IN Magazine Il Melozzo 01/2014

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Tariffa R.O.C., Poste Italiane spa - Sped. in abb. postale, D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 1,DCB Forlì - Reg. Tribunale Forlì 6/9/2011 n. 410 Anno XLVII - N. 1 - marzo - aprile 2014 • Abbonamento annuo euro 20,00 - Sostenitore euro 26,00 IN PRIMO PIANO Febbraio 1944, gli scioperi a Forlì. DOSSIER Passeggiate in stile Liberty. MUSICA Sebastiano Severi, note nuove per il violoncello.

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Anno XLVII - N. 1 - marzo - aprile 2014 • Abbonamento annuo euro 20,00 - Sostenitore euro 26,00

ANDAR PER MOSTRE Giovanni Pini: il colore vale più del segno

DOSSIER Wildt, l’anima e le forme da Michelangelo a Klimt

IN PRIMO PIANO Febbraio 1944, gli scioperi a Forlì.

DOSSIER Passeggiate in stile Liberty.

MUSICA Sebastiano Severi, note nuove per il violoncello.

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da visitare e da vivere grandi e piccoli insieme, in ogni stagione dell’anno. Per divertirsi e trovare idee e stimoli per una gita all’insegna della curiosità e della fantasia.

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SOMMARIO

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edItORIAle

IN PRIMO PIANO 04Febbraio 1944, gli scioperi a Forlìdi Fabrizio Monti

«Il MelOZZO»

Già Periodico del Comitato Pro Forlì Storico-Artistica, Forlì Primo numero 14 marzo 1968

Direttore: Rosanna Ricci

Edizioni In MAGAzInE srl via napoleone Bonaparte 50, 47122 Forlì tel. 0543 798463 - fax 0543 774044 Stampa: Montefeltro di Celli F. - Rimini

Uscita trimestrale. Reg. al Tribunale di Forlì il 6/9/2011 n. 410

Redazione: Rosanna Ricci, Roberta Brunazzi, Mario Proli, Paolo Rambelli, Giorgio Sabatini, Gabriele zelli.

In copertina cancellata liberty di palazzo Torelli Guarini di Forlì, realizzata nelle officine Matteucci di Faenza.

Hanno collaborato a questo numero: Ivano Arcangeloni, Veronica Franco, Fabrizio Monti, Stefania navacchia, Sara Rossi, Camilla Veronese.

Facciamo un esperimento sociologico: scen-diamo in strada, per le vie del centro, e fer-miamo il lieto, e piuttosto sparuto, passante per chiedergli di rispondere ad alcune do-mande sul perché il centro storico di Forlì sia così poco frequentato dai forlivesi. Immagi-nate di star guardando un qualche servizio di un qualche Tg, anche di quelli importanti, nei quali si cerca di raccontare quale sia l’opinione della gente comune. Cosa pensa la gente comune, il forlivese medio, del no-stro centro storico? Che è in una situazione di degrado. Ormai per noi forlivesi il “de-grado” si abbina solo a “centro storico”. E perché sarebbe così degradato? Al primo posto delle risposte troveremo certamente il problema immigrati. non che nessuno ce l’abbia con i negri, per carità, non siamo mica razzisti qui a Forlì! no, no: niente da dire contro gli onesti immigrati che vengono a lavorare a testa bassa, si accontentano di un tozzo di pane, pagano magari un due-cento euro di affitto in nero per alloggiare in una modesta stanzuccia condivisa con altri onesti lavoratori, e alla sera vanno a dormire presto perché stanchi dopo il lungo e inde-fesso lavorare, e, ça va sans dir, senza con-tributi previdenziali. Il problema non sono loro, gli immigrati onesti. Il problema sono quei perditempo che, non lavorando, bighel-lonano per ore e ore lungo le vie prospicien-ti il centro, o addirittura nel bel mezzo della piazza Saffi, e deturpano col loro sinistro

bighellonare lo sky-line cittadino. E poi, si sa: bighellona di qua, bighellona di là, alla fine il passo alla delinquenza è breve. Perché a sentire la gente comune si scopre che For-lì, ed in particolare il suo centro storico, è una città pericolosa. Addirittura! Eh, sì: c’è da aver paura a girar da soli per le vie del centro di sera, con tutti quegli sbandati che ti accoltellano per un nonnulla. E per una ra-gazza, figurarsi, è sempre massima allerta, poiché quegli scansafatiche bighellonanti ti vivisezionano con gli occhi, e se potessero avvicinarsi con quello loro luride manacce, ah, meglio non pensarci... Pregiudizio tenace, pervicace, leggenda me-tropolitana, o meglio comunale, che si pro-paga di bocca in bocca, pur se non soste-nuta da alcuna prova. Se nel Centro Storico si consumassero tutti quegli accoltellamenti, quegli stupri, quelle rapine che si racconta-no, Forlì sarebbe protagonista delle crona-che nazionali tanto quanto una Scampia. Le statistiche smentiscono il pregiudizio, ma che se ne fa dei crudi dati statistici la vox po-puli? Le certezze dell’aritmetica sbiadiscono di fronte alle incrollabili certezze della fede. E qui, ormai, è questione di fede. La causa seconda del degrado è certamente l’incapa-cità dell’Amministrazione Comunale.E qui ci ritroviamo di fronte ad un topos lette-rario assai diffuso, non solo tra gli scrittori for-livesi: il celeberrimo “piove, governo ladro”.

Il famoso degrado del centro storico.dOSSIeR 08

Passeggiate in stile Libertydi Ivano Arcangeloni

Tracce di Liberty a Forlìdi Veronica Franco

MUSICA 18Sebastiano Severi, note nuove per il violoncellodi Stefania Navacchia

lIBRI 19Incontri con l’Autore alla XIX edizionedi Camilla Veronese

RICORdO 21Lamberto Valli, la sua lezione 40 anni dopodi Sara Rossi

ANdAR PeR MOStRe 22Realtà e poesia di Renato Degididi Rosanna Ricci

Sguardi d’autore: Mario Bertozzidi Rosanna Ricci

IN CAUdA VeNeNUM 26Il famoso degrado del centro storicodi Ivano Arcangeloni

(Segue a pag. 26)

FORlì UNdeRGROUNd 24Vita e incredibili avventure di una zeccadi Mario Proli

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L’antefattoIl 9 febbraio 1944 i forlivesi apprendono - da un manifesto affisso appositamente - che i giovani delle classi 1922, 1923 e primo quadrimestre del 1924 sono richiamati alle armi nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, entro i cui confini rientrava anche Forlì. I giovani destinati a combattere al fianco dei nazisti contro altri italiani devo-no presentarsi nelle rispettive caserme entro il giorno 20 di febbraio. La maggioranza dei richiamati non si presenta, e molti vanno invece ad ingrossare le fila del movimento partigiano che si sta organizzando in mon-tagna. Anche in città, tuttavia, i patrioti co-minciano ad assestare i primi pesanti colpi all’apparato nazifascista.Il 10 febbraio due partigiani, in un aggua-to eseguito in bicicletta, uccidono il neo-reggente della federazione fascista forlivese Arturo Capanni nei pressi della sua abitazio-ne a San Varano. Il fatto avviene dopo che, l’11 gennaio 1944, il capo della provincia zaccherini aveva imposto a Forlì una serie di misure relative all’ordine pubblico, tra cui il divieto di assembramento di due o più per-sone nelle pubbliche vie e piazze della cit-tà. Gli unici autorizzati a circolare durante il coprifuoco - cioè dalle 8 di sera fino alle 6 del mattino - dovevano camminare al centro della via e con le mani ben in vista. Inoltre, la polizia aveva l’ordine di sparare senza preavviso contro chiunque contravvenisse alle suddette disposizioni. Il 15 febbraio, a seguito dell’uccisione del federale Capanni, il già citato capo della provincia vieta “a chiunque e per qualsiasi motivo di circolare in bicicletta o con bicicletta portata a mano, sia di giorno che di notte, entro il centro ur-bano di Forlì e Cesena”, specificando che la forza pubblica ha “facoltà di fare fuoco nei confronti di quelle persone che, sorprese a circolare in bicicletta, non ottemperassero immediatamente all’ingiunzione di fermo”.Dal 12 febbraio anche i viaggi in corriera sono limitati e consentiti solo previa richie-sta motivata e prodotta almeno 24 ore pri-ma della partenza. L’uccisione del federale Capanni, oltre ai divieti citati, provoca una

di Fabrizio Monti

Febbraio 1944,gli scioperi a Forlì.

IN PRIMO PIANO

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Le lavoratrici dello storico calzaturificio Trento dei Fratelli Battistini (archivio Zoli).

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immediata e violenta reazione fascista: in poche ore oltre duecento persone sono pre-levate dalle proprie case, dai ritrovi pubblici e dalle strade cittadine ad opera della Guar-dia nazionale repubblicana. Pochi giorni dopo è ufficializzata la notizia che dieci an-tifascisti forlivesi detenuti nelle carceri della Rocca di Ravaldino sono stati trattenuti come ostaggi e deferiti alla sezione regionale del Tribunale speciale fascista, rischiando certa-mente la condanna a morte se i responsabili della morte del federale non si fossero co-stitutivi alle autorità fasciste. Prevedibilmen-te, il divieto di usare la bicicletta non è ben ricevuto dalla popolazione, molto legata al mezzo a pedali. Per la grande maggioran-za dei forlivesi è l’unico mezzo di trasporto, ed è indispensabile per chi quotidianamente dalle campagne deve raggiungere il capo-luogo per commerciare i pochi prodotti utili

a un’esistenza che si faceva ogni giorno più dura a causa delle ristrettezze belliche. Se-condo quanto riportato dal testimone oculare Antonio Mambelli, nel suo diario in data 16 febbraio, è questa la ragione per cui molti operai forlivesi non si presentano al lavoro in attesa di conoscere le zone percorribili in bicicletta, avviando di fatto lo sciopero.

Lo sciopero: 16 - 20 febbraio 1944L’ordinanza che proibisce l’uso della bi-cicletta è solo il pretesto per innescare un clamoroso sciopero nelle fabbriche forlivesi, a quel punto è chiaro a tutti, dopo vent’anni di violenta e totale repressione per il mondo del lavoro da parte del regime fascista. Lo sanno bene anche gli organi della Repub-blica Sociale, lasciandone testimonianza nei documenti ufficiali che si scambiano in

quel frangente, ora conservati negli archi-vi. E lo sciopero è il risultato auspicato dal movimento antifascista, che nelle principali fabbriche forlivesi aveva trovato terreno fer-tile, si era facilmente radicato e, forte del consenso degli operai, vi aveva costituito delle cellule clandestine. Forlì, infatti, nel 1944 si può definire una città industriale, la quale, seppur ridimensionata a causa de-gli avvenimenti bellici, può contare su una classe operaia di circa 5.mila lavoratori. Una classe operaia che - forte dei successi delle commissioni interne clandestine, otte-nute durante le lotte dentro gli stabilimenti nei mesi precedenti - decide di astenersi dal lavoro anche il giorno successivo. Si sti-ma che, il 17 febbraio, 2mila operai non entrarono nelle fabbriche, seguiti dopo la pausa pranzo dalla maggioranza dei lavo-ratori. Il 18 febbraio non si presenta negli

IN PRIMO PIANO

Gli interni della SAOM, Società Anonima Orsi Mangelli, in un’immagine degli anni ‘30 (si ringrazia il sig. Betti).

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stabilimenti la quasi totalità dei dipendenti.Lo stesso 18 febbraio il questore di Forlì con-voca “informalmente” la commissione clande-stina della Orsi Mangelli, i cui operai erano capofila dell’agitazione, per raggiungere un compromesso e porre fine allo sciopero. A quel punto le rivendicazioni operaie si pale-sano al di là della questione delle due ruo-te: vengono richiesti il miglioramento delle condizioni economiche e più eque distribu-zioni di alimenti e di generi di prima neces-sità, rivendicazioni che il questore accoglie verbalmente. Ma per convincere gli operai forlivesi a rientrare al lavoro è necessaria - il 20 febbraio - l’affissione dei manifesti recanti la revoca ufficiale del divieto di circolazione in bicicletta. Lo sciopero continua compatto per tutto il 19 febbraio e parte del 20, allar-gandosi anche agli stabilimenti di Cesena. Come ulteriore prova della valenza politica che lo sciopero ha assunto, gli operai otten-gono dal questore Larice la rassicurazione che i dieci ostaggi non corrono alcun perico-lo di morte. Alcune testimonianze riportano che Larice, da ultimo, fu convinto a dare que-sta garanzia dopo la lettura di un volantino firmato dal Partito Comunista, che lo riteneva “responsabile” della vita dei dieci ostaggi.Tornando al nostro cronista Mambelli, in data 17 febbraio questi annota nel suo dia-rio, riferendosi al secondo giorno di sciope-ro: “Gli operai non hanno nemmeno stama-ne ripreso il lavoro ed è stato fra essi diffuso un volantino alla macchia, dal che appare il carattere politico della protesta […]. Voci di taglio di fili della corrente elettrica allo stabilimento Orsi Mangelli: gli operai rite-nuti fautori del sabotaggio e del movimento sono già tenuti d’occhio, però nessun arresto la polizia e le guardie repubblicane hanno operato. […] In relazione all’uccisione di Ar-turo Capanni, si dice che il capo provincia e questore sarebbero concordi nel non voler gravata la mano sui disgraziati ostaggi in loro potere; il processo contro di essi pare rinviato a lunedì”. Il diarista forlivese era quindi al corrente della svolta politica dell’a-gitazione degli operai e della trattativa tra questi e i governanti repubblichini di Forlì, e quindi dell’accresciuto potere contrattuale dei partecipanti alla Resistenza.

Il bilancio dello sciopero Gli storici che si sono occupati di questi eventi concordano nel ritenere lo sciopero un’importante vittoria politica della Resisten-za forlivese. Di fatto, questa agitazione non fu solo una spontanea reazione di popo-lo, ma anche e soprattutto il risultato di un difficile e costoso lavoro organizzativo del-le forze antifasciste, le quali - tramite una rete clandestina che collegava tutto il nord - stavano già da settimane organizzando uno sciopero generale che avrebbe dovuto coinvolgere tutto il nord occupato dai na-zisti. Si sarebbe dovuto svolgere il 21 feb-braio, ma per diverse ragioni fu spostato al 1° marzo. Forlì così anticipò e fu banco di prova dei più estesi scioperi del marzo 1944, che coinvolsero le principali città del nord d’Italia e che rappresentarono una

svolta determinante nella lotta antifascista in Italia. Finito lo sciopero, il mese di feb-braio a Forlì prosegue “normalmente” tra difficoltà sempre maggiori ma anche con un’accresciuta fiducia in una futura vittorio-sa lotta di Resistenza. Il 21 febbraio Forlì subisce un’ondata di freddo intensissimo, la razione individuale di latte è fissata in 100 grammi e il costo della carne bovina sale da 20 a 22 lire al chilo. Il 24 febbraio don Pippo Prati è nominato abate di San Mercuriale, mentre il diarista Mambelli, nell’ultimo giorno di febbraio, annota che “da parecchi giorni la piazza delle Erbe è deserta, quasi vuote le botteghe, i prodot-ti vengono direttamente requisiti negli orti. […] Centinaia di renitenti [alla leva] hanno abbandonato la città e le campagne vici-ne, dirigendosi alla montagna”.

Officine di guerra in una foto di Maceo Casadei.

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Tornare ai Musei di San Domenico per una nuova mostra è sempre un’emozione. Gli spazi espositivi sono bellissimi: la ristruttura-zione del San Domenico è davvero uno dei più bei regali che la città potesse offrire ai concittadini ed ai tanti turisti che vengono da fuori, ormai da molti anni, per le mostre che vi si organizzano. C’è una bellissima folla domenicale tra le sale della mostra, sento accenti francesi, tedeschi, inglesi e cadenze non romagnole, peccato che fuori di qui la prima cosa che vedranno di Forlì è l’orren-do palazzo grigio già sede dell’Enel, che andrebbe immediatamente e spietatamente raso al suolo, e le discutibili geometrie ce-mentizie del parcheggio Montefeltro... non si può avere tutto: è già molto che da un po’ di anni a questa parte il turista capitato a Forlì per la mostra possa, perfino di dome-nica, trovare un bar o una trattoria aperti nei paraggi della mostra: all’inizio, ai tempi del Melozzo o del Palmezzano, non era certo così, e si provava quasi vergogna a dover instradare chi chiedeva consigli per un pran-zo a prendere le vie delle anonime periferie.A merito degli organizzatori va anzitutto ascritta la scelta del titolo della mostra, il so-brio “Liberty - uno stile per l’Italia moderna”, che non richiama, illudendoli come fanno altri organizzatori, i gitanti della domenica citando grandi nomi di artisti dei quali poi in mostra si vede un’unica opera, di dubbio interesse. Questa sul Liberty non è infatti una mostra griffata: mancano i grandi nomi ca-paci di attrarre da soli migliaia di visitatori, ma non se ne sente la mancanza, e a giu-dicare dalle presenze di questi primi giorni di apertura la capacità dei Musei di San Domenico di creare percorsi che sono au-tenticamente formativi, di fare mostre attente e particolarmente curate sul piano filologico e storico, è ormai nota e riconosciuta anche al di fuori dei confini forlivesi. Così si può passeggiare per le sale della mostra sco-prendo opere davvero interessanti, ed anche imparando molto di quegli anni, di quel pri-mo novecento così ricco, anche in Italia, di audaci artisti “nuovi”, come il faentino do-menico Baccarini, morto a soli venticinque

passeggiata in stile liberty.

dOSSIeR

di Ivano Arcangeloni

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“L’enigma umano” (1900),di Giorgio Kienerk; da sinistra, “Il Dolore”, “Il Silenzio” e “Il Piacere”.

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“La danza delle ore” (1899), di Gaetano Previati (in basso, a destra).

Vaso floreale (1900 c.a.),attribuito ad Adolfo De Carolis (in basso, a sinistra).

“La passeggiata al Bois de Boulagne (I coniugi Lydig)”(1909), di Giovanni Boldini(in alto, a destra).

“Aracne” (1893),di Carlo Stratta(in alto, a sinistra).

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anni, ma già circondato da un cenacolo di emuli, di cui si possono ammirare due prege-voli autoritratti, uno in abito spagnolo ed un altro frontale, con il volto perso su un fondale nero, o gli autori degli straordinari poster che fanno bella mostra di sé nel lungo corridoio del piano terra, in continuità con quelli già ammirati per la mostra novecento, tra cui citerò lo straordinario Fisso l’idea di Marcel-lo dudovich, realizzato per la Federazione Italiana di Chimica Industriale per pubbliciz-zare l’inchiostro: di spalle un possente corpo maschile, dalle forme michelangiolesche, in-ginocchiato a terra che scrive su un muro im-maginario il “Fisso l’idea” dello slogan, fino a che il nero dell’inchiostro scende dal muro immaginario a riempire di sé la stessa figura umana, quasi ad anticipare la Body Art de-gli ultimi anni del novecento. nelle piccole salette del piano terra spicca una deliziosa la danza delle Ore di Gaetano Previati, che poi però lascia in mostra due altre opere decisamente meno riuscite. nella danza tut-to è lieve e lieto, etereo: le aggraziate Ore hanno le sembianze di donne dal gusto deci-samente preraffaellita che si inseguono, rapi-

de e un po’ sapide, tenendosi ad un anello sospeso nel cielo dorato. Peccato che qui lo spazio sia poco, e la danza non abbia il risalto che merita: “Ma non vedi che è pieno imbullonato, cosa vuoi vedere qui?” com-menta qualcuno alle mie spalle cercando di trascinarsi via la moglie...Salendo gli spazi si fanno meno asfittici, e lo scalone d’onore è circondato dagli impo-nenti pannelli de Il poema della vita uma-na di Giulio Aristide Sartorio, nei quali la levità della danza delle Ore e della regina di Sabra del grande Burne-Jones che apre la mostra, sembra essersi dissolta, trasforma-ta nel suo opposto: un cavallo che emerge dal piano del pannello centrale in un balzo tridimensionale è come scuoiato. nel suo scalpitio verso di noi vive di una esuberante invincibile vita, eppure è scarnificato come se fosse pronto per il macellaio: lontananza tematica forse solo apparente dalla levità di stampo preraffaelita. Questi artisti indagano il confine incerto che separa la luce del gior-no dalle tenebre della sera, si collocano su quel diaframma tra vita e morte, tra leggerez-za e dramma, e risiede esattamente in que-

Definizione di stileQuesta è l’acuta definizione di “liberty” che Panzini aggiornò più volte tra il 1905 ed il 1935 nel suo “Dizionario moderno”:

Come aggiunto di stile, vale press’a poco come stile floreale o stile nuovo o aesthetic style o ars nova. liberty è il nome del proprietario di uno stabilimento di Londra ove si vendono mobili di ogni stile, ma specialmente informati a quell’arte stilizzata che muove dall’Inghilterra e che ebbe i suoi primi banditori in Giovanni Ruskin e in Guglielmo Morris. Quest’arte fu specialmente applicata all’industria, mobili, stoffe, parati, ed ebbe per intento di infondere il senso del gusto e del bello anche per ciò che riguarda la vita comune. Non ci fu barbiere, che non facesse dipingere la sua bottega in stile floreale o liberty; non droghiere arricchito che non eleggesse mobili di tale disegno, o ordinasse all’architetto la villa o la dimora informata a tale stile. Cfr. lo stile razionale che domina in Italia, anche nelle chiese!

“Tritone e Nereide” (1895), di Max Klinger.

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“La Signora in rosa”, (1916) di Giovanni Boldini.

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sto loro liminare la loro forza crepuscolare. non prendono mai veramente niente sul se-rio, eppure è tutto così terribilmente serio per-ché il tragico è nella vita stessa, lei sì poco seria. Ecco perché il percorso della mostra può essere illuminato dalla poetica in punta di piedi del Gozzano: “notte e silenzio in-torno. Tutto tace. / Come in un sogno d’ar-monia perplessa / al Poeta ventenne è già concessa / l’ultima pace” [Suprema Quies].

Sempre del Sartorio è il Pico re del lazio e Circe di tessaglia: un’altra armonia, per quanto perplessa. Pennellate dense nella schiuma delle onde marine che si dischiude al passaggio di Pico, e nelle nuvole rosa del cielo crepuscolare, di quel rosa così barocco e lezioso che solo i poeti e la vita possono di tanto in tanto concedersi. O ancora ecco la Sirena: una barca su cui è steso un corpo nudo, di carnagione mediterranea, proteso

verso l’acqua. Qui giace sospesa, sollevata, appena sfiorata dalle braccia del giovane, la Sirena stessa, dalla carnagione così pal-lida da trasfigurarsi in un sogno di donna, i capelli vermigli scompigliati, sparsi sulle ac-que del lago, sembrano quelli di una Mad-dalena, ma non penitente. Armonia, certo: armonico il viluppo semicircolare di corpi e legni, armonico il digradare di colori, dall’o-scurità del legno alla chiarità del corpo di

Le sezioni della mostra

1. Inizio.

2. L’età della comunicazione. L’arte della pubblicità.

3. Torino, Esposizione 1902. L’esaltazione della linea.

4. La diffusione dello stile.

5. L’architettura. L’immagine del moderno.

6. Ascendenze Europee. Contaminazione e confronti.

7. Svolgimenti locali. Baccarini e il suo cenacolo.

8. Così partìa le rose e le parole: figure della letterature, figure dell’arte.

9. Il fascino dei materiali. Metamorfosi del quotidiano.

10. Geni musicali.

11. Il mito. La vita come enigma

12. Sogni e allegorie.

13. Dal senso panico della natura alla linea floreale

14. Ritratto di una società al femminile

15. La montagna incantata. L’io nella solitudine dei ghiacciai

16. Nel segno della secessione. Le grandi decorazioni

17. Il destino e la gloria. Nel segno di Michelangelo

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“La primavera classica” (1914), di Galileo Chini(in basso, a destra).

“Pavonessa” (1903-1904),di Domenico Baccarini(in alto, a destra).

“La spiga” (1909),bronzo di Amleto Cataldi(a sinistra).

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Il taglio del nastro inaugurale della mostra, affidato ad Ivano Dionigi, Magnifico rettore dell’Universitò di Bologna. Foto Giorgio Sabatini.

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lei, ma armonia non classica. A spezzare l’incanto della perfezione irrompe la sensua-lità, il turbamento dei sensi, il non detto nello sfiorarsi dei corpi, la loro provocante nudità. Perplessità che si fa più esplicità nel trito-ne e Nereide di Max Klinger che dialoga dalla parete di fianco con La Sirena. Qui lo sfiorarsi diventa esplicita effusione sensuale, ma la pupilla rossa della nereide, e le sue squame che un po’ sgraziatamente avvolgo-no il Tritone, ci riportano ad affacciarci sugli abissi del macabro. E poi molto altro... forse troppo altro. Vero è che l’arte con il nove-cento si fa arte totale, e il Liberty fuoriesce dalle tele per farsi oggetto di consumo, ed ecco quindi in mostra mobili, ceramiche (al-cune notevoli), vetri (un po’ pochi vetri liberty in mostra), architettura. Ma la tendenza al gigantismo della mostra rischia di sfinire il cu-rioso visitatore, a meno che non sia animato da una missione da compiere, come quella di scrivere un trafiletto per Il Melozzo. E poi c’è qualche intrusione forse un po’ discutibi-le: la sezione dedicata all’architettura, un po’

scarna, ospita anche i disegni del Sant’Elia, che forse non è dei più rappresentativi archi-tetti liberty italiani. Così anche il lungo corri-doio con i ritratti femminili, o quello con i pa-esaggi montani sembrano un po’ “tirati per i capelli”: forse si poteva frazionare la mostra? Renderla un pochino meno “ricca”? Concen-trarsi di più su quanto di bello vi è accolto? Comunque, pur con questi difetti, il pomerig-gio è stato ben speso. Si scende allo shop, ancora ci accompagna un senso di appaga-mento ed anche una certa fierezza civica: sì, accade proprio qui, a Forlì, non siamo alla Tate Britain o alla Alte nationalgalerie, no no, siamo ai Musei di San Domenico, siamo proprio a Forlì: anche a Forlì può capitare di vedere una bella mostra d’arte! Ma poi si tenta di tornare al guardaroba: qui qualco-sa non va. Il budello dell’ingresso è troppo stretto, e la confluenza contemporanea di chi è in fila per entrare, di chi è in fila per riconsegnare le audioguide, di chi le deve chiedere, di chi deve accedere al guardaro-ba, di chi deve uscirne, rende tutto caotico

e faticoso. Ma ci riusciamo, ed eccoci final-mente fuori, nel rosa del crepuscolo, davanti a noi il palazzaccio grigio dell’Enel... non si può avere tutto, siamo pur sempre a Forlì, mica a Parigi!

ORARIO DI VISITA:

da martedì a venerdì: 9.30-19.00; sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20.00. Lunedì chiuso.

21 aprile e 2 giugno aperto. La biglietteria chiude un’ora prima.

Riservato gruppi e scuole tel: 0543 36217

Informazioni e Prenotazionitel: 199 15 11 34Sito web: www.mostraliberty.it

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dOSSIeR

Cancellata di Palazzo Torelli Guarini, in corso Garibaldi, realizzata nelle officine Matteucci di Faenza.Foto Giorgio Sabatini.

Il liberty a Forlì ha lasciato ben poche trac-ce. “L’età del progresso e dell’ottimismo - come ha scritto Roberto Balzani nella pre-messa al catalogo della mostra - da noi fu piuttosto segnata dal protagonismo co-munale in campo imprenditoriale e tecnolo-gico, dalle municipalizzate, dalle scuole e dai servizi sociali: ambiente troppo povero e troppo poco colto, nel Cittadone giunse-ro pallidi riflessi di questa corrente”.Questo non significa però che ad un oc-chio più attento (e paziente) non possano rivelarsi delle gradite sorprese. Muovendo proprio dai Musei San Domenico, infatti, ci si imbatte subito in Palazzo Romagno-li in due affascinanti soffitti floreali (e in due opere di Giovanni Marchini - “L’uomo e il cane” e “Donna con i piccioni” - che pur essendo dei primi Anni Venti rendono apertamente omaggio al gusto calligrafico e decorativistico dell’Art noveau), mentre nel vicino Palazzo torelli Guarini di corso Garibaldi è possibile ammirare una splen-dida cancellata in ferro battuto dello sta-bilimento faentino di Francesco Matteucci, dalle cui officine - con cui collaborava il pittore Giannetto Malmerendi - uscirono anche le cancellate di Palazzo Albertini, in piazza Saffi, e di Palazzo Paulucci de Calboli, che affaccia sulla fiancata sinistra di San Mercuriale.Risalendo corso Garibaldi fino a piazza Saffi merita una pausa l’insegna realizzata (in realtà già nel 1927) da leonida emilio Rosetti per la cartolibreria Raffoni, mentre uscendo dalla piazza verso nord, prima di imboccare corso Mazzini, ci si trova sulla sinistra il cine-teatro Apollo (in via Men-tana, 8) realizzato nel 1913 su disegno dell’ingegnere Sesto Baccarini che si era ispirato ad alcuni teatri austriaci (da cui il primo nome della sala di “Kursaal”). nulla è sopravvissuto invece di un altro cinema-teatro, l’esperia, la cui sala era stata deco-rata da Cesare Camporesi.Sempre sulla sinistra, risalendo corso Maz-zini si trova Palazzo numai Foschi (in via Pedriali, 12), noto soprattutto per le vicen-de di cui fu protagonista nel Rinascimen-

di Veronica Franco

TRACCE di liberty a forlì.

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to e per l’elegante cortile quattrocentesco con portico su tre lati, ma che merita di essere citato anche con riferimento al li-berty perchè una della sale che ospitano il museo ornitologico fu decorata a tempera nel 1925 da Francesco Olivucci con un fregio a finta ringhiera (in corda e ferro)

che, poggiando su una fascia blu con mo-tivi stilizzati, racchiude dei motivi vegetali (così come merita di essere ricordato che a identificare la mano di Olivucci fu pochi anni fa il pittore Francesco Giuliari).Tornati su corso Mazzini e percorsolo fino alla porta ci si trova davanti all’ex caffè ri-

storante “Alla vittoria”, l’esempio più com-piuto di architettura liberty nella nostra cit-tà, progettato da Leonida Emilio Rosetti nel 1900, come struttura ricettiva al servizio della vicina stazione ferroviaria. La carat-terizzazione dell’edificio è affidata ai sem-plici elementi compositivi e decorativi del prospetto: dalle eleganti ringhiere di ferro battuto agli ornamenti plastici con ghirlan-de, teste femminili, finestre ad occhiali, propri del contemporaneo gusto floreale europeo. Sempre sui viali che abbracciano il Centro Storico, vicino all’opposta Porta Ravaldino, si può quindi ammirare il Villino Soprani, realizzato tra il 1938 ed il 1940 sempre da Leonida Emilio Rosetti, omaggio nostalgico all’ormai perduta architettura Art nouveau. nel decennio precedente, cioè a partire dal 1926, fu drasticamente rimaneggiata secondo i dettami dell’epoca la facciata settecentesca di Palazzo Benzi (al 26 di via dei Mille 26) ricorrendo alla pietra artificiale. Il progetto realizzato da Virginio Stramigioli potè valersi per la de-corazione esterna dell’opera dello scultore Giuseppe Casalini, mentre a Francesco Olivucci e Gino Mandrone fu affidata la decorazione degli interni.Alla fine degli Anni Venti risale anche il Villino Sardi di via Cairoli, realizzato su progetto sempre di Rosetti, sull’area degli ex-orti Masini, per contenere al piano ter-ra un laboratorio artigianale con relativa sala mostra, per la produzione di materia-le di decorazione. I fronti sono incorniciati da alte lesene che sottolineano gli spigoli dell’edificio ed esaltano la smussatura del prospetto, dove due grandi finestre tripar-tite segnalano la centralità funzionale del villino. Le decorazioni ad affresco degli esterni sono di Cesare Camporesi. nei pressi di via Cairoli, ovvero in corso della Repubblica ed in piazza Solieri meri-tano ancora una citazione il Circolo Maz-zini (ultimato nel 1921) che vide la col-laborazione di Leonida Emilio Rosetti con Cesare Camporesi, e l’edificio di ingresso dell’ex Ospedale Civile, progettato da Giovanni Tempioni nel 1905, accomunati oggi dalla medesima funzione di sedi del polo universitario forlivese.

Il caffè ristorante “Alla Vittoria”, nei pressi di Porta Mazzini, progettato dall’architetto Leonida Emilio Rosetti (immagine tratta da “Forlì fra “800 e 900” di Elio Caruso).

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La carriera di un musicista può essere para-gonata ad un viaggio che egli compie nei vari territori, cioè nei vari repertori della sto-ria della musica. In questo percorso lo stru-mento non è solo un bagaglio, ma anche un compagno di cammino con cui mettersi in dialogo e in gioco.Il compagno di Sebastiano Severi è da sempre il violoncello, da quando si diplo-mò presso il Conservatorio “Giuseppe Ver-di” di Milano, conseguendo anche il Diplo-ma di Violoncellista alla Regia Accademia Filarmonica di Bologna, diventandone Acca-demico. Attualmente è primo violoncello con le orchestre “Bruno Maderna” di Forlì, “Città Aperta” di L’Aquila e “Pro Musica” di Pisto-ia. A questa attività unisce anche un interes-se per la musica nuova, attraverso il lavoro con l’ensemble “Fontana Mix” di Bologna. Proprio per quanto riguarda la produzione musicale del nostro tempo proponiamo ai lettori di spostarsi dalla carta alle piattafor-me digitali e vedere-ascoltare “Miniatura X per violoncello” di Nicola evangelisti, “andando” su YouTube alla pagina: https://www.youtube.com/watch?v=_n91JYh0fXY.

In questa esecuzione appare chiaro come Severi evidenzi il lavoro sul timbro, sulle di-namiche, sull’aspetto percettivo del suono e come abbia compreso le istanze della musi-ca del nostro tempo. A ben ascoltare, però, questa musica non appare molto lontana a quella Barocca, produzione nella quale l’e-sigenza di meravigliare era prioritaria, così come lo era nelle arti figurative. Ecco allo-ra che timbri aspri, dinamiche esagerate e suoni a volte “brutti” si ritrovano anche nella musica del ‘600 e del ‘700. In quel perio-do, inoltre, la fisionomia degli strumenti era in continuo cambiamento e dunque i com-positori erano chiamati a sperimentare le loro possibilità. Queste antiche sonorità dal sapore così moderno sono state riscoperte dagli studi filologici di questi ultimi decenni da esecutori che hanno avuto il coraggio di riutilizzare strumenti d’epoca.E proprio questo repertorio è un altro cam-mino che da tempo sta compiendo Severi, per il quale ha scelto come compagno di viaggio un violoncello italiano, costruito nella prima metà del ‘700. Due tappe im-portanti di questo percorso sono state il diploma in musica barocca e conseguen-temente il “Premio Cirri” come miglior

diplomato al Conservatorio “Bruno Ma-derna” di Cesena in musica barocca per l’anno 2012/2013. Il riconoscimento gli è stato consegnato il 6 aprile scorso, durante il “Concerto del Vincitore” nell’ambito della Rassegna “Ravaldino In Musica”. Compositore e violoncellista forlivese, Gio-vanni Battista Cirri, proprio come Severi, fu Accademico all’Accademia Filarmonica di Bologna e fu uno dei musicisti che con-tribuì a sperimentare le tecniche esecutive dello strumento. nel corso della serata del 6 aprile è stato eseguito il suo Concerto Op. 14 n. 3 per violoncello e orchestra. Si sono ascoltate anche opere di Johann Seba-stian Bach, Pietro Giuseppe Gaetano Boni e Martin Berteau. Accanto a Severi si sono esibiti l’Orchestra barocca del Conservato-rio di Cesena, Filippo Pantieri, direttore ar-tistico della rassegna, Sophie Chang, Josek Cardas, Anselmo Pelliccioni e Luca Bandini. Anche in questo repertorio il bagaglio di Severi è ricco di esperienze e di collabora-zioni con l’Accademia degli Astrusi di Bolo-gna e con artisti quali Cecilia Bartoli, Anna Bonitatibus, Anna Caterina Antonacci, Sara Mingardo. I cammini sono aperti: il viaggio di Severi continua...

Sebastiano Severi,note nuove per violoncello.

MUSICA

di Stefania Navacchia

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Si pone sotto il segno dell’originalità e del-la molteplicità dei destinatari la XIX edizione della rassegna “Incontri con l’Autore”, la più longeva tra le iniziative culturali della Fonda-zione Cassa dei Risparmi di Forlì. Oltre alla rassegna “principale” in programma all’Au-ditorium Cariromagna, con ospiti scelti tra le figure di narratori, poeti e studiosi di maggior rilievo a livello nazionale se non internazio-nale, la Fondazione si appresta infatti a lan-ciare quest’anno anche una rassegna dedi-cata agli scrittori ed agli editori locali ed una rassegna riservata alle scuole secondarie di cui saranno protagonisti “Scrittori che narrano scrittori”. La rassegna principale è stata aper-ta venerdì 4 aprile da Massimo Franco, già editorialista di Avvenire ed ora notista politico del Corriere della Sera, che ha presentato, insieme all’imam milanese Yahya Sergio Yahe Pallavicini la sua indagine su “Il Vaticano se-condo Francesco. Da Buenos Aires a Santa Marta: come Bergoglio sta cambiando la Chiesa e conquistando i fedeli di tutto il mon-do” fresca di stampa per Mondadori.Venerdì 6 giugno sarà quindi ospite della rassegna uno dei massimi narratori tedeschi, Matthias Politycki (vincitore, tra gli altri, del premio letterario Civitas nel 1987, del Ba-yerischen Staatsförderpreis für Literatur nel 1988, dell´Ernst-Hoferichter-Preis nel 2009 e del premio LiteraTour nord nel 2010), di cui Giovanni nadiani ha recentemente tradotto per la casa editrice forlivese CartaCanta il perturbante “Racconto dell’aldilà”, segnalato nel 2012 per il prestigioso “Independent Foreign Fiction Prize”. Dopo la pausa estiva sarà la volta dell’inedi-ta coppia formata da Gustavo Zagrebelsky (ex presidente della Corte Costituzionale) e luciano Canfora (uno dei maggiori se non il massimo filologo classico vivente) che stanno per pubblicare con Laterza il saggio a quat-tro mani “La maschera democratica”, sul qua-le saranno intervistati dal professor Geminello Preterossi dell’Università degli Studi di Saler-no. Altro appuntamento da non perdere nei mesi autunnali sarà la presentazione in forma di spettacolo di “Requiem” di Giuseppe Bel-losi, che raccoglie i tre poemetti in dialetto

romagnolo del poeta e studioso fusignanese “È paradis” (Il paradiso), “Bur” (Buio), e “Re-quiem”, che verranno appositamente raccolti in unico volume per la rassegna a cura della casa editrice La Mandragora di Imola. Sul palco con Giuseppe Bellosi salirà il violoncel-lista lughese Fabio Gaddoni, collaboratore di ensemble ed orchestre come I Virtuosi Italiani, la Filarmonica A. Toscanini di Parma, l’Or-chestra del Teatro Regio di Parma, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, I Cameristi della Scala di Milano e la Filarmonica della Scala di Milano.La rassegna dedicata agli autori ed edi-tori forlivesi sarà invece ospite della Sala Assemblee del Palazzo di Residenza della Fondazione forlivese l’ultimo venerdì utile di ogni mese, sempre alle ore 17.00 e sem-pre ad ingresso libero. Il programma è stato aperto il 18 aprile dalla presentazione de “La giostra di Cino Pedrelli”, a cura di L. Riceputi, cui seguiranno il 30 maggio “Ar-monicamente. Arte e scienza a confronto” a cura di Pietro Greco, il 27 giugno la “Gui-da Storico-Artistica di Lugo, Faenza, Imola e della Bassa Romagna” di Pierluigi Mores-

sa, il 26 settembre “Tenebrosa Romagna” di Eraldo Baldini, il 31 ottobre “D’un sangue più vivo. Poeti romagnoli del novecento” a cura di Gianfranco Lauretano e nevio Spa-doni, il 28 novembre “Scritti, lettere, dedi-che, avvisi ai lettori” di Francesco Marcolini, a cura di Paolo Procaccioli e il 19 dicembre “Posizione orizzontale” di Dmitrij Danilov a cura di Emanuela Bonacorsi. Spazio quindi agli studenti delle superiori con i tre appuntamenti al cinema-teatro Apollo di via Mentana dedicati a quegli autori che pur ben presenti nei programmi scolastici mol-to difficilmente riescono ad essere trattati in classe. Inedito anche il punto di vista offerto, che non sarà quello della critica letteraria, ma di altri scrittori che nei grandi del novecento riconoscono i propri punti di riferimento. La rassegna per le scuole è stata così aperta da Gianluca Favetto che ha raccontato l’11 apri-le la funzione che Italo Calvino riconosceva alla scrittura di finzione, e proseguirà il 10 maggio con Carlo D’Amicis che racconterà la figura di Pier Paolo Pasolini e con Davide Longo che il 21 maggio si soffermerà sull’o-pera di Beppe Fenoglio.

Incontri con l’Autore alla XIX edizione.

Gustavo Zagrebelsky (a sinistra) e Luciano Canfora saranno a Forlì dopo l’estate, per presentare il loro saggio “La maschera democratica”.

lIBRI

di Camilla Veronese

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Forlì ha ricordato Lamberto Valli a qua-rant’anni dalla scomparsa. Il 26 marzo scorso, nel salone comunale di Forlì, è stata proiettata una ‘lezione’ di lamber-to sulla Costituzione, con l’attore Massimo Foschi che ha letto brani da “Vincerà la vita”, la raccolta di scritti di Valli. Molti gli interventi di persone che hanno conosciuto Lamberto Valli e che hanno portato le loro testimonianze di amicizia e di affetto. Il suo nome è legato in particolare all’attivi-tà di insegnante e di militante delle Acli (Associazione cristiana lavoratori italiani). Riportiamo una breve sintesi della vita di Lamberto così come è stata presentata da Salvatore Gioiello nel libretto “nostro fratel-lo Lamberto” scritto nel 1989, in cui sono riportati vari interventi di chi lo conobbe: “Lamberto Valli era nato a Forlì nel 1932. Laureato all’Università di Bologna in Lettere e Filosofia, si dedicò fin dagli anni giova-nili ai problemi dell’educazione. Insegnò nella scuola media ‘Pascoli’ e al liceo Clas-sico della nostra città. nel 1962 divenne docente di ‘Telescuola’ ideata e messa in onda dalla Rai Tv. Successivamente fu no-minato Segretario del Comitato Tecnico per la Programmazione Scolastica al Ministero della Pubblica Istruzione. Militante dell’Azio-ne Cattolica e delle Acli, maturò un fervido impegno sociale e politico: fu consigliere comunale a Forlì, consigliere d’ammini-strazione del nostro ospedale, pro-rettore dell’orfanotrofio ‘Tartagni’ e, dal 1966 al 1971, presidente provinciale delle Acli. La sua preparazione, puntuale e aggiornata, sulle problematiche del mondo scolastico e dell’universo giovani lo condusse a parte-cipare assiduamente, come esperto, a va-rie rubriche radiofoniche, ‘Il convegno dei cinque’, ‘Speciale GR’, ‘Chiamate Roma 3131’. Ebbe incarichi anche presso il Mini-stero della Difesa, allo scopo di coordinare iniziative educative e scolastiche fra i mili-tari di leva. In tale ambito fece parte della redazione televisiva di ‘Tvm’ e collaborò a ‘Quadrante’, la rivista destinata a questi giovani, ai quali egli per tre anni conse-cutivi si rivolse puntualmente ogni quindici

giorni attraverso articoli molto impegnati, una parte dei quali sono raccolti nel volume ‘Vincerà la vita’, forse il ricordo più tangibi-le e significativo che oggi ci resta”. lamberto Valli morì di tumore il 10 feb-braio 1974. La sua ultima toccante lezione alla radio commosse tutti gli ascoltatori e rimase impressa nella memoria di molti: “Voglio soltanto narrare un’esperienza: da un anno sto cercando di vincere un nemi-co oscuro che ho dentro, un tumore. So bene che questa è una parola che fa molta paura, è quasi una condanna a morte; ma vorrei dire che questa è una constatazione, non la morte. Fratelli miei, non si muore necessariamente di tumore. Si può lottare, forse si morirà, ma guardate che bisogna lottare; bisogna credere nelle ragioni della vita. La vita vale, la vita conta. Guardia-moci dentro: la vita è così bella da vivere proprio perché c’è l’amore. noi saremo misurati solo sull’amore che avremo dato e che avremo ricevuto. Se noi amiamo gli al-tri e ci facciamo amare, allora non avremo paura neanche del tumore. Bisogna avere fiducia e non bisogna dire di un ammalato di cancro: ‘È andata, a questo punto com-passioniamolo’; fratelli non lasciateci soli. Se qualcuno ha un parente, un amico con un tumore, non lo eviti, non lo scansi, non lo consideri un lebbroso. Gli faccia capire che è vivo, che l’amore vince sulle cellule impazzite”.Concludiamo questo breve ritratto di Lam-berto Valli con le parole del giornalista Ser-gio Zavoli, che fu legato a Lamberto da grande amicizia: “Lamberto fu un uomo di parola, oltre che di azione. Certo, non la parola vana, declamatoria, astratta, dolci-ficante, edificante, virtuosa, ma una paro-la che provoca, che urla, che esige; una parola che si pone rispetto all’altro come testimonianza. ‘Io ti parlo rispetto a ciò che sono e sono disposto a farlo’... La sua pe-dagogia è stata fortemente segnata dalla politica, non la politica dei partiti ma la politica dello stare assieme, la politica nel senso comunitario, del dover mettere insie-me i nostri problemi e risolverli in base a interessi di carattere generale: la politica è Uscirne insieme”.

Lamberto Valli,la sua lezione 40 anni dopo.

RICORdO

di Sara Rossi

Educatore a tutto campoLamberto Valli, forlivese, nato il 5 giugno 1932, laureato in lettere e filosofia, dedicò all’insegnamento molte delle sue forze. Nel 1962 divenne docente di “Telescuola”. Nel 1970 fu chiamato a far parte, col ruolo di segretario, del Comitato Tecnico per la Programmazione Scolastica al Ministero della Pubblica Istruzione. Partecipò a varie rubriche radiofoniche, tra le quali “Il convegno dei cinque”, “Speciale GR” e “Chiamate Roma 3131”. Nello stesso 1970 fu incaricato dal Ministero della Difesa di coordinare iniziative educative e scolastiche per i militari. In questo ambito ideò e curò la rubrica televisiva “TVM”. Ma ciò che lo mise a più diretto contatto con i giovani di leva fu la collaborazione assidua a “Quadrante”, la rivista ad essi dedicata. Dal 1966 al 1971 fu presidente provinciale delle ACLI. Morì prematuramente nel 1974.

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Un evento che lascerà un segno nel per-corso dell’arte forlivese è la mostra retro-spettiva ‘Realtà e poesia’ di Renato de-gidi (1914 - 2007), allestita dal 19 aprile al 25 maggio nel palazzo del Monte di Pietà, residenza della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Le opere in mostra sono un’antologia di dipinti realizzati in circostanze e periodi diversi da Renato Degidi, artista estremamente riservato e, per questo, poco conosciuto in città. La sua attività di docente di disegno nella scuola media locale gli ha consentito di venire a contatto con molti giovani, ma, a parte la sua dedizione ad insegnare le tecniche espressive dell’arte, non faceva mai riferimento alla propria attività di ar-tista. Un’attività che spaziava dall’amatis-sima incisione agli acquarelli, dagli oli ai disegni e anche alla scultura. La sensibilità del suo animo si rivelava in maniera sor-

prendente nelle acqueforti, ma anche i pa-esaggi dimostravano una partecipazione attenta e scrupolosa; lo stesso si verificava nella produzione a tema religioso. Renato Degidi, infatti era animato da profonda fede religiosa e nutriva anche un grande rispetto per la natura, che traduceva sem-pre con colori pieni di forza e di armonia. Tutte le opere in mostra dichiarano una fondamentale e sostanziale bellezza: se-gni, colori, luci accarezzano le forme e traducono in modo vivo ed efficace rifles-sioni personali dell’autore sull’esistenza, sui ricordi, sulla quotidianità, ma anche su indagini psicologiche dei personaggi rappresentati. E poi il silenzio. non quel-lo incombente di stanze vuote, ma quello lirico, lieve, in cui fiori, oggetti, paesaggi hanno una loro voce e comunicano anche la dedizione e il piacere dell’artista nell’in-cidere una lastra. degidi si è misurato artisticamente an-che con stili e materiali diversi, anima-

to dalla volontà di conoscere e di ricer-care sempre cose nuove nel corso della sua attivitò artistica. ne sono la prova alcune forme astratte come quelle di una imponente scultura o l’attenzione rivolta all’essenzialità dell’immagine e, di contro in altre opere, l’estrema precisione anche nei più piccoli particolari. L’artista Degidi realizzava opere non per il mercato ma per se stesso: talora la sua forza creativa lo orientava verso forme di grandi dimen-sioni (in particolare le tematiche sacre), altre volte, al contrario, verso immagini dalle misure minimali, come quelle di un francobollo. Ma la perizia era la medesima in tutte le sue opere e l’aveva raggiunta anche grazie agli insegnamenti, in Accademia a Bologna, da parte di eccellenze come Giorgio Morandi e Virgilio Guidi. La mo-stra è un’opportunità da non perdere per conoscere un artista lirico e raffinato del novecento forlivese.

Realtà e poesiadi Renato Degidi. Il paesaggio di Ravaldino

in un opera di Renato Degidi.

di Rosanna Ricci

ANdAR PeR MOStRe

Chi è Renato DegidiRenato Degidi è nato a Loiano (Bologna) il 14 maggio 1914 e si è formato all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove fu allievo di Giorgio Morandi e di Virgilio Guidi. Ha partecipato a varie mostre nazionali ottenendo ovunque premi e consensi di critica. Pittore, grafico e scultore, ha vinto il primo premio (1976) alla mostra nazionale per l’incisione a Genova. Ha conseguito premi al concorso “Primavera lombarda” di Milano e alla Mostra Nazionale del G.A.D.A. di Firenze (1971). Una sua scultura in ferro, raffigurante un atleta, si trova allo stadio del Coni a Pavia. Per meriti artistici è stato nominato membro dell’Accademia Tiberina di Roma e dell’antica Accademia dei Filopatridi. Hanno scritto di lui e delle sue opere i pittori Virgilio Guidi e Giacomelli, i critici d’arte Rezio Buscaroli, Carlo Savoia, Mario Portalupi, Raffaele de Grada e Cecil Toumarison nel volume sull’arte contemporanea edito a Parigi. È incluso nel Dizionario illustrato degli incisori italiani del prof. Luigi Servolini.

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Forlimpopoli è la città di Pellegrino Artusi, ma è anche la città dello scultore Mario Bertozzi (nato nel 1927) che all’Artusi ha dedicato la grande statua che si erge impo-nente all’ingresso della cittadina romagnola. Per ammirare le opere di Mario Bertozzi sono state allestite a Forlì ben due mostre nel mese di marzo 2014: la prima, “Il se-gno e la forma”, è stata esposta nel Palaz-zo del Monte di Pietà dal 1° marzo al 6 aprile; la seconda, “Sculture e disegni”, ha avuto come sede la Galleria d’Arte Farneti in via degli Orgogliosi 7, dal 22 marzo al 13 aprile. Bertozzi è molto conosciuto non solo nella sua città d’origine ma in molte altre città italiane e straniere in cui ha alle-stito mostre, ha ricevuto premi oppure ha realizzato monumenti. Fondamentale per lui fu l’incontro con lo scultore Giuseppe Casa-lini che si rese subito conto delle qualità del giovane e, oltre a fornirgli i primi rudimenti di disegno e di scultura, convinse i genitori del futuro artista a fargli frequentare il Liceo Artistico di Bologna, dove ebbe come inse-gnanti Cleto Tomba e Luciano Minguzzi. Da quel momento la creatività di Bertozzi non ha conosciuto tregua: ha creato sculture di grandi, medie e piccole dimensioni e ha allestito mostre in varie città d’Italia, sempre alimentato da grande amore e dedizione per l’arte. È lui stesso a spiegare i motivi che alimentano le sue sculture: “Mi piace model-lare e sentire in mano la terra così compat-ta che crea in me un istinto prepotente, al punto da aggredirla e ridurla in volumi pieni e compatti, proprio per il gusto di capirla e tradurla. È necessario cercare di vedere dentro quelle immagini che rappresentano la scultura nella sua verità naturale e, solo quando posso modellare, sento di diventare me stesso, raggiungendo la mia realtà”. E poi la sua grande passione per il disegno. Una passione che tuttora lo impegna a di-pingere, anche con le mani, temi di attua-lità come gli uragani, al cui sopraggiunge-re uomini ed animali cercano la salvezza attraverso la fuga. Il realismo è la linea espressiva scelta in prevalenza dall’artista. Ciò non significa, però, che Bertozzi non

si lasci attrarre da forme simboliche come, ad esempio, il ‘gallotauro’, una figura in cui si coniugano le caratteristiche salienti del gallo e del toro perché, come spiega l’artista, entrambi sono pieni di vitalità, di forza, di energia, di passionalità. La stes-sa che non abbandona mai lo scultore. Per quanto riguarda il segno questo se-gue l’umore di Bertozzi: dalla delicatezza dei nudi alla precisione nella sagoma dei tori, fino all’esuberante ritmo delle immagi-ni dell’ultimo periodo. La partecipazione dell’artista rende singolare ogni immagi-ne sia essa pittura o sia scultura. In tutte si registra comunque un animo sensibile che sa tradurre la realtà e la sua metafora con grande energia e potenza ma anche, in molti casi, con infinita poesia.

SGUARDI D’AUTORE: MARIO BERTOZZI.

Sopra, l’inaugurazione della mostra nel Palazzo ex Monte di Pietà. Foto Giorgio Sabatini.Sotto, un toro in bronzo opera dell’artista Mario Bertozzi.

di Rosanna Ricci

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utti sanno che il ciclo vitale di una zecca è caratterizzato da tre stadi e che ogni pas-saggio da uno stadio all’altro avviene dopo un pasto di sangue. Meno conosciuto, invece, è ciò che di buono e

solidale avviene quotidianamente nelle nostre città. Perché è un dato di fatto che l’attenzio-ne si concentra facilmente su ciò che sa di pericoloso e negativo, di pruriginoso, di infe-dele, come ricorda la regola giornalistica per attirare i lettori: sesso, soldi e sangue. Ecco il perché dell’enorme successo della zecca, in-setto noto per le doti amatorie, con un nome che evoca il luogo dove si conia moneta e che, per natura, brama il sangue. La nostra storia sotterranea - anche in questo caso sco-perta dall’etologo Marfull Polzer a cui si deve l’intera raccolta di Forlì Underground, che dal sottoscritto è semplicemente redatta - inizia da un minuscolo guscio d’uovo di zecca che si è schiuso nel cortile di un istituto bancario. Poco distante rilucevano i legni di radica della sede direzionale, retaggio d’un fasto antico ormai affacciato sull’erba alta dei giardinetti interni. In quel luogo ebbe inizio l’esperimento scienti-fico. A condurlo era un ricercatore, con laurea in scienze naturali appesa alla parete e una coraggiosa attività commerciale nell’usato per cercare di sbarcare il lunario. Egli dedicava il tempo libero ad applicare soluzioni alchemi-che all’entomologia e in quel periodo stava testando una specie di “cimice” per zecche. La cimice, intesa come microspia, sarebbe sta-ta inoculata in un adulto femmina che l’avreb-be passata a un uovo. L’oggetto tecnologico doveva segnalare posizione geografica, regi-strare suoni, captare pulsioni e altro ancora. Dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto, finalmente giunse un segnale. Proveniva da quel cortiletto. L’inventore lo seguì e notò uno sviluppo attraverso tre periodi di movimento inframmezzati da due di stasi. La terza pau-sa decretò la fine del ciclo vitale della zecca e la necessità di localizzare la “microscatola nera” per studiarne il contenuto. Venne ritrova-ta, la microspia, in un cortile vicino all’Ospe-dale. Dall’analisi emerse quanto segue. Il pri-

mo pasto di sangue fu a spese di un piccolo roditore, un’arvicola probabilmente, e il suo itinerario spostò l’insetto in un altro quartiere del centro storico, dove funziona una scuola professionale; uno di quei posti dove si inse-gna ai ragazzi un mestiere e viene offerta la possibilità di apprendimento a chi non è

tagliato per un percorso standardizzato dai programmi scolastico sempre più sballottati da riforme e controriforme. I sensori mostrarono la vitalità di quel luogo fra sport e gioco, conver-sazioni e laboratori. nelle vicinanze, la zec-ca intercettò pure il fervore di un’altra struttura nella quale si recavano persone in difficoltà

di Mario Proli

Vita e incredibili avventure di una zecca.

FORlì UNdeRGROUNd

continuano SUL MELOZZO le storie SURREALI AMBIENTATE NELLA forlì CONTEMPORANEA.

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per mangiare, dormire, trovare ascolto e aiuto. Fu in questo posto che avvenne la prima lun-ga pausa e qui, ad un tratto, l’orologio bio-logico dell’insetto riprese a battere compien-do il secondo pasto di sangue. Vittima: un canide. Probabilmente un cane visto in città che di altri canidi, come lupi, sciacalli, licao-ni o volpi, non è semplicissimo trovarne. Ma dal momento che non mancano oggigiorno case con pitoni e iguane lo spirito scientifi-co dell’alchimista si assestò sulla definizione corretta. Il canide doveva essere domestico e ben curato. Ad ospitarlo una donna che operava in varie associazioni o meglio in uno snodo di coordinamento del volontaria-to. Lo studio delle registrazioni restituiva, infat-ti, un quadro composto da tante persone che si adoperano tutti i giorni su differenti fronti: aiuto ai sofferenti, assistenza agli anziani, lotta contro le malattie, impegno per la ricer-ca medica, contrasto all’illegalità, presenza in strada e nei parchi al servizio di famiglie e scuole, impegno per l’ambiente, la cultu-ra, lo stare insieme e altro ancora. Insomma, una specie di esercito in missione per buone cause fatto di migliaia di soldati operosi e silenziosi. Dopo molte giornate di volontaria-to arrivò la seconda pausa che fu interrotta dall’ultimo pasto di sangue. Questa volta a prendersi in groppa la zecca, che divenne presto grande come un seme di cocomero, fu un gatto. Un gattaccio maschio, finito fuo-ri zona durante la stagione dell’amore felino e rientrato a casa sua, vicino all’Ospedale appunto, dimagrito, spelacchiato e con nuo-ve cicatrici. Fu in quest’ultimo periodo che la zecca mostrò la maggiore intensità emotiva. Le registrazioni erano chiare. I picchi più alti di pulsione avvennero durante la passeg-giata del gatto sui cornicioni del padiglione dove vanno i donatori di sangue, di plasma e dove viene portata avanti la cultura della donazione. nelle registrazioni si sentiva una voce che dava numeri: “6.001 donazioni in città nell’ultimo anno, 3.495 donatori, 330 giovanissimi di cui maggioranza ragazze. Questo è aiuto concreto, altro che chiacchie-re!”. La vista delle sacche vermiglie e turgide emozionò a tal punto la zecca che quando, insieme al gatto, fece ritorno a casa ammo-sciò il rostro e cadde al suolo vicino alla ciot-

tola delle crocchette. Fu allora che una ban-date ucraina notò l’insetto e lo abbrustolì con un fiammifero. La zecca sublimò la sua vita in un bagliore infuocato che lesionò irrime-diabilmente il dispositivo alchemico. La “cimi-ce” non fu più utilizzabile. Del microscopico apparecchio funzionava solo il localizzatore

GPS e si era salvata la memoria. Grazie a questi dati è stato possibile scrivere la storia. L’inventore ha cercato di ricostruire il marchin-gegno senza però riuscirvi e ancora oggi, appena finisce di lavorare, corre in labora-torio per cercare di capire il segreto di quel magico esperimento.

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IN CAUdA VeNeNUM

Il famoso degrado del centro storico.

Il Comune non fa niente per fermare il degra-do. Cosa dovrebbe fare, però, non si sa. Le mostre del San Domenico, la recente apertura di Palazzo Romagnoli, quella di Palazzo Ta-lenti-Framonti in piazza, le varie iniziative cul-turali promosse per rivitalizzare il centro, gene-rosamente finanziate dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, non c’è niente che basti. Cosa dovrebbe fare, allora, il Comune? Tace-rò dell’idiota proposta di aprire alle auto perfi-no piazza Saffi. E cos’altro propone il popolo degli scontenti? niente. Pare che ci siano solo le auto, che l’unico problema siano le auto: quindi la proposta dirompente e innovativa degli scontenti consiste nell’ampliare i parcheg-gi, abbassare i costi della sosta, o addirittura azzerarli. Punto. Perché se i negozi del cen-tro chiudono è perché le auto non possono arrivare fino in piazza. Ma prima? Quando erano aperti e le auto non arrivavano comun-que fino alla piazza, perché non ci sono mai arrivate, come facevano? Ah, la logica, altra nemica delle incrollabili certezze della fede! Stranieri, dunque, e incapacità del Comune. E poi? I nostri interlocutori sollecitati ad indivi-duare una terza causa un po’ si smarriscono, un po’ si innervosiscono. Una terza causa? Perché, queste due non bastano? Qualcuno ci riprova con gli immigrati: non basta averli messi al primo posto. Sono primi e anche ter-zi. E poi forse quarti e quinti, fino alla decima posizione in classifica. Evidentemente non ve-dono nessuna responsabilità dei commercian-ti. Forse, e sottolineo forse, se alcuni chiudono è anche per l’incapacità loro di innovarsi, di offrire qualcosa di accattivante, di interessante. In piazzetta don Pippo (già piazzetta delle Po-ste) ha aperto nel periodo natalizio il negozio di Emergency, e ha lavorato. Da quando il ne-gozio della cooperativa Equamente è all’inizio di via delle Torri, ad un passo dalla piazza, vende di più di prima. Qualcuno, dunque, ce la fa. Qualcuno vende. nonostante la crisi, i negri ubriachi e l’inettitudine del Comune. E come fa? non sarà che qualche commercian-te di Forlì non sa stare sul mercato? E l’Iper? Il nostro faraonico Iper? Le cui glorie sono cantate per tutte le strade della Roma-gna? Il mitico Punta-di-Ferro? Che già il nome

è tutto un programma. Pensa se l’avessero costruito in via Martiri Ebrei. L’avrebbero chia-mato “Il Martiri Ebrei”? Dove andate oggi? Al Martiri Ebrei? Forse sarebbe stato comunque meglio di “Punta-di-Ferro”...non avrà contribuito anche l’Iper al calo di vendite dei commercianti del centro, allo svuo-tarsi della piazza? Leggiamo dalle cronache locali: “Iper aperto a Santo Stefano, grande ressa al Centro commerciale”, “Più di mille per-sone in fila per entrare nel centro commerciale di Forlì, tremila ingressi solo nella prima ora di apertura”, e ancora: “Al via i saldi, in 25mila all’Iper”. E da dove vengono quei 25mila? Sì, in molti verranno da Ravenna, poiché pare che il nostro Iper piaccia molto anche fuori le mura. Altri verranno dal forese: è così como-do arrivare all’Iper, così facile parcheggiarci, e poi la sosta non si paga. E dentro, vuoi mettere? Tutta quella bella gente, tutti quei bei negozi, tutta quella scelta... E va a finire che anche molti forlivesi hanno finito per passarci le feste, invece di venire in piazza. Dopo poi se ne pentono, tornano a sera sfiniti e nervosi, perché non è mica poi così riposante gironzo-lare dentro all’Iper. E con tutte quelle macchine si litiga per i parcheggi anche là, mica solo in centro. Mal di testa, nervi a pezzi, porta-

foglio svuotato. Mai più, mai più, pensa tra sé e sé, senza osare dirlo ad alta voce, il pa-dre di famiglia incazzato nero perché non ha potuto godersi la sua partita su Sky. Ma poi la domenica dopo, inevitabilmente, ci ricasca. Cosa facciamo oggi? In centro? Con tutti quei negri bighellonanti? Con tutti i negozi chiusi? no, dai, facciamo piuttosto un giretto all’Iper, così compro lo yogurt bio che è finito. E così si riparte, e si ricomincia. Eh, sì, lo yogurt bio, ma per favore! Vallo a cercare te lo yogurt bio tra quei chilometri di scaffali. E già che devi cercare lo yogurt, vuoi non prendere quelle sardine a metà prezzo? E la pasta? Ma dai, guarda che affare, dieci confezioni al prezzo di otto. Il detersivo per i piatti poi non scade mica, già che siamo qui prendo anche quel-lo. E poi come sono bassi i prezzi qui, e gli sconti come sono esagerati! Sì, come no, tan-to alla fine quando arrivi alla casa, stremato dalla ricerca dell’offertona, che poi è sempre già esaurita, gli lasci sempre quei 120 euro come minimo. Bell’affare, per un vasetto di yo-gurt bio. Ma anche qui la logica conta poco. Le incrollabili certezze della fede non si lascia-no certo scalfire da qualche piccola, insignifi-cante disavventura. Perché è vero che Allah è grande, ma anche l’Iper non scherza.

di Ivano Arcangeloni

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Comune di Forlì

FORLÌ, Musei San Domenico 1 febbraio-15 giugno 2014

Orario di visita:da martedì a venerdì: 9.30 - 19.00;

sabato, domenica, giorni festivi: 9.30 - 20.00 - Lunedì chiuso.

21 aprile e 2 giugno apertura straordinaria.La biglietteria chiude un’ora prima.

Informazioni e prenotazioni:tel. 199.15.11.34Riservato gruppi e scuoletel. [email protected]