Italian Health Policy Brief Speciale Giugno 2012

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WWW.ABOuTPHARMA.COM Italian Health Policy Brief SPECIALE GIuGNO 2012 Italian Health Policy Brief Italian Health Policy Brief Il contesto economico-finanziario La crisi economica che si è palesata nel 2011, e da cui certamente nel momento in cui scriviamo l’Italia non può ancora dirsi uscita ha, apparentemente, toccato la Sanità meno che altri settori. Ma si tratta sostanzialmente di una mera apparenza: sulla Sanità il Governo Berlu- sconi era già intervenuto nell’estate, con il DL n. 98/2011. La manovra ivi contenuta è, infatti, significativa: essendo stata prevista una crescita del PIL intorno al 3%, e un adeguamento del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ferma a meno ella metà (0,5%, e poi 1,4% per gli anni 2013 e 2014), il Governo in pratica con quel Decreto programmò un arretramento dell’intervento pubblico in Sanità di quasi mezzo punto percentuale di PIL. Molto probabilmente la quota di spesa pub- blica ex post non si modificherà significati- vamente, anzi si attesterà al 7,3-7,5% del PIL secondo le nostre stime, rispetto al 7,1% attuale, ma questo solo perché la crisi si è poi dimostrata molto più grave del pre- visto e quindi sarà il PIL (a denominatore) a non raggiungere i valori previsti. Opzioni di Welfare e integrazione delle politiche SPECIALE Aggiungiamo a conferma che il finanzia- mento del SSN è cresciuto in termini no- minali nell’ultimo quinquennio, ma con tassi via via inferiori; e depurando il dato dalla variazione dei prezzi, si registra addi- riura un decremento in termini reali nel 2008 (-0,9%) e nel 2010 (-0,6%). Non considerando, poi, che ci stiamo rife- rendo alla sola spesa corrente: l’Italia ha anche una spesa sanitaria in conto capitale mediamente inferiore rispeo a gran parte dei Paesi OECD. Nel 2010 (OECD Health 2011 2012 2013 2014 Spesa sanitaria pub. Trend (mld.) 114,2-115,7 115,7-118,3 114,7-118,4 113,2-118,2 Tasso di variazione (%) 1,3%-2,6% 1,3-2,2% -0,9%-0,1% -0,2% - - 1,2% Quota su P IL (%) 7,2%-7,3% 7,3%-7,5% 7,1%-7,4% 6,9%-7,2% Spesa sanitaria priv. Trend (mld.) 25,0-26,5 22,7- 25,3 22,2- 25,9 24,7- 29,6 Tasso di variazione (%) -4,2%-1,6% - 9,2%- -4,4% -2,3%- 2,3% 11,2%-14,3% Quota su P IL (%) 1,6%-1,7% 1,4%-1,6% 1,4%-1,6% 1,5%-1,8% Previsione della spesa sanitaria pubblica e privata post manovra finanziaria

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Opzioni di Welfare e integrazione delle politiche

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Il contesto economico-finanziarioLa crisi economica che si è palesata nel2011, e da cui certamente nel momento incui scriviamo l’Italia non può ancora dirsiuscita ha, apparentemente, toccato la Sanitàmeno che altri settori.Ma si tratta sostanzialmente di una meraapparenza: sulla Sanità il Governo Berlu-sconi era già intervenuto nell’estate, con ilDL n. 98/2011. La manovra ivi contenutaè, infatti, significativa: essendo stata previstauna crescita del PIL intorno al 3%, e unadeguamento del finanziamento del ServizioSanitario Nazionale (SSN) ferma a meno

ella metà (0,5%, e poi 1,4% per gli anni2013 e 2014), il Governo in pratica conquel Decreto programmò un arretramentodell’intervento pubblico in Sanità di quasimezzo punto percentuale di PIL.Molto probabilmente la quota di spesa pub-blica ex post non si modificherà significati-vamente, anzi si attesterà al 7,3-7,5% delPIL secondo le nostre stime, rispetto al7,1% attuale, ma questo solo perché la crisisi è poi dimostrata molto più grave del pre-visto e quindi sarà il PIL (a denominatore)a non raggiungere i valori previsti.

Opzioni di Welfaree integrazione delle politiche

SPEC

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Aggiungiamo a conferma che il finanzia-mento del SSN è cresciuto in termini no-minali nell’ultimo quinquennio, ma contassi via via inferiori; e depurando il datodalla variazione dei prezzi, si registra addi-rittura un decremento in termini reali nel

2008 (-0,9%) e nel 2010 (-0,6%).Non considerando, poi, che ci stiamo rife-rendo alla sola spesa corrente: l’Italia haanche una spesa sanitaria in conto capitalemediamente inferiore rispetto a gran partedei Paesi OECD. Nel 2010 (OECD Health

2011 2012 2013 2014

Spesa sanitaria pub. Trend (mld.) 114,2-115,7 115,7-118,3 114,7-118,4 113,2-118,2

Tasso di variazione (%) 1,3%-2,6% 1,3-2,2% -0,9%-0,1% -0,2% -- 1,2%

Quota su P IL (%) 7,2%-7,3% 7,3%-7,5% 7,1%-7,4% 6,9%-7,2%

Spesa sanitaria priv. Trend (mld.) 25,0-26,5 22,7- 25,3 22,2- 25,9 24,7- 29,6

Tasso di variazione (%) -4,2%-1,6% - 9,2%- -4,4% -2,3%- 2,3% 11,2%-14,3%

Quota su P IL (%) 1,6%-1,7% 1,4%-1,6% 1,4%-1,6% 1,5%-1,8%

Previsione della spesa sanitaria pubblica e privata post manovra finanziaria

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data 2011) risulterebbe pari al 3,8% dellaspesa totale (sostanzialmente stabile rispettoall’anno precedente), ma con un trend de-crescente dal 2005 al 2009 e con una ca-ratterizzazione fortemente pro-ciclica. All’emanazione del citato Decreto avevamostimato in €10 mld. l’entità della manovra(fra riduzione di disavanzi e ulteriori recu-peri di efficienza, nonché aumento dellecompartecipazioni): fonti ufficiali si atte-stano ora su un valore non troppo dissimile,stimando in circa €8 mld. le correzioni ne-cessarie per rispettare i documenti di pro-grammazione. Che la manovra di finanza pubblica sia le-gata ai cicli economici e che incida sullaSanità è quindi evidente; analogamente varimarcato che la crisi investe, forse in modoancora più incisivo, la componente privatadella spesa sanitaria, il cui peso rimane si-gnificativo attestandosi ad oltre il 19% dellaspesa totale, per un valore di oltre € 26mld. nel 2009.Pur non avendo l’Istat ancora reso noti idati dei consumi sanitari privati del 2011,quelli disponibili, riferiti al 2009, sono diparticolare interesse, in quanto riguardanoun anno di forte crisi finanziaria, che ha inqualche modo rappresentato una “provagenerale” della crisi attuale. Nel 2009 la ri-duzione del PIL (-3% rispetto all’anno pre-cedente) ha provocato una riduzione deiconsumi delle famiglie significativamentepiù che proporzionale (circa -6,8%); manon può non colpire come la spesa sanitariaprivata out of pocket delle famiglie si siaridotta ancora di più: -7,6%. A dimostra-zione della difficoltà in cui si dibattono lefamiglie si è avuta una riduzione anchedella quota di nuclei che hanno sostenutospese sanitarie: circa 102.000 in meno.Ovviamente, a voler vedere il classico “bic-chiere mezzo pieno” potremmo sperare chesi tratti di una razionalizzazione dei con-sumi sanitari, ovvero una rinuncia a pre-stazioni inappropriate. Come si argomenterànel seguito, purtroppo i dati sembrano rac-contare una storia alquanto diversa; antici-piamo solo che le famiglie che sostengonospese sanitarie per la non autosufficienza(difficilmente considerabili inappropriate)spendono per questo in media quasi €6.900all’anno, e quelle povere arrivano a €2.600;

ancora, pur essendosi ridotta la quota difamiglie impoverite, l’entità dell’impoveri-mento stesso è aumentata: la quota per lespese sanitarie di queste famiglie raggiungeil 15,3%delle loro spese totali; ma, princi-palmente, la riduzione dei consumi ha ri-guardato in media più le famiglie riccheche quelle più povere: le prime rinunciano,o almeno rimandano, le spese odontoiatri-che, e più che una rinuncia ad una presta-zione inappropriata appare essere una po-sticipazione di spese considerateprocrastinabili; per le famiglie meno ab-bienti i consumi si riducono in minor mi-sura, riguardando essenzialmente farmacie diagnostica.Sembra, quindi, difficile interpretare i datiliquidando la spesa privata delle famigliecome un consumo inappropriato, social-mente poco rilevante. La crisi, facendo di-ventare tutti più “poveri”, per un certoverso “accorcia le distanze”: ma è una equitàapparente, perché si riducono le differenzenei consumi, ma non l’impatto della spesasanitaria sui bilanci familiari. Se le crisi(già quella del 2009) ci possono insegnarequalcosa, è che non c’è settore, tanto menoquello sanitario, che di fronte ad una con-trazione rilevante di risorse può “tirarsifuori”: non solo i livelli di spesa, ma persinola relativa distribuzione dipendono dallerisorse disponibili, nel senso che è più diffi-cile incentivare politiche equitative quandonon ci sono risorse. Ne segue che le deci-sioni di politica sanitaria dei prossimi mesi,dato il contesto economico generale, assu-mono un’importanza cruciale sotto molte-plici aspetti e devono essere prese congrande consapevolezza, ovvero con cono-scenza delle evidenze disponibili.

InefficienzaIl primo elemento da considerare, crucialeper gli effetti che ha sulle argomentazioniche seguiranno, è quello della valutazionequali-quantitativa delle inefficienze del si-stema eliminabili. Di recente, vari modelli econometrici pro-posti sia da singoli studiosi, che da Centridi ricerca, hanno stimato quote di ineffi-cienza nella spesa sanitaria rilevanti, del-l’ordine di alcuni miliardi di euro; tale tesi,sebbene non in modo esplicito, è ripresa

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anche nei documenti sulla cosiddetta spen-ding review; ad analogo risultato si puògiungere anche estrapolando i dati emer-genti dalle simulazioni sui costi standard:il benchmarking sulle spese sanitarie pro-capite pesate regionali, delineato dal DL n.68/2011, implicherebbe infatti che almenotutto il disavanzo attuale sia frutto di uninefficiente gestione regionale; va però se-gnalato che la validità dei modelli dipendedalla corretta standardizzazione degli out-put: nella realtà i criteri di standardizzazioneutilizzati, basati sulle differenze attese dibisogno della popolazione, appaiono moltorozzi e praticamente non sono in grado dicogliere differenze nella qualità e negli esitidelle prestazioni. Ne segue che i risultativanno interpretati con attenzione. Ponen-dosi su un piano esperienziale, ma così fa-cendo i modelli appaiono ridondanti, ciòche appare evidente è l’esistenza di sprechiabbastanza diffusi, spesso correlati con si-gnificative carenze quali-quantitative neiservizi erogati. una sintesi potrebbe essere che non sembraci siano dubbi sul fatto che l’efficienza deidiversi sistemi regionali sia significativa-mente diversa, mentre non è affatto evidentedi quanto le inefficienze allocative possanotramutarsi in risparmi finanziari. In altritermini, se è vero che disfunzioni e disa-vanzi sono positivamente correlati, è altresìvero che la scarsa qualità è anche associataa bassi livelli di spesa pro-capite, e moltopiù complesso dimostrare, tra queste quattrodimensioni, il nesso di causalità, lasciando

il dubbio che per il miglioramento dell’effi-cienza allocativa e quindi della performancedi sistema, vadano contemporaneamenteeliminate le inappropriatezze, ma allo stessotempo colmate le vistose lacune nell’ero-gazione dei Livelli Essenziali di Assistenza(LEA): in quest’ultimo scenario, l’impattosulla spesa ha un segno almeno incerto.Il teorema che si possa avere maggiore qua-lità con minore spesa sembra piuttostoavere le dimensioni di un’utopia, e comun-que non ci consta sia stato supportato daevidenze statistiche. Altra questione rile-vante è che i ragionamenti limitati alla va-riabilità della spesa regionale sono per forzadi cose miopi: appare piuttosto necessarioconfrontarsi con una visione più ampia equindi anche con i dati internazionali. Daquesto punto di vista le cifre parlano so-stanzialmente chiaro: l’incidenza sul PILdella spesa sanitaria italiana è pari al 9,6%,ed è ormai inferiore alla media dei PaesiOECD. Ma il dato sul PIL dice poco, senon che ovviamente ogni Paese può per-mettersi di allocare sulla Sanità una quotasostanzialmente simile di risorse.Se, invece, si guardano i valori di spesa, ilgap rispetto all’Europa è evidente e anchecrescente: -26,1% (-16,9% nel 1990) rispettoagli altri Paesi di Eu6 (Belgio, Germania,Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi), -18,7%(+4,1% nel 1990) rispetto a Eu12. Il gap siallarga ulteriormente sul versante dellaspesa pubblica: -25,9% (-10,2% nel 1990)rispetto a Eu6, -17,9% (+10,9% nel 1990)rispetto a Eu12.

Fonte: Elaborazione su dati OECD Health Data 2011

Differenziali di spesa e di PIL. Valori % - Anno 2009

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Le differenze evidenziate (calcolate a paritàdi potere di acquisto) sono, quindi, eclatantie dato che lo stato di salute della popola-zione italiana (per la verità un po’ menoquello della disabilità) è quanto meno nonsecondo a quello medio europeo, mancanoindizi che possano far pensare che l’assi-stenza sanitaria italiana sia gravata da untasso di inefficienza economica rilevante,tale da giustificare riduzioni ulteriori dispesa dell’ordine del 10% (come previstonella manovra estiva del 2011, senza poiconsiderare quello che potrà emergere dallaspending review).Di fatto, seppure in presenza di numeroseinefficienze allocative, ivi compresi sprechiche non permettono di migliorare la qualitàdelle prestazioni erogate, il sistema sanitarioitaliano si dimostra decisamente “sobrio”,e questo andrebbe maggiormente ricono-sciuto: la sensazione è che persista nel di-battito sulla Sanità italiana un ideologismoche, ignorando la consistenza numerica deifenomeni, ritiene la Pubblica Amministra-zione e, per proprietà transitiva, la Sanitàpubblica (e in generale il sistema di Welfare)inefficiente.Che poi la spesa sia eccessiva rispetto aiservizi ottenuti è certamente possibile, mala questione va risolta migliorando il servizioe questo non necessariamente implica unrisparmio finanziario: o meglio, “incame-rare” i risparmi vorrebbe dire accettare leattuali differenze, in termini di qualità edesito, cristallizzandole: e questo configure-rebbe il fallimento definitivo del SSN.Forse un maggiore coraggio permetterebbedi porre fra le questioni da dibattere, quelladella congruenza del modello di Welfareattuale con le risorse reali del Paese: inaltri termini, capire se un Paese gravatoda un rilevantissimo debito, e quindi daoneri per interessi passivi, ma principal-mente da un PIL stagnante da tempo,possa permettersi un intervento pubblico,in verità tanto in Sanità quanto altrove,pari a quello dei Paesi europei che hannoin media un PIL pro-capite maggiore (+11%, ovvero €3.728 Eu6, +6% ovvero€2.013 Eu12). I confronti internazionalisembrano indicare il contrario.

Politiche integrateIl sistema ha sinora tenuto, sia razionaliz-zandosi, sia utilizzando ampiamente la leva(evidentemente non immune da rischi di-storsivi) dell’amministrazione dei prezzi:fa testo l’utilizzo dei tetti alle remunerazionidegli erogatori privati, ma indirettamenteanche il blocco, ormai atavico, delle assun-zioni. Ma il caso più eclatante è quellodella spesa farmaceutica, unico settore doveil congiunto operare della normativa na-zionale e internazionale di fatto rende pos-sibile una vera e propria amministrazionedei prezzi. Che i prezzi medi italiani dei farmaci sianoormai inferiori a quelli della gran partedegli altri Paesi è fatto ormai acquisito:quello che invece non è stato sufficiente-mente dibattuto è se il livello attuale siadavvero giustificato o rappresenti una pos-sibile distorsione del mercato. La riduzione,operata con numerosi tagli dei prezzi pervia amministrativa, potrebbe trovare almenodue argomentazioni a favore; la prima, qua-lora rappresentasse un adeguamento deiprezzi dei farmaci al livello di sviluppo delPaese (argomentazione peraltro discutibile);la seconda, se avesse riportato la spesa pro-capite per farmaci in linea con quella deglialtri Paesi, compensando un eccesso dellequantità consumate. A ben vedere nessunadi queste argomentazioni può essere ad-dotta; per quanto riguarda la prima, unostudio dell’uK Department of Health mo-stra come i prezzi delle principali molecolein Italia siano inferiori da un minimo del7% rispetto alla Francia e alla Spagna, adun massimo del 41% rispetto alla Germania(senza considerare il dato uSA): valori si-gnificativamente maggiori del gap di PILdel Paese. Rispetto alla seconda osserva-zione, va notato come sin dal 2003 la spesamedia pro-capite per farmaci italiana siainferiore a quella media dei Paesi OECD(di €86 pro-capite nel 2009); e standardiz-zando tale spesa per l’età della popolazione(esercizio effettuato con i pesi pubblicatidall’OSMED), il gap diventa davvero moltosignificativo (€155), dimostrando così chela spesa italiana era allineata al dato mediointernazionale già nel 2001, quando è ini-ziato il processo di progressivo taglio deiprezzi.

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Evidentemente la strada dell’amministra-zione dei prezzi non è percorribile all’infi-nito; anzi si potrebbe argomentare che puòavere effetti indesiderati in settori economiciche avrebbero, invece, la potenzialità percontribuire al rilancio dell’economia delPaese.Il vero problema del Paese è, in effetti, lastagnazione economica, in particolare per-ché più prolungata e profonda che neglialtri Paesi europei: il gap del PIL italianorispetto a Eu12 che era positivo (+2,3%)nel 1990, è arrivato ad essere del -5,6% nel2010 (-9.9% rispetto ad Eu6); stagnazioneperaltro aggravata dal fardello del debitopubblico, che “divora” (con gli interessipassivi) enormi risorse che servirebbero in-vece per sostenere un eventuale rilancio.Se il Paese vuole mantenere i livelli di assi-stenza attuali (ma il discorso ha valenzagenerale), deve trovare il modo di rilanciarela propria economia. E, da questo puntodi vista, è ad un bivio: deve decidere se ilrilancio deve passare per una distrazionedelle risorse dal settore sanitario (pubblico),in quanto ritenuto inefficiente, o se inveceesso possa essere un volano di crescita.Sebbene spesso si parli disinvoltamente didiritto alla Salute in modo assolutistico,

come se i diritti che comportano risorseper essere realizzati non fossero di fatto li-mitati dalle reali disponibilità, la questioneproposta non è aggirabile; e non è neppureinfondata.Ad esempio, non si può tacere che mentrel’incidenza della spesa sanitaria nelle ultimedecadi è aumentata sia sul PIL, che sul bi-lancio pubblico, quella per l’istruzione si èparallelamente contratta: assumendo questopunto di vista, onestà intellettuale richiedeche si ponderi con attenzione quale sia lapriorità del Paese in termini di sviluppo.una riallocazione di spesa pubblica miratapotrebbe trovare, quindi, delle ragioni: cer-tamente avendo consapevolezza che ognimodifica implica lo spostamento di incentiviequitativi da un settore ad un altro, con ef-fetti da valutare attentamente; ma prima dipassare agli aspetti equitativi, sul tema del-l’efficienza va pesato attentamente il trade-off fra politiche del SSN e politiche indu-striali.Appare evocativo che nei Paesi con unabilancia dei pagamenti attiva nei settori in-dustriali legati alla Sanità, si registri ancheuna spesa pro-capite maggiore nei beniprodotti in quei settori. Possiamo citarecome paradigmatico il settore dei dispositivi

* Media pesata (esclusa Italia) per i Paesi OECD per i quali sono disponibili i dati nel periodo considerato

** Sistema di pesi per età e sesso utilizzati dall’OsMed

Fonte: Elaborazione su dati Istat – Serie Storiche (http://seriestoriche.istat.it)

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Spesa Pro-capite ITALIASpesa Pro-capite ITALIA (pesata)**

Spesa Pro-capite OECD*Spesa Pro-capite OECD (pesata)* **

Spesa Farmaceutica

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medici (DM): sebbene i dati disponibilinon siano perfettamente confrontabili, sinota una evidente regolarità statistica percui i Paesi con maggiore spesa pro-capitehanno bilancia dei pagamenti attiva (perrimanere a livello europeo, Germania, Da-nimarca, Svizzera, etc.) con livelli di oltre€200 pro-capite contro €112 dell’Italia. Ap-pare evidente che un DM (ma anche unfarmaco) “prodotto in casa” rappresenta

un “costo minore”, in quanto la sua pro-duzione genera occupazione e reddito, ri-spetto ad uno che deve essere importato.Ed avere una bilancia attiva dei pagamentinon è frutto del caso, quanto l’effetto discelte di politica industriale e programma-zione: a riprova di ciò, il tasso di innova-zione nel settore medicale (brevetti pro-ca-pite) in Italia è un terzo di quello tedescoe un nono di quello svizzero.

Quindi, in un periodo che dovrà essere ne-cessariamente di scelte, non è più eludibileuna esplicita decisione su quali siano i set-tori strategici per il rilancio dell’economiadel Paese e, nei limiti del presente contri-buto, se il settore della Sanità nelle suevarie ramificazioni sia o meno fra tali prio-rità: qualora la risposta fosse convintamenteaffermativa, allora le politiche assistenzialidevono trovare dei limiti negli interessieconomici generali del Paese.

Equità e ticketTornando al tema delle scelte, se non unariduzione, almeno un sostanziale congela-mento delle risorse pubbliche per la Sanitàè lo scenario più probabile; la conseguenzalogica del ragionamento è che a fronte diuna riduzione della spesa pubblica assiste-remo, presumibilmente, ad un incrementodi quella privata, con impatti equitativi deltutto significativi, che necessitano di essere

attentamente governati. Come è noto (si confrontino le edizioniprecedenti del Rapporto Sanità) la quotadi famiglie impoverite a causa della Sanitàin Italia è già rilevante, come anche quelladi famiglie che sono chiamate a sostenerespese sanitarie consistenti di tasca propria(spesa out of pocket). Le elaborazioni effet-tuate sugli ultimi dati resi disponibili dal-l’Istat, relativi al 2009, emerge che sonodiminuiti sia gli impoveriti che le famigliesoggette a spese catastrofiche,ma purtroppogli indicatori, per ragioni statistiche che ar-gomenteremo, non rendono la situazionedi disagio reale delle famiglie. La spesa so-cio-sanitaria annua media delle famiglieammonta a € 1.840 (€ 1.117 considerandoanche le famiglie che non consumano), ov-vero il 5,8% dei loro consumi; con la crisidel 2009 il consumo effettivo si è ridottoconsiderevolmente (-5,6% rispetto al 2008),con un crollo significativo per i ricoveri a

Fonte: Elaborazione su dati Eucomed

Produzione, spesa e saldo bilancio commercialeValore in Mln. di Anno 2009

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pagamento, ma anche per i servizi classifi-cati come ausiliari (infermieri, fisioterapisti,etc.). Si riducono invece molto poco lespese per la farmaceutica e per gli anzianinon autosufficienti. In ogni caso pur es-sendo molto più marcata la riduzione perle famiglie degli ultimi due quintili (famiglie

tendenzialmente più abbienti), si riduce laspesa anche per le famiglie più povere. Allariduzione del consumo delle famiglie chelo hanno effettivamente sostenuto, si ag-giunge (come anticipato) una notevole ri-duzione delle famiglie che sostengono spesesanitarie out of pocket.

La spesa socio-sanitaria media annua dellefamiglie povere è pari a circa €680 e si è ri-dotta di ben il 9,3%, evocando significativerinunce: si sono ridotte tutte le voci dispesa, tranne le spese per gli anziani nonautosufficienti. Si è registrata anche una ri-duzione d’incidenza dell’impoverimento:297.670 nuclei (erano 334.695 l’anno pre-cedente), ovvero l’1,2%delle famiglie (parial 2,0% di quelle che sostengono spese sa-nitarie); il miglioramento è però da attri-buire alla riduzione più che proporzionaledei consumi sanitari privati sul totale deiconsumi delle famiglie. Nei fatti, pur es-sendosi ridotta la quota di famiglie impo-verite, l’entità dell’impoverimento è au-mentata: la spesa media di queste famiglieha subìto un aumento del +2,3%. Analogamente si è avuta anche una ridu-

zione della quota di famiglie soggette aspese catastrofiche, 674.754 nuclei (erano747.631 l’anno precedente) pari al 2,7%delle famiglie, ovvero il 4,3% di quelle chesostengono spese sanitarie. La spesa mediaannuale delle famiglie soggette a spese ca-tastrofiche si è ridotta del -2,2%, per unvalore medio di €20.519. Per le famiglieimpoverite o soggette a spese catastrofichesi sono ridotte tutte le voci di spesa, ad ec-cezione di quella per l’assistenza ai disabilied anziani (evidentemente incomprimibile)e quella per la specialistica (presumibil-mente per l’aumento delle compartecipa-zioni). Si sono, invece, ridotte in modo si-gnificativo le spese sostenute per infermierie fisioterapisti (-44,7%), protesi e ausili (-37,2%) e ricoveri ospedalieri (-34,9%).

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Spesa Sanitaria OOP effettiva delle famiglie. Valori in - Anno 2009

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Farmaceutica Ricoveriosped. e

accessi al PS

Altri ricoveri Specialistica(Visite,

analisi, etc.)

Protesi eausili

Cure termali Ass disabili oanziani

Odontoiatria Serviziausiliari

Famiglie Fam. povereFam. impoverite Fam. con spese catastrofiche

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Spesa Sanitaria OOP effettiva delle famiglie distinta per tipologia.Valori in - Anno 2009

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Incidenza famiglie impoverite e catastrofiche. Valori in % - Anno 2009

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Ovviamente le differenze si esasperanonell’analisi regionale: mentre Basilicata eCalabria hanno una quota di impoveritiche supera il 3,5%, con riduzioni marginali,Emilia Romagna e Lombardia, ma ancheil Lazio, sono intorno allo 0,5% (un settimo)con un trend significativamente in dimi-nuzione. Analoghe osservazioni si possonofare per le famiglie soggette a spese cata-

strofiche: ancora Basilicata e Calabria nehanno una quota che supera il 6,5%, conriduzioni marginali, mentre la Lombardiaè intorno all’1,1% (6 volte meno); in questocaso il Lazio è in controtendenza con unaumento significativo di famiglie soggettea spese catastrofiche, a suggerire un cre-scente opting out della popolazione laziale.

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Ne emerge un quadro per nulla tranquil-lizzante: le famiglie sono evidentemente indifficoltà, e lo sono ormai anche i ceti medi,che rappresentano la larga maggioranzadelle famiglie italiane; inoltre, considerandoche le rinunce appaiono selettive, si con-ferma che la spesa privata non è una spesaaccessoria e/o inappropriata: la sua ridu-zione equivale ad avere un cuscinetto inmeno ad alleviare le frizioni del sistema.In un quadro certamente difficile, quindi,assumono una particolare rilevanza le pre-visioni di un inasprimento dei ticket con-tenute nelle manovre governative. Per avere un’idea dell’impatto, si è simulato

l’effetto sui bilanci delle famiglie di un ina-sprimento dei ticket, posto prudenzialmentepari a €2 mld. (suddiviso per il 45% acarico dei farmaci, per il 45% della specia-listica e il restante 10% a carico del prontosoccorso): tale simulazione stima in oltre42.000 le nuove famiglie impoverite per lespese sanitarie; per contenere l’iniquità del-l’impatto, abbiamo simulato un’applicazioneprogressiva dei ticket, a partire da un ina-sprimento del 5% per le famiglie più povere(lasciando esenti solo quelle povere), sinoal 30% delle più ricche: in tal caso, purnon annullandosi il fenomeno, le nuovefamiglie impoverite si riducono a 7.500.

Gli interventi: invecchiamento, non autosufficienza e politiche di prevenzioneCome si è visto la spesa per gli anzianinon autosufficienti rimane la spesa mag-giormente incomprimibile per le famiglieitaliane. Il dato non può stupire data la ca-renza del SSN su questo versante e anchel’evoluzione demografica (accompagnatadalle modifiche nella società, che ci conse-gnano famiglie con sempre meno giovanipronti ad assistere gli anziani).Sul tema dell’assistenza alla non autosuffi-

cienza permangono, peraltro, alcuni miticon scarso fondamento: il principale èquello per cui il freno allo sviluppo del set-tore è rappresentato dall’insufficienza dellerisorse. Pur quantitativamente non abbondanti, lefonti di finanziamento del settore sono nu-merose. A livello centrale dobbiamo primadi tutto considerare il Fondo nazionale perle politiche sociali (FNPS), ex L. n.328/2000, al quale la legge finanziaria an-nualmente attribuisce le risorse per gli in-

Situazione attuale Famiglie impoverite 297.670

674.754Famiglie soggette a spese catastrofiche

RisultatoMetodologiaSimulazione

N.1 Aumento della spesa OOP pari a € 2 mld (45%farmaci, 45%specialistica e 10%ricoveri e PS) con riduzionedei restanti consumi (non sanitari)

Circa 40.000 nuove famiglie impoverite

N.2 Aumento della spesa OOP pari a € 2 mld (45%farmaci, 45%specialistica e 10%Pronto Soccorso) con consuminon sanitari invariati

Circa 3.000 nuove famiglie impoverite

N.3 Aumento della spesa OOP pari a € 2 mld (45%farmaci, 45%specialistica e 10%ricoveri e PS) con consumi nonsanitari invariati, prevedendola progressività della compartecipazionein base alle risorse delle famiglie

Circa 7.500 nuove famiglie impoverite

Fonte: Elaborazione su dati Istat e DL n. 98/2011

Previsioni stato d’impoverimento delle famiglie per aumento della spesa sanitaria OOP

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terventi di assistenza sociale, ovvero per ilcontrasto della povertà, per la promozionedei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza,dei diritti soggettivi e per la tutela dellacondizione degli anziani. È evidente cheuna parte di tali fondi, ad esempio l’ultima,ma anche quelli per i disabili, possono al-meno in parte farsi ricadere nel noverodella tutela per la non autosufficienza.A livello nazionale vengono anche definitele risorse assegnate ad una serie di fondiistituiti da leggi di settore, nonché lo stan-ziamento per l’erogazione di assegni, pen-sioni ed indennità erogate dall’Inps (Ist.Nazionale per la Previdenza Sociale) ad in-validi civili, ciechi e sordomuti.Dal 2007, risorse alla non autosufficienzavengono destinate anche attraverso la co-stituzione di un fondo specifico: la L. n.296/2006 ha istituito presso il Ministerodella Solidarietà Sociale il Fondo nazionaleper la non autosufficienza (FNA), finalizzatoa garantire, su tutto il territorio nazionale,l’attuazione dei livelli essenziali delle pre-stazioni assistenziali in favore delle personenon autosufficienti. Al FNA è stata destinatauna somma di €100 mil. per l’anno 2007 edi €200 mil. per i successivi anni 2008 e2009, incrementati con le successive leggifinanziarie a €300 e €400 mil. Per l’anno2010 lo Stato ha garantito ancora un fi-nanziamento pari a €400 mil., ma poi lamanovra di bilancio per il 2011 ha cancel-lato ogni stanziamento. Però gran partedelle Regioni italiane hanno istituito negliultimi anni propri Fondi, allo scopo di so-stenere, in particolare nella dimensione do-miciliare, le famiglie che accudiscono incasa il disabile o l’anziano non autosuffi-ciente.Analizzando il dato dal versante della spesa,nell’anno 2008 i Comuni, in forma singolao associata, hanno destinato agli interventie ai servizi sociali €6,7 mld. Stimiamo chedi questi almeno €3 mld. possano riferirsia prestazioni in favore di disabili e anziani,e cioè a categorie rientranti nella non au-tosufficienza. Inoltre, la principale fonte difinanziamento della non autosufficienza ri-mane l’intervento dell’Inps per le personedisabili, fisiche e sensoriali, ed anziane nonautosufficienti che percepiscono un’inden-nità di accompagnamento, ex L. 18/1980.

Tali indennità sono cresciute negli ultimianni, passando da €1,7 mil. nel 2008 a oltre€1,9 mil. nel 2011. Se a tale importo sisommano le pensioni agli invalidi civili,sempre erogate dall’Inps, arriviamo a €11,8mld., il che implica che la spesa per la nonautosufficienza sfiori quota €15 mld., ovveroquasi l’1% del PIL. In definitiva un valore non distante daquello medio degli altri Paesi europei chehanno una apposita assicurazione socialeper la non autosufficienza. I dati, per quantoapprossimati, sembrano indicare che nonfronteggiamo tanto una carenza di fondi,quanto una carenza organizzativa, ad ini-ziare dalla assenza di una compiuta defini-zione dei Liveas (Livelli Essenziali Assi-stenza Sociale), come anche della vera etotale riunificazione dell’assistenza socialee sanitaria, necessaria per garantire all’in-dividuo una presa in carico integrata, e unarisposta olistica ai suoi bisogni, ivi compresi,quindi, quelli di non esclusione sociale.Ciò che si ritiene freni maggiormente unaefficace risposta ai bisogni legati alla nonautosufficienza, è proprio la mancanza diuna sua definizione rigorosa, che a seguiredetermina una carente presa in carico (otutela che dir si voglia). Si osservi che difatto i non autosufficienti sono un sottoin-sieme dei disabili, tant’è che nella normativaitaliana praticamente ogni Regione affidaad un Nucleo di Valutazione Multidimen-sionale la decisione sull’eleggibilità o menoalle prestazioni di ogni singolo individuo.Cambia a livello regionale la denominazionee la composizione dei suddetti Nuclei (pe-raltro con una variabilità limitata), comeanche i criteri adottati di eleggibilità alleprestazioni (questi con una maggiore va-riabilità), mentre è comune il principio chenon basta una carenza, quale che essa sia,in una ADLs (Activities of Daily Living)per definire il soggetto come non autosuffi-ciente.A livello normativo, il Rapporto sull’Assi-stenza agli anziani non autosufficienti inItalia (2009) definisce la non autosufficienzacome «la condizione bio-psicosociale con-seguente a disabilità (di natura mentale, fi-sica e/o sensoriale) che induce nell’indivi-duo uno stato di dipendenza da terzipermanente nello svolgimento di una o più

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funzioni, essenziali e ricorrenti, della vitaquotidiana, dipendenza che non è influen-zata dalla presenza di eventuali protesi odausili in uso». Tale definizione confermache la non autosufficienza è conseguente(ma, quindi, in generale, non coincidente)alla disabilità. Fornisce, inoltre, una indi-cazione importante sulla sua eziologia, chedi fatto è sempre di origine sanitaria (…salute mentale o handicap che l’abbiaprodotta …) La definizione peraltro sembra in qualchemodo “contraddittoria”, o quantomeno ar-bitraria, dove restringe il campo alle di-pendenze permanenti e alle funzioni ricor-renti. In particolare non si capisce perchéun anziano (ma vale in generale), che siacostretto in una situazione di dipendenzatemporanea, magari per una convalescenzache impedisce lo svolgimento di funzioniessenziali, non debba essere consideratonon autosufficiente. La questione è delicata, in quanto l’appli-cazione della definizione citata escludel’eleggibilità alle prestazioni sociali per lanon autosufficienza di breve periodo, conil rischio evidente di una “sanitarizzazione”del bisogno, magari con ricoveri/ residen-zializzazioni inappropriate sia dal un puntodi vista clinico che organizzativo (e quindieconomico). L’ambiguità della definizioneha probabilmente origine in un improprioriferimento al concetto di Long Term Care,che è altra cosa ancora. Questa definizione mostra anche un altroaspetto certamente problematico: quellodella separazione fra Lea e Liveas; eviden-temente è necessario segnarne il confineonde evitare duplicazioni inefficienti o ca-renze di tutela. Qui la confusione è ricor-rente a causa di una antica ostinazione avoler definire l’ambito dell’integrazione so-cio-sanitaria a confine dei compiti del SSN:integrazione riassumibile secondo il D. Lgs.n. 229/1999 in «tutte le attività atte a sod-disfare, mediante un complesso processoassistenziale, bisogni di salute della personache richiedono unitariamente prestazionisanitarie e azioni di protezione sociale ingrado di garantire, anche nel lungo periodo,la continuità tra le azioni di cura e quelledi riabilitazione». Questa definizione ri-chiede in astratto una integrazione dove

prevalga l’elemento sanitario, senza chiarirecompletamente la provenienza dei Fondi equindi garantendone la copertura econo-mica.L’esigibilità dei diritti non c’è dubbio cherichieda, invece, chiarezza sulle prestazioniottenibili, come anche sulla titolarità delcompito di tutela. In definitiva, sebbene lerisorse siano certamente molto ridotte e,specialmente, frazionate, la questione sem-bra in qualche modo mal posta, non es-sendosi ancora definita la propedeutica que-stione dei contenuti dell’assicurazione perla non autosufficienza. Senza pretesa di fornire una soluzione, sem-bra che i capisaldi possano essere tre: ilprimo è quello della dipendenza da terzi(che diventa il criterio guida per il ricono-scimento del diritto). Il secondo è quellodella copertura dei contenuti non sanitaridelle prestazioni, essendo queste per defi-nizione già ricomprese nella tutela sanitaria;il terzo, e forse il più difficile, è la quantifi-cazione degli ausili (in natura o in denaro)da fornire. Il tema è complesso perché leprestazioni sociali per la non autosufficienzaafferiscono essenzialmente alla sfera dellanon esclusione sociale, il cui rischio va va-lutato caso per caso: quante ore di assistenzagiornaliere si vogliono, infatti, riconosceread un soggetto non autosufficiente? Dipen-derà dalla gravità (o meglio dal grado dinon autosufficienza), ma anche e soprattuttodal livello di “dignità” che si vuole garantire,e quindi da quali siano le funzioni ritenuteessenziali: ancora, per esemplificare, la ca-renza di mobilità autonoma va contrastataper permettere al paziente semplicementedi recarsi a fare la spesa o anche per fre-quentare un museo o altra attività culturale?Questa non può che essere una scelta poli-tica e, data anche la diversità delle esigenzeindividuali, non può che trovare applica-zione in un ambito di sussidiarietà. Sorgepoi il quesito relativo all’integrazione conle prestazioni sanitarie, ovvero se possafunzionare senza una regia comune: moltoprobabilmente la risposta deve essere ne-gativa; in tal caso la regia comune non puòessere assunta dal SSN (o meglio dai SSR),dato che l’eziologia della disabilità è pursempre riconducibile a questioni legate acarenze di salute. Ovviamente il rischio è

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che il sistema sanitario non riesca a spo-gliarsi della sua natura clinico-centrica, erincorra la “cura” e, come corollario, l’ero-gazione di beni e servizi sanitari, ove do-vrebbe invece imparare a concentrarsi nel“care”, ovvero nell’affiancamento alle fa-miglie (che rimangono, ed è bene sia così,il primo nucleo di assistenza alla dipen-denza). Ma, d’altra parte, questo difficilepassaggio culturale è già al centro del di-battito sullo sviluppo dell’assistenza prima-ria: e se non sarà possibile realizzarlo, nonsolo non decollerà l’assicurazione per la

non autosufficienza, ma neppure l’assistenzaprimaria. Ovviamente una ulteriore que-stione che può essere posta è quella dellasostenibilità futura dei costi di non auto-sufficienza e, più in generale, dei costi sa-nitari, derivanti dall’invecchiamento dellapopolazione. Il tema è sempre al centrodel dibattito, alimentato da previsioni (inlarga misura dei maggiori organismi inter-nazionali) sostanzialmente catastrofiche:ma anche, a ben vedere, derivanti dallaestrapolazione, invero un po’ acritica, deidati attuali.

Fonte: Elaborazione su dati Istat – Serie Storiche (http://seriestoriche.istat.it)

Età mediana alla morte per sesso Italia 1900-2007

L’unica cosa davvero certa è che la popola-zione invecchierà (al netto per la verità deiflussi migratori, già meno prevedibili) pereffetto (in Italia in particolare) della scarsafecondità. In orizzonti temporali degni di nota a finiprogrammatori, è sostanzialmente ormaiassodato anche il contributo dell’allunga-mento della vita media. Quello che non èaffatto scontato è, invece, che questo auto-maticamente si tramuti in un aumento delladisabilità e della cronicità. Piuttosto, le evi-

denze disponibili mostrano una progressivaposticipazione dell’insorgenza delle malattie,con l’esito che il periodo di “assorbimentodelle risorse” rimane sostanzialmente in-variato (quando non si riduce). In aggiunta,come appare evidente anche dalle recentiscelte in tema di requisiti pensionistici, siallunga la vita lavorativa, con l’esito di un“guadagno netto” (uguali costi e anchemaggiori risorse accumulate nell’arco dellavita) per l’individuo e quindi la società.

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Esistono alcune possibili controdeduzionia questa proposizione; in primo luogo l’al-lungamento della vita può aumentare ilnumero di eventi acuti: questo contraddicel’allarme tutto centrato sulla cronicità. Difatto la risposta non può che essere quelladella prevenzione e dell’appropriatezza dellerisposte terapeutiche: il tema non è esplo-rato in letteratura, ma è ragionevole pensareche il beneficio (anche solo economico) diuna vita attiva allungata sia comunque mag-giore degli oneri per l’aumento eventualedegli episodi acuti. una seconda obiezione è che alcune pato-logie croniche dipendono dagli stili di vitaerrati (obesità e diabete prima di tutto, maanche patologie cardiovascolari) e questeanzi si manifestano sempre più precoce-mente: anche qui va rimarcato un problematerminologico, dato che è improprio riferirsia queste cronicità come un prodotto del-l’invecchiamento.Anche in questo caso la linea di interventoè segnata e riguarda interventi di educazionesanitaria e prevenzione, come anche inter-venti chiaramente “non sanitari” (le tassesui junk foods sono l’esempio più lam-pante). In ogni caso quello dell’epidemiadi questi tipi di cronicità è un destino elu-

dibile. La terza obiezione rileva come pos-sibile che, pur rimanendo costante il biso-gno (anni di vita con patologie o disabilità),l’assistenza costa sempre di più: su questotrend incide l’innovazione e quindi il costodelle nuove tecnologie; questo è un pro-blema squisitamente di costo-efficacia: vavalutato caso per caso se le soluzioni inno-vative si dimostrano value for money.Se escludiamo la seconda proposizione, lealtre due dipendono strettamente dalleaspettative che abbiamo sul “valore” dellavita attiva: è evidente che se la vita in buonasalute si allunga e si posticipa il pensiona-mento, ma il tutto non è affiancato da op-portunità di lavoro, il saldo netto per la so-cietà sarà negativo: se un anno di vitaguadagnata per la società sarà un anno divita in più fuori del mercato del lavoro,non ci sarà innovazione costo-efficace (intermini tecnici il threshold per il costo perQALY sarà troppo basso per permetterel’accesso al mercato delle nuove tecnologie)e non ci sarà possibilità di sostenere i costidella Sanità, come peraltro neppure quelliper le pensioni. Nuovamente si pone un problema di con-gruenza fra livelli di Welfare (non soloquindi per la Sanità) e livelli di reddito del

Fonte: Elaborazione su dati Istat – Serie Storiche (http://seriestoriche.istat.it)

Cambiamenti nel contributo alla mortalità totale per gruppi di cause -Italia – 1887-2007

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Paese. L’invecchiamento dovrebbe in realtàessere considerato positivamente, ma incondizioni di stagnazione prolungata puòdeterminare una enorme crescita delle spe-requazioni sociali: il vero problema di so-stenibilità si porrà in termini equitativi,qualora si dovesse polarizzare la società fraindividui stabilmente nel mercato del lavoro(per i quali avere una vita attiva più lungasarà un beneficio) e individui emarginatiche non potranno beneficiare dei vantaggidell’allungamento della vita e pagarsi la co-pertura dei propri “rischi di vecchiaia”. Ilproblema non è quindi l’invecchiamento oil costo della Sanità e/o della non auto-sufficienza, quanto il rischio di una esacer-bazione delle sperequazioni nella società.

Programmazione e organizzazioneCome si è detto la politica è chiamata ascelte difficili e non procrastinabili, ovveroa scegliere le priorità e le opzioni per ga-rantire un Welfare a supporto della coesionesociale, ma anche a supporto dell’economiadel Paese.Purtroppo nella storia recente del Paese lemigliori riforme sono spesso fallite sul pianodella loro attuazione, per un eccesso di det-taglio della previsione normativa e un cor-rispondente difetto di gestione: non saràquindi sufficiente e, forse, neppure oppor-tuno, pensare a ulteriori riforme, quantorisulta invece necessario adeguare gli obiet-tivi e le azioni conseguenti al nuovo corso.Da questo punto di vista si ritiene che unelemento critico sia rappresentato dalle me-todologie di programmazione e organizza-zione: entrambe ancora troppo legate a lo-giche di offerta, dimostratesi incapaci digenerare una reale centralità dell’utente/pa-ziente.La programmazione, sinora, si è focalizzatasulla determinazione dei parametri di of-ferta, sulla base presunta di indici di biso-gno; analogamente i modelli di organizza-

zione hanno per lo più messo al centro glioperatori e le esigenze tecnologiche/cliniche,ma questi approcci si dimostrano vieppiùnon adeguati ai tempi. Mettere effettiva-mente l’utente al centro del sistema richiedela capacità di guardare al bisogno oltrel’aspetto meramente epidemiologico: la pro-grammazione deve avere come obiettivoquello di soddisfare, nei limiti dei confinidella meritorietà dei bisogni stessi, la do-manda (espressa e non espressa), e questaultima non si esaurisce in un numero dicasi incidenti o prevalenti. Ad esempio, è indubbio che il contesto so-cio-economico abbia un impatto significa-tivo sui sistemi sanitari; dalle stime effettuatesembra che la deprivazione, che è al centrodel dibattito recente sul riparto delle risorse,assuma effettivamente un ruolo preminentein tema di impatto sulle variabili di perfor-mance economica del sistema. Ma emergeanche come il capitale sociale, ancor più diquello umano, sia rilevante, invece, sulpiano degli esiti. Il contributo del capitaleumano sembra più ambiguo nelle stime:in parte questo è spiegabile con l’approccioaggregato utilizzato, nel senso che può ipo-tizzarsi che le differenze di capitale umanosiano di fatto immunizzate dall’imposta-zione solidaristica a fondamento del SSNitaliano, e che quindi non determinino im-patti aggregati (a livello regionale) signifi-cativi. Rimane ragionevole pensare che ledifferenze di capitale umano possano, però,spiegare la crescente segmentazione delladomanda: un sistema che programmi leproprie risposte solo in funzione della do-manda espressa astrattamente da un citta-dino tipo, immaginando che voglia “affi-darsi” alla tecnostruttura dei clinici, oppuredi un cittadino che, essendo più autonomo,tenda a confezionarsi da solo il percorsofra i servizi offerti, sarebbe oggi assoluta-mente deficitario.

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Analogamente se guardiamo all’interazionefra modelli di programmazione e organiz-zazione, si conferma un forte rischio di ri-manere legati a mere logiche di offerta: uncaso eclatante è quello dell’organizzazioneospedaliera dove, anche nel dibattito suinuovi ospedali a intensità di cure, comeanche sul disegno della struttura diparti-mentale, prevale ancora il tema del modellodi clinica che si adotta e, forse ancor dipiù, della effettiva “proprietà” (organizza-tiva) dei letti; di contro, il tema prioritariodovrebbe essere quello orientato a definirequale modello produce una maggiore sod-disfazione e qualità di vita dei pazienti.Questa attenzione spasmodica al posto lettotrova una evidente origine nella pratica didefinire le politiche in termini di loro ri-duzione; scelta che per ragioni prevalente-mente finanziarie è stata posta al centrodei piani di rientro e in generale delle po-litiche regionali.In effetti, nel corso dell’ultimo decennio lariduzione è stata davvero significativa, tantoche i posti letto per abitante sono passatida 5,1 ogni mille abitanti nel 2000, a 4,2nel 2009. Valore che, si noti, è decisamenteinferiore rispetto alla media dei PaesiOECD, che per il 2009 è pari a 5,2. Indub-biamente la chiusura delle strutture ineffi-cienti e/o insicure è doverosa, ma la pro-

grammazione dell’offerta fondata su indicidi bisogno predeterminati e per di più na-zionali, può risultare distorsiva. Se consi-deriamo in modo più ampio la domanda,osserviamo come ad esempio l’Emilia Ro-magna abbia sulla carta un eccesso rilevantedi offerta di posti letto, ma che è in effetticompensato dalla domanda derivante dallamobilità attiva; discorso inverso, invece,vale per Regioni quali la Calabria e la Cam-pania, per le quali si pone l’obiettivo di ri-durre la mobilità passiva, ma che se rag-giungessero tale obiettivo risulterebbero poicarenti di letti.La debolezza dei modelli di programma-zione/organizzazione si palesa ancor di piùnell’assistenza primaria, dove gli obiettivistentano a determinarsi in modo chiaro e,anzi, si perseguono politiche non necessa-riamente basate su una reale evidenza.Ad esempio, analizzando la frequenza dellevisite generiche (assunte qui come proxydell’accessibilità al servizio) e i ricorsi alpronto soccorso (PS), si evidenzia un’as-senza di correlazione che sembra indicarecome un aumento dell’accesso alla medicinagenerale non potrà bastare per ridurre l’usoimproprio dell’ospedale: il problema dell’usoinappropriato del PS è evidentemente piùgenerale e di tipo organizzativo; si evidenziainvece una forte correlazione positiva fra

Capitale sociale Capitale umano Deprivazione

In grigio i valori sotto la media e in rosso quelli sopra; l intensitàdel colore indica la classe di distanza dalla media

Indicatori sintetici

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frequenza delle visite e numero di ricettepro-capite, ma non con la spesa: quindi unnumero maggiore di ricette non implicanecessariamente una induzione di spesa,suggerendo invece una variabilità della pra-tica clinica non giustificata.Quanto precede sembra fornire indicazionisul fatto che sia necessario creare incentivipiù adeguati affinché il ruolo di filtro (adesempio nei confronti del PS) e di presa incarico del paziente (appropriata), che spettaalla medicina generale, evolva adeguata-mente.Il sistema di remunerazione è sicuramenteun elemento significativo in termini di in-centivo volto alla razionalizzazione dell’atti-vità. Ma l’attuale retribuzione basata sullaquota capitaria, sebbene recentemente in-tegrata dagli ultimi Accordi Collettivi Na-zionali, sembra complessivamente non es-sere più adeguata alle nuove esigenze. Laremunerazione del MMG potrebbe certa-mente essere conservata in forma di quotacapitaria (parte fissa), purché opportuna-mente articolata in modo da premiare ilcarico di lavoro effettivo, ma anche la qualitàdella presa in carico (parte variabile), se-condo una logica di Pay per Performanceche ha già dato ottimi frutti in altri Paesi,mirando a bilanciare la “quantità assisten-ziale” con la sua qualità.In definitiva, senza un ripensamento dellemetodologie di programmazione e dei mo-delli di organizzazione, difficilmente il si-stema evolverà in modo equilibrato, rinun-ciando alla sua (naturale) vocazioneospedalo-centrica, e sviluppando una assi-stenza primaria fondata sull’iniziativa (fon-damentale per fronteggiare i rischi per lasalute e la Sanità derivanti dai nuovi stilidi vita).La programmazione deve quindi evolvere,superando la mera indicazione degli stan-dard di offerta, e sforzandosi di individuarecorretti incentivi per orientare il sistemaverso comportamenti maggiormente effi-cienti, ma soprattutto più rispondenti alladomanda dei cittadini.Allo stesso tempo i modelli di organizza-zione devono abbandonare logiche orientateall’operatore (sebbene magari ineccepibilisu un piano di efficienza tecnica o qualitàclinica) e ripartire, invece, da una analisi

della domanda e della sua segmentazione,cercando di adeguare le capacità di rispostadel sistema e degli erogatori alle aspettativedei cittadini.

PerformanceNessuna programmazione e nessuna orga-nizzazione può, infine, raggiungere i suoirisultati senza una adeguata accountability,condizione necessaria perché le Istituzionipossano essere valutate e quindi spronatea migliorarsi.Va riconosciuto che nell’ultima legislaturail SSN ha fatto passi da gigante da questopunto di vista: basti pensare al programmadi valutazione della performance dei ServiziSanitari Regionali sviluppato dalla ScuolaSuperiore Sant’Anna di Pisa e al Pro-gramma nazionale esiti, sviluppato dal-l’AgeNaS. In prospettiva diviene urgente ampliare learee di valutazione, onde evitare il rischiodi atteggiamenti opportunistici, ovvero chegli sforzi di miglioramento si concentrinonei settori monitorati; d’altra parte non èun caso che i settori che più stentano a de-collare, quale quello dell’assistenza primaria,siano proprio quelli che attualmente di-spongono di minori strumenti di monito-raggio e valutazione.un ulteriore utile sviluppo riteniamo siaquello dell’integrazione delle diverse valu-tazioni: la Sanità ha per definizione caratte-ristiche multidimensionali e non a casoogni programma misura più nello specificouna determinata dimensione della perfor-mance; una sintesi diventa utile, onde evi-tare il rischio della frammentazione delleevidenze, da cui può discendere o una so-stanziale empasse decisionale, o l’incoerenzafra decisioni prese in settori diversi dellaSanità.Ma la più volte richiamata esigenza di af-frontare un percorso irto di difficoltà, perchéla scelta delle priorità implica conflitti diinteresse, riteniamo imponga anche la de-finizione di un processo maggiormente tra-sparente e condiviso in tema di formazionedelle decisioni. Di fatto le valutazioni chesi stanno sviluppando sono frutto di sceltesostanzialmente tecnocratiche, dove la“voce” degli altri stakeholder del sistema oè mediata (come nel caso dei pazienti, nella

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misura in cui possono essere efficacementerappresentati dai politici) o è presente inmodo non strutturato (come nel caso deiprofessionisti) o è di fatto tenuta ai margini(come nel caso dell’industria).Rendere socialmente accettabili scelte cer-tamente non facili, e ci riferiamo alla ac-cettazione di soluzioni che devono mediaretrade-off importanti, quale quello fra accessoall’innovazione e vincoli finanziari, o anche– in modo più generale – quello fra poli-tiche assistenziali e politiche industriali, ri-chiede un maggiore confronto e coinvolgi-mento di tutti gli stakeholder, anchemediante “metodi democratici” di forma-zione delle decisioni. D’altra parte, come il Rapporto mostra, igiudizi dipendono sempre dall’ottica di ana-lisi prescelta, e in una società complessasarebbe miope poter pensare che una solaottica sia accettabile o anche solo efficiente.Per garantire la sopravvivenza del SSN edei suoi principi di civiltà sarà necessariol’impegno di tutti e quindi nuove regole dipartecipazione.

Autore:Federico SpandonaroCEIS università di Roma Tor Vergata

Il testo riproduce l’“Executive summary dell’VIII Rapporto Sanità del CEIS università Tor Vergata”

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Anno II - Numero Speciale - Giugno 2012

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Policy Brief CEIS 18 giugno:Layout 1 21/06/12 11:01 Pagina 20