Jules Verne - I Ribelli Del «Bounty»

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Racconto

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Jules Verne

GLI AMMUTINATI DEL «BOUNTY»

Titolo originale dell’opera

LES RÉVOLTÉS DE LA «BOUNTY» (1879)

Traduzioni integrali dal francese di MARO ZANI Prima edizione: 1984

Proprietà letteraria e artistica riservata - Printed in Italy © Copyright 1984 U. MURSIA & C.

2668/AC - U. MURSIA & C. - Milano - Via Tadino, 29

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PRESENTAZIONE

Questo riadattamento della celebre vicenda del Bounty è stato

pubblicato nel 1879 in appendice a I cinquecento milioni della Begum e non è, come si potrebbe pensare in un primo momento, un racconto di fantasia condotto sulla trama del fatto realmente avvenuto, bensì il resoconto preciso, per quanto semplificato, dell'episodio, redatto da Verne sulla base di documenti e di testi ufficiali dell'Ammiragliato britannico.

Indice PRESENTAZIONE 3

Capitolo I 4 L'ABBANDONO 4

Capitolo II 11 GLI ABBANDONATI 11

Capitolo III 18 GLI AMMUTINATI 18

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CAPITOLO I

L'ABBANDONO

NON UN alito di vento, non un'increspatura sulla superficie del mare, non una nube nel cielo. Le splendide costellazioni dell'emisfero australe si disegnano con incomparabile purezza. Le vele del Bounty pendono dagli alberi, la nave è immobile, e la luce della luna, impallidendo davanti all'aurora che si sta alzando, illumina lo spazio d'un bagliore indefinibile.

Il Bounty, nave di duecentoquindici tonnellate, con un equipaggio di quarantasette uomini, aveva lasciato Spithead, il 23 dicembre 1787, sotto il comando del capitano Bligh, marinaio esperto ma piuttosto duro, che aveva accompagnato il capitano Cook nel suo ultimo viaggio di esplorazione.

Il Bounty aveva la missione speciale di trasportare alle Antille l'albero del pane, che cresce abbondantemente nell'arcipelago di Tahiti. Dopo una sosta di sei mesi nella baia di Matavai, William Bligh, avendo caricato un migliaio di quegli alberi, aveva ripreso la rotta per le Indie Occidentali, dopo un soggiorno abbastanza breve alle isole degli Amici.

Diverse volte, il carattere sospettoso e collerico del capitano gli aveva procurato scene sgradevoli con qualcuno dei suoi ufficiali. Tuttavia, la tranquillità che regnava a bordo del Bounty, al sorgere del sole, il 28 aprile 1789, non faceva presagire nulla dei gravi avvenimenti che stavano per accadere.

Tutto sembrava calmo, infatti, quando ad un tratto un'animazione insolita si propaga sulla nave. Alcuni marinai si riuniscono, scambiano due o tre parole a bassa voce, poi spariscono a passi silenziosi.

Si rileva forse la guardia del mattino? È avvenuto a bordo qualche incidente inaspettato?

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— Soprattutto non fate rumore, amici miei, — dice Fletcher Christian, il secondo nostromo del Bounty. — Bob, caricate la pistola, ma non sparate senza mio ordine. Voi, Churchill, prendete l'accetta e fate saltare la serratura della cabina del capitano. Un'ultima raccomandazione: lo voglio vivo!

Seguito da una decina di marinai armati di sciabole, di coltellacci e di pistole, Christian scese sottocoperta; poi, dopo aver posto due sentinelle dinanzi alla cabina di Stewart e di Peter Haywood, il primo nostromo e il midshipman1 del Bounty, si arrestò dinanzi alla porta del capitano.

— Andiamo, ragazzi, — disse — una bella spallata! La porta cedette sotto una spinta vigorosa, e i marinai si

precipitarono nella cabina. Stupiti dapprima per il buio, e riflettendo forse sulla gravità dei

loro atti, essi ebbero un momento d'esitazione. — Olà! che cosa c'è? Chi osa permettersi?... — esclamò il

capitano balzando dalla sua cuccetta. — Silenzio, Bligh! — rispose Churchill. — Silenzio, e non

cercare di resistere, o t'imbavaglio! — È inutile che tu ti vesta, — aggiunse Bob. — Farai sempre

buona figura quando sarai appeso al picco della randa! — Legategli le mani dietro la schiena, Churchill, — disse

Christian — e portatelo sul ponte! — Il più terribile dei capitani non fa molta paura, quando si sa

fare, — fece osservare John Smith, il filosofo della comitiva. Poi il corteo, senza preoccuparsi di svegliare o meno i marinai

dell'ultima guardia, ancora addormentati, risalì la scala e riapparve sul ponte.

Era una rivolta in piena regola. Solo fra tutti gli ufficiali di bordo, Young, uno dei midshipmen, aveva fatto causa comune con gli ammutinati.

Quanto agli uomini dell'equipaggio, gli esitanti avevano dovuto cedere per il momento, mentre gli altri, senza armi, senza capo, rimanevano spettatori del dramma che stava per compiersi sotto i loro occhi.

1 Guardiamarina. (N.d.T.)

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Tutti erano sul ponte schierati in silenzio; osservavano il contegno del loro capitano, che, seminudo, avanzava con la testa alta in mezzo a quegli uomini abituati a tremare davanti a lui.

— Bligh, — disse Christian con voce aspra — siete destituito dal comando.

— Non vi riconosco il diritto... — rispose il capitano. — Non perdiamo tempo in proteste inutili, — esclamò Christian,

interrompendo Bligh. — Sono, in questo momento, l'interprete di tutto l'equipaggio del Bounty. Non avevamo ancora lasciato l'Inghilterra e già dovevamo lamentarci dei vostri sospetti ingiuriosi, delle vostre maniere brutali. Quando dico noi, intendo gli ufficiali così come i marinai. Non solo non abbiamo mai potuto ottenere la soddisfazione che ci era dovuta, ma avete sempre respinto le nostre lagnanze con disprezzo! Siamo dunque cani, per essere ingiuriati ad ogni istante? Canaglie, briganti, bugiardi, ladri! non avevate espressioni abbastanza forti, ingiurie abbastanza volgari per noi! Davvero, bisognerebbe non essere uomini per sopportare un'esistenza simile! Ed io, io vostro compatriota, io che conosco la vostra famiglia, io che ho già fatto due viaggi sotto i vostri ordini, sono stato forse risparmiato? Non mi avete forse accusato, ancora ieri, d'avervi rubato pochi miserabili frutti? E gli uomini! Per un nonnulla, ai ferri! Per una sciocchezza, ventiquattro colpi di frusta! Ebbene, tutto si paga a questo mondo! Siete stato troppo liberale con noi, Bligh! Adesso tocca a noi! Le ingiurie, le ingiustizie, le accuse insensate, le torture morali e fisiche con le quali vi accanite contro il vostro equipaggio da un anno e mezzo dovete espiarle, e espiarle duramente! Capitano, siete stato giudicato da coloro che avete offeso, e siete stato condannato. Non è vero, camerati?

— Sì, sì, a morte! — esclamò la maggior parte dei marinai minacciando il capitano.

— Capitano Bligh, — soggiunse Christian — alcuni avevano parlato d'issarvi all'estremità di un cavo tra cielo e acqua. Altri proponevano di lacerarvi le spalle con il gatto a nove code fino alla morte. Mancavano d'immaginazione; io ho trovato di meglio. E poi, voi non siete il solo colpevole qui. Coloro che hanno sempre eseguito fedelmente i vostri ordini, per crudeli che fossero, sarebbero disperati

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di passare sotto il mio comando. Essi hanno meritato di accompagnarvi là dove il vento vi spingerà. Preparate la lancia!

Un mormorio di disapprovazione accolse queste ultime parole di Christian, che non parve preoccuparsene. Il capitano Bligh, che quelle minacce non riuscivano a turbare, approfittò di un istante di silenzio per prendere la parola.

— Ufficiali e marinai, — disse con voce ferma — nella mia qualità di ufficiale della marina reale, comandante il Bounty, protesto contro il trattamento che volete farmi subire. Se dovete lamentarvi del modo con cui ho esercitato il mio comando, potete farmi giudicare da una corte marziale, ma non avete riflettuto senza dubbio sulla gravità dell'atto che state per commettere. Alzare le mani sul vostro capitano è ribellarvi a tutte le leggi esistenti, è rendervi il ritorno in patria impossibile per sempre, è voler essere trattati come furfanti! Presto o tardi, è la morte ignominiosa, la morte dei traditori e degli ammutinati! In nome dell'onore e dell'obbedienza che mi avete giurato, vi ordino di rientrare nei ranghi!

— Sappiamo benissimo a che cosa ci esponiamo, — rispose Churchill.

— Basta! Basta! — gridò l'equipaggio, pronto a passare alle vie di fatto.

— Ebbene, — disse Bligh — se vi occorre una vittima, che quella sia io, ma io solo! I miei compagni, che condannate come me, non hanno fatto che eseguire i miei ordini!

La voce del capitano fu allora coperta da un concerto di vociferazioni, ed egli dovette rinunciare a commuovere quei cuori diventati spietati.

Frattanto, erano state prese le disposizioni perché gli ordini di Christian venissero eseguiti.

Tuttavia, una discussione piuttosto vivace era sorta tra il secondo nostromo e diversi ammutinati che volevano abbandonare fra le onde il capitano Bligh ed i suoi compagni, senza dar loro un'arma, senza lasciar loro un'oncia di pane.

Alcuni (ed era il parere di Churchill) trovavano che il numero di quelli che dovevano lasciar la nave non era abbastanza grande. Bisognava disfarsi, egli diceva, di tutti gli uomini che, non avendo

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preso parte direttamente al complotto, non erano sicuri. Non si poteva fare assegnamento su coloro che si accontentavano di accettare i fatti compiuti. Quanto a lui, le spalle gli bruciavano ancora per le sferzate che aveva ricevuto per aver disertato a Tahiti. Il migliore, il più rapido mezzo per guarirlo, sarebbe stato di consegnargli per prima cosa il capitano!... Egli avrebbe ben saputo vendicarsi, e con le sue mani!

— Hayward! Hallett! — gridò Christian rivolgendosi a due ufficiali, senza tener conto delle osservazioni di Churchill — scendete nella lancia.

— Che cosa vi ho fatto, Christian, perché mi trattiate così? — disse Hayward. — Mi mandate a morte!

— Le recriminazioni sono inutili! Obbedite, oppure!... Fryer, imbarcatevi anche voi!

Ma quegli ufficiali, invece di dirigersi verso la lancia, si avvicinarono al capitano Bligh, e Fryer, che sembrava il più risoluto, si curvò verso di lui dicendo:

— Comandante, volete tentare di riconquistare la nave? Non abbiamo armi, è vero; ma questi ammutinati, sorpresi, non potranno resistere. Se qualcuno di noi viene ucciso, che importa! Si può tentare l'azione! Che cosa ve ne pare?

Già gli ufficiali prendevano le loro disposizioni per gettarsi addosso agli ammutinati, occupati a calare la lancia dai suoi sostegni, quando Churchill, a cui quel colloquio, per quanto fosse stato rapido, non era sfuggito, li circondò con alcuni uomini ben armati e li fece imbarcare a forza.

— Millward, Muspratt, Birket, e voi altri, — disse Christian rivolgendosi ad alcuni marinai che non avevano preso parte all'ammutinamento — scendete sottocoperta e scegliete ciò che avete di più prezioso! Accompagnerete il capitano Bligh. Tu, Morrison, sorveglia questi giovanotti! Purcell, prendete la vostra cassetta da carpentiere, vi permetto di portarla con voi.

Due alberi con le loro vele, dei chiodi, una sega, mezza pezza di tela da vele, quattro piccoli recipienti contenenti centoventicinque litri di acqua, centocinquanta libbre di biscotto, trentadue libbre di porco salato, sei bottiglie di vino, sei bottiglie di rum, la cassetta da

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liquori del capitano, ecco tutto ciò che gli abbandonati poterono portare con sé. Furono loro gettate inoltre due o tre vecchie sciabole, ma venne loro rifiutato ogni tipo d'arma da fuoco.

— Ma dove sono Haywood e Stewart? — disse Bligh quando fu nella lancia. — Mi hanno tradito anche loro?

Non lo avevano tradito, ma Christian aveva deciso di tenerli a bordo. Il capitano ebbe allora un momento di scoraggiamento e di debolezza, perdonabile del resto, che fu di brevissima durata.

— Christian, — disse — vi do la mia parola d'onore di dimenticare tutto ciò che è accaduto, se rinunciate al vostro abominevole progetto! Ve ne supplico, pensate a mia moglie e alla mia famiglia! Morto io, che sarà di tutti i miei?

— Se aveste avuto un po' d'onore, — rispose Christian — le cose non sarebbero arrivate a questo punto. Se voi stesso aveste pensato un po' più spesso a vostra moglie, alla vostra famiglia, alle mogli ed alle famiglie degli altri, non sareste stato così duro, così ingiusto con noi tutti!

A sua volta, il primo nostromo, al momento d'imbarcarsi, tentò d'intenerire Christian, ma invano.

— È troppo tempo che io soffro, — rispose quest'ultimo con amarezza. — Voi non sapete quali sono state le mie torture! No! La cosa non poteva durare un giorno di più e, del resto, non ignorate che durante tutto il viaggio, io, il secondo nostromo di questa nave, sono stato trattato come un cane! Tuttavia, separandomi dal capitano Bligh che probabilmente non rivedrò mai più, voglio, per pietà, non togliergli ogni speranza di salvezza. Smith! scendete nella cabina del capitano, e portategli i suoi abiti, i suoi documenti, il suo diario ed il suo portafogli. Inoltre, gli si consegnino le mie Tavole nautiche ed il mio sestante personale. Egli avrà così qualche speranza di poter salvare i suoi compagni e di cavarsi d'impiccio!

Gli ordini di Christian furono eseguiti, non senza qualche protesta. — Ed ora, Morrison, molla gli ormeggi, — gridò il secondo

nostromo diventato comandante — e Iddio vi conduca! Mentre gli ammutinati salutavano con acclamazioni ironiche il

capitano Bligh ed i suoi disgraziati compagni, Christian, appoggiato all'impavesata, non poteva staccare lo sguardo dalla lancia che si

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allontanava. Questo bravo ufficiale, la cui condotta, fino allora leale e franca, aveva meritato gli elogi di tutti i comandanti sotto i quali aveva servito, non era più ormai che il capo d'una banda di furfanti. Non gli sarebbe stato più concesso di rivedere né la sua vecchia madre, né la sua fidanzata, né le spiagge dell'isola di Man, sua patria. Egli si sentiva decaduto nella propria stima, disonorato agli occhi di tutti! Il castigo seguiva già la colpa.

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CAPITOLO II

GLI ABBANDONATI

CON I suoi diciotto passeggeri, ufficiali e marinai, e le poche provviste che conteneva, la lancia che portava Bligh era tanto carica che superava di appena quindici pollici il livello del mare. Lunga ventuno piedi, larga sei, poteva essere perfettamente adatta al servizio del Bounty; ma per contenere un equipaggio così numeroso, per fare un viaggio un po' lungo, era difficile trovare una barca meno adatta.

I marinai, fiduciosi nell'energia e nell'abilità del capitano Bligh e degli ufficiali uniti a loro nella stessa sorte, remavano vigorosamente, e la lancia fendeva rapidamente le onde.

Bligh non aveva esitato circa il partito da prendere. Bisognava, anzitutto, ritornare al più presto all'isola Tofoa, la più vicina del gruppo delle isole degli Amici, che avevano lasciato alcuni giorni prima, bisognava raccogliervi dei frutti dell'albero del pane, rinnovare la provvista d'acqua, e di là, dirigersi verso Tonga-Tabu. Si sarebbe potuto senza dubbio prendervi viveri in quantità sufficiente per fare la traversata fino alla colonia olandese di Timor, se, per paura degli indigeni, non ci si fosse voluti fermare negli innumerevoli arcipelaghi sparsi sulla rotta.

La prima giornata passò senza incidenti, e cadeva la notte quando furono avvistate le coste di Tofoa. Disgraziatamente, la riva era così rocciosa, la spiaggia così erta che non vi si poteva sbarcare di notte. Si dovette dunque aspettare il giorno.

Bligh, salvo il caso di assoluta necessità, non intendeva toccare le provviste della lancia. Bisognava dunque che l'isola nutrisse i suoi uomini e lui. La cosa sembrava dover essere difficile perché, anzitutto, quando furono a terra, non trovarono traccia d'abitanti. Alcuni, tuttavia, non tardarono a mostrarsi, e, essendo stati ricevuti

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bene, ne condussero altri, che portarono un po' d'acqua e delle noci di cocco.

L'imbarazzo di Bligh era grande. Che cosa dire ai nativi che avevano già trafficato con il Bounty durante la sua recente sosta? Ad ogni costo, era necessario nascondere loro la verità, per non distruggere il prestigio di cui gli stranieri erano stati circondati fino allora in quelle isole.

Dire che erano stati mandati per fare provviste dalla nave rimasta al largo? Impossibile, poiché il Bounty non era visibile, nemmeno dall'alto delle colline! Dire che la nave era naufragata e che gli indigeni vedevano in loro i soli superstiti? Era ancora la favola più verosimile. Forse essa li avrebbe commossi, li avrebbe indotti a completare le provviste della lancia. Bligh si attenne dunque a quest'ultimo partito, per quanto fosse pericoloso, e avvertì i suoi uomini affinché tutti si comportassero di conseguenza.

Udendo quel racconto, i nativi non lasciarono trapelare alcun segno di gioia o di dolore. I loro volti espressero solo un profondo stupore, e fu impossibile conoscere che cosa pensassero.

Il 2 maggio, il numero degli indigeni venuti dalle altre parti dell'isola aumentò in modo inquietante, e Bligh poté in breve ritenere che essi avevano intenzioni ostili. Alcuni tentarono perfino di alare l'imbarcazione sulla spiaggia, e si ritirarono solo davanti alle energiche rimostranze del capitano, che dovette minacciarli con il suo coltellaccio. Frattanto, alcuni degli uomini che Bligh aveva mandato alla ricerca portavano tre galloni di acqua.

Era venuto il momento di lasciare quell'isola inospitale. Al tramonto, tutto era pronto, ma non era facile tornare alla lancia. La spiaggia era circondata da una folla di indigeni che battevano dei sassi uno contro l'altro, pronti a lanciarli. Bisognava dunque che la lancia si tenesse ad alcune tese dalla spiaggia e accostasse solo nel momento in cui gli uomini fossero assolutamente pronti ad imbarcarsi.

Gli inglesi, veramente assai preoccupati dalle manifestazioni ostili dei nativi, attraversarono la spiaggia in mezzo a duecento indigeni, che aspettavano solo un segnale per gettarsi loro addosso. Tuttavia, erano entrati tutti felicemente nella barca, quando uno dei marinai, di

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nome Bancroft, ebbe la funesta idea di ritornare sulla riva per cercare qualche cosa che vi aveva dimenticato. In un secondo, l'imprudente fu circondato dai nativi e ucciso a sassate, senza che i suoi compagni, che non possedevano armi da fuoco, potessero soccorrerlo. D'altra parte, anch'essi, in quel momento, erano assaliti, e sassi piovevano loro intorno.

— Su, ragazzi, — gridò Bligh — presto ai remi, e remate in fretta. I nativi allora entrarono nell'acqua e fecero piovere sulla barca una

nuova grandinata di ciottoli. Molti uomini furono feriti. Ma Hayward, raccogliendo uno dei sassi che erano caduti nella lancia, mirò uno degli assalitori e lo colpì tra gli occhi. L'indigeno cadde all'indietro gettando un gran grido, a cui risposero gli urrà degli inglesi. Il loro povero camerata era vendicato.

Frattanto, molte piroghe si staccavano dalla spiaggia e davano loro la caccia. Quell'inseguimento non poteva finire che con un combattimento, il cui esito non sarebbe stato felice, quando il primo nostromo ebbe un'idea luminosa. Senza sospettare di imitare Ippomene nella gara con Atalanta, si tolse il camiciotto e lo gettò in mare. I nativi, scambiando il camiciotto per un uomo, persero tempo a raccoglierlo, e quell'espediente permise alla lancia di scapolare la punta della baia.

Nel frattempo, la notte era scesa del tutto, e gli indigeni, scoraggiati, abbandonarono l'inseguimento della lancia.

Quel primo tentativo di sbarco era stato troppo disgraziato per essere ripetuto; tale almeno fu il parere del capitano Bligh.

— Adesso bisogna prendere una risoluzione, — disse. — La scena che è accaduta a Tofoa si rinnoverà, ne sono certo, a Tonga-Tabu, e dappertutto dove vorremo sbarcare. Pochi di numero, senza armi da fuoco, saremo assolutamente in balia degli indigeni! Privi di oggetti di scambio, non possiamo comperare viveri, e ci è impossibile procurarceli con la forza. Siamo dunque ridotti ai nostri soli mezzi. Ora, sapete quanto me, amici miei, quanto essi siano meschini! Ma non è forse meglio accontentarcene piuttosto che arrischiare, ad ogni sbarco, la vita di molti di noi? Tuttavia, non voglio nascondervi la precarietà della nostra condizione. Per raggiungere Timor, dobbiamo fare circa milleduecento leghe, e

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dovrete accontentarvi di un'oncia di biscotto al giorno e di un quarto di pinta d'acqua! La salvezza è soltanto a questo prezzo, ed ancora, a patto che io trovi in voi la più assoluta obbedienza! Rispondetemi sinceramente! Acconsentite a tentar l'impresa? Giurate di obbedire ai miei ordini quali che siano? Promettete di sottoporvi senza mormorare a queste privazioni?

— Sì, sì, lo giuriamo! — esclamarono tutti insieme i compagni di Bligh.

— Amici miei, — soggiunse il capitano — bisogna anche dimenticare i nostri reciproci torti, le nostre antipatie ed i nostri odii, sacrificare, in una parola, i rancori personali all'interesse di tutti, questo è l'unico sentimento che deve guidarci!

— Lo promettiamo. — Se manterrete la vostra parola, — aggiunse Bligh — e, se

necessario, saprò costringervici, io rispondo della salvezza. Si diressero allora verso ovest-nord-ovest. Il vento, che era

piuttosto forte, soffiò a tempesta la sera del 4 maggio. Le onde divennero così grosse che l'imbarcazione scompariva sotto di esse, e sembrava non potersi più rialzare. Il pericolo cresceva ogni momento. Bagnati e intirizziti, i disgraziati non ebbero per ristorarsi, quel giorno, che una tazza di rum e la quarta parte di un frutto dell'albero del pane marcio per metà.

Il giorno seguente e i successivi, la situazione non mutò. La barca passò in mezzo a numerose isole, da cui si staccarono alcune piroghe.

Era per darle la caccia? Era per fare dei baratti? Nel dubbio sarebbe stato imprudente fermarsi. Perciò la lancia, con le vele gonfiate da un vento favorevole, le lasciò in breve dietro di sé.

Il 9 maggio, scoppiò un uragano spaventoso. Tuoni e lampi si succedevano di continuo. La pioggia cadeva con una forza di cui i più violenti uragani dei nostri climi non possono dare un'idea. Era impossibile fare asciugare gli abiti. Bligh, allora, ebbe l'idea d'immergerli nell'acqua marina e di impregnarli di sale per ridonare alla pelle un po' del calore toltole dalla pioggia. Tuttavia, quelle piogge torrenziali, che causarono tante sofferenze al capitano e ai suoi compagni, risparmiarono loro altre torture ancora più orribili, le

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torture della sete che un caldo insopportabile avrebbe presto provocato.

La mattina del 17 maggio, dopo un uragano terribile, le lamentele si fecero unanimi:

— Non avremo mai la forza di raggiungere la Nuova Olanda, — esclamarono i disgraziati. — Inzuppati dalla pioggia, sfiniti dalla stanchezza, non avremo mai un momento di riposo! Mezzo morti di fame come siamo, non ci aumenterete le razioni, capitano? Poco importa che i viveri si esauriscano! Troveremo facilmente da sostituirli giungendo alla Nuova Olanda.

— Rifiuto, — rispose Bligh. — Sarebbe comportarsi da pazzi. Game! Non abbiamo superato che la metà della distanza che ci separa dall'Australia, e siete già scoraggiati! Credete, d'altra parte, di poter trovare facilmente dei viveri sulle coste della Nuova Olanda? Ma allora non conoscete il paese ed i suoi abitanti!

E Bligh si mise a dipingere a grandi linee la natura del suolo, i costumi degli indigeni, il poco assegnamento che dovevano fare sulla loro accoglienza, tutte cose che il suo viaggio con il capitano Cook gli aveva fatto conoscere. Ancora questa volta i suoi disgraziati compagni lo ascoltarono e tacquero.

I quindici giorni successivi furono rallegrati da un limpido sole, che permise di far asciugare gli abiti. Il 27, furono superati i frangenti che orlano la costa orientale della Nuova Olanda. Il mare era calmo dietro quella cintura madreporica, e alcuni gruppi d'isole, dalla vegetazione esotica, rallegravano gli sguardi.

Si sbarcò, avanzando con precauzione. Non furono trovate tracce del soggiorno dei nativi, tranne che vecchi focolari. Era dunque possibile passare una buona notte a terra.

Ma bisognava mangiare. Fortunatamente, uno dei marinai scoprì un banco di ostriche. Fu un vero banchetto.

Il giorno seguente, Bligh trovò nella lancia una lente, un acciarino e dello zolfo. Fu così in grado di procurarsi del fuoco per far cuocere la selvaggina o il pesce.

Bligh ebbe allora il pensiero di dividere l'equipaggio in tre squadre: una doveva rimettere in ordine la barca; le altre due andare in cerca di viveri.

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Ma molti uomini si lamentarono amaramente, dichiarando che preferivano fare a meno del desinare piuttosto che arrischiarsi nell'interno.

Uno di loro, più violento o più snervato dei suoi camerati, osò dire al capitano:

— Un uomo ne vale un altro, e non vedo perché voi dobbiate restare sempre a riposarvi! Se avete fame, andate a cercare da mangiare! Per quello che fate qui, vi sostituirò benissimo, anch'io!

Bligh, comprendendo che quello spirito d'ammutinamento doveva essere represso immediatamente, afferrò un coltellaccio, e gettandone un altro ai piedi del ribelle, gli gridò:

— Difenditi, o ti ammazzo come un cane! Quell'atteggiamento energico fece subito rientrare l'ammutinato in

se stesso, e il malcontento generale si calmò. Durante quella sosta, l'equipaggio della lancia raccolse

abbondantemente ostriche, pettini2 e acqua dolce. Un po' più lontano, nello stretto dell'Endeavour, delle due squadre

mandate a caccia di tartarughe e di noddis,3 la prima ritornò a mani vuote; la seconda portò sei gabbiani noddis, ma ne avrebbe presi molti di più senza l'ostinazione di uno dei cacciatori che, essendosi allontanato dai suoi camerati, spaventò gli uccelli. Quell'uomo confessò, più tardi, che si era impadronito di nove di quei volatili e che li aveva mangiati crudi sul posto.

Senza i viveri e l'acqua dolce che avevano trovato sulla costa della Nuova Olanda, certamente Bligh e i suoi compagni sarebbero morti. Del resto, tutti erano in pessimo stato, sparuti, disfatti, sfiniti, veri cadaveri.

Il viaggio in alto mare, per raggiungere Timor, non fu che la dolorosa ripetizione delle sofferenze già sopportate dai disgraziati prima di giungere alle coste della Nuova Olanda. Solamente, la forza di resistenza era scemata in tutti, senza eccezione. Dopo alcuni giorni, le loro gambe erano gonfie. In quello stato di estrema debolezza, erano accasciati da una quasi continua voglia di dormire. Erano i sintomi premonitori di una fine che non poteva tardar molto.

2 Tipo di conchiglia. (N.d.A.) 3 Tipo di uccelli. (N.d.A.)

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Perciò Bligh, che se ne avvide, distribuì doppia razione ai più deboli, e si sforzò di infondere loro un po' di speranza.

Finalmente, la mattina del 12 giugno, la costa di Timor apparve, dopo tremilaseicentodiciotto leghe d'una traversata fatta in condizioni spaventose.

L'accoglienza che gli inglesi ricevettero a Cupang fu delle più calorose. Essi vi rimasero due mesi per ristorarsi. Poi, Bligh, comperata una piccola goletta, si recò a Batavia, dove si imbarcò per l'Inghilterra.

Il 14 marzo 1790 gli abbandonati sbarcarono a Portsmouth. Il racconto delle torture che avevano sopportato suscitò la simpatia universale e lo sdegno di tutti gli uomini di cuore. Quasi subito, l'Ammiragliato procedeva ad armare la fregata Pandora, di ventiquattro cannoni, e centosessanta uomini d'equipaggio, e la mandava all'inseguimento degli ammutinati del Bounty.

Si vedrà che cosa era avvenuto di loro.

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CAPITOLO III

GLI AMMUTINATI

DOPO CHE il capitano Bligh venne abbandonato in alto mare, il Bounty aveva fatto vela per Tahiti. Quello stesso giorno, esso giungeva a Tubuai. L'aspetto ridente di quest'isoletta, circondata di una cintura di rocce madreporiche, invitava Christian a scendervi; ma le dimostrazioni degli abitanti sembravano troppo minacciose, e lo sbarco non ebbe luogo.

Il 6 giugno 1789 fu gettata l'ancora nella rada di Matavai. La sorpresa dei tahitiani fu grande, riconoscendo il Bounty. Gli ammutinati ritrovarono là gli indigeni con i quali erano stati a contatto in una precedente sosta, e narrarono loro una frottola, in cui ebbero cura di inserire il nome del capitano Cook, di cui i tahitiani avevano conservato ottimo ricordo.

Il 29 giugno, gli ammutinati ripartirono per Tubuai e si misero in cerca di qualche isola situata al di fuori della rotta consueta delle navi, il cui suolo fosse abbastanza fertile da nutrirli, e sulla quale potessero vivere in tutta sicurezza. Vagarono così di arcipelago in arcipelago, commettendo ogni sorta di ladrocini e di eccessi, che l'autorità di Christian riusciva solo molto raramente a prevenire.

Poi, attirati ancora una volta dalla fertilità di Tahiti, dalle usanze gentili, e semplici dei suoi abitanti, essi ritornarono alla baia di Matavai. Là, i due terzi dell'equipaggio scesero subito a terra. Ma la sera stessa il Bounty aveva levato l'ancora ed era scomparso, prima che i marinai sbarcati avessero potuto sospettare l'intenzione di Christian di partire senza di loro.

Abbandonati a se stessi, quegli uomini si stabilirono senza troppo rammarico in diverse località dell'isola. Il primo nostromo Stewart e il midshipman Peter Haywood, i due ufficiali che Christian aveva risparmiato alla condanna pronunciata contro Bligh, e condotto con

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sé loro malgrado, rimasero a Matavai presso il re Tippao, di cui Stewart sposò ben presto la sorella. Morrison e Millward si recarono presso il capo Peno, che fece loro buona accoglienza. Quanto agli altri marinai, si spinsero nell'interno dell'isola e non tardarono a sposare delle tahitiane.

Churchill e un pazzo furioso chiamato Thompson, dopo aver commesso ogni sorta di delitti, vennero alle mani. In quella lotta Churchill fu ucciso, e Thompson lapidato dagli indigeni. Così perirono due degli uomini che avevano avuto una parte assai importante nell'ammutinamento. Gli altri seppero, al contrario, con la loro buona condotta, farsi benvolere dai tahitiani.

Tuttavia, Morrison e Millward vedevano sempre il castigo sospeso sulle loro teste e non potevano vivere tranquilli in quell'isola in cui sarebbero stati facilmente scoperti. Progettarono dunque di costruire una goletta, a bordo della quale avrebbero tentato di giungere a Batavia, per nascondersi nel mondo civilizzato. Con otto dei loro compagni, senza altri utensili all'infuori di quelli del carpentiere, riuscirono, non senza stento, a costruire una piccola nave che chiamarono Resolution, e la vararono in una baia dietro una delle punte di Tahiti, chiamata punta Venere. Ma l'impossibilità assoluta in cui si trovavano di procurarsi delle vele impedì loro di prendere il mare. Frattanto, forti della loro innocenza, Stewart coltivava un giardino e Peter Haywood raccoglieva materiale per un vocabolario, che fu, più tardi, di grande aiuto ai missionari inglesi.

Erano trascorsi diciotto mesi quando, il 23 marzo 1791, una nave scapolò la punta Venere e si arrestò nella baia Matavai. Era la Pandora, mandata all'inseguimento degli ammutinati dall'Ammiragliato inglese.

Haywood e Stewart si affrettarono a recarsi a bordo, declinarono i loro nomi e il loro grado, raccontarono che non avevano partecipato minimamente all'ammutinamento; ma non furono creduti, e vennero messi subito ai ferri, come tutti i loro compagni, senza che si facesse la minima inchiesta. Trattati con degradante inumanità, carichi di catene, minacciati di essere fucilati se si fossero serviti della lingua tahitiana per conversare tra di loro, furono chiusi in una gabbia di

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undici piedi di lunghezza, posta all'estremità del casseretto, che un appassionato di mitologia denominò « vaso di Pandora ».

Il 19 maggio, la Resolution, che era stata provvista di vele, e la Pandora ripresero il mare. Per tre mesi, le due navi incrociarono per l'arcipelago degli Amici, dove si supponeva che Christian e gli altri ammutinati avessero potuto rifugiarsi. La Resolution, che aveva poco pescaggio, fu anzi molto utile durante quella crociera; ma scomparve nei paraggi dell'isola Chatam, e benché la Pandora fosse rimasta per molti giorni in zona, non si udì mai più parlare né di essa né dei cinque marinai che aveva a bordo.

La Pandora aveva ripreso la rotta per l'Europa con i suoi prigionieri, quando, nello stretto di Torres, urtò contro uno scoglio di corallo e colò a picco quasi subito con trentun marinai e quattro degli ammutinati.

L'equipaggio e i prigionieri che erano sfuggiti al naufragio raggiunsero un isolotto sabbioso. Là, gli ufficiali e i marinai poterono ripararsi sotto delle tende; ma gli ammutinati, esposti agli ardori di un sole a picco, furono costretti, per trovare un po' di sollievo, a cacciarsi nella sabbia fino al collo.

I naufraghi restarono su quell'isola alcuni giorni; poi si recarono tutti a Timor nelle lance della Pandora, e la sorveglianza rigorosa di cui erano oggetto gli ammutinati non fu trascurata un momento, nonostante la gravità delle circostanze.

Giunti in Inghilterra nel mese di giugno 1792, i ribelli comparvero davanti a un consiglio di guerra presieduto dall'ammiraglio Hood. Le sedute durarono sei giorni e finirono con l'assoluzione di quattro degli accusati e la condanna a morte di altri sei, per crimine di diserzione e sottrazione della nave affidata alla loro custodia. Quattro dei condannati furono impiccati a bordo di una nave da guerra; gli altri due, Stewart e Peter Haywood, la cui innocenza fu finalmente riconosciuta, vennero graziati.

Ma che cosa era avvenuto del Bounty? Era naufragato con gli ultimi degli ammutinati? Era impossibile saperlo.

Nel 1814, venticinque anni dopo la scena con la quale comincia questo racconto, due navi da guerra inglesi incrociavano in Oceania sotto il comando del capitano Staines. Si trovavano, a sud

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dell'arcipelago Pericoloso, in vista di un'isola montagnosa e vulcanica che Carteret aveva scoperto nel suo viaggio intorno al mondo, e alla quale aveva dato il nome di Pitcairn. Non era che un cono, quasi senza spiaggia, che sorgeva a picco sopra il mare, e tappezzato fino alla vetta di foreste di palme e di alberi del pane. Quell'isola non era mai stata visitata; essa si trovava a milleduecento miglia da Tahiti, a 25° 4' di latitudine sud e 180° 8' di longitudine ovest; misurava solo quattro miglia e mezzo di circonferenza e un miglio e mezzo soltanto di diametro maggiore, e non se ne sapeva se non quanto aveva narrato Carteret.

Il capitano Staines stabilì di riconoscerla e di cercarvi un punto adatto per sbarcare.

Avvicinandosi alla costa, fu stupito di vedere delle capanne, delle coltivazioni, e, sulla spiaggia, due nativi che, dopo avere gettato una barca in mare e traversato agilmente la risacca, si diressero verso la sua nave. Ma il suo stupore non ebbe più limiti quando si udì interpellare in ottimo inglese con questa frase:

— Eh! voialtri, gettateci un cavo affinché possiamo venire a bordo! Appena giunti sul ponte, i due robusti rematori furono circondati dai marinai stupiti, che li riempivano di domande alle quali essi non sapevano che cosa rispondere. Condotti davanti al comandante, furono interrogati regolarmente.

— Chi siete? — Io mi chiamo Fletcher Christian, e il mio compagno, Young.

Questi nomi non dicevano nulla al capitano Staines, che era ben lontano dal pensare ai superstiti del Bounty.

— Da quando siete qui? — Ci siamo nati. — Che età avete? — Io ho venticinque anni, — rispose Christian — e Young

diciotto. — I vostri genitori sono stati gettati su quest'isola da qualche

naufragio? Christian fece allora al capitano Staines la commovente confessione che segue, di cui ecco i punti principali.

Lasciando Tahiti, dove abbandonava ventuno dei suoi compagni, Christian, che aveva a bordo del Bounty il resoconto del viaggio del

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capitano Carteret, si era diretto immediatamente verso l'isola Pitcairn, la cui posizione gli era sembrata adatta allo scopo che si proponeva. Ventotto uomini componevano ancora l'equipaggio del Bounty. Erano Christian, l'aspirante Young e sette marinai, sei tahitiani presi a Tahiti, tre dei quali con le loro mogli e un bambino di dieci mesi, più tre uomini e sei donne, indigeni di Rubuai.

Prima preoccupazione di Christian e dei suoi compagni, appena furono giunti all'isola Pitcairn, era stata di distruggere il Bounty per non essere scoperti. Certo, così si erano tolti ogni possibilità di lasciare l'isola, ma la loro sicurezza lo esigeva.

La sistemazione della piccola colonia non doveva farsi senza difficoltà, con persone unite solamente dalla solidarietà di un delitto. Ben presto erano scoppiati sanguinosi litigi fra i tahitiani e gli inglesi. Perciò, nel 1794, sopravvivevano solo quattro degli ammutinati. Christian era caduto sotto il coltello di uno degli indigeni che aveva condotto con sé. Tutti i tahitiani erano stati massacrati.

Uno degli inglesi, che aveva trovato il mezzo per fabbricare delle bevande alcoliche con la radice di una pianta indigena, aveva finito con l'abbrutirsi nell'ubriachezza e, preso da un accesso di delirium tremens, si era gettato in mare dall'alto di una scogliera.

Un altro, in preda a un accesso di pazzia furiosa, si era gettato addosso a Young e a uno dei marinai, di nome John Adams, che erano stati costretti a ucciderlo. Nel 1800, Young era morto durante una violenta crisi d'asma.

John Adams fu allora l'ultimo superstite dell'equipaggio degli ammutinati.

Rimasto solo con molte donne e venti fanciulli, nati dalle nozze dei suoi camerati con le tahitiane, l'indole di John Adams si era modificata profondamente. Allora egli aveva solo trentasei anni, ma da molti anni aveva assistito a tante scene di violenza e di carneficina, aveva visto la natura umana sotto aspetti così tristi, che, dopo essersi ravveduto, egli si era emendato del tutto.

Nella biblioteca del Bounty, conservata nell'isola, si trovarono una Bibbia e molti libri di preghiere. John Adams, che li leggeva frequentemente, si converti, allevò con ottimi principi la giovane

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popolazione che lo considerava come padre, e diventò, per forza di eventi, il legislatore, il gran sacerdote e, per così dire, il re di Pitcairn.

Tuttavia, fino al 1814, i suoi timori erano stati continui. Nel 1795, essendosi avvicinata a Pitcairn una nave, i quattro superstiti del Bounty si erano nascosti in boschi inaccessibili e non avevano osato ridiscendere nella baia se non dopo la partenza della nave. Stesso atto di prudenza quando, nel 1808, un capitano americano sbarcò sull'isola, dove s'impadronì d'un cronometro e d'una bussola, che egli fece pervenire all'Ammiragliato inglese; ma l'Ammiragliato non si commosse alla vista di quei resti del Bounty. Vero è che in quel tempo esso aveva in Europa preoccupazioni di ben altra gravità.

Questo fu il racconto fatto al comandante Staines dai due nativi, inglesi per parte di padri, figli, l'uno di Christian, l'altro di Young; ma quando Staines chiese di vedere John Adams, questi rifiutò di recarsi a bordo prima di sapere che cosa sarebbe avvenuto di lui.

Il comandante, dopo aver assicurato ai due giovanotti che Adams era protetto dalla prescrizione, poiché erano trascorsi venticinque anni dall'ammutinamento del Bounty, scese a terra, e al suo sbarco fu ricevuto da una popolazione composta di quarantasei adulti e di moltissimi fanciulli. Tutti erano grandi e robusti, con i caratteri fisici inglesi nettamente dominanti; le fanciulle soprattutto erano meravigliosamente belle, e la loro modestia dava loro una particolare seduzione.

Le leggi in vigore nell'isola erano semplicissime. In un registro veniva notato quello che ognuno aveva guadagnato con il proprio lavoro. La moneta era sconosciuta; tutte le transazioni si facevano per mezzo dello scambio, ma non c'era industria, poiché mancavano le materie prime. Gli abitanti portavano per unico abbigliamento larghi cappelli e gonnellini d'erba. La pesca e l'agricoltura erano le loro principali occupazioni. I matrimoni si facevano solo con il permesso di Adams, e quando l'uomo aveva dissodato e coltivato un terreno abbastanza ampio da poter provvedere al mantenimento della sua futura famiglia.

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Il comandante Staines, dopo aver raccolto dei documenti curiosissimi su quell'isola, perduta nei paraggi meno frequentati del Pacifico, riprese il mare e ritornò in Europa.

Da quel tempo, il venerabile John Adams ha terminato la sua così travagliata carriera. Egli è morto nel 1829, ed è stato sostituito dal reverendo George Nobbs, che adempie ancora nell'isola le funzioni di pastore, di medico e di maestro di scuola.

Nel 1853, i discendenti degli ammutinati del Bounty erano centosettanta. Da quel tempo, la popolazione non fece che aumentare e diventò così numerosa che, tre anni più tardi, dovette stabilirsi in gran parte sull'isola Norfolk, che aveva servito fino allora come colonia penale. Ma una parte degli emigrati rimpiangeva Pitcairn benché Norfolk fosse quattro volte più grande, il suo suolo ricercato per la ricchezza, e le condizioni di vita vi fossero molto più facili. Dopo due anni di soggiorno, molte famiglie ritornarono a Pitcairn, dove continuano a prosperare.

Ecco dunque la conclusione di un'avventura cominciata in modo tanto tragico. All'inizio, c'erano ammutinati, assassini, pazzi; ma ora, sotto l'influenza dei principi della morale cristiana e dell'istruzione data da un povero marinaio convertito, l'isola Pitcairn è diventata la patria d'una popolazione mite, ospitale, felice, presso la quale si ritrovano i costumi patriarcali dell'età dell'oro.