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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA Facoltà di Farmacia Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare Corso di laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche INDUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE IN CELLULE ERITROIDI ISOLATE DA PAZIENTI AFFETTI DA -TALASSEMIA I Relatore Laureanda Prof. Roberto Gambari Stefania Spedo II Relatore D.ssa Nicoletta Bianchi Anno Accademico 2003-2004

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA

Facoltà di Farmacia

Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare

Corso di laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

INDUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE IN CELLULE

ERITROIDI ISOLATE DA PAZIENTI AFFETTI DA

-TALASSEMIA

I Relatore Laureanda

Prof. Roberto Gambari Stefania Spedo

II Relatore

D.ssa Nicoletta Bianchi

Anno Accademico 2003-2004

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INDICE INTRODUZIONE…………..………………………………………………………….4

1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali…………………………………4 1.a. Il processo dell’emopoiesi…………………………………………………..4 1.b. L’eritropoiesi nell’uomo…………………………………………………….6

2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo sviluppo..8

3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico………………………….14

4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene per le -globine umane………………………………………………………………..20

5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione di geni

globinici endogeni…………………………………………………...…………24

6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di molecole da impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti…………………………..30 6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti……………………..30 6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di precursori normali…….31 6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da -talassemia………………………………………………………………….…34

7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita cellulare e modulare l’espressione genica………………………………………………….36 7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina………………...……...36 7.b. Sintesi della Rapamicina…………………………………………………...37 7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina…………………………………...45 7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina………………………………...56 7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta potenziale attività di induttore di emoglobina fetale…………………………...58

8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei geni globinici…………………………………………………………………...62

SCOPO…………..…………………………………………………………………….68

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MATERIALI E METODI…………...……………………………………………….70

1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia……....70

2. Preparazione della Rapamicina……………………………….………………..72

3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi………………...72

4. Saggio dell’RNA………………………………………………………………..73 4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro ……………………….....73 4.b. Elettroforesi su gel d’agarosio……………………………………………..73

5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla somministrazione di Rapamicina…………………………………………………………………..75

6. Real-time quantitative PCR per la quantificazione dei geni globinici………….76 7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la

quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati dal sangue di donatori che presentano -talassemia………………………………..77

RISULTATI………………...…………...…………………………………………….79

1. Dati relativi ai pazienti analizzati…………………..………………………......79 2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da -talassemia…...81

3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb totale/cellula nelle

colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina…………………………82 4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la tecnica

della Real-time quantitative PCR………………………………………………85

5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico

per le γ-globine…………………………………………………………………91 DISCUSSIONE………………...…………...…………………………………………95 BIBLIOGRAFIA………………...…………...……………………………………….99

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INTRODUZIONE

1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali.

1.a. Il processo dell’emopoiesi.

Le cellule ematiche hanno una durata di vita limitata nel sangue circolante e vengono

continuamente rinnovate mediante il processo dell’emopoiesi nel midollo osseo.

Durante la vita intrauterina i primi precursori delle cellule ematiche sono riconoscibili

nel sacco vitellino; al secondo mese di gestazione inizia l’emopoiesi epatica che insieme

a quella splenica è preponderante fino al sesto-settimo mese. Successivamente, il

midollo osseo diviene il principale organo emopoietico, la cui attività riguarda all’inizio

principalmente le ossa piatte e lunghe, per divenire a carico delle vertebre, dello sterno,

delle costole e delle creste iliache. Il tessuto emopoietico rappresenta in condizioni

fisiologiche il 4-6% del peso corporeo di un individuo (1).

Tutte le cellule circolanti nel sangue derivano da un numero limitato di cellule staminali

pluripotenti di origine mesodermica, che rappresentano meno dello 0,01% delle cellule

nucleate del midollo osseo e sono le uniche in grado di autoreplicarsi e ad avere la

potenzialità di crescere e differenziarsi lungo le linee granulocitaria (neutrofili,

eosinofili, basofili), monocitica, eritroide, megacariocitica e linfoide, come

schematizzato in Fig.1. Alcune delle cellule staminali si dividono dando origine ad una

progenie che perde la capacità di differenziarsi lungo le differenti vie e orienta il proprio

sviluppo verso una specifica linea emopoietica. Queste cellule progenitrici chiamate

committed (cioè destinate alla differenziazione secondo una sola linea differenziativa)

continuano a proliferare e a differenziarsi in precursori morfologicamente identificabili,

che vanno incontro ad un’ulteriore maturazione acquisendo nel contempo funzioni

altamente specializzate e perdendo la capacità di proliferare (2). Così, per effetto di

stimoli non ancora del tutto chiariti le cellule staminali prendono la via del

differenziamento verso la produzione di cellule progenitrici dei linfociti o di cellule

staminali mieloidi pluripotenti. Queste ultime a seguito di successive divisioni cellulari

danno origine a cellule che possono differenziare ulteriormente producendo:

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1)mieloblasti da cui hanno origine i granulociti, 2) eritroblasti da cui derivano i

reticolociti e quindi gli eritrociti, 3) megacariociti da cui si formano, infine, le piastrine

(3) (Fig.1). Il passaggio delle cellule mature delle tre filiere emopoietiche nel circolo

sanguigno risponde a stimoli poco noti e avviene mediante un processo attivo, che

comporta la formazione temporanea di pori nella membrana delle cellule endoteliali (1).

Fig. 1. Rappresentazione schematica del processo dell’eritropoiesi nell’uomo. L’eritropoiesi ha inizio dalla cellula staminale totipotente che differenzia dando origine ai progenitori multipotenti (BFU-E). Da questi derivano poi le cellule committed sempre più differenziate dalle quali origineranno le cellule mature del sangue.

Alla base del differenziamento c'è una particolare programmazione dell'attività genica,

responsabile della conservazione di questa "specializzazione", che mantiene repressa la

sintesi di geni, che non sono specifici di quel determinato tipo cellulare, ed invece

attivata la sintesi di altri geni. Il nucleo non è il solo responsabile di questa

programmazione, infatti, le cellule dei vari tessuti in un organismo hanno tutte DNA

identico. La diversa regolazione dell'attività genica che si attua nei vari tipi cellulari

dipende da segnali chimici che giungono al nucleo dal citoplasma, oppure, sempre

megacariociti

eritrociti piastrine

macrofagi

cellule dendritiche

cellule B

cellule NK

neutrofili basofili eosinofili

mieloidi linfoidi

cellule mature

cellule T

cellula staminale totipotente

progenitore multipotente

progenitore committed

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mediati dal citoplasma, anche da cellule circostanti o dall'ambiente esterno alla cellula.

Segnali chimici analoghi sono prodotti anche nel corso della vita della cellula

eucariotica, i cui complessi cicli vitali sono programmati da molecole specifiche

sintetizzate in particolari momenti e che inducono il nucleo a iniziare una nuova fase di

attività. Le interazioni nucleo-citoplasma sono quindi alla base sia del differenziamento,

sia della normale attività di una cellula nel corso del suo ciclo vitale. Il mantenimento di

questo stato differenziato è il risultato di un continuo dialogo tra ogni cellula ed il resto

dell'organismo, mediato da sostanze chimiche capaci di svolgere un'azione regolatrice

anche a distanza. Infatti, si può dimostrare come sia possibile ripristinare lo stato di

totipotenza di un nucleo di una cellula differenziata, inserendolo in un citoplasma di una

cellula embrionale, quindi privandolo dell'ambiente in grado di sollecitarlo verso un

ruolo definito (3).

I primi stadi dell’emopoiesi risentono del controllo da parte di una serie di fattori di

crescita, le cosiddette citochine, sintetizzate e secrete da svariate cellule midollari,

stromali e del sistema immunitario, che regolano, in un complesso sistema di

cooperazione, il differenziamento e la proliferazione delle cellule progenitrici. Tra

queste citochine troviamo ad esempio il fattore di crescita per le cellule staminali (SCF,

stem cell factor), l’interleuchina-3 e il fattore stimolante le colonie granulocito-

macrofagiche (GM-CSF). Altri fattori di crescita come l’eritropoietina (EPO), la

trombopoietina (TPO), il fattore stimolante colonie macrofagiche (M-CSF) e il fattore

stimolante colonie granulocitarie (G-CSF), agiscono principalmente su progenitori

cellulari più maturi, già orientati verso un’unica linea di differenziazione. Questi fattori

di crescita hanno in comune la caratteristica di legarsi a recettori proteici dotati di

attività tirosin-chinasica, e sono quindi in grado di promuovere risposte complesse

coinvolgenti la fosforilazione di proteine bersaglio (1).

1.b. L’eritropoiesi nell’uomo.

L’eritropoiesi è il processo attraverso il quale a partire da cellule staminali pluripotenti

vengono prodotti gli eritrociti. L’eritropoiesi ha inizio con la differenziazione della

cellula staminale, che porta alla comparsa dei primi progenitori eritroidi. Gli stimoli che

regolano queste fasi iniziali sono in gran parte oscuri. E’ noto che l’IL-3 e il GM-CSF

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possono incrementare la formazione dei progenitori eritroidi e che sono importanti le

interazioni con le cellule endoteliali, fibroblastiche e macrofagiche del microambiente

emopoietico (1). Per completare l’intero processo è richiesta la presenza di fattori

ematopoietici di crescita (HGFs), comprendenti molecole ad azione sia stimolatoria, tra

cui le interleuchine, che inibitoria, come molecole prodotte da una vasta gamma di

cellule. Altri fattori importanti di cui è richiesta la presenza sono, infatti:

l’eritropoietina, la vitamina B12, l’acido folico, la disponibilità di ferro e la presenza di

alcuni oligo-elementi come il rame, il cobalto e il nichel. Le cellule precursori degli

eritrociti, quando si dividono, diventano sempre più sensibili all’eritropoietina, ormone

polipeptidico prodotto dal rene e dal fegato in risposta allo stimolo ipossico inviato dai

globuli rossi, che ne stimolano la produzione provocando la divisione cellulare fino alla

completa maturazione dei precursori. Un adeguato apporto di vitamina B12 e acido

folico, indispensabili per la sintesi del DNA, è fondamentale per una corretta

differenziazione e maturazione delle cellule staminali.

La cellula eritroide più immatura, derivante dalla cellula staminale pluripotente, e che

puo’ essere isolata dal midollo osseo e/o dal sangue periferico è la cosiddetta BFU-E

(erythroid burst forming unit=unità eritroide formante grappoli), tali cellule possono

essere anche facilmente coltivate in vitro. Dopo 10-15 giorni di coltura la cellula BFU-E

dà origine ad una grossa colonia di precursori eritroidi già riconoscibili. La BFU-E

risponde ad alte dosi di eritropoietina, che a sua volta agisce sinergicamente con altri

fattori di crescita. La CFU-E (erythroid colony forming unit=unità eritroide che forma

colonie), cellula più matura, è molto sensibile all’eritropoietina e produce un più piccolo

clone cellulare dopo 4-7 giorni di coltura.

L’eritropoietina probabilmente interagisce con recettori specifici sulla membrana di

cellule progenitrici (committed) destinate a differenziare in senso eritroide, inducendole

a differenziarsi in pronormoblasti, i precursori eritroidi più precoci e riconoscibili

all’esame del midollo osseo. Normalmente il passaggio da proeritroblasto a eritroblasto

più maturo richiede tre o quattro divisioni cellulari, che hanno luogo in un periodo

superiore ai quattro giorni. Durante questo tempo il nucleo diviene più piccolo e una

quantità sempre maggiore di emoglobina viene sintetizzata nel citoplasma. Dopo

l’ultima divisione cellulare il nucleo picnotico viene estromesso dall’eritroblasto e si

forma così il reticolocita che rimane nel midollo per due o tre giorni e viene poi

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rilasciato in circolo dove rimane per altre 24 ore prima di assumere l’aspetto

morfologico tipico dell’eritrocita maturo (con la perdita di mitocondri e dei ribosomi).

Una caratteristica dei precursori eritroidi (dal peritroblasto al reticolocita) è che queste

cellule possiedono un recettore di superficie specifico per il complesso ferro-

transferrina, grazie al quale possono incorporare ferro a sufficienza per la sintesi

dell’emoglobina (2). L’eritrocita non è una cellula in senso stretto in quanto priva di

organelli cellulari, ma ha caratteristiche tali da essere in grado di trasportare grandi

quantità di gas, ossigeno e CO2, mediante la sintesi dell’emoglobina, proteina avente

funzione di trasporto di queste molecole, e presenta, inoltre, un favorevole rapporto

superficie/volume avendo un diametro di circa 8 m ed uno spessore massimo di 2 m

in modo da rendere più semplice la diffusione dei gas all’interno e all’esterno di questa

cellula (4).

2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo

sviluppo.

L’emoglobina rappresenta la proteina più importante tra i costituenti dei globuli rossi, la

cui funzione biologica è quella di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti attraverso

il circolo sanguigno. Ha una struttura globulare costituita da quattro catene

polipeptidiche e quattro gruppi prostetici eme. Delle quattro catene globiniche due sono

catene “di tipo alfa” (zeta ed alfa), mentre le altre due sono “di tipo beta” (epsilon,

gamma, beta e delta); nell’adulto è prevalente l’HbA (97%), formata da due catene α di

141 residui e da due catene β di 146 aminoacidi, che si associano tra loro a formare una

struttura tetraedrica. Il 2-3% è rappresentato dall’HbA2, costituita da due catene e da

due catene e meno dell1% è rappresentato dall’HbF (emoglobina fetale) costituita da

due catene e due catene . Quanto descritto è stato riportato con maggiori dettagli in

Fig.2.

Durante lo sviluppo dei proeritroblasti si ha un notevole incremento a carico della

trascrizione dei geni per le catene globiniche.

Le catene α e β dell’HbA contengono diversi segmenti ad α-elica separati tra loro da

ripiegamenti cosiddetti a -foglietto; le interazioni tra le due catene α e le due catene β

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sono localizzate in prevalenza a livello di residui idrofobici, ma esistono anche

interazioni ioniche che coinvolgono i residui carbossi-terminali delle quattro subunità.

La sintesi di ciascuna di queste subunità è diretta da un gene corrispondente ed ereditato

da ciascun genitore.

Fig. 2. Differenti tipi di emoglobina nell’uomo. Le tre emoglobine embrionali vengono prodotte nei primi mesi di gravidanza, al termine dei quali vengono sostituite dall’emoglobina fetale, che a sua volta è sostituita dalle emoglobine adulte nei primi mesi di vita. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile concessione di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara).

In ogni catena polipeptidica costituente l’emoglobina, posizionato all’interno di una

tasca idrofobica, si trova il gruppo eme, che in tale posizione stabilisce dei legami

idrofobici con l’interno ed eteropolari con la superficie della molecola. Il gruppo eme è

costituito da una complessa struttura organica ad anello, la protoporfirina, alla quale è

legato in posizione centrale un atomo di ferro nello stato di ossidazione ferroso (Fe2+).

L’atomo di ferro presenta sei legami di coordinazione, quattro dei quali sono posizionati

nel piano della porfirina ed impiegati all’interno del piano, mentre gli altri due sono

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perpendicolari al piano ed associano l’eme al polipeptide stabilendo un contatto con

l’azoto imidazolico di due residui di istidina in posizione frontale rispetto all’eme

stesso. L’equilibrio che si viene a formare tra l’eme e la parte proteica è influenzato

dalla presenza di ossigeno; infatti, essendo l’ossigeno elettronegativo, tende a legare

l’atomo di ferro rompendo uno dei due legami di coordinazione con l’istidina. Ne

consegue che nell’ossiemoglobina il ferro è legato ad una sola molecola di istidina della

catena polipeptidica e ad una molecola di ossigeno, mantenendo costante la sua valenza

allo stato ferroso.

La struttura quaternaria dell’emoglobina è responsabile della sua affinità per l’ossigeno,

che diventa maggiore per le diverse subunità, man mano che l’ossigeno si lega ai gruppi

prostetici: il legame della prima molecola di ossigeno favorisce i legami di nuove

molecole di ossigeno alle altre subunità. Il movimento delle catene proteiche sono

essenziali per la cattura ed il rilascio di ossigeno, permettendo al gruppo eme di

assumere uno stato rilassato che favorisce il legame dell’ossigeno alla subunità

adiacente.

Durante le varie fasi di sviluppo di un individuo sono identificabili diverse forme di

emoglobina riassunte in Fig.2. È possibile, infatti, distinguere la produzione di tre

emoglobine embrionali nei primi mesi di gravidanza (Hb Gower1 ζ2ε2, Hb Gower2 α2ε2

e Hb Portland ζ2γ2), un’emoglobina fetale (HbF α2Gγ2 e α2

Aγ2) la cui produzione

continua anche dopo la nascita andando a costituire per i primi sei mesi di vita il 5% di

tutta l’emoglobina.

Rispetto all’emoglobina di tipo adulto, l’HbF presenta un’affinità maggiore per

l’ossigeno: questo permette un efficiente trasferimento di ossigeno dal sangue materno a

quello fetale attraverso la placenta.

La differente espressione nel tempo, dal concepimento alla vita adulta, delle diverse

catene globiniche nell’uomo è rappresentata in Fig.3 ed è dipendente dall’attivazione e

dallo spegnimento di differenti geni globinici, attraverso processi di metilazione e

demetilazione, che ne caratterizzano lo switch (5, 6, 7, 8). Durante il periodo embrionale

sono attivi i geni responsabili della sintesi delle Hb Gower e Hb Portland, la cui

espressione diminuisce progressivamente dopo le due prime settimane di gestazione.

L’espressione del gene ζ diminuisce man mano che aumenta l’espressione del gene per

la globina α, mentre le globine ε sono sostituite dalle globine γ dopo sei settimane dal

concepimento. Le globine a partire dalla ventiquattresima settimana da concepimento,

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durante la fase fetale, raggiungono i livelli massimi presenti nell’adulto. Dopo la

nascita, la sintesi delle globine γ diminuisce sempre più, fino ad essere completamente

sostituita dalle globine β intorno al quarto anno d’età. In realtà una piccola percentuale

di HbF viene espressa ancora durante la vita adulta ed i suoi livelli possono variare

anche di dieci volte sotto l’influenza di fattori quali l’età, il sesso o peculiarità

genomiche, ad esempio mutazioni puntiformi nelle sequenze di DNA all’interno del

cluster β o nei geni ad esso correlati.

Fig. 3. Espressione nel tempo e nei diversi tessuti dei differenti tipi di catene globiniche umane. Le catene globiniche umane sono espresse in percentuale di emoglobina sul totale (figura tratta da: Olivieri NF. The β–Thalassemias. Medical Progress, 341, 99-109, 1999).

Il clusters genico per le globine ε, γ, δ e β si trova sul cromosoma 11, mentre quello per

le globine ζ e α si trovano sul cromosoma 16, essi sono riportati in Fig.4. Nel

cromosoma 11 sono rappresentati anche gli pseudo-geni ψβ2 e ψβ1, mentre nel

cromosoma 16 è presente lo pseudo-gene ψα1. Per le catene di tipo γ va specificata

l’esistenza di due tipi diversi di globine che differiscono tra loro per la sostituzione di

una glicina con un’alanina in posizione 136 della catena peptidica e sono

rispettivamente denominate catene Gγ e Aγ.

prima della nascita nascita dopo la nascita

cate

ne g

lobi

nich

e

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Fig. 4. Organizzazione dei clusters dei geni per le globine di tipo β (A) e dei geni per le globine α (B), posizionati rispettivamente sul cromosoma 11 e sul cromosoma 16. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile concessione di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara).

I geni β-globinici umani (ε, γG, γA, δ e β) sono raggruppati in un dominio di 70 kb sul

cromosoma 11. L’espressione dei geni β-globinici è regolata da una regione, di circa 25

kb, contenente una serie di siti ipersensibili alla DNasi I (5’HS), riconosciuti da quattro

fattori eritrospecifici (5’HS1-4), e uno riconosciuto da un fattore ubiquitario (5’HS5);

tale regione è collocata tra 6 e 18 kb a monte del gene per le ε-globine ed è chiamata

Locus Control Region (LCR). La sequenza LCR è indispensabile per l’attivazione della

trascrizione, infatti è stato dimostrato come la delezione di questa regione inibisca

l’espressione di tutte le proteine codificate dai geni contenuti nel cromosoma 11

provocando la -talassemia (9, 10). L’LCR svolge due ruoli importanti: 1) costituisce

una regione cromosomica “aperta”, ovvero più accessibile ai fattori di regolazione, e 2)

contiene delle porzioni ad attività fortemente enhancer, responsabili dell’elevata

espressione genica, differenziata temporalmente durante lo sviluppo embrio-fetale dei

diversi geni globinici (11). Ciascun promotore dei singoli geni β-globinici sembra agire

in sinergismo con l’LCR per controllarne l’espressione nel tempo, determinando il lo

“spegnimento” progressivo di alcune catene a favore di altre (12).

Locus Control Region 2 G A

1 HS-Region

A

B

cromosoma 11 (p15.5)

cromosoma 16 (p13.3)

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La sequenza LCR è stata parzialmente mappata ed è stata evidenziata una regione in

particolare: la regione 5’ HS2 che contiene due siti di legame per il fattore nucleare NF-

E2 (Nuclear Factor E2), sovrapposti al sito di legame per la proteina AP-1 (Activator

Protein 1) (13, 14). E’ stato dimostrato che questa regione di 46 bp è necessaria e

sufficiente per l’attivazione dell’espressione di un gene reporter -globinico posto sotto

il suo controllo trascrizionale (13). Per la completa attività del sito 5’HS2 è, inoltre,

necessario che si verifichi l’interazione di alcuni fattori trascrizionali con i loro siti di

legame localizzati all’interno di tale regione. Tra i fattori trascrizionali identificati

ricordo GATA-1 (erythroid cell- and megakaryocyte-specific trancription factor 1)

(15), TAL-1 (T-cell acute leukemia 1) (16) CBF-1 (C-promoter binding factor 1) (17),

USF (Upstream stimulatory Factor) (18), e YY1 (ying-yang 1) (19). Numerosi studi

suggericono che altre proteine possano essere implicate nel meccanismo di regolazione

genica come l’istone-acetil-transferasi (HATs), CREB binding protein (CBP) e p300,

importanti co-attivatori per la trans-attivazione dei geni globinici che mediano l’attività

enhancer dell’LCR (20).

Sembra che il meccanismo molecolare con cui l’LCR possa dirigere l’espressione

globinica sia la formazione di loop di DNA dovuti proprio all’interazione di complessi

multipli DNA-proteina coi singoli promotori per le diverse globine del cluster

secondo un modello schematizzato in Fig.5.

Attivatori

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Fig. 5. Esempio di una struttura a “loop”. Nella figura sono schematizzate le regioni interessate dal legame di fattori trascrizionali, che a loro volta interagiscono grazie alla formazione di una struttura a loop con quelli riconosciuti in regioni più distali, regolando l’espressione genica a livello delle regioni promotrici dei singoli geni globinici. (Figura tratta dal sito informativo http://biology.kenyon.edu/courses/biol114/Chap10/Chap10.html).

3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico.

Le patologie del sistema ematopoietico che colpiscono l’uomo sono suddivise in due

categorie principali entrambe dovute ad alterazioni ereditarie. Il primo gruppo è

costituito da quelle patologie in cui le catene globiniche prodotte sono caratterizzate da

variazioni a livello della sequenza aminoacidica, tra queste l’anemia falciforme. Il

secondo gruppo è caratterizzato, invece, da una minore od assente produzione di catene

globiniche (sindromi talassemiche).

Le sindromi talassemiche presentano dunque un disturbo a livello quantitativo e non

qualitativo delle catene polipeptidiche; in base al tipo di catena colpita dal difetto genico

si parlerà di -talassemia, -talassemia e -talassemia. Queste patologie rappresentano

Repressori

Coattivatori Fattori basali

Regione

codificante

promotore

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uno dei disordini genetici più diffusi nel mondo e risultano particolarmente colpite le

popolazioni del bacino del Mediterraneo, dell’Africa, dell’India e dell’Oriente (Fig.6A).

In Italia prevalgono nettamente le forme di -talassemia, che risulta endemica nel delta

padano, in Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna (Fig.6B).

A

B

Fig. 6. Aree geografiche maggiormente colpite dalla talassemia. Nella figura sono rappresentate le zone endemiche dell’Italia (A) e del mondo (B), nelle quali la talassemia è stata maggiormente riscontrata.

Gli studi genetici hanno dimostrato come le mutazioni responsabili dell’insorgenza

delle sindromi talassemiche siano originate casualmente in varie popolazioni e che un

criterio di selezione naturale, basato verosimilmente sulla maggior resistenza

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all’infezione da parte dei parassiti malarici delle forme eterozigoti, abbia giocato un

ruolo importante nell’affermarsi di questa patologia in certe aree geografiche.

Alcune mutazioni genetiche che determinano l’insorgenza della talassemia possono

essere: la sostituzione di un codone codificante per un aminoacido con un codone di

terminazione, determinando un’interruzione prematura della trascrizione; l’alterazione

del quadro di lettura del codice genetico; un difetto a livello della maturazione o del

trasporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma, per cui il trascritto può essere degradato

all’interno del nucleo oppure, se la mutazione interessa regioni interne ad introni

localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, possono formarsi

nuovi siti di splicing, causando la produzione di mRNA sia normali che alterati. Infine,

ricordiamo le delezioni geniche, le principali delle quali sono riportate in Fig.7.

Fig. 7. Delezioni geniche responsabili del fenotipo talassemico. Questo tipo di delezioni possono interessare un’area genica più o meno vasta. In alcuni casi possono, invece, provocare la riattivazione dei geni globinici di tipo gamma (come nel fenotipo HPFH). Le emoglobine Lepore prendono origine da un crossing-over non omologo fra i geni e

adiacenti. Tale evento genera una subunità globinica formata all’estremo N-terminale

da un tratto di catena e all’estremo C-terminale da un tratto di catena .

5’ 3’

ε G A

Talassemia

Talassemia

Hb Lepore

Talassemia

Talassemia

HPFH

Talassemia

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Le α-talassemie sono più frequenti in Asia, in alcune regioni del bacino del

Mediterraneo ed in Africa, ed è molto rara tra le razze bianche. Essendo i geni

codificanti per l’ globina quattro, due per ciascun cromosoma 16 in un individuo

diploide, sulla base del numero di geni interessati dall’alterazione si distingueranno

diverse varianti di -talassemie. Tuttavia, la maggior parte delle -talassemie sono

dovute alla delezione di geni -globinici che possono essere di diversa entità, dando

quindi origine a quadri clinici di diversa gravità. La mancanza di tutti e quattro i geni α

porta all’insorgere di una patologia detta idrope fetale, caratterizzata da morte

intrauterina del feto o sopravvivenza di poche ore del feto nato a termine. In questa

patologia diffusa soprattutto in Asia, si ha la sintesi di emoglobine anomale: Hb Bart

(80%), costituita dall’unione di quattro catene , Hb Portland, costituita dall’unione di

due catene ζ e due (20%). La malattia da HbH deriva invece dalla trasmissione di uno

solo dei quattro geni dell’-globina, con conseguente grave riduzione della sintesi di

questa catena. L’emoglobina formata è in prevalenza di tipo HbH e deriva dall’unione

di quattro catene . Siccome i tetrametri formati dalle catene sono relativamente

solubili, la morte intramidollare degli eritroblasti è ridotta, mentre si assiste alla

formazione di precipitati emoglobinici in circolo (corpi di Heinz). I pazienti in genere

hanno un’aspettativa di vita normale, anche se possono andare incontro ad

aggravamenti dell’anemia in caso di infezioni.

La -talassemia minor deriva dalla delezione di due dei quattro geni globinici ed è una

condizione in genere clinicamente silente.

Le +-talassemie, causate non da una delezione, sono di solito prodotte da mutazioni

che comportano la ridotta espressione dei geni .

La β-talassemia viene classificata in due categorie a seconda del grado di mancanza di

globine β: β0-talassemia, quando vi è la totale assenza di sintesi di β-globine; β+-

talassemia, caratterizzata da una ridotta sintesi di β-globine negli omozigoti.

Esperimenti di sequenziamento dei geni per le globine β hanno permesso di evidenziare

più di 38 diverse mutazioni causanti la malattia, molte delle quali rappresentate da

mutazioni puntiformi. Le più comuni alterazioni, riportate in Fig.8, riguardano: a) la

regione promotrice del processo di trascrizione, le mutazioni in questa regione si

traducono in una ridotta trascrizione genica, responsabile dell’insorgere di una β+-

talassemia; b) regioni esoniche, dove la modificazione di un singolo nucleotide può

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portare alla formazione di un codone detto di “stop”, che interrompe prematuramente la

traduzione dell’mRNA globinico, generando frammenti non funzionanti di β-globina e

provocando una β0-talassemia; c) regioni nelle quali le mutazioni possono determinare

un alterato splicing del trascritto primario, che viene degradato all’interno del nucleo,

portando ad una β0-talassemia. Possono verificarsi anche mutazioni all’interno di introni

e localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, ma generanti

nuovi punti di splicing. Nel caso in cui questi presentino anche i canonici siti di

splicing, si può avere la produzione di sia di mRNA corretti, che di mRNA alterati;

questa modificazione determina l’insorgenza di una forma di β+-talassemia.

Fig. 8. Rappresentazione schematica del gene per la β globina. Nella figura sono anche indicati i principali siti nei quali sono state localizzate le mutazioni responsabili di β-talassemie. Il soggetto affetto da β-talassemia si trova in uno stato di anemia cronica dovuta, oltre

che alla mancata o ridotta sintesi di β-globine, anche al fatto che le catene α, che sono

normalmente prodotte, non trovando un’equivalente concentrazione di catene β alle

quali associarsi risultando in eccesso e legandosi tra loro per formare aggregati

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insolubili. Questi complessi precipitano all’interno dei precursori eritroidi intramidollari

danneggiandoli. Si verifica così un’eritropoiesi inefficace. Non tutte le catene α in

eccesso precipitano, molte si associano alle catene γ originando molecole di HbF, e

alleviando la gravità della malattia nel paziente.

La talassemia major o morbo di Cooley, nella quale la malattia trova piena espressione

clinica, è sostenuta raramente da uno stato di omozigosi per il gene malato, molto più

frequentemente si tratta di una doppia eterozigoti per due mutazioni diverse, ereditate

ciascuna da uno dei due genitori. Si distinguono almeno tre categorie genotipiche: le

forme0/0, le forme 0/+ e le forme +/+. Ovviamente nel primo tipo l’HbA e l’HbA2

sono praticamente assenti e la quasi totalità dell’emoglobina è rappresentata dall’HbF,

mentre negli altri due tipi vi è sempre un’aliquota, in genere variabile tra il 15% e il

25% di HbA e HbA2.

Il soggetto affetto da morbo di Cooley presenta già dai primi mesi di vita pallore, ittero,

epatosplenomegalia. Si associano spesso sintomi sistemici quali anoressia, decadimento

delle condizioni generali e febbricola. Caratteristiche sono le alterazioni ossee dovute

all’espansione midollare, che si manifestano con la tipica “facies microcitemica”

determinata dagli zigomi sporgenti, dal naso con radice piuttosto infossata e dal cranio

rotondo e ingrossato. L’allargamento delle ossa craniche conferisce il tipico aspetto del

“cranio a spazzola”. La sopravvivenza dei soggetti affetti da -talassemia major è

limitata; nei casi più gravi non si arriva all’età adulta.

Le forme di talassemia intermedia, caratterizzate da doppia eterozigosi hanno

espressione clinica meno spiccata ed esordio tardivo. I soggetti affetti da questa

patologia possono mostrare un’anemia di grado variabile che può comparire anche

tardivamente. Lo sviluppo psicosomatico è regolare anche se alcuni soggetti possono

mostrare ritardo dello sviluppo nella sfera sessuale. E’ sempre presente una

splenomegalia che è in genere progressiva, tuttavia i soggetti affetti possono

sopravvivere fino ad un’età avanzata.

Nelle forme di eterozigosi o di talassemia minor, gli individui presentano un quadro

clinico con o senza anemia e la patologia è totalmente silente (1).

4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene

per le -globine umane.

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La sintesi di emoglobina fetale è normalmente ridotta all’1-2% dell’emoglobina totale

nell’adulto, poiché è limitata progressivamente ad una sottopopolazione eritrocitaria

detta F-cells, che nell’85% degli individui adulti sani raggiunge un valore variabile

dallo 0,3% al 4,4% (21). In alcuni soggetti affetti da β-talassemia e che presentano

un’anormale espressione dei geni per le γ-globine questo fenomeno determina un

incremento nel livello di HbF, tale livello può raggiungere valori medi che vanno da un

2,5% ad un 20%. Questa condizioneviene definita HPFH (High Persistance of Fetal

Hemoglobin), nella quale l’incremento di HbF può raggiungere anche livelli superiori al

30% (22). La condizione fenotipica HPFH si manifesta con un’espressione dei geni per

le γ-globine attivi durante lo sviluppo fetale, che continua nell’adulto, quando

l’espressione dovrebbe invece essere repressa. I pazienti che manifestano un fenotipo

HPFH presentano un miglioramento del quadro clinico, grazie alla riattivazione dei geni

per le γ-globine, dove gli aumentati livelli di HbF sono in grado di supplire, almeno in

parte, alla carenza di HbA nelle sindromi talassemiche. Pertanto, oggetto di indagine è l’identificazione e la caratterizzazione di composti

naturali, chimici od altri tipi di molecole, capaci di indurre il differenziamento eritroide

e la produzione di emoglobine embrio-fetali, nel tentativo di riattivare i geni endogeni

per le γ-globine.

Le alterazioni geniche che portano ad incrementati livelli di HbF sono a tutt’oggi

oggetto di studio, tuttavia sono state individuate due tipologie. Per il fenotipo HPFH di

tipo deletion sono state proposte tre cause: 1) la delezione di sequenze regolative nel

cluster genico per le β-globine, implicate nella modulazione sia positiva che negativa,

che produce un fenotipo derivante dalla funzione delle sequenze regolative restanti; 2)

una delezione che giustappone elementi enhancers in 3’ e normalmente localizzati a

valle del gene β, in prossimità dei geni γ, incrementandone l’espressione; 3) una

delezione che determina la continuità tra la regione di controllo del locus LCR ed i geni

γ, normalmente in stato quiescente. Nell’HPFH non deletion, invece, l’intero cluster

risulta integro. Sono state descritte mutazioni nelle posizioni -202, -175, -161, -158 e

-114 del gene G, e -202, -198, -196, -195, -175, -117 e -114 nel gene A ilcui

promotore è ampliamente descritto in Fig.9.

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Fig. 9. Rappresentazione del gene per le β-globine e del promotore del gene per le -globine. Nella figura è rappresentato il cluster -globinico compresa la regione LCR ed i cinque geni globinici. Nell’espansione è rappresentato il promotore del gene per le -globine con le principali sequenze riconosciute da fattori di regolazione di questo gene.

Queste mutazioni riguardano soprattutto regioni regolative a livello di siti di legame per

fattori trascrizionali sia ubiquitari, che eritro-specifici e sono riportate in tabella 1.

Probabilmente tali mutazioni alterano il legame con le proteine regolative della

trascrizione genica, comportando o un aumento l'affinità per fattori transattivanti, o

diminuendo l’affinità per repressori trascrizionali, oppure una combinazione dei due

meccanismi. Le mutazioni alle posizioni -202, -198, -196, -195 sembrano coinvolgere il

sito di legame della proteina ubiquitaria Sp1 (23). La mutazione -175 annulla in vitro il

legame della proteina Otc-1 (Octamer Binding Factor 1) ed altera il sito di legame di

GATA-1 ( erythroid cell and megakaryocyte-specific transcription factor 1) (24). Le

mutazioni -117 e -114 ed una delezione di 13 pb in questa regione riguarda un

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complesso di siti per fattori trascrizionali, inclusa la sequenza CCAAT presente in

duplice copia, tra questi anche il sito di legame per GATA-1 ed il fattore eritroide

specifico NF-E3 (Nuclear Factor Erythroid 3). Le mutazioni -117, -114 e la delezione

di 13 pb sembra alterare in vitro il sito di legame di molte proteine: CP1 (poly(C)-

binding protein-1), CDP (CCAAT displacement protein), GATA-1 e NF-E3 (25).

Tuttavia, i livelli maggiori di HbF sono stati evidenziati in individui -talassemici

portanti una mutazione puntiforme in posizione -158 del gene G sia nello stato di

omozigosi che in eterozigosi (21). Le principali mutazioni responsabili del fenotipo

HPFH sono riportate in tabella 1.

Tabella 1. Principali mutazioni responsabili del fenotipo HPFH.

HPFH deletion

HPFH non-deletion

HPFH giapponese G -114 C a T

mutazione

HPFH Sicilia/Mediterraneo 13,4

delezione (kb)

HPFH-4 (Italia) 40

HPFH Black A delezione da -114 a -102HPFH Georgia A -114 C a T

HPFH australiana G -114 C a GHPFH Black G -158 C a THPFH Black G -161 G a AHPFH Black/Sardegna/Inghilterra G -175 T a CHPFH Black G -202 C a G

HPFH Greek A -117 G a AHPFH Black A -175 T a CHPFH brasiliana A -195 C a GHPFH cinese A -196 C a THPFH inglese A -198 T a CHPFH Black A -202 C a T

Il promotore del gene codificante per le -globine è stato ampliamente studiato, e sono

state identificate regioni altamente conservate, come la sequenza CCAAT ripetuta due

volte e la sequenza ATAAA, che costituiscono il promotore minimo in grado di attivare

la trascrizione a bassi livelli delle -globine umane (26). Un’altra regione regolativa è la

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sequenza CACCC, riconosciuta dal fattore di trascrizione Sp1 e indispensabile per

aumentare l’espressione del gene per le -globine. E’ stato infatti dimostrato che

delezioni o mutazioni in questa sequenza portano ad una riduzione dell’attività del

promotore (27). Studi su precursori eritroidi coltivati in vitro hanno permesso di

identificare altri fattori implicati nella regolazione dell’espressione di questo gene, in

particolare sono stati identificati fattori leganti la sequenza CCAAT, quali CP1/NFY

(nuclear factor Y), CDP, NF-E3 e GATA-1. Quest’ultimo sembra avere funzione

repressiva, in quanto è stato osservato che in precursori eritroidi umani embrionali e

fetali l’interazione GATA-1/promotore non avviene, mentre si instaura nelle cellule

adulte in cui la -globina non è normalmente espressa (28). I fattori CP1/NFY e NF-E3

riconoscono invece la stessa sequenza ma sembra che, in cellule esprimenti le -

globine, CP1/NFY abbia una maggiore affinità per essa rispetto ad NF-E3 (25). In

posizione -280 della regione promotrice del gene A-globinico è stata individuata la

sequenza ATGCAAAT, riconosciuta dal fattore di trascrizione Oct-1 (Octamer Binding

Factor 1); una mutazione in questa posizione può attivare la trascrizine genica dell’HbF

e produrre il fenotipo HPFH. Questo dimostra l’importanza regolativa della sequenza.

(29).

La regione promotrice del gene per le -globine umane risulta pertanto estremamente

interessante e costituisce un modello sperimentale adatto a studi volti a chiarirne i

meccanismi di regolazione e modulazione trascrizionale. Essa rappresenta un

importante potenziale target per farmaci in grado di aumentare l’espressione di -

globine e di conseguenza anche i livelli di HbF, migliorando così il quadro clinico di

pazienti affetti da -talassemia.

5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione

di geni globinici endogeni.

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La terapia più comune per le diverse forme di talassemia prevede la trasfusione di

sangue, indispensabile per fornire al paziente un carico di globuli rossi sani ricchi in

emoglobina normale perfettamente capace di trasportare ossigeno ai tessuti. Le

trasfusioni consentono anche di ridurre l’espandersi del midollo osseo e quindi le

alterazioni ossee e di limitare l’attività della milza. Esistono però degli svantaggi dovuti

al perdurare di questo programma terapeutico; infatti, con le trasfusioni sono introdotte

nell’organismo grandi quantità di ferro, presente nell’eme. Questa condizione determina

un fenomeno di tossicità per organi e tessuti detto iron overload, che va a danneggiare

soprattutto il cuore ed il fegato, ed è la principale causa di morte nei pazienti trattati con

cicli trasfusionali. Pertanto nella maggior parte dei casi i pazienti talassemici sono

sottoposti anche a una terapia chelante il ferro, utilizzando come farmaco la

Deferoxamina (DFO) somministrata per infusione sottocutanea mediante microinfusore

al fine di rimuoverne l’eccesso. Tale terapia risulta purtroppo difficile e dolorosa da

affrontare, e presenta molti effetti collaterali (deficit neurosensoriali delle vie uditive,

anomalie retiniche, danni renali e polmonari e, nei bambini, danni metafisari con

relative turbe dell’accrescimento) tanto da spingere numerosi pazienti ad abbandonarla.

Un’alternativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, che permette un’alta

percentuale di guarigione qualora i pazienti arrivino rapidamente ed in buone condizioni

cliniche al trapianto. Per questa strategia è necessario disporre di un donatore di midollo

perfettamente compatibile per evitare fenomeni di rigetto. Poiché per impiantare un

nuovo midollo è necessario distruggere prima quello del ricevente, vengono impiegati

farmaci chemioterapici. Anche i globuli bianchi sono quindi eliminati e il paziente in

questa fase è sottoposto ad alti rischi di infezioni. Le cellule del midollo verranno poi

reintegrate con la somministrazione per via endovenosa di cellule sane e provenienti da

un donatore, che presenta caratteristiche di istocompatibilità simili al paziente.

Diversi sono gli approcci sperimentali attualmente in fase di studio. Uno di questi

riguarda la terapia genica. Grazie all’ingegneria genetica si potrebbe “inserire” un gene

per le β-globine normale in pazienti affetti da talassemia, sostituendo le funzioni del

gene “malato” con quelle del gene “sano”, opportunamente inserito nei precursori

eritroidi del paziente. Il sistema vettore all’avanguardia impiegato negli studi di

clonaggio è costituito da un vettore lenti-virale in cui vengono silenziati alcuni geni del

virus in modo da renderlo non patogeno. I problemi di questa terapia sperimentale

riguardano soprattutto l’identificazione delle sequenze necessarie per avere

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un’espressione elevata e stabile del gene da veicolare e lo sviluppo di vettori più efficaci

e sicuri per il suo trasferimento all’interno dell'organismo (30, 31, 32).

Altri approci nell’ambito della terapia genica riguardano l’utilizzo di ribozimi per la

cura delle emoglobinopatie. I ribozimi sono molecole in grado di legare e degradare uno

specifico prodotto genico. Sono stati messi a punto ribozimi specifici per la

soppressione degli mRNA per le -globine, molto utili nel contrastare la precipitazione

dei tetrametri -globinici, che causa gravi danni ai precursori eritroidi nella -

talassemia (33).

Altre strategie terapeutiche per la cura della talassemia sono in fase di studio. Una

strada che lascia sperare a futuri successi è quella di “riattivare” il gene che codifica per

le globine di tipo γ e permettere la produzione di HbF (α2 γ2), che potrebbe compensare

la carenza di emoglobina adulta. Se si potesse controllare lo switch globinico γ-β,

agendo su una specie di interruttore molecolare, si assicurerebbe al paziente talassemico

una quantità di emoglobina fetale tale da consentirgli condizioni di vita pressoché

normali (22, 34).

Per incrementare l’espressione di -globine è stato considerato anche l’utilizzo di virus

per il trasferimento in cellule totipotenti ematopoietiche di geni terapeutici privati degli

elementi patogeni e contenenti il gene per le -globine umane associato ad alcuni

elementi dell’LCR. Questi elementi consentono l’integrazione e l’espressione stabile del

transgene presentando un tropismo elettivo per le cellule ematopoietiche. In particolare

è stato realizzato un vettore per ottenere un efficace trasferimento genico nelle cellule

ematopoietiche umane (35).

Come possibile terapia per la talassemia è stato studiato anche l’impiego di molecole

come gli oligonucleotidi formanti tripla elica di DNA detti TFOs, che sono in grado di

alterare l’espressione genica sia in vitro che in vivo. Gli esperimenti sono stati rivolti

all’attivazione dell’espressione del gene per le -globine utilizzando TFO diretti contro

il promotore di questo stesso gene. I risultati ottenuti in questo senso hanno fornito

risultati interessanti, dal momento che uno di questi TFO è stato in grado di aumentare i

livelli di emoglobina (29).

Anche l’attività di acidi peptico nucleici (PNAs) è stata investigata in questo senso, dal

momento che queste molecole sono omologhe come struttura sia al DNA, che all’RNA,

ma presentano una catena peptica al posto dei residui saccaridici. Essi rappresentano un

buon sistema per modificare l’espressione di un gene ed hanno il vantaggio di essere

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abbastanza resistenti alla degradazione da parte delle nucleasi. I PNAs sono in grado di

legare sequenze omopuriniche o omopirimidiniche a livello del doppio filamento di

DNA in modo specifico, formando un costrutto a tripla elica [PNA]2/DNA con un

singolo filamento di DNA e creando una struttura detta D-loop nel sito di legame del

PNA. Esperimenti in vitro hanno dimostrato la loro capacità di iniziare il processo di

trascrizione ed è stata valutata la possibilità di utilizzare queste molecole per indurre

l’espressione genica di -globine. Infatti, sono stati disegnati dei PNAs diretti contro la

regione 5’ promotrice del gene per le -globine ed è poi stata valutata in vitro la

modificazione dell’espressione di un gene reporter ad esso associato (36).

Un altro approccio terapeutico per la cura delle emoglobinopatie si basa su osservazioni

sperimentali che dimostrano come i geni globinici non siano repressi in maniera

irreversibile nelle cellule differenziate, per cui la loro espressione può essere facilmente

riprogrammata in presenza o in assenza di appropriati fattori di regolazione (37).

Diversi composti sono stati testati come agenti induttori del differenziamento eritroide;

tra questi ampiamente indagata è stata l’attività dell’idrossiurea (HU). Il meccanismo

con cui l’HU incrementa l’HbF in seguito ad un’azione sui precursori eritroidi tardivi

non è ancora del tutto chiaro. Le ipotesi sono molteplici: sembrano implicate la

alterazioni delle cinetiche cellulari e gli effetti citotossici (34). Oltre ad incrementare i

livelli di HbF, l’HU produce anche un aumento delle dimensioni cellulari e del

contenuto di emoglobina per cellula ed inibisce la proliferazione cellulare. L’effetto

massimo è stato ottenuto impiegando una concentrazione di 400 M, anche se buoni

livelli di induzione sono stati ottenuti a concentrazioni inferiori, da 100 M a 200 M,

con le quali la proliferazione cellulare è solo parzialmente inibita. L’attività dell’HU è

stata valutata anche in trials clinici, dove nel 75% dei pazienti trattati con idrossiurea è

stato dimostrato un incremento della sintesi di HbF (38).

Anche il composto antitumorale cytosine arabinoside (ara-C), già in uso nel trattamento

chemioterapico di diverse neoplasie umane come la leucemia acuta, ha dimostrato di

avere effetto eritro-differenziante. L’incremento di HbF in cellule K562 trattate è stato

ottenuto con concentrazioni da 100 a 300 nM, alle quali tuttavia il farmaco presenta una

forte tossicità. Alcuni studi hanno dimostrato che il trattamento contemporaneo con ara-

C e retinoidi potrebbe mantenere l’effetto differenziante dell’ara-C a concentrazioni

inferiori in modo da diminuirne gli effetti tossici (39). Anche dal punto di vista

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farmacocinetico l’impiego di ara-C presenta degli svantaggi; infatti, il tempo di emivita

plasmatico della molecola è molto basso (40).

Un altro agente induttore del differenziamento eritroide è la 5-azacitidina, un analogo

della citosina che a differenza di questa non può essere metilato. Esperimenti condotti

sui babbuini trattati con questo composto hanno dimostrato un aumento della sintesi di

HbF. Sembra che il fatto che la 5-azacitidina non possa essere metilata sia responsabile

della sua attività eritro-differenziante. Infatti, il grado di metilazione della sequenza

contenente il dinucleotide CpG è importante nella regolazione dell’attività genica e in

particolare l’ipometilazione è correlata con l’espressione genica (41, 42, 43, 44). Sia il

gene per le -globine, che quello per le -globine sono ipometilati durante il periodo

fetale, mentre nell’età adulta il gene risulta metilato. Ciò fa pensare che la metilazione

sia uno dei meccanismi coinvolti nella diminuzione dell’espressione di questo gene

nell’adulto (45). Pertanto, l’incorporazione della 5-azacitidina nel DNA, una molecola

che non può essere metilata, permette l’espressione del gene -globinico anche

nell’adulto. Il composto non ha dimostrato invece effetto sull’espressione del gene dal

momento che questo è già ipometilato in età adulta. L’uso in terapia della 5-azacitidina

non è ancora possibile a causa dei suoi numerosi effetti tossici, ma la molecola potrebbe

essere modificata in modo da ridurre l’effetto citotossico in maniera selettiva, non

alterandone le proprietà eritro-differenzianti (46).

Il sale ferrico-cloridico del gruppo eme, l’emina, ha anch’esso potere eritro-

differenziante. Gli studi svolti in questo senso hanno dimostrato che il trattamento con

emina produce un aumento specifico della produzione di HbF rispetto all’emoglobina

adulta nelle cellule K562. Lo stesso effetto si è riscontrato sia in cellule eritroidi isolate

da donatori normali, che da pazienti talassemici.

I risultati di questi studi indicano che l’acquisizione di eme da fonti esogene quali

l’emina, incrementa la sintesi di HbF nei primi stadi della maturazione cellulare. Ciò fa

supporre che, proprio la disponibilità di gruppi eme sia lo step limitante nel processo di

sintesi dell’emoglobina in questa fase. Sembra, inoltre, che l’uptake dell’emina sia

fisiologicamente regolato da un recettore cellulare ancora poco conosciuto. I livelli di

HbF in cellule trattate con questo induttore, sono massimi nei primi stadi della

maturazione cellulare, ma si è dimostrato che rimangono più alti rispetto alle cellule non

trattate anche nelle fasi successive del differenziamento cellulare. L’effetto inducente

dell’emina può essere notevolmente intensificato dal sinergismo con altri agenti

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differenzianti, quali l’idrossiurea e la 5-azacitidina. Questi agenti si sono dimostrati

tossici alle concentrazioni terapeutiche, ma il loro uso sinergico con emina potrebbe

abbassare molto le concentrazioni richieste per ottenere l’effetto differenziante e

diminuirne così l’effetto tossico. L’emina è già stata somministrata a pazienti affetti da

porfiria dimostrando una buona tolleranza (47). L’unica preoccupazione per

l’introduzione dell’emina nella terapia della -talassemia è data dal fatto che i pazienti

affetti da questa patologia subiscono già numerose complicazioni causate del

sovraccarico di ferro derivante dalle continue trasfusioni e la somministrazione di un

derivato ferrico non migliorerebbe di certo questo aspetto (47).

Tra i composti indagati come possibili agenti differenzianti, alcuni hanno prodotto

risultati di notevole interesse: ad esempio molecole in grado di controllare il ciclo

cellulare, fattori di crescita ematopoietici, molecole leganti il DNA ed i butirrati.

Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che anche l’eritropoietina (EPO) è dotata di

attività eritro-differenziante. La percentuale di HbF prodotta in cellule trattate con EPO

dipende dalla durata del trattamento e dalla concentrazione utilizzata. E’ stato

dimostrato che l’esposizione continua ad alti livelli di eritropoietina causa nelle cellule

un aumento dell’emoglobina totale, ma non un aumento dell’HbF. Dal momento che

durante lo sviluppo fetale i livelli di EPO non sono bassi così come nei pazienti

talassemici, nei quali l’espressione di HbF è più alta rispetto agli individui sani, sembra

che non vi sia una relazione tra alte concentrazioni di eritropoietina ed elevata sintesi di

emoglobina fetale in vivo, ma piuttosto che sia l’alternanza di alti e bassi livelli di EPO

a stimolare il differenziamento eritroide (48).

Tra gli composti studiati come potenziali agenti differenzianti ci sono anche molecole

che legano il DNA, i cosiddetti (DNA-binding drugs) che interagiscono con il solco

minore del DNA con selettività di sequenza. Questo legame perturba la struttura del

DNA e può inibire l’interazione tra fattori di trascrizione e promotore. Questo gruppo di

composti si può dividere in due sottogruppi principali, uno formato da quei composti

che hanno maggior affinità per le sequenze ricche in G+C, l’altro dai composti che

presentano maggior affinità per le sequenze ricche in A+T. Al primo gruppo fanno parte

ad esempio la cromomicina (49), la tallimustina (50), il cisplatino ( 51) e composti da

questi derivati, mentre al secondo gruppo appartengono la distamicina (50) ed i suoi

analoghi. Esperimenti condotti su cellule K562 e su colture di precursori eritroidi trattati

con questi farmaci hanno dimostrato un’induzione del differenziamento verso la linea

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eritroide ma anche uno spiccato effetto antiproliferativo. Inoltre, si è avuto un aumento

della percentuale di emoglobina fetale rispetto all’emoglobina totale.

A questo gruppo di molecole appartiene la mitramicina, la sua attività differenziante è

stata valutata anche su colture cellulari di precursori eritroidi isolati dal sangue di

pazienti -talassemici, nei quali è stato dimostrato che incrementa la produzione di HbF,

anche utilizzando concentrazioni non tossiche per le cellule (52).

Anche l’angelicina, un composto di origine vegetale che appartiene alla categoria di

composti leganti il DNA, ha dimostrato buona attività eritro-differenziante (53).

Altri composti indagati come potenziali induttori del differenziamento eritroide sono i

butirrati. Il trattamento di eritroblasti isolati da pazienti -talassemici, ha dimostrato un

incremento dell’espressione di -globine variabile dal 15 al 50%. Esperimenti di

footprinting in vivo hanno dimostrato che tale aumento sembra essere associato ad una

alterazione nel legame di fattori trascrizionali a livello del promotore del gene per le -

globine (54).

Tra i derivati dell’acido butirrico sono stati ottenuti buoni risultati in seguito all’impiego

terapeutico del sodiofenilacetato (NaPA) e del precursore sodiofenilbutirrato (NaPB).

La loro somministrazione ha portato ad un incremento dell’espressione dell’mRNA per

le -globine due o tre volte superiore nei pazienti che sono stati sottoposti a questa

terapia (54). I butirrati rappresenterebbero una buona promessa terapeutica per un

possibile trattamento famacologico della -talassemia; purtroppo una limitazione al loro

impiego è causata dalla loro rapida eliminazione dal torrente circolatorio. Gli effetti di

molecole come NaPA e NaPB sulla proliferazione eritroide sono paragonabili a quelli

osservati in seguito al trattamento con molecole agenti sul ciclo cellulare, come la 5-

azacitidina, la Vinblastina e la Citarabina (55).

Tra le molecole potenziali induttori del differenziamento eritroide lascia buone speranze

la Rapamicina, ed è stata oggetto di studio di questa tesi.

6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di

molecole da impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti.

6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di

composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti.

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30

Le colture cellulari adatte a saggiare l’efficacia di possibili agenti terapeutici in grado di

modulare l’espressione dei geni globinici embrio-fetali comprendono sia linee cellulari

umane di origine tumorale di tipo eritro-leucemico, sia colture di precursori eritroidi,

dove le cellule possono essere ottenute dal sangue sia di donatori sani, che di pazienti

affetti da sindrome talassemica.

Le linee cellulari umane erythroid-like, come K562, HEL e UT-7, derivano da cellule

provenienti da pazienti affetti da diverse forme di leucemia mieloide. Queste cellule

sono state adattate a crescere in coltura e in alcuni casi stabilizzate.

Le cellule K562 sono state isolate da un paziente affetto da leucemia mieloide cronica

in crisi blastica terminale, in coltura crescono come cellule in sospensione, singole e

indifferenziate, ed hanno l’importante caratteristica di esprimere emoglobina a livelli

molto bassi nella condizione standard di coltura (56). Il terreno di coltura usato per

questa linea cellulare è costituito da RPMI 1640 addizionato con penicillina e

streptomicina e 10% di siero fetale bovino (FBS). La coltura viene condotta in presenza

di CO2 al 5% a 37°C in atmosfera umidificata all’80%. Queste cellule rispondono al

trattamento con composti induttori del differenziamento eritroide aumentando in pochi

giorni l’espressione dei geni endogeni per globine embrio-fetali. Così la linea cellulare

K562 può essere stimolata da agenti come l’emina, la 5-azacitidina, l’HU, i butirrati.

L’attività eritro-differenziante, indotta sulla linea cellulare K562 viene valutata al

quinto, sesto e settimo giorno di trattamento utilizzando il saggio della benzidina

attivata con H2O2 che colora di un blu intenso le cellule indotte, ovvero le cellule

contenenti il gruppo prostetico eme. Numerosi studi hanno confermato la capacità

dell’ara-C di indurre il differenziamento eritroide in questa linea cellulare, per questo

motivo tale composto è usato come controllo positivo in questo tipo di saggi (21).

Queste linee cellulari costituiscono sistemi sperimentali estremamente utili, grazie alla

loro origine leucemica umana e al fatto di essere state ben caratterizzate; inoltre, poiché

si tratta di cellule tumorali, sono facilmente coltivabili in vitro, in quanto in continua

proliferazione, rappresentando anche un sistema anche economicamente poco

dispendioso. Vi è però una limitazione al loro utilizzo: sono usate soprattutto nei saggi

preliminari e nello screening iniziale, quando deve essere analizzata la potenziale

attività eritro-differenziante di un numero elevato di molecole, ma, esse non

riproducono tutti gli aspetti dell’eritropoiesi: infatti, a) le cellule K562 sono insensibili

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all’eritropoietina; b) non producono Hb adulta; c) la loro stimolazione incrementa la

produzione di emoglobine sintetizzate già a livelli basali quando non ancora stimolate,

quindi la riattivazione genica non avviene a partire da uno stato completamente inattivo.

Infine, molecole induttori del differenziamento eritroide in queste linee cellulari non

sono state capaci di riprodurre l’effetto qualora somministrate in colture di cellule

staminali umane. Le colture di precursori eritroidi rappresentano, pertanto, un modello

cellulare più fisiologico e più attendibile, anche se molto più costose ed utilizzate in

saggi esclusivi e mirati all’analisi dell’attività di composti elettivi (57).

6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di donatori normali.

Le colture di precursori eritroidi possono essere effettuate utilizzando sia terreni

semi-solidi, nei quali le cellule formano cloni, sia terreni liquidi, dove crescono come

cellule singole o clusters in sospensione. In entrambi i tipi di terreni l’EPO è essenziale

per il differenziamento cellulare.

Nel primo tipo di coltura le cellule emopoietiche possono derivare dal midollo osseo,

dal sangue periferico o da altre fonti, come ad esempio il fegato fetale, il cordone

ombelicale, o dalla milza adulta e vengono coltivate in terreni semi-solidi contenenti

metil-cellulosa o plasma coagulato. Ogni colonia rappresenta un clone derivante da

un’unica cellula progenitore committed. Le colonie iniziano a comparire dopo tre o

quattro giorni di coltura sino a raggiungere le loro dimensioni finali iniziando a produrre

emoglobina dopo una o due settimane. I vari tipi di progenitori possono essere distinti

sulla base delle dimensioni e del grado di produzione di Hb raggiunto ad un determinato

tempo: ad esempio, i cloni CFU-E (erythroid colony forming units) raggiungono i valori

massimi di questi parametri dopo una settimana di coltura; mentre la BFU-E (erythroid

burst forming units) compaiono dopo due settimane. Le colonie eritroidi possono essere

distinte dalle altre colonie (mieloidi) per la caratteristica colorazione rossa o per la

reazione con reagenti specifici per l’individuazione del gruppo eme, come la benzidina

attivata con acqua ossigenata. Contando giornalmente i differenti tipi cellulari delle

colonie si può avere una stima quantitativa della frequenza di differenziazione dei

diversi progenitori nei tessuti ematopoietici. L’analisi delle colture può essere eseguita

sull’intera popolazione cellulare, raccogliendo la coltura mediante il lavaggio della

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metil-cellulosa, oppure prelevando una singola colonia con un tubo capillare. Il fatto

che in questo tipo di coltura le cellule siano immobilizzate in un terreno semi-solido

comporta notevoli svantaggi. Primo, le cellule prodotte per colonia e le cellule totali

nella coltura sono poche (meno di 105/ml) rendendo difficile la caratterizzazione

biochimica, molecolare e biologica dello sviluppo cellulare. Secondo, anche l’addizione

nel mezzo di coltura dei potenziali agenti differenzianti da testare presenta delle

difficoltà. Infine, è stato osservato che la produzione di HbF in colonie sviluppate in

terreni semi-solidi è molto più alta di quella prodotta in vivo dagli stessi donatori dai

quali sono state ottenute le cellule.

Per ovviare a questi ostacoli è stata messo a punto anche un tipo di coltura cosiddetta in

fase liquida (58, 59). La coltura di precursori eritroidi in terreni liquidi si svolge in due

fasi ed è riportata in Fig.10: una prima fase EPO-indipendente, in cui le cellule del

sangue periferico sono messe in coltura con una combinazione di altri fattori di crescita,

dove le cellule staminali pluripotenti BFU-E proliferano e differenziano in progenitori

CFU-E; nella seconda fase, al terreno viene addizionata EPO, le cellule continuano a

proliferare e a maturare in normoblasti ortocromatici e reticolociti. Nella fase EPO-

indipendente le cellule mononucleate da sangue periferico vengono isolate mediante

una centrifugazione in gradiente di densità con Ficoll-Hypaque, o Lympholyte-H, e

messe in coltura in terreno addizionato con citochine umane ricombinanti, fattori

stimolanti colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF), interleuchina-6 (IL-6) e stem

cell factor (SCF). Queste citochine possono essere rimpiazzate dall’utilizzo di terreno

condizionato, ottenuto da colture di linee cellulari derivate da carcinoma umano della

vescica, come la linea cellulare 5637. Questo terreno condizionato contiene una varietà

di fattori di crescita, ma non l’EPO. I linfociti possono essere rimossi dalla coltura,

separandoli con l'impiego di biglie magnetiche associate ad anticorpi specifici, oppure

addizionando ciclosporina A. Dopo una settimana di incubazione le cellule necessitano

di EPO per continuare il processo di differenziamento e proliferazione. Nella prima fase

le colture contengono cellule in adesione (soprattutto macrofagi) e cellule in

sospensione (soprattutto linfociti). Queste ultime vengono prelevate, lavate e rimesse in

coltura con nuovo medium addizionato di EPO. All’inizio di questa seconda fase i

linfociti continuano ad essere la popolazione cellulare più abbondante nella coltura. In

assenza di citochine, necessarie per la loro proliferazione le cellule non-eritroidi

arrestano il loro sviluppo. I progenitori eritroidi iniziano a proliferare e differenziare

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intorno al quarto-quinto giorno della fase EPO dipendente in precursori eritroidi,

proeritroblasti, che possono essere eventualmente isolati con gradiente di Percoll e

rimessi nello stesso terreno. I proeritroblasti continuano a moltiplicare formando

clusters e poi larghi aggregati, che possono raggiungere le centinaia di cellule. Nella

tarda fase II (dall’undicesimo al quindicesimo giorno) queste cellule accumulano Hb e

differenziano in policromatici normoblasti. La coltura può essere protratta in queste

condizioni per circa due settimane.

I precursori eritroidi coltivati nelle condizioni sopra riportate derivano da sangue

periferico, che può essere facilmente disponibile e prelevabile da donatori sani e

consenzienti; esso rappresenta una sorgente di progenitori eritroidi omogenea, mentre

quelli presenti nel midollo osseo si trovano a vari livelli di sviluppo.

Questo sistema di coltura liquida in due fasi riproduce molti aspetti dell’eritropoiesi

come l'espressione degli mRNA globinici, gli antigeni cellulari di superficie, la cinetica

del ciclo cellulare, il metabolismo del ferro e della ferritina.

In questo modello è stata studiata l’espressione anche di fattori trascrizionali e proteine

specifiche, ad esempio è stato dimostrato che SP1, la -globina ed il fattore GATA-2

sono espressi ad altissimi livelli nei primi giorni della fase II. Nel periodo intermedio di

questa fase, mentre le cellule continuano a maturare, l’espressione di GATA-2 continua

sino a raggiungere i massimi livelli prima del declino, mentre la proteina EpoR

(recettore per l’eritropoietina) e i fattori di trascrizione GATA-1, EKLF (Erythroid

Kruppel-Like Factor) e NF-E2 (Nuclear Factor erythroid 2) raggiungono i loro massimi

livelli. Nella tarda fase II i geni globinici e aumentano e raggiungono i loro massimi

livelli di espressione. Nella fase EPO dipendente non è stata trovata invece espressione

di GM-CSF-R (recettore per i fattori GM e CSF). Per quanto riguarda l’espressione del

gene -globinico è massima all’inizio della fase II e decresce nel periodo intermedio

quando quella del gene -globinico inizia ad aumentare. L’incremento -globinico è

preceduto da un picco dell’espressione di GATA-2, GATA-1, EKLF e EpoR (60).

La coltura di precursori eritroidi può essere utilizzata per testare l'attività eritro-

differenziante di molecole potenziali induttori di emoglobine embrio-fetali; in tal caso i

composti sono generalmente aggiunti alla coltura durante la seconda fase, tra il quarto e

l’ottavo giorno. Poiché le cellule crescono in sospensione possono essere prelevati a

diversi intervalli di tempo campioni cellulari, per valutarne le caratteristiche. Ad

esempio, il contenuto di emoglobina può essere analizzato con diverse metodologie,

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come la denaturazione alcalina, la colorazione con benzidina attivata con acqua

ossigenata, la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) o l’analisi mediante

FACS, che prevede l'utilizzo di anticorpi fluorescenti e diretti contro i differenti tipi di

globine in modo specifico (57).

Invece, la quantificazione di mRNA può essere valutata utilizzando metodologie

classiche come il Northern blotting, ma anche l’RT-PCR quantitativa, usufruendo di

sofisticati Thermal Cyclers gestiti da particolari software. Utilizzando la tecnica

dell’RT-PCR è possibile studiare con accuratezza e precisione l’espressione genica nei

precursori eritroidi ottenuti con la coltura liquida in due fasi, anche nei casi in cui la

quantità di materiale a disposizione è molto scarsa.

6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da -

talassemia.

Nelle colture di precursori eritroidi isolati da sangue ottenuto da soggetti normali, cioè

proveniente dalla banca del sangue, generalmente vengono utilizzati volumi di sangue

tali da poter preparare 100 ml di coltura in fase liquida. In questo modo dopo dodici

giorni di coltura è possibile ottenere un totale di circa 3x108 cellule. Quando lo stesso

tipo di coltura deve essere eseguito isolando cellule staminali dal sangue di pazienti

talassemici, bisogna tenere conto del fatto che da questi soggetti vista la loro condizione

clinica non possono essere prelevati grandi quantitativi di sangue. Così, in genere, viene

utilizzato il volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale

quantità può essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono

comunque contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di

emoglobina. Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule; la

procedura per la preparazione del terremo per la coltura cellulare è comunque analoga a

quella descritta per i donatori normali e riportata in Fig.10. I tempi di coltura possono

però variare; infatti, colture di progenitori eritroidi isolati da pazienti affetti da

emoglobinopatie in un mezzo semisolido contenente metil-cellulosa sono state

confrontate con quelle ottenute da donatori sani. E’ stato dimostrato che la massima

formazione di colonie si ha in tempi leggermente più lunghi per le colture derivanti da

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donatori malati rispetto a quelle isolate da donatori normali. Tuttavia il numero di

cellule finale è molto simile in entrambi i casi (61).

Fig. 10. Rappresentazione schematica di un sistema di coltura liquida in due fasi. Le cellule rimangono in coltura per 14 giorni, in cui proliferano e differenziano in normoblasti ortocromatici che producono emoglobina (figura tratta da: Pope SH et al. Two-phase liquid culture system models normal human adult erythropoiesis at the molecular level. The European Journal of Haematology, 64, 292-303, 2000).

Le colture di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia sono molto

importanti per lo studio di composti destinati alla cura di questa patologia. Infatti,

rendono possibile la verifica dell’effetto di questi possibili agenti terapeutici, poichè

presentano caratteristiche diverse rispetto a quelle normali e potrebbero quindi avere

anche una diversa risposta alla molecola di cui si intende testare l’effetto. Per questi

motivi esse rappresentano il modello di coltura in vitro per elezione.

sistema di coltura liquida

Fase I-EPO

Fase II+EPO giorni 7

giorni 0-5 giorni 6-10 giorni 11-15

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7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita

cellulare e modulare l’espressione genica.

7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina.

La Rapamicina, chiamata anche Sirolimo, è un macrolide isolato nel 1975 da un ceppo

di funghi (Streptomyces igroscopicus) trovati in un campione di terreno proveniente

dall’Isola di Pasqua nel sud del Pacifico (62). Il nome attribuitogli deriva proprio

dall’isola in cui fu stata scoperta detta anche Rapa Nui.

In origine questa molecola fu studiata per le sue proprietà antimicotiche (63),

successivamente fu analizzata l’analogia strutturale con il farmaco immunosopressore

FK506 (tacrolimus, Prograf), tanto che vennero verificate con successo le proprietà

immunosoppressive della Rapamicina (64). Quest’ultima scoperta aprì molte speranze

per il potenziale uso nel prevenire il rigetto nei trapianti d’organo e nel 1999 fu

approvata come immunosopressore dalla Food and Drug Administration (FDA). I

farmaci già impiegati per questo utilizzo, come la ciclosporina e l’FK506 erano efficaci

solo a breve termine, ma col passare del tempo potevano insorgere problemi di rigetto

(65). La nuova molecola agisce invece con un meccanismo d’azione diverso ed è per

questo che potrebbe aprire nuove interessanti sviluppi in questo campo.

La Rapamicina ha dimostrato possedere anche buone proprietà citotossiche, che

possono essere sfruttate nella terapia di patologie neoplastiche come potenziale agente

anticancro (66).

La molecola è formata da un anello a 31 atomi comprendente un anello piranoso, un

gruppo pipecolinico, un triene coniugato e una regione tricarbonilica. Sono presenti 15

centri chinali perciò il numero dei possibili stereoisomeri è enorme. La struttura chimica

è riportata in Fig.11.

La molecola ha un peso molecolare di 914,18 ed assorbe alla lunghezza d’onda di 589

nm (67).

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Fig. 11. Struttura chimica della Rapamicina. La molecola è formata da un anello a 31 atomi, un gruppo pipecolinico, un gruppo piranoso, un triene coniugato ed una regione tricarbonilica. Nella struttura sono presenti anche 15 centri chirali.

7.b. Sintesi della Rapamicina.

Questo composto naturale può anche essere sintetizzato chimicamente: la sintesi è

suddivisa in numerosi steps, nei quali vengono sintetizzate separatamente ed unite le

quattro subunità della molecola, che una volta assemblate daranno origine alla

Rapamicina (68, 69, 70, 71). Riporto di seguito lo schema generale della sintesi delle

diverse porzioni della molecola e riassunte in Fig.12.

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Fig. 12. Schema generale della sintesi della Rapamicina. La sintesi completa della molecola è data dall’assemblaggio di cinque subunità distinte (A, B, C, D, E) sintetizzate separatamente.

Sintesi della subunità A:

Rapamicina

A

B

D

C

E

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Sintesi della subunità B:

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Sintesi della subunità D:

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Unione delle subunità A+B+E:

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Introduzione della subunità D:

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Formazione del tricarbonile:

Introduzione della subunità C mediante la Reazione di still:

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7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina.

Rapamicina

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L’azione immunosopressiva, dovuta al blocco della crescita e della proliferazione delle

cellule T (72, 73) e quella antitumorale della Rapamicina (74, 75, 76) dipendono

sostanzialmente dal legame ad alta affinità con la proteina FKBP12. Il meccanismo

d’azione è conservato dai lieviti, Saccaromyces Cerevisiae dal quale la molecola è stata

isolata, fino all’uomo. Così, molte informazioni derivano da studi effettuati proprio sui

lieviti. FKBP12, un polipeptide di 12 kDa era precedentemente conosciuto per la sua

capacità di legare il farmaco ad azione immunosopressiva FK506 ed è stato dimostrato

essere una peptidilprolil rotamasi citoplasmatica (77, 78). Questa proteina non è tuttavia

il bersaglio attraverso il quale la Rapamicina blocca la crescita cellulare: è stato

osservato che in lieviti mutanti e mancanti della proteina FKBP12 la Rapamicina non

presentava effetti tossici, mentre altri suoi analoghi strutturali manifestavano attività

immunosopressiva. Pertanto FKBP12 e la Rapamicina agiscono legando un ulteriore

bersaglio.

Infatti, lieviti mutanti per la proteina TOR erano completamente resistenti all’inibizione

della crescita cellulare. TOR è codificata in Saccaromyces Cerevisiae da due geni

omologhi TOR1 e TOR2, le rispettive proteine TOR1 e TOR2 sono molto grandi, 280

KDa circa, ed hanno elevata analogia, essendo tra loro uguali per il 67%. E’ stato

osservato che le mutazioni di TOR1 (TOR1-1, Ser1972Arg) o di TOR2 (TOR2-1,

Ser1975Ile) impediscono il legame FKBP12-rapamicina a TOR e ciò dimostra che

questa proteina è il target vero e proprio della Rapamicina attraverso il quale viene

inibita la crescita cellulare (79, 80, 81, 82, 83).

TOR è stata ampiamente studiata ed è stato verificato il suo importante ruolo nel

controllo della crescita cellulare anche negli eucarioti. La maggior parte degli eucarioti

sembrano possedere un unico gene codificante per la proteina TOR, scoperto per la

prima volta nei mammiferi, per questo chiamato mTOR e identificato grazie alla sua

capacità di legare in vitro il complesso FKBP12-Rapamicina (84, 85, 86). La successiva

dimostrazione che una variante del costrutto mTOR, contenente una mutazione

(Ser2035Ile) analoga a quella precedentemente studiata nei funghi, conferiva resistenza

alla Rapamicina nelle cellule di mammifero, ha confermato che mTOR è il bersaglio in

vivo del complesso rapamicina-FKBP12 e che il meccanismo d’azione della

Rapamicina è conservato dai funghi ai mammiferi (79). In Fig.13 sono evidenziate le

parti della molecola di Rapamicina coinvolte nelle interazioni con queste proteine.

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Fig. 13. Rappresentazione delle parti della struttura della Rapamicina che interagisono con i suoi bersagli. La linea tratteggiata blu indica la parte di molecola che interagisce con la proteina TOR, mentre quella rossa indica la porzione che interagisce con la proteina FKBP12.

Le proteine TOR, sia di mammifero che di Saccaromyces Cerevisiae, hanno attività

serin-treonin-chinasica. Studi genetici sui funghi hanno dimostrato che l’integrità del

dominio chinasico è essenziale per la funzione di TOR, la cui struttura è riportata in

Fig.14 (87, 88, 89, 83). All’estremità N-terminale del dominio chinasico TOR contiene

una regione di 100 amminoacidi chiamata FRB (FKBP-Rapamycin Binding) e legante il

complesso FKBP12-Rapamicina. La successione delle interazioni tra queste proteine e

la Rapamicina è rappresentata nella Fig.15.

FKBP TOR

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Fig. 14. Struttura della proteina mTOR. Sono rappresentati i diversi domini strutturali che compongono la molecola: a partire dall’estremità ammino-terminale troviamo le sequenze ripetute in tandem HEAT, la sequenza FAT, il dominio FRB (importante per il legame con le Rapamicina), il dominio chinasico ed, infine, all’estremità carbossi-terminale le sequenza regolatoria NRD e la sequenza FACT.

Fig. 15. Rappresentazione sequenziale delle interazioni tra la Rapamicina e le proteine FKBP12 e mTOR. Nel primo step la Rapamicina si lega alla proteina FKBP12 e nel secondo step il complesso Rapamicina/FKBP12 si lega alla proteina mTOR.

proteina mTOR

Rapamicina

HEAT repeats FAT FRB

Dominio chinasico

NRD

FATC

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Quest’ultima si lega a regioni idrofobiche di FKBP12 e a regioni idrofobiche del

dominio FRB nel sito catalitico, facendo da collante tra mTOR e FKBP12 (90). Oltre al

dominio chinasico e al dominio FRB, la proteina TOR contiene all’estremità N-

terminale 20 sequenze (HEAT repeats) ripetute in tandem (91). Il termine HEAT deriva

dalle iniziali delle quattro proteine in cui fu identificato per la prima volta questo

dominio: huntingtin, elongation factor 3, la subunità A della protein-fosfatasi di tipo 2A

(PP2A) ed, infine, nella proteina TOR. Ogni sequenza HEAT ripetuta consiste in una

struttura formata da due -eliche antiparallele di circa 40 amminoacidi (92, 93). È stato

ipotizzato che le sequenze ripetute HEAT nel lievito ancorino TOR alla membrana

plasmatica, probabilmente interagendo con una proteina transmembrana (94). Nei

mammiferi, più precisamente nei neuroni del cordone spinale mTOR sembra interagire

con una proteina appartenente al cluster dei recettori post-sinaptici della glicina (95).

Altri domini che caratterizzano la proteina TOR sono FAT e FATC. Il dominio FAT

dista circa 500 amminoacidi dal dominio FRB e sembra avere funzione di aggancio

nelle interazioni proteina-proteina, in modo simile agli HEAT repeats (96, 97). Il

dominio FATC è invece una sequenza di circa 35 amminoacidi all’estremità C-

terminale della proteina, che è indispensabile insieme a FAT per l’attività chinasica,

consentendo una corretta esposizione del sito catalitico al bersaglio (98, 99). Il dominio

NRD, posizionato vicino a FATC, è invece un elemento di regolazione negativa,

imponendo una variazione configurazionale che impedirebbe l’esposizione del sito di

catalisi (100).

Questi domini strutturali sono tipici e riscontrati nei membri appartenenti alla famiglia

delle fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PIK) (97, 101). Molti membri di questa super-

famiglia sono implicati nel controllo del ciclo cellulare, della traduzione delle proteine e

della riparazione dei danni al DNA (102, 103). La proteina TOR rappresenta un sensore

che integra segnali extracellulari ed intracellulari, coordinando la crescita e la

proliferazione cellulari, i cui steps fondamentali sono riassunti in Fig.16. Su TOR

agiscono proteine come PI3K e PKB/AKT, mentre TOR agisce su p70S6K e 4E-BP1

(chiamato anche PHAS-I). Nella Fig.17 sono riportate in dettaglio le proteine ed i fattori

coinvolti.

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Fig. 16. Schematizzazione dei principali effetti della Rapamicina. L’inibizione dell’attività chinasica di mTOR porta alla defosforilazione delle proteine PHAS-1 (4E-BP1) e p70S6K ed al conseguente blocco della traduzione, mentre l’up-regolazione dell’inibitore delle cicline p27 provoca l’arresto del ciclo cellulare in G1 e il conseguente blocco della sintesi del DNA, che avviene nella fase successiva S.

mTOR è una chinasi critica nella progressione del ciclo cellulare

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Fig. 17. Rappresentazione generale del meccanismo d’azione della Rapamicina. Il complesso FKBP12-Rapamicina inibisce l’attività chianasica di TOR direttamente

(104, 105, 106), oppure bloccandone l’accesso ai substrati o l’interazione con altre

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proteine. Tale inibizione impedisce la fosforilazione delle proteine p70S6K e 4E-BP1.

La p70S6K è una chinasi che è attiva nella sua forma fosforilata, e che fosforila la

subunità S6 della subunità 40S dei ribosomi consentendo l’attacco dell’mRNA ed

incrementando la traduzione (107); mentre 4E-BP1 è un inibitore della traduzione

quando defosforilato, che se fosforilato si dissocia dal fattore eIF-4E, che a sua volta

risulta libero di associarsi a eIF-4G, eIF-4A e eIF-4B dando inizio alla formazione del

complesso con il Cap 5’ di un mRNA per la traduzione proteica (108). Il fattore 4E-BP1

presenta 7 siti di fosforilazione, solo 4 di questi sono però importanti per il rilascio di

eIF-4E, che è inoltre dipendente dalla loro fosforilazione sequenziale (Fig.18).

Fig. 18. Schema della fosforilazione sequenziale di 4E-BP1. La proteina presenta 7 siti di fosforilazione, ma solo quattro di questi sono importanti per l’attività della proteina. I primi due siti ad essere fosforilati da mTOR sono Thr37 e Thr46; successivamente vengono fosforilati i siti Ser65 e Thr70 causando il rilascio di eIF4E da parte di 4E-BP1 ed il conseguente inizio della traduzione.

Altre ipotesi vedono coinvolte in questo meccanismo ulteriori fattori proteici: una

proteina chiamata Raptor (regulatory associated protein of mTOR) e la proteina Tap42

(109, 98). Raptor è un polipeptide di 150 kDa che funziona da aggancio favorendo il

legame di mTOR ai suoi substrati 4E-BP1 e p70S6K; Raptor non modifica l’attività

catalitica di mTOR, ma si lega a p70S6K e a 4E-BP1 incrementando di quattro-cinque

volte la fosforilazione in vitro di entrambi operata da mTOR (110, 111). Il legame di

Raptor ai substrati e a mTOR è indispensabile per la fosforilazione catalizzata in vitro di

4E-BP1 (112, 111). Il legame di Raptor a p70S6K e a 4E-BP1 è mediato da una corta

sequenza conservata nei due polipeptidi, detta TOS (TOR signalling motif) (113);

mentre l’interazione di mTOR con Raptor è mediata dalle sequenze HEAT repeats

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(110). Questa associazione è stabilizzata dalla proteina mLST8, un polipeptide simile

alla subunità delle proteine G, e dipende anche dalla quantità di nutrienti disponibili

per la cellula. In assenza di aminoacidi Raptor si associa a mLST8 impedendo

l’interazione di mTOR coi suoi substrati (4E-BP1 e p70S6K); invece, la presenza di

nutrienti induce una modificazione conformazionale che rompe il complesso Raptor-

mLST8, e rende mTOR capace di fosforilare i substrati (Fig.19) (114, 115).

Fig. 19. Modello dell’interazione tra le proteine Raptor e mTOR. In assenza di nutrienti l’associazione tra Raptor ed mTOR è stabilizzata dalla proteina mLST8 ed impedisce l’interazione tra mTOR ed i suoi substrati e la loro fosforilazione. In presenza di nutrienti una modifica conformazionale distrugge l’interazione tra Raptor e mLST8 rendendo possibile la fosforilazione da parte di mTOR delle proteine p70S6K e 4E-BP1, che si legano a Raptor.

E’ stato osservato che la Rapamicina impedisce l’interazione tra Raptor e mTOR nelle

cellule trattate: questo sembra essere un possibile meccanismo mediante il quale la

Rapamicina inibisce l’attività chinasica di mTOR (110, 112).

Anche la proteina di lievito Tap42, omologa a quella di mammifero 4, sembra essere

un bersaglio di TOR ed essere implicata nella cascata di trasmissione del segnale.

Tap42 lega la subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con

Rapamicina o la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle

subunità della PP2A (Sit4; Pph21; Pph22) (116). E’ stato dimostrato che mutazioni di

In assenza di nutrienti In presenza di nutrienti

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Tap42 conferiscono parziale resistenza alla Rapamicina confermando l’ipotesi che

l’attività chinasica di TOR è mediata da Tap42. Anche in nei mammiferi l’associazione

di 4 e PP2A è stata inibita dal trattamento con Rapamicina (117, 118, 119, 120).

L’associazione di Tap42 a PP2A è dipendente dalla fosforilazione operata da TOR

(121). Pertanto, l’interazione della Rapamicina con TOR inibisce la fosforilazione di

Tap42, liberando PP2A ed attivando Sit4 che potrà agire defosforilando i suoi substrati,

ovvero le proteine NPR1 e GLN3 (116). Quando NPR1 è defosforilata, viene attivata e

fosforila GAP1 e TAT2: GAP1 (una permeasi) quando fosforilata viene protetta dalla

degradazione consentendo agli aminoacidi di fuoriuscire dalla cellula, mentre la

fosforilazione di TAT2 favorisce la sua degradazione impedendo l’entrata di azoto nella

cellula (Fig.20). Per quanto riguarda GLN3, questo è un fattore trascrizionale regolante

l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal

repressore URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni

codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto (Fig.20).

L’inattivazione di TOR da parte della rapamicina può anche attivare i fattori di

trascrizione Mns2 e Mns4 coinvolti in situazioni di stress ossidativi, compresa la

carenza di carbonio per la cellula, che possono così dissciarsi da BMH2 e attivare

l’espressione di specifici geni bersaglio (122) (Fig.20).

La funzione di TOR oltre che dall’interazione con la Rapamicina, e dalla

concentrazione di nutrienti esterna alla cellula, può essere regolata in modo sia diretto,

che indiretto. Indirettamente, la fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PI3K), attivata da fattori

di crescita esterni alla cellula (come l’insulina), produce PIP3 (fosfatidil-inositolo-3-

fosfato), che attiva PDK-1 e l’Akt-pathway (Fig.21), dove TOR potrebbe essere un

substrato diretto di PKB (123, 124, 125). Questo meccanismo può coinvolgere anche un

complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle proteine

TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, che stimola l’idrolisi di GTP

operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras (126) e simile a

Rho. La Rapamicina blocca l’effetto stimolatorio di Rheb su TOR (Fig.21).

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Fig. 20. Rappresentazione del possibile ruolo della proteina Tap42 nella trasmissione del segnale mediato da TOR. Tap42 lega la subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con Rapamicina o la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle subunità della PP2A attivandola. Sit4 agisce defosforilando i suoi substrati, ovvero le proteine NPR1 e GLN3. Quando NPR1 è defosforilata, vengono attivate e fosforilate GAP1 e TAT2, proteine coinvolte nella permeabilità della membrana. GLN3 è un fattore trascrizionale regolante l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal repressore URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto.

GAP1

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Fig. 21. Regolazione dell’attività di mTOR mediante fattori di crescita. La trasmissione del segnale avviene attraverso la via PI3K/Akt che può coinvolgere anche un complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle proteine TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, stimolante l’idrolisi di GTP operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras. Nel lievito, che presenta due tipi di proteine TOR, TOR2 può funzionare come la

fosfatidil-inositolo-4 chinasi (PI-4K), che non è sensibile alla Rapamicina, ed è

coinvolta nel mantenimento della normale struttura del citoscheletro di actina attraverso

il pathway di integrine cellulari, rispondendo a stimoli di fattori di crescita (come

l’insulina) che agiscono a livello della parete cellulare. Questi sono sotto controllo di

Rho1, una GTPasi, che agisce sulla protein-chinasi 1 (PKC1), attivando la cascata delle

MAP-chinasi (127), attivando la trascrizione di geni coinvolti nella sintesi di proteine

strutturali di membrana (128, 129). Tuttavia, non è mai stata identificata una funzione

simile nelle cellule di mammifero.

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7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina.

La Rapamicina è usata come immunosopressore ed antitumorale proprio per la sua

capacità di arrestare il ciclo cellulare nella fase G1. Le diverse fasi del ciclo cellulare

sono riportate in Fig.22.

Fig. 22. Rappresentazione schematica delle diverse fasi del ciclo cellulare. La divisione cellulare costituita da mitosi e citodieresi, ha luogo dopo il completamento delle tre fasi preparatorie che formano l’interfase ( G1, S e G2). Durante la fase S (sintesi) si duplica il materiale cromosomico. Due fasi G separano la divisione cellulare dalla fase S. La prima fase G1 è un periodo di accrescimento generale e di replicazione degli organuli citoplasmatici. Durante la fase G2 si assemblano le strutture direttamente associate ai mitocondri e alla citodieresi. Dopo la fase G2 vi è la mitosi (la divisione del nucleo) che è generalmente seguita dalla citodieresi (la divisione del citoplasma). La Rapamicina agisce bloccando le cellule nella fase G1 del ciclo cellulare.

I linfociti T prima di entrare nella fase G1 devono essere stimolati dalla presenza di

antigeni che si associano alle cellule presentanti l’antigene (APC) e questo complesso

interagisce col recettore situato sulle cellule T (TCR) attivandole. Quest’interazione

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produce una serie di reazioni di fosforilazione a cascata, attivando l’espressione genica

nei linfociti T. Tra i geni che vengono attivati ricordo l’interleuchina-2 (IL-2), che

secreta dalle cellule stimola la divisione cellulare seguendo la progressione verso la fase

G1 del ciclo. Nella fase S successiva dovrebbe venire duplicato il DNA ed essere

sintetizzate le proteine, prima che inizi la fase di mitosi (fase M). La progressione del

ciclo cellulare è regolata da numerosi geni comprendenti oncogeni, fattori di

trascrizione e geni relati al ciclo cellulare. E’ stato ampliamente dimostrato che il

controllo del ciclo cellulare dipende dall’assemblaggio, attivazione e rottura di

complessi proteici contenenti cicline e chinasi ciclina-dipendenti. Le cicline di tipo D e

le loro subunità catalitiche (Cdk4 e Cdk6) giocano un ruolo importante e questi

complessi proteici sono regolati da una serie di piccole proteine aventi funzione

inibitoria. Nei mammiferi sono presenti due famiglie di inibitori, che agiscono secondo

meccanismi e bersagli specifici, una delle quali comprende p21, p27KIP1, p57KIP2, che

inibiscono complessi proteici contenenti Cdk2, Cdk3, Cdk4 e Cdk6. Una varietà di

segnali esterni alla cellula possono regolare l’attività di questi inibitori, che

impediscono la sintesi di DNA e la progressione del ciclo cellulare, portando le cellule

al differenziamento terminale (130). Gli inibitori p21 e p27KIP1 mediano l’associazione

del complesso ciclina D1/Cdk4 e Cdk6. La formazione del complesso p27/ciclina

D1/Cdk4 è favorita da fattori di crescita attraverso il pathway di attivazione PI3K/Akt.

L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso

e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131).

Sembra che la Rapamicina, sia nei lieviti che nei mammiferi blocchi le cellule nella fase

G1. Nei mammiferi la Rapamicina inibisce il passaggio dalla fase G1 alla fase S, un

processo che è indotto dal recettore dell’IL-2, impedendo l’attività di mTOR e la

fosforilazione della proteina p70S6K, ed inibendo così la proliferazione delle cellule T.

E’ stato dimostrato che la Rapamicina induce apoptosi nelle cellule derivanti da

monociti (come le cellule dendritiche) (132). Un meccanismo proposto per spiegare

l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli

l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo

coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con

l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134).

Insieme a p27KIP1, anche p53 è coinvolto nella regolazione del ciclo cellulare, nella

riparazione di danni al DNA, nel mantenimento della stabilità genetica, nell’induzione

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della morte cellulare dovuta ad apoptosi, e sono anche considerati repressori tumorali.

La p53 è una proteina legante il DNA che svolge soprattutto la funzione di

oncosopressore inibendo l’espressione di geni tumorali; tuttavia la p53 può anche

stimolare altri geni a produrre p21, che quando associata a Cdk2 impedisce la

progressione del ciclo cellulare bloccando le cellule in G1.

Inoltre, sembra che p53 possa essere fosforilata da mTOR (e tale fenomeno può essere

anche indotto dall’irradiamento con raggi ionizzanti gamma od UV) attivando geni che

promuovono l’apoptosi mediata dai mitocondri, con l’attivazione della caspasi-3 e la

conseguente frammentazione del DNA. E’ stato dimostrato che anche la Rapamicina

può indurre l’apoptosi, ma solo nelle cellule tumorali che mancano della funzionalità di

p53, attraverso la cascata delle JNK chinasi.

La proprietà antiproliferativa della Rapamicina è studiata non solo per la terapia di

neoplasie, o come immunosopressore nei trapianti, ma anche come antivitale. Infatti, la

Rapamicina inibisce la traduzione di proteine codificate da RNAs che presentano in 5’

una sequenza polipirimidinica. Nel genoma del virus HIV-1 (Human Immunodeficiency

Virus Type 1) è stata identificata una sequenza di questo tipo nell’esone 2 del gene

codificante per la proteina tat, una proteina fondamentale per la replicazione virale. E’

stato dimostrato che il trattamento con Rapamicina di linfociti T umani provoca una

diminuzione della replicazione di HIV-1 (135).

7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta

potenziale attività di induttore di emoglobina fetale.

Gli effetti della Rapamicina sul differenziamento eritroide e sulla crescita cellulare

sono stati determinati utilizzando per questo studio iniziale colture di cellule

eritroleucemiche umane K562 (56, 136, 137). Solo in seguito all’evidenza di un’attività

della molecola su questo modello cellulare l’analisi è stata condotta anche su colture di

precursori eritroidi, impiegando mezzi liquidi di coltura differenti, in due fasi

successive. La metodica è stata descritta da E. Fibach (58, 59) e si è dimostrata molto

utile per identificare molecole in grado di indurre la sintesi di emoglobina fetale (HbF)

in precursori eritroidi derivanti da soggetti normali.

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59

In questi saggi le cellule K562 sono state trattate con FK506, Rapamicina e Ascomicina

a diverse concentrazioni. I dati sono stati, inoltre, confrontati a quelli ottenuti con un

controllo positivo, costituito da cellule K562 trattate con Idrossiurea (HU), un composto

noto come stimolatore della produzione di emoglobina fetale nei precursori eritroidi

adulti (38) e già in uso nel trattamento di pazienti affetti da anemia falciforme e -

talassemia . Al sesto giorno dal trattamento è stata valutata la presenza di emoglobina e

quindi il differenziamento verso la linea eritroide delle cellule trattate usando il saggio

della benzidina attivata con acqua ossigenata. I risultati hanno dimostrato che tra le

molecole testate solo la Rapamicina è in grado di indurre il differenziamento eritroide

nel range di concentrazioni utilizzato. E’ da sottolineare che l’inibizione della crescita

cellulare dovuta al trattamento con Rapamicina avviene solo alla concentrazione di 400

nM, mentre a concentrazioni più basse (10-200 nM) è in grado di indurre il

differenziamento eritroide senza inibire significativamente la proliferazione (138).

Inoltre, il differenziamento eritroide aumenta all’aumentare della concentrazione di

Rapamicina, il più alto numero di cellule positive al saggio della benzidina è stato

ottenuto al settimo giorno di trattamento. L’effetto differenziante della Rapamicina è

paragonabile a quello di altri noti induttori come la citarabina (Ara-C), la mitramicina, il

cisplatino, l’idrossiurea e l’acido butirrico (49, 50, 51). I risultati dimostrano che

l’induzione del differenziamento eritroide da parte della Rapamicina è minore rispetto a

quella ottenuta con il trattamento di Ara-C e Mitramicina, simile a quella ottenuta con il

Cisplatino e più alta di quella ottenuta somministrando acido butirrico e Idrossiurea

(138).

Una volta verificato che il composto induce il differenziamento eritroide nelle cellule

K562 si è valutato l’aumento di mRNA specifico per la -globina in cellule trattate con

agenti differenzianti, quantificando l’mRNA con la tecnica dell’RT-PCR (50). Nel

primo esperimento le cellule sono state mantenute in coltura per 3, 4, 5 e 6 giorni in

assenza o in presenza di Rapamicina 10 nM ed è stato isolato l’RNA totale. Dopo la

trascrizione inversa, si sono amplificati con la tecnica della PCR i cDNA usando

primers specifici per le globine , , , , , . Come controllo interno sono state

amplificate anche sequenze di -actina. I risultati hanno dimostrato un aumento

dell’espressione del gene per le -globine a differenza di quelli per le - e -globine, che

non hanno subito alcun incremento. Questi dati sono stati confermati anche da un altro

esperimento, nel quale le cellule K562 sono state tenute in coltura per 6 giorni in

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crescenti concentrazioni di Rapamicina. E’ stato dimostrato che una concentrazione

inferiore a 10 nM è sufficiente ad indurre il più alto livello di espressione dei geni

globinici embrio-fetali (138). Diversamente, l’Ascomicina e l’FK506 non incrementano

l’espressione dei geni globinici nelle cellule K562.

Sulla base di queste osservazioni positive sull’accumulo di mRNA per le -globine in

cellule K562, gli effetti della Rapamicina sono stati indagati anche sui precursori

eritroidi isolati da donatori normali, utilizzando la metodica della coltura in due fasi

liquide (58, 59). Le cellule sono state trattate con Rapamicina 10 nM al quarto e al

quinto giorno della fase , quando iniziavano a sintetizzare emoglobina. Come

controllo positivo sono state utilizzate colture di precursori eritroidi trattati con

Idrossiurea (100M) e Mitramicina (30 nM), due noti potenti induttori di HbF (52).

L’accumulo di mRNA codificante per la -globina e la GAPDH (usato come gene di

riferimento) è stato misurato sull’RNA totale utilizzando l’RT-PCR quantitativa (52). I

risultati ottenuti sono stati analizzati mediante il Sequence Detection Software System

1.6.3. e l’ABI prism 7.700 (Applied Biosystems) ed è stato osservato nelle cellule

trattate con Rapamicina un incremento di mRNA per la -globina a parità di GAPDH. I

dati sono stati successivamente riprodotti in cinque esperimenti indipendenti usando

diversi donatori e sono stati, infine, confrontati con quelli ottenuti col trattamento di

Mitramicina e di Idrossiurea (138). In secondo luogo è stata fatta una valutazione

quantitativa dell’espressione degli altri geni globinici e rispetto al : è importante

sottolineare che l’incremento di mRNA della -globina è molto più alto di quello della

-globina, implicando che il trattamento di colture di precursori eritroidi con

Rapamicina portasse anche ad un aumento della produzione di HbF conseguente

all’aumento di mRNA per la -globina. Per confermare questa ipotesi è stata fatta

un’analisi HPLC per valutare il contenuto di emoglobina nei precursori eritroidi,

dimostrando che la quantità di HbF in cellule trattate con Rapamicina era maggiore di

quella delle cellule non trattate. La percentuale di HbF nelle colture di controllo era

1,40,6% ed aumentava a 4,80,9% e 6,61,1% nelle colture trattate rispettivamente

con HU e Mitramicina e a 10,21,5% nelle colture trattate con Rapamicina (138).

Gli induttori di emoglobina fetale (HbF) possono essere di grande interesse per la cura

della -talassemia e dell’anemia falciforme (55, 139, 140, 21, 34, 141, 142, 143), perché

l’incremento di HbF migliora la sintomatologia in queste patologie. Questi studi hanno

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dimostrato che la Rapamicina è un potente induttore del differenziamento eritroide in

cellule K562 e si è visto che tale differenziamento è associato ad un forte aumento della

produzione di mRNA -globinico. Questo incremento non è stato riscontrato in cellule

trattate con FK506 e Ascomicina, che hanno lo stesso target e presentano struttura

molecolare simile alla Rapamicina, ma non sono in grado di modulare FRAP/mTOR

(65). I risultati ottenuti suggeriscono che sia la proteina FRAP/mTOR implicata nel

differenziamento eritroide e non la proteina FKBP12. Un incremento di mRNA della

globina è stato osservato anche nei precursori eritroidi isolati da sangue periferico di

donatori normali. I risultati di questi studi sono di particolare interesse per capire le basi

biochimiche del differenziamento eritroide. Infatti è ben noto che la Rapamicina

inibisce FRAP/mTOR formando un complesso stabile con FKBP12 (144) che questo

complesso rappresenta un punto di controllo nella regolazione della sintesi proteica

(145). Recenti studi hanno inoltre dimostrato che FRAP/mTOR è una proteina nel

trasporto nucleo-citoplasma, che potrebbe avere bersagli diretti nel nucleo (146) che

potrebbero essere implicati nel differenziamento eritroide.

La Rapamicina presenta caratteristiche tali da poter assere proposta come un potenziale

induttore di HbF impiegabile per la cura della -talassemia e dell’anemia falciforme.

Dato il suo impiego come immunosopressore e la sperimentazione in atto come agente

anticancro, numerosi studi sono stati eseguiti sull’uomo. L’uso che finora ne è stato

fatto ha previsto dosaggi elevati e presentanti numerosi effetti tossici. Sono stati

dimostrati gli effetti collaterali della Rapamicina come l’ipercolesterolemia,

l’iperlipidemia e l’ipertensione. Inoltre, la farmacocinetica, le vie di somministrazione,

l’assorbimento, la distribuzione e il metabolismo di questo farmaco sono già noti (147):

è interessante evidenziare che la concentrazione plasmatica della Rapamicina è 17,37,4

ng/ml dopo una somministrazione di 5 mg/die ed il tempo di dimezzamento dopo

somministrazione di dosaggi multipli è stimato essere di 6216 h.

Seguendo quest’ambito di ricerca l’oggetto di questa tesi sarà pertanto la valutazione

degli effetti della Rapamicina su precursori eritroidi umani che presentano la patologia,

isolando quindi le cellule staminali direttamente dal sangue di pazienti affetti da -

talassemia.

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8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei

geni globinici.

I meccanismi cellulari coinvolti nella normale regolazione dei geni globinici subiscono

dei cambiamenti quando le colture cellulari utilizzate come modello sperimentale

vengono trattate con potenziali agenti induttori del differenziamento eritroide con lo

scopo di verificarne l’efficacia.

Per studiare queste alterazioni sono stati messi a punto saggi in grado di quantificare gli

mRNA specifici per ciascun gene globinico e prodotti dalle cellule indotte a

differenziare. In particolare è possibile indagare l’espressione dell’mRNA, codificante

per la -globina, una subunità dell’HbF.

La tecnica utilizzata è la Real Time quantitative PCR (Q-PCR) che si basa

sull’emissione di fluorescenza dovuta alla degradazione di sonde nucleotidiche

fluorescenti che si legano a substrati di acido nucleico in modo sequenza-specifico.

L’enzima impiegato è una particolare DNA polimerasi dotata di attività nucleasica, che

rimuove e degrada frammenti di DNA (in questo caso la sonda appaiata al DNA target),

che incontra durante la fase di estensione sul filamento di DNA.

Questa tecnica di indagine è stata impiegata per la quantificazione in colture cellulari

trattate con induttori del differenziamento eritroide per la quantificazione

dell’espressione dei geni globinici. Le prime molecole, i cui effetti sono stati analizzati

con questa tecnica, sono state la 5-azacitidina, l’idrossiurea e l’acido butirrico. La Real

time Quantitative PCR è una tecnica sensibile e precisa per la quantificazione degli

acidi nucleici, in grado di rilevarne anche minime quantità mediante la loro

amplificazione. Per questo studio sono state utilizzate sonde fluorescenti e due primers,

uno forward e uno reverse, specifici per ogni gene bersaglio indagato. L’interpretazione

dei cambiamenti dei livelli di mRNA globinico nei precursori eritroidi è molto

complesso per due ragioni principali. Primo, in genere l’mRNA per le -globine è meno

dell’1% rispetto all’mRNA per le -globine. Secondo, nel corso della coltura, l’mRNA

per le -globine decresce gradualmente, mentre quello -globinico aumenta. I risultati

ottenuti utilizzando la Q-PCR hanno dimostrato che il trattamento delle colture eritroidi

con 5-azacitidina, idrossiurea e acido butirrico ha prodotto un incremento

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nell’espressione del gene -globinico ed in particolare un aumento del rapporto /(+)

mRNA (148).

Un composto per essere un buon candidato per il trattamento terapeutico della -

talassemia non dovrebbe indurre l’espressione dei geni -globinici perché il rapporto -

globina/(-globina+-globina) mRNA è già alto in individui affetti da -talassemia e

l’aumento delle catene libere è uno dei maggiori problemi nel decorso della malattia.

Invece, l’incremento dell’espressione del gene per le -globine potrebbe avere

importanza nel caso in cui si volesse migliorare il quadro clinico di soggetti affetti da

+-talassemia. Perciò molecole in grado di stimolare l’espressione del gene per le -

globine, ma con minor effetto anche l’espressione delle globine sono eccellenti

candidati per il trattamento di patologie talassemiche (149).

Lo sviluppo di una metodologia come la reazione di polimerizzazione a catena (PCR),

impiegata per l’analisi degli acidi nucleici, è una tecnica di indagine molto utile per uno

screening di questo tipo. La sua applicazione associata con lo sviluppo di raffinate

strumentazioni ha permesso di migliorare la sensibilità di questo sistema d'indagine.

Associando l’amplificazione di frammenti di DNA o cDNA con la rilevazione di

fluorescenza è stato possibile quantificare in modo assoluto anche quantità minime di

acidi nucleici presenti nei campioni sottoposti all’analisi. Nel caso la quantificazione sia

mirata a valutare l’espressione di specifici geni e quindi i rispettivi mRNA, tale tecnica

oltrepassa di gran lunga le potenzialità applicative della comune tecnica del Northern

Blotting.

L’RT-PCR quantitativa presenta numerosi aspetti vantaggiosi, come la capacità di poter

analizzare un elevato numero di campioni (96 per ogni analisi) mediante sofisticati

Thermal Cyclers; inoltre, nel momento in cui sia necessario eseguire una reazione di

retro-trascrizione prima della PCR, per la produzione di cDNA a partire da RNA come

templato, sia la reversione che l’amplificazione vera e propria possono venir eseguite

anche in unico passaggio (o in più passaggi) nel Thermal Cycler. Questa strumentazione

consente, peraltro, di ottenere una visione in tempo reale durante ciascun ciclo di

amplificazione, ovvero un grafico da cui si può ricavare l’incremento di fluorescenza

sviluppato da ciascun campione ad ogni singolo ciclo.

Per eseguire la reazione sono indispensabili: un enzima, due primers ed una sonda

oligonucleotidica, che riconosca una sequenza compresa tra i due primers e dotata di

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particolari caratteristiche. L’enzima impiegato è una DNA polimerasi prodotta dal

batterio Thermus aquaticus, avente la capacità di resistere ad elevate temperature e

dotata anche di attività esonucleasica 5’-3’. Anche i due primers, reverse e forward,

devono soddisfare determinate caratteristiche: 1) uno dei due primers deve essere

posizionato in prossimità della regione 5’ riconosciuta dalla sonda e molto vicino ad

essa; 2) entrambi i primers non devono sovrapporsi alla sequenza con la quale

ibridizzerà la sonda; 3) i primi cinque nucleotidi nella regione 3’ non devono contenere

più di quattro basi G e/o C. Per quanto riguarda la sonda, la sua sequenza

oligonucleotidica deve essere compresa nel templato bersaglio in analisi, e deve

ibridizzare col cDNA. La sonda è in genere costituita da un singolo filamento di DNA e

presenta nell’estremità 5’ un gruppo cromogeno FAM (6-carbossi-fluoresceina),

chiamato anche reporter, legato in maniera covalente, mentre all’estremità 3’ è

posizionato un gruppo quencher detto TAMRA (6-carbossi-N,N,N’,N’-tetrametil-

rodamina). Prima che la reazione di PCR inizi, il gruppo FAM non emette fluorescenza,

in quanto trovandosi i gruppi reporter e quencher vicini tra loro si equilibrano, quindi

non si ha l’emissione di fluorescenza da parte del sistema. Col procedere della reazione

di polimerizzazione l’attività esonucleasica della DNA polimerasi provoca la rimozione

del gruppo reporter dalla sonda, che viene degradata dopo essere stata incontrata

durante la fase di estensione dal primer lungo il filamento di DNA; i due gruppi

cromogeni a questo punto non sono più vicini tra loro e il il quencher non è più in grado

di assorbire l’emissione del reporter, di conseguenza il sistema di rilevazione osserverà

un aumento della fluorescenza. Ad ogni ciclo verrà registrato un incremento della

fluorescenza, poiché sempre maggiore sarà il numero di molecole di sonda, ibridizzate

al DNA bersaglio, che vengono rimosse ed idrolizzate dall’enzima (Fig.23). Questa

strategia permette una visione in tempo reale dell’amplificazione durante i vari cicli di

reazione; inoltre, la selettività della sonda, che ibridizza col DNA o cDNA bersaglio,

permette la rilevazione esclusivamente dei prodotti di PCR amplificati in modo

specifico.

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Fig. 23. Rappresentazione schematica di una reazione di PCR quantitativa. Nella figura sono schematizzati i diversi cicli di annealing dei primers e della sonda cromogenica, di estensione del nuovo filamento di DNA operata dalla DNApolimerasi; infine il processo di degradazione ad opera dell’attività esonucleasica 5’-3’ dell’enzima stesso e responsabile dell’emissione della fluorescenza nel sistema, principio di base per la quantificazione dei templati in analisi. Per effettuare l’amplificazione genica è stato utilizzato il sistema ABI Prism 7700

Sequence Detector, costituito da: un Thermal Cycler, ABI Prism 7700, all’interno del

quale sono posizionati i reagenti in una piastra termica; un computer ed un software

(Sequence Detector Application Program versione 1.7) che gestisce la strumentazione e

l’analisi dei dati. I parametri di tempo e temperatura relativi ai vari steps di

amplificazione e il numero di cicli da effettuare sono i seguenti: gli step 1 e 2 (2 min a

50°C e poi 10 min a 95°C) permettono l’attivazione delle proprietà esonucleasiche

dell’enzima, che si attiva contemporaneamente in tutti i pozzetti contenenti le reazioni

di polimerizzazione; lo step 3 (15 sec a 90°C e 1 min a 60°C, ripetuti per 40 cicli

successivi), che costituisce gli stadi di PCR vera e propria, cioè la denaturazione a 90°C,

l'appaiamento dei primers e l'estensione del filamento di DNA che avvengono alla

stessa temperatura di 60°C.

Il sistema ABI Prism 7700 è dotato di una “camera a dispositivo di carica accoppiata”,

che permette di misurare lo spettro di emissione della fluorescenza in un intervallo da

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500 a 650 nanometri. Ogni reazione è controllata per rilevare il segnale in modo

sequenziale per 25 msec, con un monitoraggio continuo durante l’amplificazione, al

termine della quale, ogni campione viene riesaminato per 8,5 sec. Durante

l’amplificazione la variazione di fluorescenza emessa dal gruppo quencher è minima

rispetto al gruppo reporter; per questo motivo essa viene utilizzata come riferimento

interno, per ottenere in modo automatico la normalizzazione dell’emissione del gruppo

reporter. La relazione matematica sulla quale si basa il sistema è la seguente:

ΔRn= (Rn+)-(Rn-)

in cui Rn+ rappresenta il rapporto tra l’emissione del quencer e quella del reporter

calcolato a ciascun ciclo di amplificazione, ed Rn- rappresenta il rapporto tra le due

emissioni prima dell’inizio della reazione di PCR (150). Sulla base dei valori di ΔRn ad

ogni ciclo si ricava uno spettrogramma in cui sull’asse delle ascisse è riportato il

numero dei cicli, mentre su quello delle ordinate è riportato il valore calcolato ΔRn

(Normalized Reporter).

Un’informazione utile che si può ricavare da tale grafico è il valore del ciclo Threshold,

detto CT o ciclo “soglia”. Tale valore rappresenta il ciclo al quale è possibile registrare

il primo apprezzabile aumento di intensità nella fluorescenza emessa, non coperta dal

segnale di background. La linea di Threshold viene considerata nella fase esponenziale

della reazione di PCR il più lontano possibile dal plateau, che rappresenta la fase di

saturazione della reazione di amplificazione. Questa linea viene scelta dall’operatore e

rappresenta un determinato valore di ΔRn al quale vengono confrontati tutti i campioni e

sulla base del quale vengono ricavati i loro rispettivi valori di CT (riportati in ascissa).

La quantificazione dei campioni presi in esame può seguire diverse strategie, come il

confronto con una retta di taratura dove lo standard è rappresentato, ad esempio, da un

plasmide contenente il cDNA per il trascritto d’interesse opportunamente diluito (151).

Tuttavia, con questo sistema non sono esclusi errori di valutazione dovuti alla presenza

di fattori di inibizione o di degradazione nei campioni da analizzare, oppure errori

dovuti all’operatore. La quantificazione di cDNA provenienti da campioni diversi è più

attendibile se viene considerato un gene di riferimento interno al sistema rendendo così

minimo l’errore sperimentale.

Tale strategia è utilizzata anche quando si desidera ottenere una quantificazione

“relativa”, basata sulla differenza tra i livelli di espressione di un gene bersaglio in

campioni differenti, e valutato rispetto ad un gene di riferimento ugualmente espresso in

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tutti i campioni analizzati. I geni utilizzati come riferimento, espressi in modo

costitutivo in tutti i campioni, possono essere ad esempio i geni per la β-actina, la

gliceraldeide 3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), la β2-microglobulina ed ancora il gene

per l’rRNA 18S. L’analisi di tipo quantitativo viene effettuata eseguendo una serie di

reazioni ciascuna contenente diverse quantità di cDNA dello stesso campione. La

differenza tra il CT del gene bersaglio ed il CT del gene di riferimento, ΔCT, deve

rimanere costante o al massimo variare di valori inferiori all’unità per tutti i punti della

scalare di diluizione. Il valore di CT è inversamente proporzionale alla concentrazione

del templato in analisi; pertanto, all’aumentare della concentrazione di cDNA bersaglio,

il ciclo “soglia” diminuisce: la sonda ha una maggiore quantità di substrato sul quale

ibridizzare, quindi una volta attivata la polimerasi ed il gruppo reporter viene liberato,

si produce un valore di fluorescenza superiore al rumore di fondo che viene recepito dal

sistema in tempi più brevi rispetto a campioni contenenti quantità di cDNA inferiori.

Per quantificare un trascritto in campioni che lo esprimono a diversi livelli, viene

calcolata la differenza tra i valori di ΔCT di ciascun campione in analisi ed il ΔCT del

campione usato come standard di riferimento, ottenendo il ΔΔCT. Un’elaborata

espressione matematica, infine, considera il ΔΔCT come esponente negativo di 2

(2-ΔΔCT) e permette di valutare quante volte un determinato DNA o cDNA templato è

espresso in un campione rispetto ad uno di controllo (152).

Per valutare l’espressione del gene delle -globine nei precursori eritroidi trattati con

Rapamicina è stata utilizzata questa elaborata tecnica d’analisi.

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SCOPO DELLA TESI

L’oggetto di studio di questa tesi è stata la prosecuzione di studi già avviati dal

gruppo di ricerca presso il quale ho svolto la mia attività, e coordinato dal Prof. Roberto

Gambari, che hanno riguardato gli effetti eritro-differenzianti della Rapamicina, una

molecola con potenziale attività di induttore eritroide. Il mio lavoro ha avuto lo scopo di

saggiare se gli effetti prodotti dal trattamento con Rapamicina di cellule K562 e di

precursori eritroidi isolati da donatori normali, fossero simili anche su colture di

precursori eritroidi derivanti da donatori affetti da -talassemia, i diretti destinatari di

questo putativo agente farmacologico. I primi risultati positivi sull’utilizzo della

Rapamicina come induttore del differenziamento eritroide sono stati ottenuti dal Prof.

Carlo Mischiati appartenente al gruppo di ricerca del Prof. Roberto Gambari. Questi

dati dimostravano un incremento indotto dalla Rapamicina dell’espressione dei geni

globinici embrio-fetali in cellule K562. Quest’effetto era correlato ad un accumulo di

mRNA per le -globine anche nelle colture di precursori eritroidi trattati con questa

molecola. Inoltre, le concentrazioni risultate attive per l’efficacia dell’effetto di

induzione non inibivano la proliferazione cellulare.

Queste indagini sono quindi proseguite nell’ambito di questa tesi, osservando gli

effetti della Rapamicina sull’espressione di geni per le - - e -globine in colture di

precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia. L’analisi è stata estesa al

trattamento di 5 colture provenienti ciascuna da pazienti differenti, nelle quali è stato

valutato anche l’eventuale incremento di HbF e la quantità di HbF per cellula.

La mia analisi ha avuto come scopo proprio la quantificazione degli mRNA per le

- - e -globine con la tecnica della Real Time quantitative PCR e la quantificazione di

HbF con la tecnica dell’HPLC.

I risultati ottenuti hanno permesso di valutare se la Rapamicina fosse in grado di

riprodurre l’effetto eritro-differenziante anche in questo modello cellulare, più simile al

bersaglio patologico sul quale dovrebbe esplicare l’effetto terapeutico.

Infatti, un incremento nella produzione di HbF mimerebbe il fenotipo HPFH (High

Persistence of Fetal Hemoglobin), una condizione questa in grado di produrre un

notevole miglioramento del quadro clinico della patologia. La persistenza di HbF è in

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grado di supplire alla carenza di emoglobina adulta, migliorando notevolmente la

sintomatologia nei pazienti affetti da -talassemia. Pertanto, molecole in grado di

riattivare l’espressione dei geni -globinici nell’adulto sono interessanti in quanto

possibili agenti terapeutici impiegabili nella terapia farmacologia della -talassemia.

Tra gli agenti induttori oggetto di studio, la Rapamicina rappresenta una molecola

che è già in uso, anche se utilizzata con altri scopi: in terapia come immunosopressore

nei trapianti d’organo per contrastarne il rigetto e come antitumorale in fase clinica I-III.

Il vantaggio nel suo interesse applicativo è che la farmacocinetica e gli effetti collaterali

sono già stati indagati ed ampliamente descritti.

L’obbiettivo futuro è quello di valutare l’induzione dell’espressione dei geni per le

-globine e di HbF non solo su colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina,

ma anche effettuando le analisi direttamente sulle cellule staminali provenienti dal

sangue di soggetti cui è stata somministrata la Rapamicina per gli impieghi sopra

riportati. Questo potrebbe ridurre notevolmente i tempi previsti per la sperimentazione

di un suo utilizzo come agente eritro-differenziante.

La Rapamicina lascia dunque nuove speranze ai malati di -talassemia, soprattutto

nei casi in cui questi non possano essere sottoposti alle consuete terapie trasfusionali.

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MATERIALI E METODI

1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da

-talassemia.

Le cellule staminali, ottenute dal sangue periferico di 5 pazienti affetti da -

talassemia dopo il loro consenso informato, sono state coltivate in vitro secondo la

metodica che prevede due fasi in terreno liquido che è stata precedentemente raffigurata

in Fig.10. Per l’isolamanto dei precursori eritroidi si è partiti dal buffy-coat, ovvero

dalla parte corpuscolata ematica. Il volume di sangue che è possibile prelevare da un

soggetto affetto da -talassemia è molto inferiore rispetto a quello che si può prelevare

da un individuo normale (per motivi etici e dipendenti dal fatto che si tratta di soggetti

affetti da una patologia ematologica). Infatti, questi individui presentano già bassi livelli

di emoglobina a causa della loro patologia ed un prelievo di sangue non può che

peggiorare lo stato di anemia di queste persone. Così, in genere, viene utilizzato il

volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale quantità può

essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono comunque

contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di emoglobina.

Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule.

Per il processamento il sangue viene diluito 1:2 con PBS 1x (Buffer salino-fosfato)

a temperatura ambiente preparato per diluizione con H2O distillata a partire da PBS 10x,

che consiste in una soluzione di NaCl 2 M, KCl 27 mM, Na2PO4 0,1 M, KH2PO4 18

mM, in H2O distillata. La soluzione preparata viene successivamente sterilizzata per

filtrazione con filtri di acetato di cellulosa aventi pori del diametro di 0,22 µm, e

conservata a 4°C. Il campione diluito viene suddiviso in aliquote da 40 ml, sottoposte a

centrifugazione per gradiente di densità su Lympholyte-H (NycogradeTM polysucrose

400 e sodium diatrizoate, Celbio, Milano, Italy). In questo modo si crea un gradiente di

destrano ed altre sostanze che permette la separazione delle diverse parti corpuscolate

del sangue. La centrifugazione genera quattro strati ben distinti, dall’alto verso il basso:

siero; un anello biancastro contenente linfociti, fibroblasti, macrofagi e precursori

eritroidi; una parte torbida contenente Lympholyte con cellule non separate; un fondo

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rosso costituito dagli eritrociti. L’anello biancastro viene prelevato, sottoposto a diversi

lavaggi con PBS 1x e trasferito in terreno di fase I così composto: terreno α-MEM (α-

minimal essential medium, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA), preparato a

partire da una polvere e diluito con acqua distillata, sali per bilanciare il pH ed una

soluzione di PEN-STREP (penicillina 50 U/litro e streptomicina 50 mg/litro di terreno,

Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); FCS al 10% (Foetal Calf Serum, GIBCO,

BRL, Life Technologies, Milano, Italy), dopo averlo scongelato e sterilizzato per

filtrazione; medium condizionato (CM) al 10%, ottenuto da colture di cellule

provenienti da carcinoma della vescica (cellule 5637), ricco di fattori di crescita

ematopoietici (come le interleuchine), ma che non contiene EPO, e separato dalle

cellule stesse per filtrazione; ciclosporina A (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA)

1 µg/ml di terreno, preparata da ciclosporina diluita in etanolo assoluto e PBS 1x nel

rapporto di 1:1. La coltura viene poi incubata a 37°C, in atmosfera umidificata ed al 5%

di CO2. E’ importante osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificare la

vitalità cellulare e l’assenza di contaminazioni.

Dopo 5-7 giorni di coltura in questo terreno di fase I, le cellule non aderenti

vengono recuperate, lavate e ricoltivate in un terreno fresco di fase II composto da:

terreno α-MEM; FCS al 30%; albumina di siero bovino deionizzata (BSA, Sigma-

Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) al 10%, sciolta in α-MEM; β-mercapto etanolo

(β-ME, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,01 mM, preparato da una soluzione

di partenza 100 mM diluita con H2O sterile; desametasone (Sigma-Aldrich, St.Louis,

Missouri, USA) 0,001 mM, preparato da una soluzione di partenza 6,4 mM diluita in

metanolo sterile (questo composto è in grado di stimolare la linea eritroide);

glutammina (Glu) 2 mM (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); eritropoietina

umana (EPO) (Tebu-bio, Magenta, MI, Italy) 1 U/ml; Stem Cell Factor (SCF,

PeproTech EC Ltd, London, England) 10 ng/ml, solubilizzato in acido acetico 10 mM.

Alcuni di questi componenti (BSA, β-ME, desametasone, Glu) sono stati sterilizzati,

filtrandoli con filtrini aventi pori del diametro di 0,22 m, e conservati al buio a -20°C.

L’EPO e l’SCF, essendo fattori proteici, devono essere conservati a -80°C per evitarne

la degradazione. L’incubazione in questa fase dura da 4 a 6 giorni. E’ importante

osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificarne la vitalità, l’assenza di

contaminazioni, ma soprattutto la formazione di gruppi o “cloni” di cellule nel

supernatante. Solo se ci sono tali agglomerati cellulari di proeritrociti si può proseguire

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col trattamento con le molecole in analisi. Talvolta si possono avere pochi e/o piccoli

agglomerati cellulari dopo i 4-6 giorni canonici della fase II, in quanto si ha una crescita

più lenta, in tal caso si può prolungare la fase II per altri 4-5 giorni per avere una

sufficiente proliferazione delle colonie e successivamente proseguire col trattamento. In

ogni fase si contano le cellule utilizzando il Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics

Limited, Luton, Beds, England).

Al quarto giorno della fase II è stata aggiunta la Rapamicina alla concentrazione

100 nM, quindi le cellule sono state riposte nell’incubatore per altri 4-5 giorni, al

termine dei quali si è proceduto all’estrazione dell’RNA.

L’aliquota di cellule non trattate sono state mantenute in coltura nelle stesse

condizioni di quelle trattate in modo da fornire un controllo negativo al quale fare

riferimento per l’interpretazione dei risultati.

2. Preparazione della Rapamicina.

La Rapamicina utilizzata per il trattamento delle cellule è stata acquistata dalla

Sigma Aldrich (Milwaukee, WI, USA). La soluzione madre è stata diluita con EtOH e

DMSO 1: 2 fino ad ottenere la concentrazione utilizzata per il trattamento e disciolta ad

una concentrazione di 10 mM conservandola a -20°C al buio. Nei trattamenti delle

colture di precursori eritroidi da soggetti talassemici è stata impiegata alla

concentrazione di 100 nM finale.

3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi.

Al termine della fase II è stato estratto l’mRNA totale citoplasmatico sia dai

precursori eritroidi trattati con Rapamicina, che da quelli di controllo utilizzando la

metodica del “TRIzol”: le cellule vengono centrifugate per 10 min a 1200 rpm, separate

dal supernatante e quindi risospese in TRIzol (Total RNA Isolation Reagent, Celbio,

Milano, Italy) (usandone 1 ml per 5-10x106 cellule). I campioni vengono incubati per 5

min a temperatura ambiente, si aggiungono 200 µl di cloroformio per ogni ml di TRIzol

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utilizzato e si agita energicamente per 15 sec. Segue una centrifugata a 12000 rpm per

15 min a 4°C per estrarre la fase acquosa, alla quale vengono aggiunti 500 µl di

isopropanolo per ml iniziale di TRIzol usato. Si incubano i campioni per 10 min a

temperatura ambiente. Segue un’altra centrifugata per 15 min a 12000 rpm a 4°C. Il

supernatante viene eliminato e al pellet, formato dall’mRNA estratto viene aggiunto 1

ml di etanolo al 75% per ml di TRIzol.

I campioni di mRNA ottenuti applicando questa metodica di estrazione sono stati

poi conservati a -20°C fino al momento del saggio per valutarne la quantità e l’integrità,

che ha previsto l’impiego dell’elettroforesi su gel di agarosio e la lettura allo

spettrofotometro.

4. Saggio dell’RNA.

4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro.

Si effettua la lettura allo spettrofotometro dei campioni di RNA risospeso in H2O

DEPC ad una lunghezza d’onda di 260 nm. L’unità di lettura dello strumento è l’OD

(optical density). La concentrazione si ricava dall’equazione:

µg/ml=ODx40xDIL

dove OD è il valore letto dallo strumento, 40 è il coefficiente di correzione per la lettura

dell’RNA allo spettrofotometro (secondo la legge di Lambert–Beer) e DIL è il

coefficiente di diluizione dell’RNA nella cuvetta.

Per verificare il grado di contaminazione proteica bisogna valutare il rapporto tra le

assorbanze a 260 nm ed a 280 nm, che deve risultare intorno ad un valore di 1,8: se il

valore è inferiore, si è avuta una contaminazione proteica, se superiore, una

contaminazione organica, dovuta e residui fenolici derivati dalla metodica di estrazione.

4.b. Elettroforesi su gel di agarosio.

Il gel di agarosio all’1% si prepara sciogliendo 1 g di agarosio in polvere in 150 ml

di TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al

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99,8%), è necessario far bollire i reagenti per sciogliere la soluzione. Una volta ottenuta

una soluzione limpida vi si aggiunge, sotto cappa, l’etidio bromuro10 µg/ml. Si fa

quindi colare lentamente l’agarosio nell’apposito apparato elettroforetico, in cui è stato

precedentemente inserito il pettine per la formazione dei pozzetti per il caricamento dei

campioni, evitando di fare bolle che potrebbero essere di ostacolo per la corsa

dell’RNA.

Mentre il gel solidifica si preparano i campioni da caricare per l’analisi. L’RNA

totale (in etanolo) viene fatto precipitare centrifugando a 12000 rpm, a 4°C per 20 min.

Il supernatante viene prelevato con una siringa e buttato, mentre il pellet è risospeso in

10 l di acqua trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) 0,1%, una molecola in grado di

disattivare eventuali RNasi presenti. I campioni vengono essiccati in centrifuga

sottovuoto (Speedvac) per 5 min. A questo punto si preparano le aliquote dei campioni

da caricare sul gel: un volume totale pari a 10 l composto da RNA (in genere 1-0,5

g), colorante contenente glicerolo per appesantire il campione, ed acqua DEPC per

portare a volume.

Quando il gel ha solidificato si tolgono i pettinini, formando così i pozzetti, e si

mette il tampone di corsa formato da TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M

EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al 99,8%) ed etidio bromuro (5 l ogni 100 ml di

tampone). A questo punto si caricano i campioni negli appositi pozzetti e si fanno

migrare a 80-100 Volt. Le molecole che migrando nel gel si separeranno sulla base sia

della loro carica che del peso molecolare. Il colorante indica la posizione dell’RNA

durante la corsa. Terminata la migrazione elettroforetica dei campioni, questi vengono

fotografati sotto illuminazione da raggi UV: l’acido nucleico è visibile grazie alla

emissione di luce dell’etidiobromuro intercalatosi tra le basi azotate quando sollecitato

da luce ultravioletta. Dalla foto ottenuta si possono ricavare informazioni sullo stato del

materiale (degradato o meno) osservando l’intensità relativa alla banda del 28S che

deve essere circa il doppio rispetto a quella relativa al 18S, ed indicativamente sulla

quantità di RNA e/o sulla presenza di DNA gnomico che potrebbe essere presente

accidentalmente nel campione.

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5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di

cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla

somministrazione di Rapamicina.

Le analisi mediante RT-PCR quantitativa dei geni bersaglio, la cui espressione

poteva essere modulata dal trattamento con la Rapamicina sono state condotte sul

cDNA (sequenza di DNA codificante) complementare all’RNA totale citoplasmatico ed

estratto dalle cellule trattate e non trattate. Per questa conversione è necessario

effettuare una reazione di retro-trascrizione, effettuando prima una PCR di controllo

direttamente sull’RNA per verificare che non vi sia la presenza di contaminazioni di

DNA; in tal caso si deve procedere al trattamento dei campioni con DNasi I, prima di

eseguire la reazione di retro-trascrizione.

Come substrato per la produzione di cDNA a singolo filamento è stato utilizzato 1

µg di RNA totale citoplasmatico, che rappresenta la quantità massima utilizzabile per

avere una retro-trascrizione efficace e quantitativa, nella quale tutte le molecole di RNA

possano essere efficientemente retro-trascritte in modo stechiometrico in nuove

molecole di cDNA.

Nella retro-trescrizione l’RNA è stato inizialmente incubato per 10 min a

temperatura ambiente con 10 U di inibitore dell’RNasi e con oligonucleotidi d’innesco

della reazione di polimerizzazione alla concentrazione 2,5 µM, rappresentati da esameri

random (l’utilizzo di questi oligonucleotidi d’innesco a differenza dell’utilizzo di

oligod(T) dipende dal fatto che essendo frammenti di soli sei nucleotidi con sequenza

casuale permettono l’innesco della reazione anche su substrati di RNA non

completamente integri e privi della sequenza terminale stabilizzatrice di poli-A). Questi

oligonucleotidi hanno una temperatura di melting piuttosto bassa, per cui in queste

condizioni si legano all’RNA. Le fasi successive prevedono 30 min a 48°C e 5 min a

100°C in tampone contenente MgCl2 5,5 mM, dNTPs 500 µM, RT-Buffer 1x (TaqMan

RT Buffer 10x, Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy) e 1,25 U dell’enzima

MultiScribe Reserve Transcriptase. Terminata la reazione, l’amplificato è stato

velocemente centrifugato in modo che non sia disperso lungo le pareti dell’eppendorf e

conservato a -80°C.

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6. Real-Time quantitative PCR per la quantificazione dei geni

globinici.

Con questa tecnica si è voluto quantificare l’espressione di tutti i geni globinici

analizzando il cDNA ottenuto a partire dai campioni di mRNA totale. Le reazioni sono

state eseguite a partire da una serie di diluizioni scalari di cDNA ottenuto dall’mRNA di

colture cellulari utilizzate come controllo negativo e non trattate (standard).

La miscela di reazione, avente un volume finale di reazione di 25 µl, contiene:

TaqMan Universal PCR Master Mix 1x (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza,

Italy); la coppia di primers forward e reverse, utilizzati ad una concentrazione finale

pari a 300 nM; la sonda TaqMan impiegata alla concentrazione finale di 200 nM. La

TaqMan Universal PCR Master Mix contiene anche: l’enzima AmpliTaq Gold DNA

Polimerasi; l’enzima AmpErase Uracil–N glicosilasi, che degrada sequenze contenenti

uracile al posto di timina, lasciando intatto il filamento originario di templato, ed è

attiva nel primo step della reazione (quando la temperatura è di 50°C) eliminando tutte

le molecole contaminanti che possono essere presenti nella piastra o nei puntali. Alla

temperatura di 95°C si inattiva irreversibilmente; i desossinucleotidi trifosfato (dNTPs),

con il dUTP che sostituisce il dTTP; MgCl2 1 mM; il cromoforo “Rox”, che serve come

riferimento sul quale lo strumento normalizza i dati ed è utile soprattutto per annullare

gli eventuali errori di volume effettuati durante le operazioni svolte dall’operatore

stesso.

Le sonde utilizzate per le analisi dell’espressione delle globine umane sono

marcate in 5’ con la molecola cromogenica FAM e in 3’ con la molecola TAMRA. Le

sequenze delle sonde ed i primers utilizzati per la quantificazione degli specifici mRNA

sono riportati nella tabella 2.

Sugli stessi campioni sono state effettuate in parallelo le reazioni di amplificazione

per la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), usata come gene di riferimento;

la sonda e i primers specifici sono contenuti nel kit human GAPDH (Applera Italia,

Applied Biosystems, Monza, Italy), dove la sonda è stata marcata in 5’ con la molecola

cromogenica VIC (un composto sotto segreto brevettale) ed al 3’ col TAMRA.

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Tabella 2. Sequenze degli oligonucleotidi impiegati nelle reazioni di PCR quantitativa.

primer forward -globine 5’-CACGCGCACAAGCTTCG-3’ primer reverse -globine 5’-AGGGTCACCAGCAGGCAGT-3’ sonda -globine 5’-FAM-TGGACCCGGTCAACTTCAAGCTCCT-TAMRA-3’ primer forward -globine 5’-CAAGAAAGTGCTCGGTGCCT-3’ primer reverse -globine 5’-GCAAAGGTGCCCTTGAGGT -3’ sonda -globine 5’-FAM-TAGTGATGGCCTGGCTCACCTGGA-TAMRA-3’ primer forward -globine 5’-TGGCAAGAAGGTGCTGACTTC-3’ primer reverse -globine 5’-TCACTCAGCTGGGCAAAGC-3’ sonda -globine 5’-FAM-TGGGAGATGCCATAAAGCACCTGC-TAMRA-3’

Tutte le reazioni di PCR quantitativa sono state eseguite in doppia serie ed alcune

reazioni sono state condotte in assenza di cDNA, come controlli negativi.

L’amplificazione è stata eseguita su Thermal Cycler ABI Prism 7700 utilizzando

piastre di plastica ottica da 96 pozzetti MicroAmp Optical (Applera Italia, Applied

Biosystems, Monza, Italy), effettuando due cicli iniziali necessari per l’attivazione della

funzione esonucleasica 5’-3’ della polimerasi (50°C per 2 min e 95°C per 10 min),

mentre i successivi 40 cicli sono stati costituiti da una fase di denaturazione a 95°C per

15 sec ed una fase a 60°C per 1 min, nella quale avviene sia l’appaiamento dei primers

e della sonda sia l’estensione del filamento di DNA.

7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la

quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati

dal sangue di donatori che presentano -talassemia.

Per valutare la quantità effettiva di emoglobina fetale (HbF), presente in cellule

staminali indotte a differenziare in senso eritroide dal trattamento con induttori, è stata

eseguita una cromatografia liquida ad alta risoluzione (High Performance Liquid

Chromatography).

Prima di eseguire questo tipo di analisi le cellule sono state lavate due volte con

PBS, agitate vigorosamente e incubate in ghiaccio per 30 min; vengono quindi

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centrifugate per 5 min a 14.000 rpm e raccolto il surnatante; questa procedura serve a

rompere la membrana cellulare a far fuoriuscire dalle cellule i lisati citoclasmatici

contenenti l’eventuale frazione di Hb.

La strumentazione impiegata per HPLC (Pharmacia LKB Gradient PUMP 2249;

LKB VWM 2141) ha permesso un’analisi quantitativa dell’emoglobina, effettuata alla

lunghezza d’onda () di 415 nm, caratteristica delle molecole di globina. Lo strumento è

formato da una colonna a scambio ionico Synchropak CM300 (250x4.6 mm, Synchron

Inc, Lafayette IN) in cui sono stati iniettati i lisati citoplasmatici, con una velocità di

flusso di 0.8 ml/min, utilizzando una miscela di due buffer (A e B), ed eseguendo

un’eluizione in gradiente. Il buffer A è costituito da Sodio acetato anidro (0.3 M), Bis-

Tris (30 mM) e KCN (1.5 mM) in acqua, mentre il buffer B da Bis-Tris (30 mM) e

KCN (1.5 mM) in acqua. In queste condizioni sono state eseguite quattro iniezioni

successive di emoglobina adulta (HbA) commerciale (Sigma-Aldrich, St. Louis,

Missouri, USA), utilizzata come standard, al fine di ricavare una retta di taratura. La

curva di taratura è poi stata usata per estrapolare e quantificare i campioni risalendo

all’area di integrazione ricavata dallo strumento (Integratore: Spectra-Physics SP4600).

E’ stato quindi possibile quantificare la percentuale di HbF di ciascun campione e

confrontarla con la quantità del relativo campione cellulare sottoposto al trattamento

con Rapamicina.

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RISULTATI

1. Dati relativi ai pazienti analizzati.

La talassemia è una malattia autosomica recessiva che nell’uomo può essere

generata da circa 180 mutazioni differenti del gene codificante per la catena nel

tetrametro della molecola di Hb (153). Una più piccola percentuale di pazienti è affetta

da una forma moderata di anemia, dovuta ad una minore espressione del gene per le

globine +-talassemia, che spesso non richiede trasfusioni, mentre la maggior parte

dei soggetti presenta anemia grave (major), dovuta alla totale mancanza di catene

o-talassemia, e che quindi necessita di terapia trasfusionale per la sopravvivenza.

Spesso il fenotipo talassemico è determinato da mutazioni differenti a carico dei geni ,

raramente la malattia è dovuta alla stessa mutazione su entrambi i geni, mentre più

spesso la patologia risulta dalla combinazione di genotipi differenti. Inoltre, la gravità

dell’anemia può essere influenzata oltre che da mutazioni specifiche anche da altri

fattori, che possono interferire sull’espressione dei geni per le altre globine, come le

globine e .

I soggetti considerati in questo studio sono stati selezionati da un gruppo di pazienti

affetti da -talassemia, sono stati identificati e caratterizzati dal Prof. Eitan Fibach

presso l’ospedale Ein-Kerem di Gerusalemme nello stato di Israele, del gruppo col

quale il Prof. Roberto Gambari svolge un’intensa collaborazione e che ha fornito i

campioni di sangue.

I soggetti considerati in questo studio sono stati caratterizzati identificando il tipo

di talassemia ed i loro genotipi, ovvero le mutazioni responsabili della patologia. La

descrizione è riportata in tabella 3. Il paziente n°1 presenta su entrambi gli alleli per i

geni la mutazione IVS1-110: è omozigote per la mutazione di una Guanina in una

Adenina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 110, responsabile

della creazione di un sito di splicing alternativo nella sequenza del pre-mRNA, che

porta alla produzione anche di un messaggero aberrante e quindi ad una -talassemia.

Il paziente n°2 presenta su entrambi gli alleli per i geni la mutazione IVS2-1: è

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omozigote per la mutazione di una Guanina in una Adenina, che interessa una sequenza

interna all’introne 2 in posizione 1, che altera il sito di splicing introducendo un segnale

di terminazione della trascrizione che provoca una -talassemia. Il paziente n°3

presenta due mutazioni differenti a carico dei geni : una mutazione di una Adenina in

una Citosina in posizione -28 a livello della regione TATAbox nel promotore,

responsabile della diminuzione dell’espressione di questo gene, ed una mutazione

responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella trascrizione del gene in

seguito alla delezione di una Citosina a livello del codone 44 che porterebbe ad una

-talassemia. Il paziente n°4 presenta anch’esso due mutazioni differenti a carico dei

geni : una mutazione responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella

trascrizione del gene in seguito alla delezione di una Timina a livello dei codoni 36-37,

che determina la formazione di un segnale di terminazione a livello del codone 60 e la

produzione di una proteina tronca; la seconda mutazione riguarda sempre la delezione

di una Citosina a livello del codone 44. Il paziente n°5 presenta su entrambi gli alleli per

i geni la mutazione IVS1-6: è omozigote per la mutazione di una Timina in una

Citosina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 6, che crea un

ulteriore sito di splicing, provocando una -talassemia.

Questi pazienti subiscono tutti trasfusioni di sangue per migliorare il quadro clinico

della patologia, mentre solo due di loro hanno subito la splenectomia. Tale intervento si

rende necessario in alcuni casi per evitare ulteriore danno da emolisi splenica.

Tabella 3. Caratteristiche dei soggetti da cui sono stati isolati i precursori eritroidi.

paziente tipo di talassemia mutazione trasfusioni di sangue splenectomia

1. +/+ IVS1-110/ IVS1-110 + - 2. 0/0 IVS2-1/ IVS2-1 + + 3. +/0 -28/FS44 + - 4. +/0 FS36-7/FS44 + - 5. +/+ IVS1-6/ IVS1-6 + +

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Ciascuno di questi cinque soggetti si è reso disponibile dando il suo consenso

informato per il prelievo di una decina di ml sangue necessari per allestire una coltura

cellulare in vitro di circa 20 ml e contenente circa 108 cellule.

2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da -

talassemia.

La metodica usata per le colture di cellule staminali dal sangue prelevato da

donatori affetti da β-talassemia è la medesima riportata per la coltura di precursori

eritroidi in due fasi liquide (58, 59) ed è stata precedentemente schematizzata in Fig.10.

Dopo una settimana di coltura in un terreno non contenente eritropoietina, per un

periodo della durata di 5-7 giorni, si è proceduto con la seconda fase di coltura, nella

quale il terreno è stato rinnovato ed addizionato con fattori stimolanti e selettivi per la

proliferazione cellulare verso la linea eritroide. In questa fase dal 4° al 6° giorno le

cellule iniziano a produrre emoglobina anche se a livelli bassi. Al termine di questa fase

è stato eseguito un trattamento per 4 giorni (senza rinnovare il terreno) con la

Rapamicina alla concentrazione finale di 100 nM, alla quale gli effetti citotossici della

molecola sono risultati trascurabili sulla base dei dati riportati in letteratura relativi al

trattamento di precursori eritroidi isolati da soggetti sani (138). Una parte delle cellule

non sono state trattate per avere un controllo negativo con il quale confrontare i risultati

ottenuti nelle colture trattate con Rapamicina. Dopo quattro giorni di trattamento è stato

estratto l’RNA secondo la metodica del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo

“Materiali e metodi”.

Come prima cosa è stato verificato se nel nostro modello sperimentale la

Rapamicina presentasse l’attività di induttore di HbF. Questa capacità eritro-

differenziante è stata valutata analizzando nei campioni la percentuale di HbF, mediante

HPLC, e la quantità di Hb/cellula.

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3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb

totale/cellula nelle colture di precursori eritroidi trattate con

Rapamicina.

Per verificare l’attività eritro-differenziante della Rapamicina è stato quantificato il

contenuto totale di emoglobina e la percentuale sul totale di HbF nelle colture di cellule

eritroidi trattate e non trattate utilizzando la tecnica dell’HPLC descritta nel paragrafo 7

del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stata prima realizzata una retta di taratura a partire

da concentrazioni note di emoglobina adulta commerciale dalla quale si è potuti risalire

alla quantità di Hb presente nelle cellule eritroidi trattate con Rapamicina. E’ stata

eseguita una cromatografia analitica iniettando nell’HPLC 20 µl di ognuna delle tre

concentrazioni note di emoglobina adulta (1-2 e 4,5 mg/ml); tale scalare è stata allestita

a partire da un liofilizzato di emoglobina adulta pura commerciale (Sigma-Aldrich, St.

Louis, Missouri, USA) e integrando le aree dei picchi si è ricavata l’area di ogni picco

corrispondente alla diverse concentrazioni di HbA. Riportando i valori così ottenuti in

un grafico cartesiano, dove in ascissa sono indicate le concentrazioni di emoglobina ed

in ordinata i valori di integrazione dell’area corrispondente, è stata costruita la retta di

taratura come rappresentato in Fig.24. Nella stessa figura è riportato anche il

cromatogramma relativo ad un’analisi HPLC di un’aliquota di sangue di un soggetto

adulto sano, che ha permesso la caratterizzazione dei picchi delle diverse emoglobine,

che escono dalla colonna cromatografia in tempi diversi, in base alla loro affinità per la

fase fissa di cui è costituita la colonna e la fase mobile rappresentata dalla miscela di

eluenti. L’emoglobina adulta presenta un tempo di ritenzione di 39,23 min (89,2%) ed

il picco dell’emoglobina fetale molto inferiore (4,8%), poiché poco espressa in un

individuo adulto, presenta un tempo di ritenzione di 19,2 min. Sono presenti, inoltre,

altri due picchi, quello con tempo di ritenzione di 28,03 min corrisponde alla glico-

emoglobina (HbA1C) (4,5%), mentre il picco a 43,67 min rappresenta l’HbA2 (1,5%).

Similarmente, è stata condotta l’analisi HPLC sui lisati citoplasmatici ottenuti dalle

colture di precursori trattati e non trattati, delle quali è stato anche valutato il numero di

cellule/ml utilizzando un Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited, Luton, Beds,

England). I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 4.

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5x10610x106

15x10620x10625x106

0 2 4 6

HbA

mg/ml

A

B

Fig. 24. Rappresentazione della retta di taratura in A e di un cromatogramma HPLC in B. In A, la retta è stata costruita riportando in ascissa le concentrazioni delle soluzioni standard di emoglobina e in ordinata i valori di integrazione delle aree dei picchi HPLC relativi. In B, sono rappresentati i picchi relativi ai diversi tipi di emoglobina. Da sinistra verso destra troviamo rispettivamente il picco relativo all’HbF, alla glicoemoglobina, all’emoglobina adulta e all’HbA2.

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Tabella 4. Valutazione dei dati relativi all’incremento di Hb ed HbF in seguito

al trattamento con Rapamicina 100 nM.

I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati l’addizione di Rapamicina

alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in vitro un incremento nella

percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è associato anche ad un

aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb totale/cellula non è stata

incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati è stato calcolato

l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge che in tutti i

campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula).

Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi

isolati da sangue di soggetti talassemici.

Tabella 5. Valutazione dei dati relativi all’incremento di HbF/cellula in seguito

al trattamento con Rapamicina 100 nM.

n° PAZIENTE

HbF (%) Hb TOTALE (pg/cell)

CONTROLLO +RAPAMICINA CONTROLLO +RAPAMICINA

1. 20,9 26,0 5,9 7,4 2. 93,4 97,7 8,3 9,9 3. 15,4 28,9 5,0 3,1 4. 34,5 43,1 7,2 7,3 5. 44,6 59,0 4,7 10,8

n° PAZIENTE

HbF(pg/cell)

CONTROLLO +RAPAMICINA

1. 1,23 1,92 2. 7,75 9,67 3. 0,77 0,89 4. 2,48 3,15 5. 2,10 6,37

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4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la

tecnica della Real-time quantitative PCR.

Per studiare l’effetto del trattamento con Rapamicina sull’espressione dei geni

globinici, nelle colture in oggetto si è prima estratto l’RNA totale secondo la metodica

del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stato poi

analizzato su gel di agarosio all’1% per valutare possibili degradazioni e quantificato

allo spettrofotometro. Infine, l’mRNA di ogni campione è stato amplificato tramite una

reazione di retro-trascrizione, che ha permesso così di ottenere il cDNA corrispondente

ad ogni mRNA.

Il cDNA derivante dalle cellule non trattate con Rapamicina è stato diluito in serie

scalare in modo da ottenere una curva standard di riferimento indispensabile per

quantificare i cDNA bersaglio dei geni globinici α, β e γ, dei quali si intendeva valutare

l’entità di espressione. Per ciascun campione è stata eseguita una reazione di Real-time

quantitative PCR in doppio, utilizzando le sequenze nucleotidiche e la sonda

cromogenica specifiche e riportate nella tabella 2 (paragrafo 6 del capitolo “Materiali e

metodi”). Sono stati amplificati sia i trascritti relativi agli mRNA per le globine umane

α, β e γ, sia per il gene di riferimento interno GAPDH, che serve come controllo e deve

essere espresso in egual misura sia nelle cellule trattate, che in quelle non trattate. Come

esempio riporto nella Fig.25 le curve di amplificazione di questi geni targets amplificati

mediante Real-time quantitative PCR e riferiti al campione n° 4. In Fig.25, Fig.26 e

Fig.27 è possibile osservare in A gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene

per la GAPDH, che come si può osservare è egualmente espressa nei campioni trattati e

non trattati; mentre in Fig.25B, si possono osservare le curve di amplificazione relative

al gene per le -globine; in Fig.26B, si possono osservare le curve di amplificazione

relative al gene per le -globine; in Fig.27B, si possono osservare le curve di

amplificazione relative al gene per le -globine. In verde sono sempre riportate le curve

del campione di controllo ed in rosso quelle dell’aliquota trattata con Rapamicina.

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Fig. 25. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le alfa globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato.

B

A

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Fig. 26. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati

gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le beta globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato.

B

A

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Fig. 27. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le gamma globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato.

B

A

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89

Nell’analisi dell’espressione dei geni globinici in questa coltura è da sottolineare il

fatto che i geni per le globine e sono egualmente espressi in seguito al trattamento

con Rapamicina. Infatti, le curve presentano lo stesso andamento e valori di CT simili

per lo stesso valore di Rn considerato (scegliendo questa linea di threshold). In Fig.27,

si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine (B); nel

campione trattato con Rapamicina 100 nM il gene bersaglio è maggiormente espresso

(curva rossa) rispetto al controllo non trattato (curva verde), infatti la curva ad esso

relativa compare prima nei cicli di reazione e presenta un valore di CT inferiore rispetto

a quello calcolato per il controllo a parità di threshold e di valore di fluorescenza

emessa dal sistema (Rn). Per calcolare l’induzione dell’espressine genica in ciascun

campione trattato con Rapamicina, al CT relativo al campione proveniente da cellule

eritroidi non trattate ed amplificate per il gene γ-globinico, viene sottratto il valore di

CT dello stesso campione relativo ottenuto dall’amplificazione del gene per la GAPDH.

Questa differenza è chiamata ΔCT. Dalla differenza tra il ΔCT dei campioni di cellule

trattate ed il ΔCT dei campioni di cellule non indotte si ricava il ΔΔCT. Questo valore

rappresenta l’esponente negativo di 2 nel risultato finale di un’elaborata equazione

matematica. Il valore 2-ΔΔCT permette quindi di ottenere il numero di volte in cui viene

più espresso un determinato mRNA bersaglio nel campione trattato, rispetto al

campione di riferimento.

Dall’analisi dell’espressione dei geni per le globine in questo campione emerge che

solo l’mRNA per le -globine ha subìto un incremento d’espressione. I dati ottenuti

dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici sono

riportate in tabella 6, dove è osservabile un apprezzabile accumulo di mRNA specifico

per le -globine soprattutto nei campioni 3 e 4. In tutti i casi analizzati l’induzione

ottenuta dal trattamento con Rapamicina è specifica per l’mRNA delle -globine.

L’espressione delle globine sia che non viene incrementata in maniera

significativa; per quanto riguarda il gene α-globinico la sua induzione non porterebbe ad

alcun beneficio, anzi aumenterebbe il danno dovuto al formarsi di tetrametri di catene α

che precipiterebbero, peggiorando l’anemia dei pazienti. Invece, per i pazienti affetti da

β-talassemia di tipo 0 l’induzione del gene β, oltre che del gene porterebbe ad un

aumento dell’espressione di catene β-globiniche difettose o addirittura potrebbe essere

inefficacie, non dando beneficio al paziente; mentre nel caso di una +-talassemia

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potrebbe essere vantaggiosa, perché si avrebbe un aumento anche delle catene β non

difettose oltre alle . Pertanto è stato considerato anche il rapporto tra l’accumulo di

trascritti del gene per le γ-globine rispetto a quello dei trascritti per le globine . I valori

ottenuti sono riportati nella tabella 7. Il rapporto / è superiore all’unità in tutti i casi

analizzati. Sulla base di questi valori l’induzione dei trascritti per le -globine risulta

ancora più apprezzabile.

Tabella 6. Valutazione dell’induzione mediata dalla Rapamicina dei geni globinici α, β, γ con la tecnica dell’ RT-PCR quantitativa.

Tabella 7. Valutazione dell’induzione del gene per le γ-globine rispetto a quella dei geni per le globine β.

n° PAZIENTE

INDUZIONE mRNA γ

INDUZIONE mRNA

INDUZIONE mRNA

1. 1,37 0,92 1,18 2. 1,32 1 1,04 3. 2,53 0,83 1,49 4. 4,72 1,02 0,95 5. 1,01 0,47 0,77

n° PAZIENTE mRNA γ/β

1. 1,49 2. 1,32 3. 3,05 4. 4,63 5. 2,15

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5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico

per le γ-globine.

Esaminiamo ora l’effetto eritro-differenziante del trattamento con Rapamicina su

ciascuna delle cinque diverse colture ottenute dai precursori eritroidi di soggetti affetti

da β-talassemia. A questo scopo consideriamo i dati ottenuti per ciascun soggetto in un

unico istogramma. In Fig.28 sono riportati la percentuale di HbF, la quantità di

HbF/cellula, l’accumulo di mRNA per le γ-globine rispetto al controllo, ed il rapporto

γ/ del soggetto 1. In Fig.29 sono riportati i rispettivi valori ottenuti per il soggetto 2.

In Fig.30 sono riportati i dati relativi al soggetto 3. Nelle Fig.31 e Fig.32 i risultati

derivati dalle analisi dei campioni 4 e 5.

I risultati dimostrano nel complesso un aumento sia di HbF nelle cellule trattate con

Rapamicina 100 nM rispetto alle colture di controllo non trattate, sia un accumulo di

mRNA per le γ-globine, soprattutto se considerato rispetto all’espressione dei geni .

Solo nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la

Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri analizzati. In questo

caso i livelli di induzione di HbF erano già molto elevati nella stessa coltura di controllo

non trattata (vedi tabella 4), come se i geni per le globine fetali fossero già up-regolati

nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene .

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Fig. 28. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°1. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu).

Fig. 29. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico

n°2. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu).

0

0,5

1

1,5

2

0

0,5

1

1,5

indu

zion

e

Rapa

mic

ina/

cont

rollo

% H

bF

HbF

(pg/

cell)

mRN

A-

glob

ine

mRN

A /

indu

zion

e

Rapa

mic

ina/

cont

rollo

% H

bF

HbF

(pg/

cell)

mRN

A-

glob

ine

mRN

A /

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Fig. 30. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°3. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu).

Fig. 31. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico

n°4. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

00,5

11,5

22,5

33,5

44,5

5

indu

zion

e

Rapa

mic

ina/

cont

rollo

% H

bF

HbF

(pg/

cell)

mRN

A-

glob

ine

mRN

A /

indu

zion

e

Rapa

mic

ina/

cont

rollo

% H

bF

HbF

(pg/

cell)

mRN

A-

glob

ine

mRN

A /

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Fig. 32. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°5. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

indu

zion

e

Rapa

mic

ina/

cont

rollo

% H

bF

HbF

(pg/

cell)

mRN

A-

glob

ine

mRN

A /

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DISCUSSIONE

Negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecnologie e strumentazioni sempre più

sofisticate hanno permesso lo studio di strategie innovative mirate alla progettazione di

nuove terapie, basate sulla modulazione dell’espressione di geni bersaglio, ed hanno

anche consentito di comprendere meglio i meccanismi molecolari alla base della

regolazione della trascrizione genica.

Secondo questa linea di ricerca, numerosi laboratori si sono interessati alla cura di

determinate patologie attraverso lo studio e la progettazione di molecole capaci di

modulare l’espressione dei geni responsabili dell’insorgenza della malattia.

La modulazione dell’espressione genica con molecole biologicamente attive

potrebbe trovare applicazioni nella riattivazione dei geni per le γ-globine, nello sviluppo

di potenziali agenti terapeutici per la cura di patologie del sistema ematopoietico, come

la β-talassemia. Trattamenti con composti in grado di riattivare l’espressione dei geni

γ-globinici endogeni assumono notevole interesse dal momento che è stato riscontrato

un notevole miglioramento del quadro clinico in pazienti affetti da patologie

emopoietiche e presentanti un fenotipo HPFH, nei quali è stato osservato che un

aumento di emoglobina fetale anche inferiore al 30% era sufficiente per apportare un

beneficio clinico (12).

Tra i composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γ-globinici endogeni un

discreto interesse è stato suscitato in questi ultimi anni dalla Rapamicina, una molecola

molto complessa sia dal punto di vista chimico-strutturale, che per quanto riguarda il

potenziale meccanismo d’azione.

La Rapamicina è un farmaco immunosoppressore già in uso per contrastare il

rigetto nei trapianti, in particolare nel trapianto di rene (65) e sembra avere effetto

inibitorio anche sulla crescita tumorale; infatti, la sperimentazione per il suo potenziale

uso anticancro è già stato indagato in trails clinici di fase I-III (154). Inoltre, è stato

recentemente scoperto che la Rapamicina ha anche effetti antivirali, essendo in grado di

inibire anche la replicazione del virus HIV-1 (135).

Il meccanismo d’azione della Rapamicina è molto complesso e riguarda numerose

proteine cellulari coinvolte in diversi aspetti della biochimica della cellula, che possono

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essere riassunte principalmente nel blocco della sintesi proteica e nell’arresto del ciclo

cellulare nella fase G1. Il target cellulare della Rapamicina è la proteina mTOR, una

chinasi regolata a monte da molteplici fattori, tra cui i fattori di crescita e che a sua volta

è coinvolta in diversi meccanismi cellulari (79, 105, 11). La Rapamicina forma un

complesso proteico con la proteina FKBP12 che interagisce con mTOR inibendone

l’attività chinasica e mantenendo così i suoi targets nello stato defosforilato. Tra questi

ricordiamo le proteine 4E-BP1 e p70S6K (107, 108). Un meccanismo proposto per

spiegare l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli

l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo

coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con

l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134).

L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso

e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131).

E’ interessente notare che elevati livelli di espressione di p27KIP1 sono stati anche

correlati con l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare durante il differenziamento

eritroide indotto con EPO e studiato in una linea cellulare eritroblastica murina, che

sembra coinvolgere il suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (155). Le chinasi ciclina-

dipendenti possono avere come bersagli anche repressori tumorali (ad esempio pRb, un

oncosopressore del retinoblastoma), che lega proteine appartenenti alla famiglia di

fattori trascrizionali simili a E2F, sopprimendo l’espressione dei geni da questi regolati,

ed essenziali per la replicazione del DNA. L’arresto in fase G1 induce cambiamenti nei

livelli di espressione di fattori nucleari come NF-E2 e GATA-1 (155), proteine

coinvolte anche nella regolazione dell’espressione dei geni globinici (13, 15, 156).

Queste vie di regolazione non sono tuttavia ancora state completamente definite.

Sul meccanismo d’azione relativo all’attività eritro-differenziante della Rapamicina

si possono tuttavia fare solamente delle ipotesi, dal momento che il processo non è del

tutto noto.

L’effetto eritro-differenziante della Rapamicina è stato dimostrato in cellule K562

e in precursori eritroidi isolati da donatori normali (138). I risultati ottenuti dallo studio

svolto nell’ambito di questa tesi hanno permesso di valutare lo stesso effetto in colture

di precursori eritroidi allestite a partire da sangue prelevato da cinque pazienti

talassemici. Questo modello di coltura cellulare liquida in due fasi (58, 59) rappresenta

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un sistema fisiologicamente più adatto per lo studio degli effetti della Rapamicina prima

di un suo impiego farmacologico nell’uomo.

Dopo il trattamento con questa molecola è stato estratto l’mRNA totale e retro-

trascritto in cDNA. Per la quantificazione dell’mRNA dei geni globinici è stata

utilizzata la tecnica dell’RT-PCR quantitativa, essendo la tecnologia maggiormente

all’avanguardia per effettuare questo tipo di analisi, mentre la quantità di Hb totale e di

HbF è stata valutata con l’HPLC. I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati

l’addizione di Rapamicina alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in

vitro un incremento nella percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è

associato anche ad un aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb

totale/cellula non è stata incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati

è stato calcolato l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge

che in tutti i campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula).

Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi

isolati da sangue di soggetti talassemici.

Dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici

risulta un apprezzabile accumulo di mRNA per le -globine, mentre l’espressine delle

globine sia che non viene incrementata in maniera significativa. In tutti i casi

analizzati l’induzione ottenuta dal trattamento con Rapamicina è pertanto specifica. Solo

nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la

Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri indagati per quanto

riguarda l’induzione del differenziamento eritroide. In questo caso la produzione di HbF

era già molto elevata nella coltura di controllo non trattata, come se i geni per le globine

fetali fossero già up-regolati nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene . I

dati ottenuti sulle altre colture di controllo, derivate da soggetti che presentavano forme

di talassemia +/+, o 0/+, suggeriscono che la Rapamicina potrebbe essere utile

nell’attivazione dei geni globinici embrio-fetali soprattutto in queste forme di

talassemia.

Tuttavia, l’entità dell’effetto non risulta uguale in tutti i campioni e ciò fa supporre

che ogni individuo abbia una risposta diversa al farmaco. Sulla base di questa

considerazione, questo tipo di colture cellulari potrebbe essere utile anche per pre-

testare l’efficacia di una molecola sulle cellule isolate dal paziente destinatario della

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terapia. Infatti, con uno screening di questo genere, sarebbe possibile fare supposizioni

sui suoi effetti in un determinato paziente, evitando così la somministrazione di farmaci

non efficaci. Questo approccio potrebbe quindi trovare applicazioni nell’ambito della

farmaco-genomica, al fine di effettuare terapie individuali sempre più mirate.

L’utilizzo della Rapamicina come agente eritro-differenziante presenta molti

vantaggi rispetto ad altre molecole, poiché è già in uso in terapia come

immunosoppressore nei trapianti d’organo. La sua farmacologia e la farmacocinetica

sono già note e ciò potrebbe accorciare i tempi della ricerca, dato che sono già stati

effettuati numerosi studi in questo campo.

Inoltre, l’esistenza di pazienti in terapia con Rapamicina, anche se per patologie di

natura diversa rispetto alla β-talassemia, offre numerosi vantaggi, rappresentando ad

esempio un ulteriore modello di studio: il sangue di questi soggetti potrebbe essere

direttamente analizzato per quanto riguarda gli effetti della molecola sull’incremento di

HbF prima e dopo la terapia. Tenendo conto tuttavia che i dosaggi impiegati sono di

gran lunga superiori a quelli che dovrebbero essere somministrati in pazienti affetti da

talassemia.

Questi studi sugli effetti della Rapamicina come potenziale agente terapeutico

aprono nuove prospettive nell’ambito della cura di soggetti che, per motivi dipendenti

dalle condizioni di salute oppure dal credo religioso, non possono essere emo-trasfusi.

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