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I L M A G A Z I N E P E R U N A V I T A D I Q U A L I T À E S I C U R E Z Z A SCIENZA David Bohm Newton, Goethe e la teoria dei colori INDUSTRIA Verso la terza rivoluzione industriale Sistemi di produzione a confronto: multinazionali vs artigianato ECONOMIA Il lato olistico dei moderni sistemi economici SOCIETÀ Siamo troppo social Il “villaggio globale” URBANISTICA Dal terreno al cielo, una visione olistica della città SOSTENIBILITÀ Buckminster Fuller AGRICOLTURA • Biodinamica MEDICINA Classica, alternativa o complementare? MUSICA Quando la musica dà i numeri LINGUAGGIO Parole nella rete del linguaggio • Polisemia DESIGN Il design che ti apre un mondo PUBBLICITÀ La forza delle idee non cambia mai Olistico vs specialistico Il tutto vale piudella somma delle singole parti? notizie

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I L M A G A Z I N E P E R U N A V I T A D I Q U A L I T À E S I C U R E Z Z A

SCIENZA• David Bohm• Newton, Goethe e la teoria dei colori

INDUSTRIA• Verso la terza rivoluzione industriale• Sistemi di produzione a confronto:

multinazionali vs artigianato

ECONOMIA• Il lato olistico dei moderni

sistemi economici

SOCIETÀ• Siamo troppo social• Il “villaggio globale”

URBANISTICA• Dal terreno al cielo, una visione

olistica della città

SOSTENIBILITÀ• Buckminster Fuller

AGRICOLTURA• Biodinamica

MEDICINA• Classica, alternativa o complementare?

MUSICA• Quando la musica dà i numeri

LINGUAGGIO• Parole nella rete del linguaggio • Polisemia

DESIGN • Il design che ti apre un mondo

PUBBLICITÀ• La forza delle idee non cambia mai

Olistico vs specialisticoIl tutto vale piu’ della somma delle singole parti?

notizie

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Direttore ResponsabileGiancarlo Zappa

Capo redattoreRoberta Gramatica

Progetto graficoFortarezza & Harvey

ImpaginazioneCorberi e Sapori Editori

Hanno collaboratoPiero BabudroClaudia BonsiFederico CerratoEliana De Giacomi PieriniUrsula DobrovicVelia IvaldiPier LodigianiAlice MartiniWalter MolinoPaolo Subioli

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Stampa: Mediaprint - Milano

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EDITORIALE

APPROCCIOOLISTICO o SPECIALISTICO?

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È questa la domanda a cui abbiamo voluto provare a dare una risposta attraverso gli articolicontenuti nel nuovo numero di IMQ Notizie. Ma rileggendo a posteriori il risultato, l’im-

pressione che se ne ricava è che non ci siamo riusciti. Per un semplice motivo: perché cisiamo accorti che oggi tale distinzione non è più possibile.

Dalle interviste condotte è infatti emerso come l’approccio olistico sia possibile so-lo grazie a un trascorso specialistico e, viceversa, quello specialistico non possa

prescindere da una visione olistica e che le due modalità siano così intercon-nesse l’una con l’altra che diventa impresa ardua scorporarle.

Ribaltare dunque il numero e ricominciare da capo? No di certo, perché losvilupparsi delle tematiche trattate, nato da un dualismo, ma realizzatosipoi con una complementare contraddittorietà, è diventato esso stesso di-mostrazione dell’ossimoro - e paradosso - al quale ci siamo trovati difronte, ovvero quello di un olismo specialistico o, se preferite, di una spe-cializzazione olistica.Prendiamo uno dei casi vicini alla nostra realtà, il mondo degli elettro-domestici. Oggi un frigorifero è un prodotto che potremmo definire“specializzato”, caratterizzato da una tecnologia sofisticata in grado diraffreddare, conservare, congelare; e per i nuovi modelli più evoluti an-che in grado di agire secondo usi e abitudini del suo utilizzatore, comu-

nicando i prodotti in scadenza, gli ingredienti più idonei per il suo regimealimentare. Nello stesso tempo però è un prodotto che può sfruttare al

massimo le sue capacità solo se inserito in un contesto generale di impianti-stica intelligente, aperta e predisposta per dialogare con altri prodotti spe-

cializzati, ma anch’essi significativi solo se inseriti in un contesto generale.Significativo, passando a tutt’altro ambito, anche il contesto dei social network:

realtà che hanno permesso una globalizzazione dei contatti ma che nello stessotempo hanno portato a una alienazione degli individui.

Per non parlare di un altro ossimoro, quello del “villaggio-globale” proposto da McLuhanin tempi ben lontani dalla generazione Web eppure così attuale per certe forme di “riflusso”

generazionale gradualmente espresse dai nativi digitali. Ossimori che abbiamo riscontrato nel mondo della gestione del personale, della musica, della comu-

nicazione, del linguaggio, dell’urbanistica, della medicina e anche del turismo. Ossimori che vi invitiamo a scoprire nelle pagine che seguono.

Buona letturaGiancarlo Zappa

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SOMMARIO

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SOMMARIOPRIMO PIANO: APPROCCIO OLISTICO O SPECIALISTICO?

4 IL TUTTO VALE DI PIÙ DELLASOMMA DELLE SINGOLE PARTI?Olismo e specializzazione a confronto.

8 OLISMO E SCIENZADavid Bohm, il padre dell’olismoscientifico.

10 NEWTON, GOETHE E LA TEORIADEI COLORI

12 OLISMO E INDUSTRIA:È IN ARRIVO LA TERZARIVOLUZIONE INDUSTRIALEGrazie a strumenti come la stampante 3D,i processi produttivi, così come quellieconomici e sociali, stanno per conoscereun futuristico ritorno al passato.

16 SISTEMI DI PRODUZIONE ACONFRONTO: I GIGANTI DELLEMULTINAZIONALI VERSUS LEBOTTEGHE DEGLI ARTIGIANI

Intervista a Francesco Ciampini, operationmanager di Artemide S.p.A. e a Piero Dri,artigiano de “Il forcolaio matto”

22 IL LATO OLISTICO DEI MODERNISISTEMI ECONOMICICapire come gli interessi economici deisingoli stati possano convivere in unasocietà sempre più interdipendente è lasfida moderna di un approccio olisticoalla finanza.Intervista a Ernesto Screpanti, professoredi Economia della Globalizzazione e diStoria dell’Economia Politica - Universitàdegli Studi di Siena

26 SIAMO TROPPO SOCIALRischi e pericoli provocati dall’abusodelle tecnologie, dal multitaskinge dalla sovraesposizione nei social media.

30 MARSHALL MCLUAHNE IL VILLAGGIO GLOBALE

32 DAL TERRENO AL CIELO: UNAVISIONE OLISTICA DELLA CITTÀLa città periodicamente si rivolta contro il suo creatore, trasformandosiin un mostro. Ma ora serve un nuovo salto di qualità,con l’innesto urgente di almeno 3 sistemicapillari. Intervista a Stefano Panunzi, architetto eProf. Associato Università del Molise

36 BUCKMINSTER FULLERDal padre della cupola geodetica, unavisione sistemica e la teorizzazione del“fare di più con meno”.

38 LA FATTORIA CHE SEGUE LE ORMEDI MADRE NATURAUn modo per tornare a coltivare la terrain armonia con le meraviglie del creatoesiste e risponde al nome di agricolturabiodinamica. Intervista a Marco Serventi, Associazioneper l’Agricoltura Biodinamica

44 MEDICINA: CLASSICA, ALTERNATIVAO COMPLEMENTARE?

QUANDO LA MUSICA DÀI NUMERILa musica crea dei pontiimprevisti e inaspettati condiverse discipline tra cui lafisica e la matematica. Questo connubio di note enumeri dà così vita a uninimmaginabile approccioolistico alla realtà.Intervista a Corrado Greco,pianista di fama internazionalee professore al Conservatoriodi Milano

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IMQ NOTIZIE n. 100

QUALITÀ DELLA VITA

STORIE DI QUALITÀ

52 LA POLISEMIA: QUANDO GIOCARECON LE PAROLE DIVENTA UN’ARTE

55 “EHI RAGA, TUTTO REGO?”Intervista a Mirko Volpi, filologo e storicodella lingua italiana

56 IL DESIGN CHE TI APRE UN MONDOIl vero design si svincola sempre più dallecorrenti artistiche per assumere lesembianze di oggetti d’uso quotidiano edentrare così nelle case della gente.Intervista ad Alberto Bassi, storico deldesign e docente allo IUAV di Venezia

60 LA FORZA DELLE IDEE NON CAMBIAMAIDa Carosello a oggi, scopriamo come ècambiata la pubblicità nel nostro Paese.Intervista a Silvio Dolci e Marco Benadì,Presidente e Amministratore Generale diDolci Advertising

68 STILE DI VITA

GIOCARE CON LA SCIENZAToccare, esplorare, riprodurre fenomeninaturali, ritrovare l’incanto davanti allabellezza della natura, sperimentaredivertendosi per vivere il piacere dellaricerca e ripercorrere l'avventura dellascienza. È questa l’offerta de“L’immaginario scientifico”.Intervista a Fabio Carniello, Direttore de“L’Immaginario Scientifico”

72 VIAGGI

C’È “TU”RISMO E “TOUR”ISMOIl viaggio nell’era del Web 2.0 è semprepiù fai-da-te e si racconta sui socialnetwork.

74 HOBBY

FOTOGRAFIA: UN OBIETTIVOOLISTICOScopriamo come, nell’era di Instagram,non abbia senso parlare di “fotografia” ingenerale e come le nuove tecnologieabbiano cambiato radicalmente il ruolo delfotografo.Intervista a Roberto Tomesani,Coordinatore Generale dell’AssociazioneNazionale Fotografi Professionisti TAUVisual

IL PROGETTO CHE “FA LUCE”SULLA NATURA: COELUXAvreste mai pensato di poter averecielo e sole sempre a portata di mano?è quello che ha fatto un gruppo discienziati, il cui intento era ricostruireil fenomeno della luce naturaleper favorire il benessere dell’individuonegli spazi bui.Intervista al Prof. Paolo Di Trapani,fondatore e CEO di CoeLux

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linguaggio

50PAROLE NELLA RETE DEL

Una parola non è solo unaparola ma la finestra che dà suun giardino ben più ampio,ricco di molteplici significati econtenuti.Intervista a Cesare Cozzo,docente di Filosofia - UniversitàLa Sapienza di Roma

78 SALUTE

LA DIETA PERFETTA?È scritta nel tuo DNA.Intervista a Paolo Gasparini, Professore diGenetica Medica dell’Università di Triestee Primario dell’omonimo serviziodell’Ospedale infantile IRCCS BurloGarofolo

84 SPORT

SGUARDO SUL KUNG FU:TRA MEDICINA, ARTI MARZIALI,BENESSEREIntervista al Maestro Mario Mandrà

RUBRICHE88 Panorama News

90 Brevi IMQ

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IL TUTTO VALE DI PIÙ DELLA SOMMADELLE SINGOLE PARTI?

PRIMO PIANO: BREVE EXCURSUS TRA APPROCCIO OLISTICO E SPECIALISTICO

IN GRECIA, LA CULLA DELLANOSTRA CIVILTÀ,L’INDIVIDUO TROVAVALA PROPRIA IDENTITÀSOLO COME PARTEDELLA SOCIETÀNEL SUO INSIEME: AL DI FUORI DELLACOMUNITÀ, DELLAPOLIS, LA PROPRIAESISTENZA NON AVEVAALCUN SIGNIFICATO. POI, PERÒ, DALLA STORIA ABBIAMO RICEVUTO IN EREDITÀUNA RADICATA TENDENZA ALLADIVISIONE, ALLA PARCELLIZZAZIONEANCHE METODOLOGICA IN OGNICAMPO DELLA CONOSCENZA EDELL’AGIRE, CHE CI HA ALLONTANATI SEMPRE DI PIÙ DA UNA VISIONED’INSIEME. COSA È SUCCESSO? BREVE EXCURSUS TRA OLISMO E SPECIA-LIZZAZIONE NELLE DIVERSE DISCIPLINE.

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Per i melanesiani, ma anche per altri abitanti indigeni del-l’Oceania, un singolo individuo, se isolato, è del tutto inde-terminato, senza forma né caratteristiche distintive, finché

non trova la sua posizione specifica all’interno del mondo naturalee sociale nel quale è inserito. La persona in quanto tale dunque non

esiste, perché trova una sua giustificazione solo quale parte di un insie-me organico, che unisce senza distinzione cultura e natura. È una visione

agli antipodi, non solo geografici, rispetto a quella individualistica che con-tinua ad avere tanto seguito tra noi occidentali moderni.

La separazione, la divisione in parti, è un tratto profondamente radicato del no-stro pensiero: separazione tra interessi individuali e collettivi, tra cittadino e Sta-

to, tra famiglia e società, tra genereumano e altre specie, tra ambien-te artificiale e naturale, tra disci-

pline di studio, e così via. Un’attitu-dine a separare che abbiamo sempre

perseguito e al tempo stesso stigmatizzato, co-me testimonia l’etimologia della parola “diavolo”, dal

greco Διάβολος, diábolos, che significa "colui che divide".Persino nell’antica Grecia - la civiltà dalla quale ha origine il no-

stro sistema di pensiero - l’individuo trovava la propria identità solocome parte della società nel suo insieme: al di fuori della comunità, della

polis, la propria esistenza non aveva alcun significato. Né tanto meno si può tro-vare alcun elemento di separatezza o divisione nelle diverse filosofie orientali. Si-

gnificativa in questo senso è la metafora della rete di Indra, specifica del pensiero bud-dhista, per la quale l'universo è come un’enorme rete che si estende all'infinito in ogni direzione. Al pun-to di intersezione di ogni rete c'è come una gemma che ne riflette ogni altra, all'infinito. Dunque non cisarebbe niente nell’universo che non contenga anche tutto il resto. Una visione molto diversa, eppure

altrettanto “olistica”, è quella tramandataci dalla tradizione giudaica della cabala, per la quale il mon-do non è altro che un’emanazione parziale e riduttiva dell’esistenza onnipotente e senza fine che esi-ste a prescindere, al di là del tempo e dello spazio.

Nonostante queste premesse, ab-biamo ricevuto in eredità dalla Sto-ria una radicata tendenza alla divi-sione, alla parcellizzazione anchemetodologica in ogni campo dellaconoscenza e dell’agire, che ci haportato ad allontanare sempre dipiù una visione d’insieme. La secola-rizzazione della società ha accen-tuato ancora di più questa perdita,che fino a qualche decennio fa eraalmeno parzialmente compensatadalle religioni, portatrici di un pun-to di vista assoluto, unificante.Le grandi religioni monoteiste - giu-daismo, cristianesimo e islamismo -avevano avuto fortuna quali equiva-lenti spirituali delle società monar-chiche, nelle quali la figura del Re hasempre svolto un ruolo unificante.Con il diffondersi delle democrazie

tutti i sistemi totalizzanti sono en-trati gradualmente in crisi, ma conessi si è cominciata anche a perderela capacità di vedere le cose in unaprospettiva in qualche modo unita-ria. Il successo del metodo scientifi-co - attribuito a Galileo Galilei - se-parando il mestiere di scienziato daquello di filosofo, ha fatto il resto.Siamo riusciti a raggiungere livelli diconoscenza sempre più raffinati, conricadute preziose per il nostro be-nessere, ma al prezzo di una parcel-lizzazione sempre più spinta del sa-pere. Il disastro ambientale dei cam-biamenti climatici è paradigmaticoin questo senso: ognuno insegue unprogetto che contribuisce a rendercisempre più ricchi e a farci stare me-glio, mentre nessuno si occupa deldeclino del quadro generale.

LA PERDITA DI UNA VISIONE UNITARIA

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IMQ NOTIZIE n. 100

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L’olismo in scienza enfatizza soprat-tutto lo studio dei sistemi complessi,proponendo di studiare i fenomeniquali parti a cui arrivare da un’osserva-zione allargata. Ad esempio, conside-rare prima l’ecosistema nel quale un or-ganismo è inserito per poi passare astudiare il singolo organismo. Ma c’èanche l’idea che lo scienziato non è unosservatore passivo e indipendente diun universo esterno, del quale non faparte e dal quale è in grado di trarre ve-rità oggettive. L’osservatore si inseriscein un rapporto di reciprocità rispetto al-la natura che osserva e che egli stesso

PRIMO PIANO: BREVE EXCURSUS TRA APPROCCIO OLISTICO E SPECIALISTICO

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La consape-volezza dei li-miti di un ap-proccio trop-po parziale

alla conoscen-za ha fatto emer-

gere il cosiddetto ap-proccio olistico allascienza, che si è

espresso con varie e mol-to eterogenee accezioni, tutte accomu-nate comunque da una contrapposizio-ne nei confronti del riduzionismo. Que-st’ultimo è un criterio metodologico peril quale la conoscenza del tutto si ottienedalla somma di diverse conoscenze par-ziali, ma molto analitiche e puntuali. Es-so trova la sua giustificazione nella ca-sualità di gran parte dei fenomeni, cherende arduo ricondurre a un sistema

coerente le interrelazioni tradi essi. Ma si rivela moltospesso inefficace. In medi-cina, ad esempio, la spe-cializzazione è efficace so-lo a seguito di una dia-gnosi corretta ed esau-riente. Ma quest’ultima èmolto difficile da ottenereda un punto di vista mera-mente specialistico. Da ciòderiva la fortuna delle me-dicine alternative, che han-no consentito l’affermazio-ne di un approccio olisticonel rapporto medico-pazien-te, anche se poi, dal punto divista della terapia, non sempreriescono a garantire l’efficaciadi cure basate su protocolliscientifici propriamente detti.

influenza, come ci ha rivelato, ormai unsecolo fa, la fisica quantistica. Un altroelemento tipico dell’olismo è la multi-disciplinarietà o, in un’accezione unpo’ più accademica, interdisciplinarie-tà: la collaborazione tra scienziati di di-scipline diverse che osservando unostesso fenomeno, ciascuno dal propriopunto di vista, riescono a fornire unquadro d’insieme molto più esaurienteche non dalla somma dei singoli lavorisvolti separatamente. Un ulteriore pilastro del pensiero olisti-co è costituito dal feedback, definitocome la capacità di un sistema dinami-

INTERDISCIPLINARIETÀ E FEEDBACKco di tenere conto dei risultati del siste-ma stesso per modificare le proprie ca-ratteristiche. Un esempio può esserecostituito dalla fusione dei ghiacci aipoli. I ghiacci fondono a causa dell’au-mento della temperatura, ma la dimi-nuzione della loro superficie bianca fasì che si indebolisca anche la capacità diriflettere i raggi solari, provocando co-sì un ulteriore aumento della tempera-tura. Il feedback è sfruttato anche nel-l’industria bellica: un sistema che sparapuò essere reso molto più efficiente seogni colpo viene tarato tenendo contodei risultati del colpo precedente.

LARISPOSTAOLISTICA

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IMQ NOTIZIE n. 100

QUANDO ARISTOTELE SALÌ IN CATTEDRAA SPIEGARE L’APPROCCIO OLISTICONELLA FILOSOFIA

Avere una visione olistica della realtà significaavere una forma mentis che vede il funzionamentodell’insieme nella somma delle sue parti. L’approccioolistico, infatti, riconosce che ogni singolo elementoricopre un ruolo di fondamentale importanza all’internodi un determinato insieme e che ne riflette, a sua volta,tutte le caratteristiche. Da qui nasce l’obiettivo dell’oli-smo d’indagare le interazioni e le interconnessioni che sistabiliscono fra le parti e che sono in grado di unirepiuttosto che dividere, avvicinare anziché allontanare.

Questo modo di vedere il mondo - se declinato nell’ambito filosofico - trova unsuo precursore nella figura di Aristotele. Il più noto “filosofo dell’immanenza",infatti, nel lontano IV secolo a.C. elaborò una visione olistica dell’uomo che nonconcepiva anima e corpo come parti scindibili dell’essere umano, bensì come untutt’uno che richiamava al singolo individuo. L’acuta mente del filosofo grecopartorì così il pensiero che "il tutto è più della somma delle parti”, contenutonell’opera Metafisica. Aristotele iniziò dunque a guardare all’uomo nella suatotalità, andando oltre l’involucro esterno che lo rivestiva ed esplorando lemiriadi di sfumature e caratteristiche che pur esistevano da tempo immemore.Giunse alla conclusione che l’uomo non fosse solo il corpo che lo sostiene, ma an-che la mente che lo guida, i pensieri che lo animano, i sentimenti che lo fanno sen-tire vivo, l’immaginario che lo fa volare e il movimento che lo spinge a viaggiare.L’uomo è una macchina perfettamente collaudata la cui buona o cattiva presta-zione non dipende esclusivamente dalla qualità dei suoi elementi, ma soprattuttodalla loro capacità di comunicare gli uni agli altri, d’integrarsi e di amalgamarsi alpunto da sacrificare la propria peculiarità a favore dell’armoniosa unicità delsingolo individuo. Se s’impara a vedere la realtà e l’uomo in una dimensione più globale,niente rimarrà escluso: né il tutto, né le parti che concorrono al suo porsiin essere. Tutto sarà infinitamente connesso e interconnesso con tutto.

Tra i più affascinanti filoni di ricerca incampo olistico c’è la teoria del caos,quella per la quale il minimo battito d'alidi una farfalla è in grado di provocare unuragano dall'altra parte del mondo. Lateoria del caos ci insegna come un siste-ma complesso sia governato al tempostesso da forze deterministiche, e quin-di prevedibili, e da forze aleatorie e per-ciò non prevedibili. Il fumo di una siga-retta, ad esempio, è ogni volta diverso ecaotico, se lo si osserva nel dettaglio. Maa livello macroscopico consentirà di rile-vare delle tendenze fisse e determinate.Così funzionano molte cose, nel nostro

universo, soprattutto per il fatto che -essendo molti fenomeni provocati dauna lunghissima catena di altri fenome-ni precedenti - una variazione delle con-dizioni iniziali, per quanto minima, puòprovocare come esito finale risultati deltutto diversi, come nella metafora dellafarfalla. Per il matematico Alan Turing,considerato uno dei padri dell’informa-tica, “lo spostamento di un singolo elet-trone per un miliardesimo di centime-tro, a un momento dato, potrebbe si-gnificare la differenza tra due avveni-menti molto diversi, come l'uccisione diun uomo un anno dopo, a causa di una

valanga, o la sua salvezza”. Per quantosuggestivo possa essere, questo ap-proccio non manca di suscitare critiche.Ad esempio da parte di coloro che af-fermano che metodi sistemici comequesti possono rivelarsi utili solo a livel-lo di osservazione. Perché poi, quandosi tratta di operare sul concreto per in-tervenire sui fenomeni, un po’ di deter-minismo non guasta. Specie se si vo-gliono ottenere risultati affidabili e con-divisibili a livello di comunità scientifica.Il dibattito, anche tra gli scienziati, èmolto più aperto di quanto non si ten-da comunemente a pensare. z

IL FASCINO DELLA TEORIA

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PRIMO PIANO: OLISMO E SCIENZA

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ANDARE OLTRE I CONFINI TANGIBILI DELLA FISICA PER CERCARE UNA RISPOSTA

AL MISTERIOSO QUESITO DELL’UNIVERSO

DAVID BOHM,IL PADRE DELL’OLISMO SCIENTIFICO

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Ci si è spesso in-terrogati sul si-gnificato della

parola “olismo”, untermine che di per sépare evocare antiche pra-tiche orientali e lontani sa-pori esotici. In realtà, uno deiprincipali contributi alla creazione e al-la formulazione di una concezione oli-stica dell’universo giunge da DavidBohm, importante fisico e filosofoamericano che, rivoluzionando i cano-ni classici della scienza, ha investigatol’affascinante teoria secondo la qualetutte le parti dell’universo sonofondamentalmente interconnessee formano un flusso continuo eininterrotto.In particolare, David Bohm dedicò mol-ti anni della sua vita alla ricerca dell’oli-smo in natura, da cui trasse ispirazioneper la formulazione delle più moderneteorie circa le proprietà fondamentalidella materia. Insoddisfatto dei para-dossi suggeriti dalla fisica quantistica,che si basavano su una concezione ma-terialistica dell’universo per la qualel’unica realtà che può davvero esistereè la materia e tutto ciò che da essa de-riva, Bohm cercò di darvi una rispostaabbracciando un approccio olistico.Tenendo conto dei principi cardine evi-denziati dalla fisica quantistica,Bohm partì quindi dal pre-supposto che «le particel-le elementari sono siste-mi con una strutturainterna estremamen-

te complessa, chefungono da am-plificatori delle“informazioni”

contenute inun’onda quantistica»

(Universo, mente e ma-teria, 1996). Ciò significa

che Bohm non si limitava a considerarel’atomo come un insieme di parti indi-pendenti, ma, al contrario, ne sostene-va una continua interconnessione.Dal tentativo di spiegare lo strano com-portamento delle particelle subatomi-che laddove non erano riusciti gli stu-diosi di fisica quantistica, Bohn plasmòla teoria dell’ordine implicito, ossia che«due particelle che hanno interagitoanche una sola volta possono istanta-neamente rispondere al movimento re-ciproco centinaia di anni dopo quandosono distanti anni luce» (Universo,mente e materia, 1996). Le particellereagirebbero, secondo lo studiosoamericano, in funzione di una regolanascosta - detta holomovement - doveogni cosa è connessa in modo che ognielemento individuale possa rivelare in-formazioni su qualsiasi altro elementodell’universo. La teoria così formulataed esposta da David Bohm gettò le ba-si di quell’olismo scientifico che, nelmodo di vedere l’universo del filoso-

fo americano, non

contempla solo un ordine esplicito,confutato e comprovato dalla scienza,ma anche e soprattutto un ordine im-plicito che ancora ci sfugge.Nel tempo, questo pensiero nontrovò applicazione solo nel campodella fisica quantistica, ma anchenella formulazione dello sviluppodella coscienza umana. Fu soprattut-to dopo l’incontro con Jiddu Krishna-murti, filosofo indiano che sostenevache la coscienza di ogni individuo altronon fosse che la manifestazione dellacoscienza dell’intero genere umano,ricca della sua storia e della sua intera-zione con la natura, che Bohm giunsea teorizzare un parallelismo tra la co-scienza umana e l’ordine implicito.Proprio come le particelle subatomi-che, infatti, anche la coscienza umanaagirebbe come un’intrinseca caratteri-stica dell’universo, che sarebbe in-completo se l’uomo non esistesse enon partecipasse a questo insieme do-ve coscienza e materia s’influenzanovicendevolmente.Nella visione olistica di Bohm questazona di contatto tra mente e materiapotrebbe rappresentare «il tessutoconnettivo che unisce il regno, appa-rentemente astratto, della mente, e ilmondo fisico, “manifesto” in un unico

continuum» (Universo, mente emateria, 1996). z

IMQ NOTIZIE n. 100

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L’olismoscientifico, nel mododi vedere l’universo

di David Bohm, non contempla solo un ordine

esplicito, confutato e comprovatodalla scienza, ma anche e soprattutto un ordine

implicito che ancora ci sfugge.

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In un tempo non troppo lontano igrandi uomini godevano del doppiotalento: illustri poeti erano anche

brillanti scienziati, e i più noti scienzia-ti scrivevano i loro trattati in una linguae forma tali da rendere la lettura gra-devole a molti: proprio come un bel ro-manzo. Ce ne accorgiamo oggi, ve-dendo quanto tuttora vende L'originedella specie di Darwin, anche tra chinon si occupa di biologia e leggi natu-rali. Il trait d'union è il pensiero filosofi-co, per il quale uomo e natura (leggasiscienza) sono il medesimo oggetto diindagine. Poi vennero la tecnologia e illinguaggio informatico, e gli scienziatisi chiusero nei laboratori e parlaronosolo con le formule. E i poeti? Quei po-chi rimasti, si industriarono a fare altroper sopravvivere. Dopo questa premessa forse stupiràmeno sentire che Johan Wolfgangvon Goethe, noto come uno dei mas-

simi poeti tedeschi di tutti i tempi, di séamasse dire che aveva dedicato più cu-ra e impegno agli scritti scientifici chenon alle creazioni letterarie. Perché sì,l'autore del Faust e di alcuni romanzi trai più significativi di quell'epoca a caval-lo tra Illuminismo e Romanticismo fuanche un prolifico indagatore della na-tura: a lui si deve una complessa teoriaottica, nata in risposta a quella formu-lata da Newton oltre cent'anni prima.Ma andiamo con ordine.

DOPO LA MELA, IL PRISMA La storia vuole che sia stata la caduta ac-cidentale di un pomo maturo sulla suatesta a dare origine alla teoria gravitazio-nale, e l'immagine di per sé è molto sug-gestiva. Pochi sanno che in quello stessoanno 1666, Isaac Newton, uno dei piùgrandi uomini di scienza di tutti i tempi,conduceva alcuni esperimenti ottici che

gli consentirono di dimostrare che nonsono gli oggetti terreni (come fino allorasi credeva) a modificare il colore della lu-ce. Fece così: schermando una finestracon una tavola forata, fece filtrare unostretto raggio di luce in una stanza buia,e gli fece attraversare un prisma, proiet-tando la luce che ne fuoriusciva su unoschermo bianco. Ne ottenne i colori del-l'arcobaleno in una nitida sequenza, dalrosso al violetto, lungo una striscia sfu-mata che chiamò spettro della luce.Quindi lo scienziato isolò uno dei raggicolorati e gli fece attraversare un altroprisma: il raggio filtrato mantenne lostesso colore. Per ultimo, Newton fecepassare il raggio di luce scomposto at-traverso una lente, e mise a fuoco su unoschermo: ottenne ancora una volta la ra-diazione luminosa bianca. Era così dimo-strato che il processo di dispersione del-la luce è reversibile, e che i colori, lungidal modificarla, la compongono.

NEWTON, GOETHE E LA TEORIA DEI COLORI

PRIMO PIANO: OLISMO E SCIENZA

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losofo greco Plotino : «Un occhio nonavrebbe mai visto il sole se non fosse si-mile al sole; ugualmente, l’anima nonpotrebbe vedere il bello, senza divenireessa stessa bella».

UNA TEORIA ARMONICATutto, per Goethe, tende all'Uno e allacompletezza: la tendenza disgregativadi Newton non basta a spiegare l'emo-zione che si prova per un colore, e chevaria da situazione a situazione e da oc-chio a occhio. Studiando soprattutto gliaccostamenti di colori e ombre, il tede-sco comprese quello che molto più tar-di sarebbe stato studiato dalle tenden-ze cromoterapiche: chi guarda ha unruolo attivo nella visione, e la percezio-ne del colore è alla base del suo effetto.In un cerchio che racchiude l'interagamma di colori percepibili da un oc-chio sano, gli opposti (giallo-violetto,arancio-blu...) sono per Goethe armo-

nia: la rètina “richiama” il colore chenon vede, per ricostituire il tutto a cuiambisce, ed è capace di far sorgere i co-lori per polarità, ricreando spontanea-mente il complementare. Come dire:l'uomo tende a una totalità a sé ester-na, di cui pure lui è parte integrante.Una disciplina olistica, insomma, che hadel divino.In uno dei capitoli del vasto trattato si il-lustra l'effetto morale dei colori, consuggestioni talvolta sorprendenti: se èprevedibile che il rosso si associ al-l'energia, l'azzurro è visto come unacontraddizione tra eccitazione e sereni-tà, mentre il verde è quanto di meglio sipossa trovare per pacificare mente ecuore. Goethe si premura a suggerire aisuoi lettori che scelgano bene i coloridegli abiti, o della tappezzeria del salot-to. Pensateci, la prossima volta che ar-redate casa: potreste ricavarne un granbeneficio. z

LA RISPOSTA DI GOETHEPoteva un animo profondamente ro-mantico come quello di Goethe - il qua-le peraltro si dilettava di pittura - rima-nere indifferente dinanzi a una dimo-strazione così fredda, dove l'occhio chevede non ha cittadinanza? No che nonpoteva. Per questo il tedesco si impe-gnò in una serie di esperimenti mirati asbugiardare la scoperta newtoniana, edavvero sembrò esserci riuscito: il suoprisma non lasciava filtrare colori, masolo luce bianca. Peccato che avessesbagliato a ripetere l'esperimento! Da lìsi determinarono una serie di conclu-sioni erronee, eppure qualcosa di nuo-vo Goethe lo provò davvero: il colorenon è fenomeno di percezione solopassivo, ma è anche il prodotto di chi lorecepisce. Se Newton riduceva tutto aun fenomeno fisico, Goethe si impegnòa mostrare quanto già sostenuto dal fi-

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ISAAC NEWTON J.W. VON GOETHE

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ABC

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PRIMO PIANO: OLISMO E INDUSTRIA

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È IN ARRIVO LA TERZA RIVOLUZIONEINDUSTRIALE

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GRAZIE A STRUMENTI COME LA STAMPANTE 3D, I PROCESSI PRODUTTIVI, COSÌ COME QUELLIECONOMICI E SOCIALI, STANNO PER CONOSCERE UNA SORTA DI FUTURISTICO RITORNO AL PASSATO: CON L’UOMO AL CENTRO DEL PROCESSO PRODUTTIVO,L’ARTIGIANO (OGGI MAKER) QUALE MOTORE DELLA PRODUZIONE E L’ECONOMIA MONDIALEDIRETTA VERSO UN RIEQUILIBRIO GEOGRAFICO E UN RITORNO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A UNADIMENSIONE LOCALE E NON PIÙ GLOBALE.

Si narra che John Maynard Key-nes fosse solito dire: “È più facilespedire ricette che torte e biscot-

ti”, probabilmente sottolineando cheè più utile insegnare a fare le cosepiuttosto che spedirle. Un grande de-signer italiano e di fama mondiale,Enzo Mari, nei primi anni 70 del seco-lo scorso propose “Autoprogettazio-ne”, una linea di oggetti di arredo peri quali lui forniva le istruzioni e conce-piti per essere facilmente assemblabi-li. Il messaggio che stava alla radice di“Autoprogettazione” era un invito arecuperare certe capacità di costruirsile cose, ricordando, per esempio, co-me i pionieri dell’epopea americanadell’800 sapessero tutti fabbricarsiuna casa. Oggi, Fablab Torino, ad esempio, pro-pone una versione avanzata dell’ideadi Mari, inserendosi in una comunitàmondiale che sta assumendo propor-zioni ragguardevoli e che utilizza letecnologie più moderne per introdur-

re customizzazioni sempre più avan-zate nella produzione di oggetti perl’arredamento e nella realizzazione,in genere, di manufatti per edifici. Sitratta di soluzioni che non chiamanoin causa l’utente finale, ma una po-polazione di nuovi artigiani, capaci dimixare un’elettronica di base con ma-teriali tradizionali come il legno, op-pure più avanzati e maneggiabili constampanti 3D e altri strumenti di lavo-razione che oggi, comunque, sonosempre gestiti da software.

LA STAMPANTE 3DUn ruolo centrale in questo cambia-mento dei processi produttivi, lo stasenza dubbio ricoprendo la stampan-te 3D. Un prodotto sempre più diffu-so anche in Italia (vedi box a pag. 14),che opera con una logica esattamen-te contraria rispetto a quella dellaproduzione manifatturiera nella qua-

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le si parte da un certo materiale, grezzo,dal quale bisogna tirar fuori un ogget-to – un vaso, un aereo – che deve pre-sentarsi con una certa solidità funzio-nale, il cui raggiungimento, nella filieraproduttiva, si porta appresso quasisempre, un inevitabile spreco di mate-riale. Le stampanti 3D, invece, utilizza-no un processo produttivo in cui la ma-teria prima è sotto forma di “pasta” odi “polvere metallica”, e il pezzo ècomposto per deposizione di stratisuccessivi, dello spessore di un milli-metro o due. Questo consente unaprecisione costruttiva di qualche ordi-ne di grandezza superiore a quella deisistemi tradizionali, con una riduzioneimpressionante nello spreco di mate-riali. C’è una correlazione diretta, in-fatti, fra precisione costruttiva ed effi-cienza funzionale del manufatto. Nonsolo: se cresce l’efficienza, diminuiscela necessità di avere materia nel pez-zo. Diciamola meglio: se il manu-fatto deve, per esempio, resiste-re a determinate sollecitazioniambientali, ovvero soppor-tare pesi, oppure forze che

agiscono su di esso, l’accuratezza nel-la sua costruzione è direttamente pro-porzionale all’obiettivo; e se la preci-sione costruttiva richiede meno mate-riale, questo vuol dire che sale l’effi-cienza e cala lo spreco. Un altro effetto positivo nell’uso distampanti 3D risiede nella facilità conla quale il singolo pezzo è prodotto.Abbiamo davvero a che fare con unastampante, quel marchingegno chepuò produrre una singola copia. Sepensiamo allora alla gestione dei pez-zi di ricambio nei settori più disparatidella produzione industriale, ecco chela necessità di magazzini che ne con-tengano stabilmente un numero con-sistente, viene a cadere, perché laproduzione ad hoc è assolutamentegestibile.

Le stampanti 3D permettonoinsomma di produrre senza

più sprechi, di produrre oggettiunici e specifici per ogni consuma-

tore. Non si ha più bisogno della fab-brica, del magazzino, di un certo tipodi capitale iniziale: chiunque può di-ventare un produttore. E si annullanoanche i costi di spedizione: invece diandare a comprare un oggetto, per poiritirarlo oppure farcelo mandare, sicompra infatti il codice numerico per lastampa 3D, si va al centro di stampapiù vicino e ce lo si fa stampare. Nonimporta quale sia il luogo geografico diorigine dell’oggetto, vicino o lontano.Si può stampare di tutto. Dalle ossa al-le protesi acustiche o dentarie, a mem-brane pericardiche, pale per turbina,tessuti, qualunque cosa e su misura.

L’industriadella stampa

3DIl “Wohlers Report 2014” calcola che l’industria della stampa 3D,includendo macchinari, servizi, materiali, laser e aggiornamentisoftware valga oggi 3,05 miliardi di dollari, dopo una crescita del35%, il tasso più elevato degli ultimi 17 anni. Di questi circa un mi-liardo è stato generato dai due leader di mercato, Stratasys e 3DSystems.

In Italia l’utilizzo delle tecnologie di stampa 3D è già molto radi-cato. Alla fine del 2013 c’erano 66.702 stampanti 3D industriali, cioèmacchine da più di 5.000 dollari, nel mondo e il 3,5% di queste,cioè 2.334, erano in Italia.

(fonte “Il Corriere della sera”)

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LA PERSONA RITORNA AL CENTRODELLA PRODUZIONECambiamenti dunque del processoproduttivo e distributivo. Ma cambia-menti anche di tipo sociale. Le stam-panti 3D stanno infatti dando vita auna nuova forma di artigianato, attivi-tà che si basa sulla produzione di pochipezzi - anche uno solo, a volte - che na-scono da una creatività individuale. Quile cose cambiano perché non ci sonopiù scalpelli, pialle o piccoli forni per ar-roventare il ferro, oppure quelle mac-chine a pedali che fanno ruotare i pez-zi di creta da modellare. Tuttavia c’è unrapporto forte e diretto di una personacon della materia alla quale dare unaforma, e la stampante è una macchinache sarà sempre più duttile. Al postodel fabbro che sapeva forgiare una spa-

da su misura del suo utilizzatore, stan-no arrivando i maker, qualcuno chegrazie a un progetto e a una stampan-te 3D può “forgiare” su misura. Ma peril resto, al centro del processo produtti-vo vi è di nuovo la persona.

L’IMPATTOSULL’ECONOMIA POLITICASembra dunque che si sia di fronte a uncambiamento dei processi produttivi esociali che avrà anche un forte impattoa livello di economia politica. Stati co-me la Cina sono e stanno crescendo

molto, perché sono la fabbrica delmondo e producono la maggior partedei prodotti sul mercato. Ma molti ana-listi prevedono che, nel medio periodo,i costi di produzione tra Oriente ed Oc-cidente saranno equiparabili a causadelle nuove tecnologie produttive(stampanti 3D, ma anche robot) e del-le modifiche/evoluzioni sociali che ine-vitabilmente ci saranno in Oriente. Lenuove tecnologiche riporteranno le at-tività produttive/manifatturiere ad unadimensione locale e non più globale, inquanto i costi di spedizione e distribu-zione incideranno più di quelli di pro-duzione. z

Le stampanti 3D stannodando vita a una nuovaforma di artigianato,attività che si basa sullaproduzione di pochi pezzi - anche uno solo - che nascono da unacreatività individuale.

PER SAPERNE DI PIÙSU STAMPANTI 3D E ALTRE TEMATICHEDEL FUTUROPROSSIMO, CHIEDICICOPIA DEL LIBRO“PAROLE PER ILFUTURO” DI FEDERICOPEDROCCHI, EDIZIONIAMBIENTE PER IMQ.

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I GIGANTIDELLE

MULTINAZIONALI versus

LE BOTTEGHEDEGLI

ARTIGIANI16

SISTEMI DI PRODUZIONE

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Cercare di capire che cosa sia oggi iltessuto economico e produttivo diun mercato sempre più globale è co-me immaginare di essere sul puntod’intraprendere un viaggio e doverdecidere quale strada percorrere. Sono due le scelte: da un lato po-tremmo scegliere le moderne e sofi-sticate arterie di grande scorrimentoche, nell’aggrovigliata matassa delmercato, sono rappresentate dallegrandi multinazionali; dall’altro, in-vece, potremmo optare per un viag-gio su strade secondarie, fatte diviuzze che si snodano tra scorci sug-gestivi e semafori cittadini che, me-taforicamente parlando, rispecchia-no la minuziosa lavorazione dei ma-nufatti artigianali.Sebbene la grande azienda e la bot-tega artigiana all’apparenza sembri-no due mondi agli antipodi, in real-tà ciò che emerge è che si trovanospesso a essere due facce comple-mentari di un modo di lavorare eprodurre che richiede sia un approc-cio olistico e sia specialistico.Se, infatti, il lato olistico della capa-

cità produttiva di una multinaziona-le passa attraverso una visione d’in-sieme delle varie componenti checoncorrono alla fabbricazione di undeterminato prodotto e nelle com-petenze trasversali del direttore diproduzione, il suo approccio specia-listico si manifesta, invece, nel mo-mento in cui l ’azienda decide inquale settore cimentarsi.Nel caso, invece, della piccola pro-duzione artigianale, la specializza-zione è insita nella natura dell’arti-giano, che è colui che realizza og-getti unici per eccellenza, mentrel’approccio olistico si palesa nellasua personale cura di tutte le fasiche interessano la realizzazione fi-nale del prodotto: dalla sua proget-tazione alla scelta delle materie pri-me fino alla fase di costruzione e ri-finitura. Parleremo dunque di questo duplicevolto del settore produttivo conFrancesco Ciampini, Operation Ma-nager di Artemide S.p.A. e Piero Dri,artigiano e gestore de Il ForcolaioMatto.

IN UN VILLAGGIO ECONOMICOSEMPRE PIÙ INTERCONNESSOASSISTIAMO CON FREQUENZAALLA CONTRAPPOSIZIONE TRAL’APPROCCIO OLISTICO DELLEGRANDI AZIENDE E QUELLOSPECIALISTICO DELLE BOTTEGHEDEI PICCOLI ARTIGIANI.LE PRIME CHEDECENTRALIZZANO IL PROPRIOSISTEMA PRODUTTIVO, CREANDOUNA FITTA RETE DI STABILIMENTISPARSI PER IL GLOBO. I SECONDI CHE PRODUCONOMANUFATTI UNICI.PER CONOSCERE MEGLIOQUESTO DUPLICE VOLTOABBIAMO INTERVISTATOL’OPERATION MANAGER DI UNAGRANDE AZIENDA ITALIANA, CON SEDI PRODUTTIVE IN TUTTOIL MONDO, E UN ARTIGIANOSPECIALIZZATO NELLACOSTRUZIONE DI REMI.

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A CONFRONTO

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Il Gruppo Artemide è uno dei leader mondiali nel settore dell’illuminazione residenziale e professionale d’alta gamma. Consede a Pregnana Milanese, il Gruppo Artemide ha un’ampia presenza distributiva internazionale in cui spiccano gli showroommonomarca nelle più importanti città del mondo e gli shop in shop nei più prestigiosi negozi di illuminazione e di arredamento.

Fondata nel 1960, Artemide è nota per la sua filosofia “The Human Light”, ed è oggi sinonimo di design, innovazione e Made in Italy.L’azienda ha contribuito alla storia del design internazionale con prodotti come Eclisse (1967, di Vico Magistretti), Tolomeo (1989, di Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina)e Pipe (2004, di Herzog & De Meuron), tutte insignite del Premio Compasso d’Oro. Nel 1994 Artemide ha ricevuto il Premio Compasso d’Oro alla carriera e il prestigiosoEuropean Design Prize nel 1997. Compasso d’oro ricevuto anche nel 2014 per la lampada IN-EI disegnata da Issey Miyake Reality Lab, certificata da IMQ.Le lampade di Artemide sono considerate a livello internazionale delle icone del design contemporaneo: sono esposte nei maggiori musei di arte moderna e collezionidi design del mondo. L’azienda collabora da sempre con i più famosi designer internazionali e promuove workshop con scuole di design al fine di scoprire i migliori talentitra le giovani leve.

INTERVISTA A FRANCESCO CIAMPINI, OPERATION MANAGER DI ARTEMIDE S.p.A.

Il suo ruolo prevede la supervisione del lavoro di di-versi reparti. Quante competenze sono necessarie perfare il direttore di produzione?Sono in Artemide dal 1989 e da allora non ho mai smesso dicrescere. Ho iniziato dalla base del processo inserendomi nelreparto di Ricerca e Sviluppo dove si creano i modelli defi-nendone i materiali, le forme e le sorgenti luminose. Succes-sivamente sono passato per la progettazione e l’industrializ-zazione del prodotto. Dopo qualche anno per scelte strate-giche si è deciso di creare un forte ed organizzato polo pro-duttivo e quindi mi sono occupato di sviluppare e far cresce-re quelle che oggi sono le Fabbriche Artemide. Tutto questopercorso è stata un’esperienza straordinaria che mi ha arric-chito moltissimo e mi ha fornito gli elementi che oggi sonoalla base del mio ruolo. Oggi gestisco e coordino le tre fab-briche design del Gruppo e mi occupo anche di tutti gliaspetti legati alla logistica dato che qui a Pregnana c’è il ma-gazzino centrale da dove partono tutte le spedizioni per le fi-liali Artemide presenti nel mondo.Grazie alla mia esperienza lunga 25 anni ho dunque svilup-pato competenze fondamentali nel mio lavoro come la co-noscenza profonda dei processi aziendali e la consapevolez-za dei nostri pregi e dei nostri difetti.

Qual è l’aspetto più difficile da affrontare nella supervi-sione di diversi reparti?L’aspetto più impegnativo è sicuramente legato alla gestio-ne dei rapporti con le persone. Non è facile mettere insiemetante personalità diverse (solo nello stabilimento di Pregna-na siamo 300 e circa 800 nel mondo) e creare un team di la-voro sempre efficiente. In questo senso è fondamentale ave-re i processi ben organizzati ed un valido sistema gestionaleche sia il più possibile integrato in modo da agevolare la co-municazione fra i servizi aziendali. Su queste basi bisognariuscire a costruire i rapporti con le persone in modo da va-

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lorizzare ogni singola competenza con l’obiettivo comune difar crescere l’Azienda. In Artemide è come se fossimo in unagrande famiglia, abbiamo un turn over molto basso e tutti,giovani apprendisti compresi, contribuiscono con passioneallo sviluppo dei nostri prodotti. In questo senso cerchiamodi essere il più possibile meritocratici e di riconoscere il valo-re delle persone.

Quanto è importante la comunicazione tra i vari repar-ti di una grande azienda?La comunicazione è importantissima anzi direi fondamentale.Negli ultimi anni si sono verificati dei cambiamenti sostanzialiper tutta la filiera produttiva e distributiva. Ovviamente le fi-liali, i distributori e i negozi tendono a non fare più magazzi-no e di conseguenza la richiesta di evasione degli ordini èsempre più veloce. La visibilità in produzione è brevissima eoggi bisogna essere capaci di produrre solo ciò che serve nelmomento in cui serve. Questo richiede maggiore flessibilità evelocità di produzione e di conseguenza tutta la catenaaziendale avverte una maggiore pressione. Questo cambiamento richiede processi ben oleati e personepronte a modificare continuamente i programmi già definiti.In questo contesto la comunicazione è fondamentale. Nonmi stanco mai di ripetere che è sempre meglio fornire una pa-rola e un chiarimento in più piuttosto che dare tutto per scon-tato. Un cambiamento epocale nel settore dell’illuminazionesi è verificato con l’avvento del LED, una sorgente che ha ren-dimenti sempre più efficienti e costi sempre inferiori. Le fab-briche devono tenere il passo dell’evoluzione della tecnolo-gia ed è necessario investire nella ricerca e dotarsi delle at-trezzature idonee a essere sempre all’altezza delle richiestedei clienti.

Quali sono i vantaggi del decentramento di alcune fasidella produzione in altri stabilimenti (e in altri paesi)?Artemide ha scelto di investire in Ungheria (lo stabilimento sitrova a Paks, una città a circa 120 km da Budapest) princi-palmente per due motivi: il basso costo della manodopera ela notevole facilità burocratica, cosa che in Italia ci sogniamo.La distanza rispetto alla casa madre permette una piena con-centrazione sulle attività produttive garantendo un ottimo li-vello di servizio e produttività. Fino ad un paio di anni fa in Ungheria si è lavorato sui pro-dotti più semplici ma adesso, l’evoluzione tecnologica deiLED impone un livellamento delle competenze in tutte le no-stre fabbriche. Per questo motivo teniamo continui corsi diaggiornamento anche a Paks, cosa che fidelizza molto i di-pendenti, li fa sentire apprezzati e li lega sempre di più al-l’azienda. Anche a Paks si sta costituendo un team affiatatodi persone che si appassionano sempre di più alla vita azien-dale. Inoltre le policy di Artemide sono uguali per tutti gli sta-bilimenti indipendentemente dal paese in cui essi si trovano.

Esistono dei rischi quando si decide di decentralizzareparte della produzione in un paese estero, dove maga-ri esiste un diverso approccio lavorativo?I processi e le attività per avviare una nuova linea di pro-

duzione sono uguali in ogni stabilimento. Quando deve es-sere realizzato un nuovo prodotto in Ungheria un gruppodi tecnici partono da Pregnana e vanno a Paks per illustra-re il progetto al capo fabbrica e agli operai. Mostrano lorola documentazione tecnica, evidenziano le criticità, defini-scono i test da effettuare, insomma discutono e lavoranotutti insieme fino allo sblocco della produzione. Questo succede in tutti gli stabilimenti e ciò garantiscel’omogeneità di tutti i flussi produttivi e la stessa attenzio-ne in tutte le realizzazioni.

Nel reparto Produzione della sua azienda quantaattenzione c’è nei confronti della sostenibilità?La scelta di investire nella tecnologia LED e di cogliere ilcambiamento che ne deriva è già una scelta sostenibile. Cer-to, si tratta di un cambiamento oneroso: per portarlo a termi-ne è necessaria tanta ricerca quindi investimenti in test, veri-fiche tecniche, analisi dei report, attrezzature idonee nei la-boratori e sui banchi di produzione. Inoltre da qualche annostiamo cercando di introdurre il concetto di lean manufactu-ring per fare in modo che si produca di più e meglio, fatican-do meno. La prima cosa da fare è eliminare gli sprechi ossiatutto ciò che nella filiera produttiva non crea valore aggiuntoe che di conseguenza i nostri clienti non sono disposti a pa-gare. Molto spesso bastano pochi accor-gimenti per limitarli; ad esempiocon i dipendenti insisto moltosull’ordine e la pulizia deireparti, sulla manuten-zione della propria po-stazione e sulla ne-cessità di organizzar-la solo con gli at-trezzi necessari eli-minando il super-fluo.Inoltre, vorrei por-tare avanti il proget-to di far diventareArtemide un’aziendasmoking free. Entro un anno e mezzovorrei poter dire che quinessuno fuma più. Come?Aiutando i fumatori a smette-re attraverso un percorsodi incontri organizzaticon strutture ed entispecializzati. È unclassico caso in cuisia l’azienda chetutti i suoi lavora-tor i hanno daguadagnare sia intermini economicima soprattutto disalute. z

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Come ha imparato a fare l’artigiano?L'artigiano è uno di quei lavori che non s’impara facendoun corso o frequentando lezioni e, se si vuole fare bene,non si può nemmeno improvvisare. Quello dell'artigianopiù che un lavoro è un mestiere, un'arte che si apprendelentamente, giorno dopo giorno. Io ho imparato nella bot-tega del mio maestro, Paolo Brandolisio. Ho iniziato a fre-quentarla un po' per caso, mosso dalla necessità di cam-biamento verso cui la mia vita mi spingeva. È stato un lungo percorso in cui, secondo me, gli ingre-dienti fondamentali sono stati l'umiltà e la passione. Umil-tà perché credo che ci si debba sempre dimostrare pronti aimparare e avere un atteggiamento aperto e di enorme ri-spetto nei confronti del proprio maestro. Anche quelle co-se che a prima vista non si capiscono o possono sembrareirrilevanti, poi col tempo si rivelano assolutamente neces-sarie al lavoro di tutti i giorni.Imparare a fare l'artigiano significa imparare ad avere cu-

ra del tempo e dell'oggetto che si sta creando, ma anchedare valore alla fatica fisica che può rendersi necessaria. Fa-re l’artigiano significa non avere fretta. La cura dell'ogget-to è fondamentale per scoprire e coltivare la passione nelcostruirlo, che è poi il motore di tutto. Senza passione, amio avviso, non c'è motivo per cui valga la pena metteretutta la propria anima in quello che si fa. Nel percorso di apprendimento non tutto può essere trattodagli insegnamenti del maestro. Quando le proprie abilitàe competenze iniziano a maturare deve contemporanea-mente svilupparsi - sotto forma d’interrogativi, prove o idee- una propria, personale visione delle cose. Dal mio puntodi vista è un passo importante perché permette di passareda allievo a qualcosa di più, contribuendo così a far nasce-re e prendere forma una nuova identità di artigiano che poisi tramuterà in nuovo maestro. È inoltre essenziale - in me-stieri come questo dove non si finisce mai di imparare -mantenere sempre quell'atteggiamento di umiltà iniziale.

Quali competenze sono necessarie per svolgere ilsuo lavoro?Buone capacità manuali e artistiche, ma allo stesso tempoprecisione, cura e intuizione, soprattutto quando si parla dicostruire forcole. Nei secoli, infatti, le forcole sono divenu-te vere e proprie sculture e come tali possono essere ac-quistate. Per questo motivo si deve sviluppare una buonacompetenza, che sappia coniugare la funzionalità e gliaspetti tecnici e pratici con un buon gusto estetico che per-metta di ottenere un oggetto intrinsecamente bello, armo-nioso, impeccabile, attraente e degno di essere considera-to un oggetto d'arte. Per svolgere il mestiere del remer occorre poi essere inseri-ti nella realtà veneziana e saper vogare, in modo da capiree saper interpretare ciò che i gondolieri o chi voga in gene-rale riporta.

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Quanta tecnica e quanta specializzazione servono?Direi che se non c'è la tecnica, il lavoro non si può fare. Capi-ta che qualcuno improvvisi e provi a costruire qualche remo oqualche forcola, ma si vede subito quando uno di questi og-getti è stato costruito senza le necessarie conoscenze e abili-tà. La specializzazione, infatti, è una caratteristica fondamen-tale di questo mestiere poiché anche l'utilizzo degli strumentielettrici o manuali è molto diverso rispetto a quello per cui avolte sono concepiti. L'uso della sega a nastro o della pialla afilo, nonché della pialla manuale, è molto diverso dall'uso clas-sico che un falegname, in genere, fa di questi strumenti.

In Italia ci sono tanti artigiani remer?Sicuramente in giro per il mondo ci sono persone che costrui-scono remi. Qui a Venezia, però, la figura del remer è moltoparticolare poiché stiamo parlando di un antico mestiere cheha più di 700 anni. Il remer, oltre alla costruzione dei remi ve-neziani, infatti, si occupa anche della realizzazione delle for-cole, che vengono ricavate da un unico blocco di legno, in ge-nere noce, e che hanno caratteristiche morfologiche tali da ga-

INTERVISTA A PIERO DRI, ARTIGIANO E GESTORE DE “IL FORCOLAIO MATTO”

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rantire l'efficacia della vogata in ogni situazione. Come accen-navo prima, oggi le forcole sono vendute come vere e propriesculture, oggetti d'arte e d'arredamento. Se intesa in questosenso, dunque, la figura del remer esiste unicamente a Vene-zia e siamo quattro in tutto. Io sono il più giovane.

Secondo lei, specializzarsi in un unico settore (o in ununico prodotto), oggi, paga oppure no?Senza dubbio bisogna recuperare la bellezza del fare le cosebene. Esprimersi in un settore molto specializzato dà la possi-bilità di considerare meglio, con più cura e attenzione, aspettiche altrimenti potrebbero essere trascurati. Un tempo i diversi

IL FORCOLAIO MATTOPiero Dri nasce a Venezia nel 1983. Nel 2005 consegue la laurea triennale inAstronomia con il massimo dei voti. A pochi esami dal conseguimento della LaureaMagistrale, anche questa ottenuta con il massimo dei voti, si accende in lui il bisognodi riavvicinarsi con forza alla sua Venezia, soprattutto alla sua vita quotidiana.Inizia a frequentare la Bottega del maestro remer Paolo Brandolisio e, nel 2013,apre il laboratorio de “Il Forcolaio Matto”.

mestieri erano molto specializzati e, a parer mio, è un sanoprincipio, da riprendere se si vuole ricreare un tessuto socialevario e completo. Penso anche però che i tempi siano cambia-ti e che sia quindi giusto conservare e difendere i modi di lavo-rare e i metodi tradizionali con una marcia in più, ossia la rivisi-tazione in chiave moderna di alcuni aspetti. La creatività e lafantasia, infatti, sono per certo concetti che negli ultimi annisono molto apprezzati, soprattutto nell'ambito artistico. Oc-corre dunque avere la capacità intellettuale di fondere assiemequeste due caratteristiche, trovando e garantendo il giustoequilibrio. Provo terrore quando vedo che in nome della mo-dernità si cancellano definitivamente alcuni aspetti validi esempre attuali della vita di chi ci ha preceduto. Alcune cose nonsono state tramandate a noi non per caso, ma perché proba-bilmente contribuivano a una bellezza generale del mondo.

Dall’astronomia alle forcole: come mai questo cambia-mento radicale?È stato un passaggio singolare, lo ammetto, ed è forse questoil denominatore comune delle cose che fin qui ho fatto nellamia vita. L'astronomia è un campo affascinante, stimolante emolto ampio, volto al futuro, che mi piaceva molto. Col tem-po, però, ho iniziato a capire che lavorare in questo settore, ocercare di farlo, avrebbe voluto dire essere precario, combat-tere per cercare i fondi necessari a un progetto o a un con-tratto, e per chissà quanto tempo. Inoltre, si tratta di un tipodi lavoro che rende molto difficile, se non impossibile, avereuna vita con dei punti di riferimento fissi perché ti porta a viag-giare in giro per il mondo e a condurre una vita frenetica e unpo' nomade. Per questo motivo ho scelto di recuperare il legame con la miacittà e risvegliare la passione che fin da piccolo ho avuto per lebarche, la voga e al contempo per il legno e il lavoro manuale.In questo momento Venezia sta vivendo un periodo molto dif-ficile. Purtroppo è un luogo di facili speculazioni, dove si è di-ventati schiavi del turismo di massa, del turismo mordi e fuggi,quello portato dalle compagnie aeree low cost e dalle grandinavi da crociera. E tutto ciò è successo a discapito dei cittadiniche ogni giorno diminuiscono inesorabilmente. Ho voluto in-traprendere una strada, dal mio punto di vista importante, percontribuire in qualche modo a difendere le tradizioni e l'essen-za di questa meravigliosa città. L'apertura della mia bottegavuole essere uno stimolo, un messaggio per far capire che sia-mo noi cittadini i padroni della nostra città e che si può inizia-re a ricostruirne il tessuto sociale. Mi auguro che venga porta-ta avanti una buona politica residenziale, che la città risorga in-somma. Penso sia fondamentale per migliorare la qualità del-la vita. Credo fortemente che per andare avanti nel futuro ci sidebba un attimo fermare e, per molti aspetti, tornare al passa-to. L'uomo del resto non vive perché ha un tablet o uno smar-tphone, ma vive felice perché ha una casa, una famiglia cui starvicino, un lavoro vicino a casa, i servizi che gli servono. Negliultimi anni si è pensato di poter rinunciare a tutto questo,ma forse è l'errore più grande di questa società pseudo mo-derna, capitalista e globalizzata. Io voglio remare contro-corrente! z

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CAPIRE COME GLI INTERESSI ECONOMICI DEI SINGOLI STATIPOSSANO CONVIVERE IN UNA SOCIETÀ SEMPRE

PIÙ INTERDIPENDENTE: È LA SFIDA MODERNA DI UN APPROCCIOOLISTICO ALLA FINANZA

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La globalizzazione è un fenomenocomplesso che mette in sempremaggiore interrelazione le econo-mie dei vari angoli del mondo, dan-do vita a una rete sempre più fittadi scambi commerciali, investimen-ti e operazioni finanziarie. I capita-li delle multinazionali, che dappri-ma si muovevano su territorio na-zionale, ora diventano flussi di de-naro che si spostano di paese inpaese, incuranti dei confini da vali-care e degli ostacoli da superare.Siamo entrati a far parte di quellasocietà che Zygmunt Bauman amadefinire modernità liquida, ossia unmondo in cui finanza e informazio-ne da un lato uniformano il globo,ma dall’altro creano una notevoledifferenziazione delle condizioni divita di numerose popolazioni.I sistemi economici finiscono per in-contrarsi, mescolarsi e amalgamarsial punto da creare un “crogiolo” fi-nanziario all’interno del quale ilsuccesso di un approccio olisticopuò passare solo attraverso la capa-cità di integrare gli interessi econo-

mici e strategici dei singoli attoricoinvolti, siano essi Stati, governi oaziende.Per individuare il sottile orizzonteche divide un approccio olisticoall’economia da uno individualistae capire se queste due anime possa-no eventualmente convivere in mo-do equilibrato, abbiamo chiesto ilparere di Ernesto Screpanti, che neisuoi scritti ha tra l’altro affrontato iltema dell’affermarsi di una nuovaforma di imperialismo su scala glo-bale in cui il potere del capitalemultinazionale sta di fatto eroden-do la sovranità e l’autonomia poli-tica delle istituzioni locali.

Il metodo dell'Economia è olista oindividualista? In Economia prevale nettamentel’individualismo metodologico. An-zi è proprio in questa disciplina che,con la “disputa sul metodo” (Me-thodenstreit) di fine dell’Ottocen-to, si fece chiarezza sulla non scien-tificità di certi approcci olistici tipicidell’idealismo, specialmente della

Intervista a Ernesto Screpanti, professoredi Economia della Globalizzazione edi Storia dell’Economia Politicaall’Università degli Studi di Siena.

ATI

CCIO

IL LATO OLISTICO DEI MODERNISISTEMI ECONOMICI

Ernesto Screpanti

Nato nel 1948 a Roma, hastudiato Economia all’Universitàdella Sapienza e Scienze eTecniche dell’Opinione Pubblicaalla LUISS. All’università di Trentoha esplorato la sociologia el’economia e si è laureato con unatesi sugli usi del modello VonNeumann nella soluzione alproblema della trasformazione.Nei due anni successivi ha vissutoa Milano, dove ha fatto un pò diricerca applicata nella Comunitàdi Ricerca Sociale e hafrequentato la Scuola Superiore“Enrico Mattei”, conseguendo unDiploma post-laurea in MetodiMatematici per la RicercaEconomica. Nel biennio 1975-77ha seguito i corsi di Economiaall’Università di Cambridge e hapoi cominciato la carrierauniversitaria all’Università diTrento, dove ha tenuto per varianni un corso progredito diEconomia e uno di Teoria delloSviluppo Economico. In seguito hagirovagato in varie universitàitaliane: Firenze, Trieste, Parma,per poi approdare all’Università diSiena.Autore di diversi libri, di recenteha pubblicato Global Imperialismand the Great Crisis: TheUncertain Future of Capitalism(2014), Marx dalla totalità allamoltitudine (2013), Comunismolibertario: Marx Engels el'economia politica dellaliberazione (2013).

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scuola storica tedesca. Gli approcci oli-stici tendono a vedere negli agenti col-lettivi (Stati, classi, nazioni, impreseetc.) dei soggetti metafisici dotati di fi-nalità intrinseche (“lo spirito della na-zione”, “la ragione di Stato”, “la mis-sione dell’impresa”) che in realtà nonesistono. Secondo l’individualismo me-todologico le finalità degli enti colletti-vi devono essere riconducibili a quelledegli individui che ne fanno parte, an-che se gli effetti aggregati delle azionidi molti individui possono andare oltrele aspettative dei singoli agenti. Il pro-blema con l’individualismo metodolo-gico più estremo, quello professato da-gli economisti neoclassici, è che assu-me che gli individui siano degli atominon influenzati dalle condizioni socialie dotati di razionalità olimpica (perfet-ta capacità di calcolo e informazionicomplete). Il che è molto irrealistico.Per questo si è sviluppato, nel-la seconda metà del Nove-cento, un nuovo approc-cio, denominato “indivi-dualismo istituzionale” o“sociale”, che ricono-sce che gli individuisono costituitisocialmente

e fortemente influenzati dalle condi-zioni istituzionali e culturali. Inoltre ri-conosce che gli agenti sono dotati dirazionalità limitata e informazioni in-complete.

L'approccio olistico porta con sé deivantaggi e se sì, quali? Un altro problema con l’individualismometodologico è che, data la complessi-tà e la vastità degli enti collettivi e del-le azioni collettive, è difficile individua-re tutti i nessi causali che vanno dalleazioni dei singoli individui agli effetticollettivi. Per questo si è di fatto affer-mato un approccio di “olismo euristi-co” che, pur accettando i canoni del-l’individualismo, sviluppa le analisi di ti-po aggregato tipiche della macroeco-nomia. La metodologia degli aggrega-ti ha portato all’elaborazione di fonda-mentali teorie e alla scoperta di leggiempiriche che si sono rivelate illumi-

nanti riguardo al funzionamento delleeconomie moderne e molto utili perfondare le politiche economiche. Alcontrario, gli approcci d’individualismometodologico estremo di tipo neoclas-sico hanno prodotto solo teorie astrat-te e irrealistiche, oltre che inutili dalpunto di vista della politica economica.

La "globalizzazione" è un processoche può essere compreso megliocon un approccio individualista ocon uno olista?Anche in questo caso è necessario usa-re una metodologia degli aggregati, adesempio per studiare gli investimenti di-retti esteri delle multinazionali, le bollespeculative, la grande crisi 2007-13, losviluppo dei paesi emergenti ecc. Tutta-via bisogna essere sempre in grado di in-dividuare gli interessi specifici dei singo-li agenti individuali se si vuole dare unaspiegazione scientifica dei fenomeni.Quando si dice che “il mercato è sovra-

no” si usa una metafora, non s’inten-de certo sostenere che esiste un

agente collettivo, il SignorMercato, che persegue una

finalità propria. L’approc-cio d’individualismo

istituzionale ci porta

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a individuare negli interessi delle singoleimprese multinazionali (dei loro mana-ger) le basi delle loro azioni economiche.Poi la metodologia degli aggregati ci fa-rà capire quali effetti globali sono statiprodotti da quelle azioni (delocalizzazio-ni, ristagno delle economie avanzate,esplosione della bolla speculativa ecc.)in un contesto in cui la competizione dimercato indebolisce le capacità politi-che delle organizzazioni non globalizza-te, come gli Stati e i sindacati.

Le economie dei vari Paesi sonocollegate e dipendenti l'una dall'al-tra. Questo, secondo lei, porta piùvantaggi o svantaggi?La globalizzazione ha creato una situa-zione di crescente interdipendenza eco-nomica globale. La riduzione delle bar-riere protezionistiche seguita alla fon-dazione dell’Organizzazione Mondialeper il Commercio nel 1995, ha portatoa una forte espansione del commerciointernazionale. Potrebbe essere ungrande vantaggio per tutte le nazioni,in quanto la crescita delle esportazionie delle importazioni di ognuna di essefavorirebbe lo sviluppo economico el’aumento dell’occupazione. Se nonche la liberalizzazione dei movimentidei capitali ha compromesso questivantaggi almeno per le economie avan-zate (USA, Europa, Giappone) in quan-to ha indotto molte loro imprese a de-localizzare gli investimenti verso i paesiemergenti e in via di sviluppo causandoristagno economico, crisi e riduzionedell’occupazione. Inoltre la liberalizza-zione dei movimenti di capitale finan-ziario (investimenti di portafoglio) hacausato una superfetazione della finan-za speculativa che ha generato grossebolle speculative e crisi disastrose. Leclassi lavoratrici hanno ottenuto piùsvantaggi che vantaggi dalla globalizza-zione. Il libero movimento dei capitaliha consentito alle imprese multinazio-nali di mettere i lavoratori di ogni paesein competizione con quelli di tutti gli al-tri, con la conseguenza che la quota sa-lari sul reddito nazionale è andata dimi-nuendo drasticamente in pressochétutti i paesi. È aumentata anche la po-vertà relativa e la disuguaglianza nelladistribuzione dei redditi.

Nella storia delle dottrine economi-che, quali scuole di pensiero hannopraticato maggiormente l'olismo?Non molte: le scuole storiche tedeschedell’Ottocento, che erano fortementeinfluenzate dall’idealismo hegeliano eda filosofie provvidenzialiste della sto-ria; alcune correnti del marxismo; e al-cune scuole istituzionaliste. Oggi per-mangono residui di olismo in certi eco-nomisti che combinano istituzionali-smo ed evoluzionismo.

Alla fine Marx era olista o indivi-dualista?L’uno e l’altro. Il giovane Marx risentìmolto della filosofia hegeliana dellastoria e in alcuni scritti elaborò a suavolta una filosofia della storia provvi-denzialista in cui un soggetto colletti-vo, il proletariato mondiale, si vede af-fidare dalla Storia una missione salvifi-ca: la liberazione di tutta l’umanità dal-l’oppressione e dallo sfruttamento ca-pitalistici. Un residuo di questa conce-zione permane nelle opere della matu-rità, specialmente quando teorizza ilsocialismo come l’esito finale di un pro-cesso storico in cui l’uomo assume ilcontrollo razionale della produzioneattraverso la pianificazione centralizza-ta. Ma c’è anche l’antidoto di questoolismo idealistico. Già in gioventù Marxcritica la filosofia hegeliana sostenendoche i cambiamenti storici sono deter-minati dalle azioni di soggetti concretimossi da interessi particolari. Nelleopere della maturità poi Marx sviluppauna profonda analisi del funzionamen-to e della dinamica delle economie ca-pitalistiche. E benché si serva di unametodologia degli aggregati basata suicomportamenti di classi sociali e agen-ti collettivi, mantiene sempre fermo ilprincipio che le decisioni economicherilevanti sono prese dai singoli capitali-sti, dai lavoratori organizzati e dai poli-tici. Inoltre il Marx maturo tende a ve-dere la storia come un processo apertoche, se sbocca nel socialismo, non èperché così vogliono delle fantomati-che leggi deterministiche dalla storia,bensì perché, e solo se, i soggetti poli-tici reali riescono ad attivare i necessariprocessi di cambiamento politico, eco-nomico e tecnologico. z

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RELAZIONI VIRTUALILa questione che emerge con sempremaggiore evidenza, specie tra le giova-ni generazioni, è che la Rete, specie conFacebook, è diventata il mezzo princi-pale di gestione delle relazioni inter-personali, a discapito di molte altre mo-dalità che contemplano il contatto o lavicinanza fisica. Varie ricerche hannoevidenziato come i social media venga-no utilizzati - ancor più che per crearenuove relazioni - per gestire quelle esi-stenti, nella più stretta cerchia di cono-scenti. Specialmente i ragazzi, tendono

a costruirsi ampie reti di “amici”.Nella fascia d’età 12-17 anni, il nu-mero medio di amici è 300, ma poi,nella realtà, interagiscono prevalen-temente con quelli che vedono tuttii giorni a scuola o nel quartiere. Uno strumento come Facebook erastato creato inizialmente per risponde-re a due bisogni degli studenti: l’inca-pacità di uscire dalla solitudine e quelladi emergere dall’anonimato. La sua for-za è stata questa, ma ora che ha di granlunga superato il miliardo di utenti,possiamo dire che si tratta di promessemancate, o per lo meno soddisfatte so-lo virtualmente.Il paradosso che stiamo vivendo èche da un lato, le tecnologie digitali ciconsentono di arricchire - apparente-mente senza limiti - le modalità di rela-zione con gli altri, così come il numerodi persone con le quali possiamo stabi-lire relazioni. Dall’altro, non risolvono ilproblema della solitudine: se un ragaz-zo, o una qualsiasi altra persona, nonha amici, non ha nessuno da abbrac-ciare o con cui confidarsi, non riusciràmai a uscire dalla sua solitudine graziea una soluzione tecnologica. Né pos-siamo pensare di risolvere, tramite Fa-cebook o Twitter, difficoltà e incom-prensioni che scaturiscono dall’estre-ma complessità delle relazioni interper-sonali. Ciò nonostante, Internet e i so-cial media ci proiettano continuamen-

SIAMOTROPPOSOCIAL

“Ops, forse mi sono dimenticato qualcosa….”. Semprepiù presi dai nostri dispositivi digitali, che anche quando

siamo impegnati nelle faccende della vita quotidiana cinotificano di continuo eventi dal mondo “social”, può

capitare persino che ci dimentichiamo di avere un corpo.I fisioterapisti sono sempre più felici, ma tutti noi - o per lomeno noi appartenenti a quella metà degli italiani che siconnette abitualmente a Internet - stiamo decisamenteperdendo il controllo di parti importanti della nostravita. Senza neanche rendercene troppo conto. E stannoemergendo problemi inediti.

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te in una dimensione relazionale - or-mai ogni minuto della giornata - e ci al-lontanano così dalla più autentica di-mensione di noi stessi: quella di perso-ne che vivono e interagiscono tra loro,mettendo interamente in gioco le pro-prie menti e i propri corpi.

TROPPE COSE PER VOLTANegli uffici e nella vita quotidiana vie-ne considerato sempre più normale,se non addirittura richiesto, il “multi-tasking”, cioè il fare tante cose insie-me. Guidare la macchina mentreascoltiamo il giornale radio e parlia-mo al telefono con un amico, guarda-re la TV mentre commentiamo suTwitter, concludere un affare mentreaccompagniamo i bambini a scuola.Grazie al multitasking, possiamo es-sere più produttivi ed efficienti. Unavariante di questa forma di iper-con-nessione è l’”attenzione parziale con-tinua”, la condizione mentale checonsiste nel prestare un’ininterrottaattenzione al flusso di informazionicui siamo esposti, in modo da nonperderci nulla e incamerare solo ciò

che riteniamoci interessi

o ci sia utile. Dunque siamo sempremeno abituati a fare una sola cosa pervolta. Persino l’azione vitale del man-giare arriva a sembrarci insopportabi-le, se non è accompagnata da qual-cos’altro come conversare, leggere oguardare la TV. Eppure, se vogliamo veramente esser-ci al cento per cento nella vita, cosìcome se vogliamo esserci pienamenteall’interno delle relazioni interperso-nali, fare una cosa per volta è l’unic-possibilità che abbiamo.

LONTANI DALLE EMOZIONIConsiderando più nello specifico la sfe-ra emotiva, le tecnologie ci stanno pro-curando problemi psicologici inediti.“In età adolescenziale” - sostiene Sher-ry Turkle, psicologa clinica del MIT diBoston - “c’è una fase in cui la personacomincia a essere consapevole dei sen-timenti che prova ed è in grado di valu-tare se condividerli o meno. Tale condi-visione è un atto volontario e contri-buisce a definire la sfera di quella chechiamiamo intimità”. Questo modelloentra in crisi nel momento in cui pren-diamo in mano un telefono, il quale ci

consente

di connetterci istantaneamente, solosfiorando uno schermo, con qualcunodisponibile a risponderci, e comunicarele nostre emozioni quando ancora sistanno formando. “Il modello verso cuistiamo andando è molto diverso, ri-spetto al passato: non si fa piena espe-rienza di un sentimento fino a quandonon lo si è comunicato agli altri”, con-clude Turkle. E con Facebook, che con-sente di condividere l’emozione con unnumero ampio di persone, la sfera inti-ma si frantuma del tutto.L’escalation successiva è determinatadalla presenza negli smartphone disensori, a cominciare dalla fotocamera:averla sempre a disposizione alimentala nostra aspirazione a condividere conle persone care ciò che proviamo e afarlo istantaneamente. Fino all’estre-mo di sostituire l’emozione con la con-divisione. È il caso, ad esempio, delle ri-prese dei concerti con il cellulare, poicaricate su YouTube. Quando facciamocosì, diventiamo tutti fotoreporter ogiornalisti, cioè persone che vivono losvolgersi degli eventi avendo come pre-occupazione principale quella di rac-contarli, prendendo il più possibile ledistanze dalle nostre emozioni. È que-sto che vogliamo dalle tecnologie? z

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NELLA SOCIETÀ “LIQUIDA”, L’IMPORTANZA DI UNA VISIONE GLOBALE

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Nell’ambito sia dell’antropologia che della sociologia, il dibattito sulla possibilità di considerare la società nel suo com-plesso è stato ampio e prolungato, trovando il più compiuto approdo teorico nel funzionalismo, una corrente di pensie-ro ispirata dal filosofo britannico Herbert Spencer (1820 - 1903) e che poi ha coinvolto molti studiosi di entrambe le di-scipline fino ai giorni nostri. Per Spencer la società può essere paragonata a un organismo vivente, nel quale le varie par-ti hanno un senso solo in quanto appartenenti all’organismo nel suo complesso, ma al tempo stesso si specializzano cia-scuna in una funzione propria, come avviene con i vari organi del nostro corpo. E così le parti di un’unità sociale com-plessa ed evoluta tendono a differenziarsi tra loro: la religione rispetto alla politica, il lavoro rispetto alla famiglia e cosìvia. Ciò implica che ogni parte dell’organismo sociale, in quanto specializzata, divenga insostituibile da parte di un’altra.La società può dunque essere vista come un insieme costituito da parti distinguibili ma tra loro interdipendenti. Lo scopodei funzionalisti è stato quello di adottare nell’ambito delle scienze sociali gli stessi metodi delle scienze naturali - dun-que un carattere più scientifico - in modo da studiare l’organizzazione sociale come un sistema totale, all’interno del qua-le lo specifico di ciascuna cultura può essere individuato quale combinazione di diverse variabili.Una conseguenza interessante dell’approccio funzionalista è che un qualsiasi mutamento in una delle parti della societàè considerato causa di un certo grado di squilibrio, che produce, a sua volta, ulteriori cambiamenti in altre parti del siste-ma e addirittura una riorganizzazione del sistema stesso. L’equilibrio è dunque un fattore fondamentale, che si ottienequando ogni parte svolge correttamente il proprio compito. Le relazioni che intercorrono tra le parti della società sonoinfatti di tipo funzionale, ovvero ogni elemento svolge un particolare compito che, unito a tutti gli altri, concorre a crea-re e mantenere funzionante quell’apparato complesso che noi chiamiamo società. Un tempo le società erano relativamente stabili, perché i cambiamenti avvenivano con tempi che spesso era difficile per-cepire nell’arco temporale di una generazione. Oggi tutto è estremamente veloce e le società sono diventate fortemen-te instabili, anche a causa del fatto che le parti che le compongono sono sempre più mutevoli. Uno dei più grandi socio-logi del nostro tempo, Zygmunt Bauman, ha coniato il termine “società liquida”, che rende molto bene l’idea di un si-stema che non riesce a garantire più alcuna certezza. All’interno della società liquida ogni individuo - diversamente dacome avveniva in passato - deve inventarsi il suo ruolo, facendo della propria vita una vera e propria opera d’arte, pro-prio perché l’instabilità non riesce a garantire alcuna strada sicura, salvo eccezioni sempre più rare. Non tutti però sonoin grado di fare della propria vita un’opera d’arte e dunque non hanno altra strada che cercare il più possibile di omolo-garsi agli stili di vita predominanti, per non sentirsi esclusi.Per capire cosa significa il rompersi di un equilibrio tra le parti, all’interno dell’organismo sociale, non c’è bisogno di an-dare troppo lontano nel tempo o nello spazio. Basta considerare cosa è avvenuto in Italia nel corso dell’ultima genera-zione, dal dopoguerra - il momento in cui si apriva il nuovo ciclo della democrazia - fino ad oggi.La famiglia, ad esempio, tassello primario della struttura sociale, si è trasformata al punto tale che l’enorme patrimonioedilizio di cui disponiamo - progettato per ospitare il classico nucleo composto da genitori e figli - non è più in grado di ri-spondere alle esigenze abitative dei nuclei familiari di oggi, spesso composti da una sola persona e anch’essi molto mu-tevoli. Inoltre, nell’equilibrio della nostra società, la famiglia ha svolto un fondamentale ruolo sussidiario, nei confrontidel welfare pubblico, facendosi carico di funzioni che in altri Paesi sono stati storicamente svolti da soggetti collettivi, co-me il sostentamento dei disoccupati, l’assistenza alle persone con disabilità, la cura dei bambini in età prescolare e cosìvia. Oggi questo disequilibrio assume aspetti sempre più drammatici, dal momento che sono entrati in crisi sia il sistemafamiliare, sia quello del welfare, anche a causa dei cambiamenti di tipo demografico.Se consideriamo altri ambiti - come la religione, la struttura produttiva, la politica, l’istruzione - ci rendiamo conto di quan-to radicalmente siano cambiati i rispettivi ruoli nel corso di così pochi decenni. Né è possibile analizzarli separatamente,ignorando il fatto che ci sono stati anche molti fattori “esterni” che hanno scompaginato tutto, dalla fine del bipolarismoalle ondate migratorie, dalla globalizzazione dell’economia all’avvento di internet. Tutti gli equilibri si sono rotti, e nonpotremo tornare indietro. È per questo che abbiamo disperatamente bisogno di una visione globale che ci aiuti a trova-re la strada migliore da intraprendere. A livello individuale così come collettivo. z

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Èuno dei personaggi più noti delventesimo secolo, ed è tra i più ci-tati, specie da quando è stato in-

ventato il Web. Ma di lui, a partel’espressione “villaggio globale” e lafrase “il medium è il messaggio”, sap-piamo ben poco, abituati ormai comesiamo a ragionare per citazioni e pa-role chiave. Un tempo si sarebbe det-to per frasi fatte. Marshall McLuhan sipresta così tanto a queste semplifica-zioni che Woody Allen nel film Io eAnnie (1977) lo fece intervenire dipersona in una scena, nella qualesmascherava un personaggio che sivantava di insegnare in un corso uni-versitario proprio le teorie del socio-logo canadese. Allora arriva McLuhanin persona e dice: “Lei non sa niente

del mio lavoro. Lei sostiene che ognimia topica è utopica. Come sia arriva-to a tenere un corso alla Columbia ècosa che desta meraviglia”.McLuhan (1911-1980) è vissuto inun’epoca nella quale Internet non esi-steva, eppure molti aspetti del suopensiero fanno ritenere che ne abbiaprevisto in qualche modo le caratteri-stiche. È stato poi il suo allievo DerrickDe Kerckhove a estendere alle reti di-gitali i ragionamenti sull’influenzadelle tecnologie sulla società, raffor-zando ancora di più la reputazionedel determinismo tecnologico, il filo-ne di pensiero di cui McLuhan è statotra i principali esponenti. Per i teoricidel determinismo tecnologico, è latecnologia a guidare l’evoluzione so-

ciale e iv a l o r iculturalidi una de-terminatasocietà. L’in-venzione dellastampa a carat-teri mobili di Gu-tenberg (1455),ad esempio, avrebbe re-so possibile l’era moderna,consentendo l’abbandonodella conoscenza trasmessa solooralmente a favore di un mezzo“freddo” e legato al passato come lascrittura e favorendo niente meno -secondo McLuhan - che l’avvento difenomeni come l’individualismo e il

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MARSHALL MCLUHAN E IL VILLAGGIO GLOBALE

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nazionalismo, oltre che la meccaniz-zazione e l’omogeneizzazione. Se il ragionamento di McLuhan è cor-retto, in questo momento Internet,con la sua rapida diffusione, sta cam-biando in profondità la struttura so-ciale dell’intera umanità. È così? Glielementi a favore di questa ipotesi so-

no parecchi. De Kerckhove si è spintoa ipotizzare l’emergere di una “intel-ligenza connettiva”, una nuova for-ma di intelligenza che scaturisce pro-prio dalla connettività tra le mentiumane, ovvero un passaggio persinopiù forte di quello avvenuto ai tempidi Gutenberg. Senza arrivare a tale

raffinatezza di ragionamen-ti, le profonde modifi-

che in corso sonosotto gli occhi ditutti, in ogni cam-

po. Se anche nonvolessimo considera-

re cosa sta succe-

dendo al-l’economia

(con i connessiproblemi di disoc-

cupazione) e alla finan-za (dove le sorti di interi paesi sono

decise da algoritmi informatici senzainterventi umani), basterebbe guar-dare alla famiglia, il mattone di ognistruttura sociale: genitori e figli che simantengono in contatto via Skypeda un capo all’altro del mondo, cop-

pie che si formano all’interno di siti didating, membri di una stessa famigliache passano il tempo ciascuno di fron-

te al proprio dispositivo digitale, e co-sì via.Ambienti digitali come Facebook eLinkedIn ci danno veramente l’idea ditrovarci in un “villaggio globale”, macome ha potuto uno studioso averequesta intuizione quasi cinquant’annifa? A quel tempo già esisteva una re-te elettrica che avvolgeva il pianetacome un’“estensione del nostro siste-ma nervoso centrale”: grazie all’elet-tricità, abbiamo potuto portare i no-stri sensi ovunque nel pianeta, veden-do e ascoltando direttamente a qual-siasi distanza, e di fatto accorciandovirtualmente qualsiasi dimensionespaziale. Ma oltre all’elettricità eranoassai diffuse tecnologie come la radio,la televisione e le trasmissioni satelli-

tari. Proprio l’anno dopo la pubbli-cazione, nel 1968, di War and Pea-

ce in the Global Village, il mondointero diventò un vero villag-

gio globale, interamente as-sorto nel seguire lo sbarcodel primo uomo sulla luna,dunque annullando le di-stanze (persino fino allaluna) e vivendosi come

un’unica comunità, proprio le dueprincipali caratteristiche del villag-

gio globale, secondo le ipotesi del-lo studioso nordamericano.Oggi è diventato così normale

sentirci tutti parte di uno stesso vil-laggio - ad esempio quando aspet-

tiamo l’uscita dell’ultimo volume diHarry Potter o di un album degli U2

- che ci sfuggono le enormi implica-zioni. Tutte queste tecnologie così po-tenti che abbiamo messo a punto nonhanno solo cambiato la struttura del-le nostre società e il modo in cui co-munichiamo - come aveva ben intuitoMcLuhan - ma ci hanno fatto combi-nare un bel guaio: far salire di diversigradi la temperatura del nostro pia-neta, aprendo così la strada a scenaricatastrofici. Forse persino la cancella-zione di intere città. O magari sarà an-cora una volta la tecnologia a salvar-ci. Ma sarà necessario che si realizziun’altra profezia di McLuhan: l’emer-gere di una nuova dimensione di cor-responsabilità comunitaria e un con-seguente maggiore coinvolgimentodelle opinioni pubbliche a livello in-ternazionale. z

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DAL TERRENO AL CIELO: UNA VISIONE OLISTICA DELLA CITTÀ

LA CITTÀ, CREAZIONE UMANA PER ECCELLENZA, PERIODICA-MENTE SI RIVOLTA CONTRO IL SUO CREATORE, TRASFORMAN-DOSI IN UN MOSTRO. MA ORA SERVE UN NUOVO SALTO DI QUALITÀ, CON L’INNESTOPROGRESSIVO E URGENTE DI ALMENO 3 SISTEMI CAPILLARI EINTERNI ALLE CITTÀ: IMPIANTI DI PICCOLA SCALA PER LARIPRODUZIONE E IL RIUSO DELLE STRUTTURE; UNAMOVIMENTAZIONE PIÙ EFFICIENTE DI UOMINI E COSE;SISTEMI DI FEED-BACK. LO SLOGAN CHE ORMAI DA UN DE-CENNIO LI CONTIENE TUTTI È QUELLO DELLA “SMART CITY PERUNA SMART COMMUNITY”.

Intervista a Stefano Panunzi, architetto e Prof. Associato Università del Molise, pioniere della pianificazioneurbana al livello delle coperture

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È possibile oggi adottare un approccio olisticoalla progettazione e ripensare la città con unavisione più ampia?La consapevolezza sistemica ormai dovrebbe es-sere quasi innata, lo è certamente la consapevo-lezza del destino metropolitano dell’umanità suquesto pianeta. Sono millenni che costruiamo e uti-lizziamo sistemi artificiali, dalle strade all’acqua; ne-gli ultimi due secoli dal gas all’elettricità; da qualchedecennio l’elettronica e l’informatica. Ma nonostan-te questo la città non è un sistema ‘attestato’, ma unastratificazione di sistemi interferenti che vivono cicli disaturazione e di crisi che ci costringono a inventare al-tri sistemi da aggiungere, in un processo di continuoreverse engineering come se fossimo davanti a un og-getto sconosciuto: la città, creazione umana per eccel-lenza, periodicamente si rivolta contro il suo creatore,trasformandosi in un mostro. Ora serve un nuovo saltodi qualità, con l’innesto progressivo e urgente di almeno3 sistemi capillari e interni alle città: impianti di piccolascala per la riproduzione ed il riuso delle strutture; unamovimentazione più efficiente di uomini e cose; sistemi difeed-back. Lo slogan che ormai da un decennio li contienetutti è quello della “Smart City per una Smart Community”.

Cosa significa considerare anche la dimensione verticaledella città? È vero che è possibile lavorare a livello pro-gettuale anche sull’immenso territorio inutilizzato dellecoperture piane degli edifici?Certo! È proprio la nuova frontiera interna da conquistare, nel-le parti più dense e degradate delle nostre città, sopratutto nel-le periferie. È il nocciolo di una sfida che l’architettura ci rac-conta da sempre, ma che ha avuto un’accelerazione straordi-naria dalla fine dell’Ottocento.Il nostro edificio residenziale plurifamiliare, soprattutto quelload alta densità abitativa, deve essere considerato come una mi-cro città verticale innestata sulla piastra orizzontale della logisti-ca urbana (impianti di adduzione e scarico, mobilità e scambio

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commerciale). Ogni edificio può esse-re raccontato come una Torre di Ba-bele che poggia sulla Kasbah o, sepreferisci, sul Souk degli scambi cheavvengono per strada e ai piani terra.Ora dobbiamo attrezzarci per rendereproduttive le coperture, soprattuttoquelle condominiali, un suolo da lot-tizzare per mettere a km zero tuttoquello che manca in casa e nel quar-tiere… Una specie di riconquista delGiardino dell’Eden.

Può citare degli esempi concreti?Ci sono dei precedenti storici inquesto senso?Ci sono esempi nella mitologia e nel-la storia antica, nell’utopia, nellegrandi aree metropolitane di tutto ilmondo. Dai giardini di Babilonia a Vil-le Savoye di Le Corbusier, dai tetti diEl Zabaleen al Cairo alle rooftop farmdi Brooklyn.

Cosa possono fare le istituzioni perincentivare questo nuovo approc-cio all’urbanistica e all’edilizia?Sicuramente rendere sempre più sem-plice l’attuazione di leggi che in alcunipaesi stanno dando ottimi risultati, co-me il Green Infrastructure Plan di NewYork. Ma come al solito anche l’Italia haleggi in tal senso, male o per nulla appli-cate, come ad esempio la Legge 10 del2013 sul verde urbano, pubblico e pri-vato, la quale parla esplicitamente di in-centivare giardini pensili sui tetti e sullefacciate. Il Comune di Bari ha appenaemanato un bando per finanziare giar-dini pensili sui condomini privati, il Mini-stero dei beni culturali ha creato un ta-volo di concertazione interistituzionale,il Forum Corviale, insieme all’ATER(Azienda Territoriale per l’Edilizia Resi-denziale), la Regione Lazio, il Comune diRoma, associazioni e una rete nazionaledi università. In questo ambito mi occu-

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po della creazione di una mostra labora-torio di prototipi da tutte le regioni d’Ita-lia, per trasformare quel tetto lungo un

chilometro in un Roof TopLab da interconnettere conExpo Milano 2015. Da qualche anno coordinouna “eco-cluster-coopera-tion” nazionale, UnitedRoofs, che propone la bo-nifica della crosta urbanaattraverso la trasformazio-ne dei tetti in suolo pro-duttivo di alimenti, ener-gia e fablabs.

Cosa sono le funivie urbane equale contributo potrebbero darea una città più sostenibile ?La funivia è un antico e affascinantesistema di trasporto, che nell’ultimosecolo identifichiamo con i sistemi dirisalita in montagna, ma in realtà ègià usata da quasi un secolo, conspostamenti orizzontali anche in am-biti urbani, un esempio per tuttiquello di Barcellona, tra il Montjuiced il porto. L’attuale possibilità tecni-ca di avere stazioni intermedie e lasosta della cabina in stazione per sa-lire comodamente la stanno trasfor-

mando in una straordinaria soluzionestrategica per completare le reti deltrasporto pubblico esistenti. Ma quiapriremmo un altro capitolo che me-riterebbe molto più spazio e che ad-dirittura potrebbe essere realizzato inItalia prima dei “tetti produttivi”. La cosa interessante di tutti questi te-mi, tornando all’impostazione olisti-ca della prima domanda, è la necessi-tà di trasformare in sistema dotato dianelli di retroazione, la filiera che nonriesce a collegare il territorio con lapolitica che deve amministrarlo. Chi governa non può continuare aconsiderare l’ascolto di chi vive sulterritorio un approccio dal basso, madeve essere cosciente del fatto cheogni persona che vive quotidiana-mente la città è come un pixel indi-spensabile ad alzare la risoluzionedella politica, finora sofferente diuna bassissima risoluzione, vicina al-la miopia, per non dire cecità. Il fa-moso slogan “la mappa non è il ter-ritorio” andrebbe rovesciato in “ilterritorio è la sua mappa”. Oggi la riforma della politica devepassare dall’ascolto e dall’attesa diproposte genera-te dal terr itorio,insieme a espertiche ne garantisca-no la validità tec-nica e la compati-bilità normativa.Il suo unico com-p i to sa rà acco-glierle e garantir-ne la migliore rea-lizzazione. z

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PRIMO PIANO: OLISMO E SOSTENIBILITÀ

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Buckminster Fuller, uno dei genidel ventesimo secolo, noto so-prattutto come padre della cupo-

la geodetica, ebbe la svolta della sua vi-ta grazie a una visione, nel corso dellaquale si sentì dire: “Non appartieni a testesso, appartieni all’universo. Ciò chetu significhi ti rimarrà ignoto per sem-pre, ma potresti realizzare il tuo ruolodedicandoti a dirigere le tue esperienzeverso il massimo vantaggio per gli altri”. Da quel momento, convinto che unsingolo individuo può dare un contri-buto sostanziale a cambiare il mondo,

portando benefici all’umanità intera,portò le sue capacità progettuali a unascala visionaria, fino all’invenzionedella cupola geodetica, nel primodopoguerra. Anzi, alla reinvenzione,perché una struttura analoga era giàstata brevettata e costruita nel 1922da Walter Bauersfeld, ingegnere capodelle industrie ottiche Carl Zeiss, inGermania, per alloggiare il proiettoredi un planetario.Fuller sfruttò e sviluppò al massimogrado l’idea di questa struttura com-posta esclusivamente da sottili aste, di-

sposte a formare triangoli accostatiuno all’altro, fino ad approssimare laforma di una sfera. Una struttura delgenere è molto efficiente, perchériduce al minimo possibile l’uso dimateriali rispetto al volume coper-to. Grazie al sistema del triangolo, in-fatti, ogni asta lavora solo a trazione ocompressione, non potendo mai subi-re flessioni e perciò richiedendo dia-metri minimi. Di “cupole di Fuller” nesono state costruite ovunque, nelmondo, ma mai per realizzare la suaspecifica visione, che era quella di da-

IL PERSONAGGIO:BUCKMINSTER

FULLER

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UNA VISIONE SISTEMICAMa il motivo per cui oggi è utile parlaredi Buckminster Fuller è la sua visionesistemica, cioè olistica, del mondo, chelo ha portato ad anticipare - forse trop-po presto - molte idee e tendenze cru-ciali per l’umanità e in questa fase stori-ca estremamente attuali. Fuller ha in-nanzitutto teorizzato la necessità difare di più con meno, sia riciclando lerisorse esistenti in prodotti nuovi e dimaggior valore, sia realizzando prodottipiù sofisticati con l’uso di quantità mi-nori di materiali. Aveva a tal fine conia-to il termine “efemeralizzazione”, in-tesa come la capacità del progresso tec-nologico di “fare sempre di più consempre di meno, fino a poter faretutto con niente”. Come tendenza dimassima, questa sembrerebbe la stradaobbligata per rendere sostenibile la so-pravvivenza di un’umanità da 9 miliardidi persone (la popolazione prevista a re-gime, dal 2050 in poi), ma anche, giàoggi, il motore di un numero straordi-nario di innovazioni da parte dei centridi ricerca e delle imprese, per realizzarenuovi materiali a partire dagli scarti ditutti i tipi. Le stesse cupole geodetiche sono unesempio di come si possa fare molto (co-prire grandi spazi) con poco (una quan-tità minima di materiale). Nate dalla vo-lontà di soddisfare esigenze abitative,possiamo vederle oggi come il primopasso che lo ha portato a diventare ilpioniere per eccellenza del pensareglobalmente. Puntò l’indice contro ladipendenza energetica dal petrolio, af-fermando che “non c’è alcuna crisienergetica, solo una crisi d’ignoranza”.

LA COLLABORAZIONE COME UNICASTRATEGIAUn altro motivo per cui oggi è uti-le ricordare Fuller è che la sua pre-occupazione per la sostenibilità ri-spetto all’umanità intera non sitradusse in pessimismo, ma proprionel suo contrario. Il sempre maggiorepatrimonio di conoscenza di cui l’uma-nità dispone, applicato alla disponibilità

di materiali e risorse per lo più giàestratti dai giacimenti disponibili, incombinazione con lo sfruttamento di ri-sorse rinnovabili come il sole e il vento,secondo l’architetto americano, rende-rà inutile sia l’autosufficienza sia lacompetizione tra le diverse comunitàumane, facendo diventare obsoleta laguerra e rendendo la collaborazionel’unica strategia possibile. Nel suo libro“I seem to be a Verb” (1970) scrisse“Vivo sulla Terra oggi, e non so cosa so-no. So che non sono una categoria.Non sono una cosa, un nome. Sembroessere un verbo, un processo evolutivo- una funzione integrale dell’universo”.Questo vedere i singoli individui - e cosìle organizzazioni, le città, le nazioni -non come entità separate e autonome,ma come processi in continua evoluzio-ne, strettamente interconnessi tra loroe parte integrante di un unico mondo,non è solo una visionaria interpretazio-ne olistica della realtà. È una visioneestremamente realistica. Gli scienziati,che sin dall’inizio del ventesimo secolo,grazie alla fisica quantistica, hanno sco-perto che noi e tutte le altre cose delmondo siamo sostanzialmente la stessacosa, cioè energia, devono ancora tro-vare un corrispettivo nel pensare comu-ne. Un pensare troppo legato a unaconcezione “dualista” del mondo: dauna parte ci sono io, dall’altra tutto il re-sto dell’umanità, gli altri esseri viventi el’ambiente nel quale viviamo. z

re vita a un sistema su larga scala perabitazioni talmente leggere da poteressere trasportate per via aerea. È sta-ta usata per costruire osservatori me-teorologici, auditorium, magazzini,battendo tutti i record di superficie co-perta, volume racchiuso e velocità dicostruzione. Nel 1975 ne fu costruitauna per ospitare la stazione antarticaAmundsen-Scott, la quale, date lecondizioni, richiedeva una grande re-sistenza al carico della neve e del ven-to. Tutt’oggi ne esistono diverse conun diametro che supera i 200 metri.

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LA FATTORIA CHESEGUE LE ORME DIMADRE NATURA

“Quando considero che non c'è al mondo un'attività più antica dell'agricolturae nello stesso tempo indispensabile perché ci fornisce da mangiare e da vestire, mi stupisco che

oggigiorno gli uomini l'apprezzino tanto poco. (…) Non c'è diletto maggiore di quello di occuparsiattentamente alla cura quotidiana dei propri giardini, degli orti, dei broli e dei campi”.

(Giacomo Agostinetti, da “Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa”, 1679).

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Le parole di Giacomo Agostinetti (ri-portate nella pagina qui a fianco), fat-tore che servì molti nobiluomini ve-neti del Seicento e che decise di rac-contare il suo mestiere nel manualeCento e dieci ricordi che formano ilbuon fattor di villa, ricordano una vi-sione dell’agricoltura sinonimo diamore per la propria terra, rispettoper tutti i suoi elementi e ritorno alleorigini. Quasi 250 anni più tardi, e piùprecisamente nei primi anni Venti,questa visione sembra riemergere, inchiave moderna, nell’agricoltura bio-dinamica, ovvero un modo di fareagricoltura che presuppone una visio-ne olistica della coltivazione poichéconsidera la terra e tutte le sue formedi vita come un unico e complesso si-stema da rispettare e tutelare. Si par-la quindi di un tipo di agricoltura cheè in maggiore sintonia con la Naturarispetto a quella biologica poiché, co-me affermò Rudolf Steiner, filosofo eispiratore del concetto di agricolturabiodinamica, “l’aziendaagricola è un vero e pro-prio organismo viven-te a ciclo chiuso, inse-rito nel più grande or-

ganismo vivente cosmico, alle cui in-fluenze soggiace”.Per scoprire di più su quest’universoparallelo, e per certi versi alternativoall’agricoltura tradizionale, abbiamochiesto maggiori delucidazioni a Mar-co Serventi, membro dell’Associazio-ne per l’Agricoltura Biodinamica, checonsidera questo particolare metododi coltivazione un potenziale punto dipartenza per la produzione alimenta-re futura.

Cos’è la “permacultura”?La permacultura nasce da un concet-to di Agricoltura Permanente per ilquale non può esistere cultura senzauna agricoltura adeguata a una vitasana in un ambiente sano. La capacitàdei sistemi ecologici e agrari di autori-pararsi e adattarsi è enfatizzata e or-ganizzata per rendere sostenibile, perun tempo illimitato, un sistema agri-colo. Il tutto avviene studiando le re-lazioni tra viventi, con particolare ri-

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UN MODO PER TORNARE A COLTIVARE LA TERRAIN ARMONIA CON LE MERAVIGLIE DEL CREATOESISTE E RISPONDE AL NOME DI AGRICOLTURABIODINAMICA.

Intervista a Marco Serventi, membro del boarddell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica,docente di Agricoltura Biodinamica e SeniorInspector di Demeter Italia

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PRIMO PIANO: OLISMO E AGRICOLTURA

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L’ASSOCIAZIONEPER L’AGRICOLTURABIODINAMICAL’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica,che promuove questo “approccio alla terra” inambito culturale, informativo, formativo e diricerca, ha una propria sede centrale a Milano ediverse sezioni regionali in tutta Italia. Dal 1985,al suo fianco, c’è la Demeter Associazione Italia,(vedi box a pag. 47).L’Associazione organizza anche corsi, convegni,iniziative culturali e progetti per promuovere efar conoscere il metodo dell’agricoltura biodinamica e il suo impiego sul mercato.

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DEMETER ASSOCIAZIONE ITALIALa Demeter Associazione Italia è un’associazione privata che riunisce tutti i produttori, trasformatori e distributorii cui prodotti agricoli e alimentari biodinamici sono conformi agli standard internazionali di Demeter in termine diproduzione, trasformazione ed etichettatura. L’Associazione, che ha sede a Parma, ha il compito di controllare,con occhio scrupoloso, tutte le fasi della filiera al fine ultimo di tutelare il marchio da eventuali abusi e denigra-zioni. I controlli effettuati riguardano sia la produzione vegetale, l’uso di compost naturali, sia la lavorazione dicarne, prodotti caseari, prodotti di panificazione, frutta, verdure, spezie, erbe aromatiche, e prodotti non alimen-tari come i cosmetici e i prodotti tessili.

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ferimento ai vegetali, organizzandosistemi complessi di consociazione eincrementando la biodiversità secon-do le possibilità offerte dal luogo. Intutto questo il consumo di energiaè razionalizzato e riportato a unpercorso di maggior indipendenzapossibile da soluzioni non rinnova-bili. Massimo riciclaggio interno eminimizzazione dei rifiuti noncompostabili sono naturalmentecorollari del sistema.

In cosa consiste l’olismo della per-macultura?La permacultura contesta la visioneconsumistica del sistema economi-co del '900 e denuncia i limiti del ri-duzionismo scientifico contrappo-nendo una visione molto meno"meccanica" e più "sistemistica" incampo scientifico. In particolare,contrappone alla visione "puntifor-me" dell'ambiente agricolo, e non,un’osservazione a livello dei sistemiecologici complessi. Le conoscenzeche sono accettate nella "tecnologia"agraria sono tutte quelle che incre-mentano la biodiversità e non inter-feriscono in modo unilaterale e ridut-tivo nell'ecosistema agrario. In questa

visione vi è quindi una conoscenzabiologica, meteorologica, pedologi-ca, microbiologica e botanica che in-clude anche le relazioni delle azioniumane con l'ambiente e con il socialee che evidenzia una tendenza allacomplessità dei fenomeni di relazionedal punto di vista fisico, economico,psicologico, etologico ed ecologicotra tutti i viventi che esistono su unterritorio.

Su quali principi si fonda l’agricol-tura biodinamica? Anche questa èuna disciplina olistica?L'Agricoltura Biodinamica nasce nel1924 da un gruppo di agricoltori eproprietari terrieri che posero a Ru-dolf Steiner, scienziato e filosofo digrande valore e innovazione, que-stioni fondamentali e pratiche che, adistanza di 90 anni, si sono rivelatefortemente innovative e rivoluziona-rie. L'impostazione di fondo rivela unnuovo paradigma scientifico che criti-ca fortemente il limite del meccanici-smo e del riduzionismo scientifico tut-to orientato a una concentrazione deisottolivelli della materia persino neisistemi viventi. Il riduzionismo scienti-fico è quel procedimento per cui un

determinato oggetto d’indagine vie-ne analizzato nelle sue parti compo-nenti relativamente più semplici e in-terpretato o spiegato mediante la lo-ro addizione. La spiegazione di un fe-nomeno su un livello diviene possibi-le, nel riduzionismo, attraverso l’esa-me dei sottolivelli. Questo ha com-portato un abbandono dell’osserva-zione dei fenomeni nella loro globali-tà per ridurli al livello al quale siamoin grado di percepirli noi con i nostrisensi. Se teniamo conto che l’agricol-tura è nella sua essenza l’arte di osser-vare e compiere sintesi interdiscipli-nari conoscitive e operative, fondatasu una percezione continua e dinami-ca della natura e raffinata dall’espe-rienza, comprenderemo che il secoloscorso è stato quello nel quale unagraduale disarticolazione della cultu-ra agricola ha consegnato ciò che neresta nelle mani dell’estremismo ridu-zionista. Le proposte dell’ingegneriagenetica in agricoltura sono oggi unodegli aspetti del riduzionismo. Maanche tutti gli aspetti della nutrizionevegetale, del metabolismo dell’hu-mus e del rapporto della pianta conesso, della nutrizione animale e mol-to altro sono elementi da rivisitare in

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PRIMO PIANO: OLISMO E AGRICOLTURA

I PRINCIPI E GLI STRUMENTIDELL'AGRICOLTURA BIODINAMICAa) Fare di una fattoria un Organismo Agricolo per giungere poi a farne un’Individualità

Agricola. Si tratta di una posizione simile a quella originata dalla permacultura, mache si fonda sulla consapevolezza che nel campo del vivente non è possibile applicareun metodo di osservazione, ricerca e applicazione "tecnologica" applicato nel campodella fisica e della chimica della materia non vivente. La fisiologia vegetale, animalee umana non può essere letta come generata dalle sole forze fisiche, elettriche o ma-gnetiche in cui sono coinvolti elementi chimici variamente combinati. Vi sono forzespecifiche del vivente che si manifestano poi sul piano delle forme fisiche delle piante,degli animali e che determinano fenomeni notevolmente diversi da quelli cui sonosottoposte le sostanze sul piano non vivente. Una visione molto precisa e con unospecifico linguaggio del mondo delle piante, del terreno e degli animali che giunge, conla medicina antroposofica, a livello della fisiologia umana è caratteristico dell’agri-coltura biodinamica. L’Individualità Agricola è un’ulteriore evoluzione del nostro pae-saggio agricolo e della nostra azienda, così ricco di specie e di dinamiche ecologicheda configurare un sistema stabile e autoregolato, frutto di una sinergia tra organi-smi viventi ai massimi livelli in grado di produrre humus in modo intensivo e al con-tempo produrre in quantità e qualità cibo vivo e sano.

b) Preparati biodinamici. Sono preparazioni fatte in azienda con materiali vegetali eanimali combinati tra loro e organizzati secondo una comprensione profonda dellaloro funzione, gnoseologia ed embriologia che produce strumenti importanti per in-crementare e armonizzare i processi dell’humus nel terreno agricolo, organizzare earmonizzare lo sviluppo delle forme vegetali e la loro fisiologia e infine organizzaree armonizzare i processi di trasformazione e umificazione colloidale del composto.

c) Importanza dell’allevamento animale come organo importante dell’Individualità Agri-cola nonché intensificatore e armonizzatore dei processi legati al ciclo del carbonio in-terno al nostro organismo agricolo in relazione con tutti gli altri elementi. In questavisione, l’allevamento animale non è pensato in modo intensivo, ma in armonia conle tipicità del nostro organismo agricolo.

d) Compost con letami o scarti vegetali.

e) Sovesci e compost di superficie.

f) Rotazioni, avvicendamenti e consociazioni secondo una visione massimamente bio-diversificata che guarda sempre all’insieme del nostro organismo agricolo.

g) Osservazione dei ritmi in cui siamo inseriti: quelli lunari, solari, planetari, e quelli re-lativi alle costellazioni che si affacciano sul nostro organismo agricolo, nel cielo chevediamo sulla nostra azienda. Le azioni agricole che compiamo tengono conto di que-sti ritmi generali in relazione con il microclima specifico del luogo e per questo abbiamocalendari delle semine piuttosto dettagliati.

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un’ottica non riduzionista. I ricercatori bio-dinamici operano dall’inizio del secoloscorso per ricostruire nel tempo una rin-novata e autonoma cultura agricola, a par-tire dal dibattito nel campo della biologia,della morfologia e dell’epistemologia.

Agricoltura biodinamica, permacul-tura, agricoltura biologica: sonosinonimi o si tratta di aspetti diversidella stessa disciplina? E in questocaso quali le principali differenze?La relazione tra agricoltura biologica equella biodinamica è quella di cuginanza.L’agricoltura biologica è venuta dopo enon si pone storicamente in discussionesui fondamenti gnoseologici e sui para-digmi scientifici di base. Possiamo dire cheelimina e rifiuta le operazioni d’interfe-renza con i processi agricoli e con i mezzichimici e punta a stabilire un’agricoltura alminimo impatto ambientale. Tuttavia,può giungere a un modello agricolo in cuisi sostituisce lo strumento di derivazionechimica con quello di derivazione natura-le senza proporre altro di diverso. Comeanche vi sono moltissime realtà agricoleche cercano un diverso fondamento e undiverso modello tecnico ed economico sucui operare. L’azione dell’agricoltura bio-logica non giunge all’ampliamento di vi-sione, di pratica agricola e di ricerca scien-tifica con altre basi epistemologiche cosìcome tenta invece di fare l’agricoltura bio-

dinamica. Quest’ultima in effetti non sipone come alternativa all’agricoltura con-venzionale, ma si pone come ampliamen-to alla sua ristretta visione riduzionista. Ilriduzionismo non è in grado di conoscerela realtà di un organismo più ampio, si fer-ma solo al particolare ultra specialistico,meccanico. In questo senso oggi si perce-piscono segnali di attenzione da parte delbiologico verso la via biodinamica come li-berazione dalla gabbia riduzionista cheporta l’attuale desertificazione dei nostrisuoli patri.

Le pratiche dell’agricoltura biodina-mica sono alla portata di tutti? Comepossono essere trasmesse anche a chinon possiede affatto il pollice verde?Le pratiche della biodinamica sono com-plesse ma ogni agricoltore vero è perfet-tamente in grado di farne esperienza e diavviarsi a una conversione ed educazio-ne che portano a osservare in modo at-tento quel che succede nella propria fat-toria. D’altra parte questo implica unavolontà individuale di procedere a que-sta “rifondazione” del proprio rapportocon il mondo in cui lavora. È un percorsocreativo e intenso che porta cambia-menti e salute non solo all’ambiente e achi consuma il prodotto, ma anche allaqualità interiore delle persone che vi la-vorano. Se qualcuno non ha il pollice ver-de e si trova a fare l’agricoltore dovrà

senz’altro faticare un po’ di più ma vi puòcertamente riuscire.

Prima o poi riusciremo a vivere tuttiin armonia con la natura? Secondo lei c’è davvero un interessegenerale nell’ottenere questo risul-tato e potremmo vivere di sola terra?Noi biodinamici sappiamo che tutto ilpianeta si è co-evoluto (non amiamo lavisione competitiva e guerresca di unacerta interpretazione del darwinismoperché non corrisponde alla realtà) econ la saggezza di coloro che migliaiadi anni fa hanno trasformato in armo-nia, con le leggi di natura intrinseche, lepiante e gli animali di cui ci nutriamo,abbiamo avuto fino a due secoli fa ciboadatto allo stato evolutivo umano. Il‘900 è stata una lunga interruzione diquesto processo co-evolutivo. Dobbiamo trovare i semi, gli animaliadatti allo stato evolutivo dei nostri cor-pi, delle nostre anime e dei nostri spiritiattuali che sono rimasti senza quella ric-chezza di forze che è sempre statal’obiettivo dei nostri padri agricoltori.Non si tratta d’interesse (che c’è, istinti-vo o evoluto, ma c’è!) perché oggi è unanecessità per tornare a non a parlare disalute, ma di salutogenesi. La biodina-mica è la porta da cui riteniamo pos-sa giungere un contributo per il cibodel futuro. z

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MEDICINA:CLASSICA, ALTERNATIVA O COMPLEMENTARE?

“...è diventato sempre piùdi moda dir male del-la medicina classica e

un gran bene di quella ‘alternativa’.I nomi, se non altro, suonano più at-traenti: ayurveda, pranoterapia,agopuntura, yoga, omeopatia, reiki,

erbe cinesi, e (perché no ?) iguaritori filippini o no... Quan-do si trattò della mia sopravvi-venza non ebbi un momento diesitazione: dovevo affidarmi aciò che mi era più familiare, al-la scienza, alla ragione occi-dentale... Più stavo con lascienza e la ragione, più micresceva dentro la curiositàper la magia e la follia delle‘alternative’ che avevo scar-tato all'inizio".

(Tiziano Terzani “Un altro giro di giostra”)

Olismo e medicine alternative, olismoe medicina tradizionale… Scelta diffi-cile, che fa tornare alla mente il libroscritto da Tiziano Terzani, giornalistae scrittore morto nel 2004, in cui par-la del suo modo di reagire al tumoreall’intestino, viaggiando per il mondoe osservando le tecniche della medici-na moderna occidentale e le medici-ne alternative.Quante sono le branche della medici-na? Quanto sono valide? Quale sce-gliere nel momento del bisogno? Unaè migliore dell’altra? È molto difficileorientarsi in questo mondo ancheperché, pur alcune essendo antichissi-me, ben poco sono conosciute da noioccidentali. Possiamo comunque direche la medicina è una sola ma moltisono i modi della sua pratica. Molti diquesti sistemi di cura hanno originemillenaria, altri sono di recente utiliz-

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zazione ma quasi tutti hanno in co-mune una visione dell'uomo comeentità indivisibile, difficilmente inca-strabile in dettami dualistici che sepa-rano la mente dal corpo.Per capire meglio si può affermareche la medicina convenzionale è quel-la in cui i principi e le tradizioni scien-tifiche guidano il sistema sanitario na-zionale. La pratica della medicinaconvenzionale richiede una profondaconoscenza della struttura del corpoumano e delle sue dinamiche ordina-rie e anomale. Questo approccio in-forma tutta la struttura socio-sanita-ria che pertanto è preposta a ricono-scere le patologie (diagnosi) e a inter-venire per ripristinare il normale fun-zionamento con svariati strumenti,principalmente con la terapia farma-cologica e chirurgica. La medicina alternativa invece com-prende ogni forma di pratica medicache si pone al di fuori dell’ambito del-la moderna medicina occidentale eingloba tutte le metodiche terapeuti-che non riconosciute dalla scienzamedica ufficiale. Infine la medicina complementare: sitratta di ogni forma di pratica medicaal di fuori dell’ambito della modernamedicina occidentale, che viene usatain associazione alla medicina conven-zionale. Ad esempio: l’agopunturapuò essere utilizzata per lenire i dolo-ri durante interventi chirurgici ol’omeopatia può intervenire per raf-forzare naturalmente le difese immu-nitarie durante un trattamento anti-biotico.La differenza fondamentale tra lamedicina tradizionale occidentale e

quella definita “olistica”, naturale oalternativa sta nel fatto che nella pri-ma la cura della malattia avviene pre-valentemente attraverso l’uso dei far-maci e nella seconda si tenta di ri-muovere le cause di ciascun disturbopassando da una profonda analisi delcorpo e della psiche del paziente.È possibile che medicina tradizionalee medicina alternativa interagiscano?Secondo una recente indagine i pro-gressi della medicina occidentale neltrattamento dei tumori è data in co-stante aumento.Oggi si stima che circa il 30%- 40% deipazienti affetti da malattia tumoralesopravviva più di cinque anni dopo ladiagnosi, che è il periodo di calcolostatistico per essere considerati fuoririschio. Secondo alcuni studi, una cura tradi-zionale integrata con la Medicina Ci-nese potrebbe permettere di aumen-tare le speranze di vita dei pazientioncologici. I risultati pubblicati dalMemorial Sloan Kattering Hospital diNew York, presso il quale sono statifatti studi di ricerca (epidemiologica)sul cancro, hanno mostrato che i risul-tati di sopravvivenza a cinque anni difollow-up aumentava dal 30% al 60%in pazienti che seguivano una terapiamedica combinata alla Medicina Ci-nese. Quest’ultima agisce sugli ele-menti esclusi dalla terapia medica: larisposta individuale del malato, la tol-leranza dei farmaci, la velocità di recu-pero, l’efficienza del sistema immuni-tario, la risposta psicologico-emotiva.Che, come spesso accadde, l’unionefaccia la forza? Speriamo, speriamodavvero. z

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ABCPRIMO PIANO: OLISMO E MUSICA

QUANDO LA MUSICA DÀ I NUMERILA MUSICA CREA DEI PONTI IMPREVISTI E INASPETTATI CONDIVERSE DISCIPLINE, TRA CUI LA FISICA E LA MATEMATICA.QUESTO CONNUBIO DI NOTE E NUMERI DÀ COSÌ VITA A UNINIMMAGINABILE APPROCCIO OLISTICO ALLA REALTÀ.

Intervista a CorradoGreco, pianista di

fama internazionale,componente del Trio

des Alpes eprofessore al

Conservatorio diMilano

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La musica, nel lungo corso dellaStoria, ha stretto forti legami conmolteplici discipline: dall’architet-

tura alla fisica, dalla medicina al diritto,dalla filosofia alla psicologia fino allamatematica, sviluppando un approcciosempre più olistico alla realtà. Data lavasta interconnessione con settorispesso molto distanti l’uno dall’altro, siritiene che la musica abbia contribuito,in parte, alla nascita della scienza mo-derna. In particolare, la musica vanta,da tempi immemorabili, un rapportoprivilegiato con la matematica. Questolegame, infatti, fu indagato in primisdai lontani filosofi Pitagorici i quali, nelIV secolo a.C., scoprirono le basi dellascala naturale dei suoni e alcuni degliaccordi fondamentali. Più tardi, lo stes-so Lorenz Mizler, allievo di Bach, affer-mò nella prima metà del Settecento

che "la musica è il suono della mate-matica", sottolineando così l’inequivo-cabile legame tra teoria musicale estrutture matematiche.Abbiamo quindi deciso di chiedere aCorrado Greco, pianista di fama inter-nazionale e professore al Conservato-rio di Milano, maggiori delucidazionisul rapporto che esiste tra la musica ele altre scienze e come questo aspettoinfluenzi il “fare musica”.

Quanta matematica c’è nellamusica?Moltissima. La musica può essere defini-ta l’arte di disporre suoni e silenzi nelcontinuum temporale. Tale disposizione,per non risultare caotica all’orecchio, ob-bedisce da tempo immemorabile a sud-divisioni matematiche naturali: le ricono-sciamo istintivamente perché affini alle

pulsazioni della nostra fisiologia. È cosìche nei ritmi variegati della musica e del-la danza si sublimano gli elementi ritmi-ci primigeni del battito del cuore e del-l’alternarsi del passo. Una componenteritmica pulsante e profonda permea an-che il cuore stesso del suono: la frequen-za con cui un’onda sonora, fluttuando,si propaga determina in modo diretta-mente proporzionale l’altezza del suo-no. Sono molti i fenomeni sonori chepossono essere indagati matematica-mente: il temperamento - che è correla-to all’accordatura degli strumenti - i bat-timenti, i fenomeni dell’eco e della riso-nanza, per citarne solo alcuni. Ci sonoprocedure matematiche alla base dellasintesi sonora degli strumenti elettronici,del campionamento del Compact Disc, evia dicendo. C’è spesso un rigore mate-matico anche nella ricerca di armonicità,

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PRIMO PIANO: OLISMO E MUSICA

di equilibrio che lega le sezioni di unacomposizione, si tratti di una semplicecanzone o di una gigantesca sinfonia. Sono traslati gli stessi principi che ci fan-no guardare con ammirazione alle sim-metrie in architettura o alle distribuzionigeometriche nelle arti figurative. Questistessi principi avevano inserito a pieno ti-tolo la musica nel Quadrivium medieva-le, assieme all’Aritmetica, la Geometria el’Astronomia. L’intera storia della Musi-ca, oltre che una profonda esperienzaestetica, è anche un’affascinante avven-tura di trasformazioni matematiche, chea partire da suoni semplici e pulsazionielementari, ci conduce fino alle più ardi-te complessità foniche, ritmiche e strut-turali della musica d’avanguardia.

La musica ha rapporti anche conaltre scienze?

Certamente. La fisica innanzitutto, perla materia di cui è fatta e sulla quale in-daga la branca dell’acustica. Ma la mu-sica dialoga trasversalmente con le piùsvariate e spesso imprevedibili disciplinee settori scientifici: dalla psicoacusticaall’informatica, dalla medicina all’archi-tettura, dalla psicologia all’astronomia,dal marketing alle neuro scienze, fino al-la robotica.

Per suonare e comporre bisognapossedere tecnica e specializzazio-ne. Secondo lei, però, la musica puòessere definita anche una disciplinaolistica?Sicuramente. In musica il risultato com-plessivo vale sempre ben di più dellasomma delle singole parti. Anzi, quantapiù “armonia” c’è nella disposizionetimbrica e strutturale, quanto più abil-

CHI È CORRADO GRECOA 19 anni, dopo il diploma con lode in pianoforte al “Bellini” di Ca-tania, si è perfezionato con Alberto Mozzati e a lungo con BrunoCanino, completando gli studi al Conservatorio di Milano, dove si èdiplomato a pieni voti in Composizione e in Musica Elettronica. Premiato in concorsi pianistici nazionali e internazionali, suona re-golarmente da solista e con orchestra in Italia e all’estero. La sua attività cameristica vanta collaborazioni con Mario Ancillotti,Arturo e Rodolfo Bonucci, Mario Caroli, Massimo Quarta, GiovanniSollima, Tatjana Vassiljeva, Lorna Windsor. Come pianista del Trio des Alpes suona per le più importanti istitu-zioni musicali europee. Si è esibito in Francia, Russia, Slovenia, Croa-zia, Portogallo, Svizzera, Austria, Egitto, Etiopia, Indonesia, Belgio,Spagna. Ha suonato nella Conway Hall a Londra e ha effettuato duetournée in Giappone. Recentemente ha tenuto concerti a due piano-forti con Bruno Canino, ha eseguito il Concerto di Chausson per Mi-lano Classica, il Primo Concerto di Šostakovič con la PKO al Festival diLubjana e il Quintetto di Dvorak con l’Amarcord Quartett (BerlinerPhilharmoniker). Ha eseguito il Triplo di Beethoven nella Sala Filar-monica di Trento, è stato invitato da importanti Università americane(Northwestern, UMBC) per masterclass e concerti negli USA. Ha registrato per la RAI e due volte in diretta Euroradio nei “Con-certi del Quirinale” di Radio3.Tiene seminari, conferenze e lezioni-concerto. Ha pubblicato per laWB Italia e collaborato con Adriano Abbado alla realizzazione di unCD-Rom sul Don Giovanni di Mozart.

mente è condotto il gioco delle parti e sicompie la magica cooperazione del suo-nare insieme, tanto più il risultato è vali-do e interessante. La stessa cosa vale perla formazione musicale: il musicistacompleto deve mirare a una formazioneglobale, dove tecnica e specializzazionecoesistano insieme con sguardo d’insie-me e profondità emotiva, preparazioneculturale ed esperienza di vita.

Come s’inserisce la sezione aurea inmusica?La sezione aurea è il nome che si dà auna proporzione matematica moltopresente nella costruzione musicale.Così come nelle arti figurative e in archi-tettura, questa proporzione infonde unsenso di plastico equilibrio alle formemusicali che ne riproducano la disposi-zione. La sezione aurea è presente poi

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L’orecchio assoluto èla capacità di ricono-scere le altezze deisuoni presi singo-larmente, con-frontandol i conun proprio riferi-mento interno.

Non sono moltissimia esserne dotati, ma

non credo affatto siauna condizione indispensa-

bile per essere un buon musicista. Nel-la pratica musicale è molto più utilecoltivare un buon orecchio relativo,poiché saper porre nella giusta rela-zione altezze e timbri diversi può aiu-tare enormemente nella ricerca diquella perfetta armonia a cui tuttiaspiriamo in questo difficile e affasci-nante mestiere. z

anche nelle relazioni che i liutai rispetta-no da secoli quando determinano le di-mensioni dei diversi elementi costitutividegli strumenti ad arco.

Quando si dirige un’orchestra, ununico gesto parla a diversi stru-menti. Come nasce la perfetta ar-monia tra i vari suoni?C’è indubbiamente qualcosa di magiconella figura del direttore d’orchestra, ov-vero colui che, servendosi solo del gesto,riesce a plasmare il suono di più indivi-dualità, imponendo senza coercizione lapropria intenzione interpretativa. Il di-rettore, attraverso la concertazione e ilgesto, opera una meta comunicazione:aggiunge senso e sostanza a qualcosa -la musica - che di per sé ne è già dotata.Dirigendo fornisce informazioni chechiarificano il significato dei segni musi-

cali, simboli che hannobisogno di essere de-codificati a loro vol-ta. In questa partico-larissima forma dicomunicazione il di-rettore obbedisce aun’immagine sono-ra interiore, frutto dellavoro preliminare sullapartitura, e a essa confor-ma l’intenzione musicaleespressa nel gesto. È una sfida che ri-chiede autorevolezza, perspicacia, tec-nica, grande cultura e un’innata capaci-tà di comunicare, oltre naturalmente, aun ottimo orecchio musicale.

Chi è dotato di “orecchio assoluto”?Come può una persona riconosceredi possedere tale dono?

La musica dialogatrasversalmente con le piùsvariate discipline: dalla

psicoacustica all’informatica, dalla medicina all’architettura, dalla psicologia all’astronomia,

dal marketing alle neuroscienze, fino alla

robotica.

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PRIMO PIANO: OLISMO E LINGUAGGIO

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UNA PAROLA NON È SOLO UNA PAROLA MA LA FINESTRA CHE DÀ SU UN GIARDINO BEN PIÙ AMPIO, RICCO DI MOLTEPLICI SIGNIFICATI E CONTENUTI.

Intervista a Cesare Cozzo, docente di Filosofia all’Università La Sapienza diRoma e autore del saggio “Olismo epistemologico senza olismo linguistico”

La cosiddetta Filosofia del Lin-guaggio, ossia la disciplinache studia il linguaggio uma-

no e i suoi sistemi di comunicazio-ne, nasceva già ai tempi di Platonee Aristotele. Il modo in cui comuni-chiamo, infatti, ha sempre affasci-nato l’essere umano e il motivo ditale interesse risiede nel fatto chela capacità di padroneggiare abil-mente una lingua può rivelarsi unostrumento estremamente efficacenelle dinamiche della nostra vita

sociale, culturale e interpersonale.Non sorprende quindi che sianonumerosi i dibattiti nati attorno aquesto tema e altrettanto nume-rosi i punti di vista illustratinelle varie discipline aesso correlate.Friedrich LudwigGottlob Frege, adesempio, si chie-deva se il valoredelle parole siriducesse al lo-

Cesare Cozzo. Nato nel 1958 a Roma, nel 1986 si è laureato in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Nel 1992, ha conseguito ilDottorato di Ricerca in Filosofia all’Universita di Firenze con una tesi sulla Teoria del significato e filosofia della logica. A cavallo tra il

gennaio e il giugno del 1993 ha ottenuto una borsa di ricerca di "Filosofiska Institutionen" presso l’Universita di Stoccolma e nel 1994una borsa di ricerca post-dottorato in Filosofia della Scienza all’Universita della Basilicata-Potenza. Nel 1995, sempre all’Universitadi Stoccolma, ha conseguito il Dottorato in Filosofia Teoretica. Nel 1998 ha iniziato a lavorare all’Università La Sapienza di Roma

come ricercatore presso il Dipartimento di Studi Filosofici ed Epistemologici della Facolta di Lettere e Filosofia e dal 2005 èProfessore Associato in Logica e Filosofia della Scienza.

È autore di diversi libri e articoli pubblicati tra cui Olismo epistemologico senza olismo linguistico.

PAROLE NELLA RETE DEL

LINGUAGGIO

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ro significato, intesocome legame con

l'oggetto identifi-cato, o se, al con-

trario, non fos-se opportunotenere contoanche del sensoche esse espri-mono. A proposi-to della scelta traun approccio ato-mista e uno olisti-co al linguaggio,abbiamo chiesto unapprofondimentoal Prof. Cesare Coz-zo.

Nel linguaggio sipuò parlare di oli-smo?Molti autori adotta-no una concezioneolistica del signifi-cato e della com-prensione delleespressioni lingui-stiche. Ferdinandde Saussure sem-bra sostenereproprio questaconcezione. PerSaussure «La lin-gua è un sistemadi cui tutti i termi-ni sono solidali ein cui il valore del-l’uno non risultache dalla presenza

simultanea degli al-tri». Sulla scia del

grande linguista gine-vrino molti linguisti e stu-diosi di semiotica hanno

propugnato l’idea che

per afferrare il significato di unaparola occorra comprendere tuttala lingua. A questa poi spesso si as-socia l’altra idea che comprendereuna lingua implichi abbracciareuna visione globale del mondo - unmodo peculiare di organizzareconcettualmente la «Massa amor-fa e indistinta» del materiale pre-linguistico - incommensurabile conle visioni, altrettanto globali, con-tenute in lingue diverse. L’olismolinguistico è adottato anche damolti filosofi del linguaggio. Il filo-sofo americano Willard Van Or-man Quine è celebre per l’affer-mazione «L’unità di significato em-pirico è la totalità della scienza».Questa tesi è stata enormementeinfluente. Secondo un altro filoso-fo americano, Donald Davidson,«Possiamo dare il significato di unqualsiasi enunciato (o parola) solodando il significato di ogni enun-ciato (e parola) nella lingua. […]solo nel contesto di una lingua unenunciato (e quindi una parola) hasignificato». Non mancano, però,filosofi che criticano l’olismo lin-guistico. L’obiezione principale èche esso ci costringe a trarre unaconclusione assurda: se è vero l’oli-smo linguistico, due parlanti italia-ni qualsiasi scelti a caso non inten-dono mai nemmeno una parolanello stesso modo, perché i lorobagagli lessicali complessivi sonodiversi. Ma ovviamente l’olista puòreplicare. Questo è solo l’inizio diuna lunga discussione con il criticodell’olismo.

Come si incontra la semantica del-la singola parola con il significatoche essa va ad assumere all’inter-no di un discorso e che può cam-biare a seconda degli enunciati?Nell’uso quotidiano del linguag-gio come valutiamo se i nostri in-terlocutori comprendono o nouna parola? Semplicementecontrolliamo la capacità cheessi hanno di compiere in mo-di adeguati certe particolariazioni, azioni che contanocome mosse nel gioco del

linguaggio, ossia come atti lingui-stici - asserzioni, comandi, doman-de, ecc. Un comune parlante-ascol-tatore giudica che il suo interlocu-tore comprenda, se questi compieatti linguistici in modi adeguati. Al-trimenti il parlante-ascoltatore ten-de a ritenere che l’interlocutorenon comprenda. Per esempio: seUgo, per dire che una squadra dicalcio ha vinto la partita con diffi-coltà, afferma “la vittoria è statastentorea”, concluderemo che pro-babilmente Ugo non comprende laparola “stentoreo” (ndr: potente,riferito a voce umana) anche se cre-de di comprenderla. Ma non po-tremmo concludere nulla se Ugo silimitasse a proferire la parola fuoridal contesto di un enunciato. Comedisse Ludwig Wittgenstein, soloproferendo un enunciato si fa «unamossa nel gioco linguistico», ossia sieffettua un atto linguistico, chepuò essere valutato. L’enunciato èl’unità minima con cui si compie unatto linguistico. Comprendere è sa-pere usare correttamente gli enun-ciati. Di conseguenza, comprende-re una parola non è altro che sape-re come quella parola contribuisceal significato degli enunciati in cuiricorre. Il significato di una parola èil suo contributo al significato deglienunciati di cui fa (o può fare) par-te. Perciò non si può comprendereuna parola in isolamento, avulsa daogni enunciato. Tuttavia non si de-ve trarre l’assurda conclusione che ilsignificato di una parola muti com-pletamente in ciascun diversoenunciato in cui la parola si ripre-senta. Il contributo che una paroladà agli enunciati è per lo più stabi-le. Altrimenti non si spiegherebbeun fatto importantissimo: possiamocomprendere potenzialmente infi-niti enunciati mai incontrati prima,se questi sono formati combinandoparole che già conosciamo. Ciò èpossibile perché ogni parola ha unsignificato proprio, stabile e distin-guibile da quelli delle altre parole,capace di contribuire uniforme-mente ai significati di enunciati di-versi. z

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LA

QUANDO GIOCARE

CON LE PAROLE DIVENTA UN’ARTE

Alzi la mano chi non ha avuto unattimo di smarrimento la primavolta che ha sentito il corriere al

citofono dire: “Signor Rossi? Ci sonodue colli a suo nome”. Certo, non avràpensato a un messaggio minatorio,perché il collo non è solo la parte delcorpo che regge la testa: è anche unpacco, per l’appunto. E non solo: è laparte alta della camicia, quella stretta

della bottiglia, quella iniziale del-l’estuario di un fiume, quella inferioredel capitello di una colonna e perfinouna parte che compone l’armatura delcavallo nelle giostre medievali. E chedire del neofita della caccia che non sa-peva di dover appoggiare “Fido” sullaspalla, per sparare? E il bambino chenon riusciva a credere che esistesseanche la “buona” influenza? Per non

parlare degli imbarazzi igienici al doverfornire all’ospite... un ospite! Sono solo alcuni esempi del valore po-lisemico delle parole: diversa dalla co-mune omonimia (quella per cui labotte non fa male quanto le botte, ameno di non scolarsela tutta), la poli-semia è la caratteristica che ha una pa-rola di assumere un senso diverso ognivolta che cambia il discorso.

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DI CHE SI TRATTA? Alla base di molti giochi linguistici, bar-zellette, equivoci, la polisemia è ungioco molto serio, studiato nei corsi disemiotica delle accademie, noto dasempre ai poeti e agli amanti della pa-rola, ben frequentato dai pubblicitari,sempre a caccia di calembours per i loroslogan, che diventano così dei veri tor-mentoni. In linguistica indica la coesi-stenza, in uno stesso segno, disignificati diversi: la gamba può essereumana, ma anche quella del tavolo;può inoltre rientrare in un’espressione(in gamba!, gambe in spalla!) che perdeaddirittura il riferimento concreto epuntuale alla realtà (a meno di non farecome lo sciocco Giufà della tradizionesiciliana, che per “tirarsi dietro la porta”uscendo di casa, bene pensò di scardi-nare l’uscio e portarselo sulle spalle).

In letteratura,la polisemia èanche la varietàdi significati cheun intero testopuò assumere, equindi le interpretazioniche consente: si pensi alleletture allegoriche e moraliche, esulando dal senso stretta-mente letterale, fanno luce su unmondo di simboli arcani o religiosi.Come l’uso dei numeri nella cabbalahebraica o, per restare in Italia, quello pre-sente nella Commedia dantesca, dove iltre della divina trinità (con i suoi multipli)domina tutto l’impianto poetico.Ma torniamo ai tempi nostri, e pro-viamo a smascherare l’uso pubblici-tario della duttilità della nostra lingua.

Pensiamo all’ultima campagna abbo-namenti della Roma di Totti, reduce daun ottimo campionato e intenzionatail prossimo anno a raggiungere la Ju-ventus, sua rivale storica: “La caccia ècominciata. Unisciti al branco”. Nellacapitale, dove il tifo è una cosa seris-sima, la scritta è comparsa un po’ovunque: muri, vetrine, sul retro

degli autobus e dei taxi. In questocaso la parola polisemica è tal-

mente trasparente che non c’èneanche bisogno di esplici-tarla: la frase è affiancatadalla lupa capitolina, sim-bolo della città e della

stessa società sportiva. “Lupo” si defi-nisce chiunque si riconosca nei colorigiallorossi, a Roma lo sanno pure ibimbi all’asilo (che spesso sono già di-visi tra lupi e aquilotti, sostenitori dellaLazio): da qui l’esortazione a “unirsi al

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branco”. Un branco figurato, certo,che pure non ha evitato le critiche daparte di chi ha letto un malcelato invitoalla violenza negli stadi. D’altra parte, ogni slang specialisticoabbonda in queste doppiezze: la tincanel linguaggio del teatro è una partelagnosa, spesso in scena e priva di

slanci che attirano l’applauso; nel gior-nalismo si può bucare la notizia, nonforando il giornale ma arrivando tardi,quando è già stata divulgata da qual-cun altro. Insomma, ricordate che è ilcontesto a spiegare le parole, quandoqueste da sole non bastano a spiegarsi.Se poi vi capita di trovarvi su una barca

a vela per la prima volta nella vostravita, tenetevi pronti. Il capitano urla or-dini che vi scandalizzano, ma non c’èda preoccuparsi: cazzare la randa, o ilfiocco, si dice proprio così. Quando avrete imparato, sarà facileproporvi per il compito in prima per-sona. z

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LEGENDA DELLA POLISEMIA

POLISEMIA

CONTESTOIn linguistica indica l’insieme degli elementi di un testo,

scritto o orale, presenti o sottintesi, messi in correlazione

fra loro; è anche lo “sfondo” in cui si colloca la comu-

nicazione, e come tale può riferirsi a qualsiasi fattore ex-

tralinguistico (sociale, ambientale, psicologico) che

determina la “situazione” della comunicazione.

OMONIMIA

POLISEMIA

Dal greco polysemos, “dai molti significati”, da polys,

“molteplice”, e sema, “segno”, indica la proprietà in-

trinseca a una parola di variare il suo significato se-

condo il contesto di riferimento. Una parola si

“estende” assumendo più significati: il quadro alla pa-

rete, fare il quadro della situazione, il quadro aziendale.

CONTESTO

OMONIMIA

Dal latino omonymia, derivato dalle parole greche omós,

e ónoma “nome”: è l’identità tra due o più parole in

suono (omofone) e grafia (omografe), ma non nel signifi-

cato, che sin dall’origine etimologica è nettamente di-

verso. Sono due cose ben distinte l’imposta (persiana), e

l’imposta (tassa, tributo).

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In principio era lapagina bianca.Adesso è il monitordel pc o, più spesso, il display di unsmartphone. E scriviamo tantissimo. C’è chi dice che i nuovi media “corrom-pano” le capacità di scrittura, soprattuttodei giovani, scoprendo voragini di analfa-betismo. Io non sarei così catastrofista.Oggi la maggior parte delle persone scrivequotidianamente, cosa che fino a quindicianni fa era del tutto impensabile. La scrit-tura si è desacralizzata, e non è male.

Ma è vero o no che scriviamo peggio? Non lo darei per scontato. Il fatto è che suisocial network si trova molto spesso untipo di scrittura informale, che deve moltoall’oralità: non significa che gli utenti, in undiverso contesto comunicativo, non sap-piano scrivere adeguatamente; significa,semplicemente, che stanno usando unmezzo differente, che prima non c’era.

“Ehi raga, tutto rego?”. Quanto in-fluisce lo slang giovanile sull’italianoche parliamo?Negli ultimi decenni, lo slang ha presopiede. Letteratura, cinema e televisionehanno iniziato a rappresentare i giovani

con mag-giore attenzione e realismo, e

amplificato un fenomeno che, es-sendo una varietà dell’italiano moltoespressiva, può avere una forte presa.Non vanno dimenticati poi altri due ele-menti: l’allungamento della giovinezza“percepita” fino ai 40 anni e il fatto che i“giovani” siano per il mercato e la pubbli-cità una fascia altamente appetibile. Di quiil parziale adeguamento linguistico di certimedia agli usi linguistici giovanilistici. Que-sto complesso di cose ha fatto sì, a mio av-viso, che nell’italiano parlato sianopenetrati con grande rapidità molti ele-menti dello slang, che però vengono per lopiù usati consapevolmente, scherzosa-mente, per fini espressivi.

Sfatiamo un mito: “A me mi” si puòdire?Altroché! Vale come rafforzativo, traduci-bile con “Per quanto mi riguarda, mipiace…”, ed è pienamente grammaticale.Detto questo, resta preferibile usarlo nel-l’oralità e negli usi scritti informali.

La lingua si è sciolta ma quando ab-biamo a che fare con la Pubblica am-ministrazione restiamo tutti vittimedel “burocratese”. Questo è un male antico, basterebbe leg-gere le lettere che i “semicolti”, personepoco alfabetizzate, scrivevano al re du-rante la Grande Guerra. Gente umile che

non padroneggiavabene l’italiano e si trovava co-stretta a sfruttare maldestramente ipochi modelli a disposizione: le incertenozioni scolastiche e la lingua della buro-crazia. Così, in queste lettere vediamo riu-tilizzate parole, formule, locuzioni formaliprovenienti da quell’ambito, ma conmodalità incoerenti, come se fosserotessere linguistiche che riaffiorando allamemoria vengono incollate nel testo in

maniera impropria, con effetti talora esi-laranti. L’intento era quello di innalzare,nobilitare lo scritto con gli scarsi mezzi cul-turali che avevano a disposizione: e la di-sgraziata lingua della burocrazia sembravafornire loro un paradigma utile allo scopo.

Si può spiegare il mestiere del filologocon un tweet di 140 caratteri?La paziente, costante, umile ricerca di unbrandello di verità. Ne sono bastati ses-santatré... z

MIRKO VOLPIMirko Volpi è filologo e storico della lingua ita-liana. Insegna all’Università di Pavia. Tra le suepubblicazioni più recenti Sua maestà è una por-nografia!. Italiano popolare, giornalismo e lin-gua della politica tra la grande guerra e il refe-rendum del 1946. (Edizioni Universitarie 2014)

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“EHI RAGA,TUTTOREGO?”

Intervista a Mirko Volpi, filologo e storico della lingua italiana

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PRIMO PIANO: OLISMO E DESIGN

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IL DESIGNCHE TI APREUN MONDOIL VERO DESIGN SI SVINCOLA SEMPRE PIÙ DALLE CORRENTI ARTISTICHE PER ASSUMERE LE SEMBIANZE DI OGGETTI D’USO QUOTIDIANO ED ENTRARE COSÌ NELLE CASE DELLA GENTE.

Intervista ad Alberto Bassi, storico del designe docente allo IUAV di Venezia

Vi sono oggetti d’uso quotidianoche hanno segnato la storia, rap-presentando non solo una rivo-

luzione “tecnologica” dei loro tempi,ma anche vere e proprie icone pop deldesign. Basti pensare alla mitica Vespadi Vacanze Romane e alla piccola maagile Fiat 500, alla moka Bialetti, em-blema del caffè all’italiana, o ancora aFab, il coloratissimo frigorifero bomba-to firmato Smeg e a Candy, la prima la-vatrice interamente made in Italy.

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Dai primi anni Cinquanta il design hacambiato radicalmente il rapporto degliitaliani con gli oggetti d’uso domesticoai quali è stato conferito - pur senza tra-lasciare il lavoro accurato di ricerca,scelta dei materiali e lavorazione arti-gianale - un maggiore appeal estetico.Questa cultura, che si è accentuata conil passare del tempo, continua a met-tersi al servizio delle persone e, a diffe-renza del passato, è anche più attentaai problemi economici e socio-politicidella nostra epoca. Come sosteneval’architetto e designer Ettore Sottsass:“Quando Charles Eames disegna la suasedia, non disegna soltanto una sedia,ma disegna un modo di stare seduti,cioè non disegna per una funzione, madisegna una funzione”.Alberto Bassi, storico e critico del de-sign, ci spiega, nell’intervista che se-

gue, in che maniera il design è semprepiù legato alla nostra quotidianità e alnostro stile di vita e cosa dobbiamoaspettarci dal futuro.

Nel suo libro Design. Progettaregli oggetti quotidiani, afferma:"All’origine delle «cose», fisiche oimmateriali, che ogni giorno en-trano nelle nostre vite, esiste unprocesso globale di progettazionenel quale convergono ideazione eproduzione, impresa, uso, consu-mo e riuso: è il design". Si potreb-be parlare di una visione olisticadel design che poco ha ormai a chefare con la mera sfera artistica?Parlare di design come processo com-plessivo, esito del lavoro collettivo di unteam-work, vuol dire focalizzare l'at-tenzione sulla relazione che il design in-staura con il mondo, la società e le per-sone. Questa idea non costituisce cer-to una novità: era, infatti, alla base del-l'identificazione di una figura di pro-gettista dell'età della produzione indu-striale - nella quale, vale la pena dirlo,siamo completamente inseriti ancora

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oggi, nonostante i processi di dema-terializzazione e le logiche digitali -nata nell'Ottocento e che, passandoper il Modernismo, arriva fino ad og-gi. Il design, così inteso, non ha nullaa che fare con l'Arte. Certo può trar-vi ispirazione, come può fare conl'architettura, il cinema o laletteratura. Ispirazione,percorso creativo e pro-gettuale attingono efanno sintesi di stimoliche arrivano da molti"mondi", ma si rela-

zionano e collocano dentro speci-fici "contesti" economici, sociali

e culturali. Insomma, si trat-ta di un fare dentro i con-

testi, non un "gesto",una forma e così via. L'equivoco fra design earte, che si trascina dal-

l'Ottocento e da WilliamMorris (l’artista conside-rato tra i principali fonda-tori del movimento delleArts and Crafts), è alimen-tato strumentalmente da

chi vuol ricondurre il designa un ruolo alla fine margina-

le rispetto ai processi reali, maanche a un’indebolita co-

scienza e "orgoglio" della cultu-ra del design. E certo non mancanole responsabilità dei media - ma in

verità anche delle istituzioni culturali emuseali - che faticano a "guardaredentro" a un fenomeno complesso e

articolato come il design e preferisco-no adottare facili scorciatoie per divul-garlo, come l'"invenzione" di archi odesigner-star, l'adozione univoca diletture formalistiche, il privilegiarel'eventismo o le novità a tutti i costi.Modi vecchi di affrontare le questioni.Da tempo si rende necessario un radi-cale rinnovamento di impostazioneculturale, linguaggio e contenuti. For-se anche di persone.Dopo di che, una delle condizioni con-temporanee è la possibilità di intende-re non una sola, ma tante idee di de-sign. Quello che manca è dare a ognu-na il suo nome specifico: industrial de-sign è differente da progetto per la pro-duzione artigianale, dall'autoprodu-zione, dal design-artistico e così via. Equi è fondamentale il ruolo della teoria,della storia e della critica.

Marcel Duchamp, padre delready-made nell 'arte, fu unprecursore involontario delmoderno concetto di design cheinnalza oggetti di uso quotidianoa vere e proprie piccole opered’arte. Quale sarà, secondo lei,l’evoluzione del design?

Il ruolo del design ha a che fare conla vita quotidiana delle persone,con le questioni importanti dellanostra società, come la sostenibi-lità del pianeta, l'usabilità per tut-ti degli artefatti e così via. Il de-sign significativo contemporaneo- non dunque le piccole variazionistilistiche e formali sull'esistente,

bensì quello basato sull'idea di in-novazione tipologica, d'uso, tecno-

logica e anche estetica - è fruito se-condo modalità in sostanza "anoni-me" e low profile: chi conosce il desi-gner Apple o chi pensa alla tecnologiacome opera d'arte o anche solo comeuno status symbol? Senza parlare dellacrisi delle tipologie di oggetti ostentati-vi a favore di valori d’immaterialità, ap-partenenza e, ancora, il muoversi versologiche di accesso, e non più possesso,sharing, open, crowd e così via.

Negli ultimi anni abbiamo assisti-to a un'evoluzione del design inchiave sempre più democratica e

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CHI ÈALBERTO BASSIAlberto Bassi - nato a Milano nel 1958 - si occupa di storia e critica del design. È professore associato alla Facoltà di Design e Arti Iuav di Venezia, direttore del Corsodi laurea in Disegno Industriale e direttore della Facoltà nella sede di San Marino.Fa parte della redazione di Casabella e collabora con riviste di settore, come Auto & De-sign, con l’inserto domenicale del quotidiano Il Sole 24 ore e con Il fatto quotidiano.Fra i volumi pubblicati: Giuseppe Pagano designer (con L. Castagno, Laterza 1994); Laluce italiana. Il design della lampade 1945-2000, Electa 2003; Antonio Citterio industrialdesign, Electa, 2004; Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito, Electa,2007; Design. Progettare gli oggetti della vita quotidiana, Il Mulino, 2013.

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orizzontale. Oggi l'oggetto didesign, infatti, non è più soltantoun lusso per pochi. Crede che inquesto modo il design vengasvilito e svuotato del suo valoreartistico o piuttosto reso piùaccessibile e alla portata di tutti?Il design è democratico. Anche la lo-gica contemporanea di affermazionedi nicchie di mercato - “siamo passa-ti da un mercato di massa alla massadei mercati”, dice Chris Anderson,direttore di Wired - si muove nella di-rezione di rispondere a esigenze mi-

rate e specifiche, alle necessità di cia-scuno. Il "valore" del design sta nel-la capacità di rispondere a bisogni,desideri o quant'altro, ma è un mec-canismo complicato difficilmentepianificabile, spesso legato a "intan-gible assets", fra cui certo anche insenso lato l'estetica, che è un ele-mento obbligato e necessario, manon esclusivo.

Sempre più spesso si sente parlaredi design e designer, con il rischiopoi di abusare di tali termini e di

banalizzare e sminuirela qualità e la profes-sionalità del settore.Secondo lei, quali sonole caratteristiche cheaiutano a riconoscere il“vero” design?Lo storico dell'architettu-ra e del design GiovanniKlaus Koenig diceva chela qualità del design ha ache fare con innovazione,estetica ed "effetto socia-le positivo".

Se da un lato il designè il collante di tutte lefasi di progettazioneche compongono unoggetto, dall'altro èpur vero che ogni in-dustrial designer èspecializzato in un set-tore specifico, in lineacon i propri gusti per-sonali e le propriecompetenze. Quali so-no oggi i settori deldesign più richiesti dalmercato?

I settori significativi sembrano esserequelli collegati alle nuove tecnologie eai nuovi media. Presso l'UniversitàIuav di Venezia - nella sede di San Ma-rino di cui sono direttore - abbiamoavviato corsi di laurea magistrale dedi-cati a Interaction design e Motion gra-phic, il modo contemporaneo di in-tendere il design del prodotto e la co-municazione visiva. Gli artefatti tec-nologici hanno bisogno di modalità diinterazione avanzate e ben progetta-te. Gli oggetti tecnologici, la rete, inuovi e i vecchi media, infatti, utilizza-no sempre più le immagini in movi-mento che devono dialogare con testi,infografiche e così via. Credo sia fondamentale guardare conrinnovate conoscenze, approcci esensibilità progettuali a quanto staavvenendo ogni giorno attorno a noi.Sembra anche l'unico modo - e quientriamo in un grande tema contem-poraneo, particolarmente caro al no-stro Paese - per "progettare" nuovolavoro. z

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Era il 3 febbraio del 1957 quandoandò in onda per la prima voltaCarosello, il contenitore di 5-6

spot pubblicitari che teneva incollatiallo schermo i primi italiani a essersi do-tati di un apparecchio televisivo nei pri-mi anni del dopoguerra. Gli spot rac-contavano storie, alcuni ricorrendo asketch comici, altri puntando sui per-sonaggi dei cartoni animati, altri anco-ra sfruttando la notorietà di canzoni ecantanti dell’epoca. La struttura narra-tiva ricordava quasi sempre quella del-le favole: la storia vedeva un eroe e uncattivo che, attraverso l’uso del pro-dotto sponsorizzato, veniva redento. Il

messaggio contenente la valorizzazio-ne dei prodotti passava dagli sloganverbali, sempre uguali, alcuni dei qua-li fanno ancora parte della memoriacollettiva degli italiani, il cui obiettivoera favorire il riconoscimento dellamarca e il suo imprimersi nella mentedei consumatori.Da allora sono cambiati i linguaggi, so-no cambiati i messaggi che le marchevogliono comunicare e, soprattutto,sono cambiati il modo e i mezzi attra-verso i quali comunicarli. Ma qualcosa,a parte il fatto che la pubblicità conti-nua a essere uno specchio della nostrasocietà e dei nostri consumi, è rimastoimmutato dagli anni ‘50 a oggi. Lo sco-priamo nell’intervista che segue, gra-zie alle parole di Silvio Dolci (SD) e Mar-co Benadì (MB), rispettivamente Presi-dente e Amministratore Generale diDolci Advertising, una delle realtà più

importanti nel panoramapubblicitario italiano.

Secondo lei la comunica-zione pubblicitaria è oli-stica o rimane un lin-guaggio specialistico?MB: Quasi tutte le agenziepropongono dei progetti

di comunicazione integrata e interatti-va, dove i diversi elementi (la pubblici-tà, l’ufficio stampa la presenza sui so-cial, ecc) non rappresentano solo unaparte dell’intero progetto ma si raffor-zano e si arricchiscono l’uno con l’altro.Tutto l’insieme, inoltre, concorre a raf-forzare l’idea centrale che deve esserecomunicata e quanto più il sistema dicomunicazione risulta armonico tantopiù l’idea funziona. Tutto, nella comu-nicazione, ruota intorno all’idea cen-trale che va poi declinata nei vari lin-guaggi che l’azienda propone, e quan-do ciò funziona ci sono le premesse perun buon lavoro di marca. Oggi i consu-matori sono più informati, più attenti,sono veri e propri partner. Danno pa-reri, giudicano, criticano, si tengono alcorrente su Internet. Pensiamo al ruo-lo che piattaforme come Tripadvisor ri-coprono nel settore dell’hotellerie,strumenti che non possono assoluta-mente essere sottovalutati.Un tempo, le aziende pensavano chebastasse fare promesse e presentareun prodotto “in grande” per riuscire avendere. Oggi non è più così: il consu-matore non vuole solo una descrizionedel prodotto ma vuole sentire una sto-ria raccontata con un tono e uno stile

LA FORZA DELLE IDEE

DA CAROSELLO A OGGI, SCOPRIAMO COME È CAMBIATA LA PUBBLICITÀ NEL NOSTRO PAESE.

Intervista a Silvio Dolci e Marco Benadì,

Presidente eAmministratore

Generale di Dolci Advertising ][

PRIMO PIANO: OLISMO E DESIGN

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Fondata nel 1962 da Silvio Dolci, con il nome “Studio Dolci”, l’agenziaconquista subito budget pubblicitari notevoli e clienti di fama interna-zionale. Grazie alla notevole crescita che conferma Dolci come una delle prime realtàitaliane del settore, le agenzie diventano tre: Dolci Italia, Dolci Internationale Dolci Advertising, con un totale di 70 collaboratori.Nel 1968, Silvio Dolci fonda Dolci France nel cuore di Parigi. Primo italiano adaver “osato” aprire un’agenzia all’estero, il suo lavoro viene presto ripagato,anche grazie all’effervescenza creativa dei suoi collaboratori, e in breve tem-po Dolci France si colloca tra le più affermate agenzie francesi.A partire dal 1988, Silvio Dolci si dedica a un progetto più ampio, fondandonove agenzie che operano a livello internazionale. Nel 1991 si aggiudica ilLeone d’Oro all’International Advertising Film Festival di Cannes, il massimoriconoscimento per il mondo della pubblicità.Dai primi anni del 2000 Dolci Advertising non ha fatto che consolidare il suoruolo nel settore della comunicazione, curando campagne per clienti comeToyota, Nissan, BMW, con uno stile creativo che è sempre riuscito ad ade-guarsi al mutamento della società e dei linguaggi.

sempre coerenti negli anni.In tutto questo risiede l’olismo della co-municazione pubblicitaria.Forse possiamo individuare anche unlato specialistico nel fatto che nel mer-cato della comunicazione, oggi, c’èuna fitta parcellizzazione dei ruoli edelle competenze professionali. Que-sto aspetto, però, alle aziende interes-sa poco, per loro conta avere una co-municazione coerente, un’identità ri-conoscibile, ottenuta sfruttando la for-za di ogni mezzo. E il pubblicitario de-ve saper orchestrare le varie compe-tenze, i vari linguaggi e i vari strumen-ti della comunicazione attorno all’ideacentrale.

Come cambia l’approccio delpubblicitario nel realizzare unacampagna a seconda dei clienti?Quali parametri vengono conside-rati quando si progetta unacampagna advertising?SD: Dipende tutto dalla natura delprodotto e dalle caratteristiche del-l’azienda. Ogni settore ha le sue peculiarità, percui un’uniformità nella delineazionedei temi da comunicare non è possi-bile. È l’azienda, con i suoi obiettivi, i

NON CAMBIA MAI

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suoi valori, le sue peculiarità a suggerirel’orientamento della comunicazionee del marketing. Non a caso, in Dolcilavoriamo seguendo un approccio sumisura. Per ogni cliente svolgiamo ungran lavoro di marketing intelligence,ascoltiamo i consumatori, indaghia-mo sul mercato di riferimento, indivi-duiamo le peculiarità dell’azienda.Fatto questo studio, scriviamo un ve-ro e proprio manifesto della marca,dove ne definiamo gli aspetti visivi everbali, il tono e lo stile di comunica-zione.Altro elemento fondamentale pernoi, è il fatto di lavorare sia a contat-to con l’imprenditore, sia con l’orga-nizzazione aziendale fino ai puntivendita: questo, perché, se da un latoè vero che è la marca a creare atten-zione su di sé, dall’altro lato è pur ve-ro che i risultati commerciali si conse-guono localmente. Ci deve essereuna coerenza tra quello che la marcapromette e il modo in cui viene co-municata all’interno degli store. Que-sta coerenza contribuisce notevol-mente al successo del prodotto.

Com’è cambiata la comunicazio-ne pubblicitaria negli ultimi 60-70anni?MB: Siamo orgogliosi di definirciun’agenzia indipendente nata nel pe-riodo del debutto televisivo e attivaanche oggi nell’era delle nuove piat-taforme digitali. In tutti questi anni, laprincipale evoluzione nel mondo del-la pubblicità si è avuta nei rapporticon le persone: una volta le marchepromettevano e la gente si limitava adascoltare. Oggi il messaggio pubblici-tario passa attraverso nuovi linguag-gi, nuovi mezzi, nuove professionali-tà, ma quello che non cambierà mai èla forza delle idee, elemento centraleper noi pubblicitari. Non a caso, leaziende più forti nel mercato sonoquelle che credono nelle idee che co-municano. Le idee consentono alleaziende di uscire dalla crisi rafforzaterispetto a quando ci sono entrate. Uncambiamento importante è legato alfatto che le aziende si sono rese con-to del fatto che i loro clienti sono con-sumatori attivi, sempre connessi,

molto partecipi. Bisogna quindi inno-varsi aprendosi verso una compren-sione totale (una diagnosi dei proces-si e dei linguaggi in atto) e un dialogoverso i consumatori. Dialogo che de-ve assumere sempre più le forme del-lo scambio (cosa che avviene sui ca-nali social) e del coinvolgimento. Nona caso si moltiplicano i tentativi di en-gagement del cliente attraverso ladiffusione di carte di fedeltà o diquestionari per la raccolta delleopinioni.

Un tempo la pubblicitàcompariva solo in Tv, sul-la stampa e sulle affis-sioni stradali. Oggi cisono anche i nuovimedia come Internete i social network.Quali novità ha por-tato questo cambia-mento? SD: Sicuramente lanovità pr inc ipaleconsiste in un am-pliamento delle in-formazioni che van-no ripartite sul mer-cato. Le caratteristi-che dei vecchi mediaoggi sono completatee ridimensionate dainuovi mezzi di comu-nicazione che stannoquasi prendendo il so-pravvento. Questo si ri-flette anche sulle dimen-sioni degli investimenti: or-mai s’investe su Internet esui nuovi canali quasi quantosui media tradizionali.

Come immagina la pubblicitàdel futuro? MB: I nostri comportamenti di acqui-sto non possono prescindere dal con-testo in cui viviamo. Le marche devo-no tenerne conto e, nel futuro, devo-no ripartire dal prodotto, dalle sue pe-culiarità, devono soddisfare il bisognodei consumatori di saperne sempre dipiù. Dobbiamo quindi obbligare leaziende a dire sempre di più sul pro-dotto, non limitandosi a descriverlo

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ma fornendo il racconto di una storiaconcreta, vicina al mondo dei consu-matori. Se siamo troppo didascaliciannoiamo, se rimaniamo troppo im-palpabili risultiamo distanti e non av-viciniamo le persone.

Dolci Advertising ha realizzatodiverse campagne per aziendedel settore automotive. In quelcaso cosa si è voluto comunicare

e come è stata progettata lacampagna?

SD: Abbiamo avuto l’onore dilavorare con grandi marchi,

aziende di prodotto, societàdi servizi, imprenditori ita-liani coraggiosi ma anchebrand planetari. Nel settore auomotiveabbiamo seguito oltrequindici case automo-bilistiche. Abbiamo cominciatoa lavorare con loronegli anni Novanta,anni in cui la cono-scenza del consuma-tore, del mercato edella concorrenza, icambiamenti sociali eculturali diventavanoelementi indispensa-bili per la realizzazionedi una campagna inte-grata di successo.

Le abbiamo affiancateanche nella gestione del

post vendita, instaurandoun vero e proprio rapporto

a 360 gradi.E con alcune di loro abbiamo

fatto ricorso a codici rivoluzio-nari per i tempi e per il settore

dell’automotive, anticipando ilconcetto di low cost/high value.

Concetto che sarebbe esploso di lì apoco tempo e che, nel caso dell’auto-mobile, oggetto che ci coinvolge quo-tidianamente, è molto importante.Così facendo, grazie a una rinnovataattenzione al risparmio, il brand è sta-to anche percepito come portatore diun patrimonio di valori che compren-de anche il divertimento e l’attitudineetica ai consumi. z

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STORIE DI QUALITÀ: COELUX

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IL PROGETTOCHE “FA LUCE”SULLA NATURA

AVRESTE MAI PENSATO DI POTER AVERE CIELO E SOLE SEMPRE A PORTATA DI MANO? È QUELLO CHE HA FATTO UN GRUPPO DI SCIENZIATI,

IL CUI INTENTO ERA RICOSTRUIRE IL FENOMENO DELLA LUCE NATURALE PER FAVORIRE IL BENESSERE DELL’INDIVIDUO NEGLI SPAZI BUI.

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Che cos'è CoeLux e come funziona?La tecnologia alla base di CoeLux con-sente di ricreare lo spazio compostoda cielo e Sole, applicabile in posti e si-tuazioni che sono privi di luce. Un ri-sultato importante, per noi umani chenon siamo fatti per vivere al buio masiamo da sempre abituati alla luceoutdoor. CoeLux ricrea la percezionedel cielo e del Sole non solo riprodu-cendone l’immagine ma ricostruendoi meccanismi fisici che permettono ladiffusione della luce. In sintesi, è comeavere a disposizione un modellino delcielo, un’atmosfera tascabile. Ovvia-mente la ricostruzione non è un pro-cesso semplice: per “costruire” il Sole,ad esempio, si è resa necessaria la rea-lizzazione di un proiettore in Led ca-pace sia di riproporre le spettralità e labrillantezza della luce solare e sia di il-luminare in modo direzionale comefanno i raggi solari. Per rendere que-sta direzionalità abbiamo sviluppatodelle ottiche che colorano le ombrecome accade in Natura.

Il risultato di questa ricostruzione èduplice: innanzitutto, è possibile illu-minare un ambiente buio come se cifosse una finestra; inoltre, guardandoda questa “finestra” si percepisce unospazio infinito. Tuttavia, l’obiettivo diCoeLux non è solo creare comfort maaprire gli occhi verso la natura, datoche noi ormai la diamo per scontata enon siamo più in grado di guardare eapprezzare la luce naturale. E la cosameravigliosa è che si riesce a guarda-re e capire la natura grazie all’appor-to della tecnologia!

Come nasce l'idea di creare unostrumento in grado di riprodurre laluce solare?L’idea è nata quando io, ottico edunque abituato a lavorare immer-so nel buio dei laboratori, mi sonoreso conto (complice la lettura diLight and Colours in the outdoors diMarcel Minnaert) che non conosce-vo nulla riguardo alla luce naturale.

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Intervista alProf. Paolo Di Trapani,fondatore e CEO di CoeLux

La scienza e la tecnologia, comel’arte, ci consentono di riprodurre la

realtà, mettendo in scena le leggi cheriteniamo valgano in natura. Come inteatro, lo spettacolo non sostituisce larealtà, ma spalanca una finestraattraverso la quale scopriamo il mondocome non lo abbiamo visto mai.

Con queste parole, il professor PaoloDi Trapani definisce CoeLux, progettodi ricerca che negli ultimi mesi ha rac-colto numerosi consensi in tutto ilmondo, compresi quelli della Com-missione Europea.

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Per orgoglio mi sono chiuso in labora-torio e ho ricostruito in piccolo (comefosse una scenografia) i fenomeni na-turali di cui parlava Minnaert. Quandoho aperto la finestra e ho guardato fuo-ri è stato come se avessi aperto gli oc-chi per la prima volta, come se fino aquel momento avessi visto tutto inbianco e nero. È stata la prima volta incui mi sono reso conto che la tecnolo-gia, così come l’arte, riesce ad aprireuna finestra sulla realtà.In seguito,con il mio team abbiamopreso parte a mostre ed eventi sia in Ita-lia e sia all’estero come, ad esempio,“Di luce in luce” (Light in Light), aVilnius, dove abbia-

mo ricostruitotutte le condizioniclimatiche e naturalidella luce con macchi-nari e sistemi hardware.

Come potrebbe essere im-piegato CoeLux nella vitadi tutti i giorni e con qualivantaggi?Ci sono tanti spazi privi di luce: sipensi alle aree benessere di spa e al-berghi, alle stazioni della metropolita-na, agli ascensori, alle cabine delle na-

vi. Pensiamo anche ai pa-lazzi molto grossi, dovegli uffici sono spessolontani dalle finestreo, ancora, ai labora-tori delle camerebianche, alle stazioniorbitanti degli astro-nauti, alle sale operato-rie. Per non parlare dei re-parti di diagnostica e ra-dioterapia degli ospedaliche spesso si trovano sot-

toterra. A questo propo-sito, ormai è risaputo

che, nel processo diguarigione, la condi-zione psicologica èfondamentale e laluce ha sicuramenteun impatto positivo

sull’individuo.

STORIE DI QUALITÀ: COELUX

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CoeLux S.r.l. è una start-up tecnologica fondata dal professor Paolo Di Trapani dell’Universitàdell’Insubria. Ha sede a Lomazzo all’interno del Parco Scientifico Tecnologico ComoNext, progetto

promosso dalla Camera di Commercio di Como che si pone l’obiettivo di facilitare lo sviluppo e lacompetitività delle imprese del territorio promuovendo in esse la cultura dell’innovazione.

CoeLux è un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea, selezionato dallaCommissione Europea tra i 12 progetti tecnologicamente più innovativi in Europa.

CoeLux harealizzato tre diversescenografie di luce:CoeLux 60, per gliamanti della luce

tropicale; CoeLux 45,per chi predilige la

fascia mediterranea;CoeLux 30, per gliappassionati dei

paesi nordici

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Pensa dunque che CoeLux potrebbeessere impiegato per curare alcunidisturbi legati alle variazioni di luce,come ad esempio la depressione?

È stato provato che esiste una con-nessione tra la mancanza della luce ei disturbi come, appunto, la depres-sione. Non a caso riceviamo tante ri-

chieste dai paesi del Nord.Inoltre abbiamo ipotizzato che Coe-Lux possa contribuire a migliorare lasostenibilità degli ambienti e degliedifici. Sostenibilità intesa come vivi-bilità, gradevolezza e benessere perl’uomo. Inoltre, lo spazio di CoeLuxnon consuma, dunque favorisce il ri-sparmio energetico.

Il lancio sul mercato è previstoper la fine del 2014. Vi aspetta-vate un tale successo?No, però lo speravamo. Questo gra-zie al forte successo che abbiamo ot-tenuto all’edizione 2014 del Fuorisa-

lone della fiera Light&Building diFrancoforte: Lux Review, la rivistainternazionale di design ed efficien-za energetica in ambito illuminazio-ne, ha classificato CoeLux al terzoposto tra i 10 progetti più innovativipresentati durante la manifestazio-ne.

Quali sono le vostre aspettativeper il futuro?Il progetto di ricerca CoeLux è statof inanz iato da l l ’Unione Europeanell’ambito del settimo programmaquadro di ricerca e sviluppo ed è sta-to selezionato dalla CommissioneEuropea tra i dodici progetti più in-

novativi presentati alla InnovationConvention di Bruxelles lo scorsomarzo. Durante la Convention Coe-Lux è stato definito uno dei miglioriprogetti a livello europeo degli ulti-mi anni. Attualmente, però, ci sen-tiamo ancora all’inizio della scoper-ta e lo studio di CoeLux richiederàancora per parecchio tempo l’ap-porto d i contr ibut i estern i , peresempio da parte di designer e ar-chitetti che credano nell’importanzadi ricreare uno spazio che aiuti lepersone ad aprire gli occhi sulla Na-tura e aiuti a comprendere il funzio-namento dell’universo. z

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Spiegare ai bambini e ai ragazzi inmodo comprensibile e divertentela struttura del DNA, il Genoma

umano o la teoria del caos: è una sfidache l’Immaginario Scientifico di Trieste,ogni giorno, dal 1999, attua con suc-cesso e con l’intento di far conoscere ilpiacere della ricerca e gustare il saporedella scoperta.L’Immaginario Scientifico (IS), il mu-seo della scienza interattivo e multi-mediale del Friuli Venezia Giulia, ap-partiene alla tipologia dei “musei dinuova generazione”, ovvero deiscience centre di scuola anglosassoneche rivoluzionano le modalità tipichedi un museo tradizionale e lo trasfor-mano in un luogo vivo, dove il visita-

tore interagisce con gli oggetti pre-senti e con gli ambienti museali.Nella sede di Trieste sono tre le sezioniprincipali: Fenomena, Kaleido eCosmo.Fenomena è l’ambiente che raccogliela collezione di exhibit hands-on (po-stazioni interattive), organizzato se-condo specifici percorsi tematici (Moti,Luci e ombre, Specchi, Forme, Suoni,Percezioni), dove i visitatori possonoconfrontarsi liberamente con una seriedi oggetti da toccare e con cui giocare,per avvicinarsi in modo piacevole ai fe-nomeni naturali e scoprire le leggi fisi-che che li governano: dal tornado di va-pore al vortice d’acqua gigante, dallebolle di sapone al deserto in scatola,

agli specchi de-formanti ecc. Kaleido è l’origina-le spazio immersivoche ospita le spetta-colari mostre tem-poranee multime-dial i proiettate sumaxischermi; posta-zioni interattive e musi-che originali danno vita aun luogo che unisce il conte-nuto scientifico al coinvolgi-mento emotivo. Cosmo è il plane-tario che permette di scoprire le me-raviglie della volta celeste: le costella-zioni, i pianeti, il movimento apparen-te del Sole.

QUALITÀ DELLA VITA: STILE DI VITA

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TOCCARE, ESPLORARE, RIPRODURRE FENOMENI NATURALI, RITROVARE L’INCANTO DAVANTI ALLA BELLEZZA DELLA NATURA, SPERIMENTARE DIVERTENDOSI PER VIVERE IL PIACERE DELLA RICERCA E RIPERCORRERE L'AVVENTURA DELLA SCIENZA.È QUESTA L’OFFERTA DEL MUSEO “L’IMMAGINARIOSCIENTIFICO”. PER SAPERNE DI PIÙ ABBIAMOINTERVISTATO IL DIRETTORE, FABIO CARNIELLO.

GIOCARECON LASCIENZA

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Come spiegare la scienza e quali ledifficoltà?Il problema più difficile da affrontarequando si comunica la scienza è abbat-tere il pregiudizio che la scienza e la

tecnologia siano appannaggio di po-chi “addetti ai lavori”. Accanto a

quello della “difficoltà”, lavorapoi spesso un altro pregiudizio,ovvero che il sapere scientificosia anche “definitivo” e fred-do, che tolga poesia e magia almondo. Noi crediamo inveceche la scienza, con i suoi stra-

ordinari modi di guardare e rac-contare la vita, i fenomeni natu-

rali e anche noi stessi, apra nuove fi-nestre su insospettabili, poeticissimipanorami. Tutti possono farci scorrerelo sguardo, l’unico requisito è la curio-sità e la voglia di conoscere.

Quali sono i progetti di maggiorsuccesso dedicati alle scuole?

Abbiamo fondamentalmente duetipi di attività per le scuole: quel-

le rivolte soprattutto agli stu-denti accompagnati dagli in-

segnanti e quelle pensateper l’aggiornamento

degli inse-gnanti.

Tra le prime, oltre ai servizi di visita gui-data alle esposizioni interattive, al pla-netario e alle mostre temporanee, svol-gono un ruolo fondamentale e raccol-gono un notevole successo i servizi dianimazione didattica laboratoriale esperimentale svolti nelle salette poli-funzionali del museo. Grazie all’uso dipiccoli apparati sperimentali e allo svol-gimento di una serie di piccoli esperi-menti, si affronta uno specifico temanelle discipline della biologia, della chi-mica, della fisica, della matematica,dell’astronomia, dell’ecologia o dellescienze della terra o della vita. Visite eattività propongono poi ai partecipantidi avvicinarsi ad alcune tematichescientifiche con modalità pratica, infor-male e giocosa. Si tratta di una metodologia, ormaiconsolidata e rodata da decenni disperimentazione in tutto il mondo,che ha senza ombra di dubbio unagrande efficacia comunicativa e dicoinvolgimento dei partecipanti e cheben si presta ad essere attività com-plementare e di supporto all’attivitàscolastica tradizionale.

Quali strategie vengono utilizza-te per attirare l’attenzione deivisitatori?Le linee guida fondanti dei nostri scien-ce centre sono l’interattività, l’espe-

rienzialità e il coinvolgimento emo-tivo del visitatore. Questi princi-

pi ispiratori generali vengo-no declinati di volta in

volta in base alleattività e alla

p ro p o s t acontenu-

tistica e didattica. Altro elemento im-portante è l’aggiornamento dei conte-nuti in modo da offrire nuove occasio-ni di visita e di coinvolgere pubblici di-versi. Cerchiamo quindi di aggiornarecostantemente i contenuti museali,con nuove mostre, nuovi laboratori,nuovi servizi.

Quale area gode di maggior succes-so per i visitatori?Le sezioni interattive dei nostri musei ri-scontrano sempre molto successo fra i vi-sitatori, che possono toccare e manipola-re gli exhibit, intuire, sperimentare, sco-prire. Ne sono attratti sia i bambini, natu-ralmente portati alla sperimentazione eall’esplorazione, sia gli adulti, che posso-no riscoprire il lato più giocoso e stupefa-cente della scienza e della natura.

Quando iniziare un lavoro di tiposperimentale per sviluppare ilpensiero scientifico nel bambino?Scienza e atteggiamento scientifico sonoprima di tutto osservare e sperimentare,fare domande e ipotizzare risposte da te-stare, di nuovo, con sperimentazione e os-servazione. La conoscenza “sperimenta-le” è il nostro modo originario di cono-scere il mondo e anche noi stessi. Guar-dare, dedicare attenzione a un evento o aun oggetto, allungare le mani e toccarlo,giocarci, mettersi in relazione con esso,“interrogarlo” e “produrre teorie” sullaregolarità e la causalità degli eventi, è at-tività naturale del neonato. Potremmo di-re che nasciamo “naturalmente speri-mentatori e scienziati indagatori” e solopoi, crescendo, diventiamo “culturalmen-te ri-assemblatori di risposte e di saperiacquisiti”. Certo, anche la scienza è

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QUALITÀ DELLA VITA: STILE DI VITA

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GLI ITINERARI DELL’IMMAGINARIO

SCIENTIFICO

L’Immaginario Scientifico propone diversi tipi di itine-rari nelle proprie sedi, a seconda delle particolaritàdella struttura.A Trieste e a Pordenone i musei propongono unpercorso attraverso le postazioni interattive (i carat-teristici “exhibit hands-on” dei science centre di scuo-la anglosassone), divise in aree tematiche. Inoltre, inentrambi i musei è presente una sezione dedicata al-le mostre multimediali temporanee, caratterizzate daproiezioni su maxischermi di immagini e brevi testiche scorrono a ritmo di musica, su temi di maggioreattualità scientifica. È infine presente un planetario,dove vengono effettuate visite guidate alla volta ce-leste.A Malnisio di Montereale Valcellina, l’Immagina-rio Scientifico si trova all’interno di una prestigiosa exCentrale idroelettrica. Qui è quindi possibile effettua-re un percorso di tipo storico, attraverso i macchinarioriginali, come le turbine “Francis” e gli alternatori, lasala comandi e le apparecchiature di comando e di ge-stione, le grandi foto d’epoca e gli altri pregevoli re-perti presenti. All’interno della Centrale, nella sezio-ne dell’Immaginario Scientifico dedicato alle posta-zioni interattive, i percorsi tematici sono dedicati aglispecchi, ai movimenti e giravolte, alle geometrie del-la gravità, alle correnti e calamite e a luci e ombre.Nel Geo Centre Immaginario Geografico di Mal-nisio,gli itinerari sono dedicati a geografia, territorioe ambiente. L’elemento espositivo principale del nuo-vo centro visite è rappresentato da gigantesche fotoaeree (ortofoto), calpestabili indossando le appositesoprascarpe e sulle quali si può camminare o disten-dersi per vedere ogni dettaglio (aiutati da grandi len-ti). Il Geo Centre si trova all’interno dell’ex latteria so-ciale di Malnisio. Sono quindi esposti piccoli e grandioggetti che raccontano la storia della latteria e dellepersone che vi hanno lavorato. Infine, il Dida CentreImmaginario Didattico di Adegliacco – allestitoall’interno di un ex mulino – si presenta come centrodi didattica delle scienze proponendo, sul modellodelle altre sedi IS, una serie di laboratori tematici perle scuole e un programma di attività ludo-didatticheper bambini, nei fine settimana. A questi percorsi la-boratoriali e sperimentali si aggiunge la visita al mu-lino – per il momento solo su prenotazione per grup-pi e scuole – con il suo sistema-macchine perfetta-mente restaurato. Nello spazio verde antistante l’edi-ficio, L’Immaginario Scientifico propone un percorsomuseale “all’aperto” sui temi della riflessione, dellageometria e della matematica, costituito da specchi einstallazioni di grandi dimensioni, belle da vedere epiacevoli da toccare, scoprire e studiare.

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fatta di saperi acquisiti ma è proprio lasua “ideologia sperimentale e indaga-trice” che le permette di rimanere vi-va e di essere così potente e inesauri-bile. Quando l’educazione alla scienzasi allontana dall’esperienza diretta di-venta sopra ogni cosa noiosa e oscu-ra, ostica e respingente. La scienza a scuola diventa sempre piùun sapere da mandare a memoria e da“capire” in astratto: farla così è comevoler insegnare la musica raccontan-done la storia o spiegando le regole

dell’armonia, senza far ascoltare nem-meno un brano musicale o senza farmettere le mani su un qualche stru-mento.Il cosiddetto “pensiero scientifico delbambino” è la sua “attrezzatura didotazione” e va solo accompagnato esostenuto, messo di fronte a fatti e fe-nomeni man mano più complessi, masempre in via sperimentale. Più che ilproblema di quando iniziare, direiquindi che il vero problema è quandonon-iniziare a smettere. z

48 anni, con un percorso formativo che mescolala preparazione tecnica del biennio di Ingegne-ria a quella umanistica di Lettere e Filosofia euna tesi in Storia della Scienza, Fabio Carniello,tra il 1990 e il 1997 ha operato in vari campi chevanno dal giornalismo alla grafica, dalla didat-tica musicale alla produzione audiovisiva e mul-timediale, dall’organizzazione di eventi cultura-li alla progettazione e programmazione di ar-chivi digitali.Giunge all’Immaginario Scientifico sul finire del1996 e ne diventa direttore nel 1998 curando laprogettazione organizzativa della nuova sede diGrignano, inaugurata nel 1999. A essa segui-ranno le aperture delle altre 4 sedi regionali del-l’IS nel 2007, 2008, 2011 e 2012.In questo periodo ha ricoperto vari incarichi nelcampo della museologia e della promozione cul-turale scientifica tra i quali ricordiamo la dire-zione artistica di FEST - Fiera Internazionale del-l’Editoria Scientifica di Trieste nelle due edizioni2007 e 2008 e Scienzartambiente - Festival del-la scienza di Pordenone dal 2009 a oggi.L’IMMAGINARIO SCIENTIFICO

Oltre 800.000 i visitatori totali delle sedi, con unamedia annua di circa 62.000 visitatori di cui 40.000utenze scolastiche.19 sono le mostre multimediali originali realizzate in-ternamente, alcune delle quali riproposte in versioniaggiornate e ampliate, per un totale di 27 mostrepresentate al pubblico. Oltre 40 esposizioni, 300 interventi di animazione di-dattica e 30 allestimenti di percorsi interattivi effettua-ti in Italia e all’estero, dal 2003 al 2013, per un totaledi circa 350.000 partecipanti.Uno staff di 70 professionisti impegnati nella proget-tazione, management, divulgazione, didattica, marke-ting e comunicazione, con un’età media di 31 anni.L’80% di essi è laureato o laureando (il 35% in mate-rie scientifiche).

FABIO CARNIELLO

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QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI

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C’È “TU”RISMOE “TOUR”ISMOIL VIAGGIO

NELL’ERADEL WEB 2.0

È SEMPRE PIÙFAI-DA-TE E

SI RACCONTASUI SOCIALNETWORK

Il viaggio è un tema che affascinal’essere umano da tempi imme-morabili. Il susseguirsi delle sta-

gioni e l’inarrestabile evoluzionedelle civiltà hanno comportato unmutamento nel concetto di viaggio,da sempre specchio che riflette iproblemi, i sogni e le paure degli uo-mini protagonisti dei loro tempi.L’importanza del viaggio, quale op-portunità di varcare nuovi confini

non solo per scopi commerciali, masoprattutto per diffondere la pro-pria cultura e la propria conoscenza,era cosa ben nota ai padri della civil-tà moderna ed è questa consapevo-lezza che ha, di fatto, contribuito al-l’evoluzione dell’uomo e alla costru-zione della sua identità.Nell’era contemporanea la voglia discoperta è stata più facilmente sa-ziata dall’avvento della tecnologia edalla sferzata d’innovazione che hainvestito la seconda metà degli anniNovanta con la diffusione dei com-puter, dei cellulari, dei canali satelli-tari e soprattutto di Internet. Il mon-do appare all’improvviso più piccoloe la cosiddetta globalizzazione deimercati favorisce uno scambio inin-terrotto e sempre più ampio di per-sone, merci, denaro, conoscenze eidee, rivoluzionando più di altri ilmodo di viaggiare.Paradossalmente proprio la crescen-te interconnessione tra persone, luo-ghi e culture ha aumentato la curio-sità, lo spirito di avventura e la vogliadi immergersi nei diversi stili di vitalocali, tramutando così il turismo dimassa in un fenomeno molto piùsfaccettato, che si plasma in base al-le passioni e agli interessi del nuovoviaggiatore. Il viaggio si allontana

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con sempre maggiore forza dalla di-mensione olistica che lo avvolgeva epredilige i nuovi micro mercati, omercati di nicchia, caratterizzati dauna domanda sempre più mirata edesigente.In tal senso, il marketing, cui obietti-vo primario è offrire prodotti, servi-zi ed esperienze in grado di soddi-sfare le esigenze del singolo cliente,provvede a creare pacchetti ad hoc,coupon o gift box che facciano fron-te alle più attuali forme di turismo:da quello culturale per gli amantidell’arte a quello responsabile checombina la passione del viaggio conil rispetto dell’ambiente; dal turismoenogastronomico e rurale che si ri-volge a chi vuole riscoprire i piaceridella terra al turismo sportivo, pen-sato per i temerari degli sport estre-mi e del tempo libero, fino al turismodel benessere che cura il corpo e lospirito con spa e centri termali.Come anticipato, alla progressivasegmentazione del viaggio concorresempre di più Internet, ossia la stes-sa rivoluzione tecnologica che solopochi decenni prima serviva a con-nettere molteplici comunità in ununico “villaggio globale”, e il più re-cente fenomeno dei social network.Grazie all’ICT, infatti, la figura delviaggiatore diventa tridimensionale:non viaggia più solo con la mente econ il corpo, ma anche in Rete e su-pera il tanto agognato tête-à-têtecon il tour operator preferendo ilviaggio-fai-da-te. La maggior partedei turisti che si prepara all’esplora-zione di una nuova terra, infatti, siaffida sempre meno alle agenzie di

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viaggio tradizionali, salvo nelcaso in cui debbano affrontareviaggi più impegnativi che pos-sono durare qualche mese o qual-che settimana - il safari fotogra-fico in Kenya, l’affascinan-te coast-to-coast emble-ma del sogno america-no, il trekking mozzafia-to sull’Himalaya o ancorail tour avventuroso nellaforesta amazzonica - o per l’or-ganizzazione di un viaggio dinozze oltreoceano. In questi ca-si, nonostante la provata effi-cienza delle OLTA, acronimo diOn-Line Travel Agency, la gentepreferisce affidarsi ad agenzie incarne e ossa in grado di guidarli nel-la scelta, consigliarli e, se necessario,rassicurarli.Tuttavia, all’infuori di queste ecce-zioni - in Italia, va ricordato, ci si spo-sa sempre meno e, complice la crisieconomica, pochi si possono permet-tere costosi tour e safari all’estero - ilprogresso tecnologico ha inequivo-cabilmente rivoluzionato il modo incui l’aspirante viaggiatore si relazio-na con il Web e, se in passato si ricor-reva a Internet solo per cercare in-formazioni e orari e comparare iprezzi di voli e alberghi da prenota-re, oggi gli aspiranti Gulliver del-l’epoca moderna se ne servono perscegliere da sé il proprio viaggio emodellarlo a forma e immagine deipropri gusti.L’aspirante viaggiatore si trasformacosì da spettatore passivo ad attoreprotagonista e si scopre un pò turi-sta, ma anche blogger, fotografo,

mem-bro di una com-

munity, reporter. Sempre più spesso,infatti, prende spunto dalle foto chegli amici pubblicano sui loro profiliFacebook, Flickr e Instagram o dai vi-deo che caricano sul loro canale You-tube, legge i racconti di viaggio scrit-ti da travel bloggers sempre in giroper il mondo o segue i consigli degliopinion leaders digitali. La chiamano l’era del turismo 2.0,l’ennesima tappa evolutiva di unprocesso che, da Il Milione di MarcoPolo e Viaggio in Italia di Goethe al-l’Ulisse di James Joyce fino a Sullastrada di Jack Kerouac e Le città invi-sibili di Italo Calvino ha consentitoall’uomo di arricchire il proprio io edi conoscere l’altro. In un’era di so-cializzazione sempre più virtuale cherischia di alienare piuttosto che uni-re, il viaggio è forse l’unico strumen-to che mantiene ancora vivo un co-mune senso di fratellanza e di aper-tura al mondo. z

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pevole del fatto che ogni ambitofotografico possiede un suo lin-guaggio specifico. Ecco quindi che,per sopravvivere alla massificazio-ne e all’appiattimento odierni, il fo-tografo e la bella fotografia devo-no collocarsi nel giusto equilibriotra olismo e specializzazione.

Una bella fotografia è il frutto ditanti elementi assemblati con cu-ra: la scelta del soggetto, l'uso diuna buona luce, la selezione deicolori. La tecnica, però, senza crea-tività non serve a nulla. Qual è ilprocesso creativo che vi sta dietro?Partiamo da una premessa. La condi-

QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY

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quello che, forse più di tutti, ha con-tribuito all’appiattimento del ruolodelle immagini ai nostri tempi. Ma usare i filtri giusti non basta. Ecome ci rivela Roberto Tomesani,coordinatore della TAU Visual, èancora possibile distinguere un ve-ro fotografo dalla massa di improv-visati tali: non basta possedere unafotocamera di ultima generazione,perché la bravura risiede nel giustomix di talento, sensibilità, creativitàe capacità di comunicazione, un in-sieme di elementi la cui coesistenzafa la forza dell’immagine. Ma c’èdell’altro. Il vero professionista de-ve anche essere pienamente consa-

Siamo nell’era di Flickr, Facebo-ok e soprattutto di Instagram,dove basta avere acquistato

uno smartphone e scaricato unadelle ultime applicazioni più dimoda per improvvisarci fotografi,“filtrando” e “ritagliando” pae-saggi, visi, momenti. Che poi pub-blichiamo e condividiamo sui so-cial, dove decine di follower com-mentano, esprimono il loro gradi-mento e magari, ispirati dalla im-magine da noi appena postata,fanno altrettanto e, a loro volta,scattano, filtrano e condividono.Questo è l’aspetto più eclatante del-la massificazione della fotografia,

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visione delle immagini in Rete e, ingenerale, la massificazione che oggisi fa dell’uso delle immagini ci hannoportato erroneamente a considerarela fotografia come un linguaggiounico, un tutt’uno. Non è così, ogniambito ha le sue caratteristiche: lafotografia giornalistica, ad esempio,è diversa da quella creativa che a suavolta è diversa da quella pubblicita-ria, ecc. Quello che può andare beneper le immagini da pubblicare su Fa-cebook non va bene per la cartastampata; ogni ambito fotograficoutilizza i suoi codici specifici.Di conseguenza, non esiste un modounico con il quale possa essere descrit-

to un corretto percorso creativo, in am-biti fotografici diversi. Il processo crea-tivo non è affatto omogeneo. La foto-grafia professionale non rappresentaun territorio unico, sul quale valganoregole universali; e questo avviene per-ché la professione si espleta, di fatto, indecine e decine di differenti ambiti dispecializzazione, ognuno dei quali hale sue regole e caretteristiche.

La fotografia è un'arte che si può im-parare o un talento naturale?La fotografia è paragonabile alla bel-lezza di una persona: per certi versi, èinnegabile che esista un patrimoniogenetico che la determina e che viene

consegnato dalla natura; d'altro can-to, però, ognuno può imparare il pro-prio modo di porsi, di agire, di farsi per-cepire. In fotografia avviene qualcosadi simile : si parte sicuramente da un ta-lento congenito di genialità visiva, al-l’interno del quale si inserisce l'espe-rienza e l'acquisizione di competenze,che si sviluppano con il tempo.

Helmut Newton disse: "Il desiderio discoprire, la voglia di emozionare, ilgusto di catturare: tre concetti cheriassumono l'arte della fotografia".Per lei che significato ha la fotogra-fia?Fotografia significa soprattutto

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SCOPRIAMO COME, NELL’ERA DI INSTAGRAM,NON ABBIA SENSO PARLARE DI “FOTOGRAFIA”IN GENERALE, E COME LE NUOVE TECNOLOGIEABBIANO CAMBIATO RADICALMENTE IL RUOLODEL FOTOGRAFO.

Intervista a Roberto Tomesani, Coordinatore Generaledell’Associazione Nazionale Fotografi ProfessionistiTAU Visual

UN

“OBIETTIVO”OLISTICO

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QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY

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potere contare su delle potenzialità comu-nicative che nessun altro mezzo ha. Ri-spetto a quanto accade con gli altri me-dia, infatti, nella fotografia la comu-nicazione passa immediatamente,senza la necessità che il riceventesia consenziente ad esporsi almessaggio, che incontra ben po-che barriere culturali. Chi guardaun’immagine ne coglie infattiimmediatamente il messaggioquasi senza possibilità di difesa.

Che rapporto si instaura tra ilfotografo e il mondo che cerca dirappresentare attraverso le foto?Il fotografo può considerarsi tale quandoha sviluppato una reale empatia, e riesce atrasmettere ad altri con efficacia la sua per-cezione del mondo che lo circonda... Ovviamente, per ottenere questo generedi risultato, occorre che l'abilità empatica

sia sostenuta anche da un'og-gettiva creatività.

I puristi della fotogra-fia tradizionale guar-

dano con scetticismo al-la fotografia digitale. In

un'intervista a “Il Sole 24Ore” del 2010 Gianni Berengo

Gardin l'ha definita "scatti artifi-ciali privi di pensiero". Lei da che par-te si schiera?

Non mi schiero perché or-mai ha poco senso

farlo per chi vivequesti anni. Sonod’accordo con

l’amico Berengoquando afferma che

utilizzare i mezzi più mo-derni spesso induca a produr-

re immagini frettolose e non soste-nute da un reale pensiero.

I costi e i tempi della fotografia analogicaobbligavano a rallentamenti e selezioni nelprocesso descrittivo delle immagini cheoggi non si pongono più in atto. Oggi non

abbiamo più a che fare con i rullini da 36scatti. Grazie alle fotocamere digitali, nonesiste praticamente limite alla quantità diimmagini realizzabili; possiamo guardarlesubito e, se non ci soddisfano, possiamocancellarle e rifarle. Il fatto di disporre diuno strumento di questo genere, tuttavia,non impone di utilizzarlo sempre, ed acri-ticamente. Possiamo scegliere di dedicaretempo e ponderatezza ai nostri scatti. Èco-me se, pur possedendo un'automobile, siscegliesse di non correre, ma di fare unabella passeggiata a piedi e soffermarci,prendere il giusto tempo per osservare,pensare.

Il digitale, che ha semplificato l'usodelle macchine professionali, e il pho-tosharing, che ha reso tutti noi un po'più "fotografi", come hanno cambia-to il ruolo del fotografo?Il ruolo del fotografo è completamentecambiato di senso e di natura. Un tempoera sufficiente che le fotografie "venisserobene". Oggi, per mantenersi come foto-grafo professionista, servono doti comuni-cative, conoscenze e altri elementi molto

più estesi della semplice capacità di fare fo-to. Le fotocamere attuali possiedono

funzioni ed automatismi che com-pensano la scarsa capacità di otte-

nere immagini tecnicamente vali-de. Il digitale ha reso in molti ca-si inutile la padronanza di alcu-ne conoscenze, che prima era-no riconosciute di appannag-gio esclusivo del fotografo e,come tali, vendibili. Nell'attua-le realtà professionale continua

ad avere spazi chi sa mettere incampo delle sinergie offrendo al-

tro, oltre la semplice competenzafotografica: un fotografo di moda,

ad esempio, per avere realmente qual-cosa da "dire" nel suo ambito deve ama-re la moda in sé e per sé, e non solo - ba-nalmente - amare la fotografia. Non bastache ritragga le modelle come belle donneche indossano begli abiti. Un bravo foto-grafo di moda deve amare e conoscere re-almente quel settore, coniugando questapassione con la capacità e la sensibilità fo-tografica. z

ROBERTO TOMESANIÈ IL COORDINATORE GENERALE DELL’ASSOCIAZIONE

NAZIONALE FOTOGRAFI PROFESSIONISTI - TAU VI-SUAL, DI CUI È ANCHE IL FONDATORE. COORDINATORE

DI CORSI PROFESSIONALI DI FOTOGRAFIA DELL’ISTITUTO

EUROPEO DI DESIGN DI MILANO È ANCHE MEMBRO

DELLA COMMISSIONE ESPERTI DEGLI STUDI DI SETTORE

DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE, PER LA FOTOGRAFIA

PROFESSIONALE. È PERITO (CTU) DEL TRIBUNALE DI

MILANO PER “FOTOGRAFIA PROFESSIONALE, UTILIZZI

DI IMMAGINI FOTOGRAFICHE IN PUBBLICITÀ ED EDITO-RIA, DIRITTO D’AUTORE CONNESSO ALLE IMMAGINI" E

CONSULENTE TECNICO DELLA CAMERA DI COMMER-CIO DI MILANO. È IL RELATORE (CIOÈ IL MATERIALE

ESTENSORE) DELLA NORMA UNI 11476:2013, RE-LATIVA ALLE "FIGURE PROFESSIONALI OPERANTI NEL

CAMPO DELLA FOTOGRAFIA E DELLA COMUNICAZIONE

VISIVA CORRELATA" È INOLTRE "VALUTATORE DI COM-PETENZE E CONOSCENZE" PER LA CERTIFICAZIONE PER-SONALE A NORMA UNI PER CONTO DI IMQ. È STATO

CAPOREDATTORE DELLA RIVISTA PROFESSIONALE PRO-GRESSO FOTOGRAFICO E REDATTORE DELLE RIVISTE ZO-OM, TUTTI FOTOGRAFI E FOTONOTIZIARIO. ATTUAL-MENTE È AUTORE DI 19 MANUALI MONOGRAFICI PRO-FESSIONALI, 4 MONOGRAFIE TECNICHE E DI OLTRE

1.700 ARTICOLI NEL SETTORE DELLA FOTOGRAFIA E

DELLA COMUNICAZIONE VISIVA.

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QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

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Chissà se gli scienziati FrancisCrick e James Watson, che perprimi nel 1953 svelarono il mi-

stero della struttura del DNA, avrebbe-ro mai immaginato che il nostro patri-monio genetico oltre a conservare bio-logia e memoria degli esseri viventi, sa-rebbe anche servito a individuare l’ali-mentazione perfetta per ognuno dinoi. Il merito è da attribuire alla nutri-genetica, scienza che, combinando ge-netica e nutrizione, studia attraverso iltest del DNA le caratteristiche struttu-rali di un individuo che influenzano ladiversa risposta ai nutrienti. “La nutri-genetica - spiega il Prof. Paolo Gaspari-ni - è una disciplina appartenente allagenetica, che mette in relazione il pa-trimonio genetico con l’alimentazione.Si occupa cioè di indagare il singolo in-dividuo e le sue caratteristiche geneti-che rapportandole a ciò che mangia eal suo metabolismo, e individuando levariazioni genetiche che caratterizzanociascuno di noi rispetto ai cibi che as-

sumiamo”. Immediata dunquel’associazione con il concetto didieta intesa non tanto e nonsolo come dimagrimento,ma come corretta alimen-tazione e raggiungimen-to di un generale benes-sere per il nostro organi-smo. Su questi studi“L’Italia - afferma Gaspa-rini - è sicuramente unodei paesi in cui l’attività di ri-cerca sperimentale fra nutrigeno-mica e nutrigenetica è tra le piùavanzate assieme a Germania, Inghil-terra e Stati Uniti. È indubbio che nelsettore della genetica del gusto e del-le preferenze alimentari, i gruppi ita-liani sono decisamente all’avan-guardia”. Ma che tipo di rela-zione esiste tra cibo e DNA?“È una relazione molto stretta eassolutamente interessante”spiega Gasparini. “Ognuno di noi,ad esempio, ha una capacità diversa,

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LA DIETAPERFETTA?È SCRITTANEL TUO DNA

INTERVISTA A PAOLO GASPARINI, PROFESSORE DI GENETICA MEDICA DELL’UNIVERSITÀ DI TRIESTE E PRIMARIO DELL’OMONIMO SERVIZIODELL’OSPEDALE INFANTILE IRCCS BURLO GAROFOLO

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neticamente determinata, di percepirel’amaro. Esistono individui che percepi-scono l’amaro in modo molto intenso,e altri che non lo percepiscono affatto.Ciò fa sì che questi due gruppi di per-sone scelgano alimenti diversi con rica-dute importanti sulla salute. Per esem-pio, i soggetti che presentano variazio-ni genetiche che li rendono particolar-

mente sensibili all’amaro tendono a eli-minare dalla dieta tutta una serie di ci-bi come broccoli, radicchio e altre ver-dure amarognole, ma anche succo dipompelmo, cioccolato fondente, caffè.Per non correre il rischio di incappare incarenze alimentari è bene allora sugge-rire loro una dieta che comprenda fon-ti alternative di vitamine e sali minerali.

Invece, le persone che tollera-no l’amaro sono molto

aperti a sperimentare eprovare anche le cucineinnovative”. I vantaggi sono molte-plici e decisamente in-teressanti soprattutto

in termini di prevenzionedelle patologie. Che il cibo

sia la tua medicina, che la medicina siail tuo cibo affermava Ippocrate, nellaconvinzione che gli alimenti fossero ingrado di influenzare quello che lui chia-mava il calore dell’organismo, cioè lagenesi delle malattie. “Non dobbiamomai dimenticare che la prevenzione dimolte patologie inizia a tavola con unacorretta alimentazione - conferma ilprofessor Gasparini - e allora cono-scendo perfettamente ciò che ti piace el’impatto di questi alimenti sul meta-bolismo, è possibile formulare una se-ria strategia di prevenzione, indivi-duando una dieta personalizzata”.Partendo dalle informazioniche ci fornisce il nostro codicegenetico possiamo riorien-tare il metabolismo? “Sì e

QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

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no, nel senso che il nostro codice ge-netico non è di per sé molto modifica-bile. Certamente gli alimenti stimolanoi nostri geni e quindi sicuramente undeterminato cibo può stimolare il geneA piuttosto che il B o il C. Ogni volta chemangiamo stimoliamo la risposta di en-zimi e proteine che sono codificate daigeni. In futuro potremo sviluppare far-maci capaci di modulare direttamente

l’azione dei genicoinvolti nel me-

t a b o l i s m ostesso”.

È possibile operare per estensioneanche nel settore delle intolleranzealimentari? “La genetica svolge unruolo fondamentale in almeno due ve-re e proprie intolleranzealimentari che vannodistinte dalle aller-gie e cioè la ce-liachia, intolle-ranza al glutine,e l’intolleranzaal latte e derivatidovuta alla ca-renza di un enzi-

ma che è la lattasi. In entrambi i casi c’èuna forte componente genetica chepuò essere individuata in anticipo periniziare subito con una serie di strategiedi prevenzione”. Minori possibilità, in-vece, una volta che l’intolleranza si èmanifestata. “Nel caso del deficit di

lattosio - continua il professore - l’in-tolleranza può essere superata conla somministrazione dell’enzimamancante. Per la celiachia invecel’unica soluzione al momento èastenersi dall’assumere alimenti checontengono glutine”. E il futuro, cosa ci riserva? “C’èmolto fermento in questo settore.Le attività di ricerca porteranno neltempo verso un programma nutri-zionale sempre più personalizzatoin modo da favorire e facilitare unmigliore stato di salute e di benes-sere generale dell’organismo”.

INTOLLERANZA E CELIACHIAL’intolleranza al lattosio è dovuta al deficit di produzione delle cellule intestinali del duodeno dellalattasi, enzima deputato alla scissione del lattosio in glucosio e galattosio: si manifesta con disturbigastroenterici che compaiono all’ingestione di alimenti contenenti questo zucchero.

La celiachia o morbo celiaco è un' intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in frumento, farro, kamut, orzo, segale, avena, spelta e triticale.

In Italia, l'incidenza della celiachia è in aumento: è stimata in un soggetto ogni 100-150persone. I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 600.000, ma ne sono stati diagnosticati a oggi qua-

si 150.000. Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni deglialimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce diglutine dal piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzio-ne di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi.

La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia attualmente che garantisce al celiacoun perfetto stato di salute.

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gno gluno gluo go g utinutinutin

no lattosiotosiost

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QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

G-DIET, LA PRIMADIETA SENZA TABÙPOCHE LE RESTRIZIONI IMPOSTE DAI NOSTRI GENI

Se mangiare intelligentemente è un ar-te, come sosteneva Francois de la Ro-chefoucauld, la G-diet, è qualcosa diancora più evoluto. Calibrata sul patri-monio genetico e realizzata ad hoc perognuno di noi, questa dieta è piuttostoun programma nutrizionale personaliz-zato che, partendo dalle caratteristichestrutturali prese in esame, consente diperseguire e mantenere il benessere inun’ottica preventiva, senza rinunciarea gusto, abitudini e preferenze ali-mentari. La G-diet è basata su dati scientificiconsolidati e confermata da analisiempiriche. Recentemente sono staticompiuti test di valutazione clinica in

collaborazione con l’Università degliStudi di Trieste e un Centro sportivo ewellness, che hanno fornito dati inte-ressanti. Cento persone in sovrappe-so sono state sottoposte a un proto-collo dietetico tradizionale e altret-tante hanno seguito la G-diet. I suc-cessivi controlli a distanza di sei me-si, un anno e due anni, hanno evi-denziato una perdita di peso deci-samente più significativa e stabilenei soggetti che hanno deciso diseguire le indicazioni provenientidal loro codice genetico. Ma in che cosa consiste la dieta?Il nutrizionista utilizza le informa-zioni genetiche sul metabolismodegli zuccheri piuttosto che suicarboidrati e poi propone un

programma alimentarepersonalizzato. L’in-

troito caloriconon viene

modificato, ma la quantità e la qualitàdegli alimenti varia a seconda della rea-zione registrata dai propri geni al mo-mento dell’assunzione di un determi-nato cibo. Per capire cosa si deve man-giare è sufficiente rivolgersi a un centrospecializzato e richiedere un kit con ilquale effettuare un test sulla saliva. Ilprelievo di cellule dalla bocca si eseguecon l’ausilio di un semplice bastoncinodi ovatta e si invia nuovamente al labo-ratorio per l’analisi del profilo genetico.Al momento della risposta vengono in-dicati gli alimenti da prediligere perchépienamente compatibili e armonici col

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nostro DNA. La dieta sarà quindi piace-vole - assicurano gli esperti - e noncomporterà sacrifici eccessivi. L'appor-to calorico giornaliero è differente perogni soggetto e richiede un calcolospecifico. Si tengono in considerazionediverse variabili: peso iniziale, altezza,sesso, età, attività fisica (tipo di attività,frequenza settimanale, intensità, fre-quenza) e ovviamente il profilo geneti-co. Anche il rapporto tra proteine, lipi-di e glucidi viene definito in relazione a

diverse variabili legate alla condizionedel soggetto e al profilo genetico; èinoltre collegato a quello definito dallelinee guida per una sana alimentazione(secondo il modello della dieta medi-terranea): proteine 10-15%, lipidi 25-30%, glucidi 50-55%. Nella G-diet non esistono alimenti ta-bù, ma piuttosto cibi da limitare dalpunto di vista quantitativo e della fre-

quenza di assunzione. Un primo esem-pio valido per tutti è il formaggio. Lapizza può essere un altro esempio: puòessere inclusa nel programma alimen-tare, per alcuni con una frequenza diuna volta a settimana, per altri, invece,con frequenza ridotta, per esempiodue volte al mese. z

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QUALITÀ DELLA VITA: SPORT

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SGUARDO SUL KUNG FU: TRA MEDICINA, ARTIMARZIALI, BENESSERE

INTERVISTA AL MAESTRO MARIO MANDRÀ*

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IMQ NOTIZIE n.100

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Uno sente dire Kung Fu e pensasubito a calci, pugni, occhi pe-sti e avversari mandati al tap-

peto. Nel migliore dei casi pensa aBruce Lee, ai suoi spettacolari com-battimenti coreografici e al cattivonedi turno - sia esso un invasore giappo-

nese o un boss della mala diHong Kong - che viene scon-

fitto poco prima delloscorrere dei titoli di co-

da.Pochi sanno cheKung Fu nonvuol dire neces-sariamente ar-te marziale eche dietro aquesta espres-sione c’è unafilosofia tutto-ra legata a dop-

pio filo al benes-sere, alla medici-

na, alla pittura, allameditazione, alla

musica, alla calligrafiae, in generale, al modo in

cui si sta al mondo, coltivandoin se stessi e ricercando negli

altri pazienza, tolleranza e ri-spetto. Un metodo completo,quindi, che coltiva corpo,mente, cuore e spirito e sipone come ottimo stru-mento per una crescitaarmonica dell’individuo.Lo stesso Bruce Lee, smes-si i panni dell’eroe senza

macchia che si batteva sen-za esclusioni di colpi, era un

fine pensatore. “È la compas-sione più che il senso di giusti-

zia che può evitarci di fare del ma-le ai nostri simili”, amava ripetere ai

suoi allievi, e questa è solo una dellemassime contenute nel suo Il Tao delDragone, antologia di scritti e intervisteapparse sulla stampa dal 1958 al 1973che rivelano un ritratto per molti versiinedito: eccezionale praticante di artimarziali, questo sì, ma anche (se nonsoprattutto) pensatore, filosofo e uo-mo dotato di un carisma non comune.La stessa espressione “kung fu” è og-

getto di un curioso equivoco. Di solitolo si associa al concetto di stile di com-battimento, quando invece la realtà èben più ampia e articolata. “Con que-sto termine - spiega Mario Mandrà,uno dei più conosciuti e stimati maestridi arti marziali in Italia - i cinesi indica-no qualsiasi abilità acquisita tramite unduro lavoro, in ogni campo dell’agireumano. Ad esempio, un cuoco che di-venta chef dopo anni di gavetta, un in-gegnere o un avvocato che giunge aimassimi livelli della sua professione,avranno tutti un buon kung fu”. Ilkung fu, quindi, è il risultato di ognipercorso professionale, personale eumano che si affronta con perseveran-za, pazienza, dedizione. E, soprattut-to, tempo. Non a caso in Cina si usa di-re che gli occidentali seguono tutte leluci, per indicare la nostra naturale ten-denza a farci catturare da mode, sug-gestioni e passioni passeggere. “Lì è di-verso. Quando una persona scopre uninteresse o un particolare talento, losegue, lo approfondisce e ci si dedicatotalmente. Va in profondità, la studiae la esamina, sempre consapevole delfatto che più si sa, meno si sa. Quandopoi si dedica tutta la vita, ha un buonkung fu”.Abbiamo incontrato il maestro a Mila-no, presso la palestra di cui è direttoretecnico, per parlare di Kung Fu comeapproccio olistico e di discipline orien-tali. Mentre ci racconta il suo percorsoumano e professionale, ci rendiamoconto anche noi di come l’arte marzia-le sia solo uno dei tasselli che componeil percorso di ogni praticante di KungFu. Nella sala accanto si intravede ungruppo di studenti alle prese con il QiGong, disciplina collegata alla medici-na tradizionale cinese che unisce respi-razione, meditazione e particolari mo-vimenti di esercizio fisico volti a mi-gliorare la circolazione delle energienel corpo e, di conseguenza, il benes-sere complessivo dell’individuo. In pa-tria il Qi Gong è parte integrantedel sistema sanitario nazionale dal1955, ma anche diversi ospedalieuropei stanno iniziando a utiliz-zarlo come integrazione di alcuneterapie e percorsi riabilitativi.“Tutto quello che facciamo - sottolinea

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giore abilità nelcombattimento amani nude o con le armidella tradizione. “Neglianni sono diventatooperatore di medicinatradizionale cinese, enello specifico di mas-saggio Tuina. Questo per-ché medicina, cultura, er-boristeria e agopuntura sonoaltrettanti pilastri, trasmessi dimaestro in maestro, per consentire dimantenersi in vita e longevi”. Non pensia-mo alle condizioni di vita tutto sommatoagiate di oggi. Pensiamo piuttosto alla Ci-na di 3-400 anni fa, quando un bravo mae-stro doveva saper combattere ma ancheessere totalmente autosufficiente da unpunto di vista psico-fisico, in modo da po-ter continuare ad allenarsi e a insegnarecombattendo acciacchi e traumi riportatidurante i combattimenti. “In quest’ottica -continua il maestro Mandrà - studiare le ar-ti marziali a un certo livello per molti ha si-gnificato studiare i principi di una dieta cor-retta, la fisiologia umana, la meditazione,la medicina”. Naturale chiedere al maestro quando ci sirende conto dell’essere diventati maestri,dal momento che non è un titolo che si ac-quisisce in automatico, come un diploma ouna laurea, o dopo un certo numero di an-ni e prove. In Cina l’unico limite ufficiale, secosì possiamo dire, è l’età minima: sotto ai50 anni è impensabile farsi chiamare mae-stro dai propri studenti. Sarebbe una man-canza di rispetto per i praticanti e i maestripiù grandi. In questi casi, al massimo, si puòusare l’espressione “insegnante”. Ma ingenerale, quando ci si rende conto dell’es-sere diventati maestri? “Non è facile ri-spondere. Direi che quando gli altri inizianoa chiamarti maestro, capisci che è cambia-

il maestro Mandrà - si basaessenzialmente su cinquepilastri: saggezza, compas-sione, sincerità, coraggio epazienza, che poi sono anche

le cinque virtù confuciane. L’arte marziale èsolo uno dei passaggi, per quanto impre-scindibile, che si completa con la musica, lostudio della calligrafia, della cultura cinesee della medicina tradizionale cinese. Unpercorso completo prevedrebbe lo studiodi tutte queste discipline, anche se poi, co-me è naturale, c’è chi si specializza più in uncampo che in un altro”. La bellezza del sistema praticato è secondasolo al livello di compenetrazione tra le di-scipline. I movimenti della mano che scrivericalcano quelli del corpo durante la praticadel Taijiquan, lo stile interno di arti marzialicinesi nato come tecnica di combattimentoe oggi conosciuto in occidente soprattuttoper i suoi movimenti graziosi, naturali edelastici, che ne fanno una ginnastica e unatecnica di medicina preventiva ineguaglia-bile.“Quanto alla musica, viene subito da pen-sare al Gu Qin, la cetra cinese. Oltre a esse-re uno dei più antichi strumenti musicali acorda, già ampiamente utilizzato nel 2.200avanti Cristo, è noto per il suo suono caldoe melodioso che genera in chi ascolta unsenso di raccoglimento e, si dice in Cina, èin grado di pacificare mente e cuore”. Unacaratteristica indispensabile anche nella lot-ta: non a caso, uno dei grandi insegnamentidelle arti marziali cinesi è che bisogna sen-tire le proprie emozioni ma mai esser-ne preda. “Cuore sereno e mente tran-quilla, libera da ogni pensiero” è una fraseche riecheggia spesso nelle palestre comequesta. “Studiare Kung Fu significava innanzituttoche, in quanto appassionato, dovevi porta-re avanti la cosa fino in fondo” ci dice ilmaestro Mandrà. Ciò non vuol dire solo al-lenamenti molto duri, altra caratteristicaper cui Shin Dae Woung è ben noto tra ipraticanti di arti marziali, ma anche una for-mazione completa, che non prevedeva so-lo il conseguimento di una sempre mag-

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“CUORE SERENO E MENTETRANQUILLA, LIBERA DA

OGNI PENSIERO” È UNA FRASE CHE

RIECHEGGIA SPESSONELLE PALESTRE DOVE

SI PRATICAIL KUNG FU

to qualcosa in te”. Insomma, sei unleader quando gli altri ti attribuiscono espli-citamente questo titolo. Ovviamente ciònon basta per essere un maestro tout court,anche se è un buon indizio.“Un maestro che si rispetti - continua Man-drà - deve essere un eccezionale pratican-te di arti marziali, deve aver studiato con imigliori e conoscere la dottrina di Confu-cio, i principi del Taoismo e del Buddhismo,la medicina, la calligrafia e l’agopuntura. Econoscerli vuol dire anche vivere in confor-mità con questi principi, che è forse la par-te più difficile, specie se non si vive in unmonastero sperduto tra i monti ma all’in-terno di una società competitiva, frenetica,individualista e, se vogliamo, nevrotica”.Da un punto di vista più ampio, il maestronon è solo colui che ti insegna le arti mar-ziali cinesi, la medicina, la meditazione o lafilosofia. È un punto di riferimento, che tiporta alle soglie del suo sapere e ti indicauna strada che lui stesso, per primo, sta per-correndo. È un interlocutore anziano che,sulla base della sua esperienza, è in gradodi fornire consigli preziosi in diversi campi,anche non collegati strettamente alle disci-pline marziali.

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Il Kung Fu come stile di vita, ma soprattut-to come una base pratica di valori e atteg-giamento che accompagna il praticante intutte le fasi del suo percorso, dentro e fuo-

ri la palestra. Ma soprattutto un meto-do che, se applicato alla vita di ognigiorno, sempre più competitiva ed“escludente” (nel senso di propen-sa a escludere le forme del diverso e

le particolarità che rendono ognunodi noi unico e, in quanto tale, una ric-

chezza per se stesso e gli altri), riesce a ri-portare alla giusta prospettiva la di-

mensione del fare. Ovunque, inogni campo: in palestra come

nel lavoro o nella vita privata.“L'essenziale è fare le cose- diceva ancora Bruce Lee- non i risultati di esse.Non esistono attori, so-lo l'azione, come non

esiste un soggetto che sperimenta, ma so-lo l'esperienza”. Quindi fare, lanciarsi, spe-rimentare il coraggio, capire la propria for-za interiore anche quando tutto il resto nonsmette di insinuare il dubbio che si abbiapaura. E poi c’è dell’altro. “Solo provando il KungFu si capisce bene quale sia l’apporto posi-tivo che questa arte marziale può portarenella nostra vita”, conclude il MaestroMandrà. “Il Kung Fu ti dà un metodo dilavoroe qualsiasi cosa tu faccia nella vita tiabitua a lavorare con pazienza, umiltà, co-raggio, sincerità”. Ciò è ancora più validoquando sono i bambini ad approcciarsi alKung Fu: “Diventano più tranquilli, piùconcentrati: capiscono che le loro azionicomportano una responsabilità. Capisco-no che ogni risultato richiede pazienza e,da grandi, sapranno che se si vuole ottene-re qualcosa bisogna guadagnarsela” .z

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MAESTRO MANDRÀ, CLASSE 1960E UNA VITA SPESA PER LE ARTI MARZIALI. DI-

PLOMATO IN LINGUA CINESE, HA INIZIATO LA PRATICAA SOLI 16 ANNI, STUDIANDO IL WU SHU TRADIZIONALE

(TERMINE UTILIZZATO IN CINA PER INDICARE LE ARTI MARZIALI)E ILTANG LANG, LO STILE DELLA MANTIDE, SOTTO LA GUIDA DI SHIN

DAE WOUNG - PRATICAMENTE UNA LEGGENDA VIVENTE DI QUESTADISCIPLINA – DIVENTANDO NEL 1982 LA PRIMA CINTURA NERA ITA-LIANA. DA QUI UNA CARRIERA COSTELLATA DI SUCCESSI E IMPEGNO. FI-NO A OGGI QUANDO, DOPO QUATTRO TITOLI NAZIONALI CONSECUTIVIE UNA MIRIADE DI PIAZZAMENTI E RICONOSCIMENTI OTTENUTI IN TUT-TA EUROPA E IN CINA, È MAESTRO DELLO STILE DELLA MANTIDERELIGIOSA TAIJI MEIHUA.

LA NOMINA A DIRETTO SUCCESSORE DEL GRAN MAESTROSUNBAO’EN È SOLO L’ULTIMO TASSELLO DI UN PER-

CORSO UNICO ED ENTUSIASMANTE CHE LO COL-LOCA TRA GLI ESPONENTI MONDIALI

DELLA DISCIPLINA.

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Si è tenuta lo scorso 2 luglio l’Assemblea Annuale di ANIEConfindustria, tradizionale momento di confronto e di-battito sull’andamento dell’industria elettrotecnica ed elet-tronica italiana. Il bilancio sul 2013 appena concluso è diun comparto ancora in sofferenza: il fatturato aggregatoha registrato un calo dell’11,8%, con una perdita di ben7 miliardi rispetto all’anno precedente. Si è passati alloradai 63 miliardi di euro del 2012 ai 56 miliardi del 2013. Suquesto dato pesano soprattutto l’andamento del seg-mento fotovoltaico, che ha chiuso lo scorso anno con unaflessione del 70%, e l’impoverimento del mercato interno(nel complesso, la domanda nazionale rivolta alle tecno-logie ANIE ha mostrato un calo del 5,5%). Uno scenariointernazionale in costante decelerazione ha limitato anchele potenzialità espresse dalla domanda estera.Quasi tutti i comparti rappresentati dalla Federazionehanno chiuso il 2013 con un andamento di segno nega-tivo, con diminuzioni accentuate nei comparti Compo-nenti elettronici (-11,2%), Tecnologie per la Trasmissionedi energia elettrica (-9%) e Cavi (-8,3%). In sofferenzaanche Ascensori e scale mobili (-6,2%) e Componenti e si-stemi per impianti (-5,8%), tradizionali comparti fornitoridi tecnologie che si rivolgono a un mercato edile in sta-gnazione. I Trasporti ferroviari ed elettrificati (-4,6%) ri-

sentono da tempo della debolezza degli investimenti na-zionali.Fra i comparti in controtendenza, si evidenziano Auto-mazione industriale, che a fine 2013 ha registrato un in-cremento annuo del fatturato totale del 3,9%, e Sistemidi Trasmissione Movimento e Potenza, che hanno mo-strato una variazione positiva dello 0,7%. Il comparto Si-curezza e Automazione Edifici, inoltre, ha mostrato unasostanziale tenuta del giro d’affari complessivo (+0,9%),pur in un percorso di graduale rallentamento rispetto agliultimi anni.Il confronto sul futuro del manifatturiero, sullo stato disalute dell’intero Sistema Paese e sugli stimoli che occor-rono per uscire da un clima recessivo che sembra davveronon avere mai fine sono stati al centro degli interventi deitanti ospiti presenti all’evento, per esplorare fenomeniquali il reshoring, l’innovazione, la fabbrica del futuro el’education. In particolare il back reshoring, ovvero il ri-torno della produzione manifatturiera in Italia da parte dichi aveva delocalizzato all’estero, è stato il tema di unostudio promosso da ANIE in collaborazione con LucianoFratocchi, professore associato di ingegneria dell’Univer-sità de l’Aquila e portavoce del gruppo di ricerca italianoUniclub MoRe reshoring (per informazioni: anie.it).

PANORAMA NEWS

ANIE: RIPORTARE LA MANIFATTURA IN ITALIA È L’UNICA STRADA PER USCIRE DALLA RECESSIONE

Le aziende ANIE, riunite per l’Assemblea Annuale, non credono che il 2014 segnerà l’uscita dalla crisi.Il Presidente Gemme: “Ma la nostra competenza sarà il valore aggiunto premiante”

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IMQ NOTIZIE n. 100

COMITATOELETTROTECNICO

ITALIANO

Il CEI - Comitato Elettrotecnico Italiano,ente responsabile in ambito nazionaledella normazione tecnica in campo elet-trotecnico, elettronico e delle telecomu-nicazioni, è da sempre impegnato nelladivulgazione della cultura della norma-zione tecnica attraverso il coinvolgi-mento di tutte le parti sociali interessate,tra cui il mondo accademico.L’università è da sempre il luogo desi-gnato all’istruzione e alla formazione delcorpo sociale di domani. E la normativatecnica è parte imprescindibile del ba-gaglio di conoscenze necessarie ad af-frontare da professionista il mondo dellavoro. Gli studenti, una volta inseriti nelmondo del lavoro, saranno i soggettiprimari della produzione e dello sviluppotecnologico ma anche i garanti della lorocorretta interpretazione e fruizione. Perquesto motivo, è di fondamentale im-portanza che, nel proprio bagaglio diconoscenze, vi siano anche le necessa-rie nozioni normative.È in quest’ottica che si inserisce il Pre-mio CEI “Miglior Tesi di Laurea”, pre-mio istituito nel 1995 con il quale il CEIintende premiare neolaureati o laure-andi che abbiano svolto una tesi di lau-rea dedicata in modo esplicito e direttoa sviluppare ed approfondire tematicheconnesse alla normazione tecnica na-zionale, comunitaria ed internazionale,ai suoi riflessi tecnici, economici o giu-ridici, relativi anche alle ricerche prepa-ratorie per garantire il raggiungimentodella regola dell’arte nella concezione eprogettazione di prodotti, servizi, im-pianti, processi e nell’organizzazione egestione di impresa e della PubblicaAmministrazione. Oggetto delle tesisono tematiche relative a ricerche voltealla definizione dei limiti di qualità e si-curezza da fissare nella normativa tec-nica, all’attività di ricerca pre-normativao di indagine e ricerca in genere, ai si-

stemi di gestione per la qualità, l’am-biente e la sicurezza. Tali approfondi-menti possono interessare qualsivogliacampo di applicazione delle norme: daquello strettamente tecnico o tecnolo-gico, alle conseguenze sul piano giuri-dico, economico, sociale, storico,urbanistico, dei rapporti internazionali,dei costumi della società. Ulteriori ap-profondimenti possono anche esami-nare gli sviluppi sociali ed il benessere insenso lato che, grazie alla normativatecnica nazionale ed internazionale, latecnologia in continua evoluzione hacontribuito a determinare, anche con-siderando il grande sviluppo che essaha apportato alla comunicazione edalla economia tra i popoli e le nazioninel tempo.Per questa diciannovesima edizioneverranno premiate tre tesi di laurea conun riconoscimento pubblico ed uffi-ciale e l’assegnazione di un contributoin denaro. La cerimonia di premiazioneavverrà nel corso di un momento di in-contro pubblico organizzato dal CEInell’ambito di importanti eventi di set-tore. Al Premio possono partecipare tutti ilaureati o laureandi (Laurea precedenteordinamento o Laurea Magistrale) delleFacoltà di Ingegneria (Civile, Della Pre-venzione e della Sicurezza, Elettrica,Elettronica, Energetica, Dei Sistemi Edi-lizi, Per l’ambiente e il territorio, Infor-matica, Meccanica), Giurisprudenza,Economia e Scienze Politiche e Socialidi tutte le Cattedre nazionali cheavranno discusso la tesi e conseguito lalaurea nel periodo dal 01/01/2014 al28/02/2015.Il bando del Premio CEI “Miglior Tesi diLaurea” 2014 - XIX Edizione è scarica-bile dal sito www.ceiweb.it alla voceEventi > Premi CEI.

PREMIO CEI “MIGLIOR TESI DI LAUREA”

Erano presenti il Sindaco di MilanoGiuliano Pisapia e la Presidente diExpo 2015 Spa e Commissario per ilPadiglione Italia, Diana Bracco, con iquali è stato fatto il punto sulle aspet-tative per il grande evento che Milanosi prepara ad ospitare il prossimoanno. “Milano cerca di operare al me-glio per aiutare il sistema produttivo,paghiamo i fornitori nei tempi previstidalla legge e talvolta anche prima, edExpo 2015 rimane un'occasione stra-ordinaria per la città e per tutto ilPaese” ha commentato il Sindaco Pi-sapia, mentre Bracco si è detta fidu-ciosa per la puntuale fine dei lavori siainfrastrutturali che contenutistici.Come noto infatti, il tema centraledella manifestazione sarà “Nutrire ilpianeta, energia per la vita”. Anche ANIE parteciperà, insieme aConfindustria, all’organizzazione diuna mostra permanente ‘Il Cibo deidesideri’, che illustrerà l’apporto dellatecnologia italiana nella filiera agroa-limentare. La mostra sarà ospitata nelPadiglione Italia per tutti i sei mesi diExpo e sarà una delle maggiori attra-zioni del gran tour del sito espositivo.Preziosi interlocutori del dibattitosono stati Lisa Ferrarini, Vice presi-dente di Confindustria per l’Europa e Maurizio Pernice, direttore generaleper la Tutela del territorio e delle ri-sorse idriche del Ministero dell’Am-biente.Secondo un’indagine condotta dal-l’Associazione, comunque, l'80%delle imprese non vede il 2014 comeanno effettivo della ripresa. Che fu-turo ci dobbiamo allora aspettare perl’industria elettrotecnica ed elettronicaitaliana? Qual è la chiave della ripresa?“La specializzazione degli uomini edelle sue aziende” dice il Presidente diANIE Confindustria, Claudio AndreaGemme. “L’ultimo decennio ha cam-biato la storia dell’industria manifattu-riera, tuttavia la new economy basatasolo sulla finanza e sui servizi è fallita:senza la manifattura il Paese muore.Laddove la concorrenza sarà spietatala nostra competenza sarà il valore ag-giunto che farà la differenza e saràpremiante”.

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BREVI IMQ

NASCE IL PIÙ GRANDE POLO ITALIANO PER LA SICUREZZA DI VEICOLI E COMPONENTI

Il Gruppo IMQ acquisisce Prototipo Technologies S.r.l. e dà vita al più grande centro italiano per l’attività di testing, verifica e collaudo del settore automotive

da che dal 1991 opera nel settore del-l’ingegneria sperimentale di veicoli esistemi-componenti e nella verifica dicomponenti automobilistici. “Con l’acquisizione di Prototipo” hadichiarato l’ing. Pasqualino Cau, Vice-presidente di CSI S.p.A. “Il GruppoIMQ, che tramite CSI già vanta una po-sizione di rilievo nell’offerta di serviziall’industria dell’auto sia a livello na-zionale sia internazionale, accresce lapropria leadership nel settore automo-tive, venendo così a realizzare un poloa respiro europeo, tra i più qualificatiCentri di Sicurezza, in grado di affron-tare tutte le problematiche legate allasicurezza attiva e passiva dell’auto e dioffrire la più ampia gamma di servizi ai

produttori di autoveicoli e della relati-va componentistica”.Ma visibilità e raggio di azione euro-peo, non sono gli unici benefici del-l’operazione. Occorre infatti ricordarecome l’acquisizione preveda non solouna potenziale crescita dell’indotto,ma anche un rafforzamento del ruolodel Gruppo IMQ quale realtà a suppor-to del sistema produttivo italiano. “Gliambiti di operatività di IMQ si stannosempre più ramificando” ha sottoli-neato l’ing. Giorgio Scanavacca, Presi-dente del Gruppo. “Le nostre compe-tenze nel testing e nella verifica si stan-no confermando sempre di più indi-spensabile supporto per la valorizza-zione della qualità delle aziende italia-

CSI S.p.A., società del Gruppo IMQ, hafinalizzato l’acquisizione di PrototipoTechnologies S.r.l., realtà operativanell’automotive. Un’acquisizione degna di nota, poichéporta alla costituzione del più grandepolo italiano di testing, collaudo e cer-tificazione del settore.

L’operazione vede da una parte CSIS.p.A., la società del Gruppo specializ-zata in testing e certificazioni per il set-tore dell’auto, ma con posizioni di lea-dership anche in altri settori merceolo-gici quali l’alimentare, il packaging, lestrutture resistenti al fuoco, la tossici-tà, la termotecnica, l’acustica, e dall’al-tra Prototipo Technologies S.r.l., azien-

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IMQ NOTIZIE n. 100

ne. Il potenziamento dei servizi of-ferti al settore automotive incideràsull’attività e sulla realtà del GruppoIMQ spostando gli obiettivi di fattu-rato nell’intorno dei 100 milioni dieuro, per una realtà di 700 dipen-denti ed alcune centinaia di collabo-ratori esterni”. Il tutto con una rin-novata capacità di competizione enell’ottica di accrescere le posizionidi mercato ad oggi acquisite.

Le opportunità in termini competiti-vi sono state sottolineate anche daVincenzo Ruocco, AmministratoreDelegato di Protot ipo, che haespresso soddisfazione per l’opera-zione: “Diventare parte di un impor-tante Gruppo, di riconosciuta imma-gine e affidabilità, permetterà di va-lorizzare al meglio il know-how e gliasset maturati da Prototipo in più divent’anni di attività nel settore.Un’esperienza già apprezzata dalmercato, ora al servizio di una realtàpiù ampia e completa, di un polod’eccellenza nel settore del testingper l’automotive che contribuirà arafforzare la posizione del nostroPaese quale punto di riferimento perle aziende europee del settore”.Un’esperienza consolidata grazieanche al management di Centro-banca Sviluppo Impresa SGR (Grup-po UBI Banca) società che, attraver-so il Fondo Sviluppo Impresa, ha af-fiancato Prototipo nella sua fase diristrutturazione, sviluppo e crescita.“Sono lieto che l’operato di SGR”ha commentato il suo Amministra-tore Delegato, Giuseppe Gilardi“abbia contribuito alla valorizzazio-ne e alla stabilità nel tempo dellecompetenze e dei relativi livelli oc-cupazionali di Prototipo rendendopossibile, oggi, il suo ingresso nelGruppo IMQ”. Conclude Scanavacca: “Il Polo di Si-curezza Automotive del GruppoIMQ sarà fortemente contraddistin-to dalla ricerca e l’innovazione, of-frendo al Sistema Italia un punto diriferimento nazionale per poter af-frontare con maggiore forza le sfidedella globalizzazione. In questo mo-do ci auguriamo di poter contribuirea tutelare e rilanciare i volumi pro-duttivi di un settore che è un beneda difendere”.

IMQ APRE UNA NUOVA SEDE NEL DISTRETTO DEI BIOMEDICALI

Sempre più vicino alle aziende del settore, IMQ ha aperto una nuova sede operativa anche a Medolla. Un punto di riferimento a cui le realtà

del territorio potranno rivolgersi per avvalersi dei servizi one-stop- solution diIMQ e avere una risposta a tutte le esigenze di testing, verifiche ed export.

Si trova a Medolla, ovvero nel cuoredi uno dei più importanti distretti bio-medicali a livello mondiale, la nuovasede operativa avviata da IMQ. Unpotenziamento territoriale voluto perrispondere al meglio alle esigenzedelle aziende del settore. In partico-lare alla necessità di poter contare suun unico partner in grado di offriretutti i servizi relativi a testing e certi-ficazioni, servizi per l’estero e sup-porto tecnico, attestazioni, audit diseconda parte e attività di sorve-glianza. Un’esigenza alla quale solo IMQ è ingrado di rispondere con un servizioone-stop-solution che, alla compe-tenza riconosciuta a livello interna-zionale, aggiunge i vantaggi derivanti

da un partner localizzato sul territo-rio e i conseguenti benefici in terminidi riduzione dei tempi e dei costi dilavorazione.Ma l’apertura di Medolla non è l’unicanovità di IMQ a vantaggio dei clientidel settore medicale. Accanto alla lo-calizzazione sul territorio, sono statiinfatti anche potenziati i servizi offerti,in particolare per le aziende interes-sate a esportare che da oggi potrannocontare su IMQ anche per la gestionedi tutte le pratiche necessarie per l’ot-tenimento delle registrazioni e delleapprovazioni interna zionali. Non ul-timo va infine ricordato il rafforza-mento dell’attività di testing estesaanche alle prove chimico-fisiche e mi-crobiologiche.

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Presentato a Francoforte, ENEC Plus è il pri-mo marchio europeo che certifica le presta-zioni degli apparecchi di illuminazione tradi-zionali, con tecnologia a Led e dei moduli, ela piena affidabilità e corrispondenza dellecaratteristiche dichiarate.Sviluppato da EEPCA (l’Associazione Euro-pea degli organismi di certificazione nel set-tore degli apparecchi elettrici), in collabora-zione con LightingEurope (l'Associazioneche rappresenta i principali produttori di il-luminazione e associazioni europee di illu-minazione nazionali) ENEC Plus si base sul-lo schema di ENEC, il marchio di sicurezza daoltre 20 anni leader in Europa. Come que-st’ultimo è riconosciuto da 22 Paesi Europeie da 25 enti di certificazione tra i quali IMQ,ad oggi ente leader in termini di numero dicertificati ENEC emessi.

I principali higlights: • Sistema pan-europeo di certificazione

delle caratteristiche di prestazione siadegli apparecchi con tecnologia a Led edei moduli, sia di quelli con tecnologiatradizionale.

• Alta visibilità, garantita dall’autorevo-lezza acquisita dal marchio ENEC esupportata in termini di comunicazionedai 25 enti aderenti all’accordo.

• Tracciabilità dei prodotti attraverso undatabase online.

• Garanzia sull’obiettività dei valori di-chiarati, anche in termini di efficienzaenergetica.

• Basato su un modello in continua evo-luzione.

• Strumento obiettivo per una traspa-rente comparazione delle prestazioniofferte dai diversi apparecchi di illumi-nazione.

BREVI IMQ

• Semplificazione delle procedure e ridu-zione dei costi grazie alla possibilità dieseguire le prove anche presso i labora-tori dei costruttori, opportunamentequalificati.

• Elemento distintivo nelle gare di ap-palto.

Come funziona:• Per poter ottenere la certificazione

ENEC Plus i prodotti devono prima averottenuto il marchio ENEC, e dunqueessere anzitutto conformi ai requisiti disicurezza.

• I test di prestazione sono condotti siapresso laboratori approvati, sia diretta-mente presso i laboratori delle aziende,preventivamente qualificati. Tutti i labo-ratori hanno sede in Europa.

• Inizialmente basato sugli standard pre-stazionali IEC/PAS 62722-1, IEC/PAS62722-2-1 e IEC/PAS 62717, ENECPlus evolverà in accordo con le richiestedi mercato per comprendere altriaspetti prestazionali oltre a quelli giàprevisti, quali, ad esempio, eco-design,durata delle prestazioni...).

Vantaggi per tutti gli attori del mercato:• Produttori. Autorevole strumento di

terza parte che garantisce sulla bontàdel loro operato e sull’affidabilità deiloro prodotti.

• Distributori. Che in questo modo po-tranno individuare a prima vista iprodotti di alta gamma.

• Progettisti, designers, utilities, con-tract. Certezza certificata da una terzaparte, di avere scelto prodotti con-formi e affidabili in termini di sicurezzae di prestazioni dichiarate.

ENEC PLUSIl primo marchio europeo che certifica le prestazioni degli apparecchi

di illuminazione tradizionali, con tecnologia a Led e dei moduli.

CON IL RAPPORTODI VALUTAZIONERILASCIATO DAIMQ, COSIGNOTTIENE LA

CERTIFICAZIONEEAL4+

CoSign, la prima soluzione di firmaremota completamente conforme

alla nuova normativa eIDAS

Sono state svolte dal Laboratorio di Va-lutazione della Sicurezza ICT di IMQ itest sulla sicurezza hardware e softwa-re che hanno consentito a CoSign diottenere dall’OCSI la certificazione se-condo i Common Criteria (ISO/IEC15408) al livello di garanzia EAL4+(augmented with AVA_VAN.5) e ad es-sere riconosciuto a livello internaziona-le come dispositivo di firma digitale re-mota che offre una soluzione nel pienorispetto degli standard di sicurezza.OCSI, lo ricordiamo è l’organismo ita-liano per la certificazione della sicurez-za informatica. Il rilascio della certifica-zione è avvenuto sulla base del Rap-porto finale di Valutazione elaboratoda IMQ. Con questa nuova certificazione, Co-Sign, prodotto dalla Arx (fornitore a li-vello mondiale di soluzioni per firmaelettronica e sicurezza dei dati e distri-buito in Italia da itAgile), viene ufficial-mente riconosciuto come una soluzio-ne per la firma remota gestita central-mente e altamente sicura, oltre checonforme ai requisiti europei previsti dalregolamento eIDAS (Electronic Identifi-cation and Trust Services for ElectronicTransactions in the Internal Market).

Il Laboratorio di Valutazione SicurezzaICT di IMQ, lo ricordiamo, è accredita-to negli schemi nazionali per la valuta-zione della sicurezza dei sistemi e pro-dotti ICT. Inoltre, IMQ è l'unico organi-smo di certificazione accreditato daAccredia, operante in Italia, ad averraggiunto l'obiettivo di avere al suo in-terno un laboratorio accreditato per ef-fettuare valutazioni formali della sicu-rezza di sistemi e prodotti IT negli sche-mi nazionali gestiti da DIS/UCSe e OC-SI secondo gli standard internazional-mente riconosciuti.

Per ottenere il marchio ENEC Plus i prodotti devono prima aver ottenuto il marchio di sicurezza ENEC, nel rilascio del quale IMQ è ad oggi, in Europa, ente leader in termini di numero di certificati emessi.

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