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Atti N° 39 - anno 1999

ATTIdella Conferenza Italiana

dei Ministri ProvincialiCappuccini

CIMP Cap - Roma

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Sommario

Presentazione ................................................................................................... 7

I. Assemblee CIMP Cap83ª Assemblea .......................................................................................... 11

Le dinamiche relazionali: ascolto, dialogo, accompagnamento(D. Pavoncello, A. Bissoni, G. Salonia)............................................. 12VI CPO: indicazioni, chiavi di lettura, piste operative(A. Laita, P. Hinder, A. Stanovnick) .................................................. 14Dinamiche relazionali (relazione completa di D. Pavoncello) .......... 16Sintesi delle relazioni dei gruppi di lavoro sulle dinamiche relazio-nali delle fraternità ............................................................................. 20Relazione dei gruppi di lavoro sul VI CPO ....................................... 26Relazioni dei gruppi di ricerca sul ruolo dei definitori...................... 30

84ª Assemblea........................................................................................... 36Beato Padre Pio da Pietrelcina (C. Bove) .......................................... 37

85ª AssembleaConvegno per Ministri ed Economi provinciali ................................ 53La realtà economica della Provincia: ruoli, uffici, competenze(R. Genuin)......................................................................................... 58Piste di riflessione sul VI CPO (G. Salonia)...................................... 66Sintesi dei lavori dei gruppi di ricerca ............................................... 79Da Provincia a Intercap (M. Annoni, P. Servi) .................................. 80

86ª AssembleaPresentazione...................................................................................... 92Saluto del Presidente CIMP Cap........................................................ 93Opus historiae, opus Trinitatis: la Trinità come liturgia divina d’amo-re nello scorrere del tempo (G. Pasquale) .......................................... 94Il Giubileo: riflessione biblica (D. Dozzi) ......................................... 119Contributo francescano al Giubileo (T. Jansen)................................. 132Tempo della storia - tempo della fede (Mons. F. Lambiasi) .............. 138Omelia in onore di fra Nicola da Gesturi (A. Ascenzi) ..................... 147

II. Segretariati nazionaliConvegno dei Segretariati nazionali CIMP Cap

Cronaca............................................................................................... 154

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Saluto del Presidente CIMP Cap........................................................ 156Valutazione del progetto di ristrutturazione dei Segretariati (Segreta-riato della Pastorale Giovanile e Vocazionale) .................................. 157Segretariato della Formazione e Commissione beni culturali ........... 158Segretariato dell’Evangelizzazione .................................................... 161Segretariato per Animazione Missionaria ......................................... 162Segretariato per la Pastorale parrocchiale e relazione del Ministroprovinciale accompagnatore............................................................... 164Segretariato per la Pastorale della Salute........................................... 167Segretariato Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato ..................... 173Segretariato per le Opere Sociali ....................................................... 178Segretariato per l’Assistenza OFS GiFra ........................................... 180

Comunicato stampa del Comitato francescano per il Giubileo .... 181

III. DocumentiLettere................................................................................................. 185Oblati perpetui.................................................................................... 191

CIMP Cap 1999

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Presentazione

Il cammino giubilare che, in questi ultimi tre anni, ha scandito le tappeche ci hanno avvicinato al 2000, ha posto degli interrogativi anche in senoalla CIMP Cap. Il tema trinitario è stato oggetto della 86ª Assemblea, manon ci si è accontentati di una semplice riflessione, tutt’altro. Riflettendo sulNovo Millennio adveniente, si è cercato di riscoprire un cammino di santitàspecifico, quello proposto di recente dal cappuccino padre Pio da Pietrelci-na, quello vissuto in passato da fra Nicola da Gesturi; cammini laicali e sa-cerdotali che affascinano e conquistano l’anima, proprio perché il “tempodella storia” è il “tempo della fede”. Il Giubileo, quindi, non è cerimonia ce-lebrativa, ma un’occasione da non perdere per rinvigorire lo spirito di unio-ne con Dio e con i fratelli.

Il VI CPO, concluso di recente, continua nel suo approfondimento, affin-ché i Ministri provinciali con il loro definitorio, in comunione d’intenti congli economi provinciali, possano avere le giuste chiavi di lettura ed indivi-duare i percorsi consoni per renderlo operativo.

Il ‘99, inoltre, è stato segnato profondamente da un notevole sforzo di ri-forma dei Segretariati. Da qualche anno in cantiere, ora si avvicinava il tem-po in cui si sarebbe abbandonata l’attuale struttura dei Segretariati e si sareb-be applicata la nuova riforma tra incertezze, perplessità e speranze. Il conve-gno dei Segretariati è stato un momento storico da non dimenticare, perché èindice di una nuova cultura che sta prendendo il sopravvento.

Saranno in grado i Cappuccini italiani di assolvere le aspettative ecclesia-li collocandosi nell’oggi come pietre vive?

Le sfide non mancano ed inesorabilmente la storia cammina…

Il SegretarioFr. Mariano Steffan

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I. Assemblee CIMP Cap

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83a Assemblea CIMP CapRoma - Sacrofano, 11-15 gennaio 1999

1. Incontro con il Ministro generale. Il Ministro generale, fr. J. Corriveau, si è riferito in particolare alla visita

che ha appena concluso alle Province dei Cappuccini Italiani (CIMP Cap).Ha comunicato all’Assemblea la sua impressione positiva sulla presenza deicappuccini in Italia: ha potuto constatare una presenza qualificata e apprez-zata; la stima della gente e la popolarità. Ha avuto la sensazione che ci sianotroppi luoghi abitati dai frati, ma con poche persone. È necessario conserva-re questa presenza forte, vivere ciò che siamo, ridimensionare le nostre pre-senze: “Non siamo costruttori di case - ha detto - ma di fraternità”.

2. La formazione teologica dei fratelli non chierici. È una necessità che si impone: ci vuole una formazione teologica di al-

meno due/tre anni, non in preparazione alla ministerialità, ma per vivere lavita consacrata. Sarebbe utile nominare una commissione che studi una solu-zione comune a tutta la CIMP Cap.

3. Animazione del VI CPO. Il Definitorio generale, in vista e in preparazione del prossimo Capitolo

generale, ha creduto opportuno prospettare per il 1999 alcune iniziative:a: Commissione esterna di esperti, che prenda in considerazione le strut-

ture economiche della Curia generale per essere sicuri che l’amministrazionecentrale dell’Ordine segue lo spirito e le indicazioni del VI CPO;

b: Simposio dei Provinciali e degli Economi provinciali, coinvolgendo al-tre persone, per esempio il Segretario per le missioni;

c: Simposio dei guardiani e degli economi locali.Così si spera che al Capitolo generale i gruppi abbiano una visione comu-

ne per affrontare il tema: “Vivere la povertà in fraternità”.

4. Il Collegio internazionale. Il Rettore attuale ha proposto che gli studenti stranieri, dopo aver tra-

scorso alcuni mesi al convento di Frascati per studiare la lingua italiana,vengano distribuiti nei vari conventi d’Italia per praticare la lingua.

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5. Beatificazione di P. Pio.Programmazione del 2 maggio, giorno della beatificazione di Padre Pio

da Pietrelcina: i luoghi di via Cairoli e della Curia generale ospiteranno i fra-ti che vengono dall’estero; la Provincia di Foggia gestirà il convento di Fra-scati; la Provincia Romana mette a disposizione le sue capacità recettive peri frati italiani; si stanno prenotando una sessantina di posti in alcuni Istitutidi Roma.

6. Riunificazione dell’OFS.Il cammino unitario delle varie Obbedienze deve continuare. È seguito un

dialogo tra i partecipanti all’Assemblea e il Ministro generale, nel quale so-no stati precisati ed ampliati i punti di maggiore interesse per i frati.

Martedi 12 gennaio 1999

LE DINAMICHE RELAZIONALI: ASCOLTO, DIALOGO, ACCOMPAGNAMENTO

D. Pavoncello, A. Bissoni, G. Salonia

1. Le condizioni per un confronto relazionale interpersonale

Tali condizioni fanno appello alla autenticità, alla congruenza e all’empa-tia. In questo clima interpersonale positivo si può trarre incoraggiamento perun sereno, responsabile adempimento dei rispettivi compiti. La realizzazionedi questa armonia passa attraverso la comunicazione implicita o esplicita, inquanto ogni aspetto del comportamento è comunicazione ed ha valore dimessaggio, che obbliga ad una risposta. L’interazione promozionale tra imembri di un gruppo si identifica con il senso di apertura, di rispetto, di aiu-to reciproco generale, che i membri vivono in modo quasi inconsapevole,ma autentico. Un buon clima di gruppo è dato dalla percezione di benessereche si prova nello stare insieme, in cui ognuno si sente accettato, senza esse-re giudicato. Sviluppare una capacità di interazione promozionale, ovveroacquisire delle buone competenze relazionali, significa favorire capacità diascolto, di dialogo e di accompagnamento.

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Ascoltare comporta un processo mentale più sofisticato che sentire.Ascoltare è un processo attivo, che significa raccogliere informazioni da chiparla astenendosi dal giudicare e assumendo un atteggiamento empatico, di-mostrare attenzione a chi parla in modo da favorire la comunicazione, inter-venire con osservazioni limitate ma incoraggianti, portando un po’ più avan-ti l’idea dell’interlocutore. Questo ascolto empatico favorisce l’onestà, lacomprensione ed un senso di sicurezza.

La relazione di aiuto si può ridurre a due fattori generali: il rispondere el’iniziare. Il fattore rispondere sottolinea l’importanza di dimensioni qualil’empatia, il rispetto e la concretezza; mentre il fattore iniziare indica un pro-cesso per il quale le esperienze degli ascoltatori o facilitatori della comuni-cazione possono avviare una serie di azioni concrete, direttamente finalizza-te alla risoluzione dei problemi dei propri interlocutori. Potenziare le compe-tenze comunicative relazionali consente di promuovere un clima interattivo,coeso e collaborativo.

2. Il divenire della relazione

a. Ascolto. Tre parametri nella tensione tra il finito e l’infinito: alterità,temporalità, strutturazioni progressive. Ascolto come capacità di recezionecorretta/distorta del messaggio inviato dall’altro. Ascolto e consistenze/in-consistenze; tendenza a persistere delle resistenze. Ascolto e maturità tridi-mensionale: verso la “stabilità dinamica”.

b. Dialogo. Molte sono le componenti del dialogo: incontro triangolare tu-io-Dio, lotta religiosa e lotta psicologica tra super-io e subconscio (vicinanza elontananza), appartenenza, partecipazione, visioni prevalenti e visioni “per-denti”, inclusioni ed esclusioni. Età e visioni relative alla vita religiosa (chi è ilmio prossimo?). Orientamento ai ruoli e/o orientamento ai valori... Funzionidella persona di riferimento: alla persona di Gesù Cristo, alla coscienza dellaChiesa nel mondo contemporaneo, al proprio carisma... Scopo del dialogo è:internalizzazione, umanizzazione e spiritualizzazione dei processi.

c. Risposta e accompagnamento. La costruzione del progetto comunitariooscilla tra “decisioni prese dall’alto” e proposte maturate “dal basso”, tracrescita personale e crescita comunitaria (Parola-liturgia, Riconciliazione,Eucaristia, servizio...), tra crescita personale-comunitaria e relazioni aposto-liche (solitudine, amicizia, indifferenza).

I. Assemblee CIMP Cap

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d. Nella ricerca aperta verso la vita interiore unificata e semplificata,s’incontra la coscienza che dice: “eccomi!”. Attenzione ai dieci comanda-menti dell’attività conoscitiva e decisionale. Preferire l’attenzione alla perso-na (luogo antropologico e teologico). Nella via dell’incarnazione riconoscerela pedagogia di Dio, come illuminante ogni pedagogia umana (altezza, lar-ghezza, profondità nel mistero di Dio).

3. La comunicazione e il dialogo

Per la Chiesa sono una necessità. L’aspetto più significativo della comu-nicazione oggi è il dialogo, non più soltanto lo scambio di informazione.

Le difficoltà: in un tempo di frammentazione, il dialogo diventa etica,cioè un modo per stare insieme.

La soggettività ci fa avere dei punti di vista diversi: la soggettività deveessere accolta e non demonizzata.

Dialogare significa interrogarsi sul tipo di relazione che noi abbiamo congli altri.

L’accompagnamento deve essere fatto alla luce dei cambiamenti che at-traversiamo: l’accompagnatore deve affrontare il problema e la fatica di met-tere insieme la diversità nelle persone diverse.

L’accompagnatore di una fraternità deve accettare di essere solo, devepensare in termini comunitari: il singolo nella fraternità; deve ascoltare quel-li che non parlano o parlano poco. Deve favorire il dialogo fra i singoli.

Ogni mattina deve ringraziare Dio per la propria comunità, perché è lamigliore del mondo.

VI CPO:INDICAZIONI, CHIAVI DI LETTURA, PISTE OPERATIVE

A. Laita, P. Hinder, A. Stanovnick

1. Preparazione e contenuti del VI CPO (A. Laita)

a. Preparazione. Alla fine del VI CPO non è stato preparato un documen-to dottrinale, ma sono state elaborate alcune Propositiones, che hanno lo sco-po di essere una proposta operativa. Ciascuna Propositio ha un suo valore

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autonomo, pur essendo inserita in un contesto generale comune. Questo pro-cedimento ha favorito l’apporto di tutti.

b. Le Propositiones sono il frutto del consenso dei tre gruppi linguistici:inglese, italiano e spagnolo, sono perciò segno di unità nell’Ordine. In que-sto modo, certo, si è perduto lo spirito di profezia, di denuncia e di radicali-smo, si è perduta anche l’utopia.

c. Il VI CPO ha avuto due momenti: i primi 15 giorni sono stati dedicati araccogliere il materiale proveniente dalle singole Conferenze, e a dargli unacerta forma e un certo spirito. Due relazioni hanno concluso questa primaparte. La seconda ha preparato le Propositiones con un lavoro compiuto daigruppi in aula. Quindi si è passati alle votazioni, per fasi successive, conemendamenti apportati di volta in volta.

Contenuto. Le Propositiones, pur autonome in se stesse, sono distribuitein cinque blocchi: povertà evangelica e minorità nel nostro tempo (1-8), fra-telli tra i poveri e minorità (8-13), fonti di sostentamento: lavoro e questua(14-20), solidarietà e condivisione (821-28), criteri per una amministrazionefraterna e trasparente (29-45).

2. Presentazione delle Propositiones (P. Hinder)

Il relatore ha sottolineato soltanto la Propositiones che riguardano i criteriper una amministrazione fraterna e trasparente (29-45). Non si tratta soltantodi una amministrazione solida e accorta, ma di una amministrazione che deveesprimere trasparenza su tutti i beni per favorire la vita fraterna. Sono seguitealcune precisazioni sulle norme etiche, sui preventivi, sui tetti massimi di spe-sa, sul profitto e la capitalizzazione, sui fitti e così via.

3. Il VI CPO e l’America Latina (A. Stanovnick)

a. Citando Gustavo Gutierrez, il relatore ha presentato un’analisi dellarealtà dell’America latina: viviamo in un momento storico in cui ci sono piùdomande che risposte, il che significa che dobbiamo ascoltare e contempla-re, più che palare. C’è bisogno di disporsi più all’evangelizzazione che aimetodi, di passare dall’esodo al deserto, dalla grande liberazione alle piccoleliberazioni quotidiane. È necessario confrontarci con Dio, con i fratelli e connoi stessi per scoprire la dignità di fratelli.

b. La vita religiosa nell’America latina ha urgente bisogno di recuperarele radici evangeliche della consacrazione. C’è una crisi di fede e di identità

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cristiana. I Cappuccini vivono in questo contesto. Si deve tornare a desiderarelo spirito del Signore e la sua santa operazione. È importante per i Cappuccinidell’America latina scoprire nel VI CPO le motivazioni evangeliche della po-vertà per rivivere la mistica evangelica e vivere la povertà in fraternità.

DINAMICHE RELAZIONALI: ASCOLTO, DIALOGO, ACCOMPAGNAMENTO

Daniela Pavoncello

Nell’analisi degli influssi sociali che si verificano all’interno di un gruppo,le competenze comunicative e relazionali assumono una notevole rilevanza,costituendo uno dei temi maggiormente studiati nell’ambito della psicologiaeducativa, sociale e dell’organizzazione. Le condizioni necessarie affinché ilconfronto relazionale risulti efficace, va ricercato nella presenza di un rapportoumano, caratterizzato da fattori quali autenticità, congruenza ed empatia.

Solo in questo modo è possibile che all’interno del gruppo si stabilisca unclima interpersonale positivo, da cui tutti possano trarre incoraggiamento perun sereno e responsabile adempimento dei rispettivi compiti.

La realizzazione di tale armonia nei rapporti passa necessariamente attra-verso la comunicazione. È comunicando, infatti, che i membri del gruppo,definiscono e stabiliscono rispettive finalità, disponibilità ed intenti.

La proprietà fondamentale della comunicazione risiede nel fatto che nonesiste un suo opposto. Non esiste, cioè, una non comunicazione, è perciò im-possibile non comunicare quando esiste una relazione.

L’impossibilità di non comunicare è evidente se si considera che l’interocomportamento in una situazione d’interazione ha valore di messaggio, valea dire è comunicazione. Ciò in virtù del bisogno di affermazione, uno dei bi-sogni che è alla base della sopravvivenza di ciascun essere vivente, cioè dalbisogno di ricavare, da ciascuna situazione, elementi di conoscenza tali daridurre l’indecisione e da capire cosa fare per affrontare in modo adeguato lasituazione stessa.

Ogni aspetto del comportamento, dunque, è comunicazione, non importache si tratti di una comunicazione esplicita o implicita. Ciò che importa èche, in entrambi i casi, il messaggio trasmesso influenza chi lo riceve e loobbliga ad una risposta; risposta che è a sua volta esplicita o implicita, ed hacomunque valore di messaggio.

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Pertanto, affinché i membri di un gruppo possano lavorare insieme in ma-niera efficace e produttiva è necessario che si stabilisca tra loro un clima ge-nerale di incoraggiamento e di collaborazione, un rapporto dialogico, unacomunicazione che consenta un rapporto umano in cui ogni essere percepi-sca la propria vita come degna di essere vissuta, e ciò in quanto frutto diun’esistenza costantemente orientata verso l’altro da sé (ad es., un compitoda realizzare o un altro essere umano da incontrare ed amare) individuata daFrankl come tendenza fondamentale della persona.

Il clima e lo stile di interazione promozionale tra i membri di un grupposono condizioni difficili da descrivere perché non sono espressi da “atti” (ocomportamenti) concreti e chiaramente definiti. Essi, infatti, si identificanocon il senso di apertura, di rispetto, di aiuto reciproco generale che i membrivivono in modo quasi inconsapevole, ma autentico.

Il buon clima di gruppo è dato dalla percezione di benessere che si trovanello stare insieme. Ognuno non si sente giudicato, ma accettato, non temegli altri, ma ha il piacere di stare con loro, considera l’altro un arricchimentoe non un impoverimento di risorse. In più si comporta in maniera autentica,cioè spontanea e naturale perché sa di essere accettato, rispettato dagli altrial punto di non temere di ricevere da loro azioni che gli possano recare offe-sa o danno.

Il clima di gruppo scarsamente collaborativo genera di necessità compor-tamenti di difesa. I membri si temono l’un l’altro perché senza accorgerseneentrano in competizione tra loro, sono mossi da interessi personali più che daquelli di gruppo, condizionano la propria partecipazione a quella degli altri,intervengono per scoraggiare o danneggiare e non per sostenere o aiutare.

L’interazione promozionale esiste quando gli individui si incoraggiano efacilitano l’impegno uno dell’altro, nei compiti che ognuno deve fare perraggiungere gli scopi del gruppo. L’interazione promozionale è caratterizza-ta da individui che si forniscono reciprocamente aiuto ed assistenza efficien-te ed efficace, che si scambiano risorse necessarie come informazioni e ma-teriali, che elaborano informazioni in modo efficiente e produttivo, al fine dipromuovere una qualità più alta di decisione ed una comprensione più pro-fonda dei problemi che devono essere presi in considerazione. La promozio-ne del successo reciproco porta i membri del gruppo a conoscersi reciproca-mente, sia ad un livello personale che professionale. Per sviluppare talecompetenza di interazione promozionale, è necessario prendere in considera-zione il modello della Cooperative learning, un metodo di insegnamento/ap-prendimento per quanto nuovo ed originale.

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Sviluppare una capacità di interazione promozionale, ovvero acquisiredelle buone competenze relazionali, significa favorire capacità di ascolto, didialogo e di accompagnamento.

Ascoltare è il canale più spesso utilizzato nell’apprendimento, ma para-dossalmente, è la funzione meno compresa. In genere si pensa che ascoltaresia fondamentalmente la stessa cosa di sentire, il che è un equivoco pericolo-so perché ci porta a credere che ascoltare in modo efficace sia un fatto istin-tivo, per cui non si fa un grande sforzo per apprendere o sviluppare gli skilld’ascolto ed inconsapevolmente trascuriamo una funzione di comunicazionevitale, negandoci così una possibilità di imparare verso una maggiore consa-pevolezza. Di conseguenza ci creiamo problemi inutili, equivoci, perdita diinformazioni importanti, imbarazzo e frustrazione, oltre il rischio di ferire isentimenti di qualcuno. Si perde l’opportunità di migliorare i nostri rapportipersonali e professionali. Ascoltare comporta un processo mentale più sofi-sticato che sentire. È uno skill da apprendere che richiede coinvolgimento edattenzione. Il primo passo è rendersi conto che ascoltare è un processo atti-vo, non passivo.

Che cosa significa allora ascoltare? Un modo per rispondere a questa do-manda è di porsene altre due:

- cosa vuol dire ascoltare veramente qualcuno?- Come ci si sente quando qualcuno ci ascolta veramente?Le risposte a queste domande forniscono una definizione dell’ascolto ef-

ficace, che possiamo sintetizzare in “Ascoltare significa”:a) raccogliere informazioni da chi parla, sia che a farlo siamo noi agli al-

tri, astenendosi dal giudicare e assumendo un atteggiamento empaticob) dimostrare attenzione a chi parla in modo da incoraggiare la continua-

zione della comunicazionec) intervenire con osservazioni limitate, ma incoraggianti, portando un

po’ più avanti l’idea del nostro interlocutore.Questa definizione accentua la responsabilità dell’ascoltare nel processo

comunicativo.Saper ascoltare è uno degli aspetti più difficili della comunicazione, ma

anche uno dei più gratificanti, in quanto consente di esprimere considerazio-ne a qualcuno, e spesso ne aumenta l’autostima. Significa dire al vostro in-terlocutore “tu sei importante, ed io non sono qui per giudicarti”; ecco per-ché ascoltare è un elemento rilevante nei rapporti umani. Generalmente lepersone apprezzano chi le ha ascoltate e sono più disposte a collaborare, per-ché sentirsi accettati è un bisogno fondamentalmente universale ed umano.

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Saper ascoltare è uno strumento importante per ridurre lo stress e la tensio-ne, favorire il lavoro d’équipe, la fiducia ed il senso di appartenenza al gruppo.Quando le persone sanno di parlare ad un buon ascoltatore piuttosto che a qual-cuno che le giudica, suggeriscono liberamente delle idee ed esprimono i loropunti di vista. Così l’ascoltatore ha l’opportunità di dare una risposta alle loropreoccupazioni ed ai loro bisogni, che altrimenti passerebbero inosservati. Di-mostrare interesse per il suo interlocutore e per ciò che sta dicendo l’ascoltatoremette in moto un processo positivo e reciprocamente gratificante. Questo ascol-to empatico favorisce l’onestà, la comprensione ed un senso di sicurezza.

Carkhuff ha riscontrato che nell’addestramento alle capacità delle relazioniumane in genere si ottengono i risultati migliori attraverso un triplice approc-cio: esperenziale, didattico e di modellamento da parte dell’agevolatore dellacomunicazione, e quindi dell’ascoltatore. L’ascoltatore o il facilitatore dellacomunicazione deve porsi come modello che vive in modo autentico, con unapiena autoconsapevolezza di sé. Se l’agevolatore non è stato capace di appli-care le condizioni base alla sua vita in modo da vivere autenticamente, non sa-rà capace di trasmettere le competenze e formare altri a farlo. Carkhuff ha in-dividuato delle linee guida per la formulazione delle dimensioni di base.

È stato dimostrato che sostanzialmente l’efficacia di una relazione di aiu-to si può ricondurre a due fattori generali: il rispondere e l’iniziare. Il fattore“rispondere” sottolinea l’importanza di dimensioni quali l’empatia, il rispet-to e la concretezza, mentre il fattore “iniziare” indica un processo per il qua-le le esperienze degli “ascoltatori” o facilitatori della comunicazione posso-no avviare una serie di azioni concrete, direttamente finalizzate alla risolu-zione dei problemi dei propri interlocutori. Il fattore “iniziare” enfatizza, trale molte qualità dell’ascoltatore, quelle più orientate all’azione: genuinità oautenticità, capacità di aprirsi all’altro o di condividere le proprie esperienzepersonali, concretezza o specificità nel risolvere i problemi o sviluppare pro-grammi di azione. L’acquisizione di queste competenze d’ascolto facilitapertanto la possibilità di stabilire e educare all’incontro, per usare la termi-nologia buberiana. Potenziare le competenze comunicative relazionali con-sente di promuovere un clima interattivo coeso e collaborativo.

Pertanto compito dell’educatore, e quindi dell’azione educativa, è di aiu-tare veramente il soggetto educativo a realizzarsi come uomo capace di vive-re un’esistenza autentica nella dimensione dell’IO-TU; e, proprio per questacapacità di costruire uomini nuovi, aperti al dialogo, egli può essere l’artefi-ce fondamentale, anche se spesso nascosto, di una comunità. Buber stesso loriconosce parlando di “ascetismo” agli educatori:

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“L’educazione ha il significato di un alto ascetismo: un ascetismo rivoltogioiosamente al mondo, per amore della responsabilità di un settore dellavita affidatoci, sul quale dobbiamo agire senza intromissioni, né desiderio dipotenza, ....”

L’educatore più di ogni altro, deve essere consapevole che l’esistenza umanaè movimento, cammino originale al quale ciascuno è chiamato personalmente:prima di provocarlo in altri suoi simili, l’educatore ha il compito di intraprende-re con determinazione il proprio itinerario di crescita, in dialogo costante con ilproprio passato ed il proprio destino e in relazione continua e responsabilizzan-te con le molteplici voci che, come tu, gli si rivolgono giorno dopo giorno.

Una volta intrapreso con determinazione tale cammino interiore, l’educa-tore può legittimamente collaborare al cammino personale del soggetto edu-cativo, stabilendo con l’alunno una relazione interpersonale che può essereeffettivamente educativa.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

BECCIU M., COLASANTI A.R., La leadership autorevole, La Nuova ItaliaScientifica, 1997BUBER M., Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico, ed.Quiqajon, Magnano (VC), 1990.BURLEY-ALLEN M., Imparare ad ascoltare, Franco Angeli, 1996. CARKHUFF R., L’arte di aiutare, Ed. Centro studi Erickson, Trento, 1987 COMOGLIO M., Insegnare educando, LAS, Roma, 1998.FRANTA H. - SALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS-ROMA, 1981 GAZDA G.M., Sviluppo delle relazioni umane, Manuale per educatori. MILAN G., Educare all’incontro, Città Nuova, Roma, 1994.

SINTESI DELLE RELAZIONI DEI GRUPPI DI LAVORO SU: LE DINAMICHE RELAZIONALI DELLE FRATERNITÀ

Valutazione sui contenuti

1) Ascolto e dialogo

Riconosciamo l’importanza fondamentale del dialogo e dell’ascolto nellacostruzione della vita fraterna, soprattutto nell’ascolto di chi è più debole e

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fa più fatica. Un fratello ci ha ricordato uno slogan che proponiamo a tutti:“povero è colui che ascolta, e dopo aver ascoltato, ascolta ancora”. La di-stinzione tra “ascoltare” e “sentire” è arcinota, ma riascoltarla ci aiuta a ri-collocare lo stile dei nostri rapporti interpersonali.

È piaciuta la positività del termine “tensione”, ed è piaciuta inoltre la di-mensione positiva della solitudine come capacità di ascolto dell’altro. Que-sto dialogo deve iniziare con quei frati che vivono gomito a gomito con me.Il fratello guardiano deve dialogare prima di tutto con il vicario, e poi con glialtri. Il Provinciale con il suo vicario.

Dialogo, ascolto, accompagnamento sono valori da interiorizzare per unaautentica comunicazione. Strategie per crescere nella comunicazione. Èemersa la constatazione che nessuno può accompagnarsi da solo. E devonoessere valori che “usiamo” non solo quando siamo superiori, ma sempre, an-che dopo il servizio dell’autorità.

Solo se c’è una profonda relazione con Dio (che qualcuno ha definito il“terzo polo” dopo l’io e il tu), si può ascoltare il fratello (perché prima si èascoltato Dio). Nell’ascolto molte volte siamo passivi, quando, addirittura,non rispondiamo a quanto ci viene detto. Ascoltare non è facile, (la fatica stanel trovare la lunghezza d’onda dell’altro) così pure il dialogare, e quandodialoghiamo facciamo emergere i preconcetti che abbiamo.

2) La soggettività

Ci ritroviamo nella affermazione fatta da fr. Giovanni Salonia: di frontealle difficoltà interpersonali siamo propensi a leggerle ancora in una prospet-tiva teologica (cioè in chiave di peccato), piuttosto che in una prospettiva di“soggettività” di difficile conciliazione. L’individualismo è un valore, e nonva preso nel senso del libertinaggio.

Tuttavia non ci nascondiamo che il discorso sulla soggettività, pur impor-tante, rischia di sfociare in uno “psicologismo esistenziale”, senza una veraapertura ai valori trascendenti, che riteniamo basilari per una effettiva vitaconsacrata fraterna.

Pensare di essere dall’altra parte, dalla parte del frate-suddito, permette divedere meglio come comportarsi.

3) Lettura positiva della dimensione fraterna

Apprezziamo l’invito che ci è stato rivolto a saper leggere la vita dellenostre fraternità in chiave di ottimismo e di dono.

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Gli inviti sulla stima della fraternità, la fiducia nella fraternità, “l’ostina-zione al disarmo”, l’invito alla pazienza, sono stati incoraggianti.

A qualcuno è rimasto il dubbio: ascolto veramente i frati? Sto guidando lafraternità? Gli è sembrato, infatti, di aver fatto un discorso ai singoli, più chealla fraternità.

Certamente, i componenti delle nostre fraternità vengono da forme edu-cative diverse, e questo reca non poche difficoltà.

Il progetto comunitario coinvolge tanti aspetti della comunicazione.L’informazione nelle nostre fraternità va bene, ma non basta; con l’infor-

mazione si deve cominciare anche il dialogo.

4) Animazione e accompagnamento

La finalità di questi incontri è creare una nuova mentalità nei Superiori. Siriscontrava da parte di qualcuno, che i Provinciali in questi anni hanno avutosostegni per vivere meglio il proprio compito di animatori e accompagnatori.Quindi si è creata in loro una cultura del dialogo, della relazione; ciò non si èfatto per i fratelli definitori. Ecco la finalità di avere invitato a questa assem-blea i fratelli definitori, perché anche loro sono animatori e accompagnatori.

Avvertiamo di dover chiarire l’accompagnamento: talvolta ci sembra cheil concetto di “guida” (cioè punto di riferimento) venga camuffato sotto que-sto nuovo concetto.

Si è rilevato che è difficile farsi accompagnare, come è avvenuto in unaprovincia prossima alla celebrazione del Capitolo provinciale.

5) La comunicazione

L’aspetto positivo, è lo sforzo che si sta compiendo nell’Ordine di risco-prire ed educare alla comunicazione. Chi ascolta e chi parla deve essere au-tentico e retto, dentro e fuori.

Lo stretto rapporto tra la relazione e la comunicazione (noi parliamo mol-to, ma non comunichiamo) ricorda che ogni aspetto della vita è comunica-zione. Anche la diversità diventa comunicazione. Questa, infatti, non mancadi contenuti chiari, però abbiamo difficoltà a comunicarli.

6) Il contributo delle scienze umane

È positivo il fatto che le scienze umane stanno avendo una certa rilevanzaanche tra noi, anche se resta ancora in qualcuno una certa ritrosia e sospetto

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verso queste scienze. Le scienze umane sono un sostegno, ma non creanofraternità evangeliche.

Obiezioni e difficoltà

1) Chiusure

Non mancano difficoltà a vagliare e gestire i silenzi della fraternità riunita(es.: nel Capitolo locale), che diventano parola sofferta e urlata nel privato.

Cogliamo grosse difficoltà ad essere veramente sinceri con l’altro: spessopuò sembrare di confrontarsi con fratelli che non si rivelano mai, o lo fanno inmodo contraffatto. Pertanto gravi ostacoli alla comunicazione e alla comunio-ne sembrano essere la disistima reciproca e la sfiducia ad aprirsi con l’altro.

Si verificano delle difficoltà a raccontare le proprie gioie e i propri pro-blemi ai fratelli, preferendo molte volte raccontarle ai laici, per cui c’è l’iso-lamento, la gelosia del proprio lavoro, si gestisce una vita propria. Isolamen-to e sfiducia nei frati e nelle strutture.

Difficoltà tra i frati a parlare di Dio e delle proprie esperienze di Dio. Per-ché parlare di Dio significa fare comunione.

Vorremmo porre una domanda: da cosa dipende la dinamica presente inalcuni di dare il meglio di se stessi all’esterno, e la difficoltà della fraternitàa ricondurre nella propria quotidianità le potenzialità di questi fratelli?

2) Forme depressive

La depressione e la sfiducia nella nostra vita presentano tratti evidenti,ma è pur sempre vita di peccatori chiamati alla santità. Anche tra noi frati cisembra di cogliere una tendenza a vivere la cultura consumistica del carpediem, senza la tensione prospettica verso i valori dello Spirito. A tal proposi-to, ci sembra indispensabile rieducarci alla scoperta dei talenti che Dio haposto nel fratello, e a coglierli nella dimensione di ricchezza per la fraternità.Quando un dono viene scartato non vi è vera fraternità.

Le difficoltà sono tante, e si vivono sulla propria pelle, queste esprimonouna fragilità psicologica, sia dei frati anziani che dei giovani.

Difficoltà a gestire la propria libertà e quindi nostalgia di un ritorno alleregole, che davano sicurezza e non scomodavano.

Nel dialogo, molte volte, si ascolta se stessi e non l’altro.

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Timidezza, paura di parlare per non essere interpretati male nelle coseche si dicono.

3) L’attivismo

L’attivismo porta a non vivere in fraternità.Il superattivismo e l’affanno per l’evangelizzazione, che impoveriscono

la nostra vita fraterna. Spesso non avvertiamo che il nostro “andare da soli”è povero se non è espressione di un “andare fraterno”.

Si vive la fraternità come assemblaggio, perché si sta solo fisicamente in-sieme.

4) L’individualismo

Cultura dell’individualismo che si è creato nell’Ordine; parlando sempredel rispetto dell’individuo si è creata questa cultura.

La fiducia ad oltranza può creare delle difficoltà; deve esserci una “og-gettività” a cui far riferimento.

Quando tutti dicono che hanno ragione, come la mettiamo? Va bene ildialogo. E poi?

Vedrei la diversità come una ricchezza, quando, però, questa diversità èconfrontata con chi è responsabile.

Come conciliare la tensione tra singolo e comunità, il cammino del singo-lo e quello comunitario. È positiva la tensione per evitare il livellamento el’individualismo esagerato.

Proposte per un superamento delle difficoltà

1) Valorizzare la persona

Tenere presente il principio dell’orizzontalità: prima del frate c’è l’uomo.Quindi il rispetto in quanto uomo, anche se l’orizzontalità può portare allachiusura del trascendente.

Non dobbiamo dare per scontate le piccole regole che ci offre la psicolo-gia. Oggi non basta più il buon senso.

Non sempre si scopre la ricchezza del fratello, ma emergono di più le diffi-coltà a vivere con il frate diverso, malato; ad ascoltare il silenzio dei frati, adandare oltre il silenzio. Si tratta di una mentalità diversa da quella ricevuta.

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Difficoltà a saper leggere i segni dei tempi. Non abituati ed educati aldialogo.

2) Il dialogo fraterno

La soluzione sta nella chiarezza di dialogo, che non ha paura di affrontaredirettamente (ed anche in modo duro) le tensioni; oppure nella capacità di ri-conoscere ed evidenziare le positività (ponendo in secondo piano tensioni edivisioni) al fine di suscitare atteggiamenti di gratitudine reciproca. Creare ilclima, la cultura del dialogo, passare dai principi alla concretezza della vita.Entrare in relazione con l’altro. L’empatia.

Di fronte ai conflitti fraterni viene suggerito di non cercare subito solu-zioni definitive (es.: separare i fratelli in tensione), ma darsi “tempi di verifi-ca davanti a Cristo” (cioè capire se la comune scelta di Cristo è capace di te-nere uniti e di farci rileggere in positivo le tensioni interpersonali). È quelloche suggeriamo quotidianamente alle coppie in crisi, ma quante volte lo fac-ciamo nella nostra vita fraterna?

Togliersi le maschere per raggiungere l’autenticità e per essere se stessi.Valorizzare il silenzio e le parole. Privilegiare la parola positiva, parlare be-ne dei propri fratelli.

La chiave per risolvere i problemi è il dialogo personale. Ci vuole una an-golazione nuova per uscire dai problemi fraterni: la convergenza sulla Paroladi Dio.

Lasciare la possibilità ai frati di sognare. Mettere in discussione le scelteche si fanno a livello comunitario e personale. Prima di essere fratelli, diven-tare amici.

3) Una visione di fede

Incoerenza tra la scelta fatta come consacrati e la vita vissuta. Mancanzadella visione di fede nelle nostre scelte. L’essere sempre disponibile è diffi-cile, è una fatica.

Manchiamo a volte della capacità di un giudizio fondato sulla fede, unorientamento ai valori, una consapevolezza su ciò che siamo.

Tenere presente la pagina evangelica dei discepoli di Emmaus ed esserecome Gesù che si fa vicino, condivide, ascolta, catechizza e apre orizzontinuovi, dona loro la gioia di vivere. Quei due discepoli erano fuggiti, e dopol’incontro con Gesù, ritornano.

Educazione alla preghiera partecipata. Lectio divina. Mettere in comune

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le proprie esperienze di Dio. L’itineranza, il dinamismo e il cambiamentoportano al rinnovamento.

È essenziale la comunione fra Provinciali e definitori, e non screditaremai le scelte fatte davanti ai frati. Mettere in atto tutto ciò che costruisce lafraternità: regola, costituzioni, capitolo locale. Raccogliere le sfide della so-cietà e della Chiesa, che richiedono da noi la testimonianza della fraternità,il superamento del provincialismo, l’apertura.

RELAZIONE DEI GRUPPI DI LAVORO SUL VI CPO

Impressioni sul VI CPO

Durante il CPO ci fu poca e scarna informazione, la preparazione e losvolgimento lacunosi (anche se il risultato è buono). Gradita e precisa l’e-sposizione.

A) Vivere la povertà in fraternità

Il tema è avvertito fortemente all’interno della Chiesa e dell’Ordine, masi troverà difficoltà di attuazione, per cui è necessaria una conversione e uncambiamento di mentalità, per vivere la povertà in un modo rinnovato. Lanostra povertà non è pauperismo.

Con il VI CPO il tema della povertà si va approfondendo e allargando. Lapovertà va vissuta secondo le istanze del tempo e della cultura attuale. Quin-di si è fatto notare che la fraternità deve essere il criterio-guida per vivere lapovertà. La fraternità deve essere segno e testimonianza di povertà, non ilsingolo frate. Tenere conto della povertà in fraternità. Non solo pregare in-sieme, mangiare insieme, ma anche essere poveri insieme come fraternità.Non ci deve essere l’incoerenza e la discrepanza, tra il frate che singolar-mente è povero che, però, vive in una fraternità ricca.

L’argomento del VI CPO completa le Costituzioni che parlano di povertà“spirituale” e meno della povertà vissuta in fraternità. Questi contenuti dellePropositiones devono portarci a piccole svolte, ma fatte insieme.

Siamo chiamati a dare la testimonianza di una vita di povertà vissuta infraternità.

Di fronte al “prodotto” del VI CPO, qualcuno si è mostrato entusiasta perl’argomento e per le Propositiones, che sono di una praticità disarmante.

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La povertà trova il suo fondamento e la sua radice sulla nostra consacra-zione, sulla espropriazione di se stessi.

Si è capito che la povertà non consiste nel “non toccare i soldi”, ma nel-l’amministrarli bene e con trasparenza. Far partire e far sentire a tutti lo spi-rito di famiglia. La prima trasparenza si deve al fratello che sta accanto.

Oggi bisogna educare i frati all’uso del denaro, chiedere come è statospeso, capirne il valore. A questo si può arrivare con qualche accorgimento:il coinvolgimento nell’economia di tutta la fraternità, nei lavori che si fanno;far conoscere a tutti i bilanci, i preventivi e i consuntivi.

Necessità di promuovere una sensibilità tra i frati per capire cosa è il “su-perfluo”. Sono necessari alcuni criteri per capire cosa significhi sobrietà esemplicità dei cappuccini.

Nei capitoli provinciali, parlare con trasparenza della situazione economi-ca della Provincia e chiedere aiuto anche a laici competenti , che conoscanoun po’ della nostra vita.

Perché non pensare anche ad una trasparenza tra le province? Come Con-ferenza sarebbe bene promuovere una maggiore condivisione tra le varieprovince.

Positivo il fatto che la Curia generale sia l’organismo competente a ga-rantire la solidarietà e la fraternità a livello mondiale.

Il CPO ha raccolto il consenso unanime e viene riconosciuto positivo per-ché:1) ha ridotto la distanza tra utopia e realtà e ha espresso delle indicazioni

realizzabili. 2) Ha avuto il coraggio di affrontare tematiche che ci interpellano.3) Ad Albacina i frati misero per iscritto ciò che vivevano, ma a noi con le

Propositiones, pur belle, ci è chiesto di cominciare a viverle ora.4) È un documento dallo stile familiare, lieve, concreto, efficace.5) Con il presente documento, un Provinciale non può più nascondersi die-

tro all’economo, ma deve assumere la propria responsabilità di fronte allafraternità locale o provinciale.

6) Nel risolvere e dare prospettive nuove al tema della povertà, si è tenutoconto delle scienze economiche.

B) Le Propositiones

Con il VI CPO bisogna passare da una visione giuridica della povertà auna visione fraterna. È un cammino bello che dobbiamo percorrere; è unconfronto che aiuta a crescere. La minorità dà senso evangelico alla povertà.

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È positivo il fatto che si tratta di “Propositiones” e non di un documento.È auspicabile, per arrivare ad un documento, partire sempre dalla base, dopoaver ascoltato i frati e dopo aver fatto alcune esperienze concrete.

Era necessario che un tema così importante si fondasse su motivazionibibliche e francescane, illuminate dalla Parola di Dio e dall’intenzionefondamentale di san Francesco, per avere una maggiore convinzione neifrati.

Viene salvaguardato il principio dell’unità nella pluriformità. Le Proposi-tiones propongono delle aperture profetiche molto attuali, che richiedono unconfronto e che sono da attivarsi nelle province e da adattare secondo le di-verse culture.

Si è accennato ad una verità/utopia, che molte volte non è emersa nellePropositiones, tanto da arrivare al consenso. La verità/utopia dobbiamo sco-prirla noi.

Il tema è interessante, di attualità e ben interpretato attraverso il filtro del-la fraternità e della minorità. L’attenzione è posta sul leggere la povertà co-me povertà evangelica.

Il n. 14 delle Propositiones è stata giudicato positivo. Conosciamo lamentalità dell’Ordine che in passato distingueva il lavoro in profano e reli-gioso. Qui si dice che ogni lavoro è benedetto da Dio se vissuto evangelica-mente e francescanamente, ed è quindi fonte di sostentamento. Ogni fratedeve lavorare con onestà e impegno, sempre inserito nella fraternità. Ancheil lavoro deve essere espressione di itineranza, deve essere espropriazione disé e non occasione di inamovibilità.

In genere, il documento è ritenuto realistico perché:1) legare la fraternità alla povertà, e viceversa, è riconosciuto dono dello

Spirito Santo per il 3° millennio. Il VI CPO è accusato di poca profezia,ma se la fraternità cappuccina riuscisse ad avere un’economia come è de-scritta nelle “Propositiones” avremmo delle fraternità profetiche.

2) Il CPO sviluppa un cambiamento radicale, e c’è da chiedersi come rece-pirlo e trasmetterlo. Qui c’è la sfida del carisma francescano per oggi.

3) Si è poveri condividendo! Attraverso tale povertà si recupera la fraternitàlocale, provinciale, l’Ordine. C’è bisogno di un recupero della responsa-bilità!

4) Il CPO si è richiamato al convegno del ‘96 sulla comune vocazione peruna sottolineatura della fraternità.

5) Per essere poveri bisogna essere fratelli, per essere fratelli è necessarioessere poveri. Si vuole ricreare il tessuto della fraternità.

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C) Questioni ulteriori

Come recuperare il rapporto fraterno tra colui che ha una professione e,con il suo stipendio, conduce una vita autonoma, e la Fraternità?

Come vivere il compito delle mansioni domestiche: semplicemente assol-dando estranei?

Come riattualizzare i valori evangelico-francescani vissuti e diffusi daifratelli questuanti ora scomparsi? Un confratello parroco suggeriva di utiliz-zare la benedizione delle case...

Quale rapporto tra l’economia conventuale e l’economia parrocchiale.Perché non investire capitali nella Banca Etica?

D) Limiti, timori e proposte

Le “Propositiones” sono una realtà universale. Manca l’attenzione ad uncommercio equo-solidale, alla economia di comunione: comunque ci sonoaccenni e premesse.

Sarebbe un peccato perdere questo momento di grazia, ma ci sia una con-tinuità di verifica.

La trasparenza è poco praticabile per paura (siamo ricchi e non poveri),per immaturità dei frati. Dobbiamo essere i primi che si rapportano con fi-ducia verso i fratelli.

Si auspica che vengano istituiti dei corsi annuali di economia per econo-mi e aperto a tutti, in modo che possa avere maggiore funzionalità anche ilConsiglio economico provinciale. Questa potrebbe essere una proposta pro-mossa dalla CIMP Cap.

Perché venga evitata quell’opera di “rimozione” del VI CPO, si richiedeuna robusta animazione dei Provinciali e definitori (a cominciare dai luoghidi formazione), perché anzitutto e gradualmente si formi una nuova mentali-tà e sensibilità di condivisione circa la gestione dei beni che superi quella delprivato o della delega a superiori ed economi, in modo che si arrivi ovunquea forme di economia centralizzata, all’esposizione dei bilanci delle fraterni-tà, ai progetti economici annuali, a fissare un tetto di deposito in banca.

Si avverte la necessità di conoscere a fondo le Propositiones, non bastauna semplice lettura. Esse devono entrare di peso nella formazione perma-nente ed in quella iniziale.

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RELAZIONI DEI GRUPPI DI RICERCASUL RUOLO DEI DEFINITORI

Aspetti significativi dell’esperienza dei definitori

Per una completezza di trattazione ci voleva un intervento circa la dimen-sione giuridica; il Definitorio non è un collegio, ma un consiglio, ove il pri-mo responsabile insostituibile è il Provinciale.

Nel gruppo si è espresso quale sia l’esperienza odierna di definitore! È diffi-cile indicare gli “aspetti significativi”! Sono emersi notevoli tratti comuni.

A) Definitori e fratiIl Definitorio è in collaborazione con il Provinciale; chi conta è il Provin-

ciale!Il definitore non è molto considerato dai frati come termine di dialogo,

confidenze e prospettive; infatti in certe province il tentativo del Provincialedi condividere la visita con un definitore non ha sortito molto successo. Vi-ceversa, dove i definitori non sono recepiti come ruolo, ma come fratelli so-no ben visti. Tuttavia, per quasi tutte le Province, il definitore si affianca de-cisamente al Provinciale.

Se il definitore si muove da solo: “Perché gira? Cerca voti?”. Se non gira:“Perché non ti fai vedere?”

B) Disponibilità al servizioQuasi tutti i definitori e vicari sono occupati con altri servizi nelle frater-

nità. C’è l’esigenza che almeno uno, tra i definitori, sia a servizio a tempopieno.

C) Relazione con l’animazione dei fratiOgni definitore accompagna un ambito dei Segretariati come indicato

dallo schema CIMP Cap.Quando fu stabilito che ogni definitore avesse alcune fraternità da accom-

pagnare, divise per zone, la base non sempre ha risposto positivamente.In alcune province la scelta dei definitori avviene per ambiti pastorali.Nella provincia di Torino i definitori, due a due, hanno fatto visita alla

provincia. L’esperienza è stata positiva. A volte il definitore attua un serviziodi mediazione tra Provincia e frati.

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D) Relazione nei consigliTutti i definitori hanno riconosciuto di vivere con serenità e in clima fra-

terno e di comunione l’animazione delle Province con il Provinciale; si sen-tono corresponsabili. Buon flusso di informazioni.

Guardando la Provincia dal Consiglio, qualche confratello ha smesso dipuntare il dito verso i superiori.

Bisogna far molto cammino per chiarire e maturare il ruolo del definitore.

E) Dall’esperienzaUn definitore ha raccontato la sua esperienza rilevando questi passaggi:

all’inizio una sofferenza perché ha sentito il peso della responsabilità; poiuna presa di coscienza, quando ha avvertito che si parlava e si discuteva deifrati, sui quali si dovevano prendere delle decisioni; poi è scattata la dimen-sione sul servizio alla fraternità provinciale. Una volta capita la dinamicadell’essere stati scelti per servire, è iniziato il dialogo, il confronto nel Defi-nitorio, qualche volta anche lo scontro, scaturiti dal servizio alla provincia enon per politica di bassa lega.

Il definitore è consigliere, figura di collegamento; è colui che ascolta, rac-coglie le attese dei frati e riferisce con semplicità al Provinciale e agli altrifratelli definitori quanto ha ascoltato, promuovendo la cultura della comu-nione delle province. È auspicabile la convivenza del Definitorio, se nonsempre, almeno in alcuni periodi.

L’esperienza del definitore dipende dal ruolo che svolge il Provinciale. Seun Provinciale ha una mentalità collegiale e sindacale, consulta, dialoga, siconfida, decide insieme al Definitorio; se un Provinciale ha una mentalitàautoritaria, allora un definitore si sente inutile e frustrato. Qualche definitoreha raccontato la sua esperienza di frustrazione quando si è trovato nelle ri-unioni, dinanzi ad un ordine del giorno che vedeva sul momento, e che, ma-gari, prevedevano decisioni già definite in precedenza, tra il Provinciale e idefinitori che vivevano nella stessa casa.

Al definitore si richiede un interessamento e una conoscenza maggioredella vita della provincia. Non può ridurre la sua carica a presenziare in ri-unioni in cui prendere delle decisioni.

Si è detto che il definitore più che andare alla ricerca di un potere che gliviene dato dall’elezione, si adoperi per avere una sua identità, una autoritàmorale, una forza spirituale, ed una effettiva autorevolezza. I frati così si ser-viranno di lui, lo inviteranno nelle fraternità, sentendo che ha qualcosa da di-re e da proporre.

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Il definitore cerca di volere il bene della provincia, opponendosi talvoltaanche alle decisioni del Provinciale, perché una volta superato l’ostacolo at-traverso la corresponsabilità, il Provinciale nelle sue decisioni può usufruiremolto dell’apporto del definitorio, anche se, nelle decisioni, l’ultima parolaspetta sempre al Provinciale, perché ha il carisma dell’insieme.

Il Definitorio al suo interno deve avere una dialettica, ma all’esterno deveessere unitario nelle sue decisioni. Le decisioni prese, devono essere ugualiper tutti. I frati avvertono se c’è disaccordo nel Definitorio e perdono la fi-ducia. Per cui bisogna stare attenti alle fughe di notizie, riportare ai fratieventuali giudizi espressi su di lui, ecc. Il definitore è tenuto al segreto pro-fessionale, perché riferire o riportare le notizie pregiudica tutto l’operato delProvinciale e del Definitorio.

Cosa dicono i Ministri provinciali

Non vedo sufficiente apertura al Definitorio da parte dei frati. Bloccatodai suoi impegni. Amplia il dialogo e le relazioni con la Provincia (fr. Urba-no Bianco - Venezia).

Trasparenza soprattutto interna ed esterna. Trovo nel Definitorio serenitàper il suo appoggio in alcune decisioni. Aiuto nell’ascolto della Provincia (fr.Ferruccio Bortolozzo - Torino).

Quando proposi l’accompagnamento di un definitore alle fraternità, unfrate mi disse che non erano stati eletti per questo. Oggi c’è la nuova realtàdi animare la Provincia, si tratta di inventare come realizzare questo servizio(fr. Giovanni Ferri - Roma).

Sento il Definitorio come comunità pilotata, mentre dovrebbe essere co-munità di fermento per la Provincia. Desidererei momenti di ritiro insieme,per maturare una comunione. Dovremmo incontrarci più a lungo (fr. Cre-scenzo Rauccio - Napoli).

Per migliorare il servizio di animazione del Definitorio

A) Necessari chiarimenti giuridiciVa chiarito qual è il livello giuridico del definitore, i suoi ruoli e i suoi

compiti. È un semplice cooperatore nel governo della provincia. Evidenziareciò che spetta al governo e ciò che spetta all’animazione spirituale.

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Si va affermando una maggiore collegialità nel governo delle Province:da un Definitorio-mosaico, ove ognuno rappresenta gli interessi di una parte(cioè dei suoi elettori), ad un Definitorio-comunione, ove predomina la ri-cerca delle direttive di governo.

B) Individuazione del ruoloRiscoprire per il definitore un contributo più consistente, senza trasfor-

marsi in un piccolo provinciale, ma che sia segno ed espressione della comu-nità definitoriale.

Il ruolo del Vicario provinciale è un ruolo giuridico trascurato! Egli ha unruolo ordinario di animazione e dovrebbe essere vissuto meglio. Il Vicariosia più a fianco del Provinciale. Il servizio di animazione richiede: al Provin-ciale di incontrare le persone; al Vicario di coordinare le strutture di anima-zione della Provincia.

Maturare un ruolo più delineato per il servizio del definitore. Forse è uto-pia pensare tutti i definitori a tempo pieno, tuttavia l’esigenza di un volto piùpreciso per il definitore c’è!

Non è realistico per quasi tutte le Province avere definitori liberi da impe-gni locali o particolari per dedicarsi solo all’animazione provinciale. D’altron-de chi meglio di loro può assumersi determinate responsabilità, come quelladelle fraternità più importanti o dei settori di principale impegno della Provin-cia? Detto questo, neppure si può sottovalutare la non piena collaborazione deidefinitori col Provinciale a causa dei troppi impegni, incontri, incarichi.

I ritardi, le difficoltà, le chiusure non mancano, come non manca la mi-naccia che la stessa tecnica di dialogo rimanga più apparente che reale, e cheil definitore svolga più un ruolo di supporto a decisioni già prese, che di cor-responsabilità.

C) Piste di animazioneOgni definitore sia animatore, e incontri alcune fraternità e accompagni

un’area di animazione della provincia. Visitare fraternamente le comunità.Il Provinciale ed il definitorio insieme incontrino le fraternità una o due

volte l’anno.Il Provinciale compia la visita pastorale sempre con un definitore, per co-

involgerlo nella vita della provincia.È compito del Provinciale dover dire l’ultima parola e che, a questa, il De-

finitorio deve attenersi testimoniando a tutta la Provincia compattezza e uni-tà, senza fughe di notizie o colpi alle spalle: è insieme che si sbaglia o si fabene, nonostante che si verifichi il caso del definitore “snobbato” dai confra-

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telli. Si auspica che l’animazione favorisca una crescita nella mentalità dellacondivisione dell’autorità, almeno per alcuni ambiti, come quello della for-mazione iniziale.

Tutti hanno riferito le esperienze personali riportate dai definitori in gene-re sono positive, perché hanno aperto alla conoscenza di svariate situazionidi vita e di umanità, dando un maggior senso di responsabilità, ed una co-scienza più evangelica. Secondo loro è bene che il maggior numero possibi-le di frati faccia questa esperienza.

È doveroso peraltro che i definitori dialoghino di più con i frati e che col-laborino di più col Provinciale ad alzare il tono e la qualità della vita frater-na, ben descritte sulla carta nelle tante programmazioni, ma non altrettantovissuta nella pratica.

Viene sottolineata l’importanza e l’utilità, ai fini dell’animazione della pro-vincia, di incontri informali dei definitori con i singoli frati e con le fraternità.

Chiarire come i definitori possono accompagnare i Segretariati. AllaCIMP Cap, in tale senso, si chiede di offrire: a) indicazioni operative, b) li-nee per l’animazione, c) esperienze positive già collaudate.

D) Esperienze condiviseIn genere, nelle province nelle quali è stato celebrato il capitolo provin-

ciale dopo l’autunno 1997, ad ogni definitore viene dato l’incarico di accom-pagnare un Segretariato.

Ad esempio in una provincia: a) fraternità; b) evangelizzazione; c) carità;d) comunione interfrancescana. In un’altra provincia c’è una suddivisione unpo’ diversa: a) vocazioni e formazione; b) evangelizzazione e stampa; c) edi-lizia e economia; d) missioni. In altre i settori più significativi della vita del-la provincia sono coordinati da un definitore (vocazioni, formazione, missio-ni, economia).

Tutti i pronunciamenti ufficiali sono discussi, decisi e firmati dal Provin-ciale e dal Definitorio. Le visite annuali alle fraternità sono realizzate dalProvinciale e concluse con un capitolo locale che vede la presenza anchedell’intero Definitorio (o di una parte dello stesso).

Nella zona del Centro Italia i Provinciali e i definitori vivono assieme gliesercizi spirituali annuali.

Subito dopo il capitolo, in vista della formazione delle nuove fraternità edella assegnazione degli incarichi, il Definitorio al completo o i definitori di-visi in gruppi di due o tre, incontrano ogni fraternità ed ogni frate per racco-gliere suggerimenti e disponibilità.

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Il “progetto provincia”, approvato dal capitolo provinciale, aiuta il Defi-nitorio a muoversi in base a priorità definite dalla provincia.

Nelle province di Parma e Bologna, oltre ai normali incontri dei singoli defi-nitori, si tengono ogni anno almeno tre incontri congiunti dei due Definitori:vengono affrontate questioni che riguardano sia il cammino di sempre più in-tensa collaborazione, che la prospettiva della riunificazione delle due province.

Spesso i definitori, proprio per un forte senso di responsabilità per la vitadella provincia, si rendono disponibili a portare il peso di impegni anchemolto gravosi: questo può implicare il rischio che siano più indefessi lavora-tori che animatori.

L’esperienza del Definitorio della provincia Lombarda. Da una decina dianni la provincia ha iniziato una riflessione sul Definitorio, anche in sede capi-tolare; tanto che ormai è una consuetudine questo tipo di animazione. Ci simeraviglierebbe se così non fosse. Due sono state le scelte fondamentali: i de-finitori sono liberi da ogni impegno gravoso, come guardiano o Maestro; il Vi-cario provinciale risiede e vive nella Curia provinciale. Si è pensato anche aduna fraternità composta dal Provinciale e definitori, ma ancora non s’è fattoniente. Queste due cose significano disponibilità maggiore agli incontri di de-finizione, facilitazione per l’animazione della Provincia. Questa, infatti, è statadivisa in quattro zone, ognuna animata da un definitore. Inoltre i singoli defi-nitori animano le varie attività della Provincia, come i Segretariati.

E) Considerazioni tratte dalla tradizione cappuccinaNella storia dei Cappuccini esiste anche la figura del 5° definitore, che

aveva il potere decisionale quando i quattro erano in disaccordo pari.Nelle Costituzioni di Albacina del 1529 vengono nominati i “Definitori

del capitolo”; nelle Costituzioni del 1535/36 tra i quattro definitori eletti cipossono essere solo due del capitolo precedente; inoltre, in caso di morte delMinistro provinciale, gli subentra il primo definitore. Le Costituzioni del1575 ribadiscono queste norme, ed in più stabiliscono che spetta ai definito-ri la conferma del Provinciale, eleggere, assieme al Provinciale, il custodedella provincia e i guardiani.

Alla fine del 1600 più che la legislazione, è la vita pratica che chiariscecompetenze e ruoli del definitore. Il Definitorio viene ad essere l’espressionee il completamento dell’unità della provincia; è testimonianza e garanzia delgoverno collegiale della fraternità provinciale.

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84a Assemblea CIMP CapArmeno, 11-12 febbraio 1999

Programma:

Giovedì, 11 febbraioSaluto del Presidente (A. Ascenzi) Saluto del Vicario generale (E. Ponzalli)Presentazione dei lavori (G. Celli)

Relazione:

1. Beato Padre Pio da Pietrelcina. Fenomenologia metapsichica, demo-niaca, mistica. (Relatore: C. Bove, OFM Conv, della Congregazione del-le Cause dei Santi)

2. Convegno sulla comunicazione per i responsabili dei periodici cappuccini(R. Cordovani)

3. Proposta di lettera del Segretariato GPE e risposta del Presidente (F. Bor-tolozzo e A. Ascenzi)

4. Iniziative musicali ed esperienze formative nell’Italia del Nord (P. Gras-selli)

5. Fraternità francescana per fratelli in difficoltà (A. Ascenzi)

Venerdì, 12 febbraio1. Convegno per la Commissione dei beni culturali (A. Maggioli e G. Inge-

gneri)2. Presentazione del Vademecum per le Opere sociali preparato dal Segreta-

riato (G. Valentini)3. Incontro per i Ministri provinciali ed economi (G. Gambero)4. Corsi di formazione per assistenti OFS e GiFra (E. Pirolini)5. Convegno dei Segretariati nazionali per aree (A. Ascenzi)6. Studio sulla formazione dei fratelli laici (A. Butterini)

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Roma, 18 marzo 1999

Ai Ministri Provinciali

Caro fratello Ministro,t’invio la registrazione della conferenza tenuta l’11 febbraio u.s., da fr.

Cristoforo Bove, Ofm conv., in occasione dell’ 84a Assemblea CIMP Cap.La relazione è stata registrata su cassetta C 60, perché potesse essere age-

volmente duplicata per i nostri confratelli.Il relatore non ha riascoltato la registrazione, per questo se ne raccoman-

da un uso discreto. Spero di riuscire ad inviarti presto anche la trascrizionedella medesima.

Accludo alla presente l’articolo di E. Picucci sulla nostra Assemblea diSacrofano (Osservatore Romano 15-16 febbraio 1999).Fraternamente

fr. Giuseppe CelliSegretario della Conferenza

BEATO PADRE PIO DA PIETRELCINA:FENOMENOLOGIA METAPSICHICA, DEMONIACA, MISTICA.

Cristoforo Bove, OFM Conv*

Essendo ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi, sono stato ob-bligato al silenzio per tutti questi anni di studio, perché non si poteva parlare diPadre Pio in pubblico. Ora, invece, che la beatificazione di Padre Pio è stataannunciata - e canonicamente sarà proclamato beato il 2 maggio - ho chiesto ilpermesso e mi è stato concesso di parlare in pubblico; quindi è la prima voltache parlo in pubblico di Padre Pio. Tengo a sottolineare che ciò che vi diròproviene quasi esclusivamente dalla ricerca che ho compiuto presso l’archiviodel S. Uffizio o Congregazione per la Dottrina della Fede. Conoscete molto

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* Fr. Cristoforo Bove, OFM Conv, relatore della Congregazione delle cause dei santi e re-latore della causa di beatificazione di Padre Pio, ha tenuto la presente relazione ad Armeno,l’11 febbraio 1999. Il testo, trascritto da registrazione, non è stato rivisto dal relatore.

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meglio di me alcuni problemi cui faremo cenno e questa sezione possiamochiamarla “pars destruens”, cioè demitizzare il rumore che si è accalcato, “cor-ticalizzato” intorno ad un uomo che del silenzio e della contemplazione ha fat-to il centro della sua vita. Un rumore il più delle volte estraneo alla sua vita, unrumore spesso estraneo anche al contesto francescano che lo circondava, unrumore che viene definito, spesso, come un impietoso o comunque sbagliatorapporto tra le gerarchie della Chiesa, i Cappuccini e Padre Pio da Pietrelcina.

Tengo a premettere che ho conosciuto personalmente Padre Pio. Chi l’a-vrebbe mai detto! Nel 1965-66 ero novizio a Montella, in provincia di Avelli-no, e il mio vicemaestro, p. Stefano Manelli (figlio spirituale di Padre Pio), ciportò da lui. Complessivamente l’ho incontrato tre volte. Una volta ho avutola fortuna che ascoltasse la mia confessione, due volte si è trattenuto con noicon quelle brevissime parole che diceva dopo la messa, tipo: “Che possiatecrescere nello spirito di San Francesco”, e qualche altra parola, come quandoio gli domandai, perché c’era l’annuncio che mi volevano rimandare la pro-fessione religiosa - eravamo ad ottobre - ed io dissi: “Padre, io diventerò sa-cerdote?”. Lui mi guardò così come si può guardare un po’... - ho ancora nelvolto e nello spirito quello sguardo di sorpresa - e mi disse quattro volte: “Sì,sì, sì, sì!”; cioè come noi diciamo: “Sì! Basta che ti stai zitto!”.

Ecco il ricordo che ho di Padre Pio. Chi l’avrebbe mai detto che in segui-to mi sarei interessato così profondamente di questa figura! Comunque, perme è stato un privilegio ed anche un dono, perché essere a contatto con reli-giosi di questa statura non è una cosa ordinaria, e non è neanche “la causet-ta” che fai per una suora che è vissuta in clausura, o per una fondatrice o unfondatore. Padre Pio ha una statura che, purtroppo, è sfuggita e sfugge tutto-ra proprio nel rumore che si è corticalizzato attorno alla sua persona; un ru-more dicevo, estraneo alla sua spiritualità.

Se mi seguite attentamente, vorrei fare con voi una carrellata sintetica, bre-ve; voglio solo proporvi i temi degli argomenti che poi saranno oggetto di ul-teriori riflessioni in tante conferenze che si susseguiranno prima della beatifi-cazione. Però vi ripeto una cosa: è la prima volta che posso parlare e dire qua-le è la verità su certi temi o su certi rumori, che hanno reso Padre Pio, a volte,un fenomeno da baraccone. Per esempio, uno dei fenomeni che ha riempito lastampa e che è distorto in tutti i suoi momenti, è il rapporto di Padre Pio con p.Gemelli, “il grande p. Gemelli”. È una favola quella che hanno raccontato igiornali e anche le biografie intorno a p. Gemelli: si sarebbe presentato lì sen-za l’abito e Padre Pio lo avrebbe mandato via dicendogli: “Mettiti l’abito”. Larealtà dell’incontro tra i due risale al 1919. Gemelli è presso le truppe che sono

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a Foggia, e va, in privato, a S. Giovanni Rotondo, per una visita a questo fratedi cui già si parlava. Siamo nel 1919, P. Gemelli va lì e trova il divieto: PadrePio già non poteva parlare con nessuno senza il permesso dei superiori. Il S.Uffizio non c’entra con tutte queste cose; Gemelli rimase un po’ urtato, giusta-mente, ma i poveri frati di San Giovanni Rotondo non potevano sapere chi erap. Gemelli; lo conosciamo noi, adesso: il grande religioso, lo psichiatra, lo sto-rico, il fondatore ecc. In seguito, padre Gemelli, lasciò due fogli, privati (nonglieli aveva commissionati il S. Uffizio). P. Gemelli parla di Padre Pio come diun uomo tristemente solitario e dà un giudizio che peserà anche in seguito, edice una cosa che io posso condividere totalmente: “Bisogna studiarlo, e perstudiarlo, bisogna isolarlo” dal contesto religioso di S. Giovanni Rotondo, edanche da quell’ambiente che “rumoreggiava” intorno a Padre Pio.

Contemporaneamente, lo stesso vescovo di Manfredonia, Gagliardi, co-mincia a mandare alla S. Sede continui stralci di lettere e giornali che atte-stano “il rumore” che si è fatto. Io ricordo visivamente, e ho portato qui an-che il mio diario personale di quando sono stato al S. Uffizio, o Congrega-zione per la Dottrina della fede, su cui scrivevo dettagliatamente tutti i docu-menti. Non ho potuto fotocopiarli tutti, perché non mi era possibile, ma cisono lettere di fedeli, che parlano: “Il santo è tra di noi!”, già nel 1919. Tuttoquesto “rumore di santità” diede fastidio alle gerarchie ecclesiastiche locali.Comincia da questo momento, non la persecuzione - la Chiesa non ha maiperseguitato Padre Pio - comincia quella “cultura celibataria” tipica delmondo ecclesiastico che tentava di cogliere Padre Pio in flagranza morale. Equesto è stato il punto debole dall’atteggiamento della gerarchia cattolica neiconfronti di Padre Pio.

Un banchiere di che cosa lo si accusa? Di rubare. Un religioso di cosa losi può accusare? Di problemi morali. E se questo sospetto sorge nella culturacelibataria che noi conosciamo, allora è più che giustificabile qualche atteg-giamento crudo, difficile.

L’intervento di p. Gemelli è tutto qui. È la prima volta che io raccontoquesti fatti; non li conosce ancora nessuno, perché i documenti [...] li ho subsecreto in un tiretto della mia scrivania, e sono ancora lì tutte le 20 relazionidei visitatori apostolici ecc.

Per completare su p. Gemelli: nel 1935 esce un libro del dott. Giorgio Fe-sta su “Le stigmate di Padre Pio”. Questo grande medico romano ne è entu-siasta; Gemelli risponde con una ferocia inaudita, ma con una competenzaprofondissima e dice: “Le stigmate, prima di determinarle come fenomenodivino di origine soprannaturale, dobbiamo ancora studiarle”. Questo pro-

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blema è ritornato a galla quando nel pomeriggio del 22 settembre del 1968,Padre Pio “comincia la discesa” e morirà la notte del 23: le stigmate scom-paiono del tutto.

Quel caro amico di Piccirillo che era lì, che poi è morto, ha fotografatoPadre Pio senza le stigmate alle ore 2,40 di notte, (è morto alle 2,35 - 2,40).Per la prima volta abbiamo pubblicato queste fotografie nel 3° volume dellaPositio. Vedremo poi come questo tema ha riproposto negli psichiatri, i dub-bi sulle stigmate.

P. Gemelli, nel 1926, preparò altre due cartelle e le consegnò alla Congre-gazione, sempre mettendola sull’avviso, non contro Padre Pio; cercò di met-tere in guardia le gerarchie ecclesiastiche su un fenomeno che poteva diven-tare degenerativo. Non aveva torto! Soltanto che Gemelli era un uomo voli-tivo, fortemente collocato all’interno di contenziosi e all’interno di un atteg-giamento costantemente negativo perché, nei tantissimi “voti” che la Con-gregazione dei riti di allora gli chiedeva sui santi, era un po’ dubbioso e qua-si sempre la sua diagnosi era: infantilismo.

Invece, per Padre Pio la sua diagnosi si configurò come “forma neuropa-tica”: Padre Pio un neuropatico. È vero, che a quel tempo Padre Pio uscivada grandi malattie. Come voi sapete, Padre Pio era infermo, ammalato; manessuno squilibrio psichico - né allora né dopo - si evidenziò nella figuradella spiritualità di Padre Pio. Anzi, l’equilibrio con cui questo uomo, in si-lenzio, si è conformato al Cristo paziente, è un equilibrio raro nella compa-gine umana. Ecco perché una sofferenza durata circa 60 anni, sofferenzaatroce, non ha distrutto Padre Pio, ma lo ha reso soltanto “una conformitàteologica e fisiologica”.

I giornali hanno riempito di volgarità questo incontro, invece il Gemelli ètutto qui! P. Gemelli fu ben accolto dai Cappuccini, ma non poté visitare PadrePio anche se il suo rapporto (questa è una novità assoluta) sembra insinuare unpermesso o un mandato di Pio XI… Non è vero. Le ricerche che ho effettuatocollateralmente in tutta la corrispondenza di Pio XI, e soprattutto in tutti i mo-menti salienti della Segreteria di Stato del tempo, non accennano minimamen-te a quello che pure, se era un mandato, avrebbe avuto grande rilievo. Ciò èquanto mi premeva dire su questo problema.

Ci sono poi gli anni ‘20, ‘24, ‘26, fino agli anni ‘30 in cui Monsignor Ga-gliardi, vescovo di Manfredonia, è troppo preoccupato di Padre Pio, sente il“rumore” intorno a Padre Pio. Egli lo ha conosciuto, lo visita, ma non si con-vince: è soltanto un buon religioso. In questi anni comincia tristemente l’ac-cusa ai benemeriti Cappuccini di S. Giovanni Rotondo.

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Si cerca di staccare Padre Pio dai suoi confessori, uomini che voi cappucci-ni conoscete molto bene; si comincia a parlare di trasferire Padre Pio altrove,di probabili visite apostoliche, si comincia a creare un rumore attorno a questouomo di Dio, un rumore che divenne fastidio spirituale, tanto che con il 1931cominciò una vera e propria ossessione.

A Padre Pio venne proibito ogni rapporto con l’esterno, e quando gli fucomunicata questa ingiunzione reagì portando le mani al volto non in segnodi disperazione, ma di sconforto. E disse: “Toglietemi tutto, ma non mi to-gliete l’Eucaristia, vi prego”. Cioè questo uomo, che già viveva internamen-te e profondamente in contemplazione del mistero di Cristo, mostra di nonaver niente contro la gerarchia. Mai. I confratelli forse sì, ma egli mai unaparola contro la gerarchia!

Nella Congregazione del S. Ufficio c’è una lettera di un confratello - nonposso nominarlo - che testimonia addirittura, che Padre Pio avrebbe detto:“Gliela faccio vedere io a questi di Roma se non la finiscono!”

No, queste non sono espressioni di Padre Pio; e questo è un giudizio chedo personalmente e definitivamente: il materiale su Padre Pio, i 23 cartoniche sono in Congregazione, spesso sono spazzatura: lettere anonime, pette-golezzi, spogli di giornali; i documenti veri sono pochi. Pensate che mons.Gagliardi inviava alla Congregazione tutti i ritagli di giornali, lettere di preti,di donnicciole. Addirittura, c’è una lettera di una gravità tale, che è scono-sciuta perfino al nostro buon amico p. Gerardo Di Flumeri, che è un po’ l’ar-chivio, la memoria di Padre Pio.

Una signorina, certa Maria, penitente di Padre Pio, lavora in farmacia aFoggia, riceve da Padre Pio una richiesta: “Mi servirebbero quattro grammi diacido fenico”. Lei glieli procura. Voi sapete che l’acido fenico messo su unamano ti sfonda le pareti, è un acido corrosivo. Ebbene questa ragazza poi, unpo’ costretta, un po’ spinta anche dal vescovo locale, dovette testimoniare chePadre Pio le avrebbe chiesto, come gli chiese veramente, questo acido fenicoche usava, diluito per disinfettarsi. Padre Pio lo diluiva e si disinfettava le ma-ni. Questo diede origine a quell’accusa che poi avrebbe perseguitato Padre Pioper tutta la vita; cioè, che Padre Pio era un autolesionista e si sarebbe provoca-to le stigmate. Guardate, queste sono delle “baracchelle” che la storiografia - eanche certi pubblicisti cosiddetti “amici di Padre Pio” - hanno avallato: che unPadre Pio si sarebbe autoprocurato le stigmate. La storia di più di 50 anni distigmate hanno smentito queste cose. Nei documenti trovate anche questo.

C’e un problema che mi preme sottolineare, in questo momento di con-fronto tra la Chiesa e Padre Pio, riguarda soprattutto alcuni documenti finora

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rimasti segreti e che riguardano quel rumore, che si è creato intorno a PadrePio: il problema delle donne. Mi dovete credere, fratelli, se ve lo dico: io tor-navo a casa dall’archivio della Congregazione profondamente distrutto, madistrutto moralmente, per come alti esponenti della Chiesa, della santa ma-dre Chiesa erano capaci di scendere a delle bassezze così forti, e io non face-vo l’apologista di Padre Pio, facevo, nel caso, “l’avvocato del diavolo”, cer-cavo di chiarire i problemi! Quest’accusa ha portato Padre Pio ad essere ve-ramente vilipeso da uomini grandi, come Paul Philip cardinale di S. RomanaChiesa, domenicano, mons. Maccari e tutti i venti vice direttori apostoliciche si sono susseguiti! Essi, pur ammirando Padre Pio, dove annotano qual-cosa? Sul problema delle donne. Sono i limiti, perdonate, di una nostra cul-tura celibataria.

Padre Pio veramente amava queste donne, perché era riconoscente versodi loro. Queste donne gli lavavano la biancheria e lo accudivano in piccolibisogni, perché nessuno deve dimenticare che Padre Pio in questi anni è unuomo sofferente. La gratitudine di Padre Pio era un amore profondo, distortodalla cultura celibataria.

Le distorsioni arrivano anche a cogliere uno dei grandi personaggi chestava intorno a Padre Pio, e che ha fondato a Roma il Santuario del DivinoAmore, il servo di Dio Umberto Terenzi, grande amico di Padre Pio. Ebbe-ne, a un certo punto - e qui c’è la novità assoluta, (purtroppo nella Positionon abbiamo potuto chiarire questo, perché era ancora tutto sub secreto) -mons. Terenzi, di sua iniziativa, senza permesso del S. Uffizio, e coinvol-gendo ingiustamente il criticato procuratore generale dei Cappuccini, PadreBonaventura da Pavullo, nella vicenda dei microfoni, ma non nel confes-sionale, sia ben chiaro. Tutte storie che hanno inventato... ! I microfoni era-no nel salottino dove Padre Pio, come tutti gli altri religiosi, accoglieva don-ne e uomini: la foresteria luogo in cui accogliamo le persone che voglionoparlare con noi frati.

Quando la stampa venne a sapere di tutto questo, la notizia aveva percor-so ampi sentieri, e la S. Sede, tramite il S. Uffizio, chiamò mons. Terenzi.Esattamente lo chiamò l’allora assessore Parente, poi Cardinale. A quel tem-po era Prefetto il Card. Ottaviani. Terenzi presentò - sono cose tutte nuovequelle che vi dico - quattro nastri. “Ecco la prova della immoralità di PadrePio”, disse. Sono parole sue, che io ho scritto qui, perché le ho tratte dal do-cumento di mons. Parente; ve le leggo solo per curiosità. Mons. Parenteascoltò le cassette, non trovò niente: “Dove sta questa immoralità?” “Eccoqui, qui, e qui”. Non si sentiva niente. Chiamò il card. Ottaviani, il quale an-

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che non sentì niente. Verosimilmente queste cassette, che erano conservate aln° 105 dell’Archivio segretissimo del S. Uffizio, non esistono più. Perché,come Parente auspicò, furono distrutte per evitare alla Chiesa l’onta, come sicredeva allora, che Padre Pio avesse tradito, attraverso mons. Terenzi, il se-greto confessionale; verosimilmente sono andate distrutte. Perciò vi prego dinon credere a quelle voci che sono state messe in giro, secondo cui questecassette sono state mandate alla Congregazione dei Santi, stavano nel-l’armadio di mons. Casieri, ecc. Io ho interrogato tutti i testi, ho scavato do-vunque: queste cassette sono state distrutte. Erano almeno 19 quelle di cui siè a conoscenza, e per renderle così valide, mons. Terenzi chiamò p. Bona-ventura da Pavullo e altri due cappuccini (non posso nominarli perché sonoottimi religiosi viventi) l’immoralità di Padre Pio.

Guardate la cultura celibataria! Sapete qual è il problema? Dove vedeval’immoralità? Padre Pio, come voi sapete, aveva le stigmate e soffriva tanto.Come abbiamo fatto tutti noi, pure io quando ero ragazzo; andando a baciarele mani, non rendendosi conto che c’erano delle ferite che gli facevano malee Padre Pio strillava o aveva dei sussulti: “Ahi!”; si faceva male, anchequando una pia donna in questi salottini gli baciava la mano, soltanto per ve-nerazione. Solo la mente contorta di Umberto Terenzi - e dopo questi studine è stata bloccata la causa di beatificazione - ha visto l’immoralità di PadrePio in queste cose. Sono cose terribili. Io vi leggo tutto questo per dare allastoria quella verità che le è dovuta, non per vanità di censimento.

Il Parente, nel 1961 scrive che nel 1960, prima della visita apostolica dimons. Maccari a S. Giovanni Rotondo, il p. Giustino (quello che assistevaPadre Pio), d’accordo con il procuratore generale, p. Bonaventura da Pavul-lo e con Umberto Terenzi, parroco del Divino Amore in Roma, collocò nellasaletta di udienza, quindi, mai nel confessionale, ma nella saletta di quelconvento e, sembra, anche nella camera di Padre Pio - sembra - dei microfo-ni registratori, allo scopo di captare le sue conversazioni con alcune pie don-ne, da lui seguite nella cura spirituale, e con il commissario, commendatorBattista, allora prediletto di Padre Pio, e incaricato dell’amministrazione del-la Casa Sollievo della Sofferenza.

Don Terenzi si presentò un giorno a me tanto emozionato, invitandomi asentire un nastro magnetico in cui vedeva la prova dell’immoralità di PadrePio, sorpreso in rapporti intimi con una certa Cleonice una povera donna,fatta passare per una meretrice. Ascoltai il nastro, ma non riuscii a riscontra-re quanto credeva di trovarvi don Terenzi. Presentai il nastro anche a suaEm. Card. Ottaviani, che neppure ci vide il male immaginato da don Terenzi.

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Esaminata bene la cosa, mi feci consegnare altri pochi nastri dal medesimodon Terenzi e, deplorando ciò che era stato fatto, gli imposi autorevolmentedi non immischiarsi nelle beghe dei cappuccini e di non mettere più piede aS. Giovanni Rotondo, di non parlare più di questi nastri con nessuno. Fecianche un forte richiamo a Padre Giustino.

Quando la stampa pubblicò il fatto dei nastri, infirmando la responsabilitàdel S. Uffizio (si capisce, di chi poteva essere la responsabilità!?!), invitai donTerenzi a sottoscrivere una dichiarazione che mai aveva ricevuto ordini del S.Uffizio di collocare e far collocare i microfoni a S. Giovanni Rotondo. Questadichiarazione manoscritta di don Terenzi, del 15/10/63, è al cartone 8.

Mi hanno chiamato anche i Padri del Divino Amore. Ho confermato tuttoquesto; dicendo anche che il Card. Ruini aveva bloccato la causa di don Te-renzi. Poi c’è - dice Parenti su questo argomento - un altro triste episodioche ha fatto rumore nella stampa di ogni paese, con esagerazioni e specula-zioni deplorevoli. Qui accusa un po’ i confratelli di Padre Pio, ma questoproblema non ci interessa, riguarda la storia dei Frati Minori Cappuccini.

Ho voluto accennare a questi fatti, a questi problemi, proprio per darvi ladimensione di tutto ciò che intorno a Padre Pio è rumore, ma non intacca lasua figura. Così il veleno che hanno gettato su Padre Pio in merito alla dis-pensa dal voto di povertà, in merito alla gestione delle offerte, non semprelineari. Padre Pio è all’oscuro di tutte queste cose, di questo rumore! PadrePio in genere, rimane lontano da queste esperienze, e rimane soprattutto lon-tano da ogni accusa. Difatti il Padre proprio in questi anni, approfondisce ilsuo rapporto con il Cristo paziente fino alla consumazione. Nel 1960 mons.Maccari compie la visita apostolica a S. Giovanni Rotondo: Padre Pio è an-ziano, è ormai un uomo che ha dentro di sé il peso del calvario...

Desidero veramente ringraziare in pubblico, sia p. Gerardo Di Flumeriche p. Alessandro Da Ripabottoni, perché erano ambedue lì, segregati dal S.Uffizio e, oltre che essere testimoni, hanno veramente potuto far chiarezzasu episodi e fatti. Gerardo di Flumeri ha giurato su certe cose! Un episodioper tutti. C’era un cieco, un calzolaio, che frequentava il convento, e Macca-ri e altri, raggirarono anche questo pover’uomo, per dire che Padre Pio eraun disobbediente, in quanto Maccari avrebbe detto a Padre Pio di non scri-vere, di non ricevere... - e Padre Pio non ha mai ricevuto posta - ma, conl’inganno, Maccari fece credere che Padre Pio aveva ricevuto posta. Le im-moralità che il vescovo Maccari ha potuto scrivere su Padre Pio in questaVisita apostolica, Visita che ormai è di dominio pubblico, (l’abbiamo pubbli-cata tutta, con i commenti, riga per riga), è qualcosa che rivela veramente una

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pagina immorale nella storia della Chiesa. Dico queste cose con grande dis-piacere, però è una realtà. E guardate, io ho incontrato Maccari personalmen-te, perché viveva nel nostro convento di Osimo, quando si è ritirato da vesco-vo di Ancona. L’ho incontrato diverse volte quando fui fatto Relatore. Dico:“Padre, io sto studiando Padre Pio, ma Lei non ha niente più da dirmi? Possi-bile che Lei insista su un Padre Pio disobbediente, licenzioso?”. Fino all’ulti-mo quest’uomo si è difeso e fino all’ultimo ha detto: “Io non ho perseguitatoPadre Pio, ho detto solo la verità”. La verità non è quella di Maccari.

Potrei parlare per giornate intere, ma ho voluto darvi dei flash di come suPadre Pio si è corticato la favola del giornalismo, la favola dei rotocalchi, eanche tante credenze che hanno fatto di Padre Pio un fenomeno da baracco-ne. Padre Pio non è questo! Per di più Padre Pio viveva al di fuori di questeproblematiche, lontano da questi problemi.

Termino con un giudizio. Il S. Uffizio non ha perseguitato Padre Pio. Haespresso soltanto i limiti della Chiesa del tempo, che per essere retta da celi-bi, porta con sé il peso di questo limite. Padre Pio è di una purezza fisica espirituale inaudita, incredibile, rara nella storia della spiritualità. E il rumoreche si è fatto intorno a lui non lo ha colpito, ma ha certamente messo in evi-denza i limiti di una Chiesa che, anche quando canonizza, auto celebra ilproprio celibato.

Nella storia della Chiesa le canonizzazioni, sapete, sono prevalentementedi Papi, vescovi, monache, monaci o celibi; per lo più è il celibato che vienecanonizzato, con la scusa che esso è testimonianza dell’ “escaton”. Sono co-se belle da dirsi, ma il matrimonio è matrimonio, è un sacramento. Adesso,con questo Papa, la Chiesa sta cominciando a canonizzare le madri di fami-glia; io, per esempio, porto avanti verso la conclusione la causa della mam-ma di San G. Bosco, Margherita Occhiena. La Chiesa, come nell’inquisizio-ne di altri tempi, così con Padre Pio, ha scritto attraverso i suoi rappresentan-ti una pagina immorale. Però questo non significa che la Chiesa è immorale.Questo significa soltanto che “gli uomini di Chiesa” hanno commesso deglierrori di metodo nel presentare o nell’affrontare il fenomeno Padre Pio daPietrelcina: non è tanto un fenomeno di queste e consimili “corticalizzazio-ni”, quanto è un fenomeno - veramente in questo caso un “fenomeno” - del-la fenomenologia spirituale di tutti i tempi.

E qui vorrei spendere con voi qualche parola su una triplice interpretazio-ne che ho maturato su Padre Pio, attraverso questi 5 o 6 anni di studio, chemi hanno portato a diretto contatto con tutti i suoi scritti, ho letto tutto quel-lo che di Padre Pio esiste - per la verità, e anche per l’umiltà -, tutte le bio-

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grafie maggiori, non quelle minori, a cominciare dai primi contributi diAlessandro di Ripabottoni, Fernando da Riesi Pio X. Contributi anche piùforti che sono venuti fuori di volta in volta: p. Antonio Gallo e via dicendo...tantissimi autori. Abbiamo il 2° volume dell’Informatio, tutto dedicato allabibliografia su Padre Pio; è immensa. Vorrei proporre anche qui dei flash,per dire come si può parlare e come si può accedere al personaggio. PadrePio non è solo una fenomenologia spirituale inerente alla santità,. ma è pri-ma di tutto un uomo, perciò porta in sé tutta la fenomenologia metapsichicao parapsichica che si vuol dire. Un esempio, l’iperidrosi di Padre Pio (l’ipe-ridrosi è un sudore eccessivo), o le temperature altissime: Padre Pio sfonda-va il termometro, cioè arrivava a temperature al di là delle consuete misura-zioni; e questo più di una volta. I cosiddetti “profumi”, odori di Padre Pio, lacosiddetta “bilocazione” che noi sommariamente attribuiamo a un fattore so-prannaturale, perché guardiamo a posteriori questi fenomeni della vita spiri-tuale, e guardando tutto dal punto di osservazione della santità di Padre Pio,coinvolgiamo tutto in questa sfera. Abbiamo studiato tutti la fenomenologiadella vita spirituale, la fenomenologia paramistica, la mistica, la fenomeno-logia demoniaca e sappiamo bene che il fenomeno mistico è essenzialmenteun dono di Dio. Ecco perché ci tengo a sottolineare che Padre Pio è l’uomodel silenzio, che nel silenzio vive e recepisce il mistero del Cristo Paziente edella sofferenza degli uomini: nel silenzio! In un silenzio contemplativo chegli permetteva lunghe ore di preghiera, lunghe ore di meditazione, che sonotutte cose normalissime, come vedremo.

Se guardiamo generalmente al discorso della fenomenologia spirituale,Padre Pio è un uomo che ha delle forti doti naturali. Ve ne dico una che haimpressionato anche me: la lettura dello spirito, noi lo chiamiamo discerni-mento, la scrutazione dello spirito; a volte questi fenomeni sono delle grazieche Dio dà connaturalmente. Un uomo come Padre Pio, che viveva nel silen-zio più profondo della contemplazione, quando si incontrava con qualcuno,era come un sismografo, ne avvertiva la negatività o la positività. Un buonsacerdote che confessa, come anche un buon medico semiologo che guardaun paziente, è capace di diagnosticare. Questo era Padre Pio: un uomo dallapotente fibra somatica che era capace di annegare, quindi di trasfigurare nelsilenzio la sintomatologia, la fenomenologia dell’essere umano.

Voglio raccordarmi a qualche elemento: le ferite d’amore, l’incendio d’a-more. Padre Pio, sapete, quando scrive queste cose anche alla Gargani, que-sta serva di Dio con cui è in corrispondenza, Padre Pio è un uomo “incendia-to” e scrive da contemplativo. Certe lettere ti portano a contatto con una agi-

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lità interiore che sorprende. Deve cadere l’idea stupida che si è fatta certogiornalismo, di un Padre Pio ignorante, di un Padre Pio “buon sacerdote”.Egli ha una cultura incredibile. Quando nel 1931 fu segregato, Padre Piodormiva nella piccola biblioteca del convento. Egli mostra di conoscere lapatristica in un modo profondo; se voi leggete quel libro che ha scritto il mioamico, Livio di Matteo, I casi morali di Padre Pio, e se soprattutto leggetele lettere di Padre Pio giovane, voi vi accorgete che fa delle citazioni a me-nadito, che solo una profonda familiarità con i testi scritturistici [e patristici]gli permetteva. Altro che sacerdote che aveva compiuto studi “alla buona”!Padre Pio aveva una cultura in campo ecclesiastico di notevole portata.

Quest’uomo, all’interno di questa potenza fisiologica, viene arricchito deldono della bilocazione. Non voglio essere blasfemo, voglio portarvi soltantoa capire dove sta la santità di Padre Pio: non in questi contorni; tanto è veroche la Chiesa, delle stigmate non ha tenuto minimamente conto. Noi abbia-mo dedicato 6 capitoli alle stigmate nel 2° volume della bibliografia; ma laChiesa non canonizza Padre Pio per le stigmate, assolutamente! Non sono lestigmate che testimoniano delle virtù eroiche di Padre Pio, al contrario è l’e-roismo delle virtù di Padre Pio che sta a testimoniare della soprannaturalitàdel fenomeno. Non è santo perché ha le stigmate; è la sua vita che ne rendepossibile l’origine. La bilocazione ad esempio, dicevo, è un fenomeno co-mune a tutti noi! Vi è mai capitato di raccogliervi in profonda preghiera pri-ma o dopo la messa? E Padre Pio stava ore in preparazione, e ore in ringra-ziamento. Dopo essere stato un poco in sagrestia, andava sopra, nella chiesagrande, si metteva in fondo al matroneo, e pregava per tutto il giorno. Chivive queste profondità abissali del silenzio contemplativo come Padre Pio,può essere presente nello spirito in più di una parte, e conoscere problemiche non vede. Non è un fenomeno divino, può essere una grazia, all’internodella fenomenologia della santità, ma non sempre è un fenomeno divino. Lafenomenologia, quindi la metapsichica, di Padre Pio, affonda le radici nellasua stessa personalità. Prevaleva l’idea di un Padre Pio malaticcio e mezzostupido, niente affatto! Umanamente parlando, Padre Pio è un colosso, un gi-gante! Non lo dico adesso per fare l’apologista di Padre Pio, questo mi costasofferenza di studi e di lavoro, cioè approfondimenti. Così per le stigmate,altro fenomeno che la Chiesa stessa dichiara fenomeno “paramistico”.

Tenete presente la terminologia, io parlo di parapsicologia paramistica.Quale è il fenomeno per cui Gesù suda sangue? E’ un fatto incontrovertibile.Quando voi andate in una sala operatoria e non siete esperti di chirurgia, ap-pena vedete una sezione del bisturi, viene la pelle d’oca e i capillari periferi-

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ci potrebbero scoppiare fino a sanguinare dall’emozione o dal dolore. Que-sto è successo a Gesù. La Passione così pesante, e contro la quale Egli ha in-vano chiesto a Dio: “Padre allontana da me questo calice” e Dio non gli harisposto - è inutile, non gli ha risposto - e Lui alla fine dice il suo sì, e ha su-dato sangue per il dolore. Considerate l’identità che un uomo cerca con ilCristo Paziente e la meditazione profonda che ne faceva il Padre Pio. E chidi voi non ha davanti quel crocifisso straziante del piccolo coro di S. Mariadelle Grazie? Chi di voi può dubitare che la sensibilità di Padre Pio lo abbiaportato a questa conformità con il Cristo Paziente, che la grazia divina poiha trasformato nel miracolo delle stigmate?

Ecco come si potrebbe spiegare il cosiddetto “fenomeno delle stigmate in-visibili”. Perché Padre Pio prima delle stigmate soffriva nelle mani e nei pie-di dei dolori atroci; nessuno riusciva a capire. Era la sua meditazione interio-re, il suo silenzio contemplativo pieno di dolore, che spingeva le membra e viprovocava dolore. La grazia del Signore che lui ben vide in quel sogno, inquel deliquio e che descrive in una lettera al Padre Agostino da San Marco inLamis, suo direttore spirituale, quello è l’intervento della grazia. Ma ancorpiù l’intervento della grazia è nei 50 anni e più della permanenza del fenome-no. Se inizialmente si può parlare di una conformità metapsichica, cioè unaprofonda meditazione (fino al parossismo), dopo è la grazia di Dio.

Perché le stigmate sono scomparse? Argomento che nessuno vuole af-frontare. Vi porto delle opinioni, ma largamente condivise; le abbiamo stu-diate insieme. Padre Pio negli ultimi tempi, con il corpo decadente, non èpiù riuscito a mantenere questa tensione fortissima verso il Cristo Paziente,cioè questa tensione abnorme di meditazione, di abisso contemplativo, e ma-no a mano che il corpo chiudeva questa tensione, sono scomparse le stigma-te. Nello spazio di poco più di 20 ore, si sono cominciate a ridurre e sonoscomparse. È una spiegazione che dal punto di vista medico e della mistica,è accettabile.

C’è un altro fenomeno però: “la penetrazione dei cuori”. Come mai PadrePio leggeva i cuori? Voi siete più esperti di me in questo, probabilmente;quale educatore, che sia uomo di preghiera dinanzi a Dio, uomo di silenziocome Padre Pio, non riesce a leggere i cuori? Voglio dire, quale educatore,come un san Giovanni Bosco, non entra nei cuori? Molte persone hanno fat-to dipendere la loro vita da piccole espressioni di Padre Pio... Per esempio,una volta qualcuno doveva partire; “Tu mi servi” gli disse Padre Pio, e co-stui si è fermato a S. Giovanni Rotondo, poi ha fatto carriera lì, è diventatoamministratore della Casa Sollievo della Sofferenza ecc... Padre Pio aveva

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visto dentro. Ci va il giornalista Igor Mann, Padre Pio lo vede intrufolarsi,curioso, e gli dice: “Tu sei un giornalista”. Come fece a capire che era ungiornalista... e ci voleva poco con quella faccia che aveva a capire che era ungiornalista! Attribuiscono a Padre Pio quel feticismo, ma Padre Pio era unuomo faceto, arguto, era un francescano semplice, immerso in quel silenziocontemplativo, che gli apriva la lettura dei cuori. Anche questo è un fenome-no paramistico.

Poi ci sono le veglie prolungate di Padre Pio. Egli spesso non dormiva; viricordate, si dice che vegliava durante notti intere... Le veglie prolungate nonsono fenomeni solo cristiani, cosi come le estasi è la levitazione... Ciò cherende dono soprannaturale questi fenomeni è la grazia di Dio che li rendecostanti nel tempo e nello spazio.

Padre Pio, parlava con l’Angelo custode, in una maniera tanto amichevole,e aveva questi momenti forti. Adesso i teologi si chiedono se gli Angeli custo-di esistano o non esistano, se sono segno dell’onnipotenza di Dio. Lasciamostare questi discorsi filosofici e personalistici, che bisogna fare con grande cal-ma. Sta di fatto che Padre Pio nella profondità del suo rapporto con Dio si rap-portava con questa coscienza profonda del suo essere, del suo collegarsi al-l’angelo custode. Dobbiamo leggere, in questi colloqui, l’uomo contemplativoche nel silenzio percepisce la voce del soprannaturale. Questo è Padre Pio.

Ma, a questo punto, dove è il vero Padre Pio? Padre Pio è un uomo del si-lenzio, che nel silenzio contempla il mistero di Cristo Paziente e il misterodel dolore umano. Padre Pio è tutto qui. All’interno di questa accezione glo-bale su Padre Pio, distinguerei tre momenti di lettura brevissima.

Il primo è quello metapsichico, di cui vi ho parlato, ed è la capacità di in-teriorizzare la sofferenza, come ad esempio l’assopimento, la bilocazione, latrasmigrazione extra corporea, che è un fenomeno conosciuto anche altrove;l’introspezione semiotica: Padre Pio che guarda la persona e ne fa una foto-grafia.

Il secondo è la dimensione demoniaca: Padre Pio è in lotta costante colmale. A volte alcuni biografi dicono che il Maligno “fiaccava” di botte PadrePio. Permettete il cenno autobiografico.

Ho scritto una quindicina di articoli sulla fenomenologia demoniaca disan Giuseppe da Copertino, un frate conventuale del ‘600, morto nel 1663, ilquale, prigioniero nelle carceri nostre di Assisi, in una parte del sacro con-vento - prima era stato dai cappuccini di Fossombrone - lottava proprio; il

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diavolo gli bruciacchiava la tonaca, lo sbatteva sotto il letto. Sono tutte for-me di linguaggio che ti inchioderebbero a delle realtà fisiologiche. Bisognastare attenti a queste cose bisogna studiare il linguaggio e la fenomenologia.Padre Pio ha lottato terribilmente con il mistero del male, indubitabilmente.Però personalizzarlo o identificarlo, sono problemi un po’ più difficili; nes-sun teste lo ha visto mai. Tutti conoscono i racconti di Padre Pio, e quandolo fa, racconta in una dimensione che non è la nostra. Sulle percosse fisiche,domandavano a Padre Pio: “Ma stanotte è andata male eh?”. “Me le ha suo-nate di santa ragione”, rispondeva. Vi prego di leggere qualche volta S. Ve-ronica Giuliani. Una donna o un uomo che vive nella contemplazione, spes-sissimo è soggetto a questi fenomeni, che non sono, ripeto, fenomeni demo-niaci nel senso stretto, ma sono personalizzazione di quella immane lottacon il male che conosciamo tutti. Allora non c’è il diavolo? Non mi ponetequesti problemi; io sto cercando di entrare nel personaggio. Padre Pio non èil baraccone che ne hanno fatto alcuni.

Terzo momento: Padre Pio è un mistico. Quindi: fenomenologia metapsi-chica, fenomenologia demoniaca, fenomenologia mistica. Padre Pio è un mi-stico. Guardate, il mistico non è colui che ha i doni mistici perché ci sono deinon-mistici che hanno doni mistici. Padre Gemelli, ad esempio, è una personaa me tanto cara, io ho una stima enorme di Padre Gemelli; ho letto quasi tuttoquello che ha scritto; essendo un buon psichiatra e venendo dalla scuola posi-tivista della neurofisiologia, della neuropsichiatria ecc., era all’altezza di dia-gnosticare malattie al di là del dettato tecnico della scienza. Era un uomo cheproiettava, prolungava attraverso intuizioni fortissime, attraverso momenti dimistica clinica, ed era sicuro. Allo stesso modo che Teilhard de Chardinproiettava nel cosmo i sintomi o le vibrazioni della risurrezione di Cristo. Èun linguaggio molto mobile, molto flessibile. Per darvi l’idea: come ci sonodei mistici a cui Dio diede delle grazie, ci sono dei non-mistici che hanno lestesse grazie. Ecco perché si parla di “fenomenologia mistica”. Non è la feno-menologia che denota il mistico, semmai è la vita mistica come contempla-zione profonda, che è dono di Dio, la contemplazione infusa.

Padre Pio aveva proprio questo. Il suo è un cammino ascetico, uno sforzotale da andare verso la contemplazione; è qualcosa che è dono gratuito. PadrePio è essenzialmente un mistico, ma - chiedo scusa - come può un uomo faredella sua giornata, che poi dovrebbe essere la nostra quotidiana, una preghie-ra continua, senza una profondità mistica? Si alza e si prepara alla S. Messa,celebra la S. Messa con devozione. “Signore - mi son detto - vorrei essere co-

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me Padre Pio!”. Mi ossessionava il sacerdozio, la celebrazione della Eucari-stia. Dovrebbero essere cose normali per noi sacerdoti, il ringraziamento allaS. Messa, l’ascolto delle confessioni, i 30-40 rosari al giorno, che Padre Piorecitava. Come può un religioso fare tutto questo? Solo se ha il dono della vi-ta mistica. Ciò che per noi potrebbe essere normale, un quarto d’ora di prepa-razione alla Messa, una mezz’ora di ringraziamento, una Messa detta con tan-ta devozione, in Padre Pio trova un maestro, perché vive più in profondità.Così c’è l’estasi dolorosa della S. Messa, il tempo prolungato nella preghieracontemplativa, l’adesione alla pochezza quotidiana. Padre Pio era un uomoche frequentava il convento, che viveva gli atti comuni, l’estasi spirituale ecorporale, le stigmate, l’eccitazione della sofferenza, l’identità a Cristo.

Mi sia permesso, alla fine di questi stralci, di porgervi quella che mi sem-bra una indicazione pedagogica, che ci viene dalla vita di Padre Pio e daquesta esperienza mistica: Padre Pio è un uomo normalissimo come religio-so, un uomo che quando può sta insieme ai confratelli, racconta una barzel-letta, un aneddoto. È gioioso, non è un angosciato, come lo hanno fatto cre-dere tanti! Leggete l’epistolario di Padre Pio. È di una sublimità anche ami-cale, gioiosa, stupenda. Quando si vede un Padre Pio a contatto, per esem-pio, con Piccirillo, il frate fotografo di S. Giovanni Rotondo, ora defunto,che di tanto in tanto gli mostrava le foto, gli rispondeva in dialetto campano:“Levate a ‘nanze co’ ‘stu mastrillu”. Il mastrillu è la macchina fotografica.Invece, la stampa lo ha disegnato arcigno, che rifiutava i fotografi, che lisbatteva chissà dove … Ma quando mai! Padre Pio è di una gentilezza, cheviene dalla sua sofferenza. È di una calma interiore, che le viene da tuttoquesto momento contemplativo. “Padre Pio era un uomo duro, un uomo roc-cioso”: finiamola con queste favole! Andiamo alle fonti autobiografiche, aisuoi scritti. È lì Padre Pio.

Vi racconto un episodio che mi ha commosso. Nella mia prima confessio-ne raccontai a Padre Pio qualche piccola disavventura che noi ragazzi a 15 o16 anni abbiamo sempre: l’equilibrio col mio corpo. Padre Pio mi dà un piz-zicotto, mi stringe così forte: “Oh! oh! oh! oh! ‘mbèh?’ disse. Io ebbi unapaura tale, che la volta dopo non andai a confessarmi. Quando tornai la se-conda volta, sentii nella voce di quest’uomo tutta la dolcezza della miseri-cordia. Chi parla di un Padre Pio ruvido e scontroso, non lo conosce!

Ho imparato a leggere la sua vita in tre momenti:- il momento del silenzio e dell’eremo, che va dalla nascita al 1931. Nel

silenzio della sua vita di pastorello, Padre Pio ha il primo confronto con il

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male, e in questo silenzio matura un contatto atroce con Dio; atroce, perchécominciano i presagi della passione che si andavano imprimendo nel corpomalato di Padre Pio. Fu riformato dall’ospedale militare e, poi, ci furonomanifestazioni di dolori inspiegabili che lo contorcevano notte e giorno e, fi-nalmente, con le stigmate.

- L’eremo e il silenzio si concludono con i primi provvedimenti duri delS. Uffizio: la segregazione di Padre Pio. Qui Padre Pio entra nell’Orto degliulivi, nella sofferenza del Getsèmani. Non sa di tutte le calunnie che lo ri-guardano. Ne sente soltanto l’eco. Padre Pio dal ‘31 al ‘60 riceve circa 20Visite apostoliche. E come comune denominatore, le stesse cose dette a Ge-sù: “mangia con i pubblicani, con i peccatori, sta con le donne… e poi vuo-le insegnare a noi, vuole scacciare i demoni...”. Padre Pio si è conformatoal Cristo sofferente e salvifico, non al volere degli uomini. La Casa Sollievodella Sofferenza, al di là delle peripezie burocratiche amministrative, non ènata da una invenzione di Padre Pio, è nata dal suo dolore, vissuto in sinto-nia con il dolore salvifico di Cristo. Lo stesso dolore di Maria e di Giovan-ni ai piedi della croce (ecco il perché del monastero delle Clarisse che havoluto Padre Pio). Non sono pensieri miei, sono nelle sue lettere. Egli havissuto momenti terribili anche quando furono manipolate le elemosine,senza saperne niente. Era troppo immerso in queste profondità eucaristichedel Cristo Paziente, per potersi accorgere anche di qualche malefatta intor-no a lui.

- Il terzo momento è l’annuncio della risurrezione, dopo l’eremo, il silen-zio e la conformità al Cristo sofferente. Padre Pio espleta l’annuncio della ri-surrezione, fondamentalmente, nel segreto del confessionale. Non fa nientedi strano rispetto a quello che dovremmo fare noi: le confessioni, la preghie-ra, l’immersione nella contemplazione... non fa niente di strano, se non quel-lo che ci ha affidato san Francesco. Il nostro è un ordine che dona agli altriciò che ha contemplato: ecco la dimensione francescana! Oggi Padre Pionon deve essere proposto, né per le stigmate, né per la bilocazione, né per iprofumi... Dobbiamo liberarci, educare il popolo a percepire anche questecose, ma come segni della grazia di Dio, non come segni della santità di Pa-dre Pio. La santità di Padre Pio sta in questa conformità con il Cristo che conla sua croce ci ha salvati, e in una sintesi della vita francescana, fatta di“contemplazione e azione”, che un po’ ci è sfuggita di mano.

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85a Assemblea CIMP CapManfredonia, 12-14 settembre 1999

Convegno per Ministri ed Economi provinciali

Cronaca delle giornate di Manfredonia - San Giovanni Rotondo

Dal 12 al 14 settembre u.s., una cinquantina di confratelli, tra MinistriCIMP Cap ed Economi provinciali, si sono ritrovati a Manfredonia per un in-teressante Convegno su argomenti collegati al VI CPO e a concrete questio-ni di economia. Introducendo i lavori, fr. Antonio Ascenzi, Presidente CIMPCap, affermava che «la nostra riunione, anche se tratterà argomenti econo-mici, finanziari, non è una riunione di ragionieri ma di frati Cappuccini che,con diverse ma convergenti responsabilità, trattano con sensibilità francesca-na, il delicato e complesso problema della povertà in fraternità oggi, dal ver-sante del gestire, condurre e partecipare l’economia».

Le tre giornate sono state orientate dalle riflessioni emergenti dagli inter-venti di fr. Roberto Genuin, sul tema La realtà economica della Provincia:ruoli, uffici, competenze [con particolare rilievo alle competenze ammini-strative del superiore e dell’economo, secondo i dettami del Codice di Dirit-to Canonico]. Infine fr. Giampiero Gambaro, economo generale, ha trattatoil tema: Comunicare l’economia in Provincia: che cosa, a chi, come.

Le cosiddette “aree di riflessione” sono state tre, corrispondenti alle rela-zioni citate. Fr. Paolo Servi e fr. Maurizio Annoni, Ministro provinciale diMilano, hanno poi presentato l’esperienza di “Intercap”, una società che mi-ra a gestire le attività commerciali di un’intera Provincia onde evitare il co-involgimento di tutto l’Ente ecclesiastico in situazioni di responsabilità civi-li o penali.

L’ultimo giorno, dopo una mattinata di lavoro, nella quale è stato presen-tato il libro di p. Giorgio Valentini1, il Vicario generale dell’Ordine, fr. Er-manno Ponzalli, ha concluso il Convegno in San Giovanni Rotondo, presie-dendo la concelebrazione eucaristica presso la Tomba del beato Padre Pio e

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1 GIORGIO VALENTINI, Guida informativa sulle modalità di corretta gestione e sul rispettodelle procedure amministrative degli enti religiosi, Segretariato Nazionale Opere Sociali Fra-ti Cappuccini, Trento 1999, pp. 459.

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invitando i presenti, nell’omelia, ad una lettura profondamente evangelica efrancescana del VI CPO. In particolare ha rilevato come la teologia-ascesidella Croce, riproposta all’inizio è continua ispirazione di tutto il VI CPO equindi di tutta la vita fraterna. Ha concluso ricordando come «Povertà e mi-norità non sono per san Francesco il fine, ma ci aiutano a realizzare il “cari-sma più grande”, la carità, che si esprime nella fraternità francescana versogli uomini e verso il creato».

Un gesto significativo ha coronato l’esperienza: la Provincia di Sant’An-gelo in Foggia ha offerto il soggiorno a tutti i frati che hanno partecipato al-l’Assemblea; la quota di partecipazione, tolte le spese vive, è stata così con-segnata al Ministro provinciale di Venezia affinché la facesse pervenire aiterremotati della Grecia (Nfc).

Cronaca di Manfredonia

Dal 12 al 14 Settembre 1999 si è svolto a Manfredonia il convegno deiMinistri provinciali e degli Economi provinciali. Una tre giorni impegnativae impegnata, una novità, un modo per rivelarsi attenti alla attuazione del VICPO e per passare dalla teoria alla pratica, affermava nelle prime battute disaluto lo stesso fr. Antonio Ascenzi, Presidente della Conferenza. Rispetto atanti altri convegni questo affronta senza paure e senza tabù l’argomento‘povertà in fraternità’. Concorreranno gli interventi dei relatori a creare ilclima giusto, il contenuto, le condizioni interiori per sviluppare il dialogo, ilconfronto, l’ascolto delle esperienze delle province in materia economica edamministrativa. Prima o poi, dopo il VI CPO, da parte della Conferenza que-sto incontro andava fatto. È il primo passo e, come tale, si può dire di esser-ci avviati bene.

Il Presidente CIMP Cap, fr. Antonio Ascenzi, sia in apertura che in chiu-sura di convegno, ha sollecitato la necessità di poterci ‘ascoltare’ così da fa-vorire il passaggio dall’ideale della povertà, alla realtà della povertà stessacon tutti gli accenti carismatici propri del nostro Ordine cappuccino: la fra-ternità. Preziosa la presenza in tutto il convegno del Vicario generale fr. Pon-zalli, che ha reso manifesta la vicinanza all’iniziativa dei Superiori generalidell’Ordine. Il momento celebrativo a San Giovanni Rotondo ha poi fatto dacoronamento al tutto.

Si è parlato di economia, amministrazione, del rapporto che si deve averecon il “denaro” e di come oggi noi frati cappuccini possiamo sfidare, in mo-do adeguato alla nostra stessa vocazione, il mondo finanziario. Un mondo

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con cui ci dobbiamo obbligatoriamente confrontare, avendo cura di non es-sere del mondo come dice il Vangelo, ma di essere dentro questo mondo nelmodo giusto ed adeguato sia alle leggi canoniche, che a quelle civili e finan-ziarie del nostro tempo. Leggi che non possiamo eludere, ma che dobbiamoosservare vincendo gli stati d’animo, gli atteggiamenti mentali con i quali fi-no ad oggi ci siamo rapportati.

Perché il discorso non apparisse troppo materiale e si scadesse nella ma-terialità, il convegno si è sviluppato dentro un quadro di fraternità fra tutti edi spiritualità. Non è mancata la preghiera e soprattutto la sosta di spirituali-tà a San Giovanni Rotondo, con la Celebrazione Eucaristica sulla tomba delBeato Pio da Pietrelcina. Si doveva un omaggio da parte della Conferenzaalla personalità del Beato, di recente elevato alla gloria dell’altare; come pu-re un ringraziamento ai confratelli della provincia di Foggia e alla Provinciastessa nella quale è germogliato questo fiore di santità.

Il convegno è stato anche occasione per mettere in pratica la carità e lasolidarietà verso cui la nostra economia e la nostra amministrazione dei benidovrebbe sempre andare. Quanto dovuto per l’accoglienza e per i lavori aManfredonia è stato devoluto alla Custodia della Grecia, ultimamente colpi-ta da un violento terremoto. La Provincia di Foggia da parte sua ha provve-duto a coprire tutte le spese del convegno. Una gara di carità che il convegnoha dimostrato possibile, rendendo evidente che un nuovo approccio all’eco-nomia non può che favorire davvero la fraternità e la promozione, nonché lacrescita dei fratelli che sono nella necessità. L’economia e l’amministrazionedei beni infatti non può che avere sempre di vista questo aspetto. Non l’uo-mo per i soldi o per la ricchezza, ma i beni e la ricchezza a servizio dell’uo-mo. Non asserviti ai beni, ma sostenuti da essi in misura del minimo e co-munque del puro necessario, abituandoci a distinguere il necessario dal su-perfluo e nel caso, circa il superfluo, adoperandoci perché evangelicamenteogni bene ritorni a vantaggio di ciò che è sempre necessario.

Tutto ciò è passato come messaggio grazie ai relatori che sono stati tranoi non già come ‘maestri’ ma come fratelli. Hanno portato la dottrina e lasapienza pratica dentro una comunicazione verbale e personale di elevataqualità fraterna. Così fr. Roberto Genuin del Veneto, che ha esposto ciò cheil Diritto Canonico dice in materia economica e di amministrazione, e quan-to asseriscono le nostre Costituzioni. Per lui, noi frati siamo mancanti di re-golamenti più specifici e anche di orientamenti più particolari. I convegnistirecepiranno questa nota. Viviamo infatti in alcuni casi di “genericismo”. Suquesto aspetto, su questo stile “fratesco” è tornato anche l’economo Provin-

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ciale di Milano quando, portando l’esperienza della sua provincia, ha deli-neato gli aspetti frateschi del modo di amministrare, che ai nostri giorni sonosinonimo non tanto di semplicità francescana, ma di pericolosità del france-scano per tutti i guai e le conseguenze di cui ci si potrebbe caricare andandoavanti. Altro relatore che ha suscitato notevole l’attenzione da parte dei par-tecipanti Ministri ed Economi è stato fr. Giampiero Gambaro, economo ge-nerale. Come pure interessante l’intervento di Panetti.

Dall’economo generale sono arrivati ai convegnisti, concetti, proposte,suggerimenti, metodi. Il tutto suffragato da documentazioni scritte, riportantischemi, voci, indicazioni relative a preventivi, consuntivi, bilanci. Quelloche si è sentito dire, e quello che ci si è trovati tra le mani, ci suggerisce cheoccorre davvero cambiare mentalità e modalità in campo amministrativo. Lavia della migliore precisione, attenzione e verifica deve essere intrapresa. Loha fatto la Curia generale, lo deve poter fare ogni Provincia, lo deve poter at-tuare ogni fraternità locale, poiché la via della trasparenza è preludio per lafraterna condivisione, sia dei beni che, in particolare, delle scelte pastoraliche hanno bisogno del supporto economico. Un’economia non è più solo edunicamente una questione riservata ai soli economi, né alle libere e insinda-cabili scelte dei Superiori, ma della fraternità, e quindi dei frati che si devo-no abituare a decidere, orientare, programmare, determinare insieme. Perchéciò sia possibile la chiarezza nei conti, nelle voci, nei resoconti, nei bilanci èimportante. La buona riuscita di tutto ciò esalta la fraternità.

Il cambiamento mentale da vivere e da accompagnare è stato animato daun triplice intervento di fr. Salonia. Prendendo spunto dalle Propositionesdel VI CPO e facendo presenti le nuove istanze che regolano i rapporti inter-personali, agganciandosi ai comportamenti tipici dell’uomo-frate cappuccinodel passato ha offerto 1’identikit del Cappuccino del 2000 liberato dalle pau-re, dai sotterfugi e dalle inadempienze verso il voto di povertà. I suoi inter-venti sono serviti a capire il lavoro che di fatto si deve compiere per aggior-nare tutti noi, e modificare alcune pieghe storiche che altrimenti ci conse-gnano ad un ‘oggi’ nel quale possiamo essere più meschini che poveri. Lapovertà è da comprendersi armoniosamente inserita nell’obbedienza e nellacastità, perché fa parte ed è un aspetto della personalità del consacrato chia-mato a vivere una determinata umanità, nuova sicuramente, e in sfida a quel-la vecchia; modellata sul Cristo e vivificata da Francesco di Assisi.

Sono stati preziosi i lavori di gruppo svoltisi per aree geografiche più omeno omogenee. È lì dove maggiormente si è scesi nel concreto e dove il re-ciproco ascoltarsi è stato fecondo, non già per dei confronti, ma semplice-

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mente per incontrarsi su cosa concretamente fare insieme a livello di confe-renza e a livello di singole province. La storia passata raccontata e comuni-cata, le proprie esperienze, i propri modi di fare, messi a confronto sono ser-viti a capire quanto si è diversi e quanto occorra stimare la pluriformità, maanche quanto sia necessario essere uguali in alcuni ambiti, per una maggioreunità, che vada realmente a vantaggio di un’immagine di Ordine rinnovatoalle sorgenti e dalle sorgenti del VI CPO.

Gli esiti dei lavori di gruppo, gli interventi a caldo dopo le relazioni e lecomunicazioni di testimonianze di un certo rilievo che alcune province sonostate invitate ad offrire, hanno permesso la individuazione di importanti scel-te da fare insieme a livello di conferenza. Un Direttorio, corsi di formazionee qualche convegno in più, oltre questo primo di Manfredonia-San GiovanniRotondo, che è stato una vera novità, potrebbero portarci un po’ più avanti.Il vantaggio di idee più chiare e di orientamenti più sicuri è stato registrato.Tra i corridoi, ascoltandosi ulteriormente, il desiderio di continuare il discor-so si è avvertito. Segno positivo di una coscienza più aperta e disponibileche, grazie al Convegno, può portare buoni frutti.

Fr. Giulio Manera

Saluto del Presidente della CIMP Cap

Carissimi,dopo la liturgia di accoglienza prendo brevemente la parola per salutare

cordialmente tutti i confratelli convenuti, ringraziandoli per una duplice ra-gione. In primo luogo per aver messo da parte gli altri, pur importanti, impe-gni, e aver privilegiato questo incontro, nuovo e originale nel suo genere, traMinistri ed Economi Provinciali, inoltre per aver superato quel diffuso scet-ticismo che ormai caratterizza il clima di ogni convocazione, convegno, in-contro e certamente non induce a partecipare.

Nell’ultima assemblea della CIMP Cap si decise questo appuntamentoper incominciare a tradurre nel concreto le indicazioni del VI CPO. Si trattadunque di un primo passo che, mi auguro, sarà seguito da altre iniziativeanaloghe.

Oltre le tre Relazioni previste, in questi tre giorni, si condivideranno leesperienze delle singole Province in fatto di gestione economica, partecipan-do difficoltà, prospettive, soluzioni.

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Al termine sarà importante stabilire qualche impegno per il futuro, perchéquesta assemblea non rimanga un fatto episodico e senza ulteriore incidenzanel vissuto delle nostre fraternità.

La buona riuscita dei lavori sarà, dunque, direttamente proporzionata an-che dalle date che sapremo darci per il futuro.

La nostra riunione, anche se tratterà argomenti economici e finanziari,non è una riunione di ragionieri ma di Frati Cappuccini che, con diverse maconvergenti responsabilità, trattano con sensibilità francescana, il delicato ecomplesso problema della povertà in fraternità oggi, dal versante del gestire,condurre e partecipare l’economia.

Esprimo gratitudine alla Provincia di Foggia che ci ha accolti, ed auguroa tutti buon lavoro.

Fr. Antonio AscenziPresidente CIMP Cap

LA REALTÀ ECONOMICA DELLA PROVINCIA: RUOLI, UFFICI, COMPETENZE

Fr. Roberto Genuin

Introduzione

Come tegola che cade dall’alto e si abbatte improvvisa ed inaspettata, hotrovato un giorno, sul mio tavolo, poco più di un mese fa, il fax che annun-ciava questo Convegno. Con stupore, ho notato che il programma prevedevaun mio intervento, senza che ci fosse stato alcun tipo di contatto e confrontoprevio. Ho cercato qualche spiegazione, tentando anche di rinunciare corte-semente, ma non sono riuscito. Pazienza. Pazienza per me, ma soprattuttoper quelli che dovranno ascoltarmi.

Ho pensato allora di interpretare questo intervento nell’unico modo possi-bile. Come un momento di avvio dei lavori, un tentativo di fornire un quadrointroduttivo, senza la benché minima pretesa contenutistica o di completez-za. Ho pensato cioè, e spero di non aver compreso male il tema, di tentare

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una breve presentazione del quadro giuridico ecclesiale e dell’Ordine, nelquale si muove la realtà economica delle nostre Province.

Quando si parla di realtà economica si fa riferimento ai beni temporali ealla loro amministrazione. Mi sembra utile allora indicare almeno gli ambitidi riferimento, con qualche considerazione, ma senza la pretesa di voler sot-tolineare tutto minuziosamente. Per avere un quadro complessivo della nor-mativa che regge i beni temporali degli Istituti Religiosi e la loro ammini-strazione, è necessario tener presente: a) i canoni del Libro V che si riferi-scono ai beni ecclesiastici in genere; b) i canoni 634-640 che definiscono lanormativa comune agli Istituti Religiosi in materia di beni temporali; c) lenorme particolari con cui i singoli Istituti completano e precisano le leggigenerali della Chiesa; per il nostro Ordine sono da considerare in particolarele Costituzioni al cap. IV: la nostra vita in povertà.

Considerazioni generali

La Chiesa riconosce agli Istituti religiosi, alle loro Province e case la per-sonalità giuridica (can 634 §1), cioè li riconosce, per il solo fatto che vengo-no eretti legittimamente (can 114 §1) soggetti di obbligazioni e di diritti. Laloro personalità è di carattere pubblico, ciò significa che nell’espletamentodel proprio compito agiscono a nome della Chiesa (esercitano una missioneecclesiale loro affidata dalla gerarchia; cfr. can 1282) e i loro beni sono beniecclesiastici e si devono reggere a norma del Libro V sui beni temporali del-la Chiesa (cfr. can 116 §1; 635 §1; 1257 §1). In conseguenza della personali-tà giuridica, essi godono della capacità patrimoniale, che è capacità di ac-quistare, di possedere, di amministrare, di alienare i beni temporali a normadel diritto (cfr. can. 634 §1, 1255 ). La capacità di acquistare, «in tutti i modilegittimi, di diritto sia naturale che positivo, consentiti agli altri» (can. 1259)è la capacità primaria, sulla quale si fondano le capacità di possedere, ammi-nistrare, di alienare.

Gli Accordi, stipulati dalla S. Sede e dalla Repubblica Italiana in data 18febbraio 1984, confermano la possibilità di riconoscimento civile degl’Istitu-ti religiosi, come degli altri «enti ecclesiastici aventi sede in Italia e approva-ti secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religioneo di culto» (art. 7).

Poiché i beni ecclesiastici non sono mai beni privati, il CIC stabilisce congrande esattezza quanto si riferisce all’amministrazione e agli amministrato-ri di tali beni ai can. 1273/289. Accenneremo in seguito ad alcune delle dis-

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posizioni che ci possono interessare. Basti qui ricordare che i beni dellaChiesa ebbero fin dall’inizio queste finalità: sovvenire alle necessità dei po-veri; rendere possibile il culto e le opere di apostolato; garantire il sostenta-mento di coloro che ad esse venivano deputati.

Al riconoscimento iniziale della capacità patrimoniale, segue però imme-diatamente (can 634 92) il seguente monito: «evitino tuttavia ogni specie dilusso, di guadagno smoderato e di accumulazione di beni». Il testo di questoparagrafo è preso alla lettera dal decr. conciliare Perfectae caritatis, n. 13,6.In ragione della povertà professata mediante i voti, i religiosi sono tenuti adevitare qualsiasi forma (anche solo l’apparenza: species) di lusso, di lucrosmodato, di accumulazione dei beni. Sono tutte cose in netto contrasto conla vita religiosa, motivo di grave scandalo per credenti e non credenti. Nelcan 640 si dirà anche che gl’Istituti religiosi hanno il dovere di dare una te-stimonianza collettiva di povertà e di carità, destinando una parte dei lorobeni per sovvenire alle necessità della Chiesa e al sostentamento dei poveri.L’esortazione è facilmente comprensibile. Le riconosciute capacità economi-che degli istituti religiosi, unite al tipo di vita parsimoniosa e laboriosa con-dotta normalmente dai religiosi, porta facilmente all’agiatezza comunitaria,la quale si traduce con altrettanta facilità in un certo lusso e in accumulo dibeni. Nella sua critica serrata alla vita dei monaci, Lutero osserva ironica-mente «chi ha mai sentito chiamare povertà lo dato di colui che non possie-de nulla di suo e che abbonda di beni comuni?» (De voti monasticis iudi-cium).

Cose da evitare

a) Lusso. In genere significa sovrabbondanza, eccesso nel modo di vive-re. Più concretamente, esiste il lusso quando c’è sfoggio di ricchezza, disfarzo, di magnificenza; quando c’è una tendenza abituale a spese superflue,incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, per la qualità o per l’orna-mentazione, non comportano un’utilità corrispondente al loro prezzo, e sonovolti a soddisfare l’ambizione o la vanità, più che un reale bisogno. Una im-pressione di lusso si ha vedendo sfoggio di abiti, di oggetti di arredamento,di comodità superflue, o anche oggetti vistosi e di alto costo. Sono tutte coseda evitare nel comportamento personale dei religiosi, ma anche nel compor-tamento comunitario ad ogni livello.

b) Lucro. Ha il senso generico di guadagno materiale o vantaggio econo-mico. Ma nell’uso comune, adotta di solito un senso peggiorativo di vantag-

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gio indebito o ingiustificato. Il testo conciliare lo qualifica appunto comesmoderato. In ogni caso il lucro appare come elemento che non può costitui-re in nessun modo finalità propria di un ente religioso.

c) Accumulazione di beni. Benché fuori ormai dal sistema beneficiale,per il quale l’accumulo di beni era da considerarsi un fatto positivo, perchémigliorava la situazione patrimoniale dell’ente, anche oggi un accumulo dibeni che significhi un miglioramento del patrimonio stabile di una personagiuridica ecclesiastica è considerato dalla Chiesa un fatto positivo, tanto chel’acquisto di beni è giudicato positivamente, non prevedendo controllo alcu-no dell’autorità superiore, in contrapposizione con le norme più rigide ri-guardanti l’alienazione (cfr can 638 §3; 1291-1294). Ma la stessa Chiesa sipreoccupa di riportare questi beni al loro scopo originario, di aiuto ai poveriin primo luogo e, poi, di soddisfazione delle necessità della vita per i mem-bri dell’istituto e di sviluppo e compimento della missione ecclesiale propriadell’istituto stesso. Un accumulo di beni è giustificabile, forse, solo in vistadi queste finalità. Inoltre, gli Istituti religiosi sono chiamati a rendere una te-stimonianza collettiva di austerità e povertà evangelica, cosa in contrastostridente con l’accumulo di beni.

A queste considerazioni generali mi pare solo di doverne aggiungereun’altra: anche se i beni temporali degli Istituti religiosi sono beni ecclesia-stici e perciò cadono sotto la normativa del libro V del CIC, la Chiesa invitaespressamente ogni Istituto a stabilire norme proprie circa l’uso e l’ammini-strazione dei propri beni, al fine di promuovere, tutelare ed esprimere conessi la povertà che gli è propria (can 635 §1-2) 638 §1; ). Poiché i beni degliIstituti religiosi hanno caratteristiche proprie, richiedono una normativa pe-culiare, oltre a quella universale del Libro V, in diretta relazione con il tipodi povertà propria dell’istituto stesso. Questo, sia in riferimento al modo per-sonale dei singoli religiosi di osservare la povertà, ma anche al modo fami-liare o comune di testimoniare socialmente la semplicità, la laboriosità e lalibertà da condizionamenti economici, così come la fiducia nella DivinaProvvidenza e la condivisione dei beni con la Chiesa e con i bisognosi.

Gli amministratori

Nonostante il chiaro invito della Chiesa a stabilire norme proprie circal’amministrazione dei beni, gli Istituti religiosi, compresi i Cappuccini, nonsempre vi hanno provveduto con attenzione e compiutezza. Questo si spiegaper il fatto che gli incarichi, anche quello di economo, si considerano obbe-

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dienze, e il loro espletamento è realizzato nel quadro dell’obbedienza e sottola direzione immediata dei superiori; quasi sempre perciò da noi manca undirettorio specifico per l’amministrazione dei beni; ci accontentiamo di po-che norme sull’argomento, scarne e generiche, nelle Costituzioni, o pocopiù. Ciò porta però a qualche equivoco e inoltre induce la falsa idea che soloquelle norme abbiano valore di legge nell’istituto. Vediamo quanto CIC eCostituzioni ci dicono riguardo ai ruoli, alle responsabilità e alle competenzedegli amministratori a livello di Provincia.

Del Superiore

a) Prima e peculiare responsabilità. Al can. 1279 §1 il legislatore canoni-co stabilisce l’amministrazione temporale come una attività operativa che“spetta a chi regge immediatamente la persona a cui gli stessi beni appar-tengono”, a meno che il diritto particolare determini altro e salvo il dirittodell’Ordinario di intervenire in caso di negligenza dell’amministratore. Èevidente che il legislatore attribuisce al Superiore, a tutti i superiori, e quin-di, nel nostro caso, al Provinciale, una prima e peculiare responsabilità circai beni temporali dell’ente.

b) Direzione. La responsabilità prima del Superiore non viene meno, an-che in presenza, per i religiosi, di attribuzioni di ruoli diversi: per i religiosi,il diritto universale e particolare attribuisce l’amministrazione ordinaria al-l’economo generale, provinciale o locale, ma, a norma del can 636 §1, taleamministrazione deve essere realizzata sotto la direzione del rispettivo supe-riore che ne è il primo responsabile. Tale direzione può essere intesa anchecome diritto di intervenire in caso di negligenza dell’amministratore (vedi:economo).

c) Vigilare con sollecitudine. Data la responsabilità prima e l’obbligo didirigere l’amministrazione, al can 1276 si dice che spetta al superiore mag-giore vigilare con sollecitudine sull’amministrazione di tutti i beni apparte-nenti alle persone giuridiche pubbliche che le sono soggette, salvo che il di-ritto proprio gli attribuisca poteri più ampi.

d) Disciplinare con particolari istruzioni. Dato l’obbligo di dirigere e divigilare con cura, i Superiori sono tenuti ad ordinare l’intero complesso del-l’amministrazione dei beni affidati alla loro vigilanza con particolari istru-zioni, che rispettino il diritto universale e particolare e tengano conto dei di-ritti altrui, delle legittime consuetudini e delle circostanze (can 1276 §2).Normalmente, il Superiore di grado più elevato esercita il suo compito di vi-

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gilanza sull’amministrazione dei beni che sono sotto la direzione dei Supe-riori subalterni, ma non può disporre di tali beni, può tuttavia imporre delleprestazioni, anche con precetto o decreto.

Come si traducono questi compiti di responsabilità, di direzione, di vigi-lanza, di disciplina, nelle nostre costituzioni? Si può richiamare a cappelloper il Provinciale il dettato nel n. 61,3: “I superiori, anche i provinciali quin-di, siano di luminoso esempio ai frati nel professare la povertà e ne promuo-vano l’osservanza”, mettendo in pratica per primi i numeri successivi: non siapproprino di nulla..., come pellegrini e forestieri..., riponendo la fiducianella divina provvidenza..., non facendo provvisioni eccessive di beni..., ecc.

Più in particolare le Costituzioni invitano i Provinciali a: dare norme perricorrere alle assicurazioni o varie forme di previdenza (66, 1); evitare ogniaccumulo o speculazione, salvo un piccolo margine di sicurezza (67,2); os-servare il principio preciso del minimo necessario e non del massimo con-sentito (67, 3); usare dei beni loro consegnati dalle fraternità per le necessitàdelle circoscrizioni o per i poveri o per il progresso dei popoli (67,4); esserepronti a condividere, in caso di bisogno, i beni della provincia con altri (67,6); decidere di costruire, acquistare e vendere, e permettere di ampliare o ri-durre le nostre case (69, 1-2) vigilando che corrispondano alla nostra vita(68); mettere a disposizione del ministro generale i beni superflui, rendendo-gli conto della situazione economica della provincia (67, 7; 71, 5); nominaregli economi, provinciale e locale, dirigendo e vigilando sulla loro ammini-strazione (71, 1-4); dare relazione al Capitolo provinciale sullo stato econo-mico della Provincia (71, 8); nominare i membri delle commissioni econo-miche (72, 2), ascoltandone il consiglio (72, 1); osservare il limite stabilitodal Superiore generale per contrarre obbligazioni, alienare o fare spesestraordinarie, ed eventualmente chiedere il suo permesso in caso di ecceden-za (73, 1); stabilire, con le debite differenze, simili limiti per i superiori loca-li, e permettere eventuali atti di amministrazione eccedenti (73, 2).

Dell’economo

L’istituzione di un economo, con funzioni distinte da quelle del Superio-re, il quale provveda all’amministrazione dei beni e ai bisogni della comuni-tà, è un’esigenza che si impone da sé. In forza del can 636 §1 è anche un ob-bligo giuridico per gli Istituti a livello generale, come pure per le province ele case, con l’eccezione a livello locale, se ciò non è possibile. Già il Conci-lio di Trento, nel suo decreto De regularibus et monialibus, aveva stabilito

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che l’amministrazione dei beni dei monasteri o conventi fosse competenzaesclusiva dei loro officiali. Il nome di economo, dal significato di dettarelegge nella casa (=superiore locale), passa gradualmente ad essere applicatoa chi curava i beni comuni del monastero o convento, pur in presenza dimolti altri termini (provisore, procuratore, amministratore, e altri ancora...).

a) Amministrare i beni sotto la direzione del rispettivo superiore. Vieneprescritta la direzione del superiore (can 636 §3), non quella di altri, anchese poi il superiore agirà spesso facendo intervenire il proprio consiglio, cheha proprie competenze nella revisione e approvazione dei libri contabili, bi-lanci, progetti, ecc. Questa norma, che pone ogni amministrazione sotto ladirezione del rispettivo superiore, rispecchia la storia e la prassi costante delsistema di amministrazione religiosa. Inoltre risponde al principio che abbia-mo già visto enunciato nel can 1279 §1, secondo il quale “l’amministrazionedei beni ecclesiastici compete a colui che regge la persona giuridica a cuiappartengono i beni”. Non rientra invece nella prassi e nella storia dei benireligiosi che gli economi abbiano un proprio consiglio di economia, poiché èil consiglio del Superiore che ha la facoltà di intervenire a norma del dirittocomune e proprio. Ciò non esclude ovviamente che l’economo abbia la buo-na abitudine di consigliarsi con persone perite nelle materie che richiedonoconoscenze tecniche, come accade con frequenza nell’ambito finanziario,anche in maniera permanente.

b) Presentare all’autorità competente il rendiconto della propria ammini-strazione. Dal dovere di operare sotto la direzione del Superiore deriva im-mediatamente l’obbligo che l’economo, nei tempi e nel modo stabiliti dal di-ritto proprio, presenti al Superiore il rendiconto della propria amministrazio-ne (can 636 §2).

c) Provvedere validamente alle spese e agli atti giuridici di amministra-zione ordinaria. Fatta salva la direzione e la vigilanza che spetta di diritto aiSuperiori, gli economi operano legittimamente e validamente in tutte le spe-se e gli atti di amministrazione che ricadono nei limiti dell’incarico loro affi-dato (can 638 §2), limiti e modalità stabiliti dal diritto universale, dal dirittoproprio e dalle istruzioni (can 1276 §2) del Superiore che affida l’incarico.

d) Con la diligenza di un buon padre di famiglia. È l’espressione con laquale tradizionalmente si intende mettere in rilievo l’impegno, l’accuratezza,il senso di responsabilità e di prudenza, la rettitudine, la fedeltà con le qualiogni amministratore è chiamato a svolgere i suoi compiti, i principali deiquali sono elencati al can 1284 e seg. Tra di essi segnalo solo: 1. l’invito adosservare le disposizioni canoniche e civili (can 1284 §2 3°), tanto più im-

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portante perché da una parte il nostro diritto proprio è veramente povero dinormativa organica e allora quasi tutto va riferito al diritto universale, e dal-l’altra perché l’inosservanza della normativa civile può provocare gravi dan-ni all’ente; 2. la raccomandazione di redigere il bilancio preventivo annuodelle entrate e delle uscite (can 1284 §3), tema sul quale il nostro Ordine sista muovendo da tempo, ma che non trova ancora piena risposta nelle Pro-vince italiane, né, tanto meno, nelle fraternità locali.

e) Senza eccedere i limiti dell’amministrazione ordinaria. Si apre qui tut-to il discorso di amministrazione ordinaria e straordinaria. Generalmente sipuò dire che gli atti di amministrazione straordinaria sono quelli potenzial-mente idonei a modificare la consistenza patrimoniale di un ente, mentre so-no atti di amministrazione ordinaria tutti quelli attinenti alla conservazionedei beni patrimoniali e al loro normale sfruttamento. Spetta al diritto propriodeterminare l’ordinarietà o la straordinarietà degli atti e stabilire ciò che ènecessario per porre validamente atti di straordinaria amministrazione (can638 §1). Non voglio entrare più dettagliatamente nel merito, ma dubito cheanche in questo campo la legislazione nostra sia del tutto valida e completa,vista la grande confusione che trovo in materia.

f) Possono essere laici. Il diritto universale prevede che all’ufficio di am-ministratore possa accedere anche il laico (cfr. can 1282); in nessun canone,infatti, s’impone che l’economo di un Istituto religioso sia membro del me-desimo, o che l’economo diocesano sia un chierico, sacerdote o laico. Manoi difficilmente ci fidiamo...

Le nostre Costituzioni parlano espressamente dell’economo in un solonumero, il 71, riprendendo solamente alcune delle norme universali, conl’ammonizione di osservare scrupolosamente i prescritti del diritto (71, 10) econ la sola novità che è più esplicito l’invito di affidare ai laici l’amministra-zione dei beni (71, 9: per quanto sia possibile).

Questa mancanza di sviluppo, di chiarezza, di ordine e di specificazionedella legislazione nostra, in ordine ai ruoli e alle competenze è, a mio giudi-zio, una delle ragioni, anche se non certamente l’unica, della confusione chesi nota nella realtà economica delle Province cappuccine.

Conclusione

Ecco le poche cose che ho pensato di richiamare. Non tutto si è detto esenza dubbio quanto detto è assai generale e incompleto (si pensi a tutto ilsettore delle amministrazioni fiduciarie, al quale non si è neppure accennato,

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pur avendo un certo spessore nelle nostre Province, come pure a tutto ilmondo delle relazioni Provincia-fraternità locali, essenziale per comprende-re la realtà economica della Provincia stessa). D’altronde, sono certo che tut-te queste cose, di più e meglio, erano già a vostra conoscenza. L’unica spe-ranza è che il richiamo costante ai principi, alle finalità della Chiesa, alle no-stre caratteristiche proprie di Istituto religioso caratterizzato dalla “altissimapovertà” serva a leggere le problematiche specifiche e a trovare modalità disviluppo coerenti con la scelta di vita che tutti ci accomuna, e rispondenti al-le vere esigenze del popolo di Dio. Scusate e grazie.

PISTE DI RIFLESSIONE SUL VI CPO

Fr. Giovanni Salonia

Premessa

Ringrazio dell’invito e della fiducia. A me pare che, nel contesto di que-sta “tre giorni”, il tipo d’intervento richiestomi dovrà configurarsi come unarilettura di alcuni punti-forza del VI CPO tenendo presente che i suoi conte-nuti ormai sono conosciuti.

Articolerò i tre interventi in questo modo: 1. Collocazione (“da dove”viene il VI CPO); 2) Presentazione (ispirazione e proposte del CPO); 3.Apertura (“verso dove va” il CPO)

Collocazione del VI CPO

La sua origine

Nessuno si aspettava un CPO sulla povertà. Né a Lublino nel ‘92 né aRoma nel ‘94 era stato registrato un interesse “decisivo” sulla povertà. Nonche non ci fosse il “problema” della povertà ma non erano emersi elementiteorici o di vita particolarmente illuminanti. Sembrava che in ultima analisi,

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la codificazione delle tre possibilità della nostra vita di povertà - vivere “tra ipoveri, con i poveri, da poveri” - potesse raccogliere tutta la molteplicità diforme (pluriformità) nelle quali l’Ordine vive (o è chiamato a vivere) la po-vertà. Discorso scontato - a livello di riflessione e di testimonianza - cheprovocava rassegnazione o contestazioni quando veniva sottoposto ad inter-minabili ed inevitabili “distinguo” tra povertà materiale e povertà spirituale,tra esigenze attuali e nostalgie più o meno pauperistiche, ecc...

Le risposte fornite dalle Conferenze dell’Ordine ai questionari inviati dallaCommissione Preparatoria del CPO confermano tale clima di denuncia verba-le (“parole, parole...”), di ricerca e di mancanza di soluzioni concrete e pratica-bili. Nella maggioranza dei casi vengono riproposti inviti ad una maggiore po-vertà con l’ostinazione propria di chi ama la propria identità e lo sconforto e lavaghezza di chi si sente sconfitto irrimediabilmente dalla realtà.

Ascoltare dalla gente, dai giovani, richieste e provocazioni che già “den-tro” tormentano il cuore di ogni francescano (“dovete essere più poveri!”“come fate a parlare di povertà?”), doversi misurare con grandi strutture, conconti in banca (un frate economo non portava i soldi in banca per non scan-dalizzare gli impiegati!) hanno sempre reso più dolorosa l’antica incurabile“spina nel fianco” della povertà. Quando si afferma sbrigativamente che or-mai, dal punto di vista della povertà, tutte le comunità religiose sono uguali,ci si ferma alle apparenze. Non si coglie una caratteristica tipica dell’OrdineFrancescano: essere “ossessionati” tormentati dalla “povertà”, per cui non cisi sente mai arrivati o soddisfatti.

In tale contesto è ovvio che l’interessarsi di economia veniva visto come“tabù” perché “troppo” distante dal carisma. I santi frati, come raccontanotestimonianze e agiografie, “non toccavano mai soldi”, “si fidavano cieca-mente della Provvidenza”.

Grazie alle sagge indicazioni di P. Lazzaro Iriarte, indimenticabile mae-stro di storia e spiritualità francescana, negli ultimi anni si era registratomolto interesse per la minorità e per l’itineranza come atteggiamenti intrin-seci alla povertà. Si ha la sensazione che tali caratteristiche, centrali per ilnostro carisma, potranno riscattarci dall’ “inevitabile”disagio di “definircipoveri solo in teoria”. Minorità e itineranza, in effetti, non necessitano dimolti “distinguo” e offrono indicazioni pratiche percorribili. L’attenzione atali caratteristiche suscita interesse, vivacità, dibattito: si pensi all’incontroMinistro Generale-Definitori Generali e CIMP Cap di Assisi ‘95. Proprio al-la vigilia del VI CPO, nell’Incontro dei Presidenti delle Conferenze, Fr. An-tonio Ascenzi, presidente della CIMP Cap, registrò una risposta largamente

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positiva da parte degli altri Presidenti, comunicando l’interesse della nostraConferenza sulla “minorità ed itineranza” come espressione della povertà.Ne è prova il fatto che, nelle conclusioni di detto Incontro, si auspica una ri-flessione dell’Ordine nel prossimo futuro su questi temi.

In questo contesto è emersa all’improvviso l’ispirazione del Ministro ge-nerale di convocare un CPO sulla Povertà in Fraternità.

L’idea suscita qualche perplessità. Un postnovizio ci chiede: perché non èstato indetto un CPO sull’ubbidienza? Con la libertà, propria dei giovani,aveva individuato un tema scottante, proposto negli ultimi tempi come “Ani-mazione dell’Ordine”. (Ricorderete che una proposta in tal senso fu bocciataper questo sessennio dal Capitolo Generale del ‘94).

La proposta del Fratello Generale coglie tutti di sorpresa: può un argo-mento, scontato e “sterile”, tornare a fiorire? È possibile che il frate econo-mo, che frequenta banche (o Wall Street!) possa diventare santo?

Nella formulazione del titolo (Povertà in Fraternità) si intravede qualchegerme di novità e apertura.

A rileggere oggi la storia del VI CPO si ha la sensazione che abbiamotoccato con mano, ancora una volta, come lo Spirito Santo sia il Generaledell’Ordine. Sembra significativo il fatto che la proposta di ritornare alla po-vertà da un’altra prospettiva sia venuta da un Ministro Generale che appar-tiene al contesto socio-economico che è, per definizione, tra i più “ricchi”. Sirivela anche utile che l’interrogativo venga posto ed elaborato nello stileproprio di quel contesto culturale, e cioè il “pragmatismo”, che, nella sua ac-cezione più positiva, significherà ripartire dalla realtà. Ripristinare il nessoteoria/pratica partendo dalla prassi è un metodo piuttosto nuovo per la men-talità europea, ma aiuta ad essere precisi e decisi negli orientamenti.

Tornare ad interrogarsi sulla povertà in modo nuovo, con il coraggio dichiamare le cose per nome, è un dono inestimabile per noi francescani, “tor-mentati” dalla povertà (che, come abbiamo detto, è il nostro “imprinting”). Iprimi frutti del CPO vanno proprio su questa linea: ricominciare a parlare dipovertà, sottraendola alla sensazione di scontato, di rassegnazione; parlaredella dimensione fraterna della povertà; pensare la possibilità di saldare lafrattura tra economia e povertà, tra ingenuità e esigenze concrete, tra respon-sabilità di uno e di tutti nell’economia...

In altre parole, si comincia a fare l’ipotesi che anche un economo che fre-quenta banche e fa investimenti economici può essere santo...

Dal rifiuto del denaro, vissuto come ideale necessario e impossibile, si co-mincia a passare, attraverso il CPO, alla logica dell’incarnazione che vuole il

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confronto e l’assunzione della realtà: ricollocare la povertà dentro la fraternitàrisponde a tali esigenze e riapre il cammino... Si comincia a parlare di “pover-tà”, non più con sensazioni di scontatezza accademia o di inutili nostalgie “pau-peristiche” ma in modo chiaro, direttamente finalizzato a precise e possibiliscelte concrete, difficili ma praticabili, dal singolo e dalla fraternità. In modorozzo, così esemplificavo il discorso ai giovani: prima era avvertito come pec-cato contro la povertà una spesa senza permesso o eccessiva; dopo il CPO devediventare materia di “esame di coscienza”, per tutti: dal guardiano al frate piùpiccolo! È doveroso chiedersi in fraternità come vengono usati i soldi.

Ci presentiamo al terzo millennio con la consapevolezza che la nostraidentità, il nostro carisma fiorisca proprio tra “fraternità e povertà”.

Tali indicazioni non richiamano alla nostra mente, e ancora di più, al no-stro cuore, le calde parole di Francesco nel Testamento di Siena?

Presentazione del VI CPO

Anche in questa seconda riflessione partiamo da una domanda-provoca-zione: la santità è del singolo o della fraternità? Divido l’intervento in dueparti: l’ispirazione del VI CPO e le “propositiones”.

L’ispirazione

Come abbiamo già visto, nell’indizione del VI CPO è stata decisiva l’ispi-razione del Ministro Generale fr. John Corriveau. Tracciare alcuni punti di taleidea-madre è indispensabile per la comprensione accurata del VI CPO.

Facciamo riferimento innanzitutto alla circolare sul CPO, la n.13, ripresadal Ministro anche nel discorso di apertura dei lavori del Consiglio Plenario.Mi piace prendere le mosse dal n.3.2 perché è un testo “caro” al Ministro, ri-portato anche in altri scritti (cf. ad esempio la Circolare n.3 sulla pace). Vie-ne citato un testo, un brano della Leggenda dei Tre Compagni (FF 1438).Francesco risponde così al Vescovo: Messere, se avessimo dei beni, dovrem-mo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengonoquestioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dioquanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun benemateriale in questo mondo. La scelta della povertà comunitaria - scrive il

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Ministro Generale - ha radicalmente trasformato le relazioni umane innanzi-tutto tra i frati e poi nei confronti dei loro fratelli e sorelle.

Punto nevralgico del pensiero del Generale sembra proprio quello di leg-gere la povertà come un nuovo modo di entrare in relazione con gli altri e dicogliere, come centrale, l’intima connessione tra povertà e relazionalità.Francesco indica la dimensione relazionale/fraterna della povertà quando di-ce che nel possesso e nell’arroganza si trovano le radici della violenza e del-le discordie. Tale sottolineatura è particolarmente vicina e vedremo, proposi-tiva anche nella cultura di oggi così sensibile al tema delle relazioni.

Veniamo adesso ai primi punti della Circolare.L’incipit è solenne: Gesù da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché

diventaste ricchi per mezzo della sua povertà (2 Cor 8,9). Nella fondazionecristologica della povertà viene sottolineato un aspetto particolare: Cristo ci haresi ricchi con la sua povertà e non con la sua ricchezza. È un punto chiavedella teologia della povertà sottesa al CPO ed è, nello stesso tempo, uno dei te-mi cruciali dell’attuale sensibilità esistenziale e teologica. Nel nostro tempo difronte ai tanti orrori, e quello dell’Olocausto come paradigma, l’uomo ha in-terrogato Dio; e di fronte al Suo silenzio, alla Sua debolezza ha recuperato lacentralità della Kenosi del Cristo come Annunzio di salvezza. Il silenzio diDio, o meglio il Suo “ritirarsi” interpella noi... Il re è nudo. E il principe - hascritto recentemente il teologo Giuseppe Ruggieri - è legittimato non dal suopotere ma dalla sua debolezza, riconosciuta. Ritornano le parole di Paolo: Ciha fatto ricchi con la Sua Povertà e non con la Sua ricchezza.

La raccomandazione di Francesco di non vergognarsi della debolezza,della povertà, diventa particolarmente “significativo” in una cultura dell’au-toreferenzialità, in cui 1’ “aver bisogno” è visto come umiliante.

Un altro punto: la sublimità dell’altissima povertà (RnB VI, 4) si fonda suCristo e si arricchisce con l’esempio innanzitutto di Maria, Colei che, Pove-ra Figlia di Sion, diviene la dolce Madre di Cristo e nostra, degli apostoli edei discepoli.

A questo punto, rifacendosi a T. Matura, il Ministro sottolinea tre punti-forza della povertà:

• tutto il bene viene da Dio e a Lui deve essere restituito;• ci possiamo appropriare correttamente solo dei peccati;• le sofferenze sono partecipazione della sofferenza a Cristo.Si arriva quindi all’ispirazione “propria” del CPO: la povertà è abbraccia-

ta comunitariamente. Ricordo che, a suo tempo, P. Esser soleva dire che l’al-

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tissima povertà può essere proposta solo all’interno di una “altissima frater-nità”. In parole diverse, il Ministro sottolinea l’importanza dell’invito diFrancesco a mostrarsi “familiari” reciprocamente, senza vergognarsi di chie-dere. Nel cammino di conversione di Francesco fu decisivo il passaggio dal“fare l’elemosina” al “chiedere l’elemosina” come strada per sperimentare lapovertà di Cristo... L’interdipendenza - avere bisogno, dipendere gli uni da-gli altri... - diventa così la via della pace e della fraternità. Il Ministro parladi una Teologia della mutua dipendenza, e sottolinea come il dono dell’amo-re arricchisce chi lo fa e chi lo riceve. La fraternità si costruisce se “con fi-ducia l’uno manifesta all’altro la propria necessità”. In questo contesto, at-tenzione particolare viene rivolta agli ammalati, per i quali si possono fareanche delle eccezioni nella povertà (indicazione che si è rivelata importantenelle riflessioni del CPO).

Comunione e solidarietà. “Ciò che Papa Giovanni Paolo II afferma dellavirtù morale e cristiana della solidarietà coincide meravigliosamente con lateologia della mutua dipendenza di san Francesco” (51). Avidità e avariziavengono sconfitte dalla solidarietà.

Le quarantacinque propositiones del VI CPO

Come sapete, il metodo della “propositio” va direttamente all’essenziale:presenta in modo sintetico un “enunciato” teorico o una proposta operativa.È il metodo usato nei Sinodi e si è rivelato funzionale.

Ognuno dei tre gruppi linguistici (sintesi di cinque gruppi) ha prodottodelle propositiones su cinque tematiche di fondo. Tutte le propositiones sonostate confrontate, unificate, sintetizzate e votate. Le 45 pubblicate sono il ri-sultato di questo processo di sintesi e di valutazione. In ultima analisi, lepropositiones ripresentano concetti già assodati, propongono nuove sensibi-lità e aprono nuove prospettive. Ovviamente le propositiones devono essereviste come il punto di arrivo, o meglio come la punta di un iceberg. Per co-gliere la ricchezza che sta nello sfondo può essere utile rileggere le relazioni,le discussioni, le riflessioni, le varie stesure che hanno preparato l’elabora-zione finale delle 45 propositiones.

Presentazione

Il titolo del CPO ha, in germe, la risposta alla domanda-provocatoria: sì,si diventa “santi”, si è “poveri” assieme, come fraternità. Le 45 propositio-nes risultano suddivise in cinque nuclei:

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• Povertà evangelica e Minorità nel Nostro tempo (1-8)• Fratelli tra i poveri e pluriformità (9-13)• Fonti di sostentamento - Lavoro e questua (14-20) • Solidarietà e Condivisione (21-29)• Criteri per una Amministrazione Fraterna e trasparente (29-45).

I partePovertà evangelica e minorità nel nostro tempo (1-9)

Già nel titolo emerge una “calibratura” necessaria: l’aggettivo “evangeli-ca”. È stata una delle prime richieste fatta per evitare fraintendimenti tra po-vertà sociale e povertà “scelta”. La povertà evangelica ha come caratteristicaineliminabile il fatto di essere una “scelta”: presuppone quindi una condizio-ne precedente di “ricchezza” (“da ricco che era...”). Poter scegliere è già unaricchezza, dicono i “poveri” sociologici a quei religiosi che vanno a vivereda poveri e con i poveri. Dimenticare tale differenza porta confusione, comeci ha ricordato anche qualche relatore.

Le prime propositiones trattano la fondazione cristologica della povertà,l’intentio di san Francesco e lo scopo ultimo della povertà e della minoritàche è la carità. Al n. 4 viene presentata, in modo implicito, una definizionedel nostro carisma: “Vivere la povertà evangelica in fraternità, cioè dal pun-to di vista comunitario, istituzionale e strutturale”. È chiaro, come qualcunoha fatto notare, che è del tutto escluso e fuori dalla mente del VI CPO che sipossa vivere da poveri evangelici in fraternità “ricche”. Povertà e fraternitàsi autenticano reciprocamente: si guarda alla povertà dalla fraternità e allafraternità dalla povertà. Consapevoli che lo spirito che deve animare l’una el’altra nel loro rimando è “il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo”. Dopol’accenno allo specifico dei cappuccini (austerità, semplicità, vicinanza alpopolo) (5) si arriva al numero sei che certamente è stato un punto di snododel CPO. È stato fr. T. Matura a ricordarlo e il CPO lo ha ripreso: stiamoparlando della famosa dichiarazione di Paolo VI (4.111.1970) che toglieva lavis precettiva alle dichiarazioni pontificie. Anche se la citazione risulta “ve-loce” e, a dire di alcuni, giuridicamente imprecisa, il senso però è chiaro.L’ispirazione di Francesco - la povertà come rimedio delle relazioni fraternedistrutte dall’avidità, dall’avarizia della concorrenza e ripristino del rapportocon Dio Padre - rimane attuale nonostante il cambiamento dei tempi e deiluoghi. Assumere i cambiamenti e rimanere fedeli a Francesco è possibile.Vengono elencati alcuni modi in cui questo avviene e può avvenire. Altre

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strade vanno cercate... Il cambiamento più significativo con cui confrontarsiviene individuato nel fenomeno della globalizzazione dell’economia. Diven-ta necessario conoscere le scienze economiche per operare un discernimentopersonale e comunitario. Camminare con gli uomini di buona volontà e inse-rire nella formazione iniziale e permanente l’attenzione alle scienze econo-miche diventano due primi e importanti impegni (7 e 8).

II parteFratelli tra i poveri e pluriformità (9-13)

I primi due numeri sono chiaramente un dono della sensibilità dell’Ame-rica Latina. “La vicinanza alla cultura dei poveri... strumento ermeneuticoper raggiungere il cuore della nostra eredità francescana”, a prima vista hasuscitato qualche perplessità, perché percepito come eccessivo, come un de-bito pagato alla teologia della Liberazione. A rifletterci, l’affermazione con-tiene una verità necessaria e rivoluzionaria. Ha scritto D. Bonhoeffer: “Restaun’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato a guardare i grandieventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, deisospettati, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in unaparola, dei sofferenti. Tutto sta nel non fare diventare questa prospettiva dalbasso un prendere partito per gli eterni insoddisfatti, ma nel rispondere alleesigenze della vita in tutte le sue dimensioni; nell’accettarla nella prospettivadi una soddisfazione più alta, il cui fondamento sta veramente al di là delbasso e dell’alto”. La più grande “miseria” è quella di non avere potere, dinon essere riconosciuto come portatore di una propria esperienza di un pro-prio punto di vista. Spesso i “potenti” ascoltano solo i pari-grado e si perdo-no la ricchezza della prospettiva degli ultimi, che spesso è quella che ha insé il germe del futuro e della crescita. Noi francescani siamo chiamati ad es-sere i custodi del punto di vista del povero, della sua ermeneutica. Il paterna-lismo, il colonialismo si differenziano dalla paternità e dal prendersi curadell’ altro, proprio in quanto si dà (anche molto ), senza mostrare rispetto, in-teresse e ascolto per il punto di vista, la diversità dell’altro: “Ti do quelloche vuoi, quello che io penso sia importante per te, ma non mi interessaquello che tu pensi”, Solo a contatto con gli ultimi si apprende questo sguar-do “alternativo” che matura nella povertà e nell’esclusione. L’essere poveri,poi, continua il documento, si presenta in molteplici forme: la pluriformitàrimane una ricchezza nella misura in cui dà ad ogni forma di povertà, adogni processo di inculturazione l’orizzonte della fedeltà all’unico spirito che

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anima l’Ordine, alla realtà di essere fratelli evangelici e poveri (11-12). Vie-ne ribadito come regola “di unità” all’interno della molteplicità delle “incar-nazioni” quella citata dalle Costituzioni: Minimo necessario non massimoconsentito. Forse se si fosse inserito il concetto di “utile”, il minimo neces-sario sarebbe risultato più chiaro e praticabile.

III parteFonti di sostentamento: lavoro e questua (14-21)

A mio avviso questa parte, anche se non presenta particolari novità, riba-disce in modo chiaro e completo molte consapevolezze da un po’ presentinell’Ordine a proposito di “fondi di sostentamento’’. Il lavoro, per France-sco, non è mezzo per arricchirsi, ma dono che va condiviso. Oltre al lavororetribuito, bisogna dare spazio a quello volontario e gratuito per riviverel’indicazione di Francesco e Chiara, per i quali “si lavora per poter fare l’e-lemosina”. La “dignità” del lavoro supera il “tipo” di lavoro e deve, sempree comunque, fare riferimento al fatto che siamo fratelli, per cui il lavoro do-mestico va rivalutato come condivisione fraterna, e quello extra conventua-le deve essere sempre inserito, e non a discapito della fraternità. Inventarealtre strade per la questua significa riprendere i valori che nel questuare ve-nivano vissuti: fiducia in Dio e nella provvidenza, dipendenza reciproca evicinanza alla gente. Infine, dice il documento, la raccolta dei fondi deveavvenire nella trasparenza degli introiti e degli scopi, e nella condivisionefraterna.

IV parteSolidarietà e condivisione (21-29)

La Teologia della Mutua Dipendenza di Francesco è stata presentata dalMinistro come la versione francescana del concetto di “solidarietà” espostoda papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis. All’internodella fraternità, la solidarietà diventa applicazione dell’invito tenero di Fran-cesco: Se una madre ama e nutre il suo figlio carnale, quanto più... Comu-nione fraterna e interdipendenza, sono connessi al concetto di solidarietà(21-22). Viene citata anche l’affermazione dell’Enciclica per cui “noi siamoresponsabili di tutto”. Questo concetto che rimanda ad una rilettura del prin-cipio-di-responsabilità ci dice che tutti dobbiamo interrogarci di fronte almale, al fratello che soffre. Nessuno può essere indifferente perché in qual-

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che modo siamo tutti responsabili (uno slogan di anni fa recitava: “Chi nonfa parte della soluzione fa parte del problema”) e abbiamo il compito di in-terrogarci di fronte ad ogni realtà di debolezza e di sofferenza.

Il n. 23 in un primo momento era stato formulato con leggeri toni di con-danna, in una seconda fase ne venne proposta l’abolizione per “rispettare” lecircoscrizioni particolarmente interessate. Nella stesura finale è rimasto inquesta formulazione. A ripensarci, può diventare un “dono’’, in quanto cipermette di confrontarci con culture nelle quali, diversamente da quella occi-dentale dove l’economia è decisamente individualistica, economia e famigliasono intimamente connesse, per cui è inconcepibile che il singolo si arricchi-sca senza che ne faccia parte al suo clan. Possiamo imparare molto da taliculture e, per quanto riguarda i risvolti in fraternità, è importante che la “ma-dre” di un frate diventi la madre di tutti: sia, non il singolo, ma la fraternità afarsi carico di questo compito di “famiglia” / “fraterno”.

In questa luce si comprende meglio la “solidarietà internazionale” nel-l’Ordine. Non si tratta di diffondere un modello standard di cappuccino me-dio-borghese. Non si può perdere di vista il continuo confronto e la vicinan-za con la gente con cui si vive. Ma, nello stesso tempo, non si possono nep-pure perdere di vista i bisogni delle circoscrizioni che versano in situazionedi difficoltà, specialmente per gli ammalati e i giovani in formazione. È sta-to scritto che bisogna puntare non sull’eguaglianza, ma sull’equità. Ognunodeve avere ciò di cui ha bisogno e non tutti le stesse cose. La solidarietà adintra (che, in realtà, è una forma di fraternità) non deve riguardare solo i “be-ni economici” ma anche lo scambio dei doni e delle presenze. La solidarietàad extra dice che noi dobbiamo essere attenti agli ultimi. Per provvedere allanecessità dei fratelli (ad intra e ad extra) è importante che le fraternità, a tut-ti i livelli (locale, provinciale e generale), si verifichino “consegnando i beninon-necessari” (Cost. 67,4) (24). Infine, il discorso della solidarietà deve ve-dere i Cappuccini camminare assieme agli uomini di buona volontà che siprendono cura della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato.Ascoltare la voce degli ultimi e di quelli che ancora devono venire (dei na-scituri) e non depredare la terra, ma rispettarla come “madre” è una testimo-nianza coerente con il nostro carisma (26-28).

Alcuni flash dalle discussioni: se non si è “solidarie” si finisce per essere“solitarie”. Una definizione di solidarietà del popolo libanese è molto inte-ressante perché ripropone tout cour il racconto dell’Anonimo Perugino: soli-dale è il fratello che si mette davanti al fratello per prendersi le pietre indi-rizzate all’altro...

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V parteCriteri per una amministrazione fraterna e trasparente (29-43)

È la parte più lunga, in quanto tenta in modo operativo di coniugare l’eco-nomia alla fraternità. È talmente “forte” che in un primo momento ha creatoanche reazioni di perplessità, perché percepito come un “modo di controlla-re”. Dalla discussione e dalla riflessione è emersa una formulazione nellaquale chiaramente si deduce che si tratta di numeri di propositiones che han-no il solo scopo di “rinnovarci” nella povertà evangelica vissuta in fraternità.

Il primo punto è decisivo (cf. la propositio n. 6): dice che Francesco am-mise delle eccezioni alla sua Altissima Povertà solo per gli ammalati. Ancheoggi possiamo fare eccezioni (vedi il problema degli investimenti) purchésia chiaro che sia fatto per venire incontro agli ammalati e ai giovani. Nonmi dilungo sui temi che stiamo trattando in questi giorni. Ricordo solamenteche alcune qualità richieste dal CPO sono trasparenza, coinvolgimento ditutti, limiti al fondo di accantonamento, confronto fraterno a livello locale,provinciale, generale, necessità di una formazione accurata per fare resocon-to, preventivi, bilanci, investimenti, con competenza...

Termino con le parole del Ministro generale alla chiusura del CPO: «Lescelte concrete ispirateci dalla povertà evangelica, possono plasmare le stes-se relazioni esistenziali tra noi come fratelli e tra la nostra fraternità e ilmondo, e possono diventare le stesse pietre vive che costruiscono la Chiesa»(Omelia a conclusione del VI CPO).

Il VI CPO: verso dove?

La domanda-provocazione di questo terzo incontro è quella che è risuo-nata da diverse parti proprio al termine del CPO: è stato un CPO profetico osapienziale?

La povertà da sempre è stata iscritta nel registro della profezia: la “Chie-sa dei poveri”, i “preti operai” (anche nel CPO si è parlato delle esperienzedelle fraternità di lavoro), la “teologia della liberazione”. Da ogni discorsosulla povertà ci si attende una spinta profetica.

Il VI CPO, a mio avviso, ha avuto la saggezza di uscire da nostalgie ses-santottine o protestatarie, rifiutando la facile enfasi su “esperienze” valide in

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sé, ma non proponibili a tutto l’Ordine; si è misurato con la realtà, indivi-duando come primo punto (questo certamente profetico!) che la povertà de-ve essere ancora più intimamente connessa alla fraternità, e la fraternità devericonnettersi alla povertà. Non una profezia, quindi, che si colloca “altrove”,ma una riscoperta di precisi spazi della vita di ogni giorno, che possono edebbono essere sottoposti a conversione: conversione, intesa nella sua acce-zione originaria di cambiamento di orizzonte, di mentalità e di prassi.

Forse ha vinto lo stile di Francesco. Parafrasandolo, potremmo così prega-re: ti saluto profezia, ti protegga tua sorella la sapienza. Ti saluto sapienza, tisalvi tua sorella la profezia! Una profezia sapienziale e una sapienza profetica.Incarnazione e Escatologia si incontrano e si rimandano reciprocamente.

Vediamo alcuni punti-forza di questa “profezia sapienziale” che scaturi-sce dal VI CPO.

• Aver ripreso con interesse il discorso della povertà e aver indicatonuove possibilità di concretizzazione certamente è rivitalizzante.

• L’aver sottratto la povertà alla logica del moralismo, del tabù, dell’in-dividualismo, e averne evidenziato la dimensione relazionale ha aper-to spazi nuovi di riflessione e di operatività. Tale proposta ha fascino efecondità anche nell’attuale contesto culturale, in cui l’economia èsempre individualizzata e si avverte una sensibilità nuova sugli aspettidella relazione.

• La saldatura tra economia e vita fraterna. Spesso i tabù (il denaro, l’e-conomia) diventano anche luoghi in cui si insinua il mantenimentodello status quo e l’appiattimento dell’impegno di crescita e cambia-mento.

• L’aver insistito sulla necessità di “conoscere” le leggi dell’economia,uscendo dalla logica un po’ narcisista di una semplicità che non ha bi-sogno di assumere la complessità (e quindi rischia la superficialità) edi un’arroganza pseudo-spirituale di “sapere tutto” o, almeno, “tuttociò che è veramente importante”.

• L’aver riproposto con forza la solidarietà ad intra e ad extra (c’è statoun lungo dibattito su quale venga prima) come espressione necessariadella povertà, come destinazione “obbligata” del nostro non-necessa-rio o “necessariamente” utile.

• Il dono più grande di “profezia sapienziale” è stato, a mio avviso, l’a-ver precisato la nostra identità cappuccina.

Alle soglie del terzo Millennio il discorso sull’identità è il più necessario.Si sa che nei periodi di transizione le domande su “chi sono”, “chi siamo”

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sono le più urgenti. Il VI CPO, con semplicità e chiarezza “nuova”, ha preci-sato la nostra identità: vivere la povertà evangelica in fraternità. Nel Decre-to che approva le Costituzioni Rinnovate (25.XII.-1986) la Sacra Congrega-zione così parla di noi: “Sorretti dallo spirito di orazione essi si impegnano avivere la forma della fraternità evangelica”. In tutto il testo, mentre comparela parola “minori”, non si parla della povertà come nostro peculiare carisma.Ho la sensazione che nel VI CPO l’Ordine, più o meno consapevolmente, siè “ripresa” la propria identità in tutta la sua pienezza: fraternità, povertà,evangelicità. Queste tre caratteristiche possono essere declinate in molte for-me e rimandi: povertà evangelica in fraternità; fraternità evangelica in po-vertà; evangelicità nella fraternità e nella povertà. Ma devono rimanere sem-pre intimamente connesse: ognuna di queste caratteristiche deve essere defi-nita all’interno dell’intreccio con le altre due. È molto utile e francescanonon parlare mai di povertà da sola, ma sempre dentro la fraternità e l’evan-gelo, mai di fraternità senza povertà ed evangelicità, mai di evangelo senzapovertà e fraternità: questa sarà la specificità del nostro carisma. Questosembra lo stile di pensiero di Francesco, che potremmo definire “solistico”.Anche qui potremmo inventare un saluto al nostro carisma: ti saluto Altissi-ma Povertà; ti salvi tua sorella l’Altissima Fraternità. Come insinuavamo al-l’inizio, ritorna la Carta Magna del testamento di Siena come nostra identità:povertà, fraternità, ecclesialità/evangelicità.

P. Bernardino d’Asti, nella famosa circolare scritta a Castrogiovanni, ri-corda ai frati che si è veramente poveri se si è caritatevoli e se si prega; lapreghiera è genuina se si è poveri e caritatevoli: la carità è genuina se si èpoveri e si prega. Sembra che siamo stati proprio impregnati da questo mododi pensare.

È un dono profetico presentarsi al terzo millennio umilmente fieri e certidella propria identità, consapevoli, come ci ricorda il Santo Padre,della gran-de storia che ci precede e di quella che siamo chiamati a costruire nel nomedi Francesco e di Chiara.

Ha ragione il poeta quando canta: “Il futuro entra in noi (è dentro di noi)prima di accadere” (Rilke). Il nostro tempo ha bisogno di questo carisma chepresenta l’Annuncio della Buona Novella proprio all’interno delle sensibilitàpiù aperte e ferite dell’uomo di oggi. La povertà, ogni povertà interroga Dioe la Sua Buona Novella; ed interroga i fratelli. Sul quotidiano “La Repubbli-ca”, Eugenio Scalfari, un laico, parlando delle ultime stragi, ricordava que-sto nesso tra povertà e pace, scrivendo che fin quando ci saranno sacche dipovertà, sulla terra la pace sarà in pericolo.

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La grande intuizione di Francesco è stata quella di essere povero senza“isolarsi” nella critica e nella superbia, ma rimanendo nella Chiesa, e di ri-manere nella fraternità anche quando questa lo ha deluso. La povertà da solaha in sè il rischio dell’isolamento arrogante e moralistico: la fraternità da so-la può scadere nell’ appiattimento elitario che dimentica gli altri e la tensionedell’essenziale. Povertà e fraternità non possono essere scisse: devono ricer-care sempre nuovi intrecci e connessioni.

La nostra identità allora: vivere la povertà evangelica in fraternità diven-ta, ancora una volta, dono e compito aperto.

Sintesi dei lavori dei gruppi di ricerca

Questionario (fr. Giampiero Gambaro)

A) Secondo la vostra esperienza, quali potrebbero/dovrebbero essere lefinalità dei fondi?

B) Il gruppo concordi un elenco delle finalità della Provincia che dovreb-bero essere coperte almeno parzialmente dai fondi, e ne descriva la de-finizione più specifica.

A) Le nostre opere sono altamente costose, sufficienti a pareggiare i con-ti e ad azzerare possibili utili. La fatica per stare dentro alcuni limiti e stareattenti non è cosa da poco, per cui, forse, oggi si è ancora lontani, in alcuneProvince, dal parlare di fondi così come se ne sta parlando. Le spese corren-ti per la Curia provinciale e per la fraternità locale, valutate in base ad una li-sta già predisposta che ci può trovare più o meno d’accordo, possono avereun deficit o un superfluo. Queste due nozioni, in senso oggettivo, sono in ri-ferimento a ciò che nel bilancio consuntivo supera (= superfluo), o è al disotto (= deficit) del bilancio preventivo. In senso evangelico: ciò che superala necessità e sa di lusso, o ciò che non è sufficiente per i bisogni primaridella persona (cibo, vestito, riposo, istruzione, relazioni umane).

B) Il superfluo va impiegato per i fini per i quali era stato destinato, o co-munque per i fini propri dell’Istituto e della Chiesa. Sul significato e valoretecnico di fondo (accantonamento), i pareri sono diversi. Nelle Province esi-

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ste più semplicemente un unico conto che si impiega a seconda delle neces-sità e delle urgenze, utilizzando questi criteri di priorità: 1) Vita dell’Ordine:Vocazioni, Formazione iniziale e permanente, Salute dei frati e mantenimen-to delle infermerie, manutenzione ordinaria e straordinaria dei conventi, sti-pendi per i dipendenti, operai, colf, richieste della Curia generale, aiuti alleProvince povere; 2) Vita della Chiesa: evangelizzazione, missioni, claustrali;3) beneficenza, carità, solidarietà internazionale.

C) Proposte: 1) si chiede di riunire gli economi almeno una volta l’anno;2) si chiede che ci sia un ufficio per la consulenza, o un responsabile di rife-rimento, per le questioni di ordine pratico.

Da provincia a Intercap

Fr. M. Annoni e fr. P. Servi

Spesso le idee originali indicano strade tortuose per raggiungere senzadanno le stesse mete alle quali si sarebbe giunti per strade più brevi, lascian-do sul campo morti e feriti.

Mettere sulla carta queste riflessioni mi fa tanto sentire come Rosmini,quando scriveva “delle cinque piaghe”.

Quadro generale

1. Legislazione carente

L’attuale legislazione riguardante gli Enti ecclesiastici in Italia, ad una at-tenta analisi, risulta affetta da incertezza congenita, sia per la molteplicitàdei disposti di Legge, sia per l’approssimazione del legislatore, che non defi-nisce immediatamente l’ente ecclesiastico nei suoi termini, tratteggiandolo ilpiù delle volte con similitudini e accostamenti, lasciando agli interessati l’in-grato compito di spiegare che quella tal Legge, concepita per altri soggetti,vale anche per gli enti ecclesiastici. Quali esempi possiamo citare “enti pub-

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blici di cui all’art. 87 paragrafo 1° comma c DPR 917/86”: in tale articolo sicitano effettivamente gli enti ecclesiastici, per i quali però è impossibile giu-stificare l’attribuzione di “enti pubblici”; e ancora l’art. 7 n. 3 L 25.3.1985,n. 121 secondo il quale “gli enti ecclesiastici aventi fini di religione e di cul-to agli effetti tributari sono parificati agli enti aventi fine di beneficenza diistruzione”, per precisare poco dopo che “gli Enti ecclesiastici non possonomere finalità di assistenza e beneficenza...”, e ancora il succitato DPR, cheindica un certo regime fiscale come “applicabile agli enti aventi fine esclusi-vo di assistenza e beneficenza, ai quali noi saremmo parificati”, ma forsequell’esclusivo vuole indicare che i parificati sono esclusi... Purtroppo nem-meno gli uffici finanziari, messi di fronte a queste evidenze, sanno darequalche certezza.

2. Mentalità semplicistica

Tale imprecisione legislativa, già normalmente difficile da gestire, nel no-stro caso particolare era mediata da una radicata mentalità dei frati, che pos-siamo riassumere in queste battute:

- cosa si può fare- cosa non si può fare- come si può fare- chi lo può fare- cosa rispondiamo se...- quali norme si possono applicare- quali soldi utilizzare- come utilizzare i soldi- quali conseguenze possono derivare- chi risponde di irregolarità e contestazioni - tutto, a fin di bene!- venga il Provinciale a dirmelo! - nel modo più sbrigativo possibile! - l’abito apre tutte le porte senza domande- facciamo finta di non saperlo- quelle che ci convengono di più! - quelli che ci sono- a fin di bene, il resto cosa importa?- se Dio è con noi chi sarà contro di noi? Ma a noi chi viene a dire qual-

cosa?

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3. Le linee di fondo

Il comportamento sopra descritto ha rappresentato per anni il modellodi una “buona gestione” senza troppa burocrazia e perdite di tempo, con-sentita dalla sostanziale correttezza dei frati nella gestione dei beni a loroaffidati e dalla fiducia meritata dagli stessi di fronte alla Pubblica Ammini-strazione.

Non per questo si è perso di vista il conseguimento di una correttezza an-che formale nella gestione dei nostri beni e delle nostre attività: nell’ultimodecennio p. Martirio e p. Maurizio, nel rispetto dei loro ruoli e delle lorocompetenze, hanno lavorato per creare una nuova mentalità, evidenziare iproblemi, indicare le soluzioni, creando le condizioni per attuare quelle “in-novazioni” che oggi stiamo realizzando.

Ancora, pur essendo rimasta immutata la sostanziale correttezza dei fratinella gestione dei beni, in questi ultimi anni è venuto maturando al nostro in-terno un senso di “giustizia’’, che ci ha stimolato a essere “minores” anchedi fatto, mettendoci al livello del comune cittadino, senza chiedere o accetta-re privilegi e favoritismi.

Inoltre, tenuto conto che i Guardiani sono chiamati ad essere principal-mente “animatori della Fraternità”, piuttosto che “amministratori di beni estrutture” come a volte capita. Le maggiori “competenze” assunte dall’eco-nomato in modo diretto o indiretto (Intercap), hanno voluto andare in questadirezione, alleviando i Guardiani da alcune incombenze amministrative, perconsentire loro (e suggerire se necessario!) una maggior dedizione ai frati ealle loro necessità.

4. Il rinnovamento dello Stato

Da parte dello Stato, alcuni fenomeni sono andati affermandosi negli ul-timi anni:

- il processo di informatizzazione degli uffici pubblici che “costringe” al-la precisione; il principio affermatosi della responsabilità dei singoli funzio-nari sul proprio operato; una Giustizia per anni assopita e indulgente verso leleggerezze della Pubblica Amministrazione e oggi improvvisamente risve-gliatisi alla ricerca del “caso da copertina”;

- la minor “influenza dell’abito” che spesso consentiva scorciatoie ad altrinon concesse.

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5. I controlli fiscali

Nel 1997/98, anche a seguito dei controlli, sempre più fitti, attuati dal Di-partimento delle Entrate della Lombardia (Guardia di Finanza) sulla gestionedegli enti ecclesiastici, con sanzioni che in alcuni casi hanno sfiorato i novezeri, ci impegnammo ad affrontare il problema con serietà, studiando alcunimeccanismi per rendere impossibile ogni irregolarità nella gestione delle no-stre attività commerciali, da noi considerate come “marginali”, in quanto ri-guardanti una piccola percentuale dell’attività complessiva dell’Ente. Questorappresentava il rischio di essere chiamati a dimostrare la marginalità, pro-ducendo bilanci complessivi inesistenti.

6. Il DPEF 98

Proprio mentre percorrevamo questa fase, un paragrafo del DPEF 98 in-troduceva una nuova definizione delle attività marginali, indicandole come“non esercitate per un intero periodo fiscale”, ed escludendo così a priori tut-te quelle iniziative esercitate in via continuativa, quali per noi l’editoria.

Le soluzioni al vaglio

Le considerazioni dei punti 1. e 2., per le quali si cercava di provvedere,si trovarono così incalzate dai successivi avvenimenti, imponendo scelte in-derogabili:

• individuare un soggetto con certezza legislativa;• definire una prassi gestionale corretta;• precisare ruoli e competenze;• raggiungere una chiarezza contabile; • garantire una correttezza fiscale.

7. Separazione netta delle attività

Sollecitati da questa nuova realtà, incominciammo a ipotizzare una sepa-razione radicale tra “l’attività istituzionale di culto e religione” e le “iniziati-ve commerciali”, anche tenendo conto delle passate esperienze.

La nostra Provincia infatti non è nuova a figure “commerciali” per la ge-stione delle sue attività; tanto che, nella sua famiglia, annovera affettuosa-mente una nonna e una mamma:

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- S.A. Esportazione Merci, Compravendita Immobili;- Immobiliare Borromea Spa.

Nei nomi di queste società ancora si intravedono i molti container chepartivano per le giovani missioni dell’Eritrea e del Brasile, le grandi rico-struzioni dei nostri conventi, le diverse iniziative volte a sostenere queste at-tività, la cui storia si dispiega lungo tutta la prima metà di questo secolo pervenire interamente assorbite dalla Provincia nel 1959.

La distinzione tra “gestore di beni” e frati si prolunga ancora oggi nellastessa “Provincia di Lombardia dei Frati Minori Cappuccini”, ente ricono-sciuto civilmente senza erezione canonica, che si configura quale proprieta-rio e gestore dei beni in uso all’ente canonico “Provincia dei Frati MinoriCappuccini di S. Carlo in Lombardia”.

8. L’Intercap Lombardia S.r.l.

Oggi, l’Intercap Lombardia Srl, riprendendo la nostra tradizione Provin-ciale, si incarica della gestione di tutte quelle iniziative che, poste ai confinidell’attività istituzionale dell’Ente (culto e religione), prevedono obblighi le-gali e fiscali difficilmente osservabili dall’ente ecclesiastico.

Progettando questa nuova figura societaria, non abbiamo principalmentevoluto perseguire risparmi economici o maggiori guadagni, benché questiobiettivi siano risultati un gradito effetto collaterale della razionalizzazioneconseguita, né tanto meno scaricare su un altro soggetto le responsabilità diuna gestione negligente, come potrebbe apparire dallo stringato titolo dato aquesta relazione.

Abbiamo invece fermamente voluto razionalizzare, “fraternizzare” e risa-nare la gestione delle nostre attività, creando le condizioni affinché in futuronon sia più possibile incorrere, almeno involontariamente, in errori, irregola-rità o particolarismi.

9. La gestione delle riviste

Prese singolarmente, le nostre riviste sono poca cosa rispetto alle “sorellemaggiori” di altre Province; ma nel loro insieme superano le 600.000 copieannue, quantità decisamente “ragguardevole”, almeno agli occhi dell’ammi-nistrazione fiscale.

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Per antica consuetudine, i singoli frati incaricati dal Ministro provinciale,curavano sia la redazione sia l’amministrazione delle riviste, riconoscendoquale unico referente colui che aveva conferito loro l’incarico.

“Pro bono pacis”, l’editore Provincia doveva considerare queste realtà al-la stregua di riserve indiane o “prelature nullius”, accontentandosi di riceve-re a fatica (o di doversi inventare) i pochi dati riguardanti la tiratura e l’im-ponibile fiscale, necessari per compilare la dichiarazione dei redditi e la de-nuncia al Garante, obblighi che la Legge attribuisce all’editore. Mai, comun-que, di poter verificare o anche solo prendere visione della documentazionecontabile, utilizzando così “al buio” i pochi dati che venivano riferiti.

L’editore Provincia, giuridicamente responsabile di tali attività, e da que-sto legittimato a conoscerne l’effettiva situazione, non ha ritenuto opportunofar valere di forza le sue prerogative, che avrebbero portato a trasformare lafragile collaborazione possibile in una certa contrapposizione, con l’incogni-ta di eventuali rinunce agli incarichi di conduzione delle riviste.

Per assolvere i doveri di controllo sulla gestione editoriale, evitando fri-zioni e contrasti, l’editore Provincia ha utilizzato una via indiretta, attraversoverifiche delle dichiarazioni IVA e degli estratti conto bancari, ricostruendo-ne così movimentazioni e irregolarità:

• somme incassate e abitualmente non comunicate per la dichiarazionedei redditi;

• somme comunicate per difetto anche di 5/6 ma regolarmente iscritte incontabilità;

• apertura di partite IVA, dichiarazioni e richieste di rimborsi IVA pro-dotte a nome e firma dell’editore Provincia, senza che questo nulla nesapesse e niente avesse firmato o autorizzato a firmare per suo conto;

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Cammino 100.246 copie annueMissionari Cappuccini 365.723 copie annueSui Tuoi passi 21.100 copie annueLa nostra Famiglia 18.000 copie annueLa Madonna dei Cappuccini 18.000 copie annueAmici di Frate Cecilio 36.000 copie annueBeato Innocenzo da Berzo 52.000 copie annuePer un totale di 611.069 copie annue complessive

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• utilizzo di somme anche considerevoli provenienti dalla contabilità uffi-ciale (e quindi soggetti a precise restrizioni) per trasferimenti ad uso dibeneficenza, anche all’estero senza la regolare documentazione, ovve-ro con le stesse modalità dell’esportazione illegale di valuta.

In un costante confronto con il Ministro provinciale:• considerato che oggi, anche all’editore di riviste religiose, sono richie-

sti adempimenti che, nella nostra situazione, risultava difficile assol-vere;

• constatato che la gestione delle riviste come editore Provincia, anchecon una diversa organizzazione, si presentava comunque problematica;

• evidenziate le conseguenze fiscali e penali derivanti all’editore Pro-vincia dalla situazione esistente, quantificabili in sanzioni dai 4 ai 5miliardi, oltre alle denunce penali a carico del Legale Rappresentante;

• si è ritenuto opportuno sollevare la Provincia dalla responsabilità edito-riale delle riviste, separando nettamente la redazione dall’amministra-zione e facendo dipendere quest’ultima da un soggetto più controllabile.

Dal giugno scorso, con regolare contratto d’affitto della durata di annicinque, le testate di proprietà della Provincia sono state cedute all’Inter-cap Lombardia S.r.l. che ne è a tutti gli effetti l’editore, attribuendole tut-ti gli obblighi previsti dalla Legge.

In questo modo, molti obiettivi si sono raggiunti:• le somme ricevute dai vari Segretariati assumono la caratteristica di

“oblazioni”, per le quali non vi è obbligo di contabilità fiscale, cosic-ché le dazioni eventualmente non registrate risultano una deprecabileomissione ai fini della contabilità interna, senza però configurarsi co-me falso in bilancio;

• le somme ricevute come “oblazioni” sono esenti da tassazione, cosic-ché la mancata contabilizzazione non configura nemmeno l’evasionefiscale;

• viene a cadere la tassazione degli utili di gestione, corrispondente al30-40% dell’utile;

• l’utilizzo delle somme non è soggetto ad alcuna restrizione, fatto salvol’obbligo morale di rispettare la volontà del donante e le norme gene-rali sull’esportazione di valuta;

• le riviste, ai lettori, continuano ad arrivare come prima quale strumen-to divulgativo delle iniziative e resoconto delle opere realizzate, i Se-

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gretariati commissionano all’Intercap Lombardia S.r.l. la realizzazionedella rivista;

• la Provincia risulta in questo caso “utilizzatore finale” ai fini IVA (nonrecuperabile), con l’unico obbligo di Legge di farsi rilasciare regolarefattura per le somme pagate;

• tutti gli adempimenti fiscali e amministrativi ricadranno sull’IntercapLombardia S.r.l., amministrata direttamente dall’Economato, il qualemetterà tutta la sua cura e si avvarrà della collaborazione di professio-nisti fidati, per garantire una amministrazione regolare e corretta dellasocietà.

In un conteggio molto approssimativo, stimiamo inoltre che l’operazioneinduca complessivamente un vantaggio fiscale di circa il 35%:

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10. Gestione Autoparco

Per quanto riguarda l’autoparco, oggi la gestione è affidata ad Intercap,mentre la proprietà dei veicoli rimane al 95% della Provincia.

Problemi e SoluzioniL’acquisto di veicoli, per marca e tipo, era prevalentemente basato sulle

amicizie/conoscenze/vicinanza dei frati con i singoli concessionari, piuttostoche su una possibilità di utilizzo comunitario.

L’accentramento degli acquisti e l’individuazione di alcuni modelli stan-dard, individuati in base alle esigenze comuni, e quindi utilizzabili in piùconventi.

La rincorsa “all’ultimo modello” che si riscontrava in alcuni casi, benchéisolati e riprovati, induceva i frati più intraprendenti a sostituire la propriavettura in base al ragionamento “perché lui sì e io no”.

Il mercato dell’usato al quale dal 1997 si è deciso di ricorrere per ogninuovo acquisto, ha risolto alla radice il problema, pur offrendo un prodotto

Prima Oggi Intercap

Incassato 600 600 400

Speso 300 400 350

Tasse 20

Guadagno 150 200 30 230

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di buon livello con le formule di “usato garantito” o “nuovo aziendale”. Lasoddisfazione dei frati e i vantaggi economici riscontrati ci confermano cosìin questa scelta.

I contratti d’acquisto, che venivano sottoscritti dai singoli frati, rendeva-no impossibile verificare a priori le clausole contrattuali (maggiorazioni diprezzo, tempi di consegna, garanzie...) o altrimenti far valere eventuali dirit-ti senza l’intervento diretto di chi aveva sottoscritto il contratto.

Un accordo commerciale con un venditore preferenziale benché nonesclusivo, si è reso possibile in seguito all’unificazione degli acquisti da par-te dell’Economato.

Tale accordo non mirava tanto a ottenere particolari riduzioni di prezzo,quanto piuttosto ad indurre il venditore a selezionare e proporre prodotti par-ticolarmente interessanti, oltre a fornire una garanzia piena sul prodottovenduto, con delle clausole contrattuali particolari come la doppia garanziacommerciale e lega-le, quest’ultima di norma tassativamente esclusa neicontratti di compravendita auto.

L’intestazione dei veicoli, secondo le indicazioni della Curia provinciale,sarebbe dovuta avvenire dietro richiesta all’Economato dei documenti ne-cessari (certificato del Tribunale e richiesta di iscrizione al PRA sottoscrittadal L.R.). Ritenendo tale prassi, una “lungaggine inutile”, dove possibile perla faciloneria dei funzionari pubblici, i frati procedevano a intestazioni difantasia come: Convento di ...., Padri Cappuccini, Frati Cappuccini, PadreSuperiore, Sig. Cappuccini Convento, rendendo impossibile ogni successivaoperazione riguardante il veicolo. Ciò comportava una continua produzionedi dichiarazioni notarili, attraverso le quali si andava a precisare che il sog-getto erroneamente indicato doveva essere giuridicamente riferito all’EnteProvincia.

Le corrette intestazioni al PRA si sono ottenute come conseguenza dell’ac-quisto diretto da parte dell’Economato. Oggi, infatti, tutti i veicoli sono inte-stati all’Ente Provincia, con evidente facilitazione sotto l’aspetto burocratico.

Le autovetture personali, benché formalmente inesistenti, in pratica ad ogniCapitolo seguivano i frati nei loro spostamenti di Convento, richiedendo uncensimento del parco auto dopo ogni Lista, per sapere dove erano finite le vet-ture, in quali conventi ve ne erano in eccesso e in quali ne mancavano.

Una effettiva comunanza dei beni, perseguita dalla Curia provinciale inquesti ultimi anni, ha mirato a disincentivare la privatizzazione dei veicoli,passando nella maggior parte dei casi da un uso personale ad un uso comu-ne, conseguendo di riflesso una riduzione del 30 % dei mezzi in circolazio-

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ne, con notevole vantaggio economico sia per le spese di manutenzione siaper i costi fissi.

Le diverse necessità dei conventi, in alcuni dei quali l’automobile venivautilizzata prevalentemente una volta al giorno per recarsi a celebrare la S.Messa, mentre in altri si usava per spostamenti più considerevoli, portavano arilevare l’esistenza di autovetture sottoutilizzate oppure logorate in pochi anni.

Una gestione “centralizzata” dei mezzi, con la possibilità di ritirarli da unConvento per assegnarli ad un altro, ha permesso di conseguire anche un ra-zionale utilizzo, cosicché tutti i veicoli rendono il massimo delle loro possi-bilità.

Alla copertura assicurativa, come conseguenza della frammentazione pre-cedente, provvedevano i singoli guardiani frati da loro incaricati.

Ciò comportava innanzitutto una disparità nelle condizioni concordate conle singole agenzie, anche di una medesima compagnia, con massimali diversie a volte inadeguati; poi una differenza di costi anche rilevante, ancora unapossibile impugnazione del contratto da parte della compagnia per l’invalidi-tà della sottoscrizione in difetto di rappresentanza, non ultima la mancata co-pertura assicurativa (sequestro del mezzo, denuncia penale) per polizze inte-state “fra Giovanni”, trasferito ad altro convento, per le quali l’avviso di sca-denza andava avanti e indietro da un convento all’altro, senza che nessuno sidesse la pena di provvedere, ognuno con le sue buone ragioni.

L’accorpamento in unica polizza plurima della copertura assicurativa, conpagamento distribuito su 12 mesi, ha consentito di raggiungere una unifor-mità di condizioni su tutto l’autoparco, con possibilità di inserire eventualiclausole speciali (copertura casco, collisione, o altro) per i veicoli particolar-mente a rischio, oppure utilizzati da frati particolarmente abili.

Così facendo, oltre al risparmio del 30% su R.C. e del 40% su I.F.A.R.,calcolato sul listino ufficiale della Compagnia che si colloca comunque nellamedia generale, vi è anche una garanzia di copertura. al di là degli eventualiritardi di pagamento delle rate.

Il contratto, infatti, prevede la copertura di tutti gli autoveicoli intestati al-la Provincia, per i quali si rilasciano un certo numero di contrassegni inbianco, compilati di volta in volta secondo le necessità, le cui copie sarannoinviate alla compagnia per conoscenza e inserite nel “libro matricola”.

Con questa metodica, risulta più agevole anche lo scarico di eventualiveicoli, non più circolanti, per i quali normalmente si perde l’importo nonancora usufruito, essendo sufficiente la semplice registrazione nel libro ma-tricola per interromperne i costi relativi.

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Mancato pagamento dei bolli o doppi versamenti, mancato pagamento dipedaggi autostradali, mancato pagamento di contravvenzioni o loro contesta-zione in caso di ragione.

Verifica sulle somme dovute, con particolare attenzione alle cause di con-travvenzione, con particolare monitoraggio di eventuali “abitudini” a infra-zioni come la sosta vietata o l’eccesso di velocità, per ora situazione eccel-lente con infrazioni del 5%, pagamento nei termini delle contravvenzioni oloro pronta contestazione, in quanto la gestione centralizzata ci ha consentitodi riscontrare che nel 70 % dei casi non sono dovute per variazione di pro-prietario o errore nella trascrizione della targa da verbale di accertamento(manuale) a verbale di contestazione (dattiloscritto).

11. Mostra missionaria

Si tratta in pratica di una “attività commerciale” vera e propria, che sisvolge stabilmente presso il Convento di Milano (Musocco), utilizzando unlocale di circa mq. 500 posto sotto la chiesa. In determinati periodi dell’annovengono poi allestite mostre periodiche, di circa 15 giorni, negli altri con-venti della Provincia.

Fino all’anno scorso tale iniziativa veniva portata avanti direttamente dal-la Provincia, effettuando in nero il 95% degli acquisti, e naturalmente dellevendite, completamente al di fuori da autorizzazioni amministrative, fiscali,sanitarie e di sicurezza.

Una società di copertura, comunque poco credibile ad una verifica ammi-nistrativa, avrebbe dovuto funzionare da “paravento” per questa attività. Talesocietà, in considerazione del basso fatturato conseguito, non avrebbe potutocontinuare ad esistere in tale modo.

Oggi 1’Intercap è ufficialmente l’esercente incaricato della Mostra Mis-sionaria, con le debite autorizzazioni amministrative, regolarità fiscale sia inacquisto che in vendita; insomma, una situazione pulita che consente ognisera di andare a dormire tranquilli.

Il ritorno economico alla Provincia viene assicurato attraverso “servizi”offerti dall’Intercap, come l’uso dei veicoli a prezzi interessanti, l’uso diutenze come telefono e elettricità, l’acquisto di attrezzature che possono ser-vire anche ai Conventi.

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Guida informativa sulle modalità di corretta gestione

Il 14 settembre, nell’ambito dei lavori del Convegno CIMP Cap sulle pro-blematiche concrete di gestione economico-amministrativa, dopo la celebra-zione del VI CPO, il confratello fr. Giorgio Benigno Valentini ha presentatoagli intervenuti il ponderoso volume “Guida informativa sulle modalità diCorretta gestione e sul rispetto delle Procedure amministrative degli Enti re-ligiosi” (460 pp.). Nel testo, dopo una breve presentazione dell’Ordine deiFrati Cappuccini, si avvicinano i seguenti settori tematici: tipologia di attività[socio-assistenziale], aspetti giuridici, aspetti amministrativi, aspetti di conta-bilità, aspetti fiscali. Particolare attenzione si è data alle forme giuridiche, al-la gestione del Personale, agli aspetti comuni a tutte le Organizzazioni Noprofit (Associazioni, fondazioni, Onlus, Società cooperative). Accanto al suointervento va segnalato anche quello di Michele Calcaterra, professore all’U-niversità Bocconi di Milano e tra i competenti collaboratori dell’opera.

Del volume hanno parlato anche i più autorevoli quotidiani cattolici comeL’Osservatore Romano e Avvenire.

Targa/ricordo a San Giovanni Rotondo

Il pomeriggio del 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, iMinistri e gli Economi provinciali, hanno celebrato un’intensa Eucaristiasulla tomba del beato Padre Pio da Pietrelcina, presieduta dal Vicario gene-rale dell’Ordine, fr. Ermanno Ponzalli. Nell’occasione Antonio Ascenzi, Pre-sidente della CIMP Cap, ha letto una targa, lasciata ai frati della Provincia diFoggia, con il seguente testo:

“La Conferenza dei Ministri Provinicali Italiani riunita in preghiera sulla tomba del Beato p. Pio da Pietrelcina,

grata a Dio per il dono della santità,rende omaggio alla Persona del venerato confratello”.

Commissione CIMP Cap per l’economia

Al termine dei lavori della 85ª Assemblea CIMP Cap, tenuta a Manfredo-nia nei giorni 12-14 settembre u.s., si è costituita una Commissione CIMPCap per l’economia. Essa è composta da Di Nardo Celestino, Seri Paolo,

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Gambaro Giampiero, Tomaj Antonio, Di Giorgio Giammaria. Il compito del-la Commissione è di preparare un vademecum da presentare ai Ministri pro-vinciali durante i lavori dell’Assemblea, che si terrà a Cagliari nei giorni 7-9gennaio 2000, atto ad indicare alle Province i criteri e i metodi più adeguatiper gestire le nostre amministrazioni locali e provinciali, in conformità allospirito del VI CPO.

86a AssembleaRoma - Sacrofano, 25-29 ottobre 1999

Presentazione

La 86ª Assemblea di Sacrofano è stata, più di altre, un’esperienza di dia-logo fraterno, di riflessione serena. Parlare e ascoltarsi reciprocamente, con-traddirsi e poi chiarire con umiltà, con forza, con calore, con perseveranza. Èstato un ritrovarsi insieme dove l’efficientismo, una volta tanto, ha ceduto ilpasso all’efficacia della testimonianza di vita.

Partecipanti. All’appuntamento, vissuto alla Fraterna Domus, nei giorni25-29 ottobre 1999, erano stati invitati i Ministri provinciali cappuccini dellaConferenza italiana e i Consigli nazionali dei Segretari della stessa Confe-renza. La risposta è stata positiva. Tutte le 24 province della CIMP Cap era-no ben rappresentate dai rispettivi Ministri provinciali e dagli altri confratel-li impegnati nei Consigli nazionali. I partecipanti sono stati 104.

Ordine del giorno. Gli obiettivi prioritari del nostro appuntamento eranosostanzialmente due: l) Lo Statuto dei Segretariati nazionali della nostraConferenza. 2) Il grande giubileo della redenzione.

Nuovo statuto dei Segretariati. Al termine dell’incontro abbiamo compre-so che era necessario altro tempo per riscrivere le Nuove regole per una nuo-va animazione, e ci siamo rimessi all’opera senza perderci di coraggio. CosìIl nuovo statuto dei Segretariati nazionali della CIMP Cap, che doveva esse-re approvato dalla Conferenza dei Ministri e presentato nella mattinata di ve-nerdì 29 ottobre u.s., con molta probabilità sarà pronto per l’inizio del nuovo

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anno, e approvato durante la prossima Assemblea che i Ministri terranno aSanluri (Ca), nei giorni 6-9 gennaio 2000.

Giubileo della redenzione. Dopo i tre anni dedicati rispettivamente allariflessione e alla preghiera sul tema del Figlio, dello Spirito Santo e del Pa-dre, la 86a Assemblea CIMP Cap ha meditato sul tema della Trinità (G. Pas-quale). Sul versante del Giubileo, invece, i partecipanti hanno avuto modo diapprezzare tre preziosi contributi provenienti, rispettivamente, dal versantebiblico (D. Dozzi), dal versante francescano (T. Jansen) e da quello dogmati-co-pastorale (Lambiasi).

Il presente fascicolo. Durante i lavori molti confratelli hanno chiesto coninsistenza le fotocopie delle conferenze. A tutti è stato promesso che si sa-rebbe fatto il possibile per inviare ad ognuno, entro un mese, i contributi deirelatori. Ora, se anche le poste ci daranno una mano, la promessa è mantenu-ta. Il fascicolo è già approntato (grazie alla solerzia dei collaboratori Dome-nico, Antonella e Anna) e sarà consegnato alle poste il 16 novembre p.v.

Il sussidio non ha raccolto il ricco lavoro svolto nei gruppi e in assembleaintorno alla Statuto, perché ancora troppo frammentato, raccoglie, invece,tutte le conferenze che ci sono state proposte durante i giorni di Sacrofano.Esso è stato allestito - come gli altri che lo hanno preceduto - in maniera“veloce”, così, se sarà necessario, potrà facilmente essere moltiplicato inproprio. Grazie per la cortese attenzione.

Fr. Giuseppe CelliSegretario CIMP Cap

SALUTO DEL PRESIDENTE DELLA CIMP CAP

Rivolgo a tutti un cordiale saluto. Ringrazio per aver privilegiato questoincontro in un periodo dell’anno sociale in cui fervono attività e iniziative. Èun servizio quello che ci apprestiamo a realizzare, finalizzato ad animare,coordinare e promuovere impegni e servizi apostolici e formativi, con nuovostile e nuova mentalità.

In questa assemblea non siamo chiamati ad accettare o rifiutare la ristrut-turazione dei Segretariati. Questa scelta è stata fatta a Collevalenza nell’otto-

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bre del 1997. Siamo invece riuniti per scrivere le “nuove regole per la nuovaanimazione” che la Conferenza CIMP Cap valuterà ed approverà a suo tem-po. Dobbiamo, analizzare, discutere, migliorare la bozza dello Statuto cheabbiamo in cartella.

Oltre questo momento, abbiamo creduto opportuno inserire alcune rifles-sioni sull’ importante evento del Giubileo dell’anno duemila. Sono stati invi-tati alcuni relatori che illustreranno la tematica da diverse angolature e condiverse sensibilità.

Mi auguro che queste giornate di ricerca e di dialogo risultino fruttuose ericche di interessanti aperture e prospettive.

Adoperiamoci tutti per rendere il clima fraterno e intenso, la partecipazio-ne effettiva e corale.

La preghiera comunitaria costituisca l’ispirazione e la fonte del comuneimpegno.

Su tutto prevalga la responsabilità d’essere stati invitati a produrre unostrumento legislativo di notevole incidenza e rilievo per il futuro della frater-nità cappuccina italiana.

Fr. Antonio Ascenzi

Opus historiæ, opus Trinitatis:La Trinità come liturgia divina d’amore

nello scorrere del tempo

Gianluigi Pasquale, ofm cap*

Introduzione

Le postille che seguono vogliono collocarsi volutamente ai margini dellateologia e del discorso trinitario e, tuttavia, desiderano rendere pubbliche

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* Professore Assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoria-na in Roma.

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due convinzioni che possono assicurare un tentativo adeguato di reimposta-zione del famoso trattato De Deo, De Deo uno et trino, dopo il cammino giàcompiuto di preparazione immediata al Grande Giubileo dell’Anno Duemi-la: la celebrazione dell’anno del «Figlio», dell’anno dello «Spirito Santo» e,infine, dell’anno del «Padre». Con queste due convinzioni, inoltre, cammi-neremo sul crinale posto in alto dai due pendii che la stessa Lettera Apostoli-ca Tertio Millennio Adveniente2 ha voluto fossero oggetto di riflessione teo-logica ed ecclesiale, ovverosia la scadenza cronologica bimillenaria dall’e-vento dell’incarnazione di Gesù Cristo e la sua specifica caratterizzazionespirituale, in vista di una lode alla santa Trinità (TMA, 15). Prima, tuttavia,di enunciare il contenuto primario di queste due convinzioni, sono necessa-rie almeno tre premesse di base, che chiariscano immediatamente la corniceinterpretativa della nostra riflessione.

Innanzitutto, si deve riconoscere che parlare di Dio è l’avventura massi-ma cui è chiamato lo sforzo di pensiero dell’uomo3, perché la parola è con-dotta alla sua estrema attuazione e pretende di raggiungere la sua massimasignificazione4. Questo è chiaro per il credente, ma è vero anche per il noncredente, se vuole salvare la parola dalla banalità e lasciarla aperta a tutte lesue possibilità, incluse l’utopia, la bellezza e la profezia5. Ora, qui si tratta di

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2 JOANNES PAULUS II, «Epistula Apostolica Tertio millennio adveniente [10-XI-1994]»,Acta Apostolicae Sedis 87 (1/1995), 5-41 [=TMA]; Enchiridion Vaticanum 14, 1714-1820.

3 Cf. G. M. ZANGHÍ, Dio che è amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova, Roma 1991,7-11.

4 Come osserva giustamente W. KASPER con un’emblematica affermazione: «Das Spre-chen von Gott ist für uns keine Selbstverständlichkeit, sondern eine schwere Frage und einbedrängendes Problem»: W. KASPER, Die Gottesfrage als Problem der Verkündigung. Aspek-te der systematischen Theologie, J. RATZINGER ed., Die Frage nach Gott, Freiburg-Basel-Wi-en 1972, 143-161, ivi 143.

5 La categoria del Pulchrum – inteso ovviamente non solo come trascendentale dell’esse-re – è anche quella che C. M. MARTINI ha circoscritta e scelta per contemplare adeguatamen-te il mistero della santa Trinità nell’anno entrante ad essa dedicato: cf. C. M. MARTINI, Qua-le bellezza salverà il mondo? Lettera pastorale 1999-2000, Centro Ambrosiano, Milano1999, 17-20. Essa ben si combina con l’altra di profezia, meno con il concetto di utopia. Nelpensiero teologico, infatti, l’utopia rimarrà sempre un concetto che offre il fianco ad alcuneambiguità. A differenza di ciò che avviene per la parola profetata dall’autentico profeta bibli-co, infatti, J. RATZINGER è, per esempio convinto, che l’idea di utopia viene «rappresentata,nella storia della profezia, dal falso profeta che, scimmiottando il profeta autentico, si fa por-tatore della “profezia menzognera”» e rappresenta, pertanto, l’ideale di una parola detta inmodo inautetico: cf. J. RATZINGER, Alcune forme bibliche ed ecclesiali di «presenza» dello

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parlare non di Dio ma del Dio unico e trino, il che significa toccare il cuoredella teologia cristiana e ciò – come indicato dal termine – mediante un dis-corso ragionato e responsabile su Dio6. Fu il silenzioso monaco Anselmod’Aosta (1033-York 1109) colui che, dapprima, si rese immediatamenteconsapevole che l’atteggiamento abituale della mente di fronte al concettodel Dio trinitario doveva scaturire dalla mediazione tra la responsabilità delpensiero riflettente («ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore») ele possibilità offerte dagli occhi credenti rischiarati dalla fede, proprio per-ché tale concetto non si può trovare e poi perdere, come si trova alla sera ilmazzo di chiavi perso durante la giornata, per poi riperderlo, magari, nuova-mente il giorno dopo. Scrive il vescovo di Canterbury:

Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità. Poiché in nessunmodo metto con essa a confronto il mio intelletto; ma desidero inten-dere in qualche modo la tua verità, quella che il mio cuore crede eama. Non cerco infatti di intendere per poter credere, ma credo per po-ter intendere. In verità credo in questo: «se non avrò creduto, non po-trò intendere» (Is 7,9)7.Per la maggior parte dei credenti, comunque, la confessione di fede nella

Trinità non influenza minimamente la loro immagine di Dio, la quale è piut-tosto contraddistinta da una fede generica in un «unico Dio». Viceversa altricristiani scivolano inconsapevolmente a rappresentarsi, nella loro teologiadogmatica privata, una sorta di famiglia divina composta di tre persone, ri-schiando addirittura di assentire ad una fede in tre dèi. Proprio per ovviare a

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Spirito nella storia, L. SARTORI ed., Spirito Santo e storia, Roma 1977, 53; cf. anche W. KA-SPER, Politische Utopie und christliche Hoffnung, ID., Glaube und Geschichte, Matthias-Grü-newald-Verlag, Mainz 1970, 144-158 [tr. it. ID., Utopia politica e speranza cristiana, ID., Fe-de e storia, Queriniana, Brescia 1975, 143-158].

6 Secondo F. COURTH, la domanda sull’esistenza di Dio è il perno di qualsiasi lavoro teo-logico: «Infatti tutto ciò che viene detto su questo punto centrale della dottrina ha conse-guenze per ogni parola teologica successiva. […] Qualsiasi affermazione teologica dipendedunque dalla risposta a questa domanda fondamentale: fino a che punto può l’uomo ricono-scere e cercare, professare con fede e affermare ragionevolmente la realtà di Dio?»; F. CO-URTH, Der Gott der dreifaltigen Liebe, Bonifatius Verlag, Paderborn 1988 [tr. it. ID., Il miste-ro del Dio Trinità: il Padre Creatore, il Figlio Redentore, lo Spirito Santificatore, Jaca Book,Milano 1993, 21].

7 «Non tento, domine, penetrare altitudinem tuam, quia nullatenus comparo illi intellec-tum meum; sed desidero aliquatenus intelligere veritatem tuam, quam credit et amat cormeum. Neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam. Nam et hoc credo:quia “nisi credidero, non intelligam”»: ibid., I, 7, 80-81.

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quest’ultimo malinteso Papa Urbano VIII proibì nel 1628 di rappresentare laTrinità con tre figure umane simili, erette o sedute le une accanto alle altre8.Nella migliore riflessione teologica post-conciliare, la confessione di fedenella Trinità va teologicamente concepita, invece, come un «monoteismoconcreto», ovvero come la risposta specificamente cristiana al problema diDio sollevato dall’uomo9. Solo il Dio cristiano, in realtà, è un Dio trinitario,perché, solamente come Trinità, è possibile sostenere l’ipotesi che un assolu-to eterno si riveli nella storia senza cadere, per questo, in una flagrante con-traddizione del pensiero, che urterebbe l’onestà di qualsiasi ricercatore delsapere, infortunandone il percorso riflessivo. Chiuderemo alla fine la provo-cazione aperta da questa parentesi. Per il momento abbiamo, così, illuminatoil primo versante del tema della nostra riflessione, il terminus ad quem:«opus historiæ, opus Trinitatis». Solamente come opera della Trinità può es-sere pensabile l’accadere della storia, solo perché spinti da un’opera trinita-ria varchiamo la soglia temporale del terzo millennio cristiano, ovvero «var-chiamo la soglia della speranza».

La seconda premessa non è meno importante della prima e costituisce, percosì dire, il terminus a quo che vogliamo formulare con una domanda: che co-sa si intende per «monoteismo concreto»? Rispondere a questo interrogativo,comporta presentare il frutto migliore della riflessione teologica occorsa im-mediatamente prima e successivamente all’indomani del Concilio Vaticano IIcirca il senso della Rivelazione del Dio cristiano così come Egli è: unità di unasola sostanza divina in tre Persone uguali e distinte. Si tratta del primo dei duemisteri fondamentali della nostra fede, dunque, ciò che in assoluto ci riguardapiù da vicino e in primo luogo: Trinitas, res nostra agitur! Monoteismo con-creto ossia trinitario, quindi, può significare solo questo: la confessione di fede

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8 Cf. J. WERBICK, M. Trinitätslehre, TH. SCHNEIDER hsg., Handbuch der Dogmatik. II. Gna-denlehre, Ekklesiologie, Mariologie, Sakramentenlehre, Eschatologie, Trinitätslehre, PatmosVerlag, Düsseldorf 1992, ivi 481-575 [tr. it. ID., M. Dottrina Trinitaria, TH. SCHNEIDER ed.,Nuovo corso di dogmatica. II. Dottrina della grazia. Ecclesiologia. Mariologia. Dottrina deiSacramenti. Escatologia. Dottrina Trinitaria, Queriniana, Brescia 1995, 573-683, ivi 573.

9 Si tratta, evidentemente, del problema connesso pure alla domanda di senso inerente la re-altà del tutto, di perché c’è qualcosa e non il nulla. A questo proposito, così osserva il teologoW. KASPER: «Das Wort „Gott“ gehörte in der bisherigen Geschichte der Menschheit an dieStelle, wo der Mensch diese Frage nach dem Sinn des Ganzes seiner Wirklichkeit stellt. MitGott kann man deshalb nur antworten, wo man nicht mehr nach diesem oder jenem fragt, son-dern wo der Sinn des Ganzen des Daseins und der Welt in den Blick kommt»; W. KASPER, DieTheologie angesichts des heutigen Atheismus, Verlag Friedrich Pustet, Regensburg 19742, 82.

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nel Dio Trino esibisce il modo in cui Dio si manifesta agli uomini quale autoredella loro salvezza. Parlare della Trinità, insomma, significa additare quel Diodi cui è possibile parlare concretamente solo se si parla di lui come del Dio-per-gli-uomini10. Questa stringata formulazione, a dire il vero, è il prodotto diquella nuova consapevolezza della centralità di Gesù Cristo Rivelatore del Pa-dre, che la Costituzione Dogmatica Dei Verbum tratteggia con queste semplici,ma così biblicamente fondate, espressioni:

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far cono-scere il mistero della sua volontà (Ef 1,9), mediante il quale gli uominiper mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno ac-cesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (Ef 2,18; 2Pt1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (Col 1,15; 1Tm1,17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (Es33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Bar 3,38), per invitarli eammetterli alla comunione con sé11.

Il merito remoto della riscoperta di questa determinazione tipicamente cri-stiana, con la quale togliere la dottrina della Trinità da quella situazione di se-questro dogmaticista in cui era stata accantonata, si deve certamente alle fati-che teologiche di Karl Barth (1886-1968) e al suo concetto di auto-rivelazio-ne. Barth sottolinea che Dio non rivela, in primo luogo, proposizioni della suavita divina, bensì se stesso, Egli si auto-rivela. Una volta stabilito questo, nesegue che essendo Dio Triuno nell’atto della Rivelazione – noi abbiamo co-nosciuto un Padre, un Figlio e uno Spirito santo (1Gv 1,1) – Egli è Triuno an-che nella sua intima vita eterna. Il fatto dell’unità del Rivelante, della Rivela-zione e della sua «rivelatorietà», portò Barth a concludere che Dio deve esse-re, da tutta l’eternità, in sè stesso, Padre, Figlio e Spirito Santo12. Quello che

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10 Cf. J. WERBICK, M. Trinitätslehre 481-482=574.11 «Placuit Deo in sua bonitate et sapientia Seipsum revelare et notum facere sacramen-

tum voluntatis suae (Ef 1,9), quo homines per Christum, Verbum carnem factum, in SpirituSancto accessum habent ad Patrem et divinae naturae consortes efficitur (Ef 2,18; 2Pt 1,4).Hac itaque revelatione Deus invisibilis (Col 1,15; 1Tm 1,17) ex abundantia caritatis suae ho-mines tamquam amicos alloquitur (Es 33,11; Gv 15,14-15) et cum eis conversatur (Bar3,38), ut eos ad societatem Secum invitet in eamque suscipiat»: DV 2, Enchiridion Vatica-num 1 [n. 873], 488-491.

12 Cf. K. BARTH, Einführung in die evangelische Theologie, EVZ-Verlag, Zürich 1962,15-19 [tr. it. ID., Introduzione alla teologia evangelica, Bompiani, Milano 1968, 13-16]; cf.anche J. O’DONNELL, Trinità e Rivelazione, R. FISICHELLA-R. LATOURELLE ed., Dizionario diTeologia Fondamentale, Cittadella, Assisi (PG) 1990, 1353-1353.

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noi sappiamo di Dio, pertanto, è esattamente quello che Egli ci ha detto di luiin Gesù Cristo. E’ la Rivelazione concreta di Cristo (genitivo soggettivo)quella che ci ha svelato il monoteismo concreto, è la Rivelazione cristianaoperata nella storia quella che sola può essere anche trinitaria. Questo è pureil secondo versante del tema della riflessione: Gesù Cristo resta e resterà sem-pre il termine di riferimento a quo remoto e prossimo di ogni Rivelazione delDio Triuno nella storia. Il che significa: propriamente a partire dalla storiaviene rischiarato il mistero della Trinità.

La terza premessa vuole spezzare una lancia in favore della cosiddetta«analogia antropologica» o «teoria psicologica», entrambe approntate al finedi ottenere una facilitazione nella comprensione della dottrina trinitaria13. Nonvi è ombra di dubbio che l’obiezione mossa a questo genere di approccio – os-sia che esso non sia per nulla fondato biblicamente14 – sia, da questo punto divista, giustificata, ma non è meno vero che ogni immagine e raffigurazionerappresentativa diminuisca per ciascuno la fatica del concetto e favorisca, pro-babilmente per tutti, la contemplazione e la dossologia. Il rappresentante piùinsigne che viene sovente ricordato per questo tipo di accostamento al misterodella Trinità è sant’Agostino, il quale lo paragona, infatti, a quei tre stati dellapersona umana che corrispondono all’essere, al conoscere e al volere, e cherendono comprensibilmente analogica l’uni-trinità dell’anima alla Trinità teo-logica. Così, infatti, scrive, nelle sue Confessioni il vescovo di Ippona:

Vorrei che gli uomini considerassero in loro stessi questi tre dati. Pe-raltro ben lontani dalla Trinità, ma che indico loro come esercizio, co-me prova e constatazione che possono fare e a sentire questa lontanan-za. I tre dati sono: l’essere, il conoscere, il volere. Io sono e so e vo-glio, sono sciente e volente e so di essere e volere e voglio essere e vo-lere. Come sia inscindibile la vita in essi, che sono tre, una vita, unamente e una essenza, e come infine non si possa stabilire una distin-zione, che pure esiste, lo veda chi può. Ciascuno è davanti a se stesso;guardi attentamente in se stesso, veda e mi risponda. Ma quand’ancheavesse trovato in questi tre qualcosa e fosse in grado di dirlo, non pen-sasse d’aver trovato ciò che v’è d’immutabile sopra di essi, ciò cheimmutabilmente è, immutabilmente sa, e immutabilmente vuole: chi

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13 Quest’approccio è presentato anche nel famoso articolo di F. BOURASSA, «Sur le Traitéde la Trinité», Gregorianum 47 (2/1966), 254-285, ivi 264-266.

14 Cf. F. BOURASSA., La Trinità, K. H. NEUFELD ed., Problemi e prospettive di teologiadogmatica, Queriniana, Brescia 1983, 337-372, ivi 338-339.

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potrebbe facilmente sapere se la Trinità è, a causa di questi tre, in cia-scuno di essi tre, sì da essere trina in ogni singolo, oppure è in qualchemodo mirabile infinitamente semplice e molteplice in sé e fine a sestessa, per cui è e si conosce e basta a se stessa immutabilmente, a séidentica nella copiosa ricchezza della sua unità? Chi saprebbe espri-merlo in qualche modo? Chi oserebbe in qualche forma esporlo?15.

D’altra parte, pure osservando fenomenologicamente – e come esempio –la dinamica psicologica che interviene nel rapporto tra l’io del bambino e iltu della madre sua, è facilmente riscontrabile un altro analogato derivato cherende accessibile una certa comprensione dei rapporti intratrinitari. All’ini-zio, infatti, era la parola, con la quale un «tu» che ama evoca l’«io»: nell’a-scoltare stesso consiste già, immediatamente e prima di ogni atto riflessivo,l’essere reso capace della risposta; il bambino non riflette se, al sorriso invi-tante della madre, risponde con amore o con indifferenza, poiché come il so-le fa sprigionare il verde o le tonalità calde dell’autunno, così l’amore susci-ta sempre e incoativamente amore; nel movimento verso il «tu», l’«io» di-venta consapevole di se stesso. Mentre si dà, esperimenta anche questo: iomi do. Mentre esce fuori da sé verso l’altro, in un mondo aperto che gli offrespazio, egli sperimenta la sua libertà, la sua intelligenza, il suo essere perso-nale e spirituale16. Così, missioni, processioni trinitarie e relative pericòresi

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15 «Vellem, ut haec tria cogitarent homines in se ipsis. Longe aliud sunt ista tria quam il-la trinitas, sed dico, ubi se exerceant et probent et sentiant, quam longe sunt. Dico autem ha-ec tria: esse, nosse, velle. Sum enim et scio et volo: sum sciens et volens et scio esse me etvelle et volo esse et scire. In his igitur tribus quam sit inseparabilis vita et una vita et unamens et una essentia, quam denique inseparabilis distinctio et tamen distinctio, videat qui po-test. Certe coram se est; attendat in se et videat et dicat mihi. Sed cum invenerit in his aliquidet dixerit, non iam se putet invenisse illud, quod supra ista est incommutabile, quod est in-commutabiliter et vult incommutabiliter: et utrum propter tria haec et ibi trinitas, an in singu-lis haec tria, ut terna singulorum sint, an utrumque miris modis simpliciter et multipliciter in-finito in se sibi fine, quo est et sibi notum est et sibi sufficit incommutabiliter id ipsum co-piosa unitatis magnitudine, qui facile cogitaverit? Quis ullo modo dixerit? Quis quolibet mo-do temere pronuntiaverit?»: Sancti Augustini Confessionum Libri XIII [XIII, 11,12], [CorpusChristianorum Latinorum 27], Typographi Brepols Editores Pontifici, Turnholti 1981, 247-248. La traduzione in italiano è nostra.

16 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Der Zugang zur Wirklichkeit Gottes, J. FEINER-M. LÖHRER

ed., Mysterium Salutis. II. Die Heilsgeschichte vor Christus, Benzinger Verlag, Einsiedeln-Zürich-Köln 1967, 15-45, ivi 16 [tr. it. ID., L’accesso alla realtà di Dio, J. FEINER-M. LÖH-RER ed., Mysterium Salutis. III. La storia della salvezza prima di Cristo, Queriniana, Brescia1969, 19-59, ivi 20].

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tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo possono essere più facilmente resecomprensibili – fatte le dovute e necessarie precisazioni teologiche – sullabase dell’analogia psicologica, per la quale si può intuire come le Personedella santa Trinità siano tre Persone uguali e distinte e, tuttavia, per questoassociate dall’atto eterno d’amore che le rende una.

L’altra via d’accesso utilizzata dalla teologia dogmatica – e oggi piùusuale – per capire la Trinità, è quella storico-salvifica: la Trinità si manife-sta nel susseguirsi degli eventi di salvezza, al cui centro sta il mistero del-l’Incarnazione. Dio si rivela Padre mandandoci il Figlio; il Figlio rivela lasua unità col Padre abbandonandosi a Lui e alla sua volontà fino alla morte;lo Spirito è donato dal Figlio e ne continua la presenza presso gli uomini. Inquesto modo, a partire dal mistero pasquale, Dio si mostra Padre, Figlio eSpirito Santo. Noi percorreremo questo approccio storico-salvifico.

Dunque è possibile, adesso, enunciare quelle due convinzioni che si era-no anticipate all’inizio e che possono, a nostro avviso, convenientemente il-luminare la comprensione del discorso trinitario, con lo sfondo in negativodella Tertio Millennio Adveniente. Con la prima, e a partire dal secondo tipodi approccio trinitario, si vuole dimostrare la tesi che la teologia francescanadella storia ha dato alla teologia trinitaria un colpo orientativo nuovo cheperdura nei suoi effetti positivi fino ad oggi e che, benché resti pur sempreun contributo alla teologia in genere tra gli altri, gode per certi versi di unasingolare determinazione di irreversibilità. Attraverso questo contributo del-la teologia francescana, in particolare, vedremo cosa significhi passare dalsecondo al terzo millennio dell’èra cristiana. Con la seconda convinzione sivuol tentare di rispondere a un interrogativo che, sembra, pochi recentemen-te si pongono e che, invece, a noi permane icastico nella sua misteriosa pro-vocatorietà: che significato ha la preghiera di Gesù al Padre17? Come è pos-sibile potersi immaginare Gesù che prega il Padre? Perché la seconda Perso-na della Trinità, il Figlio eterno di Dio incarnato, si poneva in ginocchio allapresenza della prima Persona, il Dio Padre, e lo pregava nel Dio Spirito, es-sendo proprio la preghiera l’atto più eloquente con il quale la creatura si affi-da al suo creatore, visto che il più grande atto culturale è quello cultuale, il

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17 Questo secondo interrogativo è posto in essere esattamente in un discorso trinitario dalConcilio Lateranense IV (1215) nel secondo capitolo della Costituzione De fide catholica:«Cum vero Veritas pro fidelibus suis orat ad Patrem» (P. HÜNERMANN ed. Heinrich Denzin-ger Enchiridion Symbolorum [806], Ed. Dehoniane, Bologna 1995, 806, 458-459), citandol’occorrenza scritturistica di Gv 17,22b: «perché siano come noi una cosa sola».

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mettersi in ginocchio?18 La risposta a questa domanda risulterà, forse, van-taggiosa per penetrare positivamente il senso della caratteristica «spirituale»della quale il Grande Giubileo si dovrà rivestire e aiuterà a capire, contem-poraneamente, sulle direttrici di quali progetti temporali la storia riflettal’immagine del progetto eterno di Dio: vedremo, insomma, come si può spi-ritualmente progettare il nostro tempo anche per il terzo millennio, rispec-chiandosi nell’eterna Trinità. Attraverso la Rivelazione di Gesù Cristo, il dis-corso apparirà assai più semplice di quello che si può adesso preventivare.

IL’apporto determinante del francescanesimo

alla teologia trinitaria: Opus historiæ est opus Trinitatis

L’atteggiamento spirituale di Francesco d’Assisi (1181-1226) è stato so-vente designato come fondamentalmente cristologico e cristocentrico; questastringata e sintetica osservazione è certamente vera, purché si tenga presenteche ciò avviene perché il cuore e la mente di Francesco sono completamentedominàti e pervasi dal pensiero di fede che la Rivelazione del mistero dellaTrinità avviene in e mediante il Verbo incarnato. Così, colui che si colloca alcentro della divina società del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, me-diante il quale tutto è stato creato e redento – e sarà glorificato – si pone, inforza della sua natura umana, anche al centro della creazione e dell’econo-mia salvifica, conducendo, così, gli uomini alla Trinità e la Trinità agli uomi-ni. Questa collocazione centrale di Gesù Cristo messo al centro di tutto – an-ticipiamolo subito – è la determinazione specificamente «francescana» cheportò un fecondo contributo alla teologia trinitaria cosiddetta «di Scuola»,allorché alcuni teologi francescani, successori al Giullare di Dio, furono ine-vitabilmente provocati – e quindi costretti – a prendere opportune distanzeda una deviazione della dottrina trinitaria occorsa all’interno dell’Ordine enella Chiesa durante il XIII secolo. Questi teologi francescani, assimilando eutilizzando in pieno l’eredità di Francesco d’Assisi, reimpostarono comple-

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18 Muovendo la sua riflessione da una prospettiva teologico-morale, è proprio questa re-lazione tra la creatura e il Creatore che il teologo S. BASTIANEL evidenzia, passando in rasse-gna varie tipologie di preghiera presenti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, nel suointeressante studio S. BASTIANEL, Ho visto il Signore. Figure di preghiera nella Bibbia,Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999.

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tamente la teologia cristiana della storia, ripercuotendo positivamente i fruttidi tale ripensamento nel trattato De Deo, De Deo Uno et Trino che si inse-gnava allora nelle Università europee, soprattutto a Parigi.

«Tu sei santo Signore, che fai cose stupende»: il modo storico-dossologico di Francesco di parlare della santa Trinità

Prima di addentraci nella dimostrazione di questa tesi, definiamo più ac-curatamente i contorni della devozione francescana verso la santa Trinitàche, fin dagli inizi, era dunque, di indole storico-salvifica. Si deve innanzi-tutto chiaramente evidenziare che Francesco sceglie di partire dall’operacompiuta nella storia da Gesù per ammirare Colui che operava presente-mente dalla Trinità: per Francesco è certamente il Figlio che s’incarna e re-dime l’uomo, ed è lo Spirito Santo che è in lui attivo e, tuttavia, è il Padreche vuole tutto ciò; Lui è l’origine non originata della Trinità, ed è l’originedella venuta del Figlio e dello Spirito Santo. Benché avesse certamente an-ch’egli sentito parlare delle discussioni trinitarie dibattute durante il Conci-lio Lateranense IV19 – convocato da Innocenzo III – non è azzardato poteraffermare che il Poverello di Assisi, più che illustrare il movimento perico-retico delle processioni o missioni intratrinitarie, rimanesse, invece, ammi-rato dagli effetti che le missioni del Figlio e dello Spirito Santo compivanonella storia, in modo economico extra-trinitario. Così per esempio, egli to-glie ogni differenza tra i frati, perché lo Spirito Santo «si posa egualmentesu tutti» coloro che entrano nell’Ordine, siano essi di estrazione povera e il-letterati, oppure venuti dalla ricchezza o dalla scuola20; oppure, per ridare lavista a una giovane donna di Bevagna, inumidì gli «occhi della cieca con lasua saliva, per tre volte, nel nome della Trinità»21. Ancora, nel riferire la

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19 In riferimento a quelle discussioni sulla Trinità dibattute durante il Concilio del 1215,sarebbe assai improprio, secondo A. POMPEI, «dedurre che Francesco vi attingesse diretta-mente la sua conoscenza» perché molti suoi modi di parlare del Dio Triuno «sono patrimo-nio comune dei Padri, soprattutto di Agostino e di Pietro Lombardo, ma soprattutto della Sa-cra Scrittura»: cf. A. POMPEI, Dio, E. CAROLI ed., Dizionario Francescano. Spiritualità, Edi-zioni Messaggero, Padova 1983, 365-409, ivi 401.

20 Cf. THOMAE DE CELANO, Vita secunda [CXLV], E. MENESTÒ-S. BRUFANI ed., FontesFranciscani, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG) 1995 [FF 139], 612.

21 ID., Tractatus de miraculis beati Francisci [XIV], FF 124, 722-723.

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consultazione del Vangelo per evincerne la volontà di Dio, si ricorda comeFrancesco prese il Vangelo e, «devoto adoratore della Trinità, aprì il librosanto tre volte»22. Pure una delle perle più preziose dei suoi scritti, rimastacertamente insuperabile in un confronto diacronico con quelli di altri santifondatori e che riecheggia verace e attualissima in chi sa avere un cuore difrancescano, ratifica l’opzione di Francesco nel suo personale approccio allacontemplazione della Trinità: «Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai co-se stupende. […] Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dèi. Tu sei il bene,tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero»23. Si capisce cheDio è uno e trino perché24 Egli fa cose stupende, si comprende chi Egli èperché prima, muovendo dalla creazione e dalla storia, lo si era invocatocon l’espressione «Tu sei bellezza»25. La stessa Regola di vita [RnB]26 ini-zia e chiude con l’invocazione alla santa Trinità, così avviene nella finaledel Testamento e nella Lettera ai Fedeli27. Francesco, insomma, parte dallastoria per arrivare alla Trinità, perché è la Trinità che circoscrive, come unacornice, tutta la storia e qualsiasi forma o regola di esistenza, nelle quali es-sa trinitariamente si rivela.

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22 BONAVENTURAE DE BALNEOREGIO, Legenda maior [III], FF 3, 796-797; Legenda triumsociorum [VIII], FF 29, 1401-1402.

23 FRANCISCI ASSISIENSIS, Laudes Dei altissimi [1], FF 1, 45-48, ivi 45-46. Il corsivo ri-porta l’occorrenza scritturistica del Sal 76,15. Per l’edizione critica, cf. anche K. ESSER, DieOpuscula des heiligen Franziskus von Assisi. Neue textkritische Edition, Ed. Collegii S. Bo-naventurae Ad Claras Aquas, Grottaferrata (Romae) 19892, 139-146 [tr. it. ID., Gli scritti diS. Francesco d’Assisi, Edizioni Messaggero, Padova 1982, 162-172].

24 Analizzeremo più avanti le implicanze teologiche qualora, dal punto di vista dell’anali-si logica del periodo, si consideri questo «che» non solamente come un pronome relativo (ilquale, Tu che, secondo l’interpretazione di K. ESSER, Die Opuscula, 139=162 e ID., FF 1,46), bensì nella sua accezione causale di «perché».

25 FRANCISCI ASSISIENSIS, Laudes, FF 11, 48; cf. anche C. M. MARTINI, Quale bellezza sal-verà il mondo?, 12, dove compare l’esplicita menzione di FRANCESCO D’ASSISI, al riguardo.

26 Si tratta della famosa «Regola non bollata» [RnB], ovvero quella preparata e scritta an-tecedentemente (1221) all’approvazione di papa Onorio III (1223), il quale promulgò comeRegola un testo legislativo riveduto e modificato: cf. K. ESSER, Die Opuscula des heiligenFranziskus von Assisi, 373-404=477-533.

27 Cf. FRANCISCI ASSISIENSIS, Testamentum [39], FF 227-232, ivi 231; ID., Epistola ad fi-deles I, FF 79-86, ivi 83. Per l’edizione critica, cf. K. ESSER, Die Opuscula des heiligenFranziskus von Assisi, 431-447=565-584 e, rispettivamente, 176-182=212-221.

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Lo spostamento mediano di Gesù Cristo al centro dei tempi e il contributo bonaventuriano alla teologia trinitaria

Come usarono i teologi francescani, nella storia, la lente d’ingrandimentocristologica con la quale Francesco rimirava la Trinità? Per capirlo, bisognafare un balzo indietro nel tempo. Siamo all’inizio dell’estate del 1273 quan-do il teologo francescano e Dottore della Chiesa San Bonaventura (Bagnore-gio 1221-Lione 1274) tenne all’Università di Parigi le sue «conferenze sul-l’opera dei sei giorni», comunemente conosciute come le Collationes in He-xaëmeron28, e concordemente ritenute la risposta alle insinuazioni escatolo-gico-apocalittiche che l’opera Liber concordiæ novi ac veteris Testamenti diGioacchino da Fiore (Celico, Cosenza 1130-San Giovanni in Fiore 1202)aveva diffuso in seno alla Chiesa e soprattutto nell’Ordine francescano, spe-cie nella branca degli «spirituali». È risaputo che le profezie dell’Abate daFiore muovevano dalla premessa che vi era una fondamentale concordanzatra l’Antico e il Nuovo Testamento, concordanza da cui egli deduceva l’etàdel Padre, l’età del Figlio e l’età dello Spirito Santo. Quest’ultima, quelladello Spirito o del settimo giorno, avrebbe rappresentato di lì a poco uno sta-to di salvezza di genere completamente nuovo29, nel quale si sarebbero inve-rate le grandi profezie di Ezechiele e di Isaia e in cui la redenzione si sareb-be offerta in tutta la sua pienezza di senso30. Si attendeva solamente che lastoria facesse apparire l’atteso angelo apocalittico segnato dal sigillo del Diovivente (Ez 9,4; Ap 7,2). Ancora è risaputo che questa triplice suddivisionedel tempo in tre età, scaturiva dall’idea che la storia abbia, per così dire, dueassi, determinati da quella famosa concordanza tra Antico e Nuovo Testa-mento: l’ultima età dello Spirito, pertanto, sarebbe stata caratterizzata, nel-

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28 Le Collationes in Hexaëmeron sono l’ultima opera composta da BONAVENTURA (Ba-gnoregio 1221-Lione 1274) un anno prima della sua morte e, pertanto, rimasta incompiuta:Doctoris Seraphici S. Bonaventurae Opera omnia, V, Typographia Collegii S. Bonaventurae,Quaracchi-Florentiæ 1891, 327-454.

29 Cf. E. BENZ, «Joachim-Studien I. Die Kategorien der religiösen Geschichtsdeutung Jo-achims», Zeitschrift für Kirchengeschichte 50 (1931), 44-55; cf. anche I. BACKES, «Heilsge-schichte in der Gotteslehre des heiligen Thomas von Aquin», Trierer Theologische Zeitsch-frift 72 (1963), 23-38, ivi 24-25.

30 E’ proprio ciò che fa notare J. RATZINGER nel suo famoso studio, al quale in parte ci ri-chiamiamo: J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie des heiligen Bonaventura, Schnell &Steiner, München-Zürich 1959, 28-29 [tr. it. ID., San Bonaventura. La teologia della storia,Nardini Editore, Firenze 1991, 71].

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l’ordine nuovo, da una Chiesa formata da soli uomini spirituali, la quale,nella sua forma futura di santità, anticipava già – come appare negli scritti diGioacchino – l’audace pretesa di poter valutare criticamente e di giudicarequella Chiesa che si trovava ancora nella seconda età: quella reale, quella acui appartenevano anche Bonaventura e Gioacchino. Secondo Ratzinger,dunque, Gioacchino:

divenne in questo modo, proprio nella Chiesa stessa, l’antesignano diuna nuova comprensione della storia che oggi ci appare essere la com-prensione cristiana in modo così ovvio da renderci difficile credereche in qualche momento non sia stato così. [Egli], dal fatto che dopoCristo continua a svilupparsi una storia inadeguata e scellerata, trae laconclusione che una storia veramente buona e redenta sia ancora di làda venire. Questa storia però, riconosce egli con compiacimento, è im-minente31.

Ciò che è meno conosciuta, invece, è la misura di dipendenza di Bona-ventura da Gioacchino da Fiore. Tralasciandone ora la dimostrazione detta-gliata, è sufficiente ricordare come non fu difficile far coincidere, per Bona-ventura, l’angelo apocalittico segnato dal sigillo del Dio vivente con France-sco d’Assisi – primo impressionato nella storia dal sigillo delle stigmate –come non fu nemmeno arduo per lui pensare che la configurazione contem-plativa della Chiesa nel nuovo ordine, per la quale Gioacchino aveva predet-to che si sarebbe osservato il sermone della montagna di Mt 5 «sine glos-sa»32, potesse essere quella voluta come ideale presentato dal Testamento diFrancesco stesso33. Ci troviamo innanzi, pertanto, a due consistenti possibili-tà. Da una parte, l’intuizione di Gioacchino: se questo è il pasticcio della sto-ria che dobbiamo vivere, la speranza cristiana ci dice che la vera storia è dilà da venire. Dall’altra, l’infatuazione semi-apocalittica di Bonaventura perFrancesco, a tal punto da essere così prossimo e così vicino a fare quel tre-

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31 J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie, 108=211; 110=214; cf. anche J. RATZINGER,Joachim von Fiore, Lexikon für Theologie und Kirche2, 975-976. Sotto questo profilo, ha ra-gione il protestante W. KAMLAH quando parla di «die Überwindung der katholischen Ge-schichtstheologie»: ID., Apokalypse und Geschichtstheologie. Die mittelalterliche Auslegungder Apokalypse vor Joachim von Fiore, Verlag Emil Ebering, Berlin 1935, 115.

32 Cf. J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie, 42=95.33 Cf. FRANCISCI ASSISIENSIS, Testamentum [39], FF 231. Per l’edizione critica, cf. K. ES-

SER, Die Opuscula des heiligen Franziskus von Assisi, 431-447=565-584, ivi 444=581-582.

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mendo passaggio: Francesco era l’angelo che l’Apocalisse aveva preconiz-zato, perché aveva le stigmate e predicava addirittura l’urgenza di vivere unVangelo sine glossa, quindi, in modo spirituale. Cosa sarebbe successo se ilDottore Serafico avesse passato il Rubicone, aderendo pienamente alle ideegioachimite, egli che era anche Generale totius Ordinis Minorum? È una do-manda alla quale non potremo mai rispondere, perché ha la pretesa di com-piere un’operazione impossibile: sindacare con la storia, ma con le ipotesidella storia non si può mai, in alcun modo, giocare. Cosa accadde allora?Nulla. Bonaventura, aderendo dapprima alle proiezioni gioachimite fino ailimiti del possibile, impresse successivamente a questa visione delle coseuna virata ermeneutica tale i cui effetti in teologia si risentono ancor oggi.Vediamo, dunque, quali.

«Tu sei santo Signore, perché fai cose stupende»:il centro dei tempi rivelatore della santa Trinità

Non è fantasioso presupporre – seguendo il pensiero di Ratzinger – che Bo-naventura fosse già inizialmente in possesso di una sua concezione della sto-ria – e sarebbe difficile pensare il contrario – che fu successivamente provo-cata, nel suo animo di francescano, da Gioacchino da Fiore. Tuttavia Bona-ventura non si fermò lì. Proprio perché erede di quel forte cristocentrismoproveniente da Francesco d’Assisi, il Dottore Serafico scartò l’idea di unasalvezza posta solamente nella terza età dello Spirito, recuperò l’idea di Cri-sto mediatore già presente nel Breviloquium34 e la applicò a quella di Cristo«pienezza del tempo», interpretandola adesso come Cristo «centro del tem-po»35. Per Bonaventura, con la venuta del Figlio di Dio si parla della pienez-za dei tempi, non come se il tempo in questo modo giungesse al suo termine,

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34 Avendo già situato cronologicamente le Collationes in Hexaëmeron, è forse superfluoricordare che il Breviloquium è a quelle anteriore. In esso appare evidente che Cristo è perBONAVENTURA il centro di ogni cosa e, quindi, di tutto. A proposito di quanto veniamo dicen-do vi si legge: «[…] Quod in adventu Filii Dei dicitur esse plenitudo temporum, non propterhoc, quod in eius adventu tempus finiatur, sed quia temporalia mysteria impleantur. Sicut au-tem Christus non debuit venire in principio temporis, quia adventus eius nimis fuisset festi-nus; sic nec debuit differre usque in finem ultimum, quia tunc nimium esset tardus. Decebatenim salvatorem inter tempus morbi et tempus iudicii in medio introducere tempus remedii»;Breviloquium, Pars IV, C. IV, Doctoris Seraphici S. Bonaventurae Opera omnia, V, 245.

35 Cf. J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie, 112=217.

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ma in quanto i misteri del tempo pervengono alla loro pienezza. In questosenso, allora, pienezza significa essere-al-centro dei tempi che è molto più –ci sembra – dell’affermazione che Egli sia semplicemente una scissura assia-le, evinta dalla distinzione dei due Testamenti. In questo modo:

«si è giunti a una nuova formulazione della concezione della storia:essa certamente trae le sue origini dalla preferenza accordata da Bona-ventura al concetto di centro e di mediatore. […] Proprio la figura diGesù Cristo, che è la persona mediana della Trinità e che è mediatoree punto intermedio tra Dio e l’uomo, diviene in questo modo il puntodi raccolta di tutto ciò che per Bonaventura si esprime nel concetto dicentro; diviene centro in senso assoluto e, sulla scia di questa interpre-tazione generale della sua figura a partire dall’idea di centro, divieneanche “centro dei tempi”»36.

Come si può facilmente constatare, il merito della teologia francescana ebonaventuriana è stato quello di essere stata costretta – opponendosi alleidee gioachimite penetrate come aporia interpretativa della storia, tra le filadei «fraticelli spirituali» – ad attuare un consistente spostamento del punto diriferimento: Cristo non doveva più essere visto come la fine dei tempi, se-condo l’interpretazione degli spirituali, bensì come il centro dei tempi. Laconseguenza che ne scaturisce è davvero notevole: se la prima idea – quelladi Cristo come fine dei tempi – viene scartata, in questo stesso contesto na-sce in Bonaventura la coscienza del fatto che la fine è ora veramente vici-na37. Questa coscienza è solo apparentemente in contraddizione con quelladella centralità di Cristo, visto che viene lasciata intatta la designazione ditutta la storia cristiana come tempo ultimo38. Le conclusioni, pertanto, sonole due seguenti: innanzitutto, muovendo da un grosso problema di indole ec-clesiologica – o, se si vuole, di Ordine – Bonaventura fu costretto a prenderedebite distanze dalle idee apocalittiche di Gioacchino da Fiore e arrivò a ipo-tizzare la verosimiglianza di una salvezza intramondana, dentro la storia. Lapace del settimo giorno annunciata profeticamente, è resa come disponibilepre-escatologicamente anche all’inizio della terza età, quella dell’adesso,poiché attuata e ratificata nella sua possibilità dalla vita del santo assisiense.In secondo luogo, Bonaventura aderisce fedelmente alla trazione teologica

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36 Cf. ibid., 113=218-219 e 137-138=261.37 Cf. ibid., 116-117=225-226.38 Cf. ibid., 117=226.

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del fondatore, nel presentare il discorso trinitario a partire dalla figura me-diana di Gesù Cristo, centro della storia e centro di tutto. Ecco perché si puòintravedere nella teologia francescana un’adeguata ristrutturazione ante litte-ram del trattato De Deo, De Deo Uno et Trino perché rifondato cristologica-mente, ma soprattutto per l’indubitabile approccio storico-salvifico al miste-ro che Francesco d’Assisi prima e Bonaventura, poi, scelsero per la loro spi-ritualità: solamente attraverso Colui che parla agli uomini come ad amici e siintrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé, si ren-de, di fatto, aperto per l’uomo l’accesso al Dio uno e trino, con questa essen-za trinitaria altrimenti inconoscibile. Questo significa, per l’appunto, «mono-teismo concreto». La novità determinante della teologia francescana, insom-ma, è stata quella di aver ribaltato il luogo teologico della presenza del mi-stero di salvezza all’interno della storia e non in un al-di-là lontano nel futu-ro. A favore di un discorso trinitario, è come volessimo dire che l’unità d’a-more delle tre Persone uguali e distinte si capisce adesso parafrasando unalode al Dio Altissimo in questo modo: «Tu sei santo, Signore Iddio unico,perché fai cose stupende»39. Davvero l’opus historiæ è opus Trinitatis.

IILa preghiera di Gesù:

la liturgia divina d’amore della Trinità nello scorrere del tempo

Se il contributo francescano alla teologia della storia e, quindi, alla teolo-gia trinitaria è stato così significativo da essere posto addirittura all’originedel moderno pensiero del progresso e dell’umanesimo della salvezza entro lastoria, con la seconda convinzione che è stata annunciata all’inizio, voglia-mo abbassare la comprensione del mistero della santa Trinità, guardando auna delle relazioni che la corretta interpretazione del monoteismo concretocomporta: il rapporto tra l’eternità della Trinità e lo scorrere temporale dellenostre faccende quotidiane, perché – com’è già stato detto – è possibile par-lare concretamente della Trinità solo se si parla di Essa come del Dio-per-gli-uomini. Il punto di partenza che è stato scelto è la preghiera di Gesù, untema teologico, si accennava, con il quale affrontare da un altro versante –quindi non sola ratione o, come capita di dire, seguendo il richiamo della

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39 FRANCISCI ASSISIENSIS, Laudes Dei altissimi [1], FF 1, 45-48, ivi 45-46.

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«natura»40 – il mistero della Trinità, e questo proprio per non dimenticarsiche il rapporto con Dio non può mai essere fortuito o accidentale: in un Dioche merita questo nome, uno non vi si imbatte come in un concetto sparpa-gliato tra altri concetti.

Partendo da tale convinzione, l’analisi della preghiera di Gesù si configu-ra come uno degli accessi teologici più efficaci al fine di capire le relazioniintratrinitarie, perché muove dall’approccio storico-salvifico che è stato in-coativamente scelto. Detto in termini più precisi, la preghiera fatta da Gesùal Padre nello Spirito punta direttamente a esprimere, nella dimensione dellatemporalità, il senso dell’eternità presente all’interno del Dio Triuno, dalmomento che – fino a prova contraria – l’uomo può comprendere ciò cheGesù ha rivelato dell’eternità di Dio solamente a partire dalla Sua esperienzadi tempo, ossia dall’esperienza del tempo-di-Gesù. L’approccio risulterà tan-to più interessante se si considera come negli ultimi anni, stranamente, siastato scritto relativamente poco su un argomento così importante41.

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40 È un’espressione del teologo e filosofo contemporaneo E. SALMANN, secondo il quale èconvenientemente possibile reimpostare il discorso trinitario in teologia – o, se si vuole, il trat-tato De Deo, De Deo uno et Trino – facendo l’«elogio dell’ablativo», e questo in riferimentoall’«id quo maius (melius) cogitari nequit», oppure guardando alla «co-nascenza», «co-scien-za» in Dio Triuno, espressa dall’uno acto, ovviamente mediante l’approccio sola ratione: cf. E.SALMANN, La natura scordata. Un futile elogio dell’ablativo, P. CODA-L. ?ÁK edd., Abitando laTrinità. Per un rinnovamento dell’ontologia, Città Nuova, Roma 1998, 27-43, ivi, 33-39.

41 Presso la Facoltà di Teologia dell’allora Pontificio Istituto «Angelicum» di Roma, fudifesa nel 1948 una tesi da laurea inerente lo studio di questo argomento: V. M. CHIMIENTI,La preghiera di Gesù, Tip. Francesco Sicignano, Pompei (NA) 1949. Il punto di vista è stret-tamente dogmatico e teologico, mentre il problema viene circoscritto muovendo da due pre-messe tipicamente tomiste, importanti per quanto verremo a dire: «a) Considerando la poten-za di Cristo, noi diremo che questi o prega fallacemente e inutilmente, non pregando per in-digenza, dato che quello che domanda è in suo potere, o se veramente prega, chiede per veranecessità quanto non è in suo potere. b) Considerando invece la sua scienza, noi diremo cheCristo, fin dalla sua concezione, evidentemente conosce, sia per la scienza beata che perquella infusa, ciò che dovrebbe accadere; quindi la sua non può essere vera e propria pre-ghiera. Difatti se Gesù conosce ciò che non deve avvenire, invano e temerariamente desiderae domanda che ciò accada; e se invece conosce che una cosa dovrà accadere, vanamente do-manda ciò che avverrà, dato che egli sa già precedentemente alla sua preghiera ciò che deveaccadere»: ibid., 5-6. Le conclusioni della ricerca dell’Autore sono così presentate: «GesùCristo non solo nel periodo della sua vita terrena, ma anche ora in cielo prega veramente,realmente e propriamente (preghiera nel senso formale della parola) per l’umanità. E’ que-sta l’unica proposizione chiara che esprime la nostra opinione ch’è pure accettata dalla mag-gior parte dei teologi tomisti»: ibid., 45.

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Che, che cosa, come e perché Gesù pregava: il «se» possibilitante della sua preghiera

Mentre abbondano dei commentari inerenti al fatto della preghiera di Gesùnarratoci dai Vangeli, è, infatti, riscontrabile una certa deficienza negli studiteologici sulla struttura e sul contenuto di essa42, a differenza – per esempio– degli approfondimenti sulla coscienza messianica di Gesù, relativi a quelloche M. Blondel chiamava il «formidabile» problema43. Ciò nonostante, l’uo-mo Gesù di Nazaret ha pregato spesso. È stato un uomo eccezionale anchesotto questo profilo. Il motivo fondamentale, comunque, che giustifica, percerti versi, la deficienza di cui si parlava, si basa sul fatto che la preghiera diGesù rivela anche tutto il mistero del suo essere umano-divino: qui albergano,esattamente, le difficoltà raffrenanti il ragionamento riflessivo, e questo spie-ga perché la sua preghiera resterà sempre per noi più o meno impenetrabile,senza tuttavia dover raggiungere le esagerazioni di Rudolf Bultmann, secon-do il quale «Gesù non poteva veramente pregare»44.

E’ stato possibile, dunque, per Gesù pregare? Già Tommaso d’Aquino siera posto questa domanda e ne aveva offerto, pure, la risposta, annullandol’obiezione che Gesù – seconda Persona della santa Trinità unita nella beati-tudine e nell’unione ipostatica all’unico Dio – non potesse pregare, con laconstatazione medesima che Egli, in realtà, di notte e di giorno, pregò. Gesù,non solo poteva e gli era conveniente pregare, ma lo fece «poiché in lui cisono due volontà, quella divina e quella umana, e la volontà umana non ècapace di realizzare da sé quello che vuole, senza il ricorso alla potenza divi-

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42 Questa opinione è condivisa, tra gli altri, anche da I. DE LA POTTERIE, Het Gebed vanJesus de Messias, de Dienaar van God, de Zoon van de Vader. Een benaderighun vanuit deEvangeliën, Abdij Bethlehem, Bonheiden 1987, 12 [tr. it. ID., La preghiera di Gesù, EdizioniAPD, Roma 19922, 10]. Uno studio in lingua italiana che affronta adeguatamente il contenu-to della preghiera di Gesù è quello di G. SEGALLA, La preghiera di Gesù al Padre (Giov. 17).Un addio missionario, Paideia, Brescia 1983.

43 Cf. M. BLONDEL, in una lettera al suo amico, l’abate J. WEHRLÉ cit. in R. MARLÉ ed.,Au coeur de la crise moderniste. Le dossier inédit d’une controverse, Aubier, Paris 1960, 72-79, ivi 78; cf. anche J. MOUROUX, Maurice Blondel et la conscience du Christ, J. FILLIOZAT-J.-A. CUTTAT-É. DE PLACES ed., L’homme devant Dieu. Mélanges offerts au Père H. de Lu-bac. III. Perspectives d’aujourd’hui, Aubier, Paris 1964, 185-207.

44 Si tratta di alcune conclusioni che il teologo protestante della demitizzazione ricavadal commento a Gv 13,1; 17, 1-26: cf. R. BULTMANN, Das Evangelium des Johannes, Van-denhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962, 371-372.

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na, per questo Cristo, in quanto uomo di volontà umana, poteva pregare»45.In questo modo, è stato risolto l’interrogativo inerente al «perché» Gesù pre-gasse, ma non sembra che sia scaturita un’ulteriore illuminazione del comeGesù Figlio di Dio esprimesse, attraverso la preghiera, ciò che la relazioneeconomica extratrinitaria, insita nella stessa preghiera, vuole esibire di quel-la immanente intratrinitaria con il Padre nello Spirito.

La volontà compiuta economicamente nel tempo dal Verbo incarnato come manifestazione delle sue relazioni intratrinitarie immanenti

Per antonomasia, infatti, la preghiera è una determinazione relazionale diun «io» che si relaziona al «tu», anche nel silenzio, visto che le situazionipiù intime dei rapporti umani non sono connotate solo dalle parole, ma an-che da un’assenza di parole a volte più profondamente rivelatrice. Con lasupposizione ancora oscura, dunque, che la preghiera di Gesù possa rifran-gere qualcosa delle sue parentele con l’alto dei cieli, è d’accordo anche I. dela Potterie, quando scrive:

La preghiera di Gesù è un mistero di silenzio interiore, di intima unio-ne con Dio, suo Padre, che egli ama e dal quale si sa amato, e con ilquale vive in perfetta unione. […] Questo però non significa che Gesùabbia pregato solo per esprimere la sua relazione filiale col Padre. Lasua preghiera è stata anche l’espressione della sua piena sottomissionealla volontà del Padre, essendo così strettamente legata al compimentodella sua missione messianica di salvezza 46.

Qui, precisamente, viene sottolineato un primo elemento che merita diessere immediatamente trattenuto: la forma della preghiera di Gesù pren-deva i contorni dal suo mandato di dover compiere – e dal suo progetto di

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45 «Sed quia in Christo est alia voluntas divina et alia humana; et voluntas humana nonest per seipsam efficax ad implendum ea quae vult, nisi per virtutem divinam: inde est quodChristo, secundum quod est homo et humanam voluntatem habens, competit orare»: SanctiThomae Aquinatis doctoris angelici opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P.M. edita.XI. Tertia pars Summae Theologiae [IIIa, q. 21, resp.], Typographia Polyglotta, Romae1903, 251ab.

46 I. DE LA POTTERIE, Het Gebed van Jesus, 9=11.

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voler compiere – la volontà del Padre e la relativa missione messianica disalvezza. Usando altri termini, non è eccessivo poter affermare che la pre-ghiera di Gesù esibiva nella storia la sua coscienza di essere stato mandatotemporalmente in missione – Egli che è da una missione eterna – per com-piere la volontà del Padre, il quale vuole che tutti gli uomini e le donnesiano salvati (1Tm 2,4). Accorgersi, pertanto, che il Figlio di Dio si ritiravaa pregare prima di alcuni momenti salienti della sua attività apostolica (Mt14,13; 15, 29; Mc 6,32-33; Lc 9, 10-11; Gv 6, 1-2) o prima di dover af-frontare i fatti ultimi di Gerusalemme (Lc 11,1a.13), teologicamente signi-fica dire ancora troppo poco; è l’essenza personale di Gesù Cristo incarna-to, in realtà, quella che si manifesta così, e non altrimenti proprio perchéEgli fa la volontà del Padre: «Io sono stato mandato non per fare la miavolontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). Per H. U.von Balthasar, per esempio, è lontano da qualsiasi dubbio di ordine esege-tico che il fare in tutto e per tutto la volontà divina da parte di Gesù, va let-to assieme alla doppia sottolineatura di essere stato mandato, per questo,dal Padre47.

Tuttavia, l’interrogativo rimane ancora in sottofondo: quali elementi dellasua eterna relazione intratrinitaria rivela, dunque, la preghiera di Gesù neltempo? È giunto il momento, allora, di inserire adesso la nostra convinzione,che è la seguente: se la preghiera di Gesù è l’espressione della sua piena sot-tomissione al Padre nel suo essere inviato nel tempo, potremo anche capirequalcosa in più del suo essere eterno intratrinitario, osservando come Egli ri-uscisse, nello scorrere delle ore, a fare la sua volontà nell’economia del tem-po. Con sorpresa, ci si accorgerà che il testo evangelico testimonia il passag-

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47 Secondo H. U. von BALTHASAR il versetto di Gv 6,38 «io sono disceso dal cielo nonper fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» è di importanza fonda-mentale poiché è «die Form seiner Existenz», la forma della sua esistenza: cf. H. U. VON

BALTHASAR, Theologie der Geschichte. Ein Grundriss, Johannes Verlag, Einsiedeln 19593,232=111 [tr. it. ID., Teologia della storia. Abbozzo, Morcelliana, Brescia 1964, 23]. Nella pri-ma stesura del 1950, egli aveva però parlato di «der Grund seiner Existenz», come fosse laragione, il fondamento della sua esistenza: cf. ibid., 232=111. I corsivi sono nostri. Questaintuizione, evidentemente, non si riscontra solo in Theologie der Geschichte, bensì anche inaltre opere. Le stesse idee, infatti, sono riprese per esempio in H. U. VON BALTHASAR, Theo-dramatik. IV. Das Endspiel, Johannes Verlag, Einsiedeln 1983, 80-83 [tr. it. ID., Teodramma-tica. V. L’ultimo atto, Jaca Book, Milano 1986, 78-81] e in ID., Verbum Caro. Skizzen zurTheologie, I, Johannesverlag, Einsiedeln 1960, 33-35 [tr. it. ID., Verbum Caro. Saggi teologi-ci, I, Morcelliana, Brescia 1968, 39-41].

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gio da un’ora all’altra della vita del Salvatore, in quanto intriso di preghieraobbediente o, il che è lo stesso, di obbedienza orante.

La forma di esistenza temporale della seconda Persona della Trinità incarnata è paradigma per un’esistenza spirituale nella storia

A livello riflessivo, appare immediatamente come vi siano delle strettissi-me correlazioni tra la forma di esistenza terrena di Gesù e l’essere intratrini-tario della seconda Persona, proprio nella misura del suo fare la volontà diDio nel tempo, espressa dalla preghiera. Esse sono fondamentalmente tre:totale ricettività della volontà del Padre, non-anticipazione dei tempi dellasua manifestazione e progressiva ispirazione da parte dello Spirito Santo alFiglio di questa volontà, secondo un’ottica di relazione trinitaria. Innanzitut-to, questa forma di esistenza del Figlio – che lo rende tale dall’eternità – sicaratterizza nell’ininterrotta ricezione48 dal Padre di tutto quello che Egli è, equesto lo costituisce un uomo, ma solo in quanto ne fa quest’uomo49. Il pas-saggio che conviene sottolineare sta appunto nel fatto che da una parte – e inprimo luogo – il Figlio comunica intratrinitariamente con il Padre nell’attoeterno e ininterrotto della sua stessa generazione – per la quale Egli da solo èimmagine e parola e risposta – mentre, dall’altra, è propriamente tale ricetti-vità che rappresenta in Cristo, nella sua forma di esistenza in quanto uomo,il tempo e la temporalità. Ne consegue, secondo Balthasar, che:

Proprio perché il Figlio è eterno, Egli assume, apparendo nel mondo, laforma di manifestazione della temporalità, in quanto, innalzandola, ne fala forma d’affermazione esatta, adeguata e corrispondente al suo eterno

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48 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Theologie der Geschichte, 24-25=26. Parlando del Figlio,BALTHASAR ribadisce altrove che questa totale e ininterrotta ricezione consiste, in realtà, inun rivolgersi del Figlio al Padre, mediante l’incontrarsi reciproco. Infatti «la sua eterna pre-senza come tale non è, nel senso originario del termine, uno stans, in se stesso, bensì in tuttoe per tutto una presenza piena di evento incontro al Padre, cioè una ereignisvolle (Ent-)Ge-genwart (dove “wart” appartiene al latino vertere, tedesco werden, nel senso di un volgersi:“essendo verso il senso del Padre”, on eis ton kolpon tou Patros, Gv 1,18). E in quanto l’e-vento è sempre l’a-venire di un sempre ogni volta stato, è anche sempre il superadempimen-to di un’attesa, un sempre ogni volta più immanentemente avverantesi»: H. U. VON BALTHA-SAR, Theodramatik. IV. Das Endspiel, 81=79.

49 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Theologie der Geschichte, 25=25.

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essere di Figlio. In questa temporalità si esprime con nitida precisione ilfatto che il Figlio, nell’eternità, non accoglie in sé nulla che non gli siadato durevolmente e in continuazione dal Padre, e non potrebbe posse-dere nulla altrimenti che nel Padre e per il Padre: come qualcosa che alFiglio viene continuamente offerto, restituito, con un semplice nuovo at-to d’amore. Pertanto è cosa vana cercare nel Figlio la contrapposizionefra una forma temporale e una forma eterna di esistenza50.

L’inserzione della dimensione della temporalità in Cristo, si constata – insecondo luogo – nel fatto che Egli non anticipi mai la volontà del Padre, maattenda pazientemente la sua ora (Gv 2,4)51, il cui termine di scadenza sfuggeallo stesso Gesù (Mc 13,32)52. Naturalmente, osserva Balthasar, il Figlio po-trebbe conoscerlo e misurarlo in anticipo, ma allora, appunto, non sarebbe piùFiglio, visto che la sua perfezione sta nell’obbedienza e non nel precorrere itempi53. Piuttosto, tutto deve essere ricondotto al mistero della sua estrema

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50 Cf. ibid., 27=26-27.51 Scrive BALTHASAR, a questo proposito, in Teodrammatica: «Se Gesù non anticipa né il

tempo, né il contenuto dell’ora, li concepisce tuttavia entrambi come una realtà inalterabil-mente stabilita da Dio (dei) e da affrontare da parte sua, del Figlio, e da superare assoluta-mente, e verso cui quindi egli si protende con il suo essere (Lc 12,50). Là è il peso e il cen-tro, là è la prova del fuoco della sua missione; per conseguenza è anche impossibile che lasua estensione non l’abbia sempre, e “formalmente” per così dire, davanti agli occhi, il chedel resto si dimostra già nella pretesa con cui egli entra in scena. Voler giustificare questapretesa (a incarnare l’autorità e maestà di Dio sulla terra) senza l’espressa prospettivadell’“ora” tradisce una certa ingenuità teologica. Ma noi diciamo inoltre che la cognizionenon anticipata dell’ora – il che appartiene all’obbedienza del Figlio – lascia aperta, a tuttaprima, solo la prospettica formale sulla totalità del mondo da riconciliare»; H. U. VON BAL-THASAR, Theodramatik. III. Die Handlung, Johannes Verlag, Einsiedeln 1980, 215 [tr. it. ID.,Teodrammatica. IV. L’azione, Jaca Book, Milano, 216] [TD IV].

52 «La necessità del patimento e della riprovazione può essere stata resa nota da parte diGesù stesso, dove però, come già si è detto, “ora non c’è da attendersi che Gesù ne espongala teologia prima di aver patito l’«ora»”. Ciò tanto meno in quanto che egli non anticipa af-fatto il contenuto smisurato dell’“ora”, ma ne rilascia la conoscenza al Padre (Mc 13,32), al-lo stesso modo che affida allo Spirito (e alla sua ispirazione) la sua interpretazione (Gv16,13-15)»; H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica, IV, 213=214.

53 In questo senso, ogni disobbedienza, e quindi ogni peccato, contiene – nella sua essen-za – un’anticipazione, un prevenire il tempo. Secondo BALTHASAR, pertanto, «la restaurazio-ne dell’ordine ad opera del Figlio di Dio doveva contraddire una tale “anticipata appropria-zione” della “conoscenza”. Doveva essere come un colpo sulla mano degli uomini stesa adafferrare l’eternità. Doveva rappresentare una marcia indietro dalla falsa eternità per ritorna-

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ke/nwsij e, in questa prospettiva, si inserisce il terzo momento della forma diesistenza del Figlio: Egli è il «sì» detto allo Spirito Santo, il quale gli comuni-ca di volta in volta la volontà del Padre in un dato istante54. Tutto avviene co-me all’interno di un dramma scenico, il copione del quale viene suggerito,nelle sue parti, all’attore, progressivamente, di modo che esso venga pensato,messo in scena e rappresentato in una certa contemporaneità55.

Fissando l’attenzione sulla preghiera di Gesù, pertanto, capiamo, per cosìdire, ex parte historiæ, quali sono i rapporti che la seconda Persona dellasanta Trinità ha con la prima (accoglienza della volontà, senza mai anticipar-la) e con la seconda (dire di «sì» sempre al progetto, una volta che è rivela-to) ex parte æternitatis e Trinitatis, per fare la volontà divina, come l’haadempiuta l’uomo Gesù Figlio di Dio, nella durata di tempo. Tuttavia, ciòche apparirà ancor più interessante è il calco paradigmatico propostoci perun’esistenza spirituale nella storia, spostando il nostro sguardo dalla Trinitàai nostri accadimenti quotidiani e domestici e ai relativi progetti «parroc-chiali». È, infatti, risaputo che qualsiasi progetto di casa nostra, più che dal-la determinazione spaziale, è assai più influenzato da quella temporale. An-che per noi Cappuccini, quindi, la conclusione appare alquanto significativapoiché è, in realtà, una riproposizione della spiritualità dell’imitatio Christi,la cui architettura – per quanto detto – si articola nel modo seguente: innan-zitutto, sentirsi detti dal Padre «figli» e «figlie» dal suo chiamarci tali, acco-gliendo la sua volontà; quindi compiere sempre la sua volontà, una volta checi è stata rivelata, senza anticipare e precorrere i tempi. Infine, compierla di-cendo di «sì» allo Spirito Santo che è il punto di intersezione, per noi, di Ge-sù Cristo nella storia, il che significa compiere la volontà del Padre, puntoper punto. In questo senso, i nostri progetti di programma per il futuro hanno

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re alla vera temporalità»: Cf. H. U. VON BALTHASAR, Theologie der Geschichte, 28-29=28.Vi è, pertanto, una differenza nell’attesa obbediente del «suo» tempo da parte del Figlio diDio e l’attesa dell’umanità in generale: «L’obbedienza, con tanta forza sottolineata in Gio-vanni, del Figlio fa sì che egli aspetti l’imprevedibile ora come un uomo qualunque, ma fapure sì che egli stesso d’altra parte stabilisca con elevatezza d’animo la non venuta o la ve-nuta dell’ora. Ciò che v’è di speciale nel suo rapporto col tempo emerge chiaro in 7,6: “Ilmio (giusto) tempo (kairòs) non è ancora venuto, il vostro è sempre presente”»; TD IV,216=217. L’occorrenza biblica è del Vangelo di Giovanni.

54 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Teodramatik. II/2, Die Personen des Spiels. Die Personenin Christus, Johannes Verlag, Einsiedeln 1978, 119 [tr. it. ID., Teodrammatica. III. Le perso-ne del dramma, Milano 19922, 123].

55 Cf. H. U. VON BALTHASAR, Theologie der Geschichte, 31=30.

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responsabilmente valore per quel tanto che sono finalizzati ad aiutare a farela volontà del Padre, nel Figlio, sottoposti al suggerimento dello SpiritoSanto. Da questa visuale, è possibile adesso affermare che la comprensionedella Trinità risulta, per noi, opera della storia, nella misura in cui essa ci èstata rivelata dal tempo e nel tempo durante il quale Gesù Cristo ha passeg-giato e parlato tra noi (Eb 1,2). Anzi, per riallacciarsi, con una postilla con-clusiva, al pensiero balthasariano, si può dire che la preghiera di Gesù, fattadurante la storia, ci svela che Egli è sempre stato e sempre sarà l’ininterrottapreghiera rivolta al Padre, perché il Figlio di Dio è quella Parola eterna cheEgli è56. Lui solo può dire al Padre: «Io so che sempre mi dai ascolto» (Gv11,42) ed è esattamente per questo che noi speriamo di porre con lui sceltebuone e responsabili nel tempo, le quali decideranno per sempre del nostrodestino eterno.

IIISintesi conclusiva

Il filo conduttore rosso di queste riflessioni che hanno voluto rimanere –come si diceva nell’introduzione – ai margini di una teologia trinitaria – puòessere anche formulato con quest’ultima proposizione: all’indomani delConcilio Vaticano II e dopo la Dei Verbum conviene accostare il trattato DeDeo, De Deo uno et Trino ponendo come punto di partenza e al centro lastoria della salvezza realizzatasi in Gesù Cristo57. Dopo tutte le precisazionifatte, si può anche dire: la Trinità giustifica la storia che passa, come tempoper fare la volontà di Dio, perché è la storia di Gesù Cristo incarnato che ciha insegnato come compiere la volontà divina tra gli anticipi e i ritardi deinostri progetti, tra le prognosi e i passaggi da un millennio all’altro. Eccoperché il Dio cristiano si può concepire, quindi, solamente come Trinità. SanBonaventura aveva inabissato al centro della storia e non alla sua fine – secosì ci si può esprimere – il peso del valore salvifico giustificante l’invio di

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56 Cf. H. U. VON BALTHASAR, «La preghiera cristiana», Communio 17 (4/1985), 4-16, ivi8-9. Importante è la sottolineatura che il teologo svizzero fa nell’edizione in lingua tedescadi Communio, enunciando il primo aspetto della preghiera cristiana: «Der erste Aspekt istder am deutlichsten in die Augen fallende: der trinitarische»: ID., «Das unterscheidendchristliche Gebet», Internationale katholische Zeitschrift Communio 14 (4/1985), 289-293,ivi 289. Il corsivo è nostro.

57 Cf. anche F. BOURASSA, «Sur le Traité de la Trinité», Gregorianum 47 (2/1966), 267-273.

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una Persona della santa Trinità in missione – spostando, quindi, il baricentrodella riflessione teologica verso l’adesso di Gesù nel tempo e nell’eternitàdella Trinità, mentre la riflessione sulla preghiera del Salvatore ha illumina-to, come un faro di luce, l’ultima cosa che ci resta ancora da esplicitare. Do-po aver spiegato attraverso la preghiera, infatti, il come Gesù fece la volontàdel Padre, è necessario ancora chiarire il «perché» la fece proprio così.

Tale domanda è strettamente legata anche a quest’altra, attraverso la qua-le essa si illumina: perché i frati missionari partono oggi per la missione,mandati come fu mandato Gesù, quasi in processione nella storia dei popoli?Perché fanno la volontà del Padre come l’ha adempiuta Gesù, rispecchiandoquasi perfettamente – così rivelano gli Atti degli Apostoli, così testimonianoi racconti dei martiri di oggi – il paradigma che è stato evidenziato? Se si vo-lesse rappresentare la risposta all’interrogativo con l’immagine geometricadi un’elisse, giustificare l’invio dei missionari con l’universalizzazione dellaVerità (primo fuoco dell’elisse) o per raggiungere lo scopo della cristianizza-zione dei popoli (secondo fuoco dell’elisse)58, teologicamente significhereb-be dire ancora troppo poco. L’unica risposta vera, l’assoluta ragione che rati-fica credibilmente e affidabilmente la partenza, inviata nel tempo e nellospazio, di uomini che annunciano oggi il Vangelo della salvezza è solo una:per amore. I missionari vanno in missione perché trasbordano nel tempo il«gioco» del circolo vitale trinitario59 che, dimorando innanzitutto tra le trePersone divine, trova all’esterno un suo termine nel piano della storia, rive-lato temporalmente per intero nel sacrificio del mistero pasquale di GesùCristo60: per amore si parte e si va, anticipando, così, la seconda venuta diGesù Cristo61. Quello è il centro che, quadrando l’elisse in un cerchio, rendela storia una liturgia d’amore dall’alto della Trinità, nello scorrere del tempo,

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58 Cf. JOANNES PAULUS II, «Litterae Encyclicae Redemptoris Missio [44-46] [-1990], Ac-ta Apostolicae Sedis 83 (4/1991), 249-340, ivi 290-293 [tr. it. ibid., Ed. Dehoniane, Bologna1991, 42-44].

59 E’ questa l’intuizione centrale di WILHELM KAHLES che emerge nel suo studio sullateologia della storia in RUPERTUS VON DEUTZ (1077-1135): W. KAHLES, Geschichte als Litur-gie. Die Geschichtstheologie des Rupertus von Deutz, Aschendorff, Münster 1960, 13-15.

60 Come ha ben evidenziato P. MARTINELLI, La morte di Cristo come rivelazione dell’a-more trinitario nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, Milano 1995, 342-366.

61 Si tratta, in definitiva, di un gesto d’amore che scaturisce dalla consapevolezza, sia diun’unità radicale di tutti i popoli proveniente dalla creazione – vi è un solo disegno divinoper ogni essere umano che viene a questo mondo» (Gv 1,9) –, sia di un’unità fondamentale

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rendendo ai fratelli e alle sorelle il servizio di anticipare, in qualche modo laParusìa, affinché tutto ciò accada presto (Ap 22,20).

Alla luce dell’interpretazione francescana della storia e della Trinità,insomma, passare dal secondo al terzo millennio non è così importan-te come, invece, vivere spiritualmente nel tempo presente per amore esolamente per amore, in modo da diventare «con-sorti» della Trinità inun’esistenza spirituale. Per amore si fanno progetti e si portano a com-pimento, rendendo nostra la sorte cruciforme della seconda Personadel Dio Triuno. E questo nel modo prescelto da Francesco d’Assisi, ilquale, contemplando l’amore di Dio nella storia di Gesù, rimirò quelloeterno presente nella santa triunità delle Persone. Spetta a lui, quindi,la conclusione del nostro tentativo teologico di riprensentazione deltrattato De Deo, De Deo uno et Trino. Che è questa: «Tu sei santo Si-gnore Iddio unico, che fai cose stupende», perché stupende le fai»62.

Il giubileo: riflessione biblica

Dino Dozzi, ofm cap

Siamo ormai alle porte del grande Giubileo del duemila. Che tipo di Giu-bileo vogliamo celebrare? Ci sono tre Giubilei: quello delle istituzioni, quel-lo dei cristiani, quello di Dio. Quello delle istituzioni, incentrato sul pellegri-naggio di milioni di persone, con tutti i risvolti logistici, culturali, economiciche comporta, ma non interessa noi qui. Portiamo la nostra attenzione alGiubileo dei cristiani e, prima ancora, al giubileo di Dio.

Prenderemo in considerazione alcune pagine bibliche: Lev 25, 1-46 e ilsuo parallelo Dt 15, 1-15; Lc 4, 16-21; Mt 18, 21-35; Mt 6, 9-15.

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basata sul mistero della redenzione universale in Cristo: cf. J. DUPUIS, Jésus-Christ à la ren-contre des Religions, Desclée, Paris 1989, 289-291 [tr. it. ID., Gesù Cristo all’incontro dellereligioni, Cittadella Editrice, Assisi (PG), 315-317]; cf. anche W. KASPER, Der Gott JesuChristi, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1982, 158-159 [tr. it. ID., Il Dio di Gesù Cristo,Queriniana, Brescia 1984, 172].

62 FRANCISCI ASSISIENSIS, Laudes Dei altissimi [1], FF 1, 45-48, ivi 45-46. I corsivi sononostri.

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1. Lev 25, 1-46 e Dt 15, 1-15: Un’intuizione straordinaria e una moti-vazione perenne

Lev 25, 1-46

1 Il Signore disse ancora a Mosè sul monte Sinai: 2 «Parla agli Israelitie riferisci loro: Quando entrerete nel paese che io vi do ... ».

Seguono le norme per l’anno sabbatico, ogni sette anni, poi si inizia aparlare dell’anno del Giubileo, ogni cinquant’anni:

10 Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la libera-zione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognu-no di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia...23Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia evoi siete presso di me come forestieri e inquilini...39 Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te,non farlo lavorare come schiavo; 40sia presso di te come un bracciante,come un inquilino. Ti servirà fino all’anno del giubileo; Mallora se neandrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rien-trerà nella proprietà dei suoi padri. 42Poiché essi sono miei servi, cheio ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti comesi vendono gli schiavi. 43Non lo tratterai con asprezza, ma temerai iltuo Dio. 44 Quanto allo schiavo e alla schiava, che avrai in proprietà,potrete prenderli dalle nazioni che vi circondano; da queste potretecomprare lo schiavo e la schiava.

Dt 15, 1-15

1Alla fine di ogni sette anni celebrerete l’anno di remissione. 2Ecco lanorma di questa remissione: ogni creditore che abbia diritto a una pre-stazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, la-scerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fra-tello. quando si sarà proclamato l’anno di remissione per il Signore.3Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confrontidi tuo fratello, lo lascerai cadere...12Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per seianni, ma il settimo lo manderai via da te libero. 13Quando lo lasceraiandare via libero, non lo rimanderai a mani vuote; 14gli farai doni dal

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tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Si-gnore tuo Dio ti avrà benedetto; 15ti ricorderai che sei stato schiavo nelpaese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato.

In Lev 25 si parla dell’anno sabbatico e poi dell’anno del giubileo; in Dt 15si parla solo dell’anno sabbatico. Ma lo spirito e la normativa sono sostanzial-mente gli stessi: l’anno del giubileo è più raro, quindi più importante.

L’istituzione dell’anno sabbatico ogni sette anni (Lev 25 e Dt 15) e del-l’anno del giubileo ogni cinquant’anni (Lev 25), con le sue norme riguardan-ti il lasciare riposare la terra, liberare gli schiavi e condonare i debiti è un’in-tuizione davvero straordinaria.

Ciò che viene richiesto per l’anno del giubileo è certo notevole, ma fon-damentale è la motivazione su cui si basa questa norma: tutto è dono di Dio.Lev 25, 2: “Quando entrerete nel paese che io vi do...”; Lev 25, 23: “Le ter-re non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete pres-so di me come forestieri e inquilini”; Lev 25, 42: “Poiché essi sono miei ser-vi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto: non debbono essere venduti co-me si vendono gli schiavi”; Dt 15, 15: “ Ti ricorderai che sei stato schiavonel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato”.

Ci sono però due grossi limiti: il primo è che queste norme restarono soloa livello ideale, e non riuscirono a tradursi in pratica; il secondo limite, incerto senso ancor più grave, è che queste norme di condono e di liberazioneriguardavano solo Israele e non le persone di altri popoli.

Per trovare la concretizzazione di questa intuizione, la sua universalizzazio-ne e la totalità del condono e della liberazione, dobbiamo arrivare a Gesù. Èlui a proclamare e a realizzare la liberazione giubilare totale, per tutti e sem-pre: è questo il lieto messaggio che Gesù porta nella sinagoga di Nazaret.

2. Lc 4, 16-21: La realizzazione del giubileo totale, per tutti e sempre

Gesù si recò a Nazaret, dove era stato allevato, ed entrò, secondo il suosolito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo delprofeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signoreè sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandatoper annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri laliberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predica-re un anno di grazia del Signore.

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Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi ditutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: «Oggisi è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».

Il nostro testo cita letteralmente Is 61, 1-2 che sintetizza il Giubileo de-scritto in Lev 25 e in Dt 15. Gesù dichiara solennemente aperto l’anno digrazia del Signore, cioè il Giubileo.

In questo brano programmatico e fondamentale in Luca, troviamo quattroelementi intimamente collegati tra loro: la Parola, lo Spirito, la consacrazio-ne, la missione. Esprimono la vocazione-identità di Gesù, ma anche quelladi ogni cristiano.

È Parola quella evangelica e quella profetica (Is 61, 1-2). Il frutto dellapresenza intima e stabile dello Spirito in Gesù è la consacrazione (Gesù Cri-sto = Gesù il consacrato), e la consacrazione è indirizzata alla missione: èimportante e illuminante rispettare l’ordine e la dipendenza di queste realtà.Prima c’è il dono della Parola e dello Spirito che consacrano, cioè creano,dichiarano e testimoniano l’appartenenza a Dio; poi c’è la missione cheesprime questa consacrazione.

Ciò che precede e fonda tutto è il dono di Dio, esattamente come per lenorme dell’anno del Giubileo. Tutto inizia con il dono gratuito di Dio, con ilGiubileo di Dio nei confronti di Gesù. che è poi inviato ad annunciare ilGiubileo di Dio nei confronti degli uomini (tutti, non solo gli Israeliti).

Colui che viene consacrato dalla Parola e dallo Spirito è chiamato a farsisegno, non tanto della risposta dell’uomo, ma prima di tutto e soprattutto deldono di Dio, cioè della propria consacrazione. Il consacrato diventa così an-nunciatore di una lieta notizia da comunicare: la predilezione di Dio per ipoveri e i peccatori, l’universalità dell’amore di Dio, la gioia di aver incon-trato personalmente questo dono evangelico. Il consacrato diventa annuncia-tore del Giubileo di Dio per sé e per tutti.

È questo ciò che Gesù il Consacrato ha fatto. Ha vissuto la sua consacrazio-ne, la sua totale appartenenza al Padre, la sua vocazione-identità, e, al tempostesso, la sua totale dedizione alla missione,. divenendo l’incarnazione visibilee storica del lieto messaggio dell’amore di Dio per l’uomo. Accogliendo i pub-blicani e i peccatori, ad esempio, svelava il volto accogliente di Dio.

Questa è la terminologia di Luca e, in genere, dei Sinottici. Diamo unosguardo alla terminologia di Giovanni. Nello scontro con i Giudei durante lafesta della dedicazione, Gesù definisce se stesso come “Colui che il Padre hasantificato e inviato nel mondo” (Gv 10, 36). Qual è il rapporto tra i due ter-mini?

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“Santificato” significa che Gesù appartiene al Padre, talmente unito a Luida poter dire: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30) e la “missione”altro non è che rivelare al mondo questa appartenenza: “Perché sappiate econosciate che il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10. 39).

Gli stessi due verbi “santificare” e “inviare” ricompaiono nella preghierasacerdotale di Gv 17: “Santìficali nella verità. Come tu mi hai mandato nelmondo, anch’io li ho mandati nel mondo. E per loro io santifico me stesso,perché siano anch’essi santificati nella verità” (Gv 17, 17-19).

Santificare è la parola che esprime la totale appartenenza a Dio, soltanto aDio. Lo spazio della verità nella quale i discepoli sono introdotti è lo spaziotrinitario.

L’essenza della missione di Gesù è di rendere visibile a tutti e disponibileper tutti lo spazio della comunione trinitaria, il Giubileo di Dio per tutti. Pri-ma del fare c’è dunque l’essere. È il rapporto con il Padre che determina,qualifica e rivela il rapporto di Gesù con gli uomini. La stessa logica e lastessa priorità valgono per la vocazione-missione del cristiano.

L’amore di Gesù per gli uomini, il Giubileo che egli offre, è conseguenza,continuazione e trasparenza dell’amore di Dio per lui, del Giubileo del Padreper lui. Per Gesù il dono di sé è il modo per rivelare agli uomini chi è Dio. Ildono di sé è rivelazione del Dio che ama, che accoglie, che perdona, che èamore.

La misura dell’amore del cristiano - vale per Gesù e per noi - non sono ibisogni degli uomini da soddisfare, ma la ricchezza dell’amore di Dio da ri-velare.

3. Mt 18, 21-35: Perché perdonare e condonare?

21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovròperdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?».22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta voltesette.23A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conticon i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gliera debitore di diecimila talenti. 25Non avendo però costui il denaro darestituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con ifigli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26Allora quelservo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore. abbi pazienza con me e

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ti restituirò ogni cosa. 27Impietositosi del servo, il padrone lo lasciòandare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò unaltro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo sof-focava e diceva: Paga quel che devi! 2911 suo compagno, gettatosi aterra, lo supplicava dicendo: abbi pazienza con me e ti rifonderò il de-bito. 3°Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere,fino a che non avesse pagato il debito.31Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andaronoa riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fecechiamare quell’uomo e gli disse: servo malvagio, io ti ho condonatotutto il debito perché mi hai pregato. 33Non dovevi forse anche tu averpietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34E, sde-gnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesserestituito tutto il dovuto. 35Così anche il mio Padre celeste farà a cia-scuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

Questa parabola di Gesù è quella che meglio di tutte rivela il nucleo e lalogica evangelica.

Il Giubileo è conversione alla logica del dono e della gratuità. Dal dono,dal condono e dal perdono gratuitamente ricevuti, al dono, al condono e alperdono gratuitamente offerti. Il Giubileo è conversione evangelica, cioèconversione alla bella notizia del dono ricevuto.

Prima dobbiamo sentirci destinatari del Giubileo. Solo dopo troveremo laforza e la gioia di sentirci soggetti attivi del Giubileo. Prima dobbiamo sen-tirci liberati per poi liberare.

E non si fa tutto in un giorno e neppure in una vita intera. Il cammino bi-blico di conversione è continuo, graduale e progressivo. Non si impara aperdonare in un giorno. La Bibbia è sublime testimonianza della pazienzaeducatrice di Dio che sa porsi con condiscendenza a fianco del suo popolo,adattandosi alla sua situazione e al suo passo e mai abbandonandolo. Crono-logicamente siamo nel NT, ma esistenzialmente?

La scoperta di Dio come Padre, l’abbandono fiducioso in lui, la capacitàdi gustare il perdono di Dio per poi trovare la gioia di perdonare a nostravolta sono graduali e progressivi.

Fare il Giubileo significa ripartire non da ciò che dobbiamo fare noi perritornare a Dio, ma da ciò che sente e fa il Padre (o il pastore che ha perso lapecora o la donna che ha perso la dramma) nei nostri confronti. Non si ri-parte da noi o dal dovere, ma da Lui e dal suo cuore paterno, dal suo rispet-

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to per la nostra libertà, dalla sua fiducia in noi. Per fare il nostro Giubileonei confronti degli altri, dobbiamo partire dal Giubileo di Dio nei nostriconfronti.

Fare il Giubileo non significa basarsi sulla perfezione fiscale, sulla giusti-zia retributiva, sulla rivendicazione meritocratica, ma sullo stupore ricono-scente di riscoprirsi figli in casa propria.

Fare il Giubileo è compiere un pellegrinaggio alle fonti, alla fonte stessadella nostra esistenza, della nostra vocazione, della nostra identità. Fare ilGiubileo vuol dire scoprirsi figli.

“Siate misericordiosi... come il Padre vostro” (Lc 6, 36) “Siate perfetti...come il Padre vostro” (Mt 5, 48) “Siate figli del Padre vostro” (Mt 5, 45).

L’elemento comune e da sottolineare è “come il Padre vostro”.I mezzi di comunicazione hanno acquisito oggi una forza straordinaria:

ma che cosa viene comunicato? Soeren Kierkegaard diceva che la societàsomiglia ad una nave in cui il megafono del comandante non trasmette più lecoordinate della rotta, ma si limita a far conoscere il menù di quanto si man-gerà. Radio, TV, stampa trasmettono valori o menù? È urgente trasmettere labella notizia del Giubileo che Dio offre a tutti in Gesù Cristo.

4. Mt 6, 9-15: Dal Giubileo di Dio al nostro Giubileo

Mt 6, 9-15

9Voi dunque pregate così:Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno;sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti co-me noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione,ma liberaci dal male.Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro ce-leste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini,neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Il Padre nostro è il più breve, il più chiaro e il più completo riepilogo delmessaggio di Gesù, ed è quindi il più breve, il più chiaro e il più completomanuale per passare dal Giubileo di Dio al nostro Giubileo.

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Il Padre nostro è la preghiera del discepolo di Gesù, di un uomo, cioè, chevive tutto raccolto nell’attesa del Regno di Dio. Il discepolo è un uomo cheprende sul serio l’avvertimento evangelico: «Cercate prima il Regno di Dioe la sua giustizia, e il resto vi sarà dato di più».

Le prime tre richieste del Padre nostro esprimono un solo grande deside-rio: «Venga il tuo Regno». Se chi le recita non desidera Dio e il suo Regno,tutto si svilisce: il Padre nostro diventa una formula abituale, una confusadomanda generale in cui si chiede a Dio tutto e niente. Il Padre nostro è unapreghiera che richiede delle condizioni di verità che non sono di tutti, è unapreghiera impegnativa.

Pregare il Padre nostro è un atto di dignità e di coraggio, di confidenza edi responsabilità: è un riassunto dell’intero Vangelo, e ogni sua frase deveessere accuratamente meditata e compresa.

Padre

Solo chi riesce a cogliere tutta la densità di significato di questa invoca-zione iniziale può pregare con il Padre nostro. “Abbà” è la caratteristica di-stintiva della preghiera di Gesù (170 volte nei Vangeli).

Per i discepoli dovette essere una cosa sconvolgente che Gesù desse lorol’autorizzazione di dire “Abbà” come faceva lui: con tale autorizzazione Gesùrende i discepoli partecipi del suo privilegio di Figlio. Sono figli nel Figlio, co-stituiscono la famiglia di Dio e possono chiamarlo “papà”. E questo nuovo rap-porto filiale che apre le porte del Regno di Dio: “Se non diventerete come ibambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18, 3). Solo chi si sente figliopuò dire “papà”; solo chi trova in se stesso una piena fiducia filiale nei con-fronti di Dio, appartiene al Regno di Dio. È il concetto espresso anche da Pao-lo in Gal 4, 6 e in Rom 8, 15: il grido di “Abbà” è il segno che uno è figlio diDio e che lo Spirito di Dio abita in lui. I sentimenti filiali di chi recita il Padrenostro sono espressi dal termine “parresìa”, disinvolta e confidente familiarità.

Rm 8, 15: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nel-la paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del qualegridiamo: Abbà, Padre”.

Nostro

L’amore di Dio, il Giubileo di Dio, è per tutti e invita gli uomini a radu-narsi; ad un unico padre deve corrispondere una famiglia unica; chiamare

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Dio “Padre nostro” vuol dire riconoscersi la famiglia dei figli di Dio, una fa-miglia vasta come l’umanità. Perché Dio è insofferente delle discriminazio-ni: fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i cattivi (Mt 5, 44-45).

Si noti l’uso del plurale anche nella domanda del pane, del perdono e del-l’aiuto nella prova. In ogni sua richiesta il discepolo deve pensare a tutta lafamiglia, a tutta l’umanità. La preghiera del Padre nostro rompe ogni formadi settarismo, di cupidigia, di egoismo e apre al nostro Giubileo.

L’amore di Dio discende, ma la nostra risposta non deve anzitutto preoccu-parsi di risalire verso di Lui, bensì di estendersi agli altri. La nostra risposta alPadre consiste, prima di tutto, nel comportamento fraterno che sappiamo assu-mere nei confronti di tutti. Invocare Dio come “Padre nostro” significa ricono-scersi figli di un unico Padre e quindi fratelli. L’amore del Padre è guidato dal-la gratuità, non dalla reciprocità. Il dono, il perdono e il condono sono incondi-zionati, diversamente “così fanno anche i pagani” (cf. Mt 5, 43-48).

Che sei nei cieli

Questa aggiunta di Matteo richiama la trascendenza e l’alterità di Dio:Dio è vicino e lontano, è Padre e Signore. Ogni autentico rapporto religiosorisulta di confidenza e di timore, di familiarità e di obbedienza. Lui è ilCreatore e noi sue creature; nulla ci è dovuto; tutto è suo dono gratuito. Lapreghiera del Padre nostro rifiuta ogni forma di autosufficienza.

Sia santificato il tuo nome

Le prime tre richieste riguardano il nome, il regno, la volontà di Dio: èben evidente la “direzionalità” del Padre nostro.

La prima domanda chiede a Dio di rivelarsi nel mondo salvandolo, e conciò si chiede anche che noi diventiamo un involucro trasparente, capace dimostrare a tutti la presenza salvifica e santificante di Dio. La vocazione adessere “santi come lui è santo” (Lv 11, 44) si attua quando si riconosce a Dioil posto che gli compete.

La vera santificazione del nome di Dio non indica tanto una lode fatta diculto e di parole, quanto piuttosto un permettere a Dio di svelare, nella vitadel singolo e delle comunità, la sua potenza salvifica e vivificante.

Venga il tuo regno

Il regno di Dio è la presenza e l’azione salvifica di Dio; il regno di Dio èil grande oggetto della predicazione di Gesù, ma anche di tutta la sua presen-

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za storica tra di noi. Il regno di Dio è già presente in mezzo a noi e sta “ve-nendo” sempre di più in modo lento e progressivo. Questa richiesta del Pa-dre nostro fa riferimento alla venuta definitiva e finale del regno di Dio inmezzo a noi. Era il senso della preghiera della Chiesa primitiva “Maranatha”, “Signore nostro, vieni!”.

“Venga il tuo regno” è una preghiera che sollecita la conversione e ricor-da che la giornata terrena dell’uomo dev’essere segnata dalla continua ricer-ca del regno di Dio prima e al di sopra di ogni altra cosa, lasciando il mondodelle parole evanescenti per assumere generosamente gli impegni ai quali ilSignore chiama, divenendo suoi collaboratori.

Il cristiano non è chiamato ad annunciare un regno di Dio come lui lo im-magina, ma come Gesù lo ha veramente annunciato. Per mostrare il regno diDio Gesù ha accolto, servito, perdonato. La misericordia di Gesù superaogni differenza fra gli uomini, travolge ogni barriera emarginante.

Gesù vede l’uomo davanti a Dio, e le altre cose per lui scompaiono: seappartiene a una razza o a un’altra, a una cultura o a un’altra, persino se ègiusto o peccatore. Gesù vede l’uomo come Dio guarda quell’uomo: questoè lo sguardo nuovo che scende nella profondità dell’uomo e incoraggia sen-timenti e atteggiamenti giubilari.

Sia fatta la tua volontà

Si chiede che venga accettato il progetto di salvezza di Dio con le moda-lità da Lui scelte. Le tre prime richieste sono intimamente collegate tra loroanche nel significato: il nome di Dio è santificato e il regno di Dio vienequando noi facciamo nostra, filialmente, la volontà di Dio.

Queste tre richieste sono anche un esempio chiarissimo del significatoprofondo della preghiera, che non ha lo scopo di cambiare Dio (o di ricor-dargli che cosa deve fare) ma di cambiare noi: “Sia santificato il tuo nome”significa “Aiutaci a permettere che il tuo nome venga santificato, “Venga iltuo regno” significa “Aiutaci a non ostacolare la venuta del tuo regno”; “Siafatta la tua volontà significa “Aiutaci a fare la tua volontà”.

Come in cielo così in terra

Si prega perché Dio sia dovunque santificato, il suo regno venga esteso atutto il mondo e la sua volontà sia fatta in ogni angolo della terra. È una pre-ghiera di grande respiro. Come in cielo il nome di Dio è santificato, il suo

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regno perfettamente compiuto e la sua volontà obbedita, così avvenga sullaterra.

Il regno di Gesù è qui, nel mondo, ma la sua origine viene da altrove. Ecosì è il cristiano: vive nel mondo, ma le regole del proprio vivere le mutuada un’altra parte, dal mondo di Dio, la sua regola di vita obbedisce a un’altralogica.

Gesù prega perché il dialogo di conoscenza e di amore che circola fra Luie il Padre venga esteso alla comunione dei discepoli fra loro. L’amore vicen-devole è il risvolto umano, terrestre, già ora possibile, del mondo divino. Ilnostro Giubileo è frutto e prolungamento del Giubileo di Dio per noi.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

La richiesta del pane è la più umile, ma è al centro e questo ne indical’importanza. Il pane indica tutto ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra vi-ta materiale e spirituale. Come è dono di Dio la nostra vita, così è suo donociò che serve alla nostra vita.

Il pane è “nostro”, frutto del nostro lavoro, e tuttavia lo si chiede al Padrecome un dono. Da qui traspare un vivo senso di dipendenza da Dio e un vivosenso di solidarietà. Il cristiano che recita il Padre nostro prega al plurale,chiede il pane comune, il pane per tutti, non soltanto per se stesso. Questo èl’ideale perseguito dalla prima comunità di Gerusalemme, non quello dellapovertà volontaria, ma quello di una carità che non può tollerare che vi sianofratelli nell’indigenza.

Dalla domanda del pane traspare anche un vivo senso di sobrietà (“quoti-diano”). Si chiede al Padre il pane sufficiente per oggi, nulla di più. Nessuninutile affanno, nessuna passione per l’ accumulo. Il regno al primo posto, ilresto quanto basta. Affannarsi per l’accumulo è idolatria.

Rimetti a noi i nostri debiti

Facci dono del tuo Giubileo. Il perdono e la riconciliazione sono il grandedono che ha fatto irruzione nel mondo con Gesù, che ha dichiarato aperto“l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 19), si è fatto “amico dei peccatori”(Mt 11, 19), ha dato la sua vita “in remissione dei peccati” (Mt 26. 28).La perfida e inarrestabile spirale dell’odio e della violenza si arresta solomettendosi coraggiosamente nella logica del perdono ricevuto e offerto; solocosì si può passare alla “felice spirale dell’amore” (S. Kierkegaard).

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Come noi li rimettiamo ai nostri debitori

Siamo al cuore del Giubileo. Chiedendo perdono a Dio, ci si dichiara dis-posti a perdonare i nostri fratelli: la sincerità della nostra preghiera la si rico-nosce dalla sincerità della disponibilità al perdono. In tutto il Padre nostro,questo è l’unico riferimento all’atteggiamento umano: segno della sua im-portanza. Chiamare Dio “Padre nostro” vuol dire riconoscere gli altri comenostri fratelli e quindi essere disposti a perdonarli. Si chiede e si riceve ilperdono di Dio per poi distribuirlo attorno a noi. Il perdono del Padre è ilmotivo e la misura del perdono fraterno (cf. la parabola del servo spietato inMt 18, 23-35).

Il perdono di Dio e il nostro perdono ai fratelli sono legati da un “come”,che non significa che il nostro perdono costituisca la ragione, la misura e ilmodello del perdono di Dio. Sarebbe un modo capovolto di guardare Dio! Ilsuo perdono precede sempre il nostro: è incondizionato, gratuito e senza mi-sura. Il perdono ai fratelli è di assoluta importanza. Il legame col perdono diDio è stretto, addirittura in un certo senso necessario. Anche il perdono dato,e non solo il perdono ricevuto, è decisivo.

In Mt 5, 44 Gesù ci dice di amare i nemici e di pregare per loro. Accetta-re di essere perdonati significa entrare in un circolo nuovo di rapporti, nelquale i criteri dello stretto dovuto diventano inadeguati. Se ci si ricorda diessere stati perdonati, non si può più essere i difensori della rigida giustizia,al punto da volerla imporre anche a Dio.

Il perdono fraterno va preso sul serio. Se non dai il perdono, significa chenon hai compreso il perdono ricevuto. E’ come se il perdono di Dio dentro dite svanisse. Il perdono al fratello è la prova che il perdono di Dio l’abbiamoveramente ricevuto, accolto, e che veramente ci ha trasformato.

Non ci indurre in tentazione

Va inteso nel senso spiegato da Giacomo (cf. 1, 13): non permettere chenoi soccombiamo nella tentazione. C’è il singolare: si tratta della grande ten-tazione alla quale si riducono tutte le altre, la tentazione di perdere la nostrafiducia in Dio, sentito come Padre. Soccombere a questa tentazione sarebbedavvero terribile, perché significherebbe perdere davvero tutto.

Non ci sono solo le prove eccezionali, ma anche le prove comuni, la mo-notonia della vita, il logorio del quotidiano; per spegnere gli entusiasmi, an-che i più genuini, a volte basta il tempo che passa. È come un tarlo che gior-

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no dopo giorno, senza apparenti mutamenti, può svuotare di ogni consisten-za la fede.

Ma liberaci dal male

Sarebbe meglio dire “dal maligno”. La preghiera di Gesù si apre con ilPadre e si conclude con il ricordo del maligno. L’uomo è nel mezzo con lasua libertà. Il Padre è più forte del maligno, ma il dramma rimane, perchél’amore non può essere fondato che sulla libera scelta, e dunque la prova èinevitabile.

La vita cristiana è un processo continuo di liberazione dal male e dal pec-cato. E ognuno ha un suo ruolo specifico in questa liberazione personale eglobale dal male e dal peccato nelle sue forme diverse.

Il primo atteggiamento che il cristiano deve assumere di fronte al male èl’umiltà di riconoscersi peccatore. La serenità poggia sulla certezza del per-dono di Dio, non sull’illusione di essere senza peccato. Il male non va com-battuto fuori, nelle cose, negli altri, ma in noi stessi.

Accanto all’umiltà ci vuole un atteggiamento di vigilanza, perché il no-stro cammino non può mai dirsi definitivamente confermato in una direzio-ne.

Clemente d’Alessandria ci ha conservato un detto del Signore che nonfigura nei Vangeli: “Chiedete le cose grandi e Dio vi concederà anche lepiccole”. Voi pregate male, dice Gesù. Le vostre preghiere si muovono nel-la sfera del vostro piccolo io, dei vostri desideri immediati e spesso capric-ciosi. Domandate le cose grandi, la santificazione del nome di Dio, la venu-ta del suo regno, il compimento della sua volontà, quanto ci serve per vive-re, il suo perdono. Il Padre nostro ci insegna a chiedere queste cose grandied essenziali; il Padre sa che abbiamo bisogno anche di altre piccole cose, ece le darà.

Quando degli uomini, ovunque si trovino, hanno l’ardire, nel nome diGesù, di rivolgersi con la confidenza dei figli al Padre per chiedergli di rive-lare la sua presenza salvifica nel mondo, rendendoli figli obbedienti e rico-noscenti, chiedendogli perdono e dichiarandosi disposti a perdonare ai fra-telli, li, in quel momento si attua già oggi il dominio regale di Dio sulla vitadei suoi figli; lì, in quel momento il Regno di Dio viene in mezzo a noi; lì inquel momento si ha il Giubileo, l’anno di grazia del Signore.

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Contributo francescano al Giubileo

Theo Jansen, ofm cap *

Premesse

Non avevo riflettuto sul contributo al Giubileo, prima che fr. GiuseppeCelli mi telefonasse per parlare di questo argomento. Ora devo ringraziarlodell’invito perché mi sembra proprio un’occasione per tutti noi di cogliere lapreziosità del dono che Dio ci fa; sono contento anche di aver valutato me-glio che il Giubileo non è, prima di tutto, qualcosa che parte da noi, dalleistituzioni, e mi sono messo anch’io nella prospettiva del Giubileo dei cri-stiani, del Giubileo di Dio, perché anche questo mi sembra essere un contri-buto francescano.

Mi sono posto questa domanda: cosa san Francesco farebbe oggi, o forse,meglio: cosa gli direbbe Cristo oggi? La risposta mi sembra possa esseredoppia, ma in sostanza uguale nel contenuto. Da una parte forse questo gri-do: “amor non amatur”. Questo amore di Dio, questo dono di Dio, del Giu-bileo non viene recepito come tale. Siamo realistici: tante persone neancheriflettono sulla grandezza di questa opportunità che Dio vuole darci, quindic’è veramente tanto da fare anche in questo senso. Prima di tutto accoglierequesto dono. Può essere data anche la risposta all’altra domanda: cosa direb-be oggi Cristo a Francesco, e quindi a noi? Direbbe, penso, “Francesco, va eripara la mia casa”. La stessa frase che Gli disse in S. Damiano. Badate be-ne, è una richiesta fatta ad una persona, chiamandola per nome: “France-sco”, (… va e ripara la mia casa). Così anche il Giubileo e le tante cose bel-le che sentiamo, diventano un richiamo personale, per ognuno di noi.…Agostino, Bruno, Matteo, ripara la mia casa. E la mia casa, l’abbiamo giàsentito accennare stamattina, è la sua presenza in noi, secondo la Regola nonbollata; ma non solo, è anche la presenza di Dio nel suo corpo, che è laChiesa: ripara la mia Chiesa, come Corpo mio, come comunità mia, o anco-ra, in senso più ampio l’“oikos”; tutta l’umanità, tutta la creazione, datemil’occasione di ritornare in quello che è mio, la libertà dell’uomo di accoglie-

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* La trascrizione da registrazione - non rivista dal relatore - è stata curata da DomenicoDel Signore.

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re il dono. Questo mi sembra anche il contributo che viene richiesto a noi.Avete già capito che non è tanto importante se siamo francescani o meno,ma che accogliamo questo dono, perché è un dono fatto a tutti. Come proce-dere, allora, per individuare un contributo specifico francescano al Giubileo?Mi sembra di poter dire tre cose: A) Evidenziare la vita che già c’è e non in-ventare la vita che non c’è. B) Essere aperti allo Spirito Santo affinché possadarci la vita che dev’esserci.

A) La vita che già c’è

Forse in questo c’è bisogno di un processo di conversione da parte no-stra. Perché in genere siamo molto facili a scoraggiarci o a parlare male de-gli altri, meno di noi stessi, ma talvolta anche di noi stessi, senza renderciconto che, veramente c’è già tanta vita tra di noi. E, dato che parliamo delcontributo francescano, la famiglia francescana esiste già da 800 anni. È lagrande famiglia del primo Ordine, del secondo Ordine e del terz’Ordine, conla sua lunga e gloriosa, seppure travagliata, storia. Il dono che già c’è, èquindi da valorizzare. Non dobbiamo cominciare da zero, e neanche azzera-re tutto quello che c’è. Anzi, proprio questa vita francescana, oggi, è presen-te in tutti e cinque i continenti. Mai come adesso, quel dono dato a France-sco, il suo carisma, può influire in tutto il mondo, e realizzare una fraternitàuniversale. Questa vita che già c’è, è inserita in tutta la Chiesa, la Chiesapostconciliare in cammino verso il terzo millennio. Dovunque vi sono mo-menti di riflessione: “cosa lo Spirito vuole da noi, oggi, con il Giubileo?”Serve tanto a noi, e serve a 6 miliardi di uomini che sono amati da Dio, chia-mati a scoprire questo dono, a scoprire di avere un Padre. Quindi, anche tut-ti coloro che sono di fede diversa, sono oggetto dell’amore del Padre. Anchecoloro che non hanno una fede, possono e devono scoprire questo amore.

Guardiamo più da vicino il nostro Ordine cappuccino, siamo 11.000 più omeno, ci stiamo preparando al Capitolo generale per il prossimo anno; proprionell’anno giubilare, e, direi, anche alla celebrazione del quinto centenario delnostro Ordine, nel 2028; spero di vivere ancora, sono del 1941, quindi, se se-guo il buon esempio di p. Optato, mio maestro, vi arriverò di sicuro! Questoaccenno, mi serve per fare una proposta: se guardiamo ai cappuccini italiani,qui rappresentati da tutti i ministri provinciali e da tutti coloro che hanno com-piti organizzativi per animare le Province, anche qui è vita che già c’è, con lesue luci e ombre, con 50 novizi, con tanti frati che diventano sempre più vec-chi, con tante case, che sempre più si svuotano, con tante richieste di lavoro…;

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tutto questo non devo dirvelo io, perché questa è la vita quotidiana, ma, forse,è necessario un momento in cui guardiamo, non solo il menu, che ci viene pro-posto ogni giorno, perché anche nell’agenda di ogni giorno non ci sono le coseimmediate da risolvere, ma che mi sembra questa giornata possa servire a ve-dere quale rotta prenda la nave, di noi cappuccini in Italia.

B) Essere aperti allo Spirito Santo

Tralascio quello che non c’è, ossia non inventare la vita che non c’è. Arri-viamo a quanto volevo dire come seconda parte: cosa indica lo Spirito chedovrebbe esserci. Solo un accenno, proprio per non illudersi. A volte faccia-mo tanti bei discorsi campati in aria; vogliamo essere realistici e vedere que-sto dono del Giubileo in senso realistico. O cambia qualcosa nella nostra vi-ta personale, nella nostra comunità, nelle nostre Province, nel nostro Ordine,nella nostra Chiesa, nell’umanità, oppure tutto il Giubileo rimane al primolivello a cui ha fatto cenno fr. Dino, ovvero intendere il Giubileo semplice-mente come istituzione, come pellegrinaggio. Questi aspetti lasciano il tem-po che trovano. In questo modo il Giubileo ci lascerebbe delusi e soprattuttodeluderebbe Dio che ci ha dato e che ci da questo dono.

Allora, quale è il dono che dobbiamo concretizzare, e come? Soprattuttocome. Penso che tutti conosciamo i valori base della nostra vita. Basta pren-dere il Vangelo, basta prendere le Costituzioni e sappiamo come dovremmovivere. Come cogliere l’occasione di fare un passo in avanti verso una con-cretizzazione? Questa mi sembra la grazia da cogliere.

SETTE AMBITI PER CONCRETIZZARE I VALORI-BASEDELLA NOSTRA VITA.

1. La comunione

Un primo ambito è quello della comunione. La comunione, sia a livellospirituale. Penso che tutti notiamo che siamo molto bravi a fare le nostreconsiderazioni, le nostre letture spirituali; a raccomandarle anche agli altri,ma come siamo poveri nella comunicazione delle cose, che dovrebbero esse-re proprie e che formano la ragione per cui siamo frati. Ognuno di noi ha fat-

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to un incontro col Signore, e questo incontro, ha cambiato la nostra vita;cioè, ci siamo incamminati verso la vita consacrata, ma quanto poco tra dinoi si parla di questo. Parliamo di tutto, ma abbiamo una santa vergogna diparlare delle cose principali e più importanti . Quindi questa sarebbe una ne-cessità vitale. Lo Spirito che è in noi vuole comunicarsi con lo Spirito che ènell’altro, ma non solo a livello spirituale, una comunione, ma una comunio-ne a livello materiale; anche i beni fra di noi si accumulano nelle tasche delsingolo frate, della singola comunità, della singola provincia e parliamo dicomunione ecc., ma come è difficile andare al concreto. E lì si può vedere severamente vogliamo essere frati. Io sono olandese, posso dire liberamente lecose, perché non conosco le situazioni concrete, per cui se tutto quello chedico è già realtà, auguri e prendo edificazione dall’esempio. Ma a volte qual-che confratello mi ha detto qualcosa, per cui mi sembra che piccoli passi inavanti potremmo ancora farli. Quindi, la comunione.

2. L’irradiazione della nostra vita

Un secondo ambito l’irradiazione della nostra vita. Che cosa dice la no-stra vita alla gente? Non dico cosa diciamo noi nelle nostre prediche o scri-viamo nei nostri bollettini o diciamo, magari, anche alla televisione. No. Pri-ma di tutto è vero quello che dicono le nostre attuali Costituzioni, riprenden-do un concetto fondamentale delle prime. La nostra vita è una ridondanza diamore. Cioè, questo traboccare dell’amore che è in noi e tra noi, così che chici viene incontro, viene anche a contatto con l’amore del Signore che è pro-prio il cuore della nostra vita. Guardate i primi cappuccini. Dicevano: quan-do sentiamo affievolire questo spirito in noi, ritorniamo alla montagna dellapreghiera per essere ricaricati. Siamo veramente così? Siamo veramente inquesto senso frati del popolo, che noi condividiamo materialmente, cioè checapiamo bene, che ci sentiamo solidali o siamo anche noi diventati alti pertutta una storia. Ma se c’è qualcosa da cambiare nella nostra vita e nel mon-do francescano, perché parliamo del contributo francescano al Giubileo? Se,come cappuccini non abbiamo il coraggio di cambiare, non abbiamo più ra-gione di esistere nella famiglia francescana. I primi cappuccini erano france-scani che hanno avuto il coraggio di lasciare una certa impostazione di vitaper riprendere quello che Dio voleva da loro. Facciamo un discorso tra noicappuccini. Con gli altri facciamo lo stesso discorso in termini diversi. Quiproprio dobbiamo anche essere coscienti che non abbiamo il corpo di Fran-cesco, non abbiamo neanche il nome, ma potremmo e dovremmo offrire la

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presenza di Francesco, o meglio ancora, la presenza di Cristo, perché Fran-cesco non voleva essere francescano, voleva essere cristiano e chiamava lasua prima discepola Chiara, cristiana.

3. La contemplazione

Un terzo ambito è quello della contemplazione. Questo l’ho già detto par-lando della irradiazione. La nostra vita deve essere radicata in Dio e per que-sto bisogna nutrire il colloquio amoroso con Lui. Sentire la sua voce, il donoche da. E sentirlo nostro quotidianamente. Perché, come diceva fr. Dino, lecose di Dio a volte a volte nel tempo vengono meno, e debbono essere ali-mentate. Così penso anche che la meditazione quotidiana sia fondamentaleper la nostra vita, proprio per godere personalmente, ma anche in modo dapoter condividere quanto lo Spirito dice ad ognuno di noi. Così possiamo di-ventare maestri di preghiera per gli altri che ne hanno grande bisogno.

4. La salute

Un quarto ambito è quello della salute. Finora abbiamo parlato di tantecose spirituali, elevate ecc., ma siamo persone composte di anima e corpo. Eanche il corpo è un dono di Dio, quindi, la nostra spiritualità dev’essere in-carnata. Dobbiamo curare anche in modo giusto il nostro corpo, nel modo dimangiare, nel fare sport, nella ricreazione, in tutto. Non è che sia solo il la-voro, o l’apostolato gradito a Dio. Anche, nel modo giusto, la cura del nostrocorpo è gradita a Dio. Possiamo andare contro il progetto di Dio anche fa-cendo il bene che lui non vuole, dice sant’Alfonso. Mi sono confessato dueanni fa, quando sono arrivato in ospedale, proprio per avere lavorato fino allimite delle mie forze e ho imparato anche questa lezione.

5. L’ambiente

Un quinto ambito è quello dell’ambiente. Cioè dove viviamo, dove incarnia-mo questo Regno di Dio? Le case dove abitiamo esprimono il valore spiritualeanche nella cura che si ha di esse? Sono in un ambiente accogliente? Il modo incui ci vestiamo è un modo in cui si vede un figlio di Dio, o siamo trascurati?Non dico se dobbiamo portare l’abito o no, ma il modo. Vediamo anche la curadi questo aspetto. Va considerato anche l’ambiente in riferimento all’ecologia.Anche questo per noi è un ambito da curare. Indico solo punti di attenzione.

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Non dico come fare perché ognuno ha anche le sue ispirazioni, e può essereproprio il dialogo che faremo in seguito un inizio di questo discorso.

6. La sapienza

Un sesto ambito è quello della sapienza. Tutto quello che diciamo è fruttodi quello che abbiamo studiato con le nostre forze e con le nostre categorieumane o ci lasciamo ispirare dallo Spirito Santo. La nostra formazione ini-ziale, curata molto bene, e anche la nostra formazione permanente... Lascia-moci continuamente rinnovare dallo Spirito, che non ha età, e ogni età ha an-che la sua luce e la sua novità. Basta leggere l’ultima lettera del papa aglianziani. In essa lui condivide quello che ha imparato dalla vita stessa.

7. La comunicazione

L’ultimo ambito è quello della comunicazione. La comunicazione dellecose tra di noi, ma anche con altri. I nostri telefonini servono veramente avivere più da fratelli, oppure a disperderci o a lasciarci disperdere? La nostratelevisione aiuta ad essere persone più evangeliche, o perdiamo davanti allatelevisione tutto quello che abbiamo guadagnato nella celebrazione che ab-biamo appena fatto in Chiesa? I mezzi di comunicazione possono aiutare inmodo eccellente a portare un messaggio giusto, ma spesso fanno il contrario.

Conclusioni

Questi sette ambiti introducono i francescani nel Giubileo del 2000. Direiche ci vengono richieste tre cose in linea con quello che abbiamo già sentitodal discorso fatto sull’aspetto biblico del Giubileo.

Ringraziare il Signore per quello che ha fatto nella nostra storia persona-le e comunitaria, e per quello che adesso sta facendo. Qui mi permetto di fa-re solo un accenno a quello che il Signore sta facendo anche attraverso inuovi doni che dà.

Chiedere perdono e perdonare, proprio ripetendo quello che diceva Fran-cesco alla fine della sua vita: “ricominciamo, fratelli”. Questo vale anche pernoi. E il Giubileo ci porta verso il futuro. Come vorremmo che fosse il no-stro Ordine al momento del quinto centenario nel 2028?

Sogniamo, “facciamo utopia”, diciamo: si, dovrebbe essere così. Allora, sefra 28 anni vorremmo arrivare a quel punto, oggi dobbiamo fare passi in quel-la direzione, e non in un’altra, che non ci fa essere quello che vorremmo.

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Quindi, chiedere perdono per quello che non facciamo e ricominciare, perchéil Signore ci perdona tutto il passato, e così il passato non pesa su di noi.

Aprirci alla presenza dello Spirito nella Chiesa. Dico soltanto, per es., ilSinodo sull’Europa è stato un’esperienza forte che ha trattato il tema: “Lapresenza di Gesù vivo segno di speranza” o quello che sta facendo nei movi-menti ecclesiali, io faccio parte di uno di essi. Aprirci anche a quello che loSpirito Santo sta facendo tra le Chiese. Domenica prossima ci sarà in Ger-mania con i luterani la firma di un accordo sulla giustificazione: 500 anni didivergenze dottrinali vengono cancellate. Sono cose grandi. Le grandi reli-gioni. Questo pomeriggio vado a Piazza S. Pietro, dove si continua l’espe-rienza di “Assisi ‘96”. E infine, aprirci anche ai non credenti, a quei laici,nel senso italiano della parola, che spesso hanno dei valori, non in tutto, maspesso ci aiutano ad aprirci a quello che Dio ci dà come dono.

Tempo della storia - Tempo della fede

Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Anagni

“La maggior parte di noi soccombe alla proprietà magnetica delle cose evaluta gli eventi dai loro risultati tangibili. Apprezziamo gli oggetti che sonodisposti nello Spazio. Ma in verità ciò che è autenticamente prezioso lo si in-contra nel Tempo piuttosto che nello Spazio”. L’ebreo preferisce la dimen-sione del tempo a quella dello spazio; egli si percepisce uomo in quanto es-sere in cammino. Lo stesso termine biblico per “ebreo” ‘ivri’ (dalla radice‘avar’ che significa “passare”) esprime la tensione verso l’altrove - ossessio-ne antica di un popolo di origine nomade, spiritualmente formatosi nel vuotoaperto ad ogni speranza del deserto.

La concezione cristiana del tempo è debitrice in gran parte della culturaebraica; perciò, prima di vedere il tempo secondo Gesù e secondo la Chiesa,è il caso di esplorare la teologia ebraica del tempo e della storia.

Andare avanti (il tempo secondo Gioele)

“Gioele non immagina il tempo come un’entità distinta dalla realtà con-creta in cui egli vive. Il greco distingue un passato, un presente e un futuro.

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Gioele non vede mai altro che fatti compiuti o incompiuti. Il verbo che egliadopera descrive sempre un’azione portata a termine o ancora da iniziare,mai un tempo passato, presente e futuro”. Il Gioele di cui si parla non è l’o-monimo profeta veterotestamentario, ma un giovane immaginario “inventa-to” dalla straordinaria capacità interpretativa di uno dei migliori conoscitoridel retroterra biblico, André Chouraqui, per accompagnare il lettore in unsuggestivo viaggio a ritroso e condurlo ad una sorta di full immersion nelpassato delle sacre Scritture.

Dunque il nostro Gioele concepisce il tempo in modo diverso dall’uomogreco. Per la mentalità greca l’orizzonte culturale è ricoperto dalla categoriadel kosmos, del mondo visto come un ordine armonioso da capire e sistema-tizzare; per il genio ebraico il punto di riferimento è piuttosto la storia vista co-me il luogo privilegiato da Dio per rivelarsi e aperta ad un futuro di salvezza.L’ebreo guarda in avanti; il greco guarda all’indietro. Si prenda Erodoto: lalegge cui obbediscono gli eventi della storia non è protesa verso il futuro, ma èciclica, periodica, ritorna di volta in volta all’inizio. Non c’è storico greco checoncluda la sua opera nel modo che a noi sembrerebbe ovvio, ossia con unosguardo al futuro. Anche il modo di intendere le feste è diverso: per l’anticaGrecia la festa significa sempre il ritorno dell’età dell’oro, nella quale i proge-nitori vivevano in stretta familiarità con gli dèi e gli spiriti. Anche il calendarioisraelita era all’origine di derivazione cananea e, come tale, l’espressione di unciclo naturale che si ripeteva ogni anno, ma in seguito si ebbe una cc storiciz-zazione” delle feste: il caso tipico è costituito dalla festa di Pesah (Pasqua)che, celebrata all’inizio della primavera come festa degli azzimi, finì per di-ventare il memoriale della liberazione d’Israele dall’Egitto (Es 12, 17.26-27;23, 15) e la grande festa autunnale della vendemmia finì per rievocare il tempodel deserto e della dimora nelle tende (Lev 23, 42 ss).

Insomma, l’originalità della concezione ebraica del tempo rispetto alla cul-tura greca, e più in generale a quella del mondo arcaico, è il fatto che questeculture si sentono solidali con il cosmo e i ritmi cosmici, mentre la culturaebraica si considera solidale solo con la storia. La nostalgia del ritorno periodi-co al tempo mitico delle origini è stata giustificata teoricamente da Platone tra-mite l’identificazione dell’inizio archetipo col mondo delle idee: tutto ricomin-cia dal suo inizio in ogni istante; il passato non è che la prefigurazione del fu-turo, nessun avvenimento è irreversibile e nessuna trasformazione è definitiva.

A riprendere il mito dell’eterno ritorno della cultura occidentale sarà Frie-drich Nietzsche, che denuncerà il fallimento di ogni religione del progresso,sia nella versione ebraico-cristiana che in quelle moderne secolarizzate: “Per-

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ché i tuoi animali lo sanno bene, o Zarathustra, chi tu sei e devi divenire; vedi,tu sei il maestro dell’eterno ritorno: questo è il tuo fato!... Vedi, noi sappiamociò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornano e noi con loro, e chenoi già siamo stati un’infinita quantità di volte, e tutte le cose con noi... Io ri-torno, ritornerò ancora, con questo sole, con questa terra, con questa aquila,con questo serpente; ma non per una nuova vita o una vita migliore o, una vitaconsimile; ritornerò di nuovo eternamente per condurre questa medesima vita,nel grande come nel piccolo, e insegnare ancora l’eterno ritorno di tutte le co-se; per pronunciare ancora la parola del grande meriggio della terra e dell’uo-mo, ed annunciare di nuovo agli uomini il Superuomo”.

È soprattutto con il profetismo che la concezione ebraica del tempo ricevela sua forma compiuta: Dio si rivela nella storia e mediante la storia. Per legrandi religioni orientali la salvezza consiste nella liberazione dal tempo e dal-la materia: il tempo delle religioni dell’India, della Cina e della Persia è svalo-rizzato rispetto all’eternità, anzi è l’ostacolo che deve essere superato per esse-re liberati. Il tempo indiano è scandito, ma non proteso verso una mèta, ed èsenza fecondità; paragonato all’eternità, appare vuoto, irreale e irrilevante. Peril buddhismo il tempo non ha inizio e gli innumerevoli universi nascono, sievolvono e muoiono per ripetere lo stesso ciclo, continuamente, finché ogniessere sensibile in tutti i mondi sarà riuscito a redimersi dal tempo nell’eterna“buddhità”. Il tempo greco, come abbiamo già detto, è senza origine e senzascopo: è fatale, disperante. Viceversa, l’elemento caratteristico del messaggioprofetico è la sua urgenza immediata, l’attesa di un rivolgimento storico defi-nitivo: la salvezza avverrà attraverso una mediazione scelta e sostenuta da Dio(messianismo) e si compirà nel futuro “giorno del Signore” (escatologia). Ilmessianismo escatologico è come la spina dorsale della Bibbia: Israele è il pri-mo a rompere il cerchio fatidico delle stagioni e delle ripetizioni in cui si chiu-de il mondo antico. Il tempo non avrà solo una fine; ha soprattutto un fine, lasalvezza gratuita e misericordiosa dell’umanità.

È giunta l’ora (il tempo secondo Gesù)

“Nel cristianesimo il tempo ha un’importanza fondamentale” (TMA, n.10). Con Cristo l’Eterno si fa carne e il tempo giunge alla sua pienezza. “Iltempo e’ compiuto (gr. peplerotai) e si è avvicinato il regno di Dio”: sono leprime parole di Gesù secondo Marco (1, 15) e, leggermente variate, si ritro-vano anche in Matteo (4, 17). Il terzo evangelista non le riporta, ma inaugu-ra la missione pubblica del Signore con la scena della sinagoga di Nazaret:

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dopo che gli fu dato il rotolo del profeta Isaia, Gesù va a trovare il passo do-ve è scritto: “Lo Spirito del Signore è su di me, perciò mi ha unto per annun-ziare la buona novella ai poveri, mi ha mandato a proclamare la liberazioneai prigionieri e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predi-care un anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2). Il commento di Gesù è sor-prendente: “Oggi si è adempiuta (peplerotai) questa Scrittura che voi aveteudita con i vostri orecchi” (Lc 4, 21). Tutta la vicenda di Gesù è sotto il se-gno del compimento: Gesù non annuncia semplicemente la venuta del regnodi Dio, come aveva fatto il Battista, ma è l’unico profeta in Israele a dire chequesto regno viene attraverso la sua persona. La tradizione siglata Q, comu-ne a Matteo e Luca, attesta la perentoria risposta del rabbi galileo alla dele-gazione mandata da Giovanni in carcere per chiedere se è davvero lui ilMessia o se ne deve aspettare un altro: “Andate e riferite a Giovanni quelloche voi vedete e udite: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, ilebbrosi sono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annun-ziata la buona novella” (Mt 11, 1-6; Lc 7, 16-23).

In Gesù le profezie si compiono, le figure si realizzano, la legge non vie-ne abolita ma portata a perfezione. E’ in particolare l’evangelista Luca a sot-tolineare questa attuazione piena delle antiche promesse; si veda il suo conti-nuo insistere sull’oggi della salvezza: “Oggi, nella città di Davide, vi è natoun salvatore”, annunciano gli angeli ai pastori (Lc 2, 11); “Oggi si è adem-piuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”, proclama Ge-sù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,21); “Oggi la salvezza è entrata in questacasa”, dice il Signore a Zaccheo (Le 19, 9); “Oggi sarai con me nel paradi-so”, promette il Crocifisso al buon ladrone (Le 23, 43).

Il quarto vangelo è tutto segnato dalla tensione verso l’ora della passione-glorificazione e dal suo arrivo, al punto che è agevole scandire il libro di Gio-vanni in due grandi parti: la preparazione dell’ora (capp. 1-12); lo scoccaredell’ora (capp. 13 ss.). Nella prima parte, dopo l’annuncio simbolico alle noz-ze di Cana (Gv 2, 4), si dice più volte che l’ora non è ancora giunta (Gv 7, 30;8, 20) ma si va avvicinando (12, 23.27); la seconda parte si apre proprio conl’annuncio solenne che l’ora è giunta: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sa-pendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendoamato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Anche lagrande preghiera al termine della cena d’addio ai suoi discepoli, poco primadella passione, inizia con la dichiarazione: “Padre, è giunta l’ora” (Gv 17, 1).E le ultime parole sulla croce suggelleranno la consapevolezza che il disegnodella salvezza si è realizzato in pienezza: “Tutto è compiuto” (Gv 19, 28): il

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termine greco (tetelesthai) ha alla radice telos, che significa “fine”, ma non nelsenso “la fine è giunta”, quanto piuttosto “la volontà del Padre è stata realizza-ta in tutto e alla perfezione”, quindi “tutto è giunto al suo vertice supremo”;inoltre l’uso del tempo perfetto introduce una sfumatura di durata: il compi-mento è definitivo e comporta una situazione nuova e duratura.

Il ricorso al verbo teleioun è sorprendente, perché normalmente Giovanni,per parlare del “compimento” della Scrittura, usa il verbo pleroun, lo stessoverbo di Mc 1, 15 e Lc 4, 21 (cf tra i tanti passi, Gv 12, 38; 15, 25; 18, 9.32 elo stesso versetto 19, 28): questo verbo suggerisce l’idea che la predizione ècome un vuoto da riempire, una figura che s’invera nella realtà. Il v. 19, 28 èl’unico testo in cui l’evangelista usa teleioun, e ciò è ancora più sorprendentese si osserva che nel contesto più prossimo (Gv 19, 24 e 19, 36) usa l’abitua-le pleroun. Tutto questo non può essere un semplice caso: “l’evangelista vuoldirci che la Croce non è un gesto come gli altri, non è un qualsiasi compi-mento delle Scritture, ma il termine a cui tutta la Scrittura tende”.

È dunque la connotazione cristologica a contrassegnare in modo profonda-mente originale la concezione cristiana del tempo; questo è il punto “per cui ilcristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nella quali s’è espressa sin dal-l’inizio la ricerca di Dio da parte dell’uomo. Nel cristianesimo l’avvio è datodall’Incarnazione del Verbo: qui non è soltanto l’uomo a cercare Dio, ma èDio che viene in Persona a parlare di sé all’uomo e a mostrargli la via sullaquale è possibile raggiungerlo ( ...). “II Verbo incarnato è dunque il compi-mento dell’anelito presente in tutte le religioni dell’umanità (...). È una ricercache nasce dall’intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell’Incarnazionedel Verbo, che vuole sconfiggere il male diffuso nella storia dell’umanità. Lareligione dell’Incarnazione è la religione della Redenzione” (TMA, nn. 6-7).

Ripartire dal centro (il tempo secondo la Chiesa)

Il calendario della Chiesa “non parte da un punto iniziale, ma da un pun-to centrale”. Il nostro calendario differisce ad esempio, dalla cronologia diSesto Giulio Africano introdotta all’inizio del 111 secolo d.C. e dal calenda-rio giudaico che crede di poter fissare cronologicamente la creazione delmondo e assegnargli la data dell’anno 1 continuando poi a contare semplice-mente con ritmo progressivo. L’evento centrale che fa da spartiacque dellastoria è la nascita di Cristo: gli anni successivi a quell’evento furono chia-mati anni Domini (anni del Signore) e dal 525, con il presbitero romanoDionigi il Piccolo, anni post Christum natum (dopo Cristo), ma solo nel

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XVII secolo si è imposta la datazione che, dalla nascita di Cristo, risale ver-so il passato; prima di allora si era continuato a datare il tempo anteriore aCristo secondo gli antichi calendari dell’era del mondo, partendo cioè dallacreazione. Il fatto decisivo e interessante dal punto di vista teologico non ètanto che dopo Dionigi il Piccolo si siano datati gli anni a partire da Cristo:anche a Babilonia si contavano gli anni cominciando dalla conquista delPaese da parte di Seleuco Nicatore, e a Roma si partiva dalla fondazione del-la città e, più tardi dall’avvento al trono di Diocleziano; anche i cristianihanno usato a lungo il sistema di Diocleziano, pur designando gli anni Dio-ceeziani come anni martyrum (anni dei martiri).

Il fatto decisivo, sotto il profilo della teologia della storia, è costituitopiuttosto dall’abitudine che è invalsa da appena tre secoli, di contare gli annipartendo dalla nascita di Cristo, sia per risalire verso il passato (computo de-crescente) sia per discendere verso il futuro (computo progressivo): in que-sto modo l’evento-Cristo assume davvero il rilievo che merita, quello di es-sere considerato il centro di tutta la storia; tutta la storia sia passata che futu-ra deve essere compresa a partire da questo evento, che rappresenta il sensoultimo e il criterio decisivo di ogni avvenimento. A ragione afferma Giovan-ni Paolo II: “Significativamente il computo del decorso degli anni si fa quasidappertutto a partire dalla venuta di Cristo nel mondo, la quale diventa cosìil centro del calendario oggi più utilizzato” (TMA, n. 15). Questa teologiacristiana della storia emerge anche dalla terminologia impiegata dalla Chiesaprimitiva in riferimento al tempo; si tratta di una terminologia caratteristica.Ci soffermiamo su alcuni termini più espressivi.

Per designare il tempo delle vicende umane il vocabolo greco impiegatodal Nuovo Testamento è quello di chronos. Lo si trova già nella versionegreca dei LXX per significare il tempo dell’uomo e della sua vicenda stori-ca: così si parla dei “tempi (giorni, in ebraico) di Noè” (Is 54, 9) o dei “tem-pi di Abramo” (Gen 26, 1.15). Nel Nuovo Testamento si incontrano espres-sioni del tipo: “la moglie... per tutto il tempo in cui vive il marito” (1 Cor 7,39); “per tutto il tempo in cui l’erede è minorenne” (Gal 4, 1). Ma Cristo fagiungere “il tempo (degli uomini) alla pienezza” (Gal 4, 4). “L’evento e iltempo (storico) di Cristo hanno distinto nei tempi degli uomini quello passa-to nell’ignoranza e nel peccato da quello che rimane dopo di lui, per la sal-vezza della storia umana (cf At 17, 30; 1 Pt 1, 20; 4, 1-3)”6.

Il termine per indicare il tempo propizio per la salvezza è il termine grecokairos. Già nell’uso profano questo vocabolo sta a significare un’occasioneparticolarmente favorevole per un’impresa, quello che in linguaggio moder-

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no si chiamerebbe “il giorno x”. In genere sono delle considerazioni umaneche fanno apparire un determinato momento come particolarmente propizioper l’esecuzione di questo o di quel progetto e che ne fanno un kairos. Inquesto senso profano Felice dice all’apostolo Paolo: “Ti richiamerò in unmomento più opportuno” (At 24, 25). L’uso neotestamentario di questo ter-mine, applicato alla storia della salvezza, è lo stesso. Soltanto che qui nonsono più delle considerazioni umane, ma un decreto divino che fa di questao di quella data un kairos, in vista della realizzazione del piano di salvezza.In questo senso ricorre in Lc 19, 44 (Israele non ha riconosciuto il momentoprovvidenziale della “visita di Dio”, come pure in Mc 1, 14s, che abbiamogià analizzato, e in Lc 2, 54 ss (occorre “giudicare ... ciò che è giusto”, cer-cando di capire questo tempo provvidenziale).

Questo kairos non riguarda solo il tempo storico di Gesù (in quella acce-zione cf Mt 26, 18), ma anche il tempo della Chiesa: per il credente esisteanche nel presente della comunità cristiana un kairos divino, fondato sullarealtà della venuta di Cristo: “E’ giunto il kairos, in cui sta per cominciare ilgiudizio per la casa di Dio” (1 Pt 4, 17). Questo spiega l’esortazione, nellalettera ai Colossesi e in quella agli Efesini (Col 4, 5; Ef 5, 16), ad “approfit-tare” del kairos.

La storia della salvezza, sia nella sua fase insuperabile (tempo di Gesù)sia in quella in corso di svolgimento (presente della Chiesa), appare dunquesegnata dai kairoi particolari, ma anche la fase futura conoscerà dei kairoi“che il Padre ha fissato nella sua autorità” (At 1, 7).Questa fase ultima dellastoria si concluderà con l`apparizione del Signore nostro Gesù Cristo, chenei kairoi opportuni, sarà resa palese dal beato e unico sovrano” (1 Tm 6,15) Vediamo così come nel passato, nel presente e nell’avvenire si hanno di-versi “tempi propizi” che, collegati nel piano misterioso del Padre, formanol’unica grande storia della salvezza.

Una “nuova era” della salvezza?

Quanto fin qui detto risulta totalmente compromesso nel fenomeno dellaNew Age, così denominata proprio perché afferma la fine di un ciclo astrono-mico, quello cristico, iniziato il 21 marzo dell’anno 1 della nostra era quandoil sole entrò nel segno zodiacale dei Pesci (e non è appunto Ichtus, “pesce”, ilnome greco di Cristo che anagrammato in Iesous Christos Theou Yios Soter,significa “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore?”). Questo ciclo starebbe perfinire, poiché verso il 2160 il Sole entrerà nel segno zodiacale dell’Acquario e

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così, dopo l’era “bellicosa” dei Pesci si passerà a quella “pacifica” dell’Acqua-rio, un’era segnata dall’abbondanza di ogni genere (anche di dottrine esoteri-che!) e dalla scomparsa del cristianesimo a favore di una grande religionemondiale, che riconcilierà tutte le religione mostrando l’identità della loro ori-gine e del loro scopo e stabilirà una credenza universale con una morale comu-ne, basata sulle verità eterne. L’ “Era Nuova” sarà un’era di amore, di concor-dia e di luce; sarà il tempo della “vera liberazione dello spirito’’.

Il contrasto con il cristianesimo è netto anche per quanto riguarda la vi-sione del mondo. Il cristianesimo ha “disincantato” il mondo sdivinizzando-lo; la New Age vuole “reincantare” il cosmo risacralizzandolo, riconoscendocioè che esso è “divino”, che esso è un’immensa vibrazione energetica in cuile parti sono nel Tutto e il Tutto è in ognuna delle parti...

Si tratta di una versione secolarizzata del millenarismo cristiano, che co-me tale, oltre che dalla fede, è destinata ad essere smentita dalla storia. Ma èforse utile spendere una parola per dimostrare quanto sia forzata e falsa lapaternità che del fenomeno i cultori della New Age vorrebbero attribuire aTeilhard de Chardin, da essi considerato come il loro principale ispiratore.Certamente Teilhard pone come polo ultimo verso cui tende la crescita dellacoscienza il punto Omega. Ma per lui il punto Omega è Gesù di Nazaret, ilVerbo di Dio incarnato, morto e risorto: “Cristo - egli scrive - è lo strumento,il centro e il fine di tutta la creazione animata e materiale (...). Egli è l’Alfa el’Omega”’. Prima di Teilhard san Paolo aveva affermato: “Tutte le cose sonostate create per mezzo di lui (=Cristo) e in vista di lui. Egli è prima di tutte lecose e tutte in lui sussistono” (Col 1, 16s). E la lettera agli Ebrei: “Gesù Cri-sto è lo stesso, ieri, oggi e sempre!” (Ebr 13. 8).

Dentro la Chiesa

Venendo ora al versante ecclesiale di questa riflessione a me sembra cheil Giubileo sia la “buona notizia” che ci serve per deciderci a prendere co-scienza che viviamo un tempo di paganesimo di ritorno. Certo, nella nostracittà non c’è più il tempio alla dea Cerere, né il boschetto sacro a Venere, manon è forse vero che le divinità che determinano la nostra vita sono il Dena-ro e il Piacere, il Divertimento, la Velocità, la Bella Figura? Del resto, bastaricordare che in questa città non viene ordinato un sacerdote diocesano dallontano 1981, per verificare quanto sia sceso paurosamente in basso il tassodi cristianesimo nella nostra comunità. La carenza di vocazioni è il corri-spettivo ecclesiale del calo demografico a livello civile, e sta a dire una co-

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mune situazione di generalizzata e galoppante sterilità, da cui ci potremo ri-prendere solo se ci sveglieremo da questo sonnambulismo ecclesiastico” checi vede in letargo da troppo tempo.

Il Giubileo è l’ultima occasione che viene offerta alla nostra generazione.Fin da quando ne parlò nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis,

nell’ormai lontano 1979, Giovanni Paolo II ha dimostrato di intendere ilGiubileo del Terzo Millennio non semplicemente come una serie di iniziati-ve devote, e nemmeno come un programma di attività religiose e caritative,ma come un “progetto” di vita e di Chiesa. Non si può non convenire: né ilcristiano né la Chiesa possono esimersi dall’ideale e dall’impegno di vivereuna storia “giubilare”. In questo senso vanno tenute presenti le tre paroleprogrammatiche, anzi progettuali del Giubileo.

La prima parola è pellegrinaggio. Il pellegrinaggio è il segno più eloquentedi un cammino giubilare. Sembrava un segno ormai tramontato e invece legiornate mondiali della gioventù stanno lì a dire come la provocazione di Gio-vanni Paolo II sia stata particolarmente compresa e accolta dai giovani. Ma an-che qui il pellegrinaggio non può essere ridotto ad una pia processione: se a li-vello personale sta a dire la volontà di condurre tutta l’esistenza come un cam-mino di fede, a livello comunitario indica una Chiesa peregrinante verso la ca-sa del Padre, e dunque non una comunità “in seduta permanente”, in una par-rocchia che invera il suo nome, cioè una comunità che “cerca se stessa fuori dise stessa” (Giovanni Paolo 1I). Occorre pertanto uno spostamento del baricen-tro dell’azione ecclesiale in senso missionario: questa è la “conversione pasto-rale” richiesta dal convegno di Palermo ‘95, non più rinviabile in tempi in cuil’uomo si percepisce come un pastore errante, un viandante smarrito, e il “pen-siero nomade” invoca una cultura, non del “tempio’’ ma della “tenda”.

Una seconda parola progettuale, prima ancora che programmatica, è Giu-bileo. Il rischio più grande oggi per una comunità cristiana è quella “carestiadi fiducia”, che prima richiamavo, insomma la tentazione dello scoraggia-mento. Così, anziché essere i testimoni delle otto beatitudini, finiamo per di-ventare i professionisti delle mille lamentazioni. Tanta gente domanda ai cri-stiani, come già agli ebrei dopo l’esilio a Babilonia: “Fateci vedere la vostragioia” (Is 66.5). In quest’ora “magnifica e drammatica” della storia (Giovan-ni Paolo II), nel tempo del grande Giubileo, saremo una Chiesa giubilante ocostantemente afflitta e piangente?

L’ultima parola giubilare è grazia. Prima ancora che domanda di grazie, ilGiubileo è offerta di grazia e di misericordia. Una spiritualità della grazia im-plica una cultura del gratuito, quel gratuito estromesso sia dalla cultura liberal

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borghese, che invece ha esaltato la logica del mercato e della compravendita,sia dalla cultura marxista che ha fatto della lotta di classe la molla del progres-so e ha relegato il gratuito nel mondo delle favole. In questo senso l’indulgen-za, se ripulita da talune incrostazioni storiche e ben compresa, resta uno dei se-gni più eloquenti della misericordia di Dio. La nostra è una cultura che vorreb-be essere tollerante ma è insofferente. Noi stessi sperimentiamo la fatica di ac-coglierci per quello che siamo e non per quello che vorremmo essere. Ci è dif-ficile perfino perdonare a noi stessi. Figuriamoci agli altri. Da qui tutta una se-rie di nevrosi e di angosce inconfessate che fanno crescere i nostri sensi di col-pa, ma ci impediscono di approdare alla pace del perdono.

Forse l’intuizione di Bonifacio VIII, mutuata secondo alcuni storici daCelestino V che aveva proclamato la “perdonanza”, di donare alla societàmedievale dell’inizio del XIV secolo un momento di generale pacificazionespirituale e sociale, non è meno necessaria oggi. Di qui l’impegno a fare del-la comunità cristiana un luogo in cui si sperimenta il perdono, in cui ci sisente accolti per quello che si è, in cui si è introdotti in una visione menocompetitiva e più cordiale della nostra esistenza.

Coraggio, dunque, popolo tutto!

1 HESCHEL A.J., La terra è del Signore, Genova 1989, 8.2 CHOURAQUI A., La vita quotidiana degli uomini della Bibbia, Milano

1988, 121. 3 NIETZSCHE F., Così parlò Zarathustra, Milano 1965, 247 s.4 MAGGIONI B., II vangelo di Giovanni, in I vangeli, Assisi 1978, 671. 5 CULLMANN O., Cristo e il tempo, Bologna 1965, 39.6 MARANGON A., “Tempo”, in Nuovo Dizionario di Teologia biblica, Cini-

sello B. 988, 1521. 7 TEILHARD DE CHARDIN, OEuvres, V, Paris 1959, 396 ss.

Omelia in onore di fr. Nicola da Gesturi

Carissimi,in questi giorni abbiamo profuso tante parole, abbiamo cercato di mettere

a punto lo Statuto dei Segretariati, abbiamo ascoltato tanti progetti. Stiamo

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ora celebrando la liturgia Eucaristica in onore del Beato fr. Nicola da Gestu-ri. Religioso che non ha parlato, progettato, scritto. Ha testimoniato però ilVangelo con la trasparenza e la sanità della vita, il primo impulso di fronte alsuo esempio è quello di metterci seduti e raccoglierci in silenzio. Se, prendola parola è innanzi tutto per ringraziare Dio, datore d’ogni dono perfetto, cheha fatto rifulgere nella vita dell’umile cercatore cappuccino la luce della Suamisericordiosa presenza.

Della vita di Beato mi limito a tratteggiare tre aspetti salienti ed esempla-ri.

Primo fra tutti per la sua umiltà, giudicata pochezza dagli uomini. “Lapietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. Questa frase, chesi applica in maniera perfetta a Cristo, può essere riferita anche a quei Suoidiscepoli che, secondo i parametri della valutazione umana, “non sono” eche Dio, sorprendentemente, sceglie per confondere “coloro che sono”. Aquesti appartenne anche il nostro Beato.

“Umanamente poco dotato,” fr. Nicola si lasciò plasmare dal fuoco delloSpirito Santo e, frequentando assiduamente la scuola della Croce, divennemistico, taumaturgo, dispensatore di una pienezza che non è di questo mon-do” (1 Cor. 2, 6) in grado di consolare, consigliare, indicare in Gesù il Teso-ro nascosto della vera felicità e della pace interiore.

Della sua vita, tutta raccolta in una costante atmosfera di contemplazionee preghiera, è rilevante evidenziare un altro aspetto tipico, profetico, un va-lore oggi disatteso, quasi desueto: il silenzio, il profondo, misterioso silenziointeriore di fr. Nicola. Silenzio che non era solo assenza di parole ma che sisostanziava principalmente in profondo raccoglimento ed intima interiorità.

Il suo non era un silenzio originato dall’assenza, dal vuoto, dal rifiuto,dall’estraneità. Era invece l’atteggiamento adorante, carico d’attenzione e dinostalgia di colui che percepisce la Presenza viva e la voce amica dell’Eter-no. Il santo confratello taceva per ascoltarsi ed ascoltare quel Dio che non simanifesta “nel vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare lerocce... bensì nel mormorio di un vento leggero” (1 Re 19, 11-12). Nella per-cezione interiore della voce del Signore ne partecipava i segreti impulsi diamore e li riversava con discrezione, quasi con pudore, nel cuore dei fratelliche ogni giorno incontrava sul suo cammino.

La testimonianza silenziosa di fr. Nicola è profetica in particolare nelcontesto della nostra cultura, che si esalta nel fragore, si esprime di preferen-za nel chiasso ed è in perfetta sintonia con l’esortazione apostolica “Vitaconsecrata”, dove si afferma “ La chiamata alla santità è accolta e può essere

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accolta nel silenzio dell’adorazione davanti all’infinita Trascendenza diDio... dobbiamo ammettere che abbiamo tutti bisogno di questo silenzio ca-rico di Presenza” (38).

Fra Nicola fu, inoltre, un vero “frate del popolo” espressione pregnante incui è condensata gran parte del nostro carisma

Per 34 anni, testimone silenzioso del Vangelo, visitò le campagne, scese esalì i tortuosi vicoli dei rioni Castello e Villanova, si spinse nei paesi vicinidel Campidano, percorse le strade di Cagliari, facendo rivivere il ricordo delsuo grande confratello fr. Ignazio da Laconi. Si arrese soltanto quando in-contrò “sorella morte” l’otto Giugno 1958.

Frate cappuccino autentico, gli occhi chini a terra, la tradizionale bisacciasulle spalle, a piedi nudi e il rosario intrecciato alle dita, passò tra la gentelasciando in tutti la convinzione e il fremito di una presenza carica di miste-ro. Poche parole, un’unica raccomandazione “pregate.. pregate” Nel piùstretto riserbo si prodigò in maniera eroica durante gli anni dell’ultima guer-ra per alleviare con indicibile generosità, le sofferenze della povera gente.

Per la canonizzazione di S. Ignazio da Laconi, il celebre musicista Lici-nio Refice compose appositamente una messa che personalmente diresse.Terminata l’esecuzione il maestro chiese a fr. Nicola il suo giudizio ed egli,in genere, restio ad esprimersi, esclamò: “Roba da paradiso .... Cerchi, mae-stro, di far cantare il Sanctus in eterno. È una musica degna del Cielo”.

Refice commosso aggiunse: “È il miglior giudizio che potessi desiderare”.Verissimo. Il cappuccino silenzioso, sempre immerso in Dio, se ne inten-

deva. Il suo cuore già gustava le note di “quel canto nuovo” (Ap.5, 9) che al-lieta la città dei santi.

Riassumo la vita del venerato confratello con questa affermazione:“Primo compito della vita consacrata è di rendere visibili le meraviglie

che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate. Più che con leparole, esse testimoniano tali meraviglie con il linguaggio eloquente di unaesistenza trasfigurata, capace di sorprendere il mondo” (Vita Consecrata 20).

Fr. Nicola, autentico figlio di Francesco di Assisi, ha davvero sorpreso eaffascinato il popolo di Dio, con il linguaggio eloquente di una vita trasfi-gurata.

L’apostolo Giacomo nella prima lettura, poc’anzi proclamata, ci ricorda“che la fede senza le opere è morta” la vita di fr. Nicola che lo conferma inpienezza.

Nel Vangelo Gesù dice che “dove è il nostro tesoro là è pure il nostrocuore”. Il cuore di fr. Nicola era costantemente in Dio. Il nostro?

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Il beato confratello ci aiuti a riporre il cuore là “dove né tignola, né ruggi-ne consumano e dove i ladri non scassinano e non rubano” (Mt.6,20).

Fr. Antonio AscenziPresidente CIMP Cap

Saluto conclusivo

Carissimi fratelli,a conclusione di queste giornate, sento il dovere e la gioia di esprimere il

mio ringraziamento a tutti voi per il lavoro compiuto. È vero, non abbiamoportato a termine ciò che c’eravamo prefissi. Ma questo poco importa. Quelche conta è che si è lavorato con impegno.

Un mio particolare e convinto plauso lo rivolgo a voi presenti in aula,avete partecipato fino alla fine con lodevole perseveranza.

Consentitemi anche qualche rilievo critico. Da questa nostra assemblea sisarebbe potuto ottenere di più con maggior partecipazione e preparazione. Èbene imporci per il futuro una linea di comportamento più rigorosa e respon-sabile. La puntualità agli orari, la presenza attiva e costante in aula e soprat-tutto la fedeltà e il rispetto della data fissata per la conclusione dell’assem-blea ci consentiranno una migliore qualità dei lavori e anche un rispetto reci-proco più marcato.

Grazie in ogni caso a tutti, nonostante qualche imperfezione. Un grazieparticolare a fr. Ermanno, che ci ha dato 1’esempio di come si partecipa alleassemblee e a fr. Giuseppe Celli, sul quale come sempre ricade il “pondusdiei et aestus” dei convegni.

Ora la Commissione raccoglierà in un testo organico i suggerimentiemersi, e li offrirà ai Ministri Provinciali e ai partecipanti di questo conve-gno, per prenderne visione ed eventualmente suggerire qualche migliora-mento in tempo utile. A tutti buon viaggio.

Fr. Antonio Ascenzi Presidente CIMP Cap

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Roma, 15 luglio 1999 Festa di san Bonaventura

Al Consiglio di PresidenzaAi Ministri provinciali accompagnatoriAi Segretari e Vicesegretari nazionali

Il presente fascicolo raccoglie gli interventi dei Segretariati nazionali CIMPCap (Conferenza italiana dei ministri provinciali cappuccini) al convegno chesi è tenuto a Roma, San Fedele, nei giorni 9-10 luglio u.s. sul tema:

Valutazione del progetto di ristrutturazione dei segretariati, presentato aCollevalenza ‘97. Cammino fatto, difficoltà incontrate, proposte.

La semplice lettura dei testi non permette di cogliere l’effettiva portatadei lavori, del cammino percorso e del contesto nel quale il tutto è stato vis-suto. Al clima del primo giorno che poteva apparire di difesa e un po’ fred-do, è subentrato, infatti, un clima di maggiore distensione e serenità, più at-tento alla ricerca e all’ascolto reciproco.

Ci siamo salutati con la comune convinzione che la ristrutturazione deisegretariati nell’ambito della nostra Conferenza, richiede pazienza, intelli-genza e umiltà, grande capacità di dialogo fraterno finalizzato sempre a farechiarezza e a generare comunione, rispetto dei compiti e ruoli di ciascuno,amore, entusiasmo e generosità nel servire.

Chiara e Francesco sostengano il nostro cammino, perché ogni nuovogiorno ci trovi pronti alla scuola di Cristo per imparare a fare la nostra parte.

Fr. Giuseppe Celli Segretario della Conferenza

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Convegno Segretariati nazionali CIMP CapRoma, San Fedele, 9-10 luglio 1999

a cura di fr. F. Civili

Cronaca dell’incontro

Convegno dei Segretariati nazionali della CIMP Cap di verifica sul tema“Valutazione del progetto di ristrutturazione dei Segretariati, presentato aCollevalenza ‘97. Cammino fatto, difficoltà incontrate, proposte”.

Si tratta di una verifica sul passaggio dalle vecchie strutture di animazio-ne sorte nel 1960 con il nome di “Segretariati”, alle nuove strutture coordi-nate entro le quattro aree come dal Progetto elaborato dalla commissione epresentato ed accettato a Collevalenza nel 1997.

Le quattro aree della fraternità, della evangelizzazione, della carità e dellaprofezia, della comunione francescana, vogliono innanzitutto proporsi comemotivo di riflessione teologica sulla quale fondare la nostra attività pastoralesia ad extra come ad intra, vogliono creare maggiore comunione e permetteremaggiore comunicabilità entro i settori d’uno stesso, o simile, impegno pasto-rale, vogliono portare un contributo per quanto limitato e marginale, alla ri-flessione dell’Ordine sul capitolo VIII delle Costituzioni.

Le giornate si snodano in un clima sereno e tranquillo, infuocato dal grancaldo estivo, attenuato dalla carità dei Frati lombardi che hanno dotato la sa-la riunioni e il refettorio di aria condizionata.

Dopo il saluto del Presidente, Antonio Ascenzi, vengono lette le relazionidei nove Segretariati e delle quattro Commissioni.

Anziché mettere in luce, secondo il dettato del tema proposto, quello chesi è fatto per preparare le nuove strutture di animazione, spesso ci si fermaalla relazione delle cose fatte e delle esigenze di ogni settore.

Questo ha in qualche modo impedito una verifica esatta sul punto al qua-le siamo giunti con il lavoro di revisione.

Dove siamo nella presa di coscienza di un modo nuovo di animare le Pro-vince e la Conferenza da parte dei Segretariati?

Sembra che si sia rimasti al 1997, se non prima.I fronti contrapposti del Consiglio di Presidenza, dei Ministri provinciali

accompagnatori da una parte, e dei Segretari nazionali e Vicesegretari dal-l’altra, sono ben chiari e decisi: quindi l’esigenza di un miglior coordina-mento e di una maggiore comunione, anche nelle opere, ispirata alla eccle-

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siologia di comunione del Vaticano II, una più volte costatata povertà di cer-ti Segretariati nelle province, specie le più piccole, espressa dalla PresidenzaCIMP Cap ed appoggiata dai Ministri provinciali accompagnatori e da qual-che Segretariato (vedi ad esempio la Formazione e l’animazione vocaziona-le); dall’altra l’esigenza di una autonomia di azione, intesa a non fare perde-re a questi Segretariati tradizionali la loro fisionomia, quale fu al momentodella loro istituzione, e tutto ciò che in questi anni hanno faticosamente co-struito e guadagnato.

Questo schieramento forse è dovuto alla poca comprensione e alla scarsasollecitazione da parte della CIMP Cap, e dei Ministri provinciali accompa-gnatori circa la necessità di sperimentare, anche se non in modo definitivo estrutturato, la comunione con i Segretariati della propria area.

Nella riunione di San Fedele in Urbe si passa, come ha notato il Presiden-te Antonio Ascenzi, dalla paura di essere “accorpati”, incorporati e quindiannientati e distrutti, alla possibilità concreta di una comunione all’internodell’area di vari servizi o Segretariati, come saranno chiamati.

Sussistono molti problemi di terminologia, di organizzazione, circa il mo-do concreto, circa l’animatore di area, circa altri punti del progetto Colleva-lenza 1997, ma il “dado è tratto”, perché si sta entrando in questo ordine diidee, soprattutto nella convinzione che non sia possibile ritirare il Progetto,visto che molte province, dopo i Capitoli, si sono ispirate a questo, nella or-ganizzazione delle nuove strutture di animazione.

Si tratta di porsi di fronte al Progetto Collevalenza 1997 non più con lavecchia mentalità dei Segretariati, ma in ascolto delle nuove istanze emersedalla riflessione di molti fratelli.

Non va sottovalutata neanche la possibilità di condividere con le provincevicine, specie se piccole, le nuove strutture di animazione. È quanto già stan-no facendo alcune Province (vedi a es. Parma e Bologna, Catanzaro e Co-senza etc.)

Alla fine dell’incontro, nella mattinata del 10 Luglio, il Consiglio di Pre-sidenza presenta il programma di lavoro per la prossima riunione di Sacrofa-no (25/29 ottobre prossimi), che si può così sintetizzare:

- nuova riflessione con motivazione teologica sulle quattro aree;- presentazione da parte della commissione e della Presidenza CIMP Cap

dello Statuto unico delle strutture di animazione.Il lavoro verrà articolato nelle cinque giornate a disposizione in modo da

uscire con le idee più chiare e con le decisioni più sicure.

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Roma, 9 luglio 1999

Saluto del Presidente

Carissimi, ben arrivati. Un saluto cordiale e un grazie sincero e doveroso,per aver risposto positivamente all’invito del consiglio di Presidenza non-ostante i disagi degli scioperi in atto. La vostra presenza arricchisce questaassemblea per molte e buone ragioni importanti. I Segretariati, infatti, nellaloro funzione di animazione, coordinamento e riflessione, al servizio e in co-munione con le Province e la Conferenza, sono fonte di ricchezza, vivacità edinamismo.

Argomento di questo incontro: “Riflettere sulla ipotesi di ristrutturazionedei Segretariati”.

Perché questo incontro? Per una duplice ragione. Una remota: il Consi-glio di Presidenza si impegnò come secondo obiettivo della prima area “digestire la ristrutturazione dei Segretariati”. L’altra più immediata: il Conve-gno per il prossimo mese di ottobre a Sacrofano, in riferimento all’incontroelettivo del 2000.

Una piccola memoria storica: il Consiglio di Presidenza precedente affidòad una commissione l’incarico di proporre la ristrutturazione dei Segretaria-ti. La commissione elaborò un testo che fu presentato e discusso nell’incon-tro di ottobre 1997, a Collevalenza, con l’impegno di verificare e quindi rac-cogliere opinioni e considerazioni nell’attuazione nelle singole province.

Le ragioni che indussero a varare una ipotesi di ristrutturazione possonoessere sintetizzate in un binomio: più collegamento, più coordinamento; me-no frantumazione, meno dispersione.

Difficoltà: non condivisione dello schema, timore di impoverimento deiSegretariati, difficoltà di animazione del responsabile di area, non esattacomprensione del ruolo del provinciale accompagnatore.

Lavoro che ci attende. Proporre, raccogliere, preparare il convegno di Sa-crofano.

Riscrivere le regole elettive dei Segretari e consiglieri. Suscitare nelleprovince maggiore corresponsabilità, condivisione, coinvolgimento.

Fr. Antonio AscenziPresidente della Conferenza

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Valutazione del progetto di ristrutturazione dei SegretariatiIl contributo del Consiglio Nazionale del Servizio PGV

1. Cammino fatto

L’impressione è che, almeno a livello nazionale, non ci si sia ancora mos-si concretamente nella direzione indicata dal progetto di Collevalenza ‘97:

- le quattro aree nelle quali sono stati raggruppati i Segretariati non si so-no, come tali, mai incontrate;

- non sono ancora stati nominati i responsabili delle medesime aree.A livello di singole province, almeno per quanto riguarda quelle che han-

no celebrato i capitoli dopo il 1997, pare stia entrando la nuova impostazio-ne. Sembra però di notare che ogni provincia segua propri criteri nella defi-nizione delle aree (ad esempio: l’area della fraternità nelle Marche compren-de anche l’assistenza OFS-GiFra). Questo modo di procedere forse potràcomplicare anziché facilitare sia la funzionalità delle aree che il relativocammino a livello nazionale.

2. Difficoltà incontrate

Non avendo fatto passi concreti, a livello nazionale non si sono evidente-mente trovate difficoltà. Inoltre, il servizio della PGV non è potuto esserepropositivo in merito alla ristrutturazione dei Segretariati. E’ stato comunqueimpegnato in un intenso lavoro di progettazione e strutturazione sistematicadel servizio affidato allo stesso.

3. Proposte

Forse è il caso di porsi davanti ad una “alternativa secca”: lasciare tuttocom’era prima o procedere con decisione alla attuazione della nuova impo-stazione.

In quest’ultima direzione ci sembrano importanti i seguenti passi:- con l’assemblea dei Segretariati convocata per il prossimo ottobre, av-

viare la sperimentazione della nuova impostazione;- procedere alla nomina dei responsabili delle singole aree e definirne in

concreto compiti e responsabilità;- garantire un effettivo spazio operativo ai singoli servizi;

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- orientare i singoli servizi ad operare secondo una specifica progettuali-tà, aperta ad una effettiva collaborazione con gli altri servizi,

- chiedere a tutte le province di organizzare le aree dei Segretariati inmodo conforme allo schema nazionale, in tal modo sarà possibile unaeffettiva sinergia.

Fr. Enzo La PortaVice Segretario nazionale

Fr. Marcello LonghiConsigliere nazionale

Fr. Gianni PioliMinistro provinciale accompagnatore

Segretariato della Formazione

Cammino fatto

Nell’ottobre ‘97 è stato presentato e approvato il progetto di ristruttura-zione dei Segretariati. Era stato anche approvato un iter, un periodo di trans-izione. Esso consisteva in un processo che partiva dai Capitoli provinciali, e,un po’ alla volta, sarebbe poi diventato, nel corso di tre anni, patrimonio co-mune di tutta Italia.

Ebbene, a me pare che di tutto questo non si sia fatto nulla. Anzi il pro-cesso ha bloccato il Segretariato stesso, ormai delegittimato dalla nuovarealtà. Non essendo mai nato il nuovo, ed essendo delegittimato il vecchio,ci si trova in una fase più che di passaggio, di stasi, di blocco.

Porto ad esempio quanto è avvenuto nella mia Provincia di Trento. Loscorso anno ho fatto presente la necessità, dopo il capitolo, di riorganizzare iSegretariati nelle quattro aree previste. Mi risulta, ma non è mai stato resopubblico, che il p. Provinciale e tre definitori siano stati preposti alle quattroaree, mentre i Segretariati hanno continuato come prima. O meglio, non si èpiù capito che cosa si aspetti. Il tutto con conseguente blocco: non c’è statanessuna ristrutturazione e nessuno più si è incontrato.

In pratica, non si è fatto nessun cammino. In questi due anni non ho vistonessuno che si presentasse come il Segretario della nuova area: nessuna co-municazione, nessuna presenza.

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Difficoltà

Secondo me non si è fatto nessun sforzo per capire cosa si volesse fare. Sidice si a tutto, ma senza impegnarsi concretamente. Succede così, come nelGattopardo:”si cambia tutto purché non si cambi nulla”. La domanda che mifaccio: a chi spettava introdurre la nuova strutturazione? Ai Capitoli provin-ciali: questa la decisione presa a Collevalenza ‘97. Chi l’ha fatto? Non sonoin grado di verificarlo e di dare una risposta, se non quella relativa alla miaProvincia, come detto sopra. Eppure nel 1998 ci sono stati ben 11 Capitoliprovinciali, cioè la metà delle Province italiane, nessuno ha comunicato unqualsiasi cambiamento o una ristrutturazione come si sarebbe dovuto fare.

Proposte

Visto il fallimento della precedente proposta, ritengo sia utile riformulareuna proposta a breve. Propongo quanto segue: tutte le province, tramite ilproprio Provinciale e suo Definitorio, riorganizzino al proprio interno i Se-gretariati secondo le quattro aree, e all’interno delle aree indichino i vari set-tori, scegliendo gli incaricati. Ciò sia fatto entro il mese di settembre, e entrola prima settimana successiva comunichino alla CIMP-Cap i nomi dei re-sponsabili delle aree e dei settori. Saranno questi che si ritroveranno a Sacro-fano tra il 25-29 ottobre, per scegliere i responsabili nazionali delle aree edei settori e per programmare per i prossimi anni.

Fr. Antonino Butterini

Progettazione CommissioneBeni Culturali Cappuccini Italiani

L’attività per la costituenda Commissione per i Beni culturali si può rias-sumere molto velocemente.

L’Assemblea dell’ottobre 1997 a Collevalenza, oltre ad affidarci l’incari-co di prendere i contatti, chiedeva a tutte le Province di costituire una pro-pria commissione provinciale corrispondente, qualora non ci fosse ancora. Ilnostro primo impegno è stato quindi quello di prendere contatti con le Curie

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provinciali per avere i nominativi degli incaricati ai vari settori dei beni cul-turali e del coordinatore provinciale. Grazie alla costanza di p. Andrea Mag-gioli, siamo giunti a discreti risultati. Bisogna dire che non tutte le Province,per quanto ci risulta, hanno costituito la commissione, e quindi qualche no-minativo ancora ci manca.

Il passo successivo è stato l’organizzazione di un convegno dedicato atutti gli operatori dei vari settori dei beni culturali, da tenere a Foligno neigiorni 20-21 del prossimo mese di settembre, presso l’Oasi San Francesco.

Il convegno vuole costituire una prima occasione di sensibilizzazione alvalore dei beni culturali, e di introduzione alla legislazione civile ed eccle-siastica in materia. Secondo scopo del convegno sarà quello di costituire lacommissione, chiedendo ai partecipanti interessati di dare la propria disponi-bilità a collaborare.

Nel febbraio scorso, su invito della Presidenza CIMP Cap, abbiamo pre-sentato il convegno alla stessa conferenza ad Armeno, raccogliendo segni dilusinghiero interesse ed incoraggiamento.

Nella stessa occasione, su suggerimento di padre Ermanno Ponzalli, silanciava anche un primo censimento dei beni culturali mediante un formula-rio che veniva distribuito ai partecipanti.

Nel mese di maggio abbiamo proceduto all’invio degli inviti al convegno,e attendiamo fiduciosi le adesioni, come attendiamo ancora il ritorno delleschede per il censimento. Nel frattempo, non manchiamo di coltivare contat-ti e di sollecitare la partecipazione.

Un’altra attività consiste nella ricerca della documentazione legislativa,per fornire ai partecipanti al convegno del materiale utile per la collaborazio-ne con gli enti civili ed ecclesiastici. Padre Andrea Maggioli, inoltre, parteci-pa, come rappresentante dei religiosi, alle riunioni della Commissione CEIper i Beni Culturali.

Recentemente abbiamo segnalato ai confratelli le scadenze delle attivitàdell’Associazione dei Bibliotecari Ecclesiastici e degli Archivisti Ecclesia-stici, alle quali partecipiamo regolarmente.

La Commissione deve ancora nascere.

Fr. Gabriele Ingegneri

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Segretariato dell’Evangelizzazione

Il Segretariato con attenzione si è posto nell’ottica del processo di orga-nizzazione degli ambiti o accorpamenti dei vari Segretariati. Innanzitutto hafatto memoria delle proprie origini, che risalgono agli anni 60, e che segna-no la prima attuazione di un Segretariato nazionale. Il Segretariato nazionaleper l’evangelizzazione è sorto dall’esigenza di coordinare, per risultati a li-vello nazionale, i religiosi dediti alla predicazione a tempo pieno e non. In-sieme a questo scopo operativo, il Segretariato si proponeva una animazio-ne/formazione dei predicatori. L’aspetto operativo e formativo sono caratte-ristici del Segretariato e sono stati portati avanti. Con l’affermarsi delle nuo-ve metodologie delle missioni al popolo, il Segretariato si è rivolto partico-larmente ad esse, producendo idee apprezzate anche da altri Ordini; tuttavianon ha mai tralasciato l’aspetto formativo, anche se ad un certo punto ha in-dirizzato i suoi sforzi al Convegno per le missioni al popolo, che si tiene ingennaio in via Merulana.

Ora il Segretariato ha voluto considerare con profondità l’aspetto formati-vo. Per questo ha svolto nei primi di febbraio un Convegno ad Assisi, su te-mi riguardanti la fraternità e l’itineranza. Per tale compito sono state inter-pellate personalità rilevanti: fr. Costanzo Carnioni e mons. Lorenzo Chiari-nelli, ed è stata data la parola anche al Ministro accompagnatore. Dal Con-vegno è emersa una ricchezza sorprendente, tanto da gettare luce su tuttol’essere dell’Ordine. Del Convegno sono stati pubblicati gli Atti, diffusi intutte le Province.

Il Segretariato ha riflettuto sulle varie aree proposte al Convegno di Col-levalenza 1997, sapendo che ci si trova ancora di fronte ad uno stato di “flui-dità”. Dalle considerazioni sono emersi due punti, che lo riguardano. Il pri-mo riguarda “la profezia”, che non può essere solo legata all’area della cari-tà (la CISM parla di area della solidarietà) essendo un fatto proprio a tutte learee, anzi una linea trasversale che le unisce. Il secondo punto riguarda il Se-gretariato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e qui bisogna direche l’area più appropriata, connaturale, è quella dell’evangelizzazione.

Come cammino di conoscenza tra i vari Segretariati, il Segretario nazio-nale ha partecipato a Bologna ad un corso “Formare i formatori”.

Si è cercato, poi, di avviare un’operazione comune per una missione suproposta nella Locride, ma non si è arrivati ad un risultato concreto; tuttavia

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è stato un passo importante che è stato apprezzato. Si tratterà di fare un cam-mino di migliore conoscenza.

Con il Segretariato nazionale per le vocazioni si è raggiunta l’intesa ope-rativa che nelle missioni al popolo partecipino i vari incaricati per le voca-zioni, e ciò per la durata dei 15 giorni. La cosa ha già avuto una buona attua-zione nella missione di Pompei, dove all’animatore vocazionale sono statedate ampie possibilità di incontro con il mondo giovanile.

Al Segretariato nazionale, per il momento, resta un po’ difficile intendereil valore concreto degli accorpamenti, nelle Province, sotto un “supersegre-tario”, così come attualmente viene chiamato. Quello che si può dire, senzaalcuna volontà di fare pressione, è che ancora i “supersegretari” non si sonointeressati di far giungere la segnalazione del loro impegno fattivo. Pensia-mo che la presenza dell’Accompagnatore sia quanto mai utile. Egli possiedeil carisma dell’autorità e ci comunica il pensiero della CIMP Cap mantenen-doci ad esso conformi. Questo carisma entra in contatto con il carisma delSegretariato, il quale è esistente.

Proponiamo che la CIMP Cap dia vita a bozze di statuto, rivedibili dinami-camente per un intervallo di tempo. È molto lesivo non avere dei termini sucui confrontarsi e sentirsi uniti. Ad esempio, senza uno statuto i rapporti tra iSegretariati nazionali e quelli provinciali possono, col sopraggiungere di nuo-ve leve che non hanno vissuto la tradizione orale, diventare, agli inizi, difficili.

Fr. Paolo Berti

Segretariato per l’Animazione Missionaria Accendere il fuoco della missione

Il recupero della centralità nella Chiesa locale dell’impegno missionariodiretto, e la riscoperta di un compito di animazione non delegabile, sono sta-ti gli aspetti fondamentali del dopo Concilio.

Di conseguenza la Chiesa italiana ha offerto documenti magistrali e inno-vativi. Ma c’è da riconoscere che non hanno intaccato, se non in parte e su-perficialmente, il tessuto ecclesiale. Si sono consolidati gli organismi giàoperanti e se ne sono costituiti di nuovi. Sono nate strutture di coordinamen-to all’interno dei diversi soggetti missionari, con chiaro obiettivo di qualifi-

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care meglio il proprio servizio. Negli anni del post Concilio ci fu un grandeentusiasmo nel mondo missionario, si arrivò ad una presenza di 18.000 uni-tà. Dal 1985 ad oggi si segnala un periodo di rallentamento nella Chiesa enell’Ordine, favorito dal desiderio di mettere ordine nel mondo missionarioesuberante e per alcuni un po’ scomposto. Ma anche da altri fattori quali: a)il calo di vocazioni, dovuto a diversi fattori, non ultimo il calo demografico.b) L’ampliamento del concetto di missione, che legandolo alla situazione pa-storale italiana ha messo in secondo piano la missio ad gentes. c) II prevale-re dell’aspetto economico a scapito dell’investimento delle persone. d) La ri-flessione teologica culturale sulla missione che sembra incapace di spiccareil volo. Le stesse riviste missionarie hanno poco incisione e non trovano per-sone sensibili, vedi il caso di Continenti. Credo che, prima di passare ad unarevisione dei nostri Segretariati, sia urgente studiare le problematiche teolo-giche e pastorali legate alla vita delle Chiese locali dove operiamo, e all’im-pegno di evangelizzazione, proprio di tutte le Chiese. Approfondire gliorientamenti del magistero in campo missionario. Programmare possibili ini-ziative di interesse comune. Favorire l’incontro tra diversi soggetti, per valo-rizzare competenze o capacità, sia nel servizio di animazione, che di coope-razione. Che fare?

Il Consiglio Episcopale Permanente ha emanato un documento, facendoseguito al Convegno nazionale missionario della Chiesa italiana.

Alcuni punti salienti ribaditi: accendere il fuoco della missione? Suggeri-menti per favorire l’accendersi del fuoco della missione. Le nostre comunità,fra le tante urgenze, dovranno imparare a riconoscere che la più urgente è an-cora e sempre la missione. Agli Ordini e Istituti missionari italiani è chiestoanche oggi di rimanere se stessi, fedeli all’azione missionaria ad gentes e advitam, aiuteranno così a coniugare l’esperienza dello stare insieme con quelladell’essere inviate dalla Chiesa locale. Inoltre, è doveroso coltivare un mag-gior riconoscimento del ruolo dei laici, portatori di competenze che possonoaiutare il ripensamento delle forme con cui si esprime il lavoro missionario.

Aprire il libro delle missioni, per scoprire quanto nel mondo, per amoredel Vangelo e a servizio dell’uomo, molti fratelli e sorelle stanno vivendononostante tutto, per tornare all’essenza della vita cristiana, per trovare ispi-razione nell’intraprendere nuove strade pastorali. Scelte che potrebbero fa-vorire l’apertura del libro della missione. Valorizzare le riviste missionarie,gli incontri con i missionari, dare più spazio a corsi di missiologia nei nostriluoghi di formazione, favorire giornate di incontri con testimonianze missio-narie che interpellano la coscienza dei candidati al sacerdozio.

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Rileggere l’impegno missionario a partire dalle istanze della giustizia edella pace. Questo significa disporci ad una conversione pastorale.

Il fuoco della missione è capace di trasformare profondamente la nostrapastorale, in tutte le sue forme e nelle sue stesse strutture, e di incidere sututto il nostro lavoro formativo.

Si tratta di rimescolare le carte delle nostre abitudini e consuetudini pa-storali.

La missio ad gentes può, infatti, essere intesa come il suo paradigma piùstimolante e illuminante. Non c’è vera cura pastorale che non formi alla mis-sione e alla mondialità. Anche se piccola e povera, antica o nuova, ogni co-munità deve farsi segno dell’amore di Dio per tutti.

Come Segretariato abbiamo svolto il consueto lavoro di animazione, divisite e di incontri. Anche quest’anno abbiamo avuto il Convegno nazionalesul tema: “Siate misericordiosi come il Padre vostro”. C’è stata una presenzanumerosa e qualificata. Sullo stato attuale della rivista Continenti vi riferiràp. Celestino.

Ho notato un certo risveglio di interesse in alcune province, ci sono Se-gretari provinciali che stanno dando un nuovo impulso all’Animazione Mis-sionaria; ci auguriamo che possano essere segni di un rinnovato interesse.Per la programmazione ci siamo fermati un attimo in attesa degli sviluppidelle riorganizzazioni dei Segretariati.

Fr. Lucio Viscido

Segretariato per la Pastorale Parrocchiale

Lo spazio di tempo della nostra relazione é caratterizzato dalla visita delMinistro generale alle Province d’Italia. Abbiamo innanzitutto preso cono-scenza di quanto il Ministro generale ha detto nelle riunioni fatte con i nostriSegretariati nelle diverse province, sottolineando il carattere fraterno che de-ve animare anche l’attività pastorale delle nostre Parrocchie. Non attività dadividere, ma da condividere.

Ne abbiamo parlato più volte nelle riunioni di Consiglio, tenute a Romapresso la nostra Casa di S. Fedele in Urbe, via Cairoli.

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Nel febbraio del 1999 (12,13,14) ad Assisi si é tenuto il nostro annualeConvegno con i laici delle nostre Parrocchie, sul tema dell’anno, il “Padre”.Ha guidato le nostre giornate fr. Giovanni Spiteris, con grande soddisfazionedi tutti. Presenti circa 30 comunità parrocchiali; rappresentate circa 15 Pro-vince religiose. Graditissima la presenza e la parola del Presidente CIMPCap.

Abbiamo tenuto l’altro incontro, destinato ai Segretari provinciali e loroConsigli nei giorni 18/22 giugno presso l’Hotel Helios di Noto (Sr) sul temadel VI CPO “Vivere la povertà in fraternità”. Ci sono stati da guida in questariflessione i fratelli Cologero Peri, Vicepresidente CIMP Cap, Giovanni Sa-lonia, Remigio Targia, Ministri provinciali delle tre province religiose dellaSicilia.

I nostri Segretari locali, Fra Pietro Iacono (Siracusa) Fra Aurelio Biundo (Messina ) Fra Gianmaria Miceli (Palermo) si sono accollati tutto l’onere del-la organizzazione con il massimo dell’impegno e dei risultati.

Abbiamo visitato insieme la parrocchia di Paternò con grande soddisfa-zione di tutti.

La presenza dei frati non é stata numerosa, ma i presenti hanno partecipatovivamente, mettendo a disposizione di tutti le loro idee e le loro riflessioni.

Anche in questa relazione vorrei ringraziare di cuore i fratelli Ministriprovinciali e i fratelli Segretari provinciali per la pastorale parrocchiale delleProvince di Sicilia.

Inoltre abbiamo avuto come Segretariato nazionale un incontro con i Se-gretariati nazionali dei Frati Minori, Conventuali e TOR, nel desiderio di po-ter fare insieme qualcosa di significativo nell’anno giubilare. Le pratiche de-bitamente inoltrate non hanno ricevuto risposte.

Più volte abbiamo preso in esame, sia in Consiglio nei Convegni, il pro-getto di ristrutturazione dei Segretariati di Collevalenza 1997, cercando dicapirne le ragioni.

Ci sembrava che la ragione principale fosse un più agile e fruttuoso colle-gamento dei Segretariati con la Presidenza della CIMP Cap e con gli altriSegretariati.

Ci sono giunti nel frattempo da alcune province progetti di ristrutturazio-ne, che hanno ricalcato il progetto Collevalenza 1997.

Orientativamente non siamo contrari alle ragioni che determinano questarevisione, e quindi allo stesso progetto di revisione.

Non ci rimane difficile capire i fratelli dell’area in cui siamo inseriti, macome, in che veste e con quale impegno, saremo inseriti nell’area della evan-

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gelizzazione, visto che tutte le realtà in essa nominate sono parte viva diogni progetto pastorale parrocchiale ben costruito.

Proclamazione della Parola di Dio, apertura missionaria, pastorale dellasalute, pastorale giovanile e vocazionale, uso dei mezzi di comunicazionesociale, dialogo ecumenico e interreligioso, OFS, GiFra, sono tutti capitoliben evidenti dei nostri piani pastorali.

Tutti i piani pastorali che ho avuto modo di esaminare portano questipunti come capitoli di una pastorale ben strutturata, e godono anche di quel-la caratteristica e di quella attenzione che fa di una parrocchia, a noi affidata,una parrocchia cappuccina, nello stile fraterno della conduzione e nello stiledella minorità evangelica, curando gli aspetti a noi molto familiari, come lacura delle confessioni, della direzione spirituale, delle missio ad gentes eogni altra attività, che ci contraddistingue.

Quindi, se non possiamo essere contrari a questo progetto, quanto menosiamo perplessi.

Fr. Fabrizio Civili

Relazione del Ministro provinciale accompagnatore

Il Segretariato nazionale per la pastorale parrocchiale, che da pochissimotempo seguo come Ministro provinciale accompagnatore, in questo anno haportato avanti con fedeltà il suo lavoro della duplice prospettiva formativa:

a) dei parroci e collaboratori laici;b) dei Segretari provinciali e loro Consigli. Allo scopo sono stati celebra-

ti due Convegni:1) ad Assisi presso la Domus Pacis nei giorni 12,13,14 febbraio sul tema

dell’anno in corso “Il Padre”, relatore fr. Giovanni Spiteris. La parteci-pazione è stata buona, circa 120 persone; rappresentate 17 province.

2) a Noto (Siracusa) presso l’Hotel Helios per i Segretari provinciali e lo-ro Consigli sul tema del VI CPO “Vivere la povertà in fraternità”.

Questo secondo incontro meno frequentato, ma molto interessante per-ché i Ministri provinciali che lo hanno animato (fr. Calogero Peri e fr. Gio-vanni Salonia) hanno partecipato al VI CPO, ed hanno potuto esprimere neiloro interventi le cose più interessanti che emergono dal Consiglio Plenariostesso.

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In questa sede, come del resto in altre, si è discusso il problema della revi-sione dei Segretariati. Non ci sono all’interno del Segretariato opposizioni pre-concette, ma solo difficoltà a capire come funzionerà il tutto, e come strutturecosì massificate possano sortire l’effetto di una doverosa animazione.

Per il resto, tra me e il Segretario nazionale c’è un buon rapporto di colla-borazione, ispirato alla fiducia reciproca e sostenuto dalla informazione pun-tuale che il Segretario mi offre prima e dopo ogni attività. Penso che i nostriParroci, per quanto possano conoscere il Segretariato nazionale, lavorinocon serietà, con convinzione, ricercando il più possibile la vicinanza dellaConferenza e dell’Ordine, in modo da non smarrire la loro identità.

Tra l’altro, hanno già stabilito una prossima riunione di Consiglio, orien-tativamente per il 18,19,20 settembre in Sardegna, ed un Convegno a Romao Assisi per i giorni 10,11,12 febbraio del 2000. Si domandano che ne è sta-to di quella proposta di una celebrazione penitenziale nel 2000 insieme aiFrati Minori, Conventuali e TOR.

Fr. Stefano Baldini

Segretariato per la Pastorale della saluteIl servizio agli infermi tra memoria e profezia

Linee operative

Premessa

Da alcuni anni il Segretariato nazionale per la Pastorale della Salute si èdimostrato attento alle linee pastorali ed apostoliche di sua competenza, peroffrirle ai Cappuccini italiani che prestano la loro opera significativa nelmondo sanitario. Alcune di queste linee, maturate nello spirito delle Costitu-zioni (nn. 86-87 e 150), sono entrate nel Progetto Formativo dei Cappucciniitaliani (n. 98), altre, invece, stanno emergendo dall’attuale cammino storico.

Le proposte operative, elaborate dai Segretari provinciali e qui indicate,rispondono all’urgenza di un recupero più vigoroso dell’apostolato con gliinfermi di tradizione dell’Ordine e, perciò, domandano di essere accolte efatte proprie dalla Conferenza e dalle singole province.

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1. - Per essere operatore di pastorale della salute oggi si richiedono pre-sumibilmente i seguenti requisiti:

a) essere dei testimoni credibili di comunione fraterna e dei principi tra-smessi, sapendo continuamente incarnare nella propria esperienza la fedecon la vita, e facendo della fraternità un punto di riferimento sicuro; comesan Francesco, che viveva il Vangelo che proponeva.

b) Essere degli evangelizzatori al passo con i tempi (dialogo aperto, sere-no, disinteressato, universale, fraterno, propositivo dei valori trascendenti);come san Francesco, chiamato ancor oggi “profeta del nostro tempo” (cf.Van Doornik N. G. M, Francesco d’Assisi, profeta per il nostro tempo, Cit-tadella Editrice, Assisi 1979).

c) Essere degli animatori dell’ambiente in cui si opera, promuovendo l’u-manizzazione della sanità con un’antropologia ispirata alla Bibbia e al fran-cescanesimo, favorendo la nascita e la crescita della Chiesa nelle sue appro-priate forme di pastorale sanitaria (cappellanie, associazioni, volontariato,ecc.); come san Francesco ritenuto fratello universale e uomo fatto Chiesa.

d) Essere degli accompagnatori che sanno tessere legami di partecipazio-ne, comunicazione e comunione, a livello locale, provinciale e nazionale;come san Francesco, che nel Testamento - posto dai Cappuccini sullo stessopiano della Regola - indica ai frati la sua esperienza con i lebbrosi, ritenen-dola elemento determinante per la sua conversione e, perciò, illuminante perla fondazione dell’Ordine e per la sua continuità storica.

2. - Per maturare nei requisiti richiesti si ritiene opportuno indicare deipercorsi formativi:

a) una formazione di base. Ad ogni operatore di pastorale sanitaria si ri-chiede una conoscenza basilare di teologia pastorale sanitaria e, inoltre, la ca-pacità di costruire relazioni umane, psicologiche, sociali e spirituali autentichecon i malati. È compito del cappellano con i suoi collaboratori pastorali, saperanimare la comunità cristiana delle strutture sanitarie e sensibilizzare le comu-nità cristiane del territorio, affinché la comunità diventi effettivamente l’agen-te primario della pastorale. A questa formazione speciale (cf. Cost. art. IV, nn.37-40) sono finalizzati diversi centri di pastorale sanitaria dislocati in Italia.

b) Una formazione permanente. Si propone di animare, sostenere ed ac-compagnare gli operatori di pastorale della salute con corsi formativi e diaggiornamento periodici. Questi corsi hanno orientativamente la durata di 3

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settimane e vanno riproposti almeno ogni 5 anni ad ogni cappellano. Si vuo-le così raggiungere e mantenere qualificata l’assistenza e la cura di coloroche operano nella pastorale della salute, affinché possano coltivare la loroprofessionalità ed essere persone affettivamente mature e spiritualmenteadulte, capaci a loro volta di proporre, con sempre crescente profondità, i va-lori della fraternità e della comunione fraterna fra gli operatori sanitari e conla gente. In questo senso le infermerie provinciali sono chiamate ad essereun luminoso esempio di fraternità in cui assistenti e malati vivono in modoattivo la sofferenza.

c) Una nuova evangelizzazione specifica. Per mantenere viva la coscien-za di frati minori, cioè, “essere servi di tutti”, e per una fedeltà alla propriasecolare tradizione, avendo in cuore il bene corporale e spirituale dell’uomoodierno, specialmente se debole e sofferente, si richiede anche una formazio-ne specifica ai valori evangelici e francescani per assolvere alle aspettativedell’Ordine e della propria circoscrizione. Un Corso speciale di una settima-na all’anno, indirizzato agli operatori della pastorale della salute, assolvereb-be a questo scopo. Inoltre, l’argomento andrebbe inserito almeno una voltanell’arco del triennio nel programma di formazione permanente delle pro-vince. Si parte dal principio che i fratelli più deboli e sofferenti sono per ilfrate minore dei veri formatori, e il cappuccino deve saper stare e saper vive-re accanto a loro (cf. Bazarra Carlos, Fratelli dei poveri tra i poveri: La no-stra specificità, in VI° CPO, Assisi 1998).

3. - Per percorrere questo itinerario formativo è giocoforza tracciare unprogetto teorico-pratico:

a) progetto scientificamente controllabile. Presuppone una programma-zione basilare sulle linee operative della pastorale della salute, sia in teoria(attraverso un approfondimento dei principi di cura degli infermi, su basi bi-bliche, teologiche, morali, pastorali e francescane) che in pratica (necessitadi un confronto personale e fraterno, o di una supervisione, attraverso unesperto di pastorale sanitaria, affinché ai principi teologici e alla loro pratica,possano corrispondere le dinamiche di crescita spirituali, psicologiche e so-ciologiche più mirate).

b) Progetto comunitariamente attendibile. Si richiede la sostanziale ade-sione di tutti (superiori e sudditi) al progetto di base, affinché dalla necessitàdi un cambiamento della pastorale sanitaria comunemente condiviso, si pas-si, con il contributo di tutti alla ricerca creativa delle proposte da attuare.

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c) Progetto globalmente verificabile. È necessario riflettere in modo criti-co sul cammino fatto, per saperlo eventualmente correggere e migliorare, eper avere il coraggio/dovere di abbandonare alcune forme pastorali dissueteed incentivarne altre più attendibili, sia in rapporto alle attese dei singoli in-dividui, evitando eccessive stabilità o mobilità, sia per la responsabilità diogni operatore cappuccino di pastorale sanitaria, che, nei confronti della co-munità cristiana, ha il dovere di adeguatamente servire.

4. - Per rielaborare e recuperare alcuni aspetti del carisma francescano-cappuccino si avverte la necessità di proporsi degli obiettivi specifi-ci:

a) recuperare un rapporto stretto di collaborazione e comunione con tuttol’Ordine, ma specialmente con i Superiori Maggiori di ogni provincia chehanno la responsabilità primaria della formazione dei frati e della continuitàstorica del carisma e della tradizione, impegnando circa 1/10 dei frati in que-sto settore. Per l’importanza che riveste l’argomento, sarebbe auspicabileche il Ministro generale si esprimesse con una lettera rivolta a tutto l’Ordine,o, perlomeno, alla Conferenza CIMP Cap.

b) Saper proporre una cura agli infermi che non si limiti ad offrire dei ser-vizi clericali in ordine ai sacramenti o alle pratiche di pietà, ma che sappiaessere espressione dell’Amore del Padre, che guarda con predilezione ai suoifigli sofferenti, attraverso molteplici forme di assistenza e di cura.

c) Inserire l’esercizio pratico di carità con gli infermi ad ogni livello diformazione (iniziale e permanente), come un’espressione tangibile dellacontemplazione fatta vita e come aspetto costitutivo di un Ordine di fratelli,dove tutti sono chiamati all’apostolato.

d) Recuperare il senso della fraternità aperta che non si restringe al soloambito dei frati, ma sa valorizzare il contributo dei laici (specialmente OFS eGiFra), inserendoli nelle cappellanie ospedaliere, nei consigli pastorali ospeda-lieri, nel volontariato sociosanitario o in altre associazioni sanitarie e/o umani-tarie che promuovono la giustizia, la pace e il rispetto di “madre natura”.

e) Promuovere una cultura aggiornata della salute che incida in tutte lefraternità cappuccine, ma che porti uno spirito francescano anche nella vitadelle chiese locali, delle parrocchie e nell’intero tessuto sociale.

5. - Per proporre con convinzione queste linee progettuali ed operative siavverte la necessità di un miglior impiego di persone e mezzi:

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a) il nuovo volto del Segretariato nazionale. Espressione della Pastoraledella salute della CIMP Cap, il Segretariato nazionale è indicativo dell’im-pegno di vita apostolica di tutti coloro che già operano nell’ambito dell’assi-stenza sanitaria ed è propositivo di una nuova cultura della salute. I Segreta-ri provinciali e loro consiglieri, adeguatamente preparati e, inoltre, chiamatidall’obbedienza e, perciò, motivati a svolgere questo compito specifico sonol’espressione fraterna più concreta del legame di comunione con i cappellanidella salute, con i confratelli che operano nelle infermerie provinciali e contutti coloro che assistono corporalmente e spiritualmente i malati. Essi ani-mano pastoralmente le associazioni di assistenza e cura, compreso il volon-tariato e le associazioni, o enti “no profit”. È loro compito mediare le propo-ste che nascono dalla base, e gli orientamenti della CIMP Cap al fine di fa-vorire, per quanto possibile, la piena comunicazione. Per le sue caratteristi-che specifiche, sia per ragioni dovute alla nostra tradizione, che per i legamidi comunione con gli organi ecclesiali del settore, i Segretari nazionali vedo-no la necessità che questo Segretariato nazionale mantenga una sua autono-mia e, dove si ritiene opportuno, si studino le modalità di un segretariato in-terprovinciale di circa 8 (otto) membri, espressivo di due o più province.Inoltre, a giudizio del Consiglio di presidenza o dell’Assemblea CIMP Cap,per assolvere alle esigenze di programmazione, il Segretariato deve poterdisporre di mezzi ordinari e straordinari.

b) La nuova funzione del Segretario nazionale. I Segretari nazionali au-spicherebbero che l’Assemblea della CIMP Cap accogliesse, come una pre-ziosa risorsa da favorire e incrementare, la funzione di animazione e di ac-compagnamento svolta dal Segretario nazionale della Pastorale della salute.Per poter promuovere una ripresa più aggiornata in simbiosi con le singoleprovince, per soddisfare le esigenze dei Segretari provinciali e, inoltre, peroffrire ulteriori stimoli per un servizio adeguato alle attese culturali odierne,è bene che il Segretario nazionale non sia vincolato da altri compiti, incom-patibili con la sua funzione, ma sia libero, per poter dare la priorità alle at-tuali esigenze emergenti, ed aiutare ad elaborare una puntuale risposta allariscoperta del servizio agli infermi.

c) Bollettino di informazione ufficiale. I Segretari nazionali ritengono op-portuno di avere un organo di stampa autonomo, quale piccolo strumentoutile ed agile che permetta di comunicare le linee d’informazione e forma-zione maturate dal Segretariato nazionale della Pastorale della Salute e con-divise dalla CIMP Cap. Il periodico potrebbe trovare spazio nel BollettinoUfficiale della CIMP Cap, o come allegato nella rivista dell’AIPAS (Asso-

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ciazione Italiana di Pastorale Sanitaria), oppure avere una propria pubblica-zione.

d) Conoscenza delle linee di tendenza della sanità. Gli enormi cambia-menti già operati nell’ambito della medicina, delle leggi statali e nei docu-menti ecclesiali e tutt’oggi sottoposti ad una continua trasformazione, vannopresentati e letti in modo critico, propositivo e secondo l’ottica francescana,attraverso annuali convegni, per poter offrire uno specifico contributo all’at-tuale “cultura sanitaria”. Il contatto con i centri accademici specializzati inPastorale sanitaria e in Bioetica faciliterà queste indispensabili conoscenzeche aprono alla interdisciplinarietà e collaborazione con tutto il mondo sani-tario, evitando le chiusure nel proprio ambito.

e) Collocazione giuridica. L’operatore di pastorale sanitaria che svolge ilruolo di assistente religioso nelle strutture sanitarie italiane, per la comples-sità della situazione, va correttamente inquadrato secondo l’ordinamentogiuridico in utroque jure, sia ecclesiale, in rapporto all’ordinario diocesano,primo responsabile della pastorale in diocesi, che civile, con le ASL (Azien-de sanitarie locali) e le Regioni in base al SSN (Servizio Sanitario Naziona-le). Questo ovvierebbe a situazioni pastorali ed economiche di disagio pre-senti in seno alle province.

Auspicio conclusivo

Le presenti proposte, maturate dalle risposte pervenute da un questionarioinviato a tutte le province, raccolgono indicazioni ed aspettative di coloroche sono a diretto contatto con le problematiche sociosanitarie. Queste pro-poste progettuali, perciò, s’attendono di essere attentamente valutate, messea tema in un’Assemblea della CIMP Cap e fatte oggetto di un confronto conil Segretariato (Segretario e consiglieri) prima di essere attivate, favorendo,pur nella pluriformità, un’azione apostolica globale, unitaria e, per quantopossibile, attendibile in territorio nazionale.

Fr. Mariano SteffanSegretario nazionale

Fr. Natale CocciMinistro accompagnatore

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Segretariato Giustizia, Pace ed Ecologia

È più di un anno che il nostro segretariato è nella bufera (sta vivendo unmomento difficile). Speravamo che le difficoltà incontrate due anni fa, po-tessero essere risolte, ma così non è stato.

Vogliamo richiamare a questa Assemblea le fonti documentarie del nostroagire, e di seguito, secondo quanto ci è stato chiesto, ripresentare il camminofin qui svolto.

1) Le fonti del nostro agire

Le Costituzioni: al n. 147:«I Frati si abituino a leggere i segni dei tempi, nei quali si intravede con

gli occhi della fede il disegno di Dio».Al n. 99: «Secondo lo spirito di Francesco, annunziando la pace e la salvezza, non

solo con la bocca, ma anche diffondendole con opere animate dalla caritàfraterna.

Mossi da questo spirito, sforziamoci di indurre, con stile evangelico, aduna pacifica e stabile convivenza coloro che sono divisi dall’odio, dall’invi-dia e dai contrasti ideologici, di classe, di razza e di nazionalità.

Riscoprendo le forze della nostra fraternità, uniamole a quelle iniziative oistituzioni nazionali e internazionali che si adoperano rettamente per l’unitàdel genere umano, per la giustizia e per la pace».

Il V CPO fornisce criteri e motivi per le nostre scelte operative:a. 81: «... reagire ogni volta che un essere umano, o un popolo, è og-

getto di ingiustizia,… intervenire ogni volta che la natura è violen-tata e aggredita».

b. 82: «... allora dobbiamo lottare perché la vita possa continuare a cir-colare in abbondanza per tutti».

c. 83: «... annunciare la Pace, cioè la vita in abbondanza… con gioia,ma anche con spirito di penitenza e di conversione».

d. 84: «... come “minori”, avendo come punto di partenza i più piccoli;senza violenza, senza mezzi di potere, ma decisamente assumendo irischi che questo comporta».

e. 86: «... il punto di vista del povero è il luogo privilegiato dal qualeun figlio di Francesco vede e proclama i valori».

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f. 88: «... le nostre Costituzioni del 1982 ci invitano all’audacia e alcoraggio… coloro che cercano di farlo oggi, non sempre ricevonoun’accoglienza calorosa».

La lettera circolare n. 12 del p. Generale “Compassione”: «la non-violenza non è passività. Ghandi identificava la non-violenza conla verità: “La strada della pace è la strada della verità… L’uomo che cer-ca la verità è ancora più importante di colui che cerca la pace».

Non possiamo certamente enumerare qui tutti i passi dei documenti delnostro Ordine e della Chiesa, che a questo si riferiscono. Vogliamo però con-cludere ricordando quelle linee programmatiche che il capitolo generale del1994 ha tracciato per il periodo 1994-2000:

«… essere presenti e testimoni in mezzo al popolo, il popolo comune, co-me frati del popolo; in particolare in contatto con i più piccoli ed emargi-nati, per una pastorale di liberazione integrale dell’uomo che si oppongaalle molteplici forme di violenza e ai meccanismi di ingiustizia, e ci invi-ti a capire le domande degli uomini di oggi per parlare il loro linguaggioe rispondere ai loro bisogni».Da questi ed altri testi riportati abbiamo desunto e desumiamo la guida

sostenitrice dei nostri interventi: la radicalità, l’audacia, il coraggio sonoquindi modalità indispensabili per la nostra testimonianza.

Possiamo dire in coscienza che non ci siamo mai mossi con spirito di pro-tagonismo e tanto meno per screditare alcuno. Dobbiamo aggiungere cheogni presa di posizione è stata sofferta, poi soppesata per molto tempo primadi passare alla sua attuazione.

2) Attualizzazione

Con questi principi e criteri ci siamo mossi in tutti questi anni, consape-voli di compiere un servizio per una fraternità che, credevamo, desiderasseriporre in questo Segretariato la dimensione più “cruda o limpida” e menocondizionata di un carisma che è di tutti e non di alcuni. Non vanno sottova-lutate la fatica, la sofferenza, (sovente derise e spesso ridicolizzate), di queifrati che in questi anni hanno saputo offrire, anche perché, di questi nostriideali evangelico-francescani hanno fatto una ragione di vita.

In primo luogo ci siamo attivati nel proporre a tutti i frati l’esperienzadelle “scuole della pace” in Assisi, sollecitando che ne nascano di analoghe

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anche nelle singole province. Ci siamo inoltre fatti carico a che tutte le ric-chezze delle lezioni e delle discussioni delle “scuole della pace” possanopervenire ad ogni singolo frate attraverso lo strumento dei quaderni GPE (26numeri). Le stesse lettere “da fratello a fratello” sono state un tentativo di fa-re nostri i disagi, le speranze, i problemi dei fratelli; lettere che, con la loroschiettezza, siano carezze umane e delicate nel tentativo di avvicinarci a lo-ro.

Abbiamo sempre sperato che i Provinciali facessero propri questi nostri im-pegni, sia nello scegliere il Segretario provinciale GPE, sia nel favorire questeinformazioni e questa sensibilità. Sono state versate solo molte parole!

La difficoltà di intesa con i Provinciali e con il Padre Generale è nata daalcuni interventi che il Consiglio nazionale GPE ha intrapreso a partire dal1997. Vogliamo richiamarli velocemente: il caso del teologo dello Sri Lanka,padre Tissa Ballasuryia, condannato e scomunicato dalla Congregazione del-la dottrina della fede, senza un regolare processo; ne discutiamo in Assem-blea e decidiamo di scrivere una lettera aperta al Cardinale Ratzinger. Connostra sorpresa siamo invitati nel Palazzo del Santo Ufficio a dialogare suquesto argomento. Ci riceve Mons. Tarcisio Bertone: è un dialogo franco mache ci vede diversi nella sensibilità e nella considerazione dei diritti umani.Quattro mesi dopo, non certo per il nostro intervento, al teologo viene ritira-ta la scomunica.

A giugno dello stesso anno, riuniti in Assemblea interfrancescana ad As-sisi, raccogliamo la denuncia presentata in Italia dalle “madri di Plaza deMayo” (Argentina) contro il cardinale Pio Laghi, attualmente prefetto dellaCongregazione delle Educazioni. Sollecitiamo un incontro con lo stesso car-dinale, che ha luogo verso la fine del mese di giugno. E’ un incontro burra-scoso, da cui deriva la sospensione del nostro Segretariato operata dal padreGenerale. Il Cardinal Laghi in questi giorni è ancor più indiziato.

Avevamo intenzione di andare in Argentina a rendere visita al nostro con-fratello, allora in carcere a Caceros, p. Antonio Pujianè, con il quale aveva-mo un costante rapporto epistolare: il permesso ci è stato negato, in manierastrana.

All’inizio del mese di luglio, il consiglio nazionale G.P.E. si reca in Alba-nia, dove è scoppiata la guerra nata dalla crisi finanziaria. È un viaggio utileper capire questo paese povero in preda ad una guerra fratricida tremenda,siamo ospiti dei confratelli di Bari che lì hanno due case.

Di ritorno, senza fermarci, partiamo per Roma, dove abbiamo appunta-mento con il Cardinale Etchegaray del Pontificio Consiglio di Giustizia e

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Pace. Il Cardinale è impressionato dalla nostra “ricerca”, ma non ci capisce enon condivide il nostro modo di procedere.

L’anno 1998 è l’anno della riflessione. Vogliamo capire cosa sta succe-dendo nell’Ordine e nella Chiesa, riguardo a queste tematiche di GPE.

Invitiamo in successivi incontri prima il p. Generale, nel mese di feb-braio: è una vera delusione, non solo non riusciamo a chiarire i nostri dubbisulle vere motivazioni che lo hanno spinto a bloccare e a sospendere il no-stro segretariato, ma ci dà la sensazione che non riesca nemmeno a giustifi-care l’esistenza del nostro Segretariato all’interno della CIMP Cap: “nonpossono coesistere, dice, profezia e istituzione”.

Successivamente invitiamo il Presidente della CIMP Cap, p. AntonioAscenzi; si dichiara fortemente interessato alla tematica, anzi “se le cosestanno così, ci vengo anche io in Argentina dal p. Antonio Pujianè, rifate ladomanda”. Ha fatto parte, il p. Antonio, della Commissione che ha preparatoil V CPO di Garibaldi. Richiama l’attenzione sulla necessità di avere degli“specialisti”, magari formati alle università francescane, perché il segretaria-to abbia maggiore incisività.

L’ultimo “incidente”, quello che definitivamente ha fatto naufragare ilSegretariato, è stato quello relativo ad un intervento presso il Cardinale Mi-chele Giordano di Napoli.

Io ho proposto al Consiglio di scrivere una lettera, perché la vicenda delcardinal Giordano, secondo la mia sensibilità, ha completamente disorienta-to le nostre Chiese e i nostri fedeli del Sud. Un intervento che chiarisse dache parte sta la Chiesa tutta: dalla parte degli oppressori o dalla parte deglioppressi, dalla parte della giustizia o del potere.

Si decise di preparare una lettera, che poi tutti i segretari provincialiavrebbero dovuto firmare. Preparammo prima due bozze, non accettate so-prattutto dal nostro p. Accompagnatore. Si diede allora l’incarico di stilareuna nuova bozza di lettera da far girare presso i segretari provinciali, perun’approvazione definitiva. Stavamo ancora lavorando su questa bozza dilettera, quando abbiamo ricevuto, prima una lettera del p. Ascenzi, e poi unfax da Armeno, in cui al nostro segretariato erano state sollevate delle accu-se ingiuste e false, per squalificare l’impegno di alcune persone che com-pongono l’attuale consiglio Nazionale. Abbiamo voluto discutere della situa-zione, prima con il neo vescovo irlandese Martin Diarmuid, segretario delPontificio Consiglio Justitia et Pax, nostro referente in Vaticano per tanteprese di posizione. Ci dice, in parole povere, che il destino di questa com-missione GPE nella Chiesa è altalenante: per un periodo i vescovi la esalta-

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no, per poi bocciarla e riesumarla in un altro periodo. Forse questo è il mo-mento invernale, anche considerando la soppressione da parte della CEI del-la omologa commissione Giustizia e Pace.

Nell’ultimo incontro del Segretariato nazionale GPE a Roma sono emersetutte le incomprensioni e le contraddizioni di questi tempi.

La scelta dell’accompagnatore, p. Ferruccio Bortolozzo di Torino, haavuto l’unico scopo di demolire il segretariato GPE. Alla domanda perchénon l’hanno coerentemente soppresso, visto che il Segretariato è una emana-zione della CIMP Cap, ha risposto che in effetti, ad Armeno, si era votata lasoppressione, e per pochi voti la mozione non è passata.

Inoltre il p. Ferruccio ha detto una cosa molto grave di alcuni Provinciali:che sarebbero stati costretti a scegliere il Segretariato provinciale GPE, e chegli stessi parlerebbero in un modo a noi Segretari e quando sono tra loro,agirebbero diversamente. Non so se sia il caso del nostro Provinciale: sareb-be molto triste per me!

L’ultimo incontro di Roma, in febbraio, con il p. Accompagnatore segnala fine dell’attuale Consiglio. Con decisione irrevocabile il Vicesegretario p.Fabrizio Forti si è dimesso dal Consiglio nazionale e da Segretario provin-ciale. Dopo alcuni giorni anche p. Luciano Meli fa la stessa cosa.

Il Consiglio è dimezzato, proprio nel momento delicato in cui scoppia laguerra in Jugoslavia. Pur tenendoci in contatto personale, a livello di Segre-tariato nazionale, decidiamo di attendere il prossimo incontro di Bari in cuidefiniremo il futuro della stessa composizione attuale del Consiglio.

Abbiamo deciso di riprendere il “segno sogno” e dargli nuova progetta-zione.

Conclusione

Un dato di fatto: gli interventi del Segretariato sono stati delegittimati.Per paura? Per mancanza di coraggio? Per mancanza di radicalità? Abbiamola sensazione che più che una nostra linea, sia stata bocciata la linea chel’Ordine ha dato a sé stesso con le Costituzioni e i vari documenti, e l’esi-genza del Popolo di Dio del quale noi facciamo parte. Confessiamo che que-sto non ci demoralizza ma ci scandalizza. Abbiamo lavorato con entusiasmoma anche con sofferenza, per avere constatato quanto siano potenti le forzeopposte al cambiamento e alla vita, per conservare l’ordine e la quiete!

Anche il nuovo organismo che si va predisponendo si troverà in questesituazioni ambigue e laceranti se non vi saranno dei chiarimenti orientativi

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che “addolciscano e deradicalizzino” i documenti dell’ Ordine e mitighino lanecessità di giustizia.

La delegittimazione del Segretariato, il non riconoscersi nella attuale con-duzione della Segreteria GPE da parte della CIMP Cap, e il capire ancora dipiù l’urgenza di realizzare questi obiettivi evangelico francescani, crea ora inme un caso di coscienza. E a tal punto giungo a consegnare le mie dimissioni.

Fr. Valentino Incampo

Segretariato Opere Sociali Cappuccini

Valutazione del progetto di ristrutturazione dei Segretariati.Cammino fatto, difficoltà incontrate, proposte.

La gente contribuisce a determinare il sistema sociale entro il quale vivee lo rende migliore o peggiore. Così, i primi francescani si adoperarono perstabilire un patto sociale che riconoscesse e rispettasse l’umanità dei lebbro-si. Per qualsiasi gruppo, il problema fondamentale riguarda il tipo di ordina-mento che si dà e che si impegna a sostenere. Noi iniziamo a cooperare conil sistema quando accettiamo le alleanze sociali della nostra vita adulta e ciinseriamo in esse.

Ma che cosa dovrebbero fare i francescani, oggi? Si tratta di un’azione di-versificata a seconda dei luoghi, e consta di una fase economica e di una po-litica. Iniziando ad organizzarsi la vita, a scegliere un lavoro, la comunità fran-cescana contrae alleanze sociali di un tipo o di un altro, attraverso le quali sirende responsabile di una visione e di un modello sociale specifici. Perciò an-cora oggi deve semplicemente prendersi del tempo per riflettere e cogliere inmodo approfondito il significato dell’azione francescana stessa. Oggi abbiamobisogno di afferrare in modo accuratamente preciso il senso di ciò che sta ac-cadendo attorno a noi, a livello locale, nazionale e internazionale, così comefecero in Assisi i primi francescani. Quando iniziarono a lavorare onestamentenella città, essi si muovevano nella direzione opposta rispetto a quella del cul-to della proprietà. Noi combattiamo contro lo stesso demone, celato sotto spo-glie moderne e, al pari dei francescani della prima ora, dobbiamo imparare co-me spezzare la sua presa sulla gente, e su noi stessi.

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In quanto francescani, dobbiamo tracciare una linea di condotta sociale checi permetta realmente di «restituire a Dio tutti i beni»; e questo perché i fran-cescani sono per la gente, sono coinvolti nella vita degli altri, sono fratelli.

Dobbiamo ancor più definire la nostra linea di condotta più criticamentepossibile, poiché la nostra società mette gli individui e i gruppi in condizionedi cadere strada facendo.

Come francescani dobbiamo con semplicità entrare nei meandri delle que-stioni cruciali del nostro tempo, poiché esse determinano la vita della gente;dobbiamo prendere in esame ed esprimere un giudizio sul progetto sociale.

Quando affermò che il regno di Dio era vicino, Gesù dette il nome all’av-venimento centrale del suo tempo. L’avvento di un ordine nuovo risultavadall’inaccettabilità di quello stabilito e dalla rappresentazione di quello nuo-vo che egli dava. Di conseguenza, lanciò una reale sfida pubblica al rigidomodello di regolamenti di Israele. Certamente Gesù si guadagnò l’inimiciziadei potenti e dei ricchi, perché annunciava la fine di quel sistema sociale chea loro andava tanto bene. I primi francescani perseguirono la medesimaazione, sebbene ci volesse del tempo per concretizzarlo. Assisi ha cura di séstessa: ecco cosa sta accadendo. Chiunque osi metter le mani sulle sue strut-ture, sulle prigioni dei ricchi e nei sotterranei dei bisognosi, impara che cosasia la povertà di Gesù.

I francescani sono unicamente orientati a contribuire alla formazione diuna voce democratica che parli per tutti come correttivo necessario ai discu-tibili interessi di parte. La giusta azione francescana, così come i nostri pro-grammi di formazione, non possono ignorare questo nuovo compito se noisiamo davvero «per la gente» se, per davvero, siamo i «frati del popolo».

L’impegno francescano consiste nel recuperare il valore della storia e nelfarla andare avanti.

Gesù disse «Beati i poveri», ed esaltò i perseguitati per amore della giusti-zia: stava annunciando una nuova storia. La XVI Ammonizione di Francescocelebra coloro che si uniscono a Gesù nella lotta. Vogliamo camminare insie-me a loro, perché cerchiamo di leggere i segni dell’alba di un giorno nuovo.

L’impegno dell’Ordine cappuccino è un impegno di fede dentro la socie-tà, al fianco di chi soffre, di chi subisce l’ingiustizia, di chi è emarginato daimodelli di vita vigenti.

Il Segretariato nazionale delle opere sociali esiste e combatte per sottoli-neare le radici cristiane della carità, perché la carità non è un’idea, si realiz-za e nel cristianesimo e meno che meno nel francescanesimo, la teoria non èmai un’ideologia, ma si compenetra nell’azione e viene da essa perfezionata.

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C’è molto ancora da fare nel nostro settore; è doveroso chiarire meglio lacarità. Essa è uno dei nostri campi di lavoro quotidiano, perciò dobbiamo ca-pire qual è la sua anima, quindi la sua dimensione irrinunciabile, senza la qua-le il nostro agire perde il suo senso profondo. Sappiamo che la carità è virtùteologale, e quindi l’attività caritativa non è semplice agire, ma ha una propriafonte, che viene dalla fede in Cristo morto e risorto. Qui ritroviamo l’originedell’agire francescano, tanto più in un campo come il nostro, nel quale ci scon-triamo con la sofferenza umana, sul cui mistero solo la Pasqua getta luce.

Il Segretariato intende perciò sforzarsi ancor più nel realizzare una pro-fonda conoscenza delle realtà strutturali nel nostro Ordine, nel tentativo disviluppare una solidarietà globale, concreta, immediata, tra le diverse realtàoperative nel nostro contesto. Non risponde soltanto all’interrogativo: «Co-me essere profeti di speranza in un mondo così complesso e difficile», ilcontributo che il Segretariato può dare in questo momento per un cambiodelle strutture ingiuste, talvolta disumane, in cui si trovano a vivere molti deinostri fratelli dentro e fuori d’Italia.

Il Segretariato delle Opere Sociali intenderebbe rimanere «unico», nonaggregandosi ad alcuno, perché, sia «Giustizia, pace ed ecologia» che «Ecu-menismo e dialogo interreligioso» diversificano ad oltranza il loro raggiod’attenzione e d’azione, a volte comprensibilmente opposto alla direzione,pur dinamica ed evangelica, espressa dal nostro Segretariato.

Fr. Giorgio Benigno Valentini

Segretariato per l’Assistenza spirituale OFS – GiFra

Circa l’area della comunione fraterna, l’Assistenza Ofs-GiFra non ha fat-to quasi nulla. A livello regionale so che si é partecipato a qualche attivitàdel MoFra.

A livello nazionale personalmente ho partecipato, il 28-29 novembre ‘98,all’Assemblea generale MoFra nel cenacolo Francescano d’Assisi. Non hopotuto partecipare al Consiglio di presidenza MoFra del 24 gennaio ‘99 per-ché impegnato in un Consiglio nazionale della GiFra a Nola.

Il coinvolgimento dell’Ofs e della GiFra verso altre aree, invece, trascinanecessariamente anche l’attenzione dell’Assistenza nazionale.

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La GiFra ha iniziato a collaborare con il Servizio nazionale di Pastorale Gio-vanile e Vocazionale. L’assistenza è stata presente in convegni ed assemblee.

Il Centro Missionario Ofs (CE.MI.OFS) riconosciuto dall’Ofs nazionaledei cappuccini prima, ed ora dal Ciofs, con sede a Scarperia (FI), si impegnaa curare l’interesse e la formazione alla Missio ad gentes dell’Ofs. Si collegacon il Segretariato nazionale (e regionali) dell’Animazione Missionaria edha iniziato, decisamente, attività di sensibilizzazione che richiedono la pre-senza dell’Assistenza Ofs.

L’Assistenza nazionale sente il bisogno di collegarsi con il Segretariatonazionale della Formazione, al fine di collaborare nell’ambito della forma-zione iniziale e permanente riguardo l’assistenza che i religiosi cappuccinidevono prestare all’Ofs e alla GiFra. Nello scorso anno, a causa delle notevicende circa l’unità dell’Ofs, le buone intenzioni di collaborazione con ilsuddetto Segretariato non si sono potute realizzare.

La collaborazione con il Segretariato nazionale Formazione dovrà coniu-garsi con la Collegialità dell’Assistenza all’Ofs italiano dopo la nascita - du-rante il Congresso dell’Ofs italiano del 19-20 giugno scorso - della Confe-renza degli Assistenti Nazionali delle obbedienze, per ora, OFMConv, OFM-Cap e TOR.

Fr. Mario FinauroAssistente nazionale Ofs-GiFra

Presidente Conferenza Nazionale Assistenti

Comunicato stampa

Il Consiglio di presidenza della Conferenza della Famiglia Francescana,composto dai Ministri generali del 1° Ordine e del TOR, dalla Presidentedella CFI-TOR (Conferenza Francescana Internazionale Terz’ordine Regola-re) e dalla Ministra Generale dell’OFS, ha costituito un Comitato Francesca-no per il Giubileo.

Compiti

Al Comitato sono stati affidati i seguenti compiti: prendere in mano levarie iniziative concernenti il Giubileo che riguardano tutto il mondo france-scano, verificarne la fattibilità e avviarne la programmazione.

II. Segretariati nazionali

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Principi generali

1) Nel pieno rispetto del carattere prettamente religioso del Giubileo, le di-verse iniziative siano orientate a favorire le finalità dell’Anno Santo: con-versione, riconciliazione, comunione e annuncio;

2) quelle estese a tutte le componenti siano numericamente contenute perfavorire una più ampia partecipazione alle iniziative della Chiesa univer-sale e locale;

3) ogni iniziativa, infine, sia caratterizzata dallo stile francescano di minori-tà.

Iniziative

1) Giubileo dei francescani. Si articolerà in due momenti: uno penitenzialead Assisi, 1’8 aprile del 2000; un altro celebrativo-giubilare a Roma ilgiorno seguente, 9 aprile, nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Pro-grammi più dettagliati saranno fatti conoscere al più presto.

2) Iniziative culturali. Le Università, le Facoltà teologiche e i vari Centriculturali francescani, organizzeranno particolari manifestazioni volte asottolineare l’apporto dato alla cultura e all’arte dal movimento france-scano.

3) Corsi di esercizi spirituali. Saranno organizzati corsi di esercizi spiritua-li, a carattere internazionale, nei luoghi francescani di maggiore richia-mo.

4) II Giubileo, in sede locale, possibilmente, sarà celebrato nella solennitàdi s. Francesco con il Vescovo.

5) Calendario delle iniziative. Conterrà:- le iniziative della Chiesa che ci riguardano più da vicino come france-

scani;- le proposte del Comitato;- altre iniziative di particolari componenti francescane, per un interscam-

bio di esperienze.A tal fine tutte le componenti francescane sono invitate a far pervenire al

Comitato le loro iniziative particolari per essere inserite nel calendario inprogetto.

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III. Documenti

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Pordenone, 12 marzo 1999

A tutti i confratelli impegnatinella Pastorale della Salute

Carissimi Confratelli,ho creduto opportuno potervi raggiungere personalmente ed indicarvi un

itinerario formativo introduttivo al “tertio millennio” che ci vedrà protagoni-sti se sapremo cogliere le sfide contenute nel nostro carisma che nel servizioagli infermi si è sempre distinto, inserendosi pienamente nella pastoralitàdella Chiesa, specialmente in Italia.

In questo secondo scorcio di secolo, segnato in modo del tutto originaledalla celebrazione del Vaticano II, i Cappuccini italiani hanno avuto delle fi-gure che hanno saputo essere di stimolo sia per il Segretariato che per gli or-ganismi ecclesiali. Ricordo fra tutti p. Oliviero Naldini. Si tratta, ora, di darecontinuità ed ulteriore apertura.

Segnalo, perciò, gli appuntamenti interregionali e nazionali AIPAS, utiliall’aggiornamento sulla pastorale sanitaria, e non solo, ma utili anche per co-noscere il pensiero della Chiesa in ordine alle nuove tendenze sanitarie che,in modo più o meno diretto, toccano le nostre famiglie religiose. Sono in-contri aperti al laicato. Li ritengo, quindi, da non disattendere, né da coloroche sono coinvolti nelle strutture assistenziali e sanitarie pubbliche, né dacoloro che operano nelle infermerie provinciali.

Convegni interregionali AIPAS:1) La qualità della salute. Relazione e collaborazione,

26-27 aprile ’99. Centro Pastorale Paolo VI, via Gezio Calini 30,25121 Brescia.

2) Le risposte della Chiesa alle sfide della nuova Sanità,25-27 aprile ’99, Centro climatico “S. Paolo” - 74010 Lanzo di Marti-na Franca.

Convegno nazionale AIPAS:3) Liberare la speranza: da tabù a sorella morte,

5-8 ottobre ’99, Santuario dell’Amore Misericordioso - Collevalenza(PG).

I Cappuccini, in modo particolare, puntano all’Assemblea dei Segretaria-ti CIMP Cap che si terrà dal 25 al 30 ottobre ’99 e di cui saranno date infor-

III. Documenti

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mazioni in seguito. Il convegno che il nostro Segretariato indiceva ordinaria-mente nei mesi di maggio o giugno è sospeso per favorire i convegni interre-gionali e per puntare all’appuntamento assembleare di fine ottobre, ritenutofondamentale per i Cappuccini italiani perché punto di arrivo e di partenzaper la nostra attività con gli infermi.

Con fraterno affetto.

Fr. Mariano SteffanSegretario nazionale

per la Pastorale della salute

Roma, 27 marzo 1999Prot. N. 00296/99

Fr. Antonio Ascenzi Presidente CIMP Cap Via Vittorio Veneto, 27 00187 Roma

Antonio Carissimo,il Definitorio generale, durante le riunioni tenute in questo mese di mar-

zo, ha esaminato a lungo l’idea di erigere a Roma una nuova fraternità inter-nazionale, sotto la giurisdizione diretta del Ministro generale, per quei fratel-li che vengono a Roma per insegnare nelle Università Pontificie o per lavo-rare negli uffici della Santa Sede, come pure per lavorare a servizio di tuttol’Ordine in mansioni che non richiedono la permanenza nella Curia genera-le.

Questi fratelli, provenienti da aree dell’Ordine, in particolare dalle Pro-vince italiane, costituiscono un gruppo piuttosto consistente. Allo stato attua-le essi vengono aggregati alle Fraternità direttamente dipendenti dal Mini-stro generale (Collegio Internazionale, Convento di S. Fedele, ecc.), oppurechiedono ospitalità alla Provincia Romana o dimorano in altre sedi.

Il Definitorio ritiene opportuno di approfondire questa idea, e allo scopochiede il parere del Consiglio di presidenza della CIMP Cap per verificare lecondizioni per la elaborazione del progetto in tutti i suoi aspetti e con leeventuali conseguenze che ne possono derivare.

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Ti prego pertanto di volere interessare su questo argomento il Consigliodi presidenza della CIMP Cap, e di farci pervenire il vostro parere entro ilprossimo mese di maggio, affinché il Definitorio generale possa proseguirenella propria riflessione durante le riunioni che terremo nel mese di giugno.

Grato a te e ai tuoi Consiglieri per la collaborazione, ti saluto fraterna-mente rinnovandoti gli auguri per le prossime feste pasquali.

Con fraterno affetto.

Fr. John CorriveauMinistro generale OFM Cap

Roma, 15 settembre 1999

Ordine Dei Frati MinoriProt. n. 088840

Ordine Francescano SecolareProt. n. 16196-02

All’ OFS d’Italiae ai suoi Assistenti

II Ministro generale OFM, Fr. Giacomo Bini, e il Ministro generale del-l’OFS Emanuela De Nunzio, hanno congiuntamente riesaminato la situazio-ne di diritto e di fatto esistente nella Fraternità nazionale dell’OFS d’Italia,considerandola alla luce dei suggerimenti dati dalla Conferenza dei MinistriGenerali Francescani con la lettera del 10 marzo 999 e conseguente determi-nazione della Presidenza CIOFS in data 16 marzo 1999.

Ritenendo che, in vista dell’obiettivo della piena comunione dell’OFSitaliano, secondo lo spirito e la lettera della Regola e delle Costituzioni del-l’OFS, e per favorire nel frattempo il dialogo fra tutte le componenti, debbaessere assicurata la regolarità e la continuità di funzionamento delle Frater-nità locali assistite dai Frati Minori e delle relative Fraternità regionali, ilMinistro generale dell’OFS delega in questa fase di transizione, la sorellaArgia Passoni a presiedere i Capitoli regionali elettivi; ad effettuare la visitafraterna ai Consigli regionali e ad assumere le opportune iniziative perché,

III. Documenti

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in dialogo con l’intera Fraternità nazionale, si continuino e si sviluppino leattività formative e di apostolato.

La sorella Argia Passoni terrà periodicamente informato il Ministro gene-rale dell’OFS, che presterà aiuto e sostegno per il conseguimento degliobiettivi indicati.

In ragione di quanto sopra, il Ministro generale dei Frati Minori revoca,con il presente atto, il Decreto con prot. N. 088814, del 5 settembre 1999.

Fr. Giacomo Bini, OFM Emanuela De Nunzio OFSMinistro generale Ministro generale

Roma, 10 ottobre 1999Prot.N.00877/99

Fr. Antonio Ascenzi Min. prov. Presidente CIMP CapVia Vittorio Veneto 27 00 187 Roma

Caro Antonio,il Signore ti dia pace!Ormai da diversi anni esiste nell’Ordine il grave problema, e la conse-

guente discussione, circa la formazione dei fratelli laici negli anni dopo ilnoviziato. Quando con fr. Ermanno Ponzalli, lo scorso anno, abbiamo visita-to le Province italiane, ripetutamente abbiamo parlato di questo tema nei di-versi incontri avuti con i Ministri provinciali e con i formatori. Oltre all’im-pegno generale per tutti i giovani in formazione nel postnoviziato, esiste par-ticolare preoccupazione per la formazione dei fratelli laici. Tale preoccupa-zione deriva da diversi motivi.

Prima di tutto, adeguati fondamenti biblici e teologici devono contribuirealla maturazione della vocazione dei fratelli. Inoltre essi sono sempre più in-seriti nell’attività pastorale dell’Ordine. Di conseguenza, è necessario che atutti i nostri fratelli venga data una formazione biblica e teologica di base,qualsiasi possa essere il loro impegno nel ministero e nella pastorale.

Le difficoltà per la strutturazione della formazione dei fratelli sono, nellapratica, molteplici. Prima di tutto il ridotto numero dei fratelli stessi (a volte,

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uno o due soltanto per Provincia); poi la necessità di un numero adeguato diformatori e insegnanti; infine la mancanza di un chiaro iter di studi. È perquesto che abbiamo chiesto alla CIMP Cap di stabilire una Commissioneche abbia lo scopo di studiare e dare soluzioni a questo importante e urgenteproblema. Fra gli aspetti che tale Commissione dovrebbe prendere in consi-derazione notiamo i seguenti:

a. la formulazione di un adatto programma di studi biblici e teologici didue o tre anni.

b. Il periodo più opportuno di tali studi. Per esempio: immediatamentedopo il noviziato o al momento in cui i loro compagni che si preparano al sa-cerdozio iniziano i loro studi teologici.

c. Quale centro o quali centri (eventualmente in collaborazione) dannomigliore speranza di attuazione di un tale programma.

d. Altri aspetti della formazione che richiedono una progettazione.e. Elementi e indicazioni che aiutino a discernere se esistano e quali siano

le particolari doti dei fratelli che richiedano una speciale formazione.Uno studio intrapreso ora dalla Conferenza a questo riguardo costituireb-

be un prezioso aiuto per Ministri provinciali al momento del Capitolo gene-rale.

Ti auguro ogni bene e la benedizione del Signore.Fraternamente.

Fr. John CorriveauMinistro generale OFMCap

Roma 11 ottobre 1999Oggetto:Risposta alla lettera N° 00296/99

Ministro generale Via Piemonte 70 00187 Roma

Carissimo fratello Ministro generale,il Consiglio di presidenza della CIMP Cap riunito a Manfredonia, il 15

settembre u.s., ha esaminato attentamente quanto da te proposto con letteradel 27 marzo u.s.

III. Documenti

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All’unanimità i Consiglieri hanno espresso parere favorevole, dichiaran-dosi disponibile ad ogni ulteriore dialogo in proposito.

Colgo l’occasione della presente per rinnovarti la gratitudine di tutta laConferenza italiana per il prezioso servizio dell’animazione fraterna, che cioffri con particolare attenzione e carità.

Fr. Antonio AscenziPresidente CIMP Cap

Roma, 12 Ottobre 1999Oggetto: chiarificazioni circa oblati perpetui

Ministro generale OFM Cap via Piemonte 7000187 - Roma

Carissimo fratello Ministro generale,nell’Assemblea della CIMP Cap tenutasi a Manfredonia nei giorni 12-14

settembre, è sorta una problematica alla quale non si è saputo dare una rispo-sta soddisfacente e che ora mi permetto sottoporre alla tua fraterna attenzio-ne. Non si tratta di una problematica di grande risonanza perché limitata aqualche nostra circoscrizione, ma non per questo di poco conto, tenuto pre-sente l’ordinamento giuridico e le esperienze in questo settore abbastanzacomplesse e onerose. Si tratta degli «Oblati perpetui».

Ti saremmo grati se potessi offrirci qualche indicazione più precisa sullaloro identità, rilevanza, opportunità, stato giuridico, implicazioni e connes-sioni con la legislazione italiana, in particolare sotto il profilo di rivendica-zioni salariali e quanto altro.

Un caro e fraterno saluto.

Fr. Antonio AscenziPresidente CIMP Cap

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Oblati perpetuiLaici, come familiari, dedicati a Dio per tutta la vita (Cost. 89,4)*

1. Questione:

La CIMP Cap chiede qualche di lucidazione precisa sugli «oblati perpe-tui»: «identità, rilevanza, opportunità, stato giuridico, implicanze e connes-sioni con la legislazione italiana, in particolare sotto il profilo di rivendica-zioni salariali e quanto altro..» (cfr. Lett. di fr. Antonio Ascenzi, Presidentedella CIMP Cap, al Ministro generale: 12 Ottobre 1999).

2. Risposta

2.1 Nel presente contesto, la parola «oblato» (= offerto o donato a Dio) si ri-ferisce a una figura tipica, soprattutto nel monachesimo e negli Ordinimedievali, che in qualche modo si è protratta fino ai giorni nostri, ben-ché sempre di piú in misura irrilevante.

Secondo il concetto generico tradizionale, erano persone che, senzaessere monaci o religiosi in senso stretto, si legavano specialmente allafamiglia di un monastero o convento (da qui il termine «familiares»):abitavano e prestavano diversi servizi nel monastero o convento e perfinocondividevano certi momenti della vita della Comunità e partecipavano,in quanto possibile, della spiritualità dell’Istituto. Perciò nella Famigliafrancescana di solito finivano professando la Regola del Terzo OrdineSecolare e quindi venivano chiamati pure «terziari perpetui». Tradizio-nalmente potevano vestire qualche abito simile - ma non uguale - a quel-lo dei monaci o dei religiosi e s’impegnavano a vivere e servire in lineadi massima per tutta la vita, senza però retribuzione alcuna o, al più,qualche compenso aleatorio.

2.2 Nelle «Ordinationes Capitulorum Generalium Ordini s (Fratrum) Mino-rum Cappuccinorum» (16 aprile 1928), al cap. II, art. VI, n. 37 si diceva:l. «Nei nostri luoghi, quando ve ne sia bisogno, possono riceversi terzia-

ri ossia oblati perpetui, purché abbiano compiuto vent’anni.

III. Documenti

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* Documento del 27 Ottobre 1999.

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2. Chi domanda di essere ammesso come terziario perpetuo, presenti letestimoniali del suo Ordinario, ed il Ministro provinciale faccia inol-tre diligente ricerca circa i natali del soggetto da riceversi, sopra la vi-ta antecedente di esso, e riguardo a tutte le altre cose che si chiedonoper l’ammissione dei novizi allo stato laicale.

3. Il terziario, così ricevuto, vesta il nostro abito senza il cappuccio, laconcessione del quale non è mai permessa; negli atti comuni dell’os-servanza e della disciplina religiosa si conformi agli altri frati, ma nonvenga ammesso alla mensa comune in refettorio, se prima non abbiadato, per un discreto lasso di tempo, esempi di disciplina religiosa,specialmente di pietà e di modestia».

2.3 Nel nostro Capitolo Generale Speciale del 1968 fu votata la seguenteproposta (votazione 386): «Placetne capitularibus, ut Ordinationes Ca-pitulorum Generalium, quae in novis Constitutionibus non continentur,ut abrogatae habeantur?». In questo momento si è fatto notare che nonsarebbe proibito che le province assumessero come norme particolariqualche «Ordinazione» - totalmente o parzialmente - sempre che non siacontro un dettato delle Costituzioni.Risultato della votazione 386: «Votantes 118, vota valida 116, vota nulla2, maioritas requisita 59, Placet 79, Non placet 37».Ma il tema degli «Oblati o terziari perpetui» non venne raccolto nelleCostituzioni rinnovate del 1968.

2.4 Successivamente, nella revisione delle nostre Costituzioni (Capitolo Ge-nerale del 1982), fu proposto il tema degli «Oblati o terziari perpetui» ereintrodotto nel testo costituzionale.Questo testo - che continua ancora nelle Costituzioni attuali (89,4) - è ilseguente:«Il superiore maggiore, con il consenso del Consiglio, può ammetteredei laici, come familiari, dedicati a Dio per tutta la vita (= “laicos ut fa-miliares perenniter Deo dicatos”), stipulando una convenzione sui reci-proci diritti e doveri». Votazione 332: Votanti 129, Placet 110, Non pla-cet 17 e invalidi 2.N.B. Va notato: a) che l’attuale traduzione italiana non corrisponde esattamente al testo

latino, «l’unico autentico, al quale devono attenersi tutte le versioniin altre lingue». Cf. Proemio delle Cost.

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b) che il vocabolo «oblato» fu espressamente respinto dal Cap. del1982. (Invece di «oblato», «donato», «terziario perpetuo»..., si è pre-ferito: «laici, come familiares, dedicati a Dio per tutta la vita»).

c) che, come fu detto espressamente nel Capitolo Gen. (1982), nella pa-rola «laici» vanno pure compresi «i chierici».

2.5 Quindi il nostro diritto proprio attuale riconosce questa figura di perso-ne, senza scendere a troppi particolari.Tuttavia, possono sottolinearsi alcuni dati importanti:2.5.1 Non avendo emesso la professione dei voti, non appartengono al-

lo stato di vita religiosa.2.5.2 Non sono semplici lavoratori dipendenti, che svolgono servizi

nelle nostre case.2.5.3 Sono invece una figura intermedia tra colui che è religioso e colui

che è semplicemente un lavoratore presso di noi o per noi.2.5.4 Riguardo alla maggiore o minore integrazione pratica nella vita

comunitaria e nella partecipazione alla nostra spiritualità (cometerziari perpetui o meno, ecc.) dipenderà tutto dal criterio delle di-verse Province, tenendo conto di una possibile analogia con la fi-gura tipica tradizionale e di quanto è stato detto nei Capitoli Ge-nerali del 1968 e 1982 (cf. sopra).

2.5.5 Per ciò che riguarda la legislazione italiana, in particolare sottoil profilo lavorativo ed economico, è chiaro che queste personeper il diritto rimangono fedeli laici e pertanto si ritiene che neiloro confronti (qualora svolgessero un lavoro proprio all’internodella fraternità) dovranno essere adottate le comuni normativestatali riguardanti i lavoratori dipendenti, inserendole in quellaconvenzione da stipulare a cui fanno riferimento le nostre Costi-tuzioni.Come principio generale si ricorda che il can. 22 del CIC canoniz-za le leggi civili da parte dell’ordinamento canonico, conferendo aqueste gli stessi effetti per il diritto canonico, e stabilendo per esseun obbligo di osservanza, purché non contrarie al diritto divino oad altra prescrizione della Chiesa.Si richiama inoltre il can. 1286 come monito agli amministratoriaffinché osservino accuratamente le leggi civili relative al lavoro ealla vita sociale e retribuiscano con giustizia ed onestà i lavoratoridipendenti.

III. Documenti

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Concretamente, in caso di separazione dall’Istituto, non può esse-re applicato a loro il can. 702, secondo cui il religioso (quindi unprofesso) legittimamente separato, dimesso, non può esigere nulladall’Istituto stesso. Non mancano a tal proposito casi in cui gli in-teressati (o i parenti prossimi) sono ricorsi alla Magistratura ordi-naria per far valere i propri diritti di lavoratori dipendenti (ade-guata retribuzione, assistenza sanitaria, contributi pensionistici, li-quidazione...).

La conclusione «è che, nei rapporti dell’Istituto con ogni lavoratore nonprofesso, il primo diventa genuino datore di lavoro in senso civile canoniz-zato. Quindi, ogni Istituto è obbligato alla stipulazione di un vero contrattodi lavoro, da farsi secondo la legge civile canonizzata e da osservarsi secon-do questa stessa legge, oltre che secondo i principi dottrinali in materia di la-voro e di vita sociale, dati dalla Chiesa». (D. J. ANDRÉS, I religiosi datori dilavoro e lavoratori secondo il Codice di Diritto Canonico, in “Commentariunpro Religiosis et Missionariis» 1991/XXII, fasc. I-II, p. 44).

Nell’ordinamento delle altre Famiglie francescane, rinnovato dopo ilConcilio, benché non si faccia riferimento specifico alla figura tradizionaledegli «oblati o terziari perpetui» - come di fatto lo facciamo noi, a partire dalCapitolo Generale del 1982 - viene molto più sottolineato il dovere di giusti-zia e carità nei confronti di tutti coloro che lavorano presso di noi (in gene-re), mediante gli opportuni contratti secondo le leggi vigenti nelle rispettivenazioni. Cfr. Cost. OFM art: 80, 2; Cost. OFMConv n. 100; Cost. TOR n.111 e Statuti Gen. n. 68.

Attualmente questa figura di «familiari» (gli antichi e tradizionali «obla-ti», «terziari» o «donati» perpetui...) ha perso la sua rilevanza - quantitativa-mente e qualitativamente - nelle nostre Fraternità.

Tenuto conto dell’attuale contesto sociale e della normativa statale sullavoro dipendente, ogni superiore maggiore valuti le conseguenze e l’oppor-tunità di conservare una «istituzione» di questo genere. In ogni caso, si ritie-ne pure che si debba dissuadere coloro che, chiedendo di essere ammessi»«come familiari, dedicati a Dio» (per tutta la vita o meno) ad una nostra fra-ternità intendessero rifiutare il trattamento economico spettante a termini dilegge. In caso di una motivata insistenza, si invitino queste persone ad accet-tare la giusta convenzione ed eventualmente, e liberamente, a devolverequello che vogliano alla Fraternità, a titolo di semplice elargizione.

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Atene (Grecia), 24 ottobre 1999Prot. n. 42/99

Fr. Antonio Ascenzi Presidente CIMP CapSacrofano - Roma

Carissimo fr. Antonio,Il Signore vi dia Pace!

Ho appreso dai miei confratelli che la CIMP Cap ha raccolto e devolutoalla nostra Delegazione di Grecia £ 20 milioni per i terremotati di Atene.

«Il Signore ascolta il povero che invoca».Il vostro gesto é una nuova conferma che il Signore non é sordo al grido

del povero e della vedova.Grazie a voi, noi Lo possiamo ancora una volta benedire e rendergli gra-

zie. Con Lui ringraziamo anche voi, cari Ministri provinciali per la squisitasensibilità dimostrata a favore di chi é stato colpito sulla propria pelle e nel-le proprie case.

Voi siete giunti fino a me. Io non sono arrivato fino a voi, come avrei dovu-to e come vorrei. La mia mancata partecipazione agli incontri della Conferenzaè solo questione di impossibilità di farmi sostituire dal personale che manca.

Vi auguro un fruttuoso esito dei vostri lavori, mentre vi assicuro lamia orante e spirituale presenza.

Fr. Raimondo AmbrosiMinistro delegato della Grecia

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Roma, 2 novembre 1999Prot. n. 00918/99

Fr. Antonio AscenziPresidente CIMP CapVia Pomponia Grecina, 31 00145 Roma

Carissimo fr. Antonio, Pace e Bene.In riferimento alla tua richiesta, espressa in data 12 ottobre scorso, con la

quale chiedi alcune informazioni più precise riguardo gli «Oblati perpetui»,ti trasmetto in allegato le indicazioni proposte dalla nostra Procura.

Auspicando ogni bene, profitto della circostanza per rinnovarti, carissimoAntonio, la mia stima e considerazione.Cordialmente

Fr. Ermanno Ponzalli Vicario Generale, OFM Cap

Genova, 28 dicembre 1999

A fr. Giuseppe CelliSegretario CIMP Cap

Carissimo fr. Giuseppe,innanzi tutto grazie per gli auguri natalizi che ricambio con gli auguri di

Buon Anno giubilare.In risposta alla tua del 12 ottobre, dove si accenna al problema dei Terzia-

ri Oblati, t’invio un po’ di materiale in merito a ciò e che riguarda soprattut-to la posizione giuridica e sindacale degli stessi. In particolare vi è uno stu-dio di équipe di avvocati che hanno affrontato questo problema*. Natural-

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* L’équipe di avvocati che ha affrontato questo problema è formato da Giorgio Guidetti,Claudia Guidetti, Stefano Guidetti, Pietro Antonio Paladini, Andrea Violi e si trova a Mode-na. Lo studio è stato inviato al Fratello oblato Stefano Zagatti, Convento Frati Cappuccini,Via Montani 1 – 16148 Genova Quarto, in data 4 settembre 1999 e si trova negli archivi del-la CIMP Cap.

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mente non risolvono in toto l’annosa questione, tuttavia danno degli orienta-menti che possono essere utili alla CIMP Cap che, come sai, si riunirà il me-se prossimo in Sanluri nei giorni 6-7-8-9.

Unisco pure uno statuto e una convenzione che potranno essere adottati,qualora l’Assemblea dei padri Ministri provinciali sarà in grado di deciderequalcosa in merito.

Arrivederci a presto in Sardegna, e ancora auguri di Buon Anno.Tuo affezionatissimo

fr. Mariano Testa

Convenzione per l’accettazione nella fraternitàdei Fratelli Oblati

Proemio

È stata tradizione dell’Ordine Cappuccino accogliere nelle proprie frater-nità persone mature che con il sincero desiderio di servire Dio venivano acondividere la nostra vita non potendo per altra parte o non volendo esserereligiosi mediante la professione dei voti.

Le circostanze dei tempi passati sono cambiate profondamente e ciò toc-ca il piano di vita di questi fratelli, sia per ciò che si riferisce allo stile di par-tecipazione alla vita comunitaria, sia per il godimento della sicurezza socialeche gli organismi statali forniscono ad ogni cittadino.

Le Costituzioni attuali dell’Ordine (del 1982) stabiliscono:«Il Superiore maggiore con il consenso del Consiglio può ammettere dei

laici come familiari oblati perpetui, stipulando una convenzione sui reciprocidiritti e doveri» (n° 89,4).

Il Definitorio provinciale, nella seduta definitoriale del ..................................1999, ha approvato il seguente Statuto.

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Art. 1 Il fratello oblato, chiamato anche fratello terziario perpetuo o fa-miliare, è una persona che consacrata privatamente al Signore, desidera vi-

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vere una vita cristiana più profonda nel clima della Fraternità, senza impe-gnarsi con i voti religiosi. Se al momento di entrare non aveva ancora pro-fessato nella Fraternità Francescana Secolare, a partire da questo momento sifaranno i passi necessari perché giunga a professare la Regola del Terzo Or-dine Francescano Secolare.

Art. 2 Quando qualcuno domanda di entrare in qualità di fratello oblato,sarà presentato al Ministro Provinciale, il quale dopo aver parlato con il can-didato e aver assunto le informazioni necessarie, se lo considera idoneo,chiede il parere del Definitorio e lo ammette in una delle nostre fraternità atenore di questo Statuto.

Art. 3 Per essere ammessi si richiede: a. avere l’intenzione di vivere una vita cristiana più perfetta;b. avere le qualità di carattere che corrispondono a questa intenzione e in

particolare la capacità di una convivenza fraterna;c. godere di sufficiente salute e di buona fama;d. essere libero da obblighi familiari e da debiti;e. presentare i certificati opportuni.

Art. 4 Il primo anno di permanenza è un anno di prova che può essereprorogato per un altro anno dal Ministro Provinciale. Terminata la prova, sene è stato considerato degno, il Ministro Provinciale gli consegnerà la “Let-tera di Associazione nella Fraternità”, che gli concede il diritto i vivere con ireligiosi in perpetuo come familiare, consacrato al Signore. Per concedere laLettera di Associazione il Ministro Provinciale deve chiedere il parere dellaFraternità e il consenso del Definitorio.

Art. 5 Il fratello oblato è padrone dei suoi beni personali. Con essi potràagire secondo la sua volontà. Quando entra per il tempo di prova dovrà chia-rire ai Superiori la situazione economica nella quale si trova e, quando fossenecessario, renderà note le disposizioni principali che compie nell’ammini-strazione dei suoi beni.

Art. 6 Dal momento del suo ingresso nella Fraternità, e anche prima di ri-cevere la Lettera di Accettazione, si provvederà perché il fratello goda del-l’assicurazione di malattia e di pensione secondo le norme stabilite in vigoree nelle stesse condizioni dei religiosi.

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Art. 7 Essendo considerato familiare secondo le Costituzioni, il fratellonon riceve retribuzione o paga di salariato. Perciò che riguarda il cibo, il ve-stiario, l’abitazione e le vacanze, godrà delle stesse condizioni proprie deireligiosi. Nel caso di cessazione o di uscita dall’Ordine, l’Ordine non saràobbligato giuridicamente per i lavori e i servizi prestati e di conseguenza ilfratello non potrà intentare alcuna azione davanti al Foro civile come fruttodella sua situazione.

Art. 8 Il fratello oblato può essere trasferito da una comunità ad un’altranell’ambito della Provincia come i religiosi.

Art. 9 Il fratello oblato ha diritto a partecipare, secondo le sue possibilità,agli atti spirituali della fraternità, alla mensa comune e alla ricreazione. Ne-gli atti capitolari e in altri momenti che le Costituzioni riservano ai religiosi,il fratello oblato si attiene a questo criterio.

Art. 10 La Fraternità cappuccina, accogliendo il fratello che vuole consa-crare la propria vita al Signore nello spirito di san Francesco senza i voti re-ligiosi, gli offre con la convivenza e gli altri mezzi adeguati ciò che ragione-volmente gli serve per il suo sviluppo umano e spirituale.

Art. 11 In qualunque momento il fratello può liberamente lasciare la no-stra Fraternità. Il Ministro Provinciale può rinviarlo se la condotta del fratel-lo non corrisponda alle esigenze della nostra convivenza. Firmata la Letteradi Accettazione, non lo si potrà rinviare se prima non si saranno fatte dueammonizioni formali sul suo comportamento.

Art. 12 Il fratello oblato, se desidera questo piano di vita, lo firma il gior-no del suo ingresso, valido per tutta la sua permanenza tra i religiosi. Si im-pegna a compierlo come esigenza della perfezione cristiana alla quale aspirae accetta con valore di contratto civile tutti quei punti qui contenuti che si ri-feriscono a obblighi e diritti civili.

Art. 13 Circa l’abito distintivo del fratello oblato, si tratta di una tonacadi colore marrone senza cappuccio con il cingolo. Può essere portato sia fuo-ri che dentro il convento, a discrezione del Guardiano della fraternità in cuiil fratello risiede.

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Finito di stampare nel mese di giugno 2005dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.

Via S. Romano in Garfagnana 23 - 00148 Romatel. 066530467 - e-mail: [email protected]

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