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IN COMUNE

Mensile di informazione, attualità, culturae spettacolo del territorioDirettore responsabile:Ivano DavoliEditore: Servizi Editoriali Padani Società CooperativaVia dei Mille. 13 - CremonaStampa: Igep Pizzorni CremonaRegistrazione Tribunale di Cremona n° 381 del 23/03/2002Redazione e Poligrafia: via Edison 14/a - 42100 Reggio EmiliaPubblicità: Edit 7 srl - Via Pasteur 2 - 42100 Reggio EmiliaTel. 0522 331299 - Fax 0522 392702Progetto grafico: www.adv-re.com

SOMMARIO01- GENNAIO 2009

Impariamo a convivere con il terremoto pag. 04

Viaggio nel Vietnam:un aiuto concreto ai bambini disabili pag. 08

L’espansione culturalenella valle del Po pag. 14

Da Costantino Vº alle celebridinastie di organari pag. 20

Le prime osterie che fecero di Modenacittà d’uva e di vino pag. 24

Nelle pagine del Risorgimentospicca la storia di Giovanni CortiVescovo di Mantova pag. 28

Sant’Antonio nella millenariaciviltà contadina pag. 32

L’ultima sfida vinta nel cuoredella Germania musicale pag. 34

Attilio Pavesi, il ciclista che feceinnamorare la diva Anita Page(e infuriare il duce...) pag. 38

Le ricerche di Renato Biasuttisulla casa rurale pag. 42

Nella casa museo la storia e l’artedi Pietro Guizzardi pag. 44

Le fiabe di Anna Maria Dall’Aglioe le favole di Giuliano Bagnoli pag. 48

Un pò di brio per l’anno nuovo! pag. 51

Pipì...guai in vista! pag. 53

Collezionare: l’arte in anteprima pag. 55

Andiamo al cinema pag. 59

Profilo Donna a favora dell’AISM pag. 62

Il Giaguaro ha potenziato gli artigli pag. 65

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Impariamoa conviverecon il terremoto

vere un terremoto inItalia è come avere un

incidente nel traffico. Noipercepiamo solo oltre lamagnitudo 2.5, quelli che po-tremmo definire gli incidentistradali. Ma ci sono una molti-tudine di tamponamenti nonresi noti, se non alle assicura-zioni (che in questo caso sa-rebbero i tecnici)”.A parlare è Doriano Castaldini,docente di Geologia all’univer-sità di Modena e Reggio Emiliaed esperto di terremoti, checonferma un’idea inquietante:la terra trema, e lo fa piuttostospesso. Ma gli abitanti dei ter-

Nelle nostre zone la terra trema spesso,ma la pericolosità e bassa.I consigli di Doriano Castaldini docentedi geologia all’Università di Modena e Reggio

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PRIMO PIANO

“A

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ritori tra Modena, Parma eReggio Emilia possono dormiresonni tranquilli, perché la zonaè a bassa pericolosità sismica,anche se alcune aree salgonoad un livello medio, soprattuttoverso la montagna. L’unica re-ale forma di protezione da que-s to t i po d i even to è“l’educazione ai terremoti”,come spiega il docente del-l’ateneo modenese, “in moltisi fanno male solo perché nonsanno come comportarsi e lepersone si riversano in stradain preda al panico. Occorreinvece restare calmi e mettersisotto tavoli o scrivanie e atten-dere di uscire dall’edificio inmaniera ordinata”. Di eventila storia ne registra parecchi,ultimo quello del 23 dicembrescorso, quando alle 16,25 unattimo interminabile ha fattocorrere i cittadini fuori da ufficie palazzi: l’eternità di quellavertigine, di quell’ondata cheha mosso la terra e che si puòriassumere in un paio di secon-di, è bastata a creare il panico.

“Il terremoto avvertito dai cit-tadini alle 16,25 è stato prece-duto da una scossa alle 16,18,con una magnitudo 3.4, e suc-cessivamente, verso le 23, unasuccessiva scossa con unamagnitudo 4.7”, spiegaCastaldini. “Ma la sequenzadei sismi successivi è lunghis-sima, gli ultimi sono stati regi-strati ieri (6 gennaio, ndr). Sitratta di un fenomeno naturale,è l’interno della terra che stariacquistando il suoequilibrio”. La scossa,con una magnitudo 5.2ed epicentro tra Parma eReggio Emilia, è statalocalizzata nel distrettosismico di Frignano, inquella zona che stori-camente ha subito glieffetti di numerosi eventi,come il terremoto del1818 o del 1873, cheh a n n o v i s t o u n amagnitudo praticamenteidentica, e grazie alla suaprofondità, circa 26 km,è stato sentito in un ter-ritorio molto ampio. E seil territorio, secondo idati forniti dall’Istitutonazionale di Geofisica eVulcanologia (Ingv), èperiodicamente colpitoda eventi simili a quellodi dicembre, la storiaracconta che non ci sonos c o s s e c o n u n amagnitudo particolar-mente alta, anche se fattidel genere non sono daescludere. E la scossa percepitadai cittadini non è stata altroche una delle numerose avve-nute in quei giorni, le cui duemaggiori sono state alle 23.58e a mezzanotte e trentasettedel 23 e del 24 dicembre. “Lazona di Modena, come quelladi Parma e Reggio Emilia, ri-cade tra un’area a bassa e unaa media pericolosità sismica”,commenta Castaldini. “A Mo-

dena la maggior parte è co-munque a bassa, mentre la me-dia si può collocare nell’areatra Vignola, Sassuolo e ilreggiano e poi nell’altoAppennino verso Frassinoro,perché risente della vicinanzacon la Garfagnana, una zonamolto sismica. Nel 1920 ci fuun terremoto di una magnitudo6.5 paragonabile a quelli delFriuli del 1976. A Reggio lazona a media pericolosità è

quella in montagna e del di-stretto ceramico, sempre alconfine con la Garfagnana,mentre a Parma si tratta del-l’area della Val d’Enza”. Perraccontare i terremoti si deveandare indietro di secoli addi-rittura fino al 1346, con unamagnitudo tra 6 e 7, per poiarrivare al 1501, con una scos-sa molto forte che ha avutoepicentro nel margine dell’Ap-

diAnnaFerri

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Nella foto Grande asinistra la Chiesa di Pi-gneto a Prignano.Sotto a sinstra Prof.Doriano Castaldini, adestra la chiesa di Sel-vapiana.

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PRIMO PIANO

pennino, nella zona traSassuolo e Vignola, con un’in-tensità pari ad 8. “Se facciamoun salto fino al Novecento, ar-riviamo al 1996”, racconta ildocente, “con il terremoto cheha avuto epicentro a Correggiola cui origine è nella strutturaappenninica che continua finoal Po, anche se noi non la ve-diamo. Queste pieghe conten-gono delle rotture che quandosi riattivano danno vita proprioai terremoti. La scossa sismicadi dicembre 2008 deriva dalmargine dell’Appennino. Perquesto ultimo terremoto, supe-riori alla magnitudo 2.8 di scos-se ne sono state registrate 15,di cui una proprio il 6 gennaio”.Imprevedibile e fuori controllo,il terremoto da sempre spaventagli esseri umani (e gli animali),ma per gli italiani non può es-sere considerato un evento stra-ordinario. “Il territorio tra Mo-dena, Parma e Reggio Emilia èa bassa pericolosità”, spiega il

docente, “ma l’importante èvalutare la risposta locale: inmontagna, vicino a scarpate ocrinali, si registra un’amplifica-zione della sismicità”. Unascossa può infatti riattivare unmovimento franoso, perché ilsottosuolo è di natura argillosa,mentre altre località risultanomeno sensibili perché poggianosull’arenaria. Insomma, per va-lutare un terremoto bisognaconoscere le diverse caratteri-stiche della zona interessata,perché se è impossibile preve-nirli, si possono comunque de-finire le aree più soggette aquesto rischio. “In questa areanon ci sono mai stati terremotidistruttivi”, continua Castaldini,“infatti è definita a bassa o me-dia pericolosità. La magnitudomassima sentita fino ad oggi èdi 7, mentre per distruggerepalazzi si deve toccare lamagnitudo 7,5 o 8. Con unamagnitudo 5.1 al massimo cadequalche calcinaccio”.

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REPORTAGE

Viaggio nel Vietnam:un aiuto concretoai bambini disabiliUno dei progetti di solidarietà internazionale sostenuti nel 2008 e 2009da Boorea, la società creata da 36 cooperative aderenti a LegacoopReggio Emilia per fare cooperazione internazionale e solidarietà sulterritorio, è quello per i bambini disabili a Bac Giang City, in Vietnam,a pochi chilometri dalla capitale Hanoi.

Viaggio nel Vietnam:un aiuto concretoai bambini disabiliUno dei progetti di solidarietà internazionale sostenuti nel 2008 e 2009da Boorea, la società creata da 36 cooperative aderenti a LegacoopReggio Emilia per fare cooperazione internazionale e solidarietà sulterritorio, è quello per i bambini disabili a Bac Giang City, in Vietnam,a pochi chilometri dalla capitale Hanoi.

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Quello che segue è il resocon-to di Patrizia Santillo, presi-dente di GVC, la ONG Emilia-na che sta realizzandol’intervento in Vietnam anchegrazie a un cofinanziamentodella Commissione Europea.Boorea ha già destinato al pro-getto i primi 10.000 euro, gra-zie all’incasso della GrandeCena che si tiene ogni anno aCorreggio (RE).

scendo dall’aeroporto diHanoi, dove ci attendonoi cooperanti di GVC, An-

drea e Diana, si è colpiti da 2cose: un cielo plumbeo, segno

della stagione delle piogge, cheemana una umidità soffocante,una miriade di persone checon ogni mezzo di trasporto -auto, ma ancor più motorino,bicicletta, risciò- percorrono,indaffaratissimi, il viale chedall’aeroporto porta al centrocittà.E’ l’immagine del Vietnam dioggi, dove nessuno perde tem-po, e anzi si ingegna con ognirisorsa disponibile a generarereddito. Così convivono i ne-gozi più moderni con i merca-tini tradizionali, le piccole im-prese familiari che coltivanoriso sfidando le alluvioni, con

le grandi imprese in piena mo-dernizzazione.I Vietnamiti, forti della lorotenacia, non si perdono d’ani-mo di fronte a nulla: nelle cam-pagne donne anziane con ilvolto segnato dal sole e laschiena curva, i piedi nell’ac-qua, sorridono guardando illoro riso, la fonte della sussi-stenza familiare; nella città gio-vani ragazze in un buon ingleseaccolgono i turisti nei migliorialberghi, nelle banche e negliuffici di accoglienza al pubbli-co.Un turismo in crescita, che oggipuò coniugare il livello di con-

U

diPatriziaSantillo

foto diIvan Soncini

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REPORTAGE

fort con le bellezze di questoPaese: la pagoda dei profumi,la città imperiale di Hue, labaia di Ha Long.Secondo lo stile sobrio di GVC,noi siamo alloggiati in un pic-colo ma pulito albergo di Ha-noi, costruito secondo la tradi-zione vietnamita, stretto e alto,4 piani, l’ascensore non c’è.Siamo tanti, i responsabili diGVC e gli amici di Boorea,l’occupiamo quasi tutto, è co-me essere in famiglia, ci danno

la colazione che i nostri stoma-ci sono abituati a reggere, cifanno usare internet per leggerela posta, e alla sera quandorientriamo non ci dicono nullase dobbiamo scavalcare i ra-gazzi della reception che dor-mono per terra nella piccolahall d’entrata.I vietnamiti, sempre cortesi,apprezzano chi porta loro va-luta , investimenti e solidarietà.Il progetto del GVC a favoredei bambini portatori di handi-

cap è a Bac Giang, a 60 kmda Hanoi.Secondo l’ultima in-dagine condotta dal Ministerodella Salute vietnamita, il 5,2%della popolazione totale (circa4.150.000 persone) è disabile;di questi, circa il 30%(1.245.000 persone) necessita-no cure di riabilitazione. Il nu-mero dei bambini disabili è dicirca 582.400, tra questi mol-tissimi sono nati malformati acausa della diossina, nonostan-te la guerra sia finita da 30anni.La mancanza di servizi per ibambini disabili e la tendenzaculturale nella società vietna-mita a nasconderli costringonoi membri della famiglia, di so-lito la madre, a restare a casa.Ciò aumenta drammaticamen-te la vulnerabilità del nucleofamiliare e fa diminuire le pos-sibilità di reddito. Nonostanteil paese abbia ottenuto un pro-gresso significativo nella ridu-zione della povertà, assiemeal miglioramento e all’estensio-ne del sistema sanitario allamaggioranza della popolazio-ne, i servizi per i bambini disa-bili sono estremamente limitatie spesso il peso delle cure ri-mane all’interno della famiglia.Obiettivo primario del progettoGVC è contribuire all’integra-zione sociale di persone condisabilità fisiche e alleviare lapovertà delle famiglie conbambini disabili.Saranno quindi realizzati 7centri per la riabilitazione deibambini disabili e si svolgeran-no attività di formazione e ag-giornamento del personale sa-nitario. Il centro principale,capace di accogliere 150-170bambini, sarà a Bac Giang Citye servirà anche da centro diformazione. Gli altri 6 centriminori saranno a livello distret-tuale, con una capacità di circa80-90 bambini ciascuno.I centri forniscono un servizio

A sinistra Ivan Soncini,presidente di Booreae autore delle foto, eun bambino vietnami-ta.A destra nelle fotogrande alcuni bambinidi Bac Giang assistitidal progetto

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REPORTAGE

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diurno che permette ai genitoridei bambini di lavorare e diconseguenza di ampliare ilmercato del lavoro.Questi centri si appoggiano aicentri sanitari già esistenti nellacittà e nei suoi distretti. Sonodotati delle attrezzature adatteper portare avanti la terapiariabilitativa. Le infrastrutturesaranno migliorate e ampliatesecondo le necessità e saranno

migliorate anche le condizionidi lavoro del personale sanita-rio locale, qualificandone lecompetenze, sui metodi inno-vativi per affrontare la disabili-tà. Si calcola che il numerototale dei beneficiari sia di2032 persone di cui: 693 bam-bini disabili affetti da gravi han-dicap motori; 1339 membri dinuclei familiari con bambinidisabili che parteciperanno al

programma riabilitativo e 120unità di personale sanitario eassistenti sociali che partecipe-ranno alle attività di formazio-ne.A Bac Giang incontriamo leautorità locali che hanno volu-to questo progetto perché co-noscono le esperienze italianein materia di riabilitazione ed’integrazione, sanno che ilprogetto necessita di molte ri-

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sorse e, da parte loro, assicura-no una propria quota di parte-cipazione, coinvolgendo le as-sociazioni degli imprenditori,le locali camere di commercio,e le autorità sanitarie locali.Incontriamo i bambini che orasono presenti nel centro piùgrande, gli educatori ed il per-sonale.I locali sono degradati, semivuoti, poveri di materiali didat-

tici, ma quello che c’è è tenutobene, custodito sotto un nailonperché non prenda polvere; aibambini viene spiegato chepresto i loro amici italiani mon-teranno palestre, costruirannoi bagnetti, metteranno in queglistanzoni tanti giocattoli utili alloro apprendimento. Sonobambini che non hanno maivisto nulla di ciò di cui noipossiamo disporre, ma ci cre-dono, e la loro fiducia ci infon-de un gran senso di responsa-bilità e anche di coraggio. Conl’aiuto degli amici di Booreapossiamo farcela.

Come aiutare il progetto per ibambini disabili in VietnamOn line con Carta di Credito:tramite il sito www.gvc-italia.orgIn Banca: BANCA ETICA: co-dice IBAN: IT 21 A 0501802400 000000101324in POSTA: C/C 000013076401Per ulteriori informazioni sulprogetto: GVC, via dell’Osser-vanza 35/2, Bologna (tel. 051-585604) e Boorea, via Gandhi8, Reggio Emilia (tel.0522-299278)

“TAM BIET VIETNAM, HEN GAY TRO LAI!”:”ARRIVEDERCI VIETNAM, E A PRESTO!!

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L’espansione culturalenella valle del Po

STORIA

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Una vecchiacontroversia

orse qualcuno ricorderàche il mese scorso rac-

contavo del dibattito infinito(tra archeologi, linguisti, gene-tisti, geografi, geopolitici, an-tropologi e storici) che opponedue tesi opposte: “dif-fusionismo” (un modello oggimol to in voga) contro“invasione” o “migrazione” (unmodello tipico della generazio-ne di studiosi a cavallo tra XIXe XX secolo: geografi come SirHalford Mackinder, archeologicome Gustaf Kossinna, antro-pologi come Zebina W. Ripley,Giuseppe Segi eccetera).Le nuove teor ie (“di f -fusionismo”) sostengono checambiamenti culturali all’inter-no delle popolazioni europee,sono dovuti principalmente a“espansione culturale” piutto-sto che a “invasioni razziali”( l a t e s i d e l m o d e l l o“migrazione”).Ci sono alcuni territori chesembrano dimostrare oggi lavalidità del modello diffusioni-sta: l’Italia del nord-ovest, labassa Svizzera e la Gran Breta-gna.

Il caso britannicoScrive uno storico: “Malgradol’intensità e la durata, questoinflusso [romano ndr] non pe-netrò in profondità i gangli es-senziali, materiali e culturalidelle società soggette, nellecampagne soprattutto, ma an-che nelle città. La forza di que-sta tradizione non attese permanifestarsi l’impatto del-l’esterno delle popolazioni bar-bare, ma emerse vigorosa nonappena le strutture dello statoromano persero forza e nonriuscirono più a contenerla. Lasua prima reazione di una certaampiezza appare in quella chegli storici chiamano la ‘reazio-ne indigenista’ del Vs.: ripresa

delle antiche tradizioni cultu-rali, ritorno agli antichi modidi vita e di organizzazione so-ciale, lotta contro gli oppressoriromani. In area gallica ed ibe-rica questa lotta si manifestòcon violenza nelle numerosee successive rivolte che tra lafine del III ed il IV sec. scosseroin luoghi e tempi diversi l’am-ministrazione imperiale, attac-cando soprattutto il sistemafiscale (rivolte dei bagau-di)…Più in generale, il finiredell’impero romano vedel’emergere di identità locali”.1

Tipico, in questo senso, il casobritannico. Scrive Simon Jamesin Peoples of Britain, che ilvecchio modello (“invasione”o “migrazione”, quello usatoanche da Mackinder) è com-pletamente superato: “La storiadell’antica Gran Bretagna èstata tradizionalmente raccon-tata in termini di ondate diinvasori sostituenti o distrug-genti i loro predecessori. L’ar-cheologia suggerisce che que-sto quadro è fondamen-talmente errato. Per oltre10.000 anni i popoli si sonomossi dentro – e fuori della –Gran Bretagna, talvolta in nu-mero sostanziale, eppure c’èsempre stata una continuità dibase della popolazione. Il pa-trimonio genetico dell’isola ècambiato, ma più lentamentee molto meno completamentedi quanto implicato dal vec-chio “modello invasione”, e lanozione di migrazioni su largascala, che una volta era la chia-ve per spiegare il cambiamentonell’antica Gran Bretagna, èstato largamente discreditato.La sostanziale continuità gene-tica della popolazione non pre-clude profondi cambiamentiin cultura ed identità. E’ effet-tivamente piuttosto comuneosservare in una popolazioneun importante cambiamentoculturale, inclusa l’adozione

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di identità totalmente nuove,con poco o nessun cambia-mento genetico…Gli stereotipifisici regionali che oggi ci sonofamiliari, un modello larga-mente ritenuto essere risultatodalle invasioni post-romane dianglo-sassoni e vichinghi –gente dai capelli rossi in Sco-zia, gente piccola e dai capelliscuri in Galles e alti magribiondi nell’Inghilterra del sud– esistevano già ai tempi roma-ni. In quanto rappresentanti larealtà, essi attestano forse ilpopolamento post-glaciale del-la Gran Bretagna, oppure i pri-mi agricoltori di 6000 anni fa”.2

Già nel 1939 l’antropologofisico C. S, Coon scrive che ilmateriale scheletrico celticodell’Europa mostra “che la sot-tomissione al dominio romanonon fece nulla per cambiare iltipo fisico di questo particolarepopolo”, i celti.3Secondo C. T. Smith Smith:“L’emigrazione da Roma o dal-l’Italia era spesso esigua rispettoa quella dei popoli indigenima la legge romana, la lingua,i costumi e le tradizioni furonoin varia misura assimilati oimposti”.4

Venendo alle isole britanniche,secondo Renato Biasutti il lo-cale tipo fisico nordico è pree-sistente l’invasione dei sassoni(avvenuta nel medioevo, conla caduta dell’impero romano,

diPaolo A.Dossena

F

A sinistra, popoli e im-peri in età ellenistica:la Valle del Po è spar-tita tra Liguri, Celti eVeneti (gli etruschi so-no già scomparsi).Fonte: "Grande Atlan-te Geografico e Stori-co"; Utet, 1991.A destra, A. Piazza,autore di L'eredità ge-netica dell'Italia antica,Le scienze, ottobre1991 (fonte: internet).

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STORIA

e che avrebbe dato all’Inghil-terra la sua lingua). Soprattutto,dice Biasutti, questo tipo uma-no non fu modificato dai roma-ni: “Nell’Inghilterra…i crani dietà romana (i cosiddetti Roma-no-Bretoni) mostrano un carat-tere che è ora molto diffuso neltipo nordico: la dolicocefaliaassociata a uno scarso diametroverticale”.5

Per Biasutti i primi (ancora rari)elementi nordici dell’attualeGran Bretagna sono riconosci-bili tra le popolazioni deiRound-barrows neolitici (cosìcome tra le popolazioni mega-litiche della Svezia e della Ger-mania settentrionale).6

Lo stesso dice Julian Huxley: iromani non modificarono lapopolazione dell’arcipelagobritannico.7

Ma quanto detto per la Gran

Bretagna e l’Europa vale persi-no per l’Italia, in particolareper quel territorio compresotra la Valle del Po e la bassaSvizzera. Proprio questa zonaoffre la migliore testimonianzadi come i metodi di studio diMackinder siano del tutto su-perati.

La Gallia Cisalpina e ilmodello diffusionistaNell’articolo che avevo pubbli-cato su questa rivista il mesescorso, raccontavo del popola-mento della Valle del Po tral’età del bronzo e quella delferro. I liguri prevalevano nelsud-ovest di questa regione, icelti nel nord-ovest, i reti e iveneti a est. Per concluderequesto quadro aggiungo orache al profilarsi dell’invasioneromana, arriverà nell’Italia set-tentrionale la popolazione cel-

tica dei gesati, calata da nord-ovest (Polibio, Storie, II, 21-23),in aiuto dei celti autoctoni.Inutilmente: la fine del III el’inizio del II secolo a.C. vedonola conquista romana di quellache gli stessi romani chiamanoGallia Cisalpina.La Gallia Cisalpina dei romanicomprende l’intera Italia setten-trionale a nord della dorsaleappenninica settentrionale.Ed ecco come gli studiosi ap-plicano il modello diffusionistaa questa regione: esattamentecome in Inghilterra e in qualsi-asi altra parte dell’impero ro-mano, le popolazioni locali del-la Gallia Cisalpina soprav-vivono al dominio di Roma.Già ai tempi della conquistaromana “Agli altri popoli, quellitranspadani, non fu tolta alcunaparte di territorio”.8

Al tempo della conquista roma-

Le capanne dei Celtisono edifici rettangolaricon muri in sasso ce-mentato con terra etetto a due spioventicon copertura in pagliadi segale su orditura ditravetti di legno.Presentavano due pia-ni, in quello inferiore viera la stalla, sopra, ilfienile. (fonte: PieralbaMerlo)

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na, conferma M. F. Barozzi,“Insubri e cenomani furonoposti sotto il potere romano inmodo indiretto, mediante lastipulazione di trattati di mutuaassistenza militare”.9

Inoltre “i Romani...non aveva-no davvero sovrabbondanzad’uomini, e noi sappiamo cheessi furono ripetutamente indifficoltà per ripopolare colo-nie già esistenti danneggiatedalla guerra...Per queste ragioninon è il caso di pensare a stan-ziamenti di coloni, neppurecon assegnazioni vitalizie, nelterritorio insubre... l’impossibi-lità di ciò dal momento che gliinsubri erano alleati”.10

Infine, nel 90/89 a. C. alla Gal-lia Cisalpina e alla regionealpina è concessa la cittadinan-za latina, cosa “che rendevale comunità celtiche colonielatine senza che ci fosse uneffettivo insediamento di colo-ni: gli stessi abitanti erano equi-parati a coloni latini”.11

Solo nel 49 d. C. sarà concessala piena cittadinanza romana.Che la popolazione cisalpinafosse rimasta quella originarialo conferma anche l’onomasti-ca: si pensi alle iscrizioni lom-barde di Brebbia12 o di Gab-bioneta Binanuova, peresempio.13

Quindi come scrive Carlo Cat-taneo “la stirpe degli Insubrisopravvisse” ai romani,14 comericorda anche Strabone (ca 63a. C.-24 d. C.) quando dice:“Ora sono tutti romani, nondi-meno alcuni si dicono umbri,altri veneti, liguri e insubri”.Come sappiamo dall’articolodel mese scorso, gli insubrierano una delle più antichepopolazioni celtiche dellaLombardia.Quindi prima ancora dei mo-vimenti delle popolazioni ger-maniche del V secolo d.C. chedistruggeranno l’impero, si as-siste nella Gallia Cisalpina a

una “reazione indigenista” cel-tica (nel nord-ovest) e ligure(attuale Liguria e aree circo-stanti).15

Infatti l’area celtica e l’arealigure della Gallia Cisalpinaottengono “un certo riconosci-mento amministrativo nel bas-so impero, quando dopo lamorte di Teodosio I (395) l’Italiaoccidentale formò un’ unicaprovincia con a capo Medio-lanum (città etnicamente com-posita, ma in area celtica).Ma la persistenza celto-ligurefu rilevante ben oltre questoriconoscimento ammini-strativo”.16

A causa della “reazioneindigenista”, “Le forme tipichedell’insediamento celtico e li-gure, i villaggi compatti, i vici,che si erano a lungo contrap-posti alle villae romane si con-solidarono con l’indebolimen-to di queste, e divenneropredominanti come sistemad’insediamento.Sia per i liguri che per i celtitornarono a prender vigore po-litico i legami gentilizi e triba-li...i territori di insieme di gen-tes e di tribù riacquistaronosignificati politico pubblico:riemerse alla luce il pagus,divisione territoriale preromanache ora identificava gli insiemigentilizi e tribali dei popoliliguri e celti...Sotto un altro aspetto questoritorno indigeno è particolar-mente sensibile: la religiosi-tà...il culto delle fonti e deglialberi...un certo culto dellamadre Idea, ma soprattutto, incorrispondenza al crescentevigore politico del sistema gen-tilizio, prende forza il cultodegli antenati, dei mani”.17

Così scrive anche P. Tozzi: nellalombarda tra Adda e Mincio“al cadere dell’impero si ripre-sentarono tempi favorevoli alrinnovarsi i tendenze e situa-zioni che i Romani non erano

riusciti a modificare sostan-zialmente”.18

La popolazione milanese, lom-barda e padana era dunqueancora quella delle origini, cel-tica: “...Non fu certo caratteristica diMilano antica l’infiltrazione diconsiderevoli elementi alloge-ni, mentre il substrato dellapopolazione rimase essenzial-mente quello celtico delle ori-gini.Lo dimostrerebbe anche la pre-senza di alcuni nomi certamen-te non romani nell’onomasticapersonale del luogo”.19

Come nota F. Padda, ancoranel medioevo, nel XIII secolo,si riconoscono le comunità pre-romane, perpetuatesi fino aquell’epoca. 20

Appare quindi evidente cheanche i numerosi insediamentidelle popolazioni germaniche(germani di Odoacre, goti, so-prattutto longobardi e poi fran-chi) in Val Padana (V-VI secolo)seguite al crollo dell’imperoromano, non hanno modificatoil quadro celtico di fondo dellapopolazione.

L. & F. Cavalli-Sforza,autori di Chi siamo,Mondadori, Milano,1993 (fonte: internet).

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STORIA

Note1) A.A.V.V. Storia d’Italia e d’Europa, Jaca Book,1978, p. 20.2) James, S. Peoples of Britain, BBC – History.3) Coon, C. S. The Races of Europe, New York,Macmillan, 1939, p. 190.4) Smith, Clifford T. An Historical Geography ofWestern Europe before 1800, Longmans,London,1967, p. 57.5) Biasutti, Biasutti, R. Le razze e i popoli dellaterra, 1967, vol. 1, p. 40.6) Ibidem, p. 33.7) Huxley, J. We Europeans, Penguin Books, FirstPublished 1935, Fiftth Impression, 1939, p. 197.8) A.A.V.V. Storia di Milano, Fondazione Treccanidegli Alfieri per la storia di Milano, 1953, vol. I,p. 169.

9) Barozzi, M. F. I celti e Milano, Edizioni dellaterra di mezzo, Milano, 1991, p. 106.10) A.A.V.V, 1953, op. cit., vol. I, p. 169.11) Barozzi, op. cit., p. 166.12) A.A.V.V., 1953, op. cit., pp. 176-177.13) Borsella, G. L’ara romana di GabbionetaBinanuova, Comune di Gabbioneta Binanuova,2008.14) Cattaneo, Carlo Lombardia antica e moderna,Sansoni, 1943, pp. 30-31.15) A.A.V.V., 1978, op. cit., pp. 21-22.16)Ibidem, p. 21.17) A.A.V.V 1978, op. cit., pp. 21-22.18) Tozzi, P. Storia padana antica, Ceschina,Milano, 1972, p. 162.19) A.A.V.V., 1953, op. cit., vol. I, pp. 288-289.20) Padda, F. in Pellegrini, G. B. Toponomastica

italiana, Ulrico Hoepli, Milano, 1994.21) A.A.V.V., 1978, op. cit., p. 21; Cfr Olivieri,D. Dizionario di toponomastica lombarda, Ce-schina, Milano, 1961, pp. 21-22.22) Barozzi, op. cit, p. 116.23) Barozzi, op. cit; Pellegrini, 1994, op. cit.;Olivieri, 1961, op. cit.; De Blasi, M., GaddaConti, P. La Brianza, Automobile Club d’Italia,1966.24) Barozzi, op. cit, p. 116.25) A.A.V.V., 1978, op. cit., p. 21.26) Cavalli-Sforza L. & F. Chi siamo, Mondadori,Milano, 1993, p. 336; Piazza, A. L’eredità geneticadell’Italia antica, Le scienze, ottobre 1991, pp.62-69.27) Smith, op. cit, p. 44.

Conferme della validitàdel modello diffusionistaLa toponomastica lombarda,per esempio, è ancora oggi for-temente condizionata da questatradizione celtica: “La termina-zione celtica -ago, acum, è par-ticolarmente diffusa nella fasciatra il Sesia, il Ticino e l’Adda;spesso si presenta diffusa nellaforma secondaria in -ate od -ato”.21

Spesso i locali toponimi celticidel nord-ovest indicano carat-teristiche geografiche, più rara-mente traggono origine da nomidi animali, piante o divinità.22

Elencarli tutti sarebbe impossi-bile, esiste comunque al riguar-do una vasta bibliografia.23

E’ tuttavia da rilevare che ilsuffisco in -asco è da attribuiresia ai celti sia ai liguri (ma spes-

so si tratta invece di aggettivi:bergamasco, comasco, crema-sco, ecc., relativamente recenti).E che i toponimi toponimi cel-tici di epoca romana (gallo-romani) derivano dai nomi dipersona dei propietari (antropo-nimi), secondo l’uso romano(presso i celti delle origini ilpossesso della terra era comu-nitario). 24) I toponimi galloro-mani sono in -ano (o -iano)“derivazione romana da un no-me di gruppo familiare”.25

Secondo L. Cavalli Sforza (natonel 1922, e insegnante dellaStanford University, dove diri-geva lo Human Genome Diver-sity Project) e A. Piazza, gene-ticamente l’Italia è rimastaquella dell’età del ferro, conun fondo celtico nella VallePadana occidentale, e ligurenella Valle Padana sud-occidentale.26

C. T. Smith ha scritto qualcosadi simile.27 E’ una constatazio-ne che si accorda con i datidella linguistica (i “dialetti” gal-lo-romanzi del nord-ovest) edella toponomastica.

Presente e passatoE’ dal 1957 (trattato di Roma)che la Valle del Po è tornata adessere ciò che era all’epocadell’impero romano e dell’im-pero carolingio: una pietra an-golare del processo d’integra-zione europeo.

E’ auspicabile che lo studio diantiche eredità culturali nonvenga confuso con nazionali-smi ed irredentismi, che nelcorso di due fratricide guerremondiali hanno devastato ilnostro vecchio continente.Gli scambi commerciali, tec-nologici e delle conoscenze inogni campo sono preferibiliagli antichi odii tra Stati nazio-nali. Moderni ospedali, trenisuper veloci e nuova scienzainformatica possono conviverecon lo studio di antiche vociprovenienti dal nostro passatoremoto: quelle di ho abbiamoparlato oggi e nella puntate deimesi scorsi (quelle pubblicatetra il numero di maggio 2008e quello che avete in mano).

A sinistra una dellemappe genetiche di A.Piazza (fonte: L'ereditàgenetica dell'Italia an-tica, Le scienze, otto-bre 1991).A destra, un treno eu-rostar (fonte: internet)

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Da Costantino Valle celebridinastie di organari

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vanni di Antonio Piffero e, nelsecolo successivo GiovanniBattista Facchetti. Già a partiredal XVII° secolo e per due se-coli a venire, contemporanea-mente al suo sviluppo, prendepiede dal 1600 all’800 unaletteratura musicale ad operadi geni del livello di GirolamoFrescobaldi, Johan SebastianBach, Franz Liszt e altri chesull’organo compongono pagi-ne tra le più vibranti della storiamusicale dell’umanità. Nellaseconda metà del secolo XIX°questo strumento muta il suoaspetto esteriore, prima conte-nuto, per assumere grandi di-mensioni. Ma, se gli organi acanne hanno dato la possibilitàdi esprimersi a sommi artisti,non vanno dimenticati gli stessiartisti “organari” che, operantiin tutta Europa, come in Italia,hanno visto il fiorire di variescuole. Al di qua delle Alpifiorisce una scuola organariache vede in Lombardia la puntadi diamante con le famiglieAntegnati da Brescia, i Serassi

da Bergamo.I Lingiardi da Pavia e gli Inzolida Crema. Ma se queste quattrofamiglie rappresentano il top,senza dubbio la stirpe più im-portante è quella dei Serassi.Il capostipite Giuseppe, natonel 63 darà vita ad una famigliadi organari che opererà inces-

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diTullioCas i l l i

on esiste strumento musi-cale più complesso e

completo dell’Organo a canne.Lo troviamo nelle chiese. Il suosuono, da soave a possente, hacontrassegnato i momenti so-lenni della nostra civiltà cristia-na nell’arco intero della vitaumana dalla nascita alla morte.All’occhio distratto di chi loosserva appare sempre, dal piùpovero al più sfarzoso, nel suoaspetto affascinante con le suegrandi canne in lega di stagnoe piombo, bene in vista, e rac-chiuso in un mobile che va dalsobrio al ricercato, ma pur sem-pre un’autentica opera d’arte.Le sue origini vengono fatterisalire al III° secolo a.c. madopo la metà del primo millen-nio entra a far parte del patri-monio delle chiese come stru-mento liturgico. Una primatestimonianza risale all’VIII°secolo d.c. quando l’imperato-re Costantino V° di Bisanziodona all’ ultimo re della dina-stia merovingia, Pipino, un or-gano, poi collocato all’internodella chiesa di Compiègne, nel-la regione della Piccardia. Hainizio così una sequenza dimodifiche che, nei sei secolisuccessivi porterà l’organo adassumere le caratteristicheodierne. Dalle leve si passaalla tastiera, semplice e multi-pla, viene aggiunta la pedalierae si giunge alla divisione dellesonorità con l’impiego dei re-gistri; le canne vengono dispo-ste ordinatamente sul somieree si ottiene così la possibilitàdi inserimento autonomo perogni singola canna. Il primogrande organo a registri costru-ito in Italia, e forse in Europa,viene ultimato nel 1475, operadi Lorenzo di Giacomo da Pra-to, nella chiesa di san Petronioin Bologna, ma altri grandi or-ganari già operano in Italia trai quali Domenico di Lorenzoda Lucca e il suo allievo Gio-

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santemente con successo sinoalle soglie del ‘900. La lorostoria vede gli albori a Bergamonel 1760 con l’apertura di unlaboratorio per la costruzioneorgani. I primi tempi, per laqualità del prodotto offerto,già segnavano l’ascesa di que-sta dinastia che, iniziata conGiuseppe passò a suo figlioLuigi e a suo nipote GiuseppeII°, il quale, forte della tradizio-ne e delle sue doti personalifu uno degli organari più famo-si della sua epoca.Giuseppe II° darà vita a cinquefigli, Andrea, Carlo, Alessandro,Federico e Giacomo che difatto costituiranno qualcosacome una moderna “s.n.c.” ingrado di creare, attorno allaloro attività, un solido imperoeconomico. Ogni loro lavoro,anche se condotto separata-mente, porterà la firma “FratelliSerassi” a garanzia della quali-tà, della tradizione e della ri-cerca di soluzioni innovativesia proprie che di importazio-ne europea. Una collaborazio-ne che diede vita alla maggioreproduzione organaria d’italiaper quasi un secolo a cavallotra la fine del ‘700 e la finedell’800. A continuare la tradi-zione organaria della famigliatoccò ai figli di Alessandro eCarlo, rispettivamente Giusep-pe III°, Carlo, Vittorio e Ferdi-nando i quali, continuandosulla via dei successi ottenutidal marchio di famiglia chiuse-ro la produzione con la mortedi Ferdinando avvenuta nel1894, dopo aver passato leconsegne della grande tradizio-ne organaria familiare al giàcapofabbrica dei Serassi, Gia-como Locatelli. Nel 1917 laLocatelli chiude l’attività con-segnando al suo capofabbricaCanuto Cornolti il compito diproseguire. Nel 1981 GiacomoCornolti passa definitivamentele consegne alla ditta Pedrini

di Binanuova in provincia diCremona, che attualmente pro-duce organi. Le nostre cittàsono ricche di testimonianzerisalenti ad una delle più grandifamiglie organare d’ Italia: gran-di strumenti li possiamo trovarea Vailate (CR) nella Chiesa diSS Pietro e Paolo (1849), aS.Bassano (CR), Chiesa S.Trinità(1794), a Casalmaggiore(CR)Chiesa di S.Stefano(1810).Nel mantovano sono presentia Mantova in S.Andrea (1850),ad Asola in S. Andrea (1823),a Casatico di Marcaria nellaChiesa dei ss. Felice e Felicis-

simo. A Piacenza è funzionanteun Serassi presso la basilica di di S.Maria di Campagna(1825) e a Castelsangiovanni(PC) nella Collegiata di S. Gio-vanni (1831). Organi Serassi sitrovano a Colorno (PR) in S.Liborio, (1796) a Soragna (PR)nella parrocchiale di san Gia-como (1814), a Vidalenzo diPolesine Parmense (1786), aParma, in Duomo (1787) e inS.Sepolcro dove l’organo èstato recentemente restauratodalla ditta Giani di Corte deiFrati (Cr). Il duomo di Guastalla(RE) ospita uno stupendo orga-no Serassi del 1792 mentre unaltro del 1867 si trova nellachiesa dei ss. Pietro e Paolo aPieve di Guastalla .Un Serassi del 1863 si suonatuttora nella chiesa della ss.Annunziata a Lentigione di Bre-scello (RE) e infine nella par-rocchiale di san Michele arcan-gelo di Novi di Modena èperfettamente conservato unSerassi 1851.

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Le prime osterieche fecero di Modenacittà d’uva e di vino

Le prime osterieche fecero di Modenacittà d’uva e di vino

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delle osterie. Le insegne sonoquelle del "Pellegrino" o dei"Tre Re", con evidente allusioneai magi sotto la cui protezioneceleste, a quei tempi, viaggia-vano i viandanti che percorre-vano le strade “romee” in cercad’indulgenze verso la meta spi-rituale di San Giacomo diCompostela. Il documento cheriguarda la prima vera osteriamodenese è datato 1504. Sichiamava "Campana" ed erasituata in contrada delle Bec-cherie, nei pressi dell'attualepiazza XX Settembre. Confina-va con un bordello e le ragionisono più che evidenti. Già aquei tempi, Bacco andavad'accordo con Venere. La"Campana", però, non eral'unica osteria. Tomasino Lan-cillotti, cronista dell'epoca, ri-corda il "Cappello" a metàdell'attuale corso Vittorio Ema-nuele, il "Montone" circaall'altezza di piazza Matteotti,il "Biscione", il "Moro", il "Leo-ne", il "Gambero" e il "Pozzo",

che si trovava nella strada doveè ubicato il Policlinico.Nei secoli successivi, le osterieproliferarono. Il vino era un"calmiere" sociale. Tanto cheun chimico carpigiano, Gemi-niano Grimelli, a metà del XIXsecolo, quando un parassitadevastò i vigneti modenesi, in-ventò un sistema per fare ilvino anche senza l'uva. PersinoPaolo Ferrari, noto commedio-grafo modenese in lingua e indialetto, citò note osterie neisuoi lavori, il "Leoncino", le"Diciotto colonne" e il "Purici-nella". Il poeta bolognese Gio-suè Carducci era assiduo fre-quentatore della trattoria"Grosoli", in via Canalino, dovesi faceva mescere il lambruscoche non trovava a Bologna.Alla "Mondatora", nel 1879, fuillustre ospite insieme conl'editore Zanichelli e alcuninoti rappresentanti della culturamodenese dell'epoca.Oggi, purtroppo, le osterie sonostate spazzate via dal tramonto

Modena, città d'uva e divino, si è sempre bevuto

un po' ovunque. Le primeosterie di cui la storia ci halasciato traccia si trovavano,in epoca romana, a metà stra-da tra Modena e Bologna, cir-ca dove poi è sorto l'abitatodi Castelfranco Emilia, l’anticoForum Gallorum. Erano, piùche altro, stazioni di posta("mansiones"), dove si potevacambiare i cavalli, riposare erifocillarsi, seppure sommaria-mente, bevendo e mangiando.Delle antiche osterie vere eproprie ("cauponae") si sonotrovate testimonianze soloarcheologiche. Un ingentequantitativo d’anfore vinarierinvenuto a Modena, in piazzaGrande, nel cuore della città,lascia ritenere che in quellazona ci fosse un’importantemescita di vino. Strano, quindi,che gli Statuti modenesi del1327 vietassero, con un lin-guaggio tardo-latino perfetta-mente comprensibile, la me-scita del vino proprio nellepiazze. Con quel documentoche oggi sarebbe definito“politicamente corretto”, i reg-genti della cosa pubblica, piùche altro, volevano salvare leapparenze. Le osterie non po-tevano essere situate nel cuoredella città perchè non era con-sentito che dessero scandalo,ma era tollerato che ce ne fosseuna dietro ogni angolo.Le "tabernae", che poi diven-nero "tabine", trovarono la lorodiffusione nei secoli successivi,sino a divenire luoghi d’aggre-gazione di rilevante importan-za sociale. Alla fine del XIVsecolo, Modena contava pocomeno di 50 osterie. Con loStatuto che abbiamo già citato,si disponeva che il vino nonfosse " fat turato" e chel'aggiunta dell'acqua fosse al-meno segnalata al cliente.Dal XVI secolo, giungono sinoa noi i primi emblematici nomi

diSandroBellei

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del vino come bevanda socia-lizzante. Chi beve per stordirsipreferisce i super alcolici. Ilconsumo del vino è diminuito.Si beve a casa, ma soprattuttoal ristorante. L'osteria è statasopraffatta dalle birrerie, i "pub"d’estrazione inglese. Le vecchieosterie di un tempo, dove ilvino era portato in tavola nellebelle bottiglie di pesante vetronero, che a volte ostentava per-sino lo stemma dell'oste, sonosparite con l'avvento della te-levisione, l’“elettrodomestico”che ha ingigantito la pigriziadi chi aveva l’abitudine di usci-re di casa ogni sera. Chi andavaall’osteria a bere con gli amiciun paio di bicchieri della bot-tiglia giocata ai quattro "segni"di una briscola, oggi resta incasa a sorbirsi Bonolis, Baudo,Bongiorno, Costanzo, Vespa ocompagnia cantante. Ce n’èper tutti i gusti.Le ultime osterie, a Modena,sono state quelle in via Carteriae via Nazario Sauro, che untempo si chiamava via dellaS c i m m i a p r o p r i o p e rl'abbondante presenza di me-scite di vino. Ancora oggi, indialetto, infatti, di chi ha bevutotroppo si dice "L'ha ciapê lasémmia" (Ha preso la scimmia).Sorprendete che il modo didire sia simile a “He has gotthe monkey” (Ha preso la scim-mia), che negli States individuachi è in preda a ben altri fumi,quelli della droga.

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l 12 dicembre 2008 sono ri-corsi 140 anni dalla morte diMons. Giovanni Corti, Ve-

scovo di Mantova nel periodopiù difficile della seconda metàdell’ottocento. Egli era nato nellaparrocchia di Buccinigo, a Po-merio, una frazione di Erba il 14aprile 1796, quando la Franciaera nel pieno della sua lunga esanguinosa rivoluzione. Giovan-ni Corti proveniva da una fami-glia numerosa: due fratelli (Igna-zio e Paolo) e sei sorelle.L’interiore chiamata al sacerdo-zio trovò un aiuto e un sostegnoin ambito alla famiglia anche senumerosa, così che Giovannipoté studiare a Erba nel collegio“Mauri” e in seguito nel Semi-nario. Lo stesso cardinale di Mi-lano Carlo Gaetano Gaisruck,austriaco, ebbe a scrivere di lui:“Corti fece con gran profitto elode i suoi studi nei seminari.Ordinato sacerdote nel 1819 fupresto collocato in cura d’animein una parrocchia di campagnae subito dopo fu chiamato comecoadiutore nella parrocchia delDuomo di Milano”. Il cardinaleGaisruck continuava nelle suenote: “Egli si distinse per la suacondotta molto esemplare e perla sua indefessa attività nel-l’adempimento di tutti i doveridi cura d’anime per cui si meritòovunque la stima e affezione deisuperiori e parrocchiani”. Perquesto nel 1828 Giovanni Cortiviene promosso a reggere la par-rocchia di Besana Brianza. Quidispiegò una gran mole di attivitàpastorale, bruciando le sue mi-gliori energie culturali e spiritua-li, constatando subito che il cleroper quanto disponibile e prontoera troppo scarso e inabile albisogno. Fra le sue primarie at-tenzioni, la catechesi. Non tra-scurò la predicazione preparan-dola minutamente, affidandosialla spontaneità del dire, basatasulla sua prodigiosa memoria.Poté ingrandire la chiesa di Be-sana che al suo arrivo avevatrovata ormai fatiscente, quasiprossima a cadere. Con l’aiuto

STORIA

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Nelle paginedel Risorgimentospicca la storiadi Giovanni CortiVescovodi Mantova

Nelle paginedel Risorgimentospicca la storiadi Giovanni CortiVescovodi Mantova

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della Fabbriceria provvedevaall’ampiamento dell’intero edifi-cio, rispettandone la precedentestruttura e la collocazione pro-spiciente la piazza.

Vescovo di MantovaNel 1835 il nome di Mons. Cortiappare in diverse liste di candi-dati per l’episcopato. Solcandol’Archivio Arcivescovile di Mila-no sono affiorati i documentidella sua nomina episcopale.Nei dispacci governativi il pre-vosto Corti è valutato con elogiquali: “parroco contentissimo”,“dai modi piacevoli”, di “ilareumore”, “senza la minimapresunzione”, “ottimo esemplarevantaggioso…”. Anche il Cardi-nale Gaisruck scriverà delle “sueprove luminose e costanti dellasua capacità non meno che dellasua attività sorprendente, nonsolo nell’esercizio del ministero,ma più ancora nel restaurare gliedifici del culto…”. Eletto Ve-scovo di Mantova, il 25 marzo1847 ricevette la consacrazionea Roma dal Cardinale Altieri.Nonostante la difficoltà dei tem-pi, il 29 giugno Mons. Corti en-trerà in Mantova accolto da unafolla alquanto festosa. Dal 1815,dopo il Congresso di Vienna, gliaustriaci avevano ripreso il pos-sesso della città virgiliana, facen-done uno dei capisaldi del fa-moso quadrilatero difensivocostruito dalle altre tre piazza-forte Peschiera, Verona, Legna-go. La città di Mantova di fattoera divenuta un’enorme casermadove erano acquartierati ben10.000 soldati, provenienti dallediverse nazioni inglobate nel-l’impero austriaco. La stessa cittàpresentava notevoli e importantivantaggi militari sia per la gran-diosità delle fortificazioni, quan-to per la posizione geograficache permetteva uno stretto con-trollo del passaggio dal vicinoVeneto alla Lombardia, nonchéun gran numero di varchi per iltransito sul Po. Appare quasilogico che gli austriaci avessero

ridotto la città a una sorta digrande piazzaforte, sicuramentela più grande del regno lombar-do-veneto. Lo stesso castello diSan Giorgio diveniva un carceredi massima sicurezza per i pa-trioti lombardi e veneti: messial carcere duro per la loro op-posizione all’occupazione au-striaca. Mons. Corti che avevadeclinato la nomina per ben duevolte, raggiungeva la diocesi diMantova dopo un periodo nelquale la Sede era rimasta perbreve tempo vacante: dal 1844al 1847.

Il 1848 e la travagliatastagione mantovanaIl Vescovo Corti resse la diocesidi Mantova per oltre un venten-nio. Fu il tempo coincidente conil periodo più intenso e più tristedel Risorgimento nazionale avu-to a Mantova e nel suo territorio,conclusosi con la tragedia a tuttinota dei Martiri di Belfiore. Sidistinsero per intelligenza, cul-tura e capacità un gruppo disacerdoti quali il Martini, Giu-seppe Pezzarossa, Giuseppe Mu-ti, Giovanni Battista Avignone,Enrico Tazzoli… In seguito alfallito tentavo di Carlo Albertodi tenere la Lombardia dopol’inizio della Prima guerra d’In-dipendenza (marzo 1848) e do-po la sconfitta di Novara (1849),l’atteggiamento del Governo au-striaco divenne fortemente duro.Carlo Alberto era partito per l’esi-lio, mentre il feldmarescialloRadetzky era tornato a Milanoquale Governatore del Lombar-do Veneto. Il Vescovo Corti ver-so la fine di marzo del 1848,proprio dopo il risultato dell’on-data rivoluzionaria che avevatravolto l’Europa e l’esito vitto-rioso delle insurrezioni patriotti-che di Milano (18-22 marzo1848) e di Venezia, avevadovuto assistere con notevoledolore all’occupazione militaredegli austro-ungarici della Basi-lica di Sant’Andrea in Mantova.Egli seppe evitare l’insurrezione

diffondendo il 23 marzo questomessaggio: “Mantovani, figlimiei dilettissimi, tenetevi nell’or-dine e nel santo timore del Si-gnore e non date ascolto a chivolesse farvi traviare”. Tuttaviail polacco generale Gorzkowski,comandante della Cittadella diMantova, fece arrivare in cittànuove truppe ungheresi che ir-ruppero subito nella Basilica diSant’Andrea. Il tempio dell’Al-berti venne saccheggiato daimilitari che temevano fosserostate nascoste qui delle armi,portate da agitatori e sovvertitoriintenzionati a iniziare la rivoltaall’interno della città del quadri-latero. Nella cripta sotterraneavennero profanati i Sacri Vasidorati contenenti la reliquia delPreziosissimo Sangue; i capola-vori disegnati dal Bernini ridottiin frammenti per poter venderel’oro, il contenuto venne disper-so. Un atto sacrilego che nonaveva avuto precedenti. Il Ve-scovo Corti dopo aver fatto per-venire a Roma una dettagliatarelazione sul furto dissacratoredelle reliquie, dedicò energie erisorse insuperabili per ripristi-nare il culto al Preziosissimo,sia col ricomporre i Sacri Vasi econ il restaurare la cripta sotter-ranea della Basilica.

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diLuigiMignoli

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STORIA

Il clima burrascososocio-religioso.I martiri di BelfioreDopo la dissacrazione in San-t’Andrea, l’atteggiamento deimilitari si inasprì sempre piùanche contro il clero. Mons.Corti lamentò tra l’altro gli in-sulti della milizia di occupazio-ne nei confronti di sacerdoti eanche di se stesso. “…Da tempomilitari non graduati, incontran-do sacerdoti in istrada si per-mettono di insultarli con paroledi scherno e d’ingiuria. Non fuirisparmiato io stesso…”. Il ge-nerale Gorzkowski risponde alVescovo in modo tracotante espavaldo, affermando che questifatti attribuiti alle truppe impe-riali debbano essere a lui ripor-tati tempestivamente con la de-scrizione delle circostanzeparticolari che li accompagna-no. La polizia austriaca intensi-ficò le sue ispezioni e in brevegiunse alla conoscenza di ungruppo numeroso di mantovaniin possesso delle cedole delprestito mazziniano. Venneroarrestati Carlo Poma, Tito Speri,Carlo Montanari e altri iscrittidi Mantova, Verona, Brescia eVenezia, poiché il centro dellacongiura era Mantova. I nomi

erano tenuti da don Enrico Taz-zoli presso la sua abitazione diPiazza Sordello. Vennero pro-cessate 110 persone. La tragediapoteva essere evitata solo dachi avesse sempre negato leaccuse. Nella valletta di Belfio-re, appena fuori città, presso lastrada per Cremona furono giu-stiziati ben dieci patrioti tra il1851 e il 1853. Il Vescovo Cortifu immerso in gravi sofferenzeper tutte le uccisioni e gli arrestidei suoi sacerdoti. Il Vicarioepiscopale Mons. Martini scris-se, a fine degli eventi, il diariodi queste terribili giornate nelsuo Confortatorio di Mantova.L’Austria impose poi la«sconsacrazione» di don Taz-zoli. Vane furono le supplichedi Mons. Corti. Egli giunse finoa Vienna presso l’Imperatore.Non vi riuscì e compì il cerimo-niale di sconsacrazione che erastato imposto, nel carcere tra lelacrime sue e di Mons. Martiniche vi assisteva. La pressionegovernativa e i continui controllidi polizia si fecero più volteinsostenibili, dopo il 1848 e iterribili anni di Belfiore, furonoincarcerati più di cinquantasacerdoti, altri processati, alcunipersino esiliati. Il Vescovo Cortimorì il 12 dicembre 1868.Mons. Martini scrisse: “Una sin-cope crudele per laceramentoal ventricolo destro del cuorece lo tolse per sempre, gettandola Città, la Diocesi, i parenti,gli amici nel dolore e nella de-solazione. La perdita è immensapubblica è la sventura!”. Le sueultime parole: “…il mio cleromi ama, il mio popolo mi vuolebene, questo mi vale più di ognidolore, anche il sacrificio dellamia vita mi sarebbe lieve esoave”. La storia della Diocesie della stessa città di Mantovanon si potrà mai disgiungeredalla storia del Vescovo Cortie del suo clero, certamente unadelle più fulgide nelle paginedel Risorgimento italiano.

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L’ANGOLO DEL DIALETTO

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diMicheleGavioli

n tempi andati era vigente l’usodi condurre equini davanti alla

chiesa, infioccati a festa, perchéfossero benedetti tutti insieme, conun rito che sarebbe piaciuto a Vir-gilio, tant’è somigliante alle consua-lia. Ad una certa ora della messadedicata al Santo, il sacerdote, rive-stito dei paramenti sacri, si affaccia-va alla porta centrale del tempio, edalla soglia prominente invocavala grazia celeste sul branco condottoal raduno propiziatorio, mentre lecampane suonavano a festa. Conl’aspersorio in pugno, rorido d’ac-qua lustrale, benediceva anche ilsale, che sarebbe servito nel corsodell’annata quale rimedio alle bestiecolte da qualche malanno: Sant’An-tonio eremita a tùte le bestie ‘l dàla vita. A Mantova la benedizionesi teneva di fronte alla scomparsaChiesa di Sant’Antonio, sulla vec-chia Fiera, e per la prevalenza dicani e gatti appariva più contenutadi quella che avveniva nel foresedove i cavalli, bardati con gualdrap-pe variopinte, offrivano uno spetta-colo festevole. Nella fredda mattina,si vedevano passare per le vie, tenutiper la cavezza, o cavalcati senzaarcioni da giovani campagnoli im-pazienti di partecipare alla corsafinale. Difatti a cerimonia ultimata,si buttavano lungo la strada gelatacelebrando la Galopada ‘d Sant’An-toni, una specie di palio rusticano.

Si possono così ravvisare due aspettiparticolari nello sviluppo del cultopopolare di Sant’Antonio Abate:uno strettamente connesso con laprotezione degli animali e l’altroinvece che si riporta al fuoco ed alpotere taumaturgico del Santo. San-t’Antonio, infatti, oltre che guaritoredell’ignis sacer, è invocato ancheper ritrovare un oggetto smarrito:

Sant’Antoni da la barba biancafèm catar quel ch’am manca

Vista la predisposizione del Santoper trovare le cose smarrite, pertraslato era anche invocato dallegestanti per avere l’agognato ma-schietto e dalle zitelle:

Sant’Antoni dal gogìnfem coar ‘n bel mas-cìn

Sant’Antonifem far ‘n bel matrimoni

e venerato ancora quale patronodei fabbri e dei maniscalchi, i qualifanno vacanza il 17 gennaio, pernon accendere il fuoco, di cui San-t’Antonio è creduto custode daquando lo rapì al Demonio per dar-lo agli uomini.

In relazione a questa credenza, ocomunque con quella connessa alculto del fuoco, sono da collocarei grandi falò – volgarmente dettiburièi – con la partecipazione col-lettiva dei paesani, per solennizzareritualmente la festa del Santo Abate.È un’altra tipica manifestazione direligiosità popolare dove si gareggiaa chi fa più alta e durevole la piraa cui si dà fuoco la sera della Vigilia;alla fine v’è chi conserva un tizzospento quale segno purificatore escongiuratore d’ogni male.

È questo il giorno in cui la tradizionesuggerisce rimangiare a pranzo itortelli di zucca come per la Vigiliadi Natale. Un tempo addirittura icontadini somministravano nel be-verone delle mucche lattifere alcunitortelli, nell’opinione che il Santole preservasse dall’afta epizooticae favorisca un’abbondante produ-zione lattifera. Altro cibo di rigoreè la chisoela: una sorta di schiac-ciata coi ciccioli e lo strutto, racco-mandata dalla gnomica popolare:

Par Sant’Antoni chisolerchi fa mia la chisolaa’gh casca sò ‘l soler

Nell’Oltrepò, invece, è di rito lamgnasa, ch’è una torta compostadi castagne secche e mele; mentrein altre località si fa la sbrisoladacon fior di farina gialla, mandorlee strutto fresco cotta in teglia o lalobia, più povera, senza le mandor-le. In tempo addietro si consumava-no nella stalla, fra una posta e l’altradel rosario, quasi ad accentuare ilcarattere devozionale, propiziatorio,di quei cibi.

Nei paesi dove si festeggia pure ilPatrono della chiesa, vige la con-

Sant’Antonionella millenaria civiltà contadinaI suetudine della Sagra, detta comu-

nemente dla papàsa, perché sullebancarelle prevale lo spaccio dellapattona e delle castagne secche.Una volta le famiglie facoltose di-stribuivano a quelle povere la po-lenta infasòlada, ossia cotta insiemecon i fagioli, perché tutti dovevanopartecipare alla festa con un buonpasto. Allora non tutti potevanopermettersi la spesa voluttuaria deitortelli, a proposito dei quali si narrala seguente storiella:

Alcune massaie della stessa fattoriastavano preparando in gran segretoil tradizionale mangiarino nella stal-la, che il curato aveva da poco be-nedetta, quando alla più giovanescappò detto per ridere, osservandola nuova litografia del Santo appesaal muro:

Sant’Antoni da la barba biancami magni i tortèi e ti gnanca!

L’udì il bergamino disteso nel suogiaciglio di strame sopra la stalla e,fiutando i propositi delle donne,pensò di giocarle d’astuzia. Si rivestì

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di penne dal piede al ginocchio,smosse un mattone dal soffitto atravicelli e si pose di vedetta. A sera,quando le ghiottone, sole, seduteintorno alla fumante zuppiera, siaccingevano a minestrare i tortellibutirrosi, sonò dall’alto con voceimperiosa:

A let, a let donàse,chè Sant’Antoni al l acomanda;e s’an volì mia credar,ècola chi la so ganba!

E la piumata gamba del burlone siagitava terribile giù dal pertugio,mentre le donne balzavano dal de-sco esterrefatte e filavano a letto colcuore in gola.

Avvertasi a questo punto che ledonne si astengono dal filare inquesto giorno, gli uomini dal giocarea carte (l’asso di spade, raffiguranteil Demonio, è in antinomia con levirtù del Santo) e le famiglie conta-dine dal vegliare, o far filòs, nellestalle sino a sera tardi, perché glianimali parlano fra loro, per donosingolare del Patrono, e non è con-sentito ad alcuno di ascoltare impu-nemente quei segreti colloqui.Un giovane incredulo e senza scru-poli – narra una leggenda moltodiffusa – osò sfidare quel tabù rima-nendo a vigilare nella stalla, acquat-tato tra la paglia, attento a non per-dere una sillaba. Ed ecco che amezzanotte, da ogni posta, s’alzaun brusio confuso, che non è delruminar solito dei bovini. All’orec-chio del giovane in ascolto entranopresto suoni articolati, voci e paroledi un dialogo ben chiaro e tremen-do:

- Cosa farem a dman?- Na casa da mòrt- E par chì?- Par quel ch’à stà in orciòn

La mattina dopo, non c’è da dire,il giovane intruso fu trovato mortodi spavento.

Un ultimo motivo di religiosità po-polare che accentua il vincolo diprotezione fra Sant’Antonio e glianimali è racchiuso nella leggendadel “porco risuscitato”. Difatti, an-che se la stagione sarebbe indicata,

il campagnolo si astiene dal mattareproprio in questo giorno il maiale,che è il favorito del Santo eremita.Vi è stato non di meno il solitotrasgressore alla sacra norma, ilquale, avendo sgozzato il porcello,se lo vide sorger vivo nella tinozzain cui stava per dissetolarlo, e sgam-bar via fulmineo. Né per quantocercasse, fu possibile ritrovarlo: ilgran Santo aveva punito l’apostatae tratto in salvo il suo protetto.

Come si vede, il patrimonio delletradizioni Antoniane risulta tra i piùricchi della letteratura agiograficaed anche tra i più densi di religiositàpopolare, suffragato da un’abbon-dante documentazione bibliografi-ca. non potevano quindi, in unaprovincia etnica culturalmente iso-lata come il Mantovano, non tra-mandarsi con singolare vigoria tuttele forme principali di acculturazionedel Santo.

Da „Il Mendico“ Mantova, 1 feb-braio 1884 „Specialmente nei pic-coli comuni, dopo la messa, il preteesce a dar la benedizione ad unafrotta d’asini, muli, cavalli bardatiin rosso e ornati d’ellera, cavalcatida rustici in pompa magna. Dopola benedizione succede tale sfrenatacorsa sovra un selciato a ghiaccioli,che frutta talvolta cadute, non com-p r e s e c e r t a m e n t e n e l l abenedizione…” Di solito, per ritrovare cose smarrite,i credenti rivolgono un sequeris aSant’Antonio da Padova, ma comespesso avviene tra gente di popolo,si è finito con l’attribuire a tutt’edue, per omonimia, ugual potered’invenzione. Per la stessa conver-genza fideistica, il contadino man-tovano rivolge una prece scongiuroa Sant’Antonio allorché si trova co-stretto a spegnere la sete con acqua

di fossato: aqua ‘d rane e aqua ‘dbis: Sant’antoni al la banadis. Anchecome dent ‘d bis come si trattassedi potere taumaturgico invocato incasi di morsi di serpente. Quando si produce il pane, perappiattire la pasta sulla spianatoia,vengono date numerose pacche amano aperta. È la medesima ope-razione, rumore compreso, che sicompie quando si picchia un bam-bino sul sedere, ed è per questaanalogia che la pacca data in que-sto modo si chiama chisoela.

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sua creatività o frutti “rubati”al genio dei massimi compo-sitori. Lo scorso 30 gennaio,la Pinacoteca Tosio Martinen-go di Brescia ha voluto la suabacchetta giovane e già sag-gia per salutare con un inten-so concerto la città prima diuna chiusura di due anni. Nelcontesto di superbe tele rina-scimentali intrecciate perl’occasione alla contempora-

MUSICA

videntemente non sonoserviti i prestigiosi rico-

noscimenti accumulati nelcorso di una carriera ancorabreve ma folgorante; così co-me un’esperienza forte - daserbare più che da esibire -pare essere per lui l’eredità diuna formazione spesa all’este-ro, prima degli Stati Uniti poiin Francia. Nonostante tutto,insomma, Giovanni Landini

continua a pensarsi come unviandante pronto a farsi picco-lo di fronte al sacro fuoco dellaMusica. Musica da comporre,musica da restituire viva e an-cora guizzante dopo secoli difelicissima usura. Bresciano dinascita e cosmopolita per in-sopprimibile spirito di ricerca,Landini ama raccontarsi attra-verso le sue creature di suoni,siano esse figlie legittime della

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L’ultima sfida vintanel cuoredella Germania musicaleIl giovane interprete e compositore Giovanni Landini ha debuttato alla finedell’anno a Berlino e a Lipsia dirigendo un’acclamata nona Sinfonia diBeethoven con l’orchestra Gewandhaus.

E Giovanni Landini al te-atro Valli di ReggioEmilia il 18 novembre2008

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neità di Burri, Cattelan e Fon-tana, l’ensemble Icarus da luidiretto ordiva uno straordinarioarazzo con i fili di antico eodierno, dove la musica di Fran-cesconi incont rava ne l“Respondit” la sapienza satur-nina del sommo Gesualdo daVenosa.

Una corrispondenza davveroperfetta tra tele e musica nelle

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corde della lontananza ma so-prattutto del richiamo ad unacomplementarietà da riscopri-re che molto dice della Suaformazione…“Credo di sì. Ripensando almio percorso formativo nonposso fare a meno di ricono-scervi una molteplicità di diret-trici che hanno contribuito afornirmi un’impronta sicura-mente poliedrica. Da un lato,lo studio del pianoforte e delcanto affiancati all’approfondi-mento di armonia e contrap-punto. Dall’altro, il binario del-la composizione e delladirezione d’orchestra, con l’ap-prodo più recente alla direzio-ne di coro e allo studio dellapolifonia rinascimentale, sottola giuda di un Maestro straor-dinario quale Diego Fratelli”.

La stessa armonica pluralità dirimandi che affiora da“Istampita Palamento”, la com-posizione che l’ensemble Tra-iettorie Sonore ha eseguito,sotto la Sua direzione, lo scorsomaggio a Carpi, in occasionedel decimo Festival internazio-nale delle Abilità Differenti.Un universo liricissimo, pullu-lante di stratificata memoria.“Mi fa piacere che emerga que-sto. Io credo che, nella musicacontemporanea più che mai,l’ascoltatore abbia un ruolo atutti gli effetti attivo e decisivo,grazie al quale lo stesso com-positore può accostarsi al pro-prio lavoro con maggiore luci-dità. La musica che nasce oggie che parla al presente indica-tivo non può sottrarsi adun’operazione di filtro in diret-ta, ad un gioco democraticofatto non solo di giudizio madi contributo critico. In fondo,interpretare il presente e faredella quotidianità uno spuntoda tradurre in astratto, in distil-lato, significa delimitare un

campo che in realtà non haancora confini. La storia deveancora setacciarlo”.

In realtà, questa doverosa ope-razione finisce per coinvolgereanche in larga parte la produ-zione del Novecento tutto, ver-so cui continua a resistere unimpenetrabile muro che, toltealcune opere cardine, ne releganomi e linguaggi nell’unicocalderone di “musica dinicchia”. Nella Sua duplice ve-ste di interprete e di composi-tore, Lei sa dare e darsi unaspiegazione a questo insor-montabile limite?“Ci vorrebbero giorni di chiac-chierata per analizzare i millemotivi di una situazione che atutti gli effetti ha del parados-sale. La nostra, forse perché giàin sé così caotica e priva diriferimenti saldi, è una culturamusicale che ancora ricercarassicurazioni in campo armo-nico e, di fronte ad una scritturaapparentemente “anarchica”,finisce per chiudersi in un rifiu-to. Non credo si possa qui svi-scerare un tema così caldo ecomplesso, ma mi preme sot-tolineare un aspetto: molti gran-di compositori sono giunti, al-cuni più di altri, ad un gradoassolutamente astratto. Gli ul-timi Quartetti di Beethoven,così come l’Arte della Fuga ole stesse Variazioni Goldbergdi Bach non saprei pensarli senon come gli approdi inarriva-bili di un pensiero ormai asso-lutamente lontano dalla dimen-sione concreta, terrena. Eppurela loro tremenda complessitànon scoraggia gli ascoltatori enon intimorisce gli organizza-tori delle Stagioni. Già con no-mi come Schönberg si fa piùfatica, perché li si consideraalla stregua di “contem-poranei”, nonostante li separida noi un secolo! L’introduzio-

diElideBergamaschi

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ne di un ordine dodecafoniconella seconda Scuola di Viennaavviene sul ferreo substrato diun impianto assolutamenteclassico. Come Mahler, cometutti gli innovatori delle Avan-guardie, prima di essere unrivoluzionario anche Schön-berg è un classico. Eppure nel-le (poche) realtà in cui si fad’abitudine musica contempo-ranea, la gran parte dei pro-grammi è occupata da capola-vori che è sempre magnificoripercorrere, ma che dovreb-bero forse essere ricondotti alloro habitat, ossia alle grandifrequentazioni concertistichee sinfoniche”.

Un altro habitat dove spessopurtroppo il Novecento, senzaspingerci nelle inesplorate lan-de del contemporaneo stretto,è latitante, è quello dei Con-servatori e delle Accademie…“Altro tasto dolente. Verissimo,

se parliamo dell’Italia. in realtàcome gli Stati Uniti o la stessaFrancia, posso testimoniare cheaccade il contrario. Il contem-poraneo è parte di un tutto,accanto allo studio della mu-sica tradizionalmente intesa.Addirittura a Parigi esistonoStagioni dove i Docenti stessisi mettono in gioco e presen-tano loro composizioni e in-troducono gli allievi migliori.L’antico e il moderno sono na-turalmente compenetrati, inun clima aperto e disponibileal nuovo. Qui da noi i primi adisertare gli appuntamenti conla musica contemporanea sonoi Docenti, a cui seguono dipoco gli allievi. E’ chiaro checosì si sancisce la cronaca diuna morte annunciata ”.

La scelta di essere un compo-sitore come può conciliarsicon una così esclusiva cerchiadi uditorio?

“Comporre è per me un’esigen-za creativa, una prospettiva dacui indagare il mondo che tut-tora rappresenta il mio modopiù naturale di esprimermi. Daqualche anno ho avvertito al-trettanto forte in me il bisognodi affiancarvi la direzione, quasiun’inevitabile propagazione diun approccio analitico e capil-lare al testo. La mia scelta èindipendente da ragioni di gra-dimento esterno, che comunquenon possono che far piacere.La complessità del panoramaculturale in cui io e chi fa artein genere ci troviamo ad operarenon può certo cambiare con ilsolo contributo di un singolo.Per rendere più vicina alla gentela musica, quella contempora-nea a maggior ragione, occorreuna volontà che non potrebbemai avere origine dal basso. Manon per questo ci si può sottrarreda un impegno che è ancheculturale e civile. Io, per quanto

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MUSICA

In alto Giovanni Landi-ni al debutto a Berlino.A destra in alto il ma-estro durante le provein Russia (St. Pietrobur-go - ottobre 2008)sotto, il maestro Gio-vanni Landini.

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posso contribuire nella consa-pevolezza del lungo percorsoche ancora devo e voglio com-piere, investo tutto me stessonella divulgazione e nella con-divisione della musica comebene non monetizzabile, cer-cando sempre di inserire inogni programma un ventagliodi proposte in cui il Novecentononché la musica del secoloattuale vivano in stretto dialogocon i l r epe r to r io p iùfrequentato”.

Recentemente Lei ha debutta-to a Berlino e a Lipsia, nelcuore della Germania musica-le, dirigendo un’acclamata No-na Sinfonia di Beethoven allatesta della prestigiosa orche-stra del Gewandhaus. Una sfi-da che avrebbe fatto tremarei polsi a chiunque.“E’ stata un’esperienza moltodensa, già a partire dal con-fronto con una delle massimepartiture in assoluto, dove chiconduce deve autenticamentelottare con una materia strari-pante, continuamente meta-morfica. Una volta là, sulleorme di giganti come Schu-mann, Mendelssohn e Wagner,la tensione si è stemperata conil procedere delle prove, nelcorso delle quali ho cercatocon tutta l’umiltà del caso didare una mia impronta perso-nale ad una tradizione inter-pretativa che dopo le centinaiadi esecuzioni l’orchestra avevaormai cristallizzato in una resaa mio avviso poco plastica,paradossalmente poco beetho-veniana. E mi ha fatto piacerepercepire il gradimento delpubblico, a cui ha trovato con-ferma anche la positività dellecritiche”.

Per concludere, un piccologioco. Una formazione orche-strale e uno strumento solista

sulle cui caratteristiche co-struirebbe volentieri una pros-sima composizione. Ovvia-mente è consentito sognaresenza limiti.“Approfittando del sogno, istin-tivamente punterei al suonosempre carnale, pregnante an-che nel pianissimo, della Staa-tskapelle di Dresda. E comestrumento, al pianoforte inarri-vabile per cromie e per diabo-lica perfezione di un mio indi-menticato concittadino: ArturoBenedetti Michelangeli”.

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CHI È

Nato a brescia 31 anni fa, ma reggiano diadozione, Giovanni Landini si accostaalla musica studiando pianoforte e cantopresso la Scuola di Musica “Santa Cecilia”della sua città e, contemporaneamente,armonia e contrappunto con GiancarloFacchinetti. In breve tempo approda allostudio della composizione con AntonioGiacometti.Nel 1996 viene selezionato al BerkleeEuropean Scholarship Tour vincendo ilprimo premio. Si trasferisce così negli StatiUniti dove si laurea con il massimo deivoti e lode in composizione con Vuk Ku-lenovich e Jack Jarrett presso il BerkleeCollege of Music e con John Adams pressoil Boston Conservatory of Music. Dopo lalaurea frequenta alcune masterclasses dicomposizione tenute da KarlheinzStockhausen e Klaus Huber. Studia inoltrepianoforte con Laszlo Gardòny e direzioned’orchestra con Julius Williams, direttoremusicale della Washington SymphonyOrchestra.Per approfondire lo studio della direzionedi coro frequenta un anno presso l’Institutede Musique Liturgique de Paris e diventaassistente di Patrick Marco, direttore dicoro presso il Conservatoire National de

Paris, con cui cura l’esecu-zione dei mottetti di Bruck-ner a Nôtre Dame de Paris.Successivamente frequentail triennio superiore di Mu-sica Corale e Direzione diCoro presso il ConservatorioVerdi di Milano dove neconsegue il diploma. Semprepresso il Conservatorio Verdidi Milano ottiene la laureain direzione d’orchestra. Inseguito si perfeziona conJorma Panula, Herbert Handt,Otto Werner-Müller e PieroBellugi.Si laurea inoltre in PolifoniaRinascimentale sotto la guidadi Diego Fratelli pressol'Accademia Internazionaledella Musica di Milano. InItalia dirige una stagione diconcerti con l’Arcana En-semble – un gruppo da ca-mera specializzato nellamusica contemporaneafondato da Antonio Giaco-metti, Mauro Montalbetti eRossano Pinelli – e collaboraanche con l’ensemble“Traiettorie Sonore”.

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PERSONAGGI

Attilio Pavesi, il ciclistache fece innamorarela diva Anita Page(e infuriare il duce...)La fantastica carriera sportiva del campione.Nato a Caorso 98 anni fa, ora vive in America.Fu il primo vincitore d’un oro Olimpico (1932)

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uando la realtà supera laleggenda. Il mito di Attilio

Pavesi, prima medaglia d’oronel ciclismo, conquistata alleOlimpiadi di Los Angeles nel1932, resiste ancora dopo 76anni. Il suo nome è scolpitonel marmo del Memorial Coly-seum Stadium della metropolicaliforniana e Pavesi rimane ilpiù anziano campione olimpi-co del mondo.Attilio Pavesi ha 98 anni. Natoa Caorso il 1 ottobre del 1910,il penultimo di tredici fratelli,è stato uno dei grandi perso-naggi che hanno lasciato il se-gno nello sport piacentino enazionale. A Los Angeles infattidominò, sorprendendo tutti, laprova di ciclismo su strada,cento chilometri a cronometro,contribuendo poi alla conqui-sta per l’Italia, di una secondamedaglia d’oro nella classificaa squadre assieme a GiuseppeOlmo giunto 4° e GuglielmoSegato 2°. Quella del 1932 tral’altro, viene ricordata comel’Olimpiade degli Italiani peril fantastico secondo posto do-po gli Usa, conquistato dagliazzurri nella classifica del me-dagliere. Una bottino invidia-bile con 12 medaglie d’oro,altrettante d’argento ed ancora12 di bronzo.L’impresa leggendaria di Pavesiin quell’Olimpiade, rivive an-cora oggi, in un museo a luidedicato sorto all’interno delvelodromo di Fiorenzuola d’Ar-da. Nel museo, inaugurato lascorsa primavera con la pre-senza del presidente della Fe-derciclismo Renato Di Roccoe tutte le autorità locali, sonoesposti cimeli e foto del grandecampione piacentino, che neraccontano ogni periodo dellasua straordinaria avventura.Emigrato in Argentina, primadella guerra, Pavesi vive ora aSan Miguel, poco distante daBuenos Aires. Ha due figli,

Claudio e Patricia. Conobbein quel tempo, personaggi fa-mosi, dal Premio Nobel EnricoFermi, al due volte campionedel mondo “Peppino” Meazzacol quale era alla Farnesinadurante il servizio di leva. ConPavesi militare inoltre, c’eraanche il ciclista Giuseppe Mar-tano, campione del mondo di-lettanti nel 1930 a Liegi e nel1932 a Roma. Da professioni-sta Martano giunse secondo alTour de France del 1934 e se-condo al Giro d’Italia dell’annosuccessivo.Il giorno della sua vittoria olim-pica, il 4 agosto del 1932, aPavesi si avvicinò Anita Page,la più famosa attrice di Holli-vood di quel tempo. Era il gior-no del 22° compleanno delladiva la quale, come Attilio, ha98 anni e vive a Beverly Hills.Fece scalpore in Italia un’im-magine, apparsa sui giornali,dove Attilio Pavesi è ritrattoassieme alla bellissima Anitadavanti agli studi della MetroGoldwyn Mayer. Pare che lafoto abbia irritato BenitoMussolini, che invaghitosi dellabionda attrice americana, lescrisse più di cento lettere, masenza ricevere una sola rispo-sta.Pavesi si era guadagnato la

convocazione in maglia azzur-ra per Los Angeles, dopo unaserie di vittorie importanti comela Coppa Caldirola, il GranPremio della Vittoria a Milanoed altre.Partito da Napoli il 3 luglio1932 insieme agli altri azzurri,con la nave Biancamano, Pa-vesi giunge a New York dopo9 giorni di navigazione, accoltodal famoso sindaco di origineitaliana, Fiorello La Guardia.Poi col treno, dopo cinque gior-ni di viaggio, attraversa gli Sta-tes e arriva a Los Angeles.Quindi si allena e si preparacon serietà, fino al giorno dellagara.Parte per ultimo tra i 35 con-correnti iscritti alla prova. Dopocinquanta chilometri di corsaPavesi raggiunge e sorpassa ildanese Henry Hansen, campio-ne olimpico uscente, partitoquattro minuti prima. A questopunto le forze dell’azzurro simoltiplicano, e testa sul manu-brio Pavesi termina la sua tra-volgente cavalcata dopo 2 ore28’ e 05” alla media di 40,514km, conquistando la medagliad’oro davanti all’altro azzurroSegato. Giuseppe Olmo poi,completa il successo degli ita-liani col quarto posto, dietroHansen.

Q

diRomanoPezzi

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Nella foto sinistra Pa-vesi e Anita: il campio-ne ritratto davanti aglistudi della MetroGoldwyn Mayer conla bella attrice AnitaPage, questa foto feceinfuriare Mussolini.Nella foto sottol'anziano campioneassieme nella sua casaa San Miguel conL'olimpionico di Bar-cellona Lombardi,Claudio Santi, StefanoBertolotti e GabrielCuruchet presidentedella FederciclismoArgentina.

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PERSONAGGI

La festa olimpica per Pavesiprosegue anche nei giorni suc-cessivi alla sua vittoria. Parte-cipa a feste ed incontri conimmigrati italiani. Ritornerà inItalia dopo due mesi trascorsinegli Stati Uniti, mancando per-fino all’appuntamento conMussolini, quando il Duce al

ritorno degli azzurri, li ha rice-vuti a Palazzo Venezia, facen-do loro osservare che le vittorieottenute alle Olimpiadi, contri-buirono a mettere in luce ilregime davanti agli americanied al mondo. Il ciclista peròpartecipa in ottobre, alla riu-nione organizzata in suo onoreal velodromo di Fiorenzuolad’Arda. In quell’occasione ga-reggia con il suo grande amicoSante Girardengo.Pavesi passa poi professionista,con la Maino del campionissi-mo di Novi Ligure, ma conscarsa fortuna.Fatica ad inserirsi nella massi-ma categoria. Si dice che unodei motivi, sia da ricercarsi alsuo ipotetico “sgarbo” verso ilDuce, quando il corridore ri-mase due mesi in America vi-cino ad Anita Page. Vince solouna tappa del Giro della To-scana del 1934, ma al Girod’Italia, termina ultimo in clas-sifica. Poi il quarto posto alGiro di Lombardia del 1936,

vinto da Bartali, gli offre nuovechances. Nel 1937 Attilio Pavesi è invi-tato a partecipare alla Sei giornidi Buenos Aires, indette da unitaliano emigrato in Argentina.Il ciclista di Caorso è un perso-naggio in Sud America, abitatada tanti italiani. Attraversa dinuovo l’Oceano e sbarca a LaBoca, assieme a molti emigran-ti, con la bicicletta in spalla,una “Tansini”, costruita da unartigiano di Caorso dal qualeil giovanissimo Pavesi era ap-prendista. Oltre alla “Seigiorni” Attilio partecipa poi adaltre gare locali, sempre ap-plaudito ma, quando decidedi ritornare in Italia, proprio inquesta parte del mondo, co-minciano a soffiare i primi ventidi guerra. Ogni nave in parten-za da Rio Plata infatti, è minac-ciata dalla corazzata tedescaAdmiral Graf Spee che proteg-ge le unità corsare che operanoin quella parte dell’Atlantico,quindi costrette a restare all’àn-

In alto Stadio Olimpi-co; La cerimonio inau-gurale allo stadio olim-pico di Los angeles1932;Sotto Pavesi militarealla Farnesina, il primoa desta, con a fiancoMeazza e Martano asinistra;

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cora, per un lungo periodo,nei porti di Buenos Aires e diMontevideo.In questo modo anche Pavesiè bloccato, non può rimpatria-re. Nel frattempo conosce unaragazza di origine italiana, sisposa, ha due figli, Claudio ePatricia e mentre in Europadivampa la guerra, il giovanecampione decide di stabilirsiin Argentina, a Sàenz Pegna.Apre un negozio di bicicletteed organizza gare. La vita delprimo campione olimpico pia-centino quindi, ha un risvolto,ma nel suo cuore ha sempreCaorso, il Chiavenna dovenuotava da giovane e il Po.Nel suo paese d’origine Pavesiè ritornato poi per la primavolta, dopo la sua partenza,nel 1956. Quindi in occasionedelle Olimpiadi di Los Angelesdel 1984, risulta tra gli invitati

e Pavesi si è unito a Milano,con la delegazione italiana inpartenza per la California.Nell’ottobre del 2000, in occa-sione dei suoi 90 anni, il cam-pione olimpico è ritornato aPiacenza, invitato dal sindacoGianguido Guidotti per il pre-mio “Pino Dordoni Interna-zional”, una gara di marcia inmemoria della seconda meda-glia d’oro piacentina. In quellacircostanza, a Pavesi, sono statir i s e r v a t i n u m e r o s i

festeggiamenti. Il compiantoAmedeo Tarantola, giornalista,gli ha dedicato una pagina in-tera nel suo quotidiano,“Libertà”.L’ultima volta che Pavesi è ri-tornato nella sua Caorso è statonel 2003, ospitato dal sindacoFabio Callori. Il campione èrimasto nella sua cittadina na-tale per quasi sei mesi, da luglioa dicembre.Un periodo sufficiente da per-mettere che il mito del leggen-dario Attilio Pavesi sia assurtonella sua dimensione.Di non essere più il “Campionedimenticato” com’era stato de-finito. Attorno al più anzianoolimpionico infatti, da questomomento, incominciano a na-scere iniziative ed eventi. Ilgiornalista Graziano Zilli gli hadedicato un libro, biografico.Il più attivo in questo contesto

però è Claudio Santi, il dinami-co inventore della Sei Giornidelle Rose di Fiorenzuola d’Ar-da, che si disputa ogni anno,sullo stesso velodromo sul qua-le Pavesi ha partecipato allagara inaugurale nel 1929.Santi tra l’altro, con una dele-gazione piacentina, si è poirecato nel 2007 in Argentina afar visita a Pavesi e l’ultima SeiGiorni di Fiorenzuola, è statadedicata interamente al cam-pione.

Nel corso della presentazionedella gara tra l’altro, avvenutaal Teatro Verdi di Fiorenzuola,Santi si è messo in contattotelefonico con Pavesi a BuenosAires, che assistito dalla figliaPatricia, vive ora in una casaper anziani.“Non dimentico mai Caorso –dice commosso l’anziano cam-pione - Piacenza e l’Italia. Portotutti nel cuore.”Pavesi poi, sempre al telefonodall’Argentina, ha canticchiatocon emozione, una vecchiafilastrocca: “E’ finito quel tempoche fu; Girardengo, Meazza,Pavesi e poi più”.“Qui c’è la tua storia, amicomio - incalza Santi riferendosial Museo dedicato a Pavesitestè inaugurato - una storiamagnifica e nessuno potrà maipiù dimenticarti”.

Pavesi Attilio: Pavesi inmaglia olimpica;A sinistra una foto re-cente di Pavesi nellaCasa per anziani aBuenos Aires con lafiglia Patricia a destra.Da sinistra in alto so-no Elisabetta Bottioli,Claudio Santi e il pi-stard argentino Seba-stian Donadio. in bas-so a f i anco de lcampione sono il gior-nalista Stefano Berto-lotti e Silvia Sichel;

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ARCHITETTURA

enato Biasutti fu il coordi-natore di una vasta ricerca

sugli insediamenti rurali in Italia,iniziata nel 1924 e caratterizzatadalla pubblicazione di diversivolumi sulle case agricole (giàtrenta volumi erano usciti nel1938). Le ricerche di Biasuttisulle costruzioni rurali continua-rono anche nel secondo dopo-guerra, fino al 1958.Secondo Lucio Gambi 1 (conti-nuatore dell’opera del Biasutti)il Biasutti, con la redazione delvolume sulla casa in Toscana(1935-38)1, avvia la prima inda-gine regionale sulla casa rurale,

introducendo un’analisi basatasu un sistema di riferimento eco-nomico, ma anche etnografico.Il Biasutti infatti afferma che“forma e struttura sono ugual-mente dipendenti dalla necessi-tà di adeguare gli edifici del-l’azienda agraria ad unadeterminata economia e ad undato ambiente fisico, come dal-l’influsso degli stili architettonici,caratteristici della storia dellediverse realtà geografiche”.Secondo le ricerche di Biasutti,relativamente ai tipi edilizi ru-rali, le “forme italiche” si ridur-rebbero essenzialmente a tre:

1 – la casa unitaria, con l’abita-zione sovrapposta al rustico,diffusa in quasi tutto l’Appenni-no.2- le forme complesse ad ele-menti sparsi o multipli che pre-sentano l’abitazione o il rusticomaterialmente distaccati l’unodall’altro: questa categoria disedi rurali occupa tutta la sezio-ne est della pianura padano-veneta, pianura emiliana com-presa.3 – le forme complesse a “corte”,nelle quali gli elementi costitutividella casa si coordinano attornoad uno spazio quadrangolare:

Le ricerchedi Renato Biasuttisulla casa rurale

Nella foto grande ele-menti separati, Budrio(BO) d a l l i b r oAA.VV.“Cultura popola-re nell’Emilia Romagna”,vol. Strutture rurali e vitacontadina, 1997A destra montagna bo-lognese , da l l ibroAA.VV.“Cultura popola-re nell’Emilia Romagna”,vol. Strutture rurali e vitacontadina, 1997

R

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diTommasoFerrari

la più importante zona di espan-sione a “corte chiusa” è rappre-sentata dalla pianura lombardae piemontese.Secondo P.A. Dossena il Biasutti,nelle due diverse edizioni delsuo libro “Il paesaggio terrestre”(1947 e 1962), aggiornò l’ap-parato fotografico. Nella primaedizione, per questo tipo di edi-lizia urbana (i “portici intornoai mercati, le piazza e le stradeprincipali”) c’è una fotografiadei “Portici di Cremona”.La fotografia mostra le colonnedella Bertazzola e del palazzocomunale nella piazza del Duo-mo di Cremona. Nella secondaedizione del suo libro “Il pae-saggio terrestre”, Biasutti ha so-stituito la fotografia di Cremonacon quella più caratteristica di“un piccolo borgo della pianurapadana”, Brescello (ReggioEmilia), “con portici sui due latidella via principale”.Gambi rileva che Biasutti, negliultimi anni delle sue ricerche(gli anni cinquanta del Novecen-to), considera in maniera semprepiù rilevante l’influenza dell’ar-chitettura di città, degli stili inessa dominanti, sulla costruzionedelle dimore rurali.

Note bibliografiche1- AA.VV. “La casa rurale in Italia” acura di G. Barbieri e L. Gambi, Firen-ze, Leo S. Olschki, , 19702- R. Biasutti “La casa rurale nellaToscana”, C.N.R., Bologna, 1938

Dall’alto, portici dellavia principale Brescello(RE),portici piazza del Duo-mo a Cremona,corte chiusa piemonte-se dal libro AA.VV. “Ilpaesaggio italiano”, Tou-r ing Editore , 2000,appennino emiliano, dallibro AA.VV “Culturapopolare nell’EmiliaRomagna”, vol. Struttu-re rurali e vita contadi-na, 1997,cascina Bonemerensecorte chiusa (CR) Dallibro A. Locatelli, “Centocascine Cremonesi”,1991

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Nella casa museola storia e l’artedi Pietro Guizzardi

PERSONAGGI

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iaggio verso il Po, attraversotutta la Bassa Reggiana, la

storia mi abbraccia. Il PADUSsecoli fa debordava fino alla viaEmilia e lasciava una paludesenza confini, uomini bestie evita su palafitte. Per secoli filedi migliaia di braccianti straccio-ni, con badili, vanghe e carriolescavarono, prosciugarono, boni-ficarono, regolarono le acque,costruirono argini dighe e paesi.Specialmente coi Benedettini econ i Bentivoglio. Rubarono que-sta terra alla palude, con lavoribestiali e vite disperate, di so-pravvivenza, fame e malattia,tanti fossi di fatiche e sudoriinenarrabili. Ma i poderi cresce-vano su una terra produttiva,l’irrigazione era giusta, le fami-glie fecero case di muro, basse,con pavimento di terra,col foco-lare, stalle adatte e strumenti dilavoro più pertinenti, opere diartigiani cresciuti via via conattrezzature e organizzazionimigliori. Servitori bracciantimezzadri fittavoli crescevanoper fare modernità e civiltà mag-giori. E poi caseifici cantine mo-lini per commerci più generosie miglioramenti economici siafamiliari sia paesani. C’erano giàle Chiese per la religione e lamorale poi arrivarono per la cul-tura e l’educazione di base, an-che le scuole di prima secondae terza classe per i bambini eserali per gli adulti analfabeti,anche solo per imparare a leg-gere e scrivere, almeno la pro-pria firma per poter votare. Illavoro soprattutto garantiva ifocolari accesi con pentoloni dipolenta patate cipolle e taloraun po’ di pasta. Le gramole ci-golavano per il pane da fare incasa all’alba. Era una festa peri bambini che volevano la strìa,cioè i ritagli di pasta abbrustolitiaccanto alle fette di polenta.Tutto questo sotto il controllodei padroni occhiuti e sfruttatori.Si stava al mondo chinati sullaterra a lavorare ma anche a pen-sare alla famiglia e ai figli, allebestie e ai prodotti, ma anche ariflettere sulle condizioni umane

e sociali, coi sogni del riscatto,che avverrà poi con le lotte so-ciali, le organizzazioni sindacali,cooperative e amministrative. Itempi degli scontri, dicevano ”laboij” e bolliva davvero il nuovodella storia ai primi del novecen-to. Tempi lunghi e duri, orizzonticorti, con in mezzo anche allu-vioni e carestie. Ma la culturacontadina per lo più rinchiusanelle famiglie e nei paesi si amal-gama sempre più robusta e daessa ogni tanto emergono perso-nalità eccezionali, letterarie ar-tistiche creative. Fra queste PietroGhizzardi, singolare letterato egrande pittore. Premio ”Viareg-gio Opera prima” per la lettera-tura e le numerose presenze deisuoi dipinti in Gallerie d’arte ditutto il mondo, con enormi piledi libri di grandi scrittori a stu-diare e approfondire e a scriverecon esercizi critici in tante lin-gue.Viaggio verso il Po e sono direttoa Boretto, alla CASA MUSEOPIETRO GHIZZARDI “AlBelvedere” – via De Rossi 27/8– 42 0 22 Boretto- Reggio Emilia- tel. O522/ 965146.Lì ci stà la signora NIVES PEC-CHINI IOLANDA moglie del fi-glio del fratello di Pietro Ghiz-zardi. Adesso ha tutto Lei nellemani, l’eredità materiale e arti-stica e spirituale di Pietro. E ioho qui nella testa tutto quelloche ho letto su Pietrone ( affet-tuosamente chiamato così ). Edè tanto. Ma adesso, “de visu”,voglio verificare la situazionedella Casa Museo, i documenti,gli strumenti della pittura, il de-posito, la libreria. E quello cheracconterà la signora Nives, in-formata dei fatti. E’ qui, mi ac-coglie gentilmente, è pronta afarmi da preziosa guida.Intantoricordo che su su fino al 1986Ghizzardi,passò anche i periodiduri del fascismo, della guer-ra,della ripresa nazionale colboom economico e l’invasionetecnologica nelle città e nellecampagne.Tante sofferenzeumane per i misfatti del fascio,le stragi belliche, le vendette di

V paese per le riflessioni dolentiche maturavano in Lui davantia quelli che chiamava gli “sfasci”della natura: scomparse di uc-celli, spariti buoi e cavalli datiro e da corsa, distrutta la fruttain val padana, infettata di gasda nafta e benzina, insieme al-l’acqua dei mari e dei fiumi,incidenti mortali e feriti nellestrade. E poi la morte di milionidi bambini per fame, sete e igno-ranza. E quelli sfracellati primadi venire al mondo,” nella pan-cia della sua mamma.” E gli uo-mini sono fuori di sé, mentredovevano essere” i perni dellagiustizia e del buon costume pertutti”. Di questo amore per l’umanità Ghizzardi si è nutritonella famiglia benché madrepadre e fratello talora gli fosserocontro lo preferivano alla vanga

e nella stalla piuttosto che allapenna e al pennello.Intanto Luiintroiettava linguaggi e formeper raccontare proprio in linguaed in pittura. Lo testimoniano lesue due grandi opere ”Mi richor-do anchora”, Premio Viareggioopera prima ”e “Lilla”, dedicatoalla sua cagnolina morta e il suodolore per lei e per il mondo

diSergioMasini

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PERSONAGGI

che va verso la distruzione. Eccoil Ghizzardi anche ambientalistaecologista antitecnicista. Moder-nissimo.Intanto io e la Nives parliamoinsieme di Lui, il Pietrone ( affet-tuosamente). Sono decine e de-cine i grandi della Letteratura edell’Arte che hanno studiato lapittura e la scrittura di Ghizzardi.Dibattito ampio e approfondito,conclusione unica. Sempre lastessa. Ghizzardi è un grandissi-mo. Ha inventato di sana piantauno stile, una sintassi e una or-tografia fuori regola, creativa esorgiva da un anima e da unaintelligenza speciali. A leggereprovi un immenso piacere este-tico e una importante soddisfa-zione tecnica. Proprio così an-dava raccontata la sua vita comenasceva e cresceva dentro diLui. Ne faceva patrimonio nar-rativo sempre: quello che narra-va pitturava, quello che pitturavanarrava. E soddisfatto esponeva,all’inizio, alle finestre, sotto iportici, dal barbiere.E sorridiamo perché sappiamogià che tra non molto le operedi Pietro saranno in mostra nellepiù grandi Gallerie d’arte d’Italiae del Mondo.Fu” muratore” della propria or-tografia, sintassi e del propriostile con i fondamenti del proprioparlato. Fu “inventore” di unapittura semplice ma robusta, del-la natura, bestie, uomini e donneeroi e santi della storia, di am-bienti immaginari. Non si puòaltalenare tra le definizioni diArt malata, selvaggia, brut, istin-tiva, cercando di catalogare, pa-ragonare, reclutare, assimilareGhizzardi a scuole o ad altri. E’Lui.” Realismo naturale.” E peressere più Lui si fa anche le suepitture in casa. Gratta mattoni,pesta erbe e bacche, bolle radiciper fare mastici o vernici, usa ilnerofumo o caliggine per deli-mitare ”lo spazio suo”, internoad ogni quadro, dipinge tuttosul cartone degli scatoloni deichiodi, morbidi e assorbenti, cheasciugava e stirava sotto presseo pesi, dopo averli lucidati conerbe. Pitturava spesso in ginoc-

chio come i madonnari. Sempresolo davanti a sé, di dentro e difuori fa le sue cose. Si raccontacosì: “Ho fatto il servo contadi-no, una vitaccia da bestia, pela-vo i pioppi, pulivo i fossi, facevogli stradini. Guardavo sempregli altri anche da bambino, guar-davo un vagabondo che dise-gnava sigle in gotico per le len-zuola, mi venne la voglia dellapittura e scoprire la fisionomiadi una persona. Con un’erbadella riva del fiume Po che miserve per la pittura curo tantemalattie, si chiama REMSA ed èla mia difesa anche contro gliincidenti e le donne che mi di-spressano e ghignano dei miequadri e anche contro la miamadre opprimente”.Signora Nives, bisogna pure chearriviamo alle donne - amichedi Pietro rappresentate in quelledecine di quadri che abbiamovisitato, e che anche qui ci os-servano.E’ vero che fu casto? O è piùvero che qualche volta andavain casino? E’ più vera la secondache la prima, amava molto labellezza della donna.Scrive Lui che pensando ad unadonna davanti al prosperoso einvitante seno ”mi slenavo eperdevo forsa ma mi sentivo ti-rato dalla natura”. Faceva da sè.E questo ci induce a credere chequei ritratti di donne con occhipenetranti, sceni esuberanti ebocche anelanti segnalino unsuo desiderio immaginario piut-tosto che una ossessione sessua-le. Pietro era un uomo ingenuoe timoroso, ebbe le sue donnevirtuali. E ne dipinse tante, tuttediverse tutte significative e quasiparlanti. E quanto belle e quantaarte, altro che ripetitività e noianelle sequenze della nostra visi-ta!. Ah quei reticoli di segni,volumi e cicatrici scolpiti neriche si stagliano nei volti! Rughee muscoli facciali che rievocanofisionomie drammatiche di con-tadine, con in faccia vite di stentie fatiche come se il sudore aves-se scavato nella pelle i vizi dellaterra. Eppure hanno sempre unavirgola di smorfia di astinenza

mista a voglia di piacere. Capo-lavori, signora Nives! Pietro leama come sono e anche comele immagina.La Casa Museo Galleria dellasignora Nives è una deliziosavilletta a due piani con giardino,che dà su una stradina lungalunga sull’orizzonte di cielo unpo’ imbronciato. Ma noi,siamofelici dei nostri discorsi e dellegrandi bellezze viste nei quadrie nei murali di Pietro che rico-prono il Museo.Qui c’è tutto quello che si devevedere e sapere di Ghizzardi. Eio non posso che ripetere allasig. Nives quello che CesareZavattini scrisse a Giovanni Ne-gri: ”nel portarmi qui mi hai fattoil più bel regalo della mia vita”.

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LIBRI

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Le fiabedi Anna Maria Dall’Aglioe le favoledi Giuliano Bagnoli

l linguaggio delle “Fiabe traOriente e Occidente” il libro

di Anna Maria dall’Aglio (Nura)edito da Diabasis, reca un mes-saggio di attualità, anche se citrasporta, col volo della fanta-sia, in un mondo magico, po-polato da quegli esseri prodi-giosi, come angeli, maghi efate, che vivono tra la terra e ilcielo.Le fiabe narrate dalla Dall’Agliosi staccano nettamente dallefiabe della tradizione reggiana,raccolte con scrupolo filologiconel bel libro, stupendamenteillustrato, di Giuliano Bagnoli.Più che fiabe quelle raccoltedal dott. Bagnoli, sono favole,fole, filastrocche ninne nannee sciolilingua, che riflettonovita, sensazioni e sentimentidella nostra gente di un tempo,che non amava i voli pindarici,ma cogliere gli attimi più sinto-matici e rivelatori del viverequotidiano per scherzarci so-pra. I racconti immaginosi efantastici narrati dalla Dal-l’Aglio si iscrivono invece nelgenere della fiaba, in cui il me-raviglioso gioca un ruolo pre-ponderante, senza l’esplicitafinalità moralistica e sentenzio-sa propria della tradizione fa-volistica occidentale sin daitempi di Esopo e di Fedro.La diversità dei due aspetti siriflette anche nelle illustrazioni.Mentre la raccolta del dott. Ba-gnoli è prevalentemente corre-data da riproduzioni di dipintidi Gaetano Chierici, che ci in-troducono graziosamente nelmondo contadino di un tempo,realisticamente rappresentanonei suoi aspetti più lieti e scher-zosi, le fiabe della Dall’Agliosono illustrate da GiovannaMagnani, una giovane pittricereggiana, allieva all’Accademiadi Bologna di Concetto Pozzati,che aveva già dato prova dellasua fantasia affabulatrice nellibro “La Leggenda di Salvagna”

I

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(Edizioni del Gallo 2007).Due orientamenti diversi: quel-lo realistico della favola e quel-lo fantasioso della fiaba anchese, occorre dire, non mancanoin alcuni racconti della Dal-l’Aglio agganci alla nostra terra,sia pure in modo sfuggente escherzoso. Ad esempio un prin-cipe emiliano che aveva parte-cipato alla gara per poter dive-nire lo sposo di “Gioiello diLuna”, la figlia del mandarinoCin-Cin, arrivata all’età da ma-rito, portò in dono alla princi-pessa una polvere bianca che,anzichè essere, come avrebbedovuto, “polvere di luna”, eraParmigiano-Reggiano grattugia-to.Le “Fiabe tra Oriente eoccidente” ebbero la consacra-zione di una docente reggianadi psicologia, recentementescomparsa, la dott.ssa AnnaMaria Burani. Ricorda la Dal-l’Aglio nell’introduzione al suolibro che andava, un volta lasettimana, nel suo studio in unavia del centro. “Le consegnavole fiabe in brutta copia, lei leleggeva, faceva alcune corre-zioni, a volte aggiungeva qual-cosa alla trama o qualche bat-tuta e me le faceva battere alcomputer. Ci accomunaval’amore per l’infanzia, il desi-derio di trovare uno stato origi-nario d’innocenza”. L’avevaincoraggiata ascrivere anchefrate Davide Moretti al conven-to dei Cappuccini, dalla lungabarba bianca e nera. Aveva unascatola piena di cassette musi-cali di fiabe narrate da attori sunastro, gliene regalò alcune esi beava ad ascoltarle. Ma laprima fiaba, “Cuore incantato”le fu ispirata contemplando unasera d’inverno la copertina dellibro di una suora carmelitana,Elisabetta della Trinità.Questa predisposizione allanarrazione fiabesca si era for-mata, prima ancora che dagliincontri con la dott.ssa Anna

Maria Burani e con il cappuc-cino frate Davide Moretti, dallasua stessa esperienza di vita.La Dall’Aglio, durante la suagiovinezza, trascorse alcuni an-ni nel Pakistan. Fu quindi messain diretto contatto con il mondoorientale, ove apprese la danzadel ventre, della quale è diven-tata insegnante al suo rientro aReggio Emilia. Una danza - dice- che produce un intreccio trasensualità e misticismo e suscitauna sensazione di interminatez-za e di infinito. Nelle sue fiabeha cercato, col volo della fan-tasia, di unire insieme Orientee Occidente e di stimolare lacuriosità di conoscete altre cul-ture, non per suscitare contrap-posizioni ma per un arricchi-mento dello spirito e unaricerca di collaborazione e dipace. Con il poetico avverti-mento che “saran belle le stelledel nostro cielo, ma le stelledelle notti in mezzo al desertosono le più belle che l’occhiodell’uomo possa vedere, perchélì sono più grande e piùluminose”.

diAl f redoGianolio

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ECONOMIA

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diMassimoCrotti*

icono che ai “bugiardi”occorre grande memoria.

Nello scorso mese di maggiomi ero mosso per cercare qual-cosa di carino, sul mare, in rivaal mare, possibilmente sullaspiaggia. Avevo chiesto l’impos-sibile anche per convincermi,in seconda battuta, di non con-cludere nulla. Ognuno ha lesue masturbazioni mentali. Dilì a poco iniziarono a pervenireuna serie di “occasioni” franca-mente notevoli. Fra le tante, unacasetta che pareva disegnata daDisney, a Capo Stella, all’Elba,la casa dei mie sogni, per laquale avrei anche rinunciato alrudere su Baratti. Richiesta: 2milioni. Il pezzo era bello, livaleva tutti, ma l’e-mail feceeffetto su tarlo e ripresi, comese nulla fosse, ad accantonareil progetto che, anzi, dimenticaidel tutto. Il 2 dell’anno, ieril’altro, mi arriva una mail da unindirizzo sconosciuto di Livor-no, una agenzia immobiliaremai sentita né letta: non ci po-tevo credere! La stessa casa, lostesso mare, le stesse foto, conuna differenza, il prezzo, scesoa 1 milione! Non ci potevo cre-dere. Ed il tarlo si è rimesso inmoto. Esempi del genere potreicitarne a iosa e, chissà cosavedremo nell’anno appena ini-ziato. Mi auguro di no ma lepremesse ci sono tutte, anchese le borse danno segni di risve-glio, anche se alcuni canali te-levisivi (giustamente!!!) fannovedere la gente allegra in viaCondotti a Roma od in PiazzaMeda a Milano. Sono infatti

perfettamente d’accordo chemeno piagnistei, non dico cherisolleverebbero la situazione(solo un pazzo potrebbe pensar-lo), ma psicologicamente, po-trebbero allentare la morsa deldramma: anche perché, profon-damente convinto che in Italiai fondamentali siano menospappolati che altrove. La fasedi flessione dell'attività produt-tiva non è ancora terminata,proseguirà per buona parte del2009 e solo nel 2010 il Pil ita-liano, se tutto andrà bene, tor-nerà ai livelli fatti registrare nel2007. La valutazione, non èmia, nessuno ha inventato l’ac-qua calda (!), è contenuta nelIV rapporto congiunturale delCer di Roma. Nel rapporto siafferma che l'anno prossimo,tanto i consumi, quanto gli in-vestimenti e le esportazioni,avranno il segno meno davanti:come risultato dopo un 2008con il Pil attestato su una fles-sione di mezzo punto, nel 2009la retromarcia dell'attività pro-duttiva provocherà una flessionedel Pil pari all'uno per cento.Nel rapporto previsionale si leg-ge anche una stima sugli effettidella manovra del governo con-tenuta nel decreto approvato il28 novembre scorso. Il suo im-patto espansivo sull'economiaviene cifrato allo 0,1 per centodel Pil, in pratica, circa un mi-liardo e settecento milioni.«L'effetto osservano gli espertidel Cer – è un po' più consisten-te sui consumi delle famiglie,attestandosi al +0,3 per cento.Si tratta tuttavia di un impatto

modesto che serve per tampo-nare le emergenze» è la dia-gnosi. Purtroppo abbiamo ildebito pubblico più alto delmondo e c’è chi giura che aRoma abbiano cominciato adoliare e manutentare le stam-patrici della Zecca. «I timoridi massicci interventi a salva-taggio delle banche, che innal-zerebbero ulteriormente il li-vello del debito, si riflettononell'apertura del differenzialefra i tassi italiani e quelli tede-schi in un momento di aumen-to dell'avversione al rischio suimercati». Ma non è detto chesiano solo i piccoli a soffriregravemente. L’antivigilia mi èvenuto a trovare un amico, ungrande amico, per gli auguri.Davanti al fuoco, si sa, le con-fidenze, anche le più intime,sono normali. “Avevo, anzi ho– mi confidava – una villa inmontagna che sulla carta po-teva valere non meno di 10milioni. Forse oggi ne vale me-no ma la differenza è che dueanni fa avrei avuto la lista d’at-tesa se solo avessi voluto ven-derla. Oggi è impensabile ditrovare anche il pazzo di turno.Per non parlare di titoli. In seimesi ho perso qualcosa come1000 miliardi di vecchie li-re...”. E via con altre amenitàdel genere. Questo per direche quando è notte, è notteper tutti. Ed è innegabile chemal comune mezzo gaudio.Speriamo davvero, e questa sìche non è retorica, che almenola salute ci sia tutta. Il resto siaggiusta sempre, bene o male.

Un pò di brioper l’anno nuovo!Mal comune mezzo gaudio

(*) magistratotributario

D

Un pò di brioper l’anno nuovo!

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diCristinaMagni(psicologa)

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gnuno di noi, appena nato,è incontinente, poiché perde

senza controllo e in modo au-tomatico feci ed urine, con unmeccanismo di riflesso involon-tario. Questo meccanismo si mo-difica nel tempo attraverso l’ap-prendimento del controllovolontario degli sfinteri.Alcuni bambini imparano a con-trollare gli sfinteri a 18 mesi, altria 30 mesi, con variazioni rispettoall’età dovute sia a tempi di svi-luppo diversi tra individui sia adifferenti norme culturali. Stati-sticamente si rileva che circa lametà dei bambini di due anniriesce a trascorrere la notte senzabagnare il letto (Rovetto, 1987).Quando il comportamento enu-retico è da ritenersi patologico?Quando il genitore deve inso-spettirsi? I dati statistici eviden-ziano che fino ai 5 anni è possi-bile che si verifichi unaremissione spontanea del com-portamento enuretico. E’ quindiimportante attendere almeno i 6anni prima di preoccuparsi. Unafamiglia che sta attraversando unperiodo di cambiamenti, comeil trasferimento in un’altra città,l’arrivo di un fratellino o di unasorellina, la separazione dei ge-nitori, costituiscono situazioni incui il bambino può presentareuna temporanea per-dita del controllo dellaminzione. Ma perpoter porre diagnosi dienuresi è necessarioche vengano soddi-sfatti alcuni criteri.L’enuresi è una mo-dalità continuativa(non saltuaria) diemissione delle urineinvolontaria o inten-zionale; la diagnosiviene apportata solo

se tale comportamento non èdovuto all’effetto diretto di unasostanza (es. diuretico) o ad unacondizione medica generale (es.diabete, spina bifida), che po-trebbe causare l’insorgenza ditale problema.Inoltre gli episodi risultano cli-nicamente significativi solo sesi presentano con una frequenzadi due volte alla settimana, peralmeno tre mesi consecutivi, odalla presenza di un disagio im-portante con difficoltà emergentinell’area sociale, scolastica, fa-migliare.E’ fondamentale che tutti questicriteri vengano soddisfatti perchési possa definire l’enuresi uneffettivo disturbo psicologico.Episodi occasionali di perditaurine non sono clinicamentesignificativi per la diagnosi dienuresi (e probabilmente sonolegati a fattori contingenti davalutare rispetto al singolo caso,non necessariamente allarman-te).Si possono differenziare i tipi dienuresi in tre categorie: notturna,se la perdita delle urine avvienedurante il sonno; diurna, se laperdita delle urine avviene du-rante le ore di veglia; notturnae diurna.La continenza diurna si instaura

per prima perché risulta decisa-mente più semplice il controllodella vescica durante il giorno,mentre si rileva con maggiorefrequenza l’incontinenza nottur-na. Questo sottotipo comportala perdita di urine durante lafase del sonno a movimenti ocu-lari rapidi (fase REM), periodoprecedente al sonno profondo.Il sottotipo diurno, è più comunenelle bambine, e raramente simanifesta oltre i 9 anni; inoltretende a presentarsi nel primopomeriggio, a scuola, frequente-mente associato all’ansia sociale.Esistono due tipologie di casi dienuresi: primaria, la più diffusa,in cui i bambini non hanno maiacquisito il controllo della min-zione; secondaria, in cui i bam-bini perdono il controllo dellavescica, pur avendo acquisitoper un certo periodo tale capa-cità. Quest’ultimo caso è fre-quentemente associato a proble-matiche famigliari, come laseparazione dei genitori, o asituazioni ansiose, come l’inse-rimento in una nuova scuola, oin seguito ad episodi particolar-mente stressanti.Ogni caso presenta caratteristi-che specifiche, per questo moti-vo la fase di valutazione del casoiniziale risulta essenziale per

progettare un in-tervento specifico.Quali sono i pos-sibili percorsi altrattamento del-l’enuresi? Questoed altri piccolisuggerimenti perla gestione del-l’igiene personaleverranno trattatinel prossimo nu-mero.

PSICOLOGIA

O

Pipì...guai in vista!Quando l’enuresi del bambino è patologica?

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MOSTRE

Il Museo d’Arte Moderna di Bolognacelebra Giorgio Morandi

MENSILE DEL COLLEZIONISTA ITALIANOVia Pasteur, 2 - 42100 Reggio EmiliaTel. 0522.557893 - Fax 0522.557825www.collezionare.com - e-mail: [email protected]

Con la collaborazione di

a figura di Giorgio Morandiè protagonista della scena

culturale internazionale coneventi e progetti a lungo termine.Fulcro di tali iniziative sono lamostra antologica Giorgio Mo-randi 1890-1964, (dal 22 genna-io al 13 aprile 2009 al MAMbo- Museo d'Arte Moderna di Bo-logna) e il prossimo restaurodell'abitazione bolognese in cuil'artista visse fino al 1964, chediverrà uno spazio dedicato allaricerca. La mostra, tra le piùcomplete mai dedicate al mae-stro bolognese, presenta oltreun centinaio di opere: un corpusesaustivo che documenta il per-corso e l'evoluzione espressivadagli esordi dell'artista alla ricer-ca metafisica, fino alla dissolven-za della pittura degli ultimi anni,passando attraverso tutte le tec-niche nelle quali Morandi si ècimentato. L'allestimentoall'interno della Lehman Collec-tion del Metropolitan Museumha riscosso fin dai primi giorniun grande successo di pubblicoe un ottimo riscontro sulla stam-pa. La selezione effettuata daicuratori comprende lavori ap-partenenti, oltre che al MuseoMorandi di Bologna e a museiitaliani e americani, alle raccoltedi studiosi e amici dell'artista, eanche dipinti acquisiti da colle-zionisti che entrarono in contattocon Morandi e che da subitoseppero capirne il genio.Morandi (Bologna, 1890-1964)esordì nel momento culminantedelle avanguardie. Pur viaggian-do pochissimo (solo tre i suoiviaggi all'estero, in Svizzera, ecompiuti in età non più giovani-le) fu un artista colto e aggiornatosu ogni tendenza della moderna

pittura europea, gra-zie ai libri e allepubblicazioni spessoricevute direttamentedai critici più accorti.Ma di ciò, e soprat-tutto delle questioniteoriche, parlava dirado e malvolentieri.Gli stavano mag-giormente a cuore ilsuo lavoro di pittoree l'insegnamentodella tecnica incisorian e l l e a u l edell'Accademia diBelle Arti di Bologna.È tuttavia ben visibile,soprattutto nelleopere giovanili, il suoprivato rapporto conle avanguardie in-ternazionali: ha di-pinto opere schiet-tamente cubiste, si è avvicinatoal movimento futurista ed è statoforse il più sottile protagonistadella Metafisica. Con la chiusuradi tale stagione e con l'affievolirsidell'attitudine eversiva delleavanguardie, Morandi inizia unproprio autonomo cammino at-traverso tecniche diverse -d a l l ' o l i o a l l ' i n c i s i o n e ,dall'acquerello al disegno - svi-luppando un linguaggio di raffi-n a t a s e m p l i f i c a z i o n e .L'essenziale lucidità delle suecomposizioni unita alla trasfigu-razione astratta del suo sguardolo porteranno a confrontarsi conil reale arrivando a dissolvernei contorni. Dell'avventura artisti-ca e umana di Morandi daràtestimonianza il restauro e lar i a p e r t u r a n e l 2 0 0 9dell'abitazione in cui visse, invia Fondazza 36 a Bologna.

LDal 22 gennaio al 13 aprile 2009

Natura morta, 1959(V. 1126). Olio su tela,25 x 30,5 cmBergamo, AccademiaCar r ar a , Ga l le r i ad’Ar te Moderna eContemporanea

Natura morta /Still life,1956(V. 985). Olio su tela,30 x 45 cmBologna, Museo Mo-ranti

Natura morta, 1918(V. 39). Olio su tela, 80x 65 cmRoma, Galleria Nazio-nale d’Arte Modernae ContemporaneaSu gentile concessionedel: Ministero per i Benie le Attività CulturaliPhoto © GiuseppeSchiavinotto, Roma

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MOSTRE

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Con la collaborazione di

a nove anni antiquari ed appassionati collezionistidi tutta Europa - e con loro i buyers delle più importanti

case d'asta e gli interior designer più affermati - sfidanoi rigori dell'inverno e si danno appuntamento a Parmaper Emporium, il primo appuntamento professionaledell'antiquariato che conta nel Vecchio Continente.Con una formula sempre uguale a se stessa e semprenuova, studiata per privilegiare gli scambi serrati e ilbusiness senza fronzoli ed orpelli, Emporium è il granderaduno dopo le festività natalizie: un po' grande magazzinoe un po' scusa per rincontrarsi dopo la pausa invernale.

In definitiva una grande festa di inizio anno per il grandepubblico delle rassegne antiquariali di tutta Europa, unaduegiorni che andrà in scena sabato 17 e domenica 18gennaio 2009.Emporium è anche un grande business: un exchangemarket, un déballage, sbarazzino e veloce in cui i profes-sionisti dell'antiquariato possono rinnovare le proprieproposte commerciali, acquistando arredi di varie epoche,complementi e oggetti da collezione dagli oltre 400espositori della rassegna.

Torna Emporium,il déballage d'inverno

DAlle Fiere di Parma, il 17 e 18 gennaio 2009

Colleziosa, Mostra MercatoScambio di collezionismo,modellismo, hobby, curiositàA Modena Fiere, il 17 e 18 gennaio 2009

ppuntamento a Modena Fiere il prossimo 17 e 18gennaio con Colleziosa, grande "contenitore" per il

collezionismo di tutti i generi.Numerose le proposte della kermesse: dalla Mostra Mercatodel disco usato e da collezione, con l'offerta di CD, DVD,video, poster, riviste, cartoline, libri, a Modena Comicsdedicata al fumetto, con migliaia di titoli, personaggi eautori. Pensato per il pubblico dei fotoamatori è invecel'appuntamento con Photo Cine Video, compravendita diattrezzature e materiale fotografico tradizionale, digitale,usato, d'occasione e da collezione.

L'edizione 2009 diColleziosa, graziealla preziosa colla-borazione di alcuneAssociazioni delsettore, prevede poiampi spazi intera-mente dedicati almondo del modelli-smo, con esibizionidi 'truck modelli-smo', e un workshopche fornirà tutte lenozioni necessarie per la realizzazione di modellini disoldatini.Colleziosa si svolgerà nell'ambito di Expo Elettronica,appuntamento nazionale specializzato nel campo delletelecomunicazioni.In fo: 0541 439573; www.expoelet tornica. i t

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Il grande schermoTHE SPIRITDi: Frank Miller.Con: Gabriel Macht, SamuelL. Jackson, Scarlett Johansson,Eva Mendes, Paz Vega.Genere: Cine-fumetto (108’)Commento: Tra innovazione ela strada della graphic-novel giàbattuta con “300” (a firmaSnyder, ma con forti influenzeesterne) e soprattutto “Sin City”,Frank Miller si conferma l’unicoregista in grado di proporre cine-baloon di alto livello: così, dopo

le delusioni di “Max Payne” e“Hitman”, resuscita il genio (ria-dattato) di Will Eisner, smarritonei meandri del tempo, ma pursempre uno dei migliori fumet-tisti della storia americana. Spiritnella versione milleriana è unacontaminatio che non semprefunziona, ma conferma l’animadel proprio padre (ironica e maieccessivamente violenta) e ilgusto estetico del proprio padri-no: l’impronta di Sin City è benevidente, ovviamente dal con-trasto tra il bianco-nero e il rosso,ma Miller ha il merito di inno-varsi, depurando il concerto disangue che caratterizzò la suaprima opera (l’osannato Taranti-no guardi e impari!). Ne escecosì un gioco ironico, raramentesadico, e divertente in crescen-

do, dopo un avvio al rallenty.Spirit è fallibile ma astuto, lafidanzata Ellen Dolan tradita mainnamorata, il padre di Ellen, ilCommissario di Polizia, è inveceburbero ma irrimediabilmentelega to a l l e ab i l i t à de l“guardiano” della Città. Tuttocome nel fumetto, ad eccezionedi Octopus, che rivela l’insospet-tabile ironia noir di Samuel L.Jackson e un arsenale sconosciu-to ai primi fumetti. Un bel pro-dotto insomma, sebbene l’ele-mento novità fosse ormaiscaduto con la prima puntatadella “città del peccato”. Sinoall’esplosivo finalone da cartoon.Da non perdere: Alcune trovatepittoriche, che si susseguonosempre nei film di Miller, mariescono comunque a prenderele distanze dalla banalità deldéjà-vu.VOTO: 7.5 – SREGOLATEZZA

MADAGASCAR 2Di: Eric Darnell, Tom McGrath.Commento: Ecologismo, diver-timento, ritorno ai primordi del-l’umanità, e qualche pennellatadi poesia: ingredienti che fannodi Madagascar 2 l’ennesimo mi-racolo a cartoni animati, chenon si perde né dietro a rigorosimoralismi, né davanti alle re-sponsabilità che un film destina-to ai più piccini dovrebbe sem-pre prendersi. Il giusto mezzo,insomma, per una scatola con-tenutistica davvero ricca. A co-minciare dalla sceneggiatura,opera anche di Ethan Coen (e sivede!), che nulla invidia ad al-cuni maestri dell’incastro hol-lywoodiano: non solo, Madaga-scar ha il grande merito disfruttare un telaio ben noto alpubblico (ogni personaggio nonperde una virgola della caratte-rizzazione del primo episodio),senza però adagiarsi sugli allori:ecco allora emergere il lato nuo-vo di ciascuno dei protagonisti,oltre ad altre spassosissime spal-le. I pinguini “evasori” diventano

ingegneri , i l leone Alex“ballerino” si prende pure re-sponsabilità “guerresche”, la gi-raffa Melman s’applica in medi-cina e amore, il rinoceronteGloria scopre la differenza traessenza ed apparenza, la zebraMarty capisce l’importanza del-l’unicità all’interno del branco.Ognuno insomma compie unnetto passo avanti, così come,ci pare di poter confessare, fa

anche la pellicola. Il tutto con-dito dalla presenza umana, co-rollario doveroso (come le rifles-sioni che esorta), messa inridicolo ma con stile, e senzaaccuse da pubblico ministero.Con il sorriso sulle labbra (eanche qualche risata da span-ciarsi). Il che, per inciso, non hamai fatto male a nessuno…Da non perdere: Pinguini piùscimmie: un mix letale di astu-zia, scaltrezza e simpatia. E poi,autentico personaggio sopra lerighe (senza bisogno di “aiutanti”complementari), Re Julian, con-tagioso ogni volta che apre boc-ca.VOTO: 8.5 - SOGNATORE

NATALE A RIODi: Neri Parenti.Con: Christian De Sica, FabioDe Luigi, Michelle Hunziker,Massimo Ghini, Paolo Conticini.

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diGiovanniGardani

ANDIAMO AL CINEMA

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stiamo parlando di un lungome-traggio, che come tale dovrebbeassecondare maggiore omogeneità.Comunque meglio di “Al, John andJack”, sui livelli di “Tu la conosciClaudia?”. Non malaccio, ma cis’aspettava di più. Nota di merito:si evita, al solito, la commediavolgarotta all’italiana, il che do-vrebbe servire d’insegnamento amo l t i “maes t r i ” no s t r an icontemporanei…Da non perdere: La performancedi Giacomo, decisamente il più“attore” dell’affiatato trio.VOTO: 6.5 – PUZZLE SCOLLATO

Genere: Comico (113’)Commento: Se sostenessimoche per recensire un film dellapremiata (?) ditta De Sica-NeriParenti basterebbe avere unostampino, non ci discosteremmotroppo dal vero, anche se negliultimi anni una variabile impaz-zita s’avvicina al cinepanettoneoffrendo quantomeno un po’ dilievito, che tuttavia non garanti-sce la sufficienza: si chiamaFabio De Luigi, ben assortitocon Michelle Hunziker (che pu-re non sa recitare), e sfrutta unrepertorio di cabaret mutuatodai migliori anni di Mai DireGoal, per regalare parentesi disorriso non soltanto triviale. Ilresto è tutto identico, ormai as-sodato, un mix di commediadegli equivoci, con la pruderieche tanto piace (evidentemente)agli italiani abbonati ai luoghicomuni: il Brasile è così la terradel sesso facile, lo scambio dicoppia (volontario o meno) ilpezzo che completa ogni puzzle

e il rapporto padre-figlio il clas-sico rovesciamento che passaper lo scontato divorzio e l’al-trettanto appurata mascalzonataprestabilita. Nessuno chiede di-squisizioni filosofiche, per carità,ma in questo caso repetita noniuvant, e si riaccendono le spiedi una crisi di idee abissale. Rioinsomma è come Miami, comeil Nilo, come la Crociera, comeCortina, come tutto il resto: cam-bia la location, non le trovate,anche se almeno una sfida èvinta. Boldi resta indietro di al-

meno un paio di voti perché, inassenza di originalità, Neri Pa-renti ha dalla sua quantomenouna mano registica meglio as-sortita. Una nota su De Sica: èun bravo attore di teatro, che siaffida sempre più ai ciondola-menti e alle solite mimiche fac-ciali. Con il cinema però sembraavere sempre meno a che fare…Da non perdere: Come dettoFabio De Luigi: vedere per cre-dere.VOTO: 5.5 – CHI SI RIVEDE

IL COSMO SUL COMO’Di: Marcello Cesena.Con: Aldo Baglio, GiovanniStorti, Giacomo Poretti, SilvanaFallisi, Sara D'Amario.Genere: Commedia (100’)Commento: Che furbacchioniAldo,Giovanni e Giacomo! Per-sa la verve da lungometraggiodopo soli tre film (rigorosamentei primi), i tre attori milanesi (conl’aggiunto della sicula cadenzadi Baglio) hanno deciso di pun-tare dritto verso lo sketch chemeglio riesce loro, il corto. Così,dopo “Anplagghed”, teatro fil-mato e non cinema, ecco “Ilcosmo sul comò”, che intenderacchiudere perle di saggezzadisparate in situazioni moltodiverse tra loro. Troppo diverse,verrebbe da dire, perché quiemerge il principale problemadella pellicola: riunire il presun-to “cosmo” in un unico film inmeno di due ore presupponeuna capacità organica di collagedel materiale. Così non avvienenell’opera di Marcello Cesena(il “Jean Claude” di Mai DireGoal, che regala anche un“forzatissimo” cammeo di sestesso), che sembra un gran mi-nestrone senza un filo logicoconduttore: e non basta la cor-nice decameroniana del maestroTsu-Nam e dei suoi saggi (?)discepoli per collegare una tra-ma dispersiva. Il totale è il se-guente: se prendiamo i singoliepisodi il giudizio è positivo (ilsecondo e il quarto, in partico-lare, sono spezzoni davverospassosi, di comicità superatagli altri due), ma non dovremmodimenticare che, comunque sia,

ANDIAMO AL CINEMA

BOX OFFICE NATALIZIO

FILM INCASSI NOSTROVOTO

Natale a Rio 15.599.159 5.5Madagascar 2 15.101.332 8.5Il cosmo sul comò 8.724.846 6.5Ultimatum alla terra 3.843.415 3Come un uragano 3.097.862 6.5Come Dio comanda 2.506.023 7The Spirit 1.066.118 7.5Ember 757.691 svIl bambino con il pigiama a righe 751.717 9La Duchessa 741.215 sv

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EVENTI

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Profilo Donna ha dedicato i fondi ricavatidall’evento che tradizionalmente precedeil Natale all’Associazione Italiana SclerosiMultipla. Come location il ristorante Eu-ropa ’92, tempio creativo della cucinamodenese caro al Maestro Luciano Pava-rotti per l’ottima cucina.Tra il nutrito parterre di ospiti NicolettaMantovani Pavarotti, testimonial dellaOnlus, accompagnata dalla figlia Alice,SAR Amedeo di Savoia Aosta, autoritàcittadine, imprenditori e professionisti delcomprensorio e molte delle signore di

Profilo Donna tra cui Maria Grazia eFrancesca Severi stiliste premiate migliorpartner Profilo Donna 2008. Sugli schermidurante la cena il Concerto di Petra e aevidenziare quanto l’evento in memoriadel Tenore sia stato bello e importantesono stati Deanna Ferretti Veroni, premioProfilo Donna 2008, Ilario Tamassia, notoarredatore, Maria Carafoli, responsabileAssessorato allo sport del Comune diModena.A fare da cornice alla serata le collezionidi gioielli Pinomanna e i portraits realizzati

dal creativo Ennio Sitta. Tanti e ricchi ipremi della lotteria di beneficenza messiin palio da generosi benefattori e unaparticolare sensibilità a favore dell’Aisml’ha dimostrata il Gruppo Zepter Interna-tional, noto per le prestigiose sponsoriz-zazioni internazionali e per la sensibilitàdimostrata su vari fronti nei confronti dellasolidarietà. Per il 2009 Profilo Donnaannuncia contenuti e novità: una crocieracon Costa Crociere e il ventennale delPremio Internazionale Profilo Donna (infosu profilodonna.com).

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1 - Ivonne Pivagni presiden-te AISM sezione di Modenariceve la busta con il ricava-to della serata da CristinaBicciocchi2 - La cordon bleu TamaraValenti, l’arredatore IlarioTamassia, la signora Silvanadall’Orto, l’architetto LauraVillani3 - Cesare, gestore Europa92 e amico di Luciano Pa-varotti4 - Lella Pavarotti, sorelladel Tenore5 - Cristina Bicciocchi, SARAmedeo di Savoia Aosta,Nicoletta Mantovani Pava-rotti, Alice Pavarotti

Profilo Donna a favore dell’AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla

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6 - CristinaBicciocchi, FrancescaSeveri, MariaGraziaSeveri, NicolettaMantovani7 - Nicoletta Mantovani Pavarotti e ospiti8 - da sinistra: SAR Amedeo d’Aosta, l’arch. Laura Villani, il dr. Luigi Garuti, il cav. Deanna FerrettiVeroni, il col. Alberto Giordano Comandante Provinciale della GDF, la stilista Francesca Severi9 - Veronica Vecchi, weddings and events designer10 - La stilista Anna Segura11 - Laura Panini nel portrait di Ennio Sitta12 - SAR Amedeo si Savoia e il Cav.Elvetio Lugli13 - Cristina Roncati, Anna Marchetti14 - Francesca Pecchini e Rossella Diaz, due ragazze dello staff di Profilo Donna

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Foto di Roberto Vacirca

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AUTO DEL MESE

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ualche anno fa, quando laJaguar decise di montare

un motore a gasolio su unadelle sue vetture, qualcunopensò bene di storcere il naso,ma poi tutti o quasi si convin-sero che era stata una sceltaazzeccata e che le prestazionie il confort di questa motoriz-zazione diesel ben si sposavacon la classe della vettura. Poila scelta vincente è proseguitaed è destinata a durare neltempo.Fin dal momento del suo lan-cio, avvenuto lo scorso anno,la Jaguar XF è stata riconosciu-ta come il frutto straordinariodel nuovo orientamento stili-stico della casa del giaguaro.E' subito risultato evidente chesi trattava di un'auto in cui ilpiacere di guida supera le

aspettative create dalla suabellissima linea. Oggi, la nuovaXF Diesel S eleva questo pia-cere di guida a nuovi livelli,spostando l'equilibrio piùavanti pur mantenendo queivalori fondamentali di raffina-tezza e lusso sportivo delleberline XF, insomma il giagua-ra ha affilato gli artigli prontoa graffiare il mercato ed a con-vincere gli ultimi scettici.Riconoscibile da un discretobadge "S", l'auto che definisceil lusso sportivo Jaguar è moltopiù che un nuovo modello,grazie ad un eccezionale, nuo-vo, leggero motore diesel adalte prestazioni. Equipaggiatacon un motore da 275 cavalli,la Diesel S offre prestazionieccezionali, accelerando da 0a 100 km/h in appena 6.4 se-

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Il Giaguaro ha potenziatogli artigli

diErcoleSpallanzani

condi,1.8 secondi più velocedel modello con il motore 2.7litri. L'accelerazione in marciaè egualmente impressionante,la velocità massima è limitataelettronicamente a 250 km/h.Grazie a due turbocompressorisequenziali paralleli che aiuta-no ad erogare elevati livelli dipotenza e di coppia molto flui-damente e con naturale flessi-bilità, questo motore si combi-na perfettamente con ilsofisticato cambio automaticoJaguar a sei marce ZF 6HP28.Si tratta del primo motore del-l’intero panorama automobili-stico con schema V6 ad adot-tare due turbo sequenzialiparalleli. Questa soluzione,sinora impiegata solo da motoriin linea, garantisce prestazioniall’altezza di un V8, con con-

La Jaguar XF in versione S monterà un motore diesel da 275 cavalli e prestazioni da gran turismo

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AUTO DEL MESE

sumi estremamente contenuti. La percorrenza media è invecedi 6,8 litri per 1200 kilometri,con emissioni di 179 g/km diCO2, il tutto con la complicitàdi impianto di alimentazionecommon-rail di ultima genera-zione con pressioni d’esercizionell’ordine dei 2.000 bar e coniniettori piezoelettrici a setteugelli che fanno fino a cinqueiniezioni di carburante per ogniciclo.E’ prevista anche una versionepiù soft, nell'ottica di rinnova-mento della generazione deldiesel Jaguar, una versione delnuovo motore 3.0 litri da 240cavalli, che eroga il 16 percento in più di potenza e il 15per cento in più di coppia ri-spetto al 2.7 diesel, consenten-do alla XF di raggiungere i 100km/h da fermo in 7.1 secondi.La velocità massima è di 240km/h. E come il motore da 275cavalli, queste grandi presta-zioni sono ottenute con unconsumo medio nel ciclo com-binato di 6.8 litri/100 km, conun miglioramento rispetto al

2.7 diesel di oltre il 10 percento.Vi sono anche significative mo-difiche negli allestimenti e ne-gli equipaggiamenti, alcuni deiquali completamente nuovi, el'introduzione di un nuovo mo-dello Portfolio quale parte dellagamma. Il listino prezzi delleversioni diesel Model Year2010 sarà reso noto in un se-condo momento.Naturalmente per vedere la

Jaguar XF e provarla basteràrecarsi alla concessionaria Ja-guar Parma di Ponte Taro. Pergli amanti delle auto di presti-gio e sportive sempre pressola stessa concessionaria c’è uncorner dedicato ad un altromarchio inglese che ricorda lagrande tradizione britannica,l’Aston Martin, e vedere i tremodelli unici. Vantage V8, DB9 e DBS.

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