un asse quasi verticale si propagavano da ponente a levante passando da mezzogiorno per l'emisfero meridionale.

Un ciclone è il fenomeno atmosferico più fecondo in disastri e per uscirne bisognerebbe raggiungere il suo centro il quale è relativamente calmo, o almeno la parte destra della traiettoria «il semicerchio maneggevole» che non è sottoposto alla furia delle onde. Ma questa manovra è ora impossibile per la mancanza di motori. Questa volta non era più l'umana stoltezza, né l'imbecille testardaggine dei suoi capi che trascinava Standard-Island, ma era una formidabile tempesta che avrebbe finito con l'annientarla.

Il re di Malécarlie, il commodoro Simcoë, il colonnello Stewart, Sébastien Zorn e i suoi compagni, gli astronomi e gli ufficiali abbandonarono l'osservatorio dove non si trovavano più al sicuro. Era tempo! Non avevano fatto duecento passi che l'alta torre crollò con un orribile fracasso, sfondò il suolo del giardino e scomparve nell'abisso. Un momento dopo l'intero edificio non è più che un ammasso di rovine.

Intanto il quartetto ha l'idea di risalire la Prima Avenue e di correre al Casino dove sono rimasti i loro strumenti che essi, se possibile, vogliono mettere in salvo. Il Casino era ancora in piedi, essi vi arrivarono, salirono alle loro camere, ne trassero i due violini, la viola e il violoncello e corsero nel parco dove andarono a cercare un rifugio.

Là erano riunite parecchie migliaia di persone delle due sezioni. Le famiglie Tankerdon e Coverley vi si trovavano pure ed era forse una fortuna per loro che in mezzo a quelle tenebre nessuno potesse essere veduto e riconosciuto.

Walter però è stato abbastanza fortunato da raggiungere la signorina Dy Coverley. Egli proverebbe certo di salvarla al momento della catastrofe suprema… Egli tenterebbe d'aggrapparsi con lei a qualche relitto galleggiante…

La fanciulla indovina che il giovane è presso di lei, ed un grido le

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sfugge. — Ah! Walter!… — Dy… mia cara Dy… sono qua… non vi abbandonerò più… I nostri parigini non avevano voluto separarsi. Essi si tenevano gli

uni vicino agli altri. Frascolin non aveva perduto nulla del suo sangue freddo. Yvernès era nervosissimo. Pinchinat aveva una rassegnazione ironica. Sébastien Zorn andava ripetendo ad Athanase Dorémus, il quale finalmente si era deciso a raggiungere i suoi compatrioti:

— Lo avevo ben detto io che sarebbe andata a finir male!… l'avevo ben detto io!…

— Basta con questi tremoli in minore, vecchio Isaia — gli gridò Sua Altezza — e rinfodera i salmi della tua penitenza…

Verso mezzanotte la violenza del ciclone raddoppiò. I venti convergenti sollevavano onde mostruose e le precipitavano contro Standard-Island.

Dove li avrebbe trascinati quella lotta degli elementi?… Sarebbe andata l'isola a elica a spezzarsi sopra qualche scoglio o si sarebbe scomposta in pieno oceano?…

Ora il suo scafo era spezzato in mille punti. Le giunture scricchiolavano da tutte le parti. I monumenti, Saint-Mary Church, il tempio, il Municipio, precipitano in quelle spaccature spalancate dove il mare gorgoglia terribilmente. Di quei magnifici edifici non si sarebbe più trovato un solo vestigio.

Quante ricchezze, quanti tesori, quadri, statue, oggetti d'arte d'ogni specie scomparsi per sempre! Se ancora una volta il giorno si fosse levato, se Standard-Island non fosse stata inghiottita prima, all'alba la popolazione non avrebbe trovato più nulla di ciò che era stata la superba Milliard-City.

Già infatti sul parco e sulla campagna dove il sottosuolo aveva resistito, il mare aveva cominciato a espandersi. La linea di galleggiamento si era abbassata ancora. Il suolo dell'isola a elica era arrivato a livello del mare e il ciclone scagliava su di esso le ondate che venivano dal largo.

Da nessuna parte vi era più riparo o rifugio. La batteria dello Sperone su cui allora batteva il vento non offriva nessuna protezione

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né contro le onde, né contro le raffiche che piombavano come mitraglia… I compartimenti si sventravano e il loro staccamento si propagava con un fracasso che avrebbe dominato i più violenti scoppi di folgore. La catastrofe suprema si avvicinava.

Verso le tre del mattino il parco si divise per una lunghezza di due chilometri lungo la riva del Serpentine-river e per quella spaccatura invase il mare a densi fiotti. Bisognava fuggire al più presto e tutta la popolazione si disperse per la campagna. Alcuni correvano verso i porti, altri verso le batterie. Alcune famiglie furono separate, le madri cercavano invano i loro figli, mentre le ondate furiose spazzavano la superficie di Standard-Island come una gigantesca cascata d'acqua.

Walter Tankerdon che non aveva abbandonato la signorina Dy volle trascinarla dalla parte di Tribord-Harbour. Essa non aveva però la forza di seguirlo. Egli la sollevò che era quasi priva di sensi. La prese fra le braccia e così procede fra le grida di spavento della folla in mezzo a quell'orribile oscurità…

Alle cinque un nuovo strappo metallico si fece sentire nella direzione dell'est. Un altro pezzo d'un mezzo miglio quadrato si era staccato da Standard-Island…

Era Tribord-Harbour con le sue fabbriche, le sue macchine e i suoi magazzini che veniva trascinato via…

Sotto i colpi raddoppiati del ciclone allora all'apice della sua violenza Standard-Island ballonzolava sull'acqua come uno scafo abbandonato… Il suo scafo terminò di scomporsi… I vari compartimenti si separarono e alcuni di essi sotto il peso del mare scomparvero nelle profondità dell'oceano.

— Dopo il crac della compagnia, il crac dell'isola a elica! — esclama Pinchinat.

E quella frase riassumeva tutta la situazione. Ora della meravigliosa Standard-Island non restavano più che

pochi pezzi sparsi, simili ai frammenti sporadici di una cometa sbriciolata, fluttuante non già nello spazio, ma alla superficie del Pacifico immenso.

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CAPITOLO XIV

CONCLUSIONE

ALL'ALBA se un osservatore avesse dominato quei paraggi da un'altezza di qualche centinaio di piedi avrebbe osservato tre frammenti di Standard-Island di due o tre ettari ciascuno ed una dozzina di minor grandezza galleggiare alla distanza di una decina di gomene gli uni dagli altri.

Il ciclone aveva cominciato a decrescere ai primi albori del giorno. Con la rapidità caratteristica di quei grandi turbamenti atmosferici il suo centro si era spostato di una trentina di miglia verso l'est. Intanto il mare tanto spaventosamente scosso era sempre mostruoso e i relitti grandi e piccoli giravano e beccheggiavano come navi sopra un oceano in furia.

La parte di Standard-Island che aveva sofferto di più era quella che serviva di base a Milliard-City. Essa si era totalmente sommersa sotto il peso dei suoi edifici. Invano si sarebbe cercato un vestigio qualunque dei monumenti e dei palazzi che avevano fiancheggiato le principali passeggiate delle due sezioni! mai la separazione dei sinistresi e dei drittesi era stata più completa; ed essi certo non l'avrebbero mai potuta pensare così completa!

Il numero delle vittime era stato considerevole?… C'era da temerlo, quantunque la popolazione si fosse ritirata in tempo in mezzo alla campagna ove il suolo offriva una resistenza maggiore allo smembramento.

Ebbene! erano soddisfatti quei Coverley e quei Tankerdon del risultato dovuto alla loro colpevole rivalità?… Non sarebbe stato certo uno di essi che avrebbe governato invece dell'altro!… Milliard-City era stata inghiottita e con essa il prezzo enorme che l'avevano pagata!… Ma non v'era da commuoversi sulla loro sorte poiché erano loro rimasti parecchi milioni nelle casse delle banche

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americane ed europee, perché il pane quotidiano fosse assicurato alla loro vecchiaia.

Il frammento di maggiori dimensioni comprendeva quella porzione della campagna che si stendeva fra l'osservatorio e la batteria dello Sperone. La sua superficie era di circa tre ettari sui quali i naufraghi – non era forse giusto questo nome per loro? – erano ammassati in circa tremila.

Il secondo pezzo di dimensioni minori aveva conservato qualcuno dei fabbricati che erano stati vicini a Babord-Harbour, il porto con qualche magazzino delle provviste e una delle cisterne d'acqua dolce. Ma la fabbrica d'energia elettrica e i recinti racchiudenti le macchine e le caldaie era tutto scomparso nell'esplosione di queste. Duemila abitanti avevan trovato rifugio su questo secondo frammento. E forse se tutte le imbarcazioni di Babord-Harbour non fossero sommerse avrebbero potuto mettersi in comunicazione con l'altro frammento galleggiante.

Il lettore non avrà dimenticato, che quella parte di Standard-Island contenente Tribord-Harbour si era staccata violentemente verso le tre dopo mezzanotte: ed era certamente dovuta andare a picco poiché per quanto lontano potesse spingersi lo sguardo non se ne poteva vedere traccia.

Assieme ai due primi frammenti ne rimaneva anche un terzo di una superficie che andava dai quattro ai cinque ettari e comprendeva quella parte di campagna che confinava con la batteria di Poppa e sulla quale si trovavano circa quattromila naufraghi.

Finalmente una dozzina di pezzi di poche centinaia di metri ciascuno davano asilo al resto della popolazione salvata dal disastro. Ecco quanto rimaneva di ciò che era stato il Gioiello del Pacifico!

Le vittime dunque di quella catastrofe ammontavano a parecchie centinaia. E si doveva ringraziare il cielo che Standard-Island non fosse stata interamente inghiottita sotto le acque del Pacifico.

Ma, così lontani da qualunque terra, come quei frammenti avrebbero potuto raggiungere un litorale qualunque del Pacifico?… Non erano quei naufraghi destinati a morire di fame?… e nessun testimonio di quel disastro senza precedenti nella necrologia marittima sarebbe sopravvissuto?…

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No, non bisognava disperare. Quei frammenti in deriva portavano con sé uomini energici e tutto ciò che era possibile di fare per la comune salvezza essi lo avrebbero fatto.

Sulla parte vicina alla batteria dello Sperone si trovavano riuniti il commodoro Ethel Simcoë, il re e la regina di Malécarlie, il personale dell'osservatorio, il colonnello Stewart, qualcuno dei suoi ufficiali, parecchi notabili di Milliard-City, i membri del clero e un'importante parte della popolazione.

Là si trovavano anche le famiglie Coverley e Tankerdon accasciate sotto la gran responsabilità che pesava sulle loro spalle.

E non erano state già abbastanza colpite nei loro più cari affetti poiché Walter e Dy erano scomparsi?… Si erano forse rifugiati su uno degli altri frammenti?… si poteva sperare di poterli mai rivedere?…

Il Quartetto Orchestrale coi suoi preziosi strumenti era al completo. Solo la morte – per usare un vecchio detto – li avrebbe potuto separare.

Frascolin affrontava la situazione a sangue freddo, e non aveva perduto ogni speranza. Yvernès che aveva l'abitudine di considerar le cose dal loro lato straordinario, davanti a quel disastro aveva esclamato:

— Sarebbe difficile immaginare una fine più grandiosa di questa!… Sébastien Zorn invece era fuori di sé. Niente avrebbe saputo consolarlo d'essere stato buon profeta predicendo le sventure di Standard-Island come Geremia quelle di Sion. Egli aveva fame, aveva freddo, si era reumatizzato ed era preso da sternuti violenti che si succedevano senza riposo. E quell'incorreggibile Pinchinat gli diceva:

— Tu hai torto, mio caro Zorn… hai torto marcio! Sébastien Zorn avrebbe strangolato Sua Altezza, se ne avesse

avuta la forza, ma non l'aveva. E Calistus Munbar?… Ebbene, il sovrintendente era

semplicemente sublime… si sublime! Egli non disperava né della salvezza dei naufraghi, né di quella di Standard-Island… Si sarebbe tornati in patria… l'isola a elica sarebbe stata riparata… i pezzi ne erano buoni e non si sarebbe mai detto che gli elementi avrebbero

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avuto il sopravvento su quel capolavoro d'architettura navale. Il certo era che il pericolo non era più imminente. Tutto ciò che

durante il ciclone doveva crollare, era crollato con Milliard-City, i monumenti, i palazzi, le case, le fabbriche, le batterie e tutte quante le altre costruzioni di un peso considerevole. Ora come ora, i relitti erano in buone condizioni, la loro linea di galleggiamento si era alquanto sollevata e le onde non ne spazzavano più la superficie.

Vi era dunque un serio, un visibile miglioramento e poiché la minaccia di un inghiottimento immediato era oramai remota, lo stato sintomatico dei naufraghi s'era migliorato alquanto.

Un poco di calma rinasceva negli animi. Solo le donne e i fanciulli, incapaci di ragionare, non potevano togliersi di dosso il loro spavento.

E che cosa era successo di Athanase Dorémus?… Fin dal principio della catastrofe il maestro di danza e di belle maniere era stato trasportato sopra uno dei pezzi assieme alla sua serva.

Ma una corrente lo aveva poi riportato verso il frammento dove si trovavano i suoi compatrioti del quartetto.

Intanto il commodoro Simcoë, come un capitano sopra una nave disalberata, aiutato dal suo devoto personale si era messo al lavoro. In primo luogo sarebbe stato possibile radunare quei pezzi che galleggiavano separatamente? Se fosse stato impossibile si sarebbe potuta stabilire una comunicazione fra loro? Quest'ultima domanda non tardò ad essere risolta affermativamente, poiché a Babord-Harbour vi erano parecchie imbarcazioni intatte. Mandandole da un pezzo all'altro il commodoro Simcoë avrebbe saputo di quali risorse poteva disporre, quanto restava d'acqua dolce e quanto di viveri.

Ma si era in grado di rilevare la posizione in longitudine e in latitudine di quella flotta di reliquie galleggianti?…

No! per mancanza di strumenti adatti a rilevar l'altezza, il punto non si sarebbe potuto stabilire; non si poteva perciò determinare se quella flotta fosse in prossimità di un continente o di un'isola.

Verso le nove del mattino il commodoro Simcoë s'imbarcò con due dei suoi ufficiali in una lancia venuta da Babord-Harbour.

Quell'imbarcazione gli permise di visitare i diversi frammenti, ed ecco quanto egli poté constatare.

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Gli apparecchi distillatori di Babord-Harbour erano stati distrutti ma la cisterna conteneva ancora acqua potabile sufficiente, se se ne fosse ridotto il consumo allo stretto necessario, per una quindicina di giorni. Le riserve poi dei magazzini del porto potevano assicurare vitto ai naufraghi per un uguale spazio di tempo.

Era dunque assolutamente necessario che in due settimane al più i naufraghi toccassero terra in qualche punto del Pacifico.

Queste notizie erano in un certo modo alquanto rassicuranti. Tuttavia il commodoro Simcoë dovette riconoscere che quella notte terribile aveva mietuto parecchie centinaia di vittime. Il dolore delle famiglie Tankerdon e Coverley era inesprimibile. Né Walter né Dy furono trovati sui frammenti visitati dall'imbarcazione.

Al momento della catastrofe, il giovane portando la sua fidanzata svenuta, s'era diretto verso Tribord-Harbour e da quel lato nulla più esisteva sulla superficie del Pacifico.

Nel pomeriggio, essendo il vento andato d'ora in ora diminuendo, il mare si calmò, e i frammenti risentivano appena le lievi scosse dell'ondulazione. Mercé l'andirivieni delle barche di Babord-Harbour, il commodoro Simcoë poté occuparsi di provvedere all'alimentazione dei naufraghi, dando loro quel che era necessario per non farli morire di fame.

Inoltre le comunicazioni diventavano più rapide e più sollecite. I diversi pezzi, obbedendo alle leggi dell'attrazione, come

frammenti di sughero alla superficie di un bacino pieno d'acqua, tendevano ad avvicinarsi gli uni agli altri. E come ciò non sarebbe parso di buon augurio al fiducioso Calistus Munbar, che intravedeva già la ricostituzione del suo Gioiello del Pacifico?…

La notte trascorse in una profonda oscurità. Era lontano il tempo in cui le passeggiate di Milliard-City, le strade dei suoi quartieri commerciali, le aiuole del parco, i campi e le praterie risplendevano di fuochi elettrici, e le lune d'alluminio rovesciavano a profusione una luce intensa su tutta la superficie di Standard-Island!

In mezzo a quelle tenebre si produssero parecchie collisioni fra vari pezzi. Quegli urti non potevano essere evitati, ma fortunatamente non erano tanto violenti da cagionare seri danni. All'alba si constatò che i frammenti si erano molto ravvicinati e

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galleggiavano di conserva senza urtarsi su quel mare tranquillo. Con pochi colpi di remo si passava dall'uno all'altro. Il commodoro Simcoë aveva tutta la facilità per regolare il consumo dei viveri e dell'acqua dolce. I naufraghi compresero che quella era una questione capitale e si rassegnarono. Le imbarcazioni trasportavano parecchie famiglie. Esse andavano in cerca di coloro che non avevano ancora riveduti.

E quale gioia quando si ritrovavano! senza affatto pensare ai pericoli da cui erano ancora minacciati. Quale dolore per gli altri che invano avevano chiamato gli assenti!

Era evidentemente una delle più fortunate circostanze che il mare fosse ritornato in calma.

Era forse dispiacevole tuttavia che il vento non avesse continuato a soffiare dal sud-est. Esso sarebbe stato d'aiuto alla corrente che in quella parte del Pacifico conduceva verso le terre australiane.

Per ordine del commodoro Simcoë le vedette erano state poste in maniera da osservare l'orizzonte in tutto il suo perimetro. Se qualche bastimento fosse comparso gli si sarebbero fatti dei segnali. Ma in quei paraggi lontani passavano molto raramente, specialmente in quell'epoca dell'anno in cui si scatenano le tempeste equinoziali.

Era dunque ben debole la speranza di scorgere un fumo svolgentesi sulla linea fra l'acqua e il cielo, o disegnarsi una vela all'orizzonte… Pure, verso le due del pomeriggio, il commodoro Simcoë ricevette da una delle sentinelle il comunicato seguente:

«Nella direzione di nord-est un punto si sposta sensibilmente e, quantunque non se ne possa distinguere lo scafo, è certo un bastimento che passa al largo di Standard-Island».

Quella notizia produsse una emozione straordinaria. Il re di Malécarlie, il commodoro Simcoë, gli ufficiali, gli ingegneri, tutti si recarono dalla parte dove quel bastimento era stato segnalato.

Si diede ordine di attirare la sua attenzione, sia sventolando bandiere issate in cima a pali, sia per mezzo di detonazioni simultanee, fatte con le armi da fuoco di cui si disponeva. Se fosse venuta la notte prima che quei segnali fossero stati veduti, un fuoco sarebbe stato acceso sul frammento di prua e durante la notte, poiché certamente sarebbe stato visibile a una grande distanza, era

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impossibile che non fosse scorto. Non era stato necessario però aspettare fino alla sera.

Quella massa si avvicinava visibilmente. Un denso fumo si svolgeva al disopra e non c'era dubbio ch'essa cercasse di raggiungere i resti di Standard-Island.

Perciò i cannocchiali non la perdevano di vista quantunque il suo scafo fosse poco elevato sopra il livello del mare e non possedesse alberatura né velatura.

— Amici miei — esclama ben presto il commodoro Simcoë — non m'inganno!… è un pezzo della nostra isola… e non può essere altro che Tribord-Harbour trascinato al largo dalle correnti! Senza dubbio il signor Somwah avrà potuto riparare le sue macchine e si dirige verso di noi.

Pazze dimostrazioni di gioia accolsero quella notizia. Pareva che la salvezza di tutti ora fosse assicurata. Col ritorno di quel frammento di Tribord-Harbour era come se una parte vitale ritornasse a Standard-Island.

Le cose infatti erano avvenute come aveva immaginato il commodoro Simcoë. La parte di Tribord-Harbour dopo essere stata staccata, presa da una controcorrente era stata respinta verso nord-est. Venuto il giorno il signor Somwah, fatta qualche riparazione alla macchina leggermente danneggiata, era ritornato verso il teatro del disastro riuscendo a portare con sé parecchie centinaia di naufraghi.

Dopo tre ore Tribord-Harbour non era a più d'una lunghezza di cavo dal rimanente della flotta… E con quali trasporti di gioia, con quali grida d'entusiasmo fu accolto il suo arrivo!… Walter Tankerdon e Dy Coverley, rifugiatisi là prima del disastro, si trovavano ora l'uno a fianco dell'altra…

Con l'arrivo di Tribord-Harbour cominciò a balenare qualche speranza di salvezza. I suoi magazzini possedevano una quantità sufficiente di combustibile per poter far avanzare le macchine, le dinamo e mettere in moto per qualche giorno le eliche. Quella forza di cinque milioni di cavalli di cui ora disponevano permetteva loro di raggiungere la più vicina terra. Questa, dalle osservazioni fatte dal commodoro Simcoë, era la Nuova Zelanda.

La difficoltà era che migliaia di persone potessero passare su

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Tribord-Harbour poiché la superficie di questo non era che di 6 o 7 miglia quadrate.

Si sarebbe forse stati costretti a mandare a cercar soccorso a 50 miglia di là?…

No! quella navigazione esigeva un tempo troppo considerevole e le ore erano contate. Non v'era un giorno da perdere infatti se si volevano preservare i naufraghi dagli orrori della fame.

— Possiamo far di meglio — osservò il re di Malécarlie. — I frammenti di Tribord-Harbour, della batteria dello Sperone e di quella di Poppa possono trasportare insieme tutti i sopravvissuti di Standard-Island. Uniamo questi tre frammenti con forti catene e mettiamoli in coda come zattere legate a un rimorchiatore. Poi Tribord-Harbour prenderà la testa e coi suoi 5 milioni di cavalli ci trasporterà alla Nuova Zelanda.

Il consiglio era eccellente, fu messo in pratica ed aveva tutte le probabilità di riuscire dal momento che Tribord-Harbour disponeva di una così potente forza motrice. Nel cuore della popolazione tornò la fiducia come se già si trovasse in vista di un porto.

Il resto del giorno fu impiegato nei lavori necessari alla sistemazione delle catene che furono fornite dai magazzini di Tribord-Harbour. Il commodoro Simcoë stimò che in quelle condizioni quella corona galleggiante avrebbe potuto fare dalle 8 alle 10 miglia ogni 24 ore. In cinque giorni dunque, aiutati dalle correnti, avrebbero percorse le cinquanta miglia che li separavano dalla Nuova Zelanda. E si era sicuri che le provviste fino a quell'epoca sarebbero state sufficienti. Tuttavia per prudenza e in previsione di qualche ritardo il sistema delle razioni sarebbe stato rigorosamente mantenuto.

Terminati i preparativi, Tribord-Harbour verso le sette di sera si mise in movimento. La spinta delle sue eliche fece spostare lentamente su quel mare calmo e tranquillo i due altri frammenti rimorchiati.

All'alba del domani le vedette avevano perduto di vista gli ultimi frammenti di Standard-Island.

Durante i giorni dal 4 all'8 aprile non avvenne nessun incidente. Il tempo era favorevole, le ondate appena sensibili e la navigazione

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procede in condizioni eccellenti. Verso le 8 del mattino del 9 aprile fu segnalata la terra a sinistra di

prua, una terra alta che si poteva scorgere da una grande distanza. Essendo stato rilevato il punto con gli strumenti conservati a

Tribord-Harbour non c'è alcun dubbio sull'identità di quella terra. È la punta di Ika-Na-Mawi, la grande isola settentrionale della

Nuova Zelanda. Passano ancora un giorno e una notte, e finalmente nella mattinata

del 10 aprile Tribord-Harbour va a fermarsi a una lunghezza di cavo dal litorale della baia Ravaraki.

Quale soddisfazione e quale sicurezza prova tutta la popolazione nel sentirsi sotto i piedi la vera terra e non già il suolo fittizio di Standard-Island! Eppure quanto tempo non sarebbe durato quel solido natante se le passioni umane più forti del vento e del mare non avessero lavorato alla sua distruzione!

I naufraghi furono molto ospitalmente accolti dai neo-zelandesi che si affrettarono a provvederli di quanto loro bisognava.

Appena arrivati ad Auckland, capitale d’Ika-Na-Mawi, il matrimonio di Walter Tankerdon con Dy Coverley fu celebrato con tutta la pompa permessa dalle circostanze. Aggiungiamo che il Quartetto Orchestrale si fece sentire per l'ultima volta in quella cerimonia a cui vollero assistere tutti i milliardesi. Quell'unione sarebbe stata felice e quanto sarebbe stato meglio se nel comune interesse si fosse compiuta prima! Senza dubbio i giovani sposi non possedevano ora più di un povero milione di rendita per ciascuno…

— Ma — come disse Pinchinat — tutto fa credere che anche in questa loro mediocre situazione di fortuna sapranno trovare la felicità!

Il progetto dei Tankerdon, dei Coverley e di altri notabili fu di ritornare in America, dove non avrebbero più dovuto disputarsi il governo di un'isola a elica.

La stessa determinazione fu presa dal commodoro Ethel Simcoë, dal colonnello Stewart e dai loro ufficiali; dal personale dell'osservatorio ed anche dal sovrintendente Calistus Munbar che non rinunciava alla sua idea di fabbricare una nuova isola artificiale.

Il re e la regina di Malécarlie non nascosero il dolore che avevano

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di lasciare Standard-Island ove avevano sperato di passar tranquillamente gli ultimi giorni della loro esistenza… Speriamo che quegli ex sovrani abbiano trovato un angolo di terra ove trascorrere i loro ultimi giorni lontani dai dissensi politici!

E il Quartetto Orchestrale?… I componenti il quartetto, per quanto ne dicesse Sébastien Zorn,

non avevano fatto un cattivo affare, e se avessero portato rancore a Calistus Munbar per averli rapiti in quella maniera che sappiamo, sarebbe stata una vera ingratitudine.

Infatti, dal 25 maggio dell'anno precedente fino a quel giorno, erano passati poco più di undici mesi durante i quali i nostri artisti avevano vissuto di quella placida vita che noi conosciamo. Avevano riscosso i quattro trimestri dei loro assegni di cui tre erano stati depositati nelle banche di San Francisco e di New-York, dove avrebbero potuto ritirarli quando avessero voluto…

Dopo la celebrazione del matrimonio ad Auckland, Sébastien Zorn, Yvernès, Frascolin, Pinchinat, andarono a congedarsi dai loro amici senza dimenticare Athanase Dorémus.

Poi s'imbarcarono su di un piroscafo destinato a San Diego. Arrivati il 3 maggio in questa capitale della Bassa California, loro

prima cura fu di farsi scusare per mezzo dei giornali del loro mancamento di parola avvenuto, con loro gran dispiacere, undici mesi prima.

— Signori, vi avremmo atteso per altri vent'anni! — fu la risposta che ricevettero dall'amabile direttore delle serate musicali di San Diego.

Non si poteva essere né più remissivi né più gentili. Perciò la sola maniera di rispondere a tanta cortesia era di dar subito quel concerto annunciato tanto tempo prima.

E dinanzi a un pubblico tanto numeroso quanto entusiasta, il quartetto in Fa maggiore dell'op. 9 di Mozart valse a quegli artisti sfuggiti al naufragio di Standard-Island uno dei più grandi trionfi della loro vita.

Ed ecco finita la storia di quella nona meraviglia del mondo che fu l'incomparabile Gioiello del Pacifico. Si dice che tutto è bene quel che finisce bene, ed anche che tutto è male quel che finisce male: e

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non è questo il caso di Standard-Island?… Finita no! ed essa, a quanto pretendeva Calistus Munbar, un

giorno o l'altro sarebbe stata ricostruita. Ma intanto (non sapremmo mai ripeterlo abbastanza) creare

un'isola artificiale, un'isola moventesi sulla superficie dei mari non era stato sorpassare i limiti assegnati al genio umano, e non è forse proibito all'uomo, il quale non è padrone né dei venti, né dei flutti, d'usurpare così temerariamente i diritti del Creatore?…