Il Melozzo 03/2012

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Tariffa R.O.C., Poste Italiane spa - Sped. in abb. postale, D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 1,DCB Forlì - Reg. Tribunale Forlì 6/9/2011 n. 410 Anno XXXXV - N. 3 - ottobre 2012 • Abbonamento annuo euro 20,00 - Sostenitore euro 26,00 STORIA Nuova stagione al Diego Fabbri. IN PRIMO PIANO In bici tra Spazi Indecisi. DOSSIER La Settimana del Buon Vivere.

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Il Melozzo 03/2012

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ANDAR PER MOSTRE Giovanni Pini: il colore vale più del segno

IN PRIMO PIANO Novecento forlivese

DOSSIER Wildt, l’anima e le forme da Michelangelo a Klimt

Anno XXXXV - N. 3 - ottobre 2012 • Abbonamento annuo euro 20,00 - Sostenitore euro 26,00

STORIA Nuova stagione al Diego Fabbri.

IN PRIMO PIANO In bici tra Spazi Indecisi.

DOSSIER La Settimana del Buon Vivere.

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Per ordini e informazioni: Tel . 0543.798463 Fax 0543.774044 | [email protected] | www.inmagazine.it

Il secondo volume delle “52 domenIche In Romagna” Un nuovo viaggio in un territorio che non smette di stupire

le cIttà e I boRghI, la natuRa e la stoRIa, la costa e l’entRoteRRa

Le “52 domeniche in Romagna” torna-no con un secondo volume che narra il “sapore” dei luoghi e accompagna il lettore verso le mete più insolite e affascinanti per il week-end.

Una guida, organizzata come sempre in 52 itinerari, arricchita dalla segna-lazione di curiosità, luoghi nascosti e esperienze suggestive, perché ogni do-menica diventi indimenticabile.

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editorialeSoMMario

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MUSiCa 10Gilberto Cappelli, compositore di suoni e coloridi Stefania Navacchia

Storia 11Dimenticare mai! La storia di Sirio Sintonidi ennio Gelosi

doSSier 12La Settimana del Buon Viveredi roberta Brunazzi

aNdar Per MoStre 18Bernardino Boifavadi rosanna ricci

riCordo 20Gilberto Giorgettidi laura Bertozzi

SCUltUra 22Ugo Savorana,artista colto e riservatodi Marco Servadei Morgagni

Forlì UNderGroUNd 24L’avventura del dinamico Alessandrellidi Mario Proli

iN CaUda veNeNUM 26Differenziare poi, che senso ha?di ivano arcangeloni

teatro 08Nuova stagione al Diego Fabbridi rosanna ricci

iN PriMo PiaNo 04In bici tra Spazi Indecisidi Francesco tortori

«il MeloZZo»

Già Periodico del Comitato Pro Forlì Storico-Artistica, Forlì Primo numero 14 marzo 1968

Direttore: Rosanna Ricci

Edizioni IN MAGAzINE srl via Napoleone Bonaparte 50, 47122 Forlì tel. 0543 798463 - fax 0543 774044 Stampa: Grafiche MDM - Forlì

Uscita trimestrale. Reg. al Tribunale di Forlì il 6/9/2011 n. 410

Redazione: Rosanna Ricci, Roberta Brunazzi, Mario Proli, Paolo Rambelli, Giorgio Sabatini, Gabriele zelli.

In copertina particolare del monumento ai Caduti di piazzale della Vittoria, opera di Bernardino Boifava. Foto Giorgio Sabatini.

Hanno collaborato a questo numero: Ivano Arcangeloni, Laura Bertozzi, Ennio Gelosi, Stefania Navacchia, Marco Servadei Morgagni, Francesco Tortori.

Istituzioni territoriali, si cambia. Imboccata la strada del riordino istituzionale delle Pro-vince si apre ora la fase di definizione del ruolo, funzioni e poteri per il nuovo ente che regolamenterà servizi e affari di Romagna. Una partita giocata dall’alto che ogni rap-presentante della politica locale racconterà a modo suo, tra appelli al rigore e sviolinate nazional-popolari per accendere o riaccen-dere il cuore e l’orgoglio dei romagnoli. I quali, prima di riconoscersi come collettivi vir-gulti di Romagna, si sentono forlivesi, cesena-ti, ravennati, riminesi, cattolichini, bertinoresi, predappiesi... (con distinzioni precise tra gli abitanti di Predappio alta e bassa). Verrebbe da liquidare il tema come sintomo dei soliti campanilismi nostrani, frutto di antiche faide e di una cultura contadina per secoli anco-rata alla propria terra. Con ogni città pronta a difendere il primato di romagnola tra le ro-magnole, di dialetto più dialetto degli altri, di fulcro storico-cultural-logistico... Non c’era ancora l’ufficialità della Provincia unica che sui giornali locali già si discuteva a gran voce sul tema del capoluogo. Quale scegliere per la nobile Romagna? E giù ana-lisi storiche e sociologiche, sul perché di Ra-venna sì e sui perché no. Questione impor-tante quella del capoluogo, certo, che alla fine strappa anche un sorriso e sottolinea il modo di essere dei romagnoli e degli italiani

in generale. Gente di Romagna, come quel-la di Roma, abituata a ragionare per storie individuali, biografiche o stracittadine che siano, raccontate in prima persona. Un “Io” che spicca sempre sul “Noi”, un “Lui” - che quando c’era tutto andava meglio, come si sente ancora echeggiare nei discorsi da bar - artefice unico e simbolo di un’epoca, sen-za tener troppo in considerazione l’influsso e la responsabilità di un’entità più grande e anonima costituita da “Loro”. Patria dell’Uma-nesimo e del Rinascimento, stentiamo come italiani a riconoscerci in qualcosa che non abbia al centro l’Uomo. Concetto universale di umanità che in un’epoca di particolarismi perde la maiuscola e si traduce in un’imma-gine individuale, di rappresentante unico per un’epoca e un luogo specifico, responsabi-le per se stesso e anche per gli altri, non propriamente abituati alla condivisione e al lavoro di squadra. Considerata l’attuale con-giuntura storica, economica e sociale forse sarebbe più saggio sfogliare il libro all’indie-tro e ripensare al Medioevo, quando anoni-mi tagliatori di pietre e scalpellini lavorava-no insieme per erigere le cattedrali. Senza che nessuno di loro, nemmeno gli architetti, osasse apporre la propria firma sotto al la-voro compiuto. E chissà che dal Medioevo di Romagna, costruito assieme, non si possa Rinascere davvero.

Provinciali di Romagna.

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di Francesco tortori

In bici tra spazi indecisi.

iN PriMo PiaNo

Sabato 8 settembre circa 450 persone, dai 2 agli 82 anni, hanno partecipato a Cicli Inde-cisi 2012, un percorso cicloturistico liberatorio per le vie del centro di Forlì alla ricerca e alla scoperta di alcuni spazi abbandonati della città, luoghi solitamente dimenticati e inacces-sibili, che per l’occasione sono stati riattivati grazie ad interventi che spaziano e dialoga-no fra storia, storie vissute e arti contempora-nee. L’evento, organizzato dall’associazione Spazi Indecisi, ha permesso di entrare in contatto con edifici abbandonati, strutture fati-scenti, luoghi che testimoniano una presenza passata attraverso un’assenza presente; questi spazi sono diventati sede di installazioni gra-zie ad interventi artistici, concettuali ed ironici, per stimolare una riflessione più profonda su-gli spazi indecisi favorendo nuova e diversa relazione con essi. Il percorso, partito dall’ex Deposito delle Corriere SITA, ha toccato il Foro Boario, l’ex zuccherificio Eridania, il Convento Santa Maria della Ripa, la Fornace Maceri Malta e la Palestra di Campostrino, per concludersi all’Arena Forlivese. Obiettivo di questa seconda edizione di Cicli Indecisi era mettere in relazione due anime del progetto Spazi Indecisi: l’interesse verso il passato di questi edifici così carichi di sto-ria, di storie e di vibrazioni, e la necessità di produrre una riflessione, una rielaborazione contemporanea, che solo le arti (nella loro accezione più ampia) possono generare, sti-molando ed emozionando lo spettatore.Per indagare il passato, Spazi Indecisi, la Ri-vista Questa Città e SunSet hanno realizzato il documentario “Lavori in tras/corso”, raccon-tando gli spazi indecisi del centro di Forlì, at-traverso le testimonianze delle persone che in quei luoghi, ora in stato di abbandono, han-no lavorato e vissuto.Per la rilettura contemporanea di questo pas-sato, lo spirito guida degli interventi artistici coordinati dall’artista Patrizia Giambi è stato la perlustrazione dei luoghi, visti come archi-tetture e porzioni di territorio in mostra, da scoprire, incontrare e conoscere. Gli artisti hanno cercato nei luoghi stessi tracce del loro destino, creando momenti di fruizione colletti-va per il pubblico di esploratori.

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La Fornace Maceri Malta (a destra, in basso).Foto Romeo Lombardi.

L’area del Foro Boario (a destra, in alto).Foto Francesco Satanassi.

Il violoncellista Paolo Baldoni all’interno dell’ex Zuccherificio Eridania (a sinistra).

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Davanti all’Arena Forlivese, nel corso dell’edizione 2011(a destra).Foto Francesco Satanassi.

L’itinerario di Cicli Indecisi 2012(a sinistra).

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iN PriMo PiaNo

l’ex deposito delle Corriere Sita diventa così punto di partenza del percorso e custo-disce la mostra collettiva degli artisti coinvolti. il Foro Boario rivive attraverso il gioco il suo antico splendore di importante mercato del bestiame, con “Theatralisch Muu”, istallazione sonora a cura di Federica zucchini.l’ex Zuccherificio eridania nella sua austera solennità risuona grazie ad “Impressioni litur-giche” con il violoncellista Paolo Baldoni. Il portone chiuso e inaccessibile del Convento di Santa Maria della ripa ispira “Vola più alto”, performance che dà voce ai nostri desi-deri a cura di Patrizia Giambi.la Fornace Maceri Malta, in abbandono da decenni, torna a bruciare ancora con “Ri-accendimi”, installazione e sonorizzazione a cura di Luca Freschi e Stefano Ricci.la Palestra di Campostrino è l’arrivo della lun-ga rincorsa ne “La gazzetta del sudore”, per-formance teatrale a cura di Francesco Selvi.L’opera “Occupansi” di Mala. Arti Visive iro-nicamente presenzia tutti gli spazi, cercando maliziosamente di ispirare.In serata l’arena Forlivese torna alla sua ori-gine di luogo di divertimento, con l’aperitivo a cura del Diagonal, i concerti di Sybiann

e Dead Albert Chestnut e la proiezione del documentario “Lavori in tras/corso” dedicato alla memoria di Gilberto Giorgetti, la cui pas-sione continuerà ad ispirare.Cicli Indecisi 2012 si è concluso domenica 9 settembre all’interno dell’Ex Deposito delle Corriere SITA, dove si è svolto il workshop aperto al pubblico “Le Mappe dell’Abban-dono italiane. Obiettivi e possibili strategie comuni”, un momento di confronto fra realtà provenienti da tutta Italia che si occupano di valorizzazione, attivazione di spazi ai margi-ni per scambiarsi esperienze, capire le ragio-ni che hanno spinto associazioni culturali, ar-tisti, ricercatori universitari, architetti e urbanisti o semplici cittadini a realizzare questo tipo di iniziative dal basso in parti diverse d’Italia e quasi in contemporanea, pur senza conoscer-si, ponendo le basi di collaborazioni future.Cicli Indecisi 2012 è stato organizzato in collaborazione con Patrizia Giambi, Città di Ebla, Rivista Questa Città, SunSet, Amici della Bicicletta di Forlì, Cooperativa sociale Tangram, Officina 52, Instagramers Forlì-Ce-sena, Giacomo zaganelli, Alberto Poggi, il Comune di Forlì, CMV, ATR Agenzia per la mobilità della Provincia di Forlì-Cesena.

Il progetto Spazi Indecisi.

Spazi Indecisi è un collettivo nato con l’obiettivo di catalizzare energie per fornire nuova linfa ai luoghi dimenticati, facendoli emergere dal subconscio fino alla coscienza urbana collettiva. Nasce dall’urgenza di promuovere una riflessione culturale ed interventi reali su questi luoghi, attraverso la logica della partecipazione e del riuso leggero. Spazi Indecisi si propone di indagare i luoghi ai margini attraverso una mappatura in costante aggiornamento, che raccolga fotografie, video, informazioni storiche, testimonianze, in modo da conservarne la memoria e diffondere una riflessione. L’obiettivo è anche quello di diventare un cantiere creativo in divenire capace di favorire il dialogo e l’ibridazione dei diversi linguaggi dell’espressività contemporanea - fotografia, arti, architettura, design, musica - in nome della valorizzazione dei luoghi. Il collettivo, inoltre, alimenta il dibattito sul presente e sul futuro di questi luoghi, promuovendo una riflessione creativa e interventi reali. www.spaziindecisi.it

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Il teatro è di sicuro una grande passione per i forlivesi, viste le code che hanno fat-to (pur brontolando) per rinnovare posti ed abbonamenti al teatro Diego Fabbri di For-lì. Tutto nuovo per la prossima stagione, a partire dalla direzione artistica del teatro, finora svolta all’interno dell’amministrazione comunale. Fra coloro che hanno presentato i loro progetti al bando, la giuria ha assegna-to la gestione dei programmi teatrali a un gruppo di quattro persone della nostra realtà territoriale, ma esterne all’ambito comunale: ruggero Sintoni, Claudio angelini, Claudio Casadio, lorenzo Bazzocchi, tutti impegnati da molti anni nella direzione di eventi teatra-li. Ruggero Sintoni e Claudio Casadio diri-gono il Teatro Stabile di Innovazione Acca-demia Perduta/Romagna Teatri da oltre 30 anni (l’associazione è responsabile a Forlì degli spettacoli al teatro Il Piccolo); Lorenzo Bazzocchi di Masque Teatro da più di 20 anni (a lui si deve anche il festival Crisalide), Claudio Angelini è direttore e fondatore del gruppo teatrale Città di Ebla e direttore di Ipercorpo nel settore del teatro di ricerca. Questa nuova direzione del teatro avrà una durata di tre anni.La stagione teatrale 2012-2013, ampliata rispetto agli anni precedenti, ha ottenuto l’approvazione di tutti: amministrazione co-munale di Forlì e i vari sponsor (Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Coop Adriatica, Poderi Nespoli e Gencom), perché la cul-tura è sempre una ricchezza e il teatro ha non solo una grande valenza culturale ma anche un notevole aspetto socializzante. Quest’anno le stagioni teatrali sono sette, prosa, danza, operetta, moderno, contem-poraneo, comico, family: in questo modo vengono compresi tutti i possibili linguaggi teatrali, tutti di pari eccellenza e dignità. Sarà perciò una grande stagione, con artisti validi. Si comincia il 15 novembre con la rassegna di prosa e con un attore e regista di eccellenza: Michele Placido impegnato nel “Re Lear” di Shakespeare. Seguiranno (dal 6 al 9 dicembre) alessandro Preziosi nel “Cyrano di Bergerac” di Rostand (spet-tacolo che avrà anche l’ausilio di supporti

Nuova stagione al Diego Fabbri.

teatro

di rosanna ricci

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Una scena di “My arm” in programma nel cartellone di teatro contemporaneo (sotto).

Claudio Casadio e Daniela Piccari in scena per la stagione “family” (a sinistra, in basso).

Angela Finocchiaro, protagonista di “Open Day”(a sinistra, in alto).

per non vedenti); i comici aldo, Giovanni e Giacomo in scena dal 17 al 20 gennaio; danilo Brugia col musical “Titanic” dal 7 al 10 febbraio. Nello stesso mese (dal 21 al 24 febbraio) angela Finocchiaro e Michele di Mauro presentano “Open day”; il 7-8-9-10 marzo va invece in scena il teatro Sta-bile di Bolzano con Patrizia Milani, Carlo Simoni, Alvise Battain, Fausto Paravidino e Valentina Brusaferro, protagonisti in “Spettri” di Ibsen. Silvio orlando presenta dal 21 al 24 marzo “Il nipote di Rameau” di Dide-rot. Conclude la stagione di prosa l’attore romagnolo ivano Marescotti, che dal 4 al 7 aprile interpreta “la Fondazione” di Raffa-ello Baldini. Gli spettacoli serali iniziano alle ore 21, la domenica alle ore 16. Per quan-to riguarda il teatro moderno, la rassegna parte il 30 gennaio con ascanio Celestini che, accompagnato dalla musica di Matteo D’Agostino, racconterà “La fila indiana - Il razzismo è una brutta storia”. Il 19 febbraio sarà la volta di “O patria mia… Leopardi e l’Italia”, scritto ed interpretato da Corrado augias; il 3 marzo, infine, Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco proporranno “Il Picco-lo Principe” di Saint-Exupéry. E veniamo al teatro contemporaneo che conta otto spet-tacoli distribuiti due per sera (ore 20,30 al Diego Fabbri e 22,30 al teatro Il Piccolo), con biglietti e abbonamenti per uno o per due spettacoli. La prima serata dedicata al “Contemporaneo” si tiene il 25 gennaio con “Muta imago. Displace” e “MK- Il giro del mondo in 80 giorni”. A seguire, Santasan-gre in “Bestiale improvviso” e Carlotta Sa-gna in “Tourlourou” (1 marzo); l’Accademia degli Artefatti con “My arm” e Ivo Dimchev in “I.ON” (15 marzo) e Virginio Liberti/Gogmagog in “Sarebbe comico se non fos-se tragico” e Maria Donata D’Urso in “pez-zo 0 (d, e) + Strata- étude” (12 aprile). In contemporanea si terranno degli incontri/workshop sul teatro contemporaneo: il 15 gennaio al teatro Diego Fabbri l’Incontro/Presentazione della stagione del teatro con-temporaneo; il 26 e 27 gennaio alla Fab-brica delle Candele “MK. Workshop”. Il 13 e 14 aprile, infine, alla Fabbrica delle Can-dele di piazzetta Corbizzi, “Maria Donata D’Urso-workshop”.

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MUSiCa

L’evoluzione della musica nel nostro tempo è un tema assai complesso. Ne abbiamo par-lato con Gilberto Cappelli, compositore di Predappio Alta e docente al conservatorio di Cesena. Vincitore nel 2001 del Premio Abbiati, dal suo racconto si percepisce l’en-tusiasmo per il suo lavoro artistico.vorrei iniziare dal suo percorso di compo-sitore...“Il mio primo insegnate al Conservatorio di Bologna fu il forlivese Giordano Noferini, una persona straordinaria che da subito mi ha introdotto alle tecniche più moderne. Poi ho studiato quattro anni con Giacomo Man-zoni, che aveva una conoscenza profondis-sima della scuola di Vienna e della musica contemporanea da cui ero già affascina-to. Mi sono sentito in contatto ideale con i padri della musica del nostro tempo come Schönberg e Berg”.Poi fu allievo di aldo Clementi...“Con lui ho conosciuto una tecnica compo-sitiva completamente diversa che si può pa-ragonare alla pittura informale di D’Orazio e che si basa su note lunghe che formano fasce”.Finito il Conservatorio ci furono altri incon-tri importanti: ce ne può parlare?“Ho lavorato come maestro collaboratore al Comunale di Bologna il cui direttore artistico allora era Salvatore Sciarrino: la sua musica ha influenzato molti di noi. Fu una rivoluzio-ne perché ad esempio lui usava lo strumento in modo diverso”.e l’incontro con luigi Nono?“Fu in occasione di Opera Prima nel 1981, che diede modo a molti giovani di avere una possibilità di esprimersi. Mandai ‘Due pezzi per violino’. Per noi Nono era un mito: avere la fortuna di conoscerlo e poter parla-re con lui è stato bellissimo. Cercava un dato espressivo: è sempre stato in cammino”.Come ha sintetizzato queste esperienze per trovare una sua espressione?“Quando s’incontrano autori così importanti inizialmente si rimane influenzati, ma poi si deve trovare la propria strada, altrimenti si perde la gioia del comporre”.dove va la musica?

“Ognuno sceglie la sua strada. C’è una pro-liferazione di maniere. Ci saranno delle sor-prese. Se guardiamo la storia della musica le note sono sempre quelle, ma c’è stato un cambiamento. Non credo si sia già fatto tut-to: ci saranno delle situazioni nuove che già si percepiscono”.e il suo linguaggio? “Nelle mie composizioni uso un linguaggio atonale che esprima i sentimenti con sinceri-tà, ma anche la condizione umana in gene-rale: quindi il mio obiettivo è comunicare”.Quale ruolo ha un insegnante di compo-sizione nello sviluppo delle caratteristiche artistiche di un allievo?“Sono aperto a tutti gli stili, lascio liberi i miei allievi: certamente la base è il dato tecnico, ma fin da quando cominciano con me cerco di portare avanti la loro creatività senza bloccarla, anche quando vogliono seguire uno stile diverso dal mio. È neces-sario che seguano il loro linguaggio: solo così possono essere autentici. Tento di fare crescere la loro personalità, l’espressione, il senso poetico. Una scuola troppo rigida e troppo concentrata sul dato tecnico può bloccare l’allievo. Per me il dato espressivo viene prima di quello tecnico”.

Ha appena vinto il premio “Chitarra d’o-ro” ad alessandria…“È un riconoscimento per il lavoro fatto in questi anni sulla chitarra, grazie a Piero Bo-naguri che mi commissiona molti pezzi”. vorrei che ci parlasse anche della sua atti-vità pittorica.“Ho frequentato l’istituto d’arte, ho sempre disegnato e visitato mostre; poi frequen-tai un’Accademia privata a Cesena e da vent’anni dedico più tempo alla pittura. Qualche anno fa all’Università di Palermo, durante una tre giorni dedicata al mio lavo-ro di compositore, è stata fatta la mia prima personale, da cui sono seguite altre mostre.Che rapporto c’è tra le sue composizioni e i suoi quadri?“Come la mia musica è atonale, la mia pit-tura è astratta: amo soprattutto Vedova, De Kooning, Kline, Pollok, Burri e Afro. Per me le due arti sono vicine, perché si tratta sem-pre di vibrazioni: la musica è il suono che vibra e in pittura sono le vibrazioni dell’im-magine che arrivano all’occhio. Cerco di creare una consonanza tra le opere scritte, che in genere esprimono dolore, e i miei quadri, avviati verso la stessa direzione. Sento la necessità di fare entrambe le cose”.

Gilberto Cappelli,compositore di suoni e colori. Gilberto Cappelli ritratto

davanti a un suo quadro.

di Stefania Navacchia

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Storia

Un’operazione editoriale di grande pregioPer sua volontà nel gennaio 2009 ha avu-to compimento un’operazione editoriale di primissimo livello: la riedizione, raccolti in un pregevole cofanetto, di tre libri ognuno dei quali rappresenta una straordinaria testimo-nianza della diaristica bellica.I libri sono: “I topi della steppa - Fronte russo 1942-43” dello stesso Sintoni, “L’inferno bian-co” di Franco Simoncini (prima edizione del 1946) e “Fronte senza eroi” di Adler Raffaelli (prima edizione 1955), che rievoca la sua esperienza di internato nei lager nazisti.Tre libri, tre racconti di verità e vita vissuta che dovrebbero essere motivo di studio e ap-profondimento nelle scuole per la dimensione di autenticità e i valori che riportano.“Ho tenuto i miei diari gelosamente nascosti per 50 anni”, scrive Sirio nella premessa al suo volume. “Poi ho deciso di pubblicare la mia storia, affinché i miei nipoti conoscesse-ro i miei ricordi”. I tre libri vennero presentati nell’ambito delle manifestazioni promosse dal Comune di Forlì per celebrare “Il giorno del-la memoria” del 2009. “I topi della steppa” si apre con la presenta-zione di Adler Raffaelli, per tanti anni compo-nente degli organi dirigenziali dell’Associa-zione dei Reduci presieduta da Sirio e figura di riferimento imprescindibile tra gli autori for-livesi della memoria.

Un po’ di biografiaSecondo di quattro figli, di famiglia antifa-scista (il padre, alla vigilia della partenza per il fronte orientale, gli disse: ”Questa guerra non la vinceranno i tedeschi, la vin-cerà la Russia con gli anglo-americani”), è costretto a 10 anni a lavorare prima come

garzone da un fornaio e poi in un’officina meccanica fino ai 17 anni, quando viene assunto alla Caproni di Predappio.A 20 anni è sotto le armi e viene inviato prima in Grecia e poi in Russia. Dopo l’8 settembre 1943 riesce a sfuggire ai rastrel-lamenti di tedeschi e fascisti e nel marzo del 1944 si unisce ai partigiani della 5° Briga-ta Garibaldi che opera nel pesarese.Nel 1947 corona il sogno della sua vita e sposa l’amata Norma.Assunto dal Comune di Forlì partecipa atti-vamente alla vita pubblica e sindacale.Contemporaneamente riprende ad interes-sarsi di filatelia, sua passione giovanile che trasmette ai famigliari, i quali ne hanno fatto poi un’apprezzata professione.

Troppe guerre nella nostra gioventù“Ormai noi superstiti - sottolinea Sintoni nel cartoncino inserito nel cofanetto in occasio-ne della presentazione - ci stiamo avviando verso i 90 anni di età vissuti di lavoro, po-vertà e guerre da combattere. Troppe guerre nella nostra gioventù: Africa Orientale, Abis-sinia, Libia, Grecia, Jugoslavia e infine il fronte russo con la tragedia del Corpo d’Ar-mata Alpino dell’ARMIR. Molti di noi hanno patito la prigionìa e la deportazione e poi vi è stato chi, come me, ha affrontato la lun-ga e rigida ritirata di Russia dal Fiume Don, un cammino che durò 17 giorni e 17 notti e che ci vide arrivare più morti che vivi. La nostra Associazione vuole congedarsi con queste tre opere dedicando il loro contenu-to alle nuove e future generazioni, perché conoscendo le nostre privazioni e le nostre sofferenze possano impedire nuove tragedie e, soprattutto, dimenticare mai!”.

Dimenticare mai!LA STORIA DI Sirio Sintoni.

di ennio Gelosi

All’inizio di quest’anno ci ha lasciato Sirio Sintoni, classe 1921, reduce dalla ritirata di Russia, per tanti anni Presidente della Federazione Combattenti e Reduci di Forlì-Cesena e Rimini.La vita di Sirio venne profondamente segnata dalla sua partecipazione come fante del 278° Reggimento della Di-visione “Vicenza” alla sciagurata guerra dichiarata da Mussolini all’Unione Sovietica. Dei 250 uomini della com-pagnia reggimentale anticarro di cui egli faceva parte ne uscirono vivi otto, dei quali tre feriti gravemente. Dei 12mila militari che la “Vicenza” aveva in organico se ne salvarono poco più di 900. Gli altri tutti morti o dispersi.

“Troppe guerre nella nostra gioventù: Africa Orientale, Abissinia, Libia, Grecia, Jugoslavia e infine il fronte russo con la tragedia del Corpo d’Armata Alpino dell’ARMIR. Molti di noi hanno patito la prigionìa e la deportazione e poi vi è stato chi, come me, ha affrontato la lunga e rigida ritirata di Russia dal Fiume Don, un cammino che durò 17 giorni e 17 notti”

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Non c’è più il futuro di una volta: uno slo-gan e un monito dal quale partire, o ripar-tire. La fragilità del futuro, nella difficoltà e nella responsabilità di “trasportarne” uno migliore per chi verrà dopo di noi, è stato il tema dell’edizione 2012 della Settimana del Buon Vivere, andata in scena dal 24 al 30 settembre a Forlì, Cesena e dintorni.Più di 22mila partecipanti, 130 gli eventi presentati, circa 350 tra relatori e coordi-natori, 143 sponsor, partner e patrocinato-ri prestigiosi, tra i quali anche il Pontificio Consiglio della Cultura. La terza edizione della Settimana del Buon Vivere di Forlì-Cesena si è così conferma-ta manifestazione a carattere nazionale sul benessere equo e sostenibile, dedicata quest’anno all’incontro tra generazioni e culture. Emblematico il titolo dell’evento inaugurale, “Fragile: trasportiamo futuro”, condotto da Daria Bignardi il 24 settembre nel salone comunale di Forlì, nel corso del quale sono state affrontate le tante sfumature del difficile ingresso dei giovani nel mondo dei “grandi”. Sette le giornate in scaletta, così come sette sono i principi del “Buon Vi-vere”, ognuno dei quali è divenuto il tema dominante degli eventi: etica, bene comu-ne, cultura, alimentazione, salute, benes-sere, coesione.“Sono gli argomenti - spiega l’ideatrice Mo-nica Fantini - su cui l’intera comunità è stata coinvolta, in un viaggio tra nuovi saperi e inconsueti linguaggi. Esprimendo costante vicinanza anche all’Emilia del terremoto”.Novità assoluta di questa edizione è sta-to il Bv oFF, il “dietro le quinte” animato dagli oltre cento giovani volontari del Buon Vivere nei locali attualmente inutilizzati di piazzetta dell’Antica Pescheria, in pieno centro storico forlivese. Al suo interno si è svolto un programma parallelo di concerti, incontri, seminari e iniziative su solidarietà e sostenibilità, divenuti presidio permanente della manifestazione dal mattino fino a sera inoltrata. Tante le attrazioni a cui hanno par-tecipato più di mille persone di tutte le età, dalle letture per bambini alle lezioni per la costruzione del videocurriculum, fino ad un

divertente corso di Facebook per la terza età tenuto da giovani informatici volontari. Un’altra importante novità è stata la coper-tura radiofonica nazionale: tutti i giorni on air Fede e tinto di radio due decanter, in veste di media partner e testimonial, hanno raccontato gli eventi della Settimana, che ha ottenuto spazio anche su tanti altri impor-tanti testate, da Radio Vaticana al TG5, da Repubblica al quotidiano Libero.Ma vediamo, in sintesi, i principali appun-tamenti che hanno caratterizzato questa specialissima Settimana romagnola: dopo l’anteprima di domenica 23 settembre con il grande appuntamento sportivo e solidale della maratona Alzheimer, lunedì 24 ha vi-sto l’ufficiale taglio del nastro nel salone co-munale di Forlì con daria Bignardi, la quale ha intervistato col consueto piglio “barbari-co” alcuni giovani talenti della città come il regista delle “Iene” antonio Monti.Il “main event” di martedì 25 è stata la con-ferenza scenica multimediale del geologo Mario tozzi, noto al grande pubblico per trasmissioni televisive come “Gaia”. “Fine corsa? Racconto intorno al pianeta che sarà”, al Teatro Verdi di Cesena. Tra i nume-rosi incontri della giornata da segnalare an-che quello col chimico ed esperto di energie rinnovabili vincenzo Balzani nel salone co-munale di Forlì, mentre nella sala Nassiryia della Provincia si è parlato di “Futuro a km 0, il buon vivere in sanità”. Nel pomeriggio al BV OFF il direttore di SWG enzo risso e il direttore di AICCON Paolo venturi hanno invece dialogato su giovani e lavoro.La giornata di mercoledì 26 ha fatto tappa anche ai Musei San Domenico, luogo in cui si è parlato del ruolo della cultura nel-lo sviluppo economico in un convegno che ha visto impegnati, tra gli altri, il regista e attore Gabriele lavia, monsignor Franco Perazzolo del Pontificio Consiglio della Cul-tura, il massmediologo enrico Menduni, il Presidente della Fondazione Cariromagna Piergiuseppe dolcini e il Sindaco di For-lì roberto Balzani. Protagonista in salone comunale è stata invece la giornalista Con-cita de Gregorio, seguita alla sera dalla conferenza in modalità “World Cafè” con Wu Ming 2 e dal concerto itinerante degli

La Settimana del Buon Vivere.

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di roberta Brunazzi

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L’evento finale della Settimana, “Il Bene Comune come paradigma per la coesione tra i popoli”, al Teatro Diego Fabbri.

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Dario Vergassola sul palco del Teatro Diego Fabbri(a destra, in basso).Foto Giorgio Sabatini.

Il regista Antonio Monti(a sinistra, in basso).Foto Juan Martin Baigorria, SunSet.

Andy Luotto, ospite a Cesena (a destra, in alto).Foto Juan Martin Baigorria, SunSet.

Daria Bignardi inaugura la Settimana del Buon Vivere 2012(a sinistra, in alto).Foto Giorgio Sabatini.

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Il comico e psicologo Terenzio Traisci, ospite a Cesena, in una foto d’archivio(a destra, in basso).

Spartiti per Scutari Orkestra sullo scalone del palazzo comunale (a sinistra, in basso).Foto Anna Frabotta.

Il geologo e divulgatore scientifico RAI Mario Tozzi sul palco del Teatro Verdi di Cesena (a destra, in alto).Foto Giorgio Sabatini.

“Viaggio verso le culture della Tolleranza”: conferenza scenica al Cinema Teatro Apollo (a sinistra, in alto).Foto Juan Martin Baigorria, SunSet.

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Spartiti per Scutari Orkestra. Nella Santa Caterina andava invece in scena l’incon-tro sulla cultura della legalità con l’ex ma-gistrato di Mani Pulite Gherardo Colombo. Eventi anche a Cesena, dall’inaugurazione di Macfrut con il ministro Mario Catania ad un incontro alla Biblioteca Malatestiana sul-lo sviluppo urbano della “Città lineare FO-CE” con il professore di Architettura Gino Malacarne e i Sindaci di Forlì, Cesena e Forlimpopoli. Ed è tornato anche il Cam-pus Cloud, evento partecipativo condotto dall’esperto inglese Phil taylor questa volta in modalità “Yourope”, con i cittadini di di-verse nazioni della UE.

Giovedì 27 settembre il focus è stato sull’a-limentazione, con interventi e animazioni a Cesena curate da terenzio traisci, Sara Farnetti ed andy luotto. La serata ha visto invece andare in scena nei giardini della Prefettura di Forlì il concerto del contrabbas-sista jazz Paolo Ghetti, in chiusura di una delle tante visite guidate in programma.Venerdì 28, giorno dedicato alla salute, l’appuntamento principale è stato con “Hou-ston: spazio alla ricerca”, serata di raccol-ta fondi al Teatro Fabbri di Forlì condotta dalla giornalista Simona Branchetti con in collegamento lo scienziato italiano Mauro Ferrari, uno dei massimi esperti al mondo

di nanomedicina. Il tutto chiuso dallo spetta-colo il comico dario vergassola. Iniziative anche per gli ospiti dell’IRCCS-IRST di Mel-dola e per gli studenti delle scuole superiori, che all’Auditorium della Cassa dei Rispar-mi hanno incontrato il direttore scientifico dell’IRST-IRCCS dino amadori e il Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. La gior-nata si è chiusa quindi con tre appuntamenti con l’autore, tenuti tra Forlì e Cesena.“Agire di storia” è stato il tema di sabato 29, progetto di riscoperta delle memorie del Novecento che ha coinvolto bambini e nonni in un emozionante viaggio culturale e letterario, con la regista Stefania Casini.

Fede e Tinto di Radio Due Decanter, in diretta radiofonica per l’intera Settimana, in una foto d’archivio(a destra).

BV OFF del sabato dedicato ai più piccoli(a sinistra, in basso).Foto Juan Martin Baigorria, SunSet.

I volontari del BV OFF sul palco del Salone Comunale assieme a Concita De Gregorio(a sinistra, in alto).Foto Juan Martin Baigorria, SunSet.

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Poi gli spettacoli delle cooperative Casa del Cuculo, Mercuzio e Sunset e l’incontro sulla sicurezza stradale nel weekend curato da Asaps e condotto da Mauro tedeschini.Il gran finale di domenica 30 settembre è stato dedicato alla coesione e al dialogo tra culture. La giornata si è aperta a Bagno di Romagna con il Segretario di Stato del Vaticano cardinal tarcisio Bertone, che ha benedetto i pellegrini italiani e tedeschi sulla via dei Romei. Nel pomeriggio una confe-renza scenica al Teatro Apollo di Forlì sul poeta persiano Rumi ha visto impegnati il grande interprete del teatro italiano virginio Gazzolo e il regista alessandro Giupponi.

L’evento finale si è tenuto invece al Teatro Fabbri di Forlì, strapieno in ogni ordine di posti: sul tema “Il Bene Comune come para-digma della convivenza tra i popoli” si sono confrontati il priore di Bose enzo Bianchi, l’artista e scrittore ebraico Moni ovadia, il capo spirituale dei Mourid Serigne Mame Mor Mbacke, l’Imam della Comunità Reli-giosa Islamica Italiana Yahya Sergio Yahe Pallavicini e Padre theodore Mascarenhas del Pontificio Consiglio della Cultura, mo-derati dal vicedirettore del TG3 Giuliano Giubilei. Le note del pianista e composito-re Marco Sabiu hanno infine chiuso questa speciale Settimana.

22.000 partecipanti all’edizione 2012130 eventi350 relatori e coordinatori2000 studenti coinvolti 7 giornate per 7 principi:il tema dell’eticail tema del bene comuneil tema della culturail tema dell’alimentazioneil tema della saluteil tema del benessereil tema della coesione

Spettacolo a cura delle cooperative Casa del Cuculo, Mercuzio e SunSet, nell’ambito di “Agire di Storia”(a destra).Foto Anna Frabotta.

Musica nel Chiostro di San Mercuriale per l’evento “Agire di Storia”(a sinistra, in basso).Foto Anna Frabotta.

I relatori dell’evento finale sul palco del Diego Fabbri. Da sinistra, Enzo Bianchi, Yahya Sergio Yahe Pallavicini, Giuliano Giubilei, Moni Ovadia, Serigne Mame Mor Mbacke e Padre Theodore Mascarenhas (a sinistra, in alto).Foto Giorgio Sabatini.

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Non basta un’occhiata veloce per scopri-re la bellezza, la precisione e la potenza dei quattro altorilievi collocati alla base del monumento ai Caduti nel Piazzale della Vittoria di Forlì. All’autore, Bernardino Boi-fava è dedicata un’ampia mostra esposta dal 27 ottobre al 25 novembre nella sede della Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì. In contemporanea è possibile visita-re (venerdì e sabato pomeriggio, domenica mattina e pomeriggio) al secondo piano di Palazzo Albertini anche l’importante dona-zione di opere di Boifava che la famiglia ha fatto a favore della Pinacoteca di Forlì. Molte sculture di questo artista, conosciuto forse più per le opere (ad esempio il Monu-mento ai Caduti) che per il nome, sono ina-movibili e sparse per la città. Alcune sono ritratti o gruppi realizzati per tombe del Ci-mitero di Forlì, altre sono nella Pinacoteca di corso della Repubblica, altre ancora in chiese, palazzi, collezioni private, e monu-menti inamovibili di Boifava si trovano an-che in varie città d’Italia. Le opere esposte nella residenza della Fondazione sono tutte inedite: sarà quindi possibile conoscere in modo più approfondito un’operazione ar-tistica che coniuga l’intento celebrativo col coinvolgimento emozionale dell’autore: una caratteristica che rimane costante in tutta la produzione “pubblica” di Boifava. Fu un artista assai fecondo non solo nelle opere scultoree - di cui fu indiscusso maestro - ma anche nei bozzetti e nei disegni dal tratto incisivo, preciso, sintetico. Bresciano di ori-gine (era nato a Ghedi nel 1888), l’artista era forlivese d’adozione: nella nostra città visse dal 1916 fino alla morte, avvenuta nel 1953. L’artista fu allievo a Brescia di Emilio Righetti, poi di Augusto Rivalta e di Domenico Trentacoste all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Fu l’arruolamento alle armi a condurre Boifava a Forlì nel 1916. Qui conobbe la futura moglie e qui rima-se per tutta la vita, aprendo lo studio nella chiesa sconsacrata di San Salvatore dei Camaldolesi, l’attuale chiesa della Casa di Riposo zangheri. Furono, questi, anni di grande impegno per Boifava, ma furono

Bernardino Boifava.

aNdar Per MoStre

di rosanna ricci

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anche anni assai difficili per il nostro pae-se, che segnarono la vita e, in parte, an-che l’opera dell’artista. Forlì, infatti, rimase estranea ai fermenti delle avanguardie che agitavano il clima culturale di altre città; di conseguenza il linguaggio estetico del-lo scultore rimanse ancorato alla severità e alla potenza dell’impianto classico, ma-turato nel clima toscano da lui frequentato durante l’Accademia di Belle Arti.Ma ritorniamo al Monumento ai Caduti, inaugurato il 30 ottobre 1932. È formato da una colona centrale, opera di Cesare Bazzani, sulla cui cima sono collocate tre

figure femminili in bronzo che rappresen-tano la vittoria del cielo, della terra e del mare, realizzate dallo scultore Bernardo Morescalchi. La parte artistica più interes-sante è però riferita ai quattro altorilievi di Bernardino Boifava sulla “vita degli Eroi”. Gli altorilievi rappresentano l’Attacco, la Difesa, il Sacrificio e il Trionfo. In queste opere l’artista rivela una grande attenzione al corpo umano, con riferimenti alla scultura attica. Nella variegata gamma di contenuti con cui Boifava si è misurato, non sono mai venute a mancare quella perizia tecni-ca e quella sensibilità che gli hanno con-

sentito di trattare con uguale impegno temi di carattere civile e religioso. Accanto a questi, un posto di rilievo meritano le scul-ture relative all’intimità di gesti quotidiani come il “Bozzetto per maternità” e la “Testa di neonato”, oppure quelle in cui lo scavo interiore dei personaggi non trascura note di intenso lirismo come “Testa di ragazza con trecce”, il “Busto della signora “Gian-nelli”, il “Ritratto di donna”, il “ritratto del pittore Marchini”, “L’arciere” e un bronzo particolarmente significativo come quello di “Gea sotto il raggio fecondante”, splendido nudo di donna adagiato su una roccia.

Due opere di Boifava: sotto “L’arciere”, gesso patinato bronzo, nella pagina a fianco il ritratto in bronzo di Giovanni Marchini.

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Il 20 luglio scorso Forlì ha perduto Gil-berto Giorgetti, uno dei suoi cittadini più conosciuti in campo culturale. È deceduto all’Ospedale Morgagni Pierantoni, colpito da una forma di ictus che non gli ha la-sciato scampo. Dopo la grave malattia che 25 anni fa lo aveva costretto su una sedia a rotelle, Giorgetti aveva sempre di-mostrato una forza ed una tenacia senza pari, impegnandosi personalmente perché venisse favorito l’accesso ai disabili in città. Aveva inoltre continuato ad implementare i suoi studi e le sue ricerche raccogliendo foto, documenti, riferiti in particolare (ma non solo) alla storia locale attuale e del passato. Tutto questo materiale, in parte molto prezioso, faceva parte del suo ar-chivio personale. Giorgetti era circondato da amici che lo aiutavano nelle richieste di fotografie e nel prelevare manualmen-te alcuni testi dalla sua biblioteca. Era un uomo pieno di curiosità e di interesse per eventi storici che approfondiva con inda-gini continue, supportato anche da una grande memoria. Non si era mai avvilito: al contrario era un vulcano di idee, come aveva dimostrato ultimamente nel fondare l’associazione culturale “La Foglia”, di cui era presidente, e attraverso la quale or-ganizzava incontri, dibattiti, mostre. Non solo, ma attraverso le e-mail comunicava ai forlivesi i vari eventi organizzati di volta in volta dalla sua associazione, dal Comune di Forlì o da altri enti. In gioventù Gilberto aveva coltivato anche la pittura soprattutto grazie al suo maestro Antonio Barrera ed aveva frequentato alcuni dei maggiori arti-sti di quegli anni come Giuseppe Casalini, Giulio Cisari, Irene zini, Maceo Casadei, Irene Ugolini zoli. Un affetto e un’ammira-zione senza pari unì Giorgetti ad Antonio Barrera, l’artista che si era distinto non solo per la qualità delle opere ma anche per aver partecipato ad alcune biennali vene-ziane e per essere stato promotore della Quadriennale Romana. Un’altra espres-sione artistica assai amata da Giorgetti è stata la fotografia (aveva frequentato Pino Valgimigli), una passione che lo condusse

a fondare il Gruppo Polaser, firmando nel 2000 il primo manifesto dal titolo Progres-sionInstaurantPhoto e, nel 2006, il secon-do manifesto Pola-Manifesto. In quegli anni si era interessato anche di archeologia, scoprendo un sito antico a Forlì. Tuttavia il maggior numero di pubblicazioni, circa una trentina, su personaggi, luoghi e storie forlivesi è stato realizzato dopo la malattia,

quando, per scrivere al computer, usava una lunga cannuccia che teneva fra le dita per premere sui tasti. Disponibile con tutti, aveva collaborato con le rassegne d’arte a Sadurano e, negli anni Ottanta, aveva con-tribuito graficamente anche ad alcuni volu-mi di mons. Gian Michele Fusconi, come “Sant’Antonio da Padova a Forlì” e “Forlì e i suoi Vescovi”.

GILBERTO GIORGETTI.

riCordo

di laura Bertozzi

Foto Giorgio Sabatini.

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La mostra realizzata nel 2010 a Forlì sull’o-pera dello scultore Ugo Savorana (Modi-gliana 1890 - Forlì 1984) è stato un primo importante momento per aprire una finestra conoscitiva sull’opera di un artista per lo più ancora ignoto e trascurato dalla critica, un’occasione importantissima di vedere le opere dell’artista esposte in un insieme si-gnificativo. Le alterne vicende di Savorana sono esemplari per decifrare le mutate con-dizioni di un ruolo dell’artista drammatica-mente entrato in crisi durante la prima metà del Novecento, e di una professione che vedeva ridurre il proprio ambito di influen-za ed espressione. Se in Italia parte della prima metà del secolo coincide con una tendenza, promossa dal regime, ad intensifi-care un’integrazione delle arti maggiori con l’architettura e l’artigianato (attraverso la de-corazione), si radicalizza nel secondo Do-poguerra quella inarrestabile rivoluzione nel mondo delle arti visive, per cui pittura e scul-tura acceleravano verso una concezione au-toreferenziale e autarchica. Cessavano così le opportunità per artisti-artigiani come Savo-rana, che tanto avevano contribuito ad arric-chire di opere d’arte le nostre città, secondo progetti il più delle volte non coordinati ma ugualmente integrati e armonizzati in un più ampio disegno della scena urbana.Se, infatti, agli anni Venti e Trenta appar-tengono tutta un serie di sculture dell’artista romagnolo per apparati decorativi esterni di edifici pubblici (la mente va subito alle belle, sintetiche Aquile del Palazzo delle Poste), e privati (le Teste di animali per una macelleria di Modigliana), tutti i progetti monumentali più ambiziosi di Savorana nel dopoguerra non saranno invece realizzati, a partire da quelli per la ricostruzione del Protiro di San Mercuriale, e la ricostruzione del Monumen-to a Saffi. Non perché siano stati affidati ad altri, ma perché non erano ormai più rap-presentativi di valori sociali condivisi: cade-vano nell’indifferenza o nell’accantonamen-to per mancanza di fondi. Da qui anche la necessità per Savorana di cambiare ambito di applicazione delle sue conoscenze e di dedicarsi al restauro. Trova così giustificazio-

ne e significato una produzione di piccole statue, realizzate con finalità esclusivamente di rifugio creativo e diletto personale: ritratti, bassorilievi, figure di genere, spesso legate ai costumi della Romagna (a suffragio di quest’ipotesi si noti che nessuna è in bronzo, ma tutte in terracotta patinata, indizio signifi-cativo che non erano prioritariamente pensa-te per un commercio).A Forlì, sotto gli occhi di chiunque, è visi-bile un’opera pubblica esemplare della sensibilità e della notevole perizia creativa di Savorana: la vasca in pietra aurisina di Piazza Ordelaffi. Posta in asse al palazzo della Prefettura è un’opera apparentemente modesta, complici il suo isolamento in quel difficile slargo urbano e lo scarso risalto che le conferisce la mancanza dell’elemento fon-damentale e significante per una fontana: l’acqua, che le darebbe un peso molto mag-giore. Questa fontana esprime invece nelle sue linee una profonda capacità di dialoga-re con la storia, con il passato e con lo spa-zio. Innanzitutto la scelta di una forma esa-gonale, “isotropa” dunque, che pur in asse con il palazzo Paolucci restituisce una lettura

corretta della piazza non esclusivamente come piazza del palazzo ma come piazza di collegamento tra il palazzo, il Duomo e il convento del Corpus Domini, ricucendo attorno alla forma senza direzione dell’esa-gono questa complessità. Inoltre la scelta del profilo dei sei blocchi di cui si compone il monumento è un esplicito richiamo a forme decorative barocche, con elementi maggio-ri convessi cui se ne alternano più piccoli concavi ma attraverso una semplificazione formale e stilistica, una depurazione classici-sta-razionalista che avvicina incredibilmente questa fontana del dopoguerra ad alcune delle più conviventi realizzazioni architetto-niche del classicismo storicista dittatoriale. Non a caso a Forlì esistono diversi monu-menti di quel periodo, rappresentativi di questa linea alternativa e non confliggente con il razionalismo imperante in quegli anni, e di cui proprio il completamento del retro-stante palazzo Paolucci è un ottimo esem-pio. Savorana è partito da questo, ed è sta-to capace di inventare un’opera di sintesi, che appare oggi in perfetta sintonia con il monumento del quale costituisce ornamento.

Ugo Savorana, artista colto e riservato.

La vasca in pietra aurisina di piazza Ordelaffi, opera pubblica di Ugo Savorana.Foto Giorgio Sabatini.

SCUltUra

di Marco Servadei Morgagni

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di Mario Proli

L’avventura del dinamico Alessandrelli.

Forlì UNderGroUNd

veva curato quel progetto con attenzione certosina, come quando, da bambino, prepa-rava sulla spiaggia il tracciato delle biglie, con ponti, buche, trampolini, curve paraboliche,

e tutti lo andavano a vedere. Terminati final-mente i lavori, l’opera poteva entrare in attività cominciando a svolgere il compito di racco-gliere acque reflue. L’ingegner Alessandrelli considerava la sua creatura un capolavoro. Tecnicamente portava il nome di “scolmatore di piena” ed era così ampio che le operazio-ni di pulizia dei detriti potevano essere svolte da una piccola ruspa. La nuova grande fo-gna serviva ad evitare che un pezzo di città potesse rivivere l’incubo di trovarsi affogata in uno stivale d’acqua a causa dell’incapacità della rete di smaltire quantitativi di pioggia d’una certa consistenza. In molti ricordavano amaramente i danni del diluvio di qualche anno prima, con le auto nei garage immer-se nel fango, i sottopassi trasformati in stagni urbani e centinaia di cantine allagate dove galleggiava un po’ di tutto. Allora, sotto il fuoco di feroci polemiche, il Comune decise di costruite due grandi scolmatori ai lati della città, in grado di captare tutta l’acqua ingurgi-tata da grate, tombini e bocche di lupo. Ales-sandrelli curò la progettazione e l’esecuzione dei lavori di una delle cloache, sacrificando a quella missione ogni minuto del suo tempo lavorativo. Per testare l’efficienza della fogna venne effettuata una “prova dell’acqua” trami-te introduzione forzata di materiale liquido da due betoniere. La prova diede risposta positi-va e durante la verifica all’ingegnere balenò un’idea bizzarra. Appassionato cultore, nel tempo libero, di sport acquatici con propen-sione per le esperienze estreme, egli notò che l’acqua sparata dalle betoniere creava un’on-da lunga e l’idea di cavalcare quell’onda lo attizzò come le fiamme ardono il ceppo natalizio. Per questo chiese e ottenne una se-conda “prova dell’acqua”. Ma quella volta ad attendere l’arrivo dell’onda ci sarebbe stato lui a bordo del suo kayak.Il fatidico giorno arrivò. L’orologio segnava le

16.05 e il calendario portava la data d’un ve-nerdì d’ottobre quando Alessandrelli prese po-sto nel kajak assestato sul rivolo d’acqua sotto lo sbocco dei tombini di immissione. Incastrò dentro la canoa performante il suo fisico di cin-quantenne atletico e ben piazzato, molto, mol-to dinamico. Per compiere la missione indossa-va un giubbotto giallo, un caschetto protettivo e occhiali frangiflutti. Sulla punta dell’affusolata imbarcazione aveva addirittura piazzato una webcam per documentare l’impresa.“T’si a post?” urlò l’uomo delle betoniere.“Si!” Era pronto. Anzi, prontissimo.

L’operatore contò fino a tre prima di tirare le leve.“On, du, tri!”, e fu acqua.Una cascata dirompente si schiacciò sul ba-samento e irruppe nel cunicolo con la po-tenza d’un cavallone oceanico. In un batter d’occhio il kajak e il suo inquilino si trovarono fra schizzi e creste spumeggianti, sul crinale arrembante dell’onda che pulsava nel ventre sotterraneo della periferia forlivese. Per Ales-sandrelli la sensazione fu bellissima e dopo aver domato l’emozione dell’istante, cominciò a muovere la pagaia per tentare l’ebbrez-za di traiettorie laterali e trasversali. Proprio

continuano le storie SURREALI e di fantasia letteraria AMBIENTATE NELLA forlì CONTEMPORANEA.

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Le immagini sono state appositamente realizzate dall’artista Grota per illustrare il racconto.

quando notò in lontananza un bagliore che annunciava l’imminente fine dello scolmatore, decise di provare il giro della morte. Piantò di prepotenza la pagaia sulla destra per farsi proiettare sul soffitto dall’onda che, in effetti lo spinse in alto ma con tale forza che quando ridiscese l’effetto centrifuga lo sparò contro il lato opposto del tunnel sul quale, inaspettata-mente, si creò un varco. La terra cedette sotto l’urto del kajak e aprì un inatteso cunicolo più stretto, completamente buio, impregnato dell’o-dore d’un umido antico. Alessandrelli batté violentemente il capo una volta, e poi un’altra, e un’altra ancora. Il ka-

jak proseguì la sua corsa verso l’ignoto, spinto dal flusso d’acqua mentre l’ingegnere conti-nuava a ricevere colpi su colpi. Perse i sensi e si sentì come fluttuare in una dimensione sen-za tempo e senza spazio. Nel sogno pensò per un attimo di aver perso la vita e che il passaggio in cui si trovava poteva essere la Natural Burella descritta da Dante nella Divi-na Commedia. Sempre nel sogno, incredulo, si diede un pizzicotto e valutò di non essere trapassato. Non gli rimase quindi che sogna-re d’esser finito in un cunicolo misterioso nelle viscere della terra. Un lungo, lunghissimo cunicolo che, a un cer-to punto, terminò. Quando Alessandrelli rinvenne era buoi pe-sto. Si trovava incastrato nella canoa arenata in una pozza d’acqua alta poche spanne, al limitare di un lago. Non vedeva nulla, se non un albero dalla chioma ampia e alta ve-getazione palustre che impediva lo sguardo sull’orizzonte. Nel buio percepiva la presenza di luci colorate lontane. Rossastre e giallastre. Forse fuochi. Sentiva anche rumori di passi, lievi fra le sterpaglie. Inquietanti. Rimase fermo cercando di capire cosa si stesse muovendo davanti a lui. Pensò che per capire poteva sfruttare la funzione torcia della webcam. Voltò l’apparecchio verso la punta del kajak e rimase pronto ad attivarlo. Il rumore di passi si faceva sempre più vicino. Lentamente, in modo guardingo, qualcuno o qualcosa si avvicinava. Quando comprese che pochi passi lo separavano da quella pre-senza si tenne pronto e al momento giusto at-tivò la torcia. Un bagliore potentissimo di luce bianca, repentino come una fucilata, illuminò la scena e rivelò che la presenza misteriosa era quella di… un leone! Un possente leone maschio dalla criniera maestosa. Il re della savana in persona che, però, dallo spavento fece un balzo, spalan-cò la bocca come per gridare e scappò a zampe levate. Anche Alessandrelli si prese uno spavento mostruoso, sgusciò fuori dal kajak e in un attimo si trovò avvinghiato a un robusto ramo d’albero. Rimase lì tutta la notte, con gli occhi fissi a indagare nelle tenebre il possibile ritorno del leone mentre un rantolio sommesso di ruggiti trattenuti e

il soffio dei respiri lasciava intendere che la bestia non era sola. Ora credeva d’aver ca-pito: era finito dall’altra parte della terra. Quando spuntò l’alba constatò anche la sua posizione nella geografia della zona. Si tro-vava sul ramo d’un albero, a circa tre metri da terra, e a causa delle fronde e dell’alta vegetazione palustre non riusciva a vedere nulla che non fosse un pertugio fra le canne dal quale si accedeva al lago. Oltre l’acqua riconobbe una tratto di pista sterrata. Quella poteva essere la via di salvezza. Ma come raggiungerla? E poi: cosa c’era oltre il lago? In campo aperto i leoni avrebbero potuto divorarlo ancora meglio. Nella disperazio-ne cominciava a coltivare l’insano proposito di farla finita subito, di costituirsi alle belve, quando udì un rumore di mezzo meccanico. Lo vide: era una jeep. Un fuoristrada moder-no che si fermò nello spazio libero di fron-te a lui. L’ingegnere fece ampi segni con le braccia per farsi vedere ma quei gesti finiro-no anche per attirare l’attenzione dei leoni. “Sono qui! Sono qui!” gridava l’uomo che per farsi sentire meglio cominciò a urlare a squarciagola: “Aaaaahhhhh!!! Aaaaahhhhh!!!”In quel momento, dentro alla jeep, un padre spiegava ai suoi figli: “Vedete questi sono i leoni che dopo la caccia vanno ad abbe-verarsi alla pozza e poi riposano all’ombra degli alberi”.Un figlio ribatté, indicando l’ingegner Ales-sandrelli urlante sull’albero: “Babbo, guarda, c’è anche Tarzan!”.Lo vide e immediatamente avvertì il servizio di sorveglianza. Il personale del parco natu-ra, con animali esotici, sorto di recente nei pressi della riviera si attivò immediatamente e in breve tempo portò in salvo il malcapitato canoista. La vicenda ebbe anche riflessi sul-la stampa. Un giornale titolò: “Anche Tarzan sull’Adriatica!”Il cinico sarcasmo non venne afferrato dal povero ingegnere che, fermo nel letto e con la mente annebbiata da una massiccia dose di tranquillanti, ebbe solo la forza di formu-lare una domanda all’infermiera che lo assi-steva: “Scusi signorina, ma chi ha portato i leoni in Romagna?”

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Questo agosto non ha avuto pietà di Forlì. Il caldo ha picchiato duro nella piana, non ri-sparmiando nessuno: rinchiusi nelle case, con gli scuri abbassati, gli umani attendevano spa-smodicamente la sera, che troppo spesso non portava requie; arida la terra, rinsecchiti gli alberi dalla siccità. Forlì in quei giorni di soffo-co, avrebbe detto Francesco Jovine, “era col-pita dal silenzio come da una malattia. Sotto il sole violento le case parevano sgretolarsi”. Se guardavi il cielo, quella coltre soffocante d’afa, se sentivi quell’aria densa, bavosa, che ti si appiccicava addosso, ti veniva da pen-sare che da un momento all’altro l’orizzonte si sarebbe potuto riempire di locuste, e che di lì a poco si sarebbe udito lo spaventoso squillo delle trombe del giudizio universale. Di questo passo, non saprei le trombe, ma le locuste non tarderanno ad arrivare. Sono i cambiamenti climatici, bellezza. Oramai la comunità scientifica è concorde: il consumo di territorio e risorse, l’immissione nell’atmosfera dei famigerati gas serra, stanno già producen-do i loro devastanti effetti. Si tratta ora di ca-pire il quanto, non più il quando. Nell’attesa che i “grandi” della Terra, i potenti, quelli che contano davvero, prendano atto della situa-zione e diano il via ad una politica nuova che finalmente faccia i conti con l’idea della sostenibilità, noi, che contiamo poco, possia-mo però nel nostro piccolo fare quelle “scelte consapevoli”, che gli ambientalisti e gli esperti continuamente ci raccomandano. Non spre-care acqua, preferire la bici all’auto, ridurre i consumi energetici, preferire produzioni lo-cali, il cosiddetto “chilometro zero”, ridurre il consumo di carne e derivati, fare la raccolta differenziata e così via. Sì, è vero, una bella fatica. Se poi sei un tantino radicale nelle tue scelte, la vita può diventare quasi impossibile: a partire dalla raccolta differenziata. Differenziare seriamente richiede una discipli-na ferrea, da monaco zen, ed anche un bel po’ di spazio in casa. Se vivi in un monolo-cale diventa difficile trovare lo spazio per la plastica usata per i contenitori alimentari, per quella dei contenitori con la “X” delle sostanze velenose che vanno raccolte a parte, per il vetro, per la carta, per l’organico, per l’olio

esausto, e così via. Comunque sia, tu che sei un cittadino scrupoloso, ti cimenti nell’impresa con anima e corpo. T’incaponisci sulla botti-glia dell’olio di oliva di cui hai appena spre-muto le ultime gocce: vetro, va bene, ma il tappo? Non è forse plastica? O alluminio? O visto che è un tutt’uno di plastica e alluminio non dovrai metterlo nel cosiddetto “indifferen-ziato”? Chissà. Ma il vero dilemma si annida nell’organico. Sì, perché l’organico puzza. E del resto il suo puzzare è un’icastica metafo-ra dell’essere: vivemus atque olemus, non c’è niente da fare. L’inorganico, infatti, non puzza. Quei flaconi di plastica puoi tenerli in casa per settimane intere, senza alcun fastidio. Ma il bidoncino marrone della materia organica, vivente anche post-mortem, no. Per non dire della popolazione di moscerini e mosche che stazionano attorno a quei miasmi. Chiaro, non puoi tenerlo in casa: trasformi un angolo del terrazzo nella sentina del cibo. Ma i vicini si lamentano, forse anche comprensibilmente, e dunque, che fare? Scendi paziente tutti i giorni le scale, e lo svuoti nel contenitore che trovi in strada. E qui vedi che in quel conteni-tore c’è di tutto: bottiglie di plastica, di vetro, sacchi neri della spazzatura indifferenziata: il Caos primordiale nel quale sprofondere-mo nuovamente alla fine dei tempi. Perché tu sei civile, responsabile, attento, ma tutti i tuoi sforzi sono vanificati dall’incuria del prossimo, dell’Altro. Tu differenzi, lui è indifferente. Tu scendi col tuo bidoncino marrone, lui mette tutto insieme e butta nel primo cassonetto che incontra. Se ne fotte, lui, del mondo. Peccato però che almeno sull’organico non stia un pochino più attento. Spiegano gli esperti che è proprio la frazione organica che, bruciata negli inceneritori o termovalo-rizzatori, sprigiona nell’atmosfera i gas più dannosi per la nostra salute. Ed è proprio dalla frazione organica che si può ottenere con un ciclo assolutamente eco-compatibile il metano. A Cesena, primi in Italia, già lo fan-no: una piccola azienda, Romagna Compost, riesce, col processo della digestione anaero-bica, a convertire i miasmi maleodoranti della materia putrescente in biogas, ricco di meta-no, che, bruciando, alimenta una turbina che produce energia elettrica sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di duemila famiglie.

Non solo: il materiale di scarto è utilizzabi-le come terriccio in agricoltura biologica. Insomma, direbbe De André: dall’oro non nasce niente, dall’organico nascono i fior, [e l’energia]. Ma bisogna che sia solo organico. Al massimo dentro ci potrà essere un po’ di carta, ma non certo della plastica. Forse se anche l’Altro, e non solo tu, fosse consapevole del fatto che dal cibo marcescente si può rica-vare sia energia elettrica che terriccio sarebbe più attento a mettere i rifiuti nei posti giusti. O forse no: probabilmente chi è indifferente, in-differenzia comunque... E così ci deve pensare il Comune: bisogna un po’ forzare l’indifferente, canalizzare la sua in-curia, essere un po’ costrittivi, per esempio col “porta a porta”. Lo dicono le statistiche: con la raccolta porta-a-porta la percentuale di rifiuti salvati aumenta di quasi il doppio. Lo confer-ma l’esempio della vicina Forlimpopoli che differenzia porta-a-porta da ormai molti anni. Ma molti forlivesi dei quartieri già raggiunti del servizio mugugnano. Forse così, per par-tito preso. Perché il forlivese ama il mugugno. Oppure perché tutti quei bidoncini per strada sono antiestetici. Come se i cassonetti fossero opere del Caravaggio... O adducendo l’inop-pugnabile argomento del pesce. Che suona più o meno così: se cucino il pesce, gli scar-ti, la ventresca di pesce, puzzano, e molto, e io non posso tenermi in casa il bidoncino fino al giorno deputato al suo ritiro. Sia mai. Troppa fatica. Troppa puzza. Diciamo che la controversia si potrà risolvere in un tempo re-lativamente breve, poiché continuando così lo sfruttamento dei mari e dei fiumi con la cosid-detta pesca “intensiva”, che sarebbe meglio definire “spietata” o “insensata”, presto non ci sarà più pesce edibile, se non forse il famoso pesce siluro del Po, che, dice l’adagio, “non lo mangia neanche il cane”, e l’argomento sarà definitivamente chiuso. Nel frattempo si potrebbero invitare i concittadini colpiti dal “porta-a-porta” ad organizzare i loro menù sul-la base dei calendari Hera. Se domani pas-sano a raccogliere l’organico, giù di pesce, coratella e trippa. Se invece è il turno della carta mangerete verdure e legumi. Se tocca alla plastica o al vetro, niente: digiuno depu-rativo o espiativo, se siete credenti. Tanto c’è sempre più di un buon motivo per espiare.

Differenziare poi, che senso ha?

iN CaUda veNeNUM

di ivano arcangeloni

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