Il gusto del potere: empowerment di persone ed azienda

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azienda moderna n. 429la prima collana di management in Italia

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MASSIMO BRUSCAGLIONISTEFANO GHENO

IL GUSTODEL POTEREEMPOWERMENT DI PERSONE ED AZIENDA

FrancoAngeli

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3° edizione. Copyright © 2000, 2002 by FrancoAngeli s.r.1., Milano, Italy

Ristampa Anno4 5 6 2007 2008 2009

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Indice

A coloro che non smettono di cercare pag. Il

1. Per cominciare » 131.La parola empowerment » 132. Empowerment è una moda » 163. Perché empowerment oggi » 164. Gratitudine a molte persone, aziende, istituzioni, Risfor » 185. Indice ragionato » 216. Qualche precauzione e avvertenza » 22

2. Empowerment organizzativo e psicologico 251. L'approccio dell'empowerment nell'impresa 252. Storia, autori, categorie psicologiche che portano

all 'empowerment 323. L'essenza dell'empowerment come rapporto di 2° livello 40

3. Piacere di lavorare 441. Nuovo lavoro e nuova cultura del lavoro 44

1.1. Riconoscimento della natura primaria del lavoro comeattività generativa 45

1.2. La nuova razionalità trasparente del funzionamentoaziendale in quanto orientato al cliente 45

1.3. Il lavoratore meno "dipendente" e più "adulto"; il nuovocontratto basato sulla responsabilità 46

1.4. Dalle resistenze al gradimento dell'innovazione continua 471.5. Stress, ma anche gratificazione per la richiesta di crescenti

prestazioni eccellenti 482. L'organi7zazione dell'impresa, tra ragione ed emozione 50

4. Il processo operativo di apertura di nuove possibilità:self empowerment .» 56

1. L'apertura di nuove possibilità: essenza del potere e dell'empo-

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werment pag. 572. Preghiera al lettore: esemplificare una nuova possibilità

desiderata 583. Le fasi operative del processo di self empowerment 61

3.1. La fase dell'emergere e del chiarirsi di un nuovo desiderio 613.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità 633.3. Fase dell'apertura della nuova possibilità operativa 66

5. Esercizi di potere » 711. Il potere personale » 712. Esercizi di potere » 73

2.1. Il desiderio fermo » 732.2. Se il desiderio non c'è » 75

2.2.1. La rivisitazione del passato » 752.2.2. Il balzo nel futuro » 762.2.3. Lo Z.B.B. » 762.2.4. La margherita delle possibilità ». 77

2.3. Altri brevi autotest » 803. Principi operativi orientativi » 80

6. Empowerizzare l'impresa 831. Utilizzi applicativi 83

1.1. Uso dell'approccio empowerment per lo sviluppo dellepersone e della cultura organizzativa 84

1.2. Uso dell'empowerment a supporto dei processi educativi 861.3. Intervento organizzativo di empowerment 871.4. Empowerment ispiratore del modello di funzionamento

organizzativo 892. Modelli e tipi di empowerment 90

2.1. Empowerment di gruppo 942.2. Empowerment organizzativo 95

2.2.1. Salti di qualità e discontinuità organizzative, con unforte coinvolgimento delle risorse 95

2.2.2. Management by vision e carte dei valori 962.2.3. Percorsi di sviluppo individualizzato 97

2.3. Empowerment di comunità 97

7. Formazione incisiva ». 981. Apprendimento come potenziamento: la progettazione

quadricomponenziale della formazione 991.1. Formazione orientamento 1001.2. Formazione competenza pag. 1011.3. Formazione elaborazione 1021.4. Formazione azione 103

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2. Incisività nell'operatività del formatore » 1052.1 Analisi dei bisogni ma anche dei desideri » 1052.2. Verifica dei passaggi cruciali e contributo alla valutazione

dei risultati » 1072.2.1. I manager valutano la formazione come supporto alla

realizzazione della visione » 1072.2.2. La metodologia dei passaggi cruciali nella

valutazione della formazione fatta dai formatori » 1082.3. Il contratto psicologico d'aula del formatore empowering » 109

3. La comunicazione generativa » 1103.1. "Provocazioni" orientate alla comunicazione generativa » 1133.2. Suggerimenti operativi tra chi vuole facilitare la

comunicazione generativa: il periodo di passaggio della"comunicazione incisiva" » 115

8. Rendere incisivo il colloquio di counseling » 1181. Orientamenti operativi su ciascuna fase del colloquio » 121

1.1. Fase dell'emergere e del chiarirsi di un nuovo desiderio » 1221.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità positiva » 1241.3. Fase della trasformazione da pensabilità a possibilità » 127

1.3.1. Elaborazione interna » 1271.3.2. Risorse esterne » 1291.3.3. Sperimentazione » 130

2. Indicatori per la misurazione dei risultati di empowermentnell'orientamento tramite counseling » 1322.1. L'orientamento come processo di elaborazione della

"configurazione delle possibilità" della persona » 1322.2. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati

immediati "alla fine" dell'intervento d'orientamento » 1352.3. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati nel

"durante" dell'intervento d'orientamento » 1362.3.1. Sub-processo di apertura di nuova "pensabilità

positiva" (visioning) » 1372.3.2. Sub-processo di mobilitazione ed acquisizione risorse » 1382.3.3. Sub-processo di depotenziamento (specifico ed

applicativo) di problematichestoriche soggettive dellapersona interessata » 138

2.3.4. Sub-processo della sperimentazione » 140

9. Andare oltre: la scala dei desideri » 1411. Bisogni e desideri » 142

1.1. A cosa serve saper distinguere tra bisogni e desideri e saper

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valorizzare questi ultimi pag. 1451.2. Suggerimenti d'uso, della differenziazione bisogno-deside-

rio per gli operatori delle professioni aiuto alle persone » 1461.3. Proposte di ricerca » 146

2. La scala dei desideri » 1462.1. Esempio applicativo di scala dei desideri » 148

3. Tempo per desiderare, desiderare per avere tempo » 1503.1. Come liberarsi dalla schiavitù del tempo » 1523.2. Come godere (o come rovinarsi) la vita e il tempo, con le

stesse cose » 153

10. Percorsi e leve per il cambiamento » 1561. Cambiamento quale e cambiamento come » 1562. Cinque tipi di percorsi e metodi di cambiamento » 160

2.1. Processo "drastico" del cambiamento » 1602.1.1. Caratteristiche defmitorie » 1602.1.2. Esempi di processo "drastico" » 1622.1.3. Principali pregi e difetti del processo "drastico-

forzato" » 1632.1.4. Tipologia degli innovatori » 163

2.2. Processo "armonico" del cambiamento » 1642.2.1. Caratteristiche defmitorie » 1642.2.2. Esempi di processo "armonico" » 1652.2.3. Sintesi di pregi e limiti » 1652.2.4. Tipologia degli innovatori » 166

2.3. Processo del cambiamento del tipo "creazione del nuovopolo" » 1662.3.1. Fasi del processo di cambiamento del "terzo tipo",

ovvero della creazione di nuovo polo, ovvero di tipograttacielo-fattoria » 166

2.3.2. Caratteristiche definitone » 1692.3.3. Altri esempi di processo di cambiamento per

creazione di nuovo polo » 1702.3.4. Vantaggi e costi del cambiamento del terzo tipo » 1712.3.5. Tipologia di protagonisti e funzioni » 171

2.4. Processo "strumentante" del cambiamento » 1722.4.1. Introduzione: ciò che sembra non servire, e poi

invece... » 1722.4.2. Caratteristiche defmitorie del modello "strumentante"

del cambiamento » 1742.4.3. Esempi » 174

2.5. Processo "possibilitante" del cambiamento » 1752.5.1. La sequenza con cui l'iniziale possibilitazione può poi

diventare cambiamento, anche rapidamente » 176

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11. Bibliografie Pag. 1771. Due libri essenziali e complementari 178

2. Alcuni libri, in lingua italiana, sull'empowerment e sulletematiche della leadership, dei gruppi di lavoro, del potere, acura di E. Lentini 179

3. Bibliografia 193

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A coloro che non smettono di cercare

Potere è bello. Non è un caso che, pur criticandolo in molti, quasi tutti locercano. Il potere autentico si manifesta infatti non impedendo agli altri, mapermettendo, aprendo nuove possibilità.

L'aumento delle possibilità, proprie ed altrui, costituisce l'essenza delpotere.

L'obiettivo dunque è quello di aumentare il potere, di diffondere il pote-re, di permettere a tutti il potere.

L'approccio dell'empowerment, le sue tecniche e le sue applicazioni(esposte in questo volume), vogliono rendere potenti persone ed aziende:dove essere "potenti" (alla lettera: che possono) significa usare al meglio leproprie risorse per soddisfare bisogni, obiettivi, desideri; significa sentire diavere influenza e controllo ("control") su ciò che accade nel proprio lavoroe nella propria vita; significa sentirsi protagonisti di sé stessi e di ciò che sifa e si è con gli altri.

Aziende e persone sono sempre di più sollecitate da nuove esigenze edaspirazioni: 'sul lavoro poi la necessità di essere bravissimi e fornire risultatinuovi ed eccellenti è oramai diventata caratteristica della normalità. Ci vo-gliono allora nuovi approcci, metodi, mentalità, strumenti; ci vuole ancheuna nuova concezione del potere, sia culturale e sociale sia dentro di sé.L'approccio dell'empowerment propone un orientamento ed una pista ope-rativa molto incisiva in questa direzione.

Il libro è dedicato a persone ed imprese che ricercano: non a chi è giàtotalmente soddisfatto, non a chi ha perduto la voglia di ricercare.

Volevamo scrivere e pubblicare questo libro già da parecchio tempo. Celo chiedevano coloro che hanno sperimentato sul campo i risultatidell'approccio empowerment: nella maggiore incisività della formazione,nei colloqui di counseling personalizzato, nell'intervento aziendale a sup-porto delle innovazioni, nell'assistenza alla crescita delle persone sul lavo-ro, nel team building, nella lettura della corrispondenza tra ciò che avviene

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al livello "macro", di aziende e mondo del lavoro, e ciò che avviene a li-vello "micro", dentro il mondo vivo della persona e del suo mondo internosollecitato verso nuove risposte e nuovi desideri.

Già parecchi anni fa volevamo quindi scrivere un libro di panoramicasistematica sugli autori ed i contributi sull'empowerment: poi questo librol'harmo fatto bene altri (Claudia Piccardo, 1995). Successivamente vole-vamo scrivere un manuale organico, che spiegasse sistematicamente comesi fa nelle varie applicazioni: potenziamento personale; sviluppodell'organizzazione; formazione; sviluppo risorse umane; colloquio; teambuilding; orientamento; cultura del lavoro. Ma l'approccio empowermentcorre continuamente in avanti, sviluppa nuove possibilità ed altre ne prepa-ra.

Ci siamo infine decisi alla scelta che forse era ovvia fin dall'inizio: ri-nunciare alla pretesa di completezza e cercare di fornire al lettore quanto,sia nella nostra prassi sia nella nostra elaborazione teorica, ci sembra adoggi più utile, più sperimentato nel fornire risultati, più stimolante per an-dare avanti.

Potere è bello, anche perché il potere autentico per sua natura generanuovo potere, in un circolo virtuoso che si autoalimenta e di cui non si puòdecidere a priori il punto finale. Forse proprio in questo sta la bellezza (edanche l'incertezza e l'inquietudine) del lavorare moderno e forse dell'interovivere in questo tipo di società moderna in cui il nuovo non si ferma maied, in corsa, cerca l'integrazione con l'antico.

Tutto ciò ci sembra bello ed anche un po' difficile: per le imprese e perle persone. Con l'approccio e la proposta del potere-empowerment voglia-mo fornire "una possibilità in più".

Massimo Bruscaglioni Stefano Gheno

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1. Per cominciare

Questo libro è dedicato a coloro che sono interessati all'approcciodell'empowerment: o perché già ritengono che, come diciamo noi, fornisca"una marcia in più" da aggiungere agli strumenti già esistenti, o perché so-no incuriositi e vogliono verificare in prima persona cosa è ed a cosa puòservire.

Il volume tratta principalmente:• dell'approccio dell'empowerment in azienda• delle metodologie di self empowerment per le persone• delle tecniche per professionisti addetti ad aiutare persone ed aziende

nel loro sviluppo (esempi: formazione, orientamento, intervento orga-nizzativo, colloquio, counseling).

Come è nella nostra mission personal professionale, lo abbiamo scrittocollegandoci da una parte al mondo delle aziende e delle persone che vi la-vorano, dall'altra al mondo della ricerca e degli studi scientifici.

Nel successivo paragrafo "Indice ragionato" proporremo la sintesi e lalogica degli argomenti trattati. Qui vogliamo però subito fornire una letturadi cosa è l'empowerment (molti sicuramente se lo domandano) e perché è"di moda".

1. La parola empowerment

Empowerment significa processo di "impoteramento", di aumento delpotere. Il power, il potere di cui si occupa l'empowerment non è primaria-mente quello (che spesso per primo viene in mente) di qualcuno su qualcunaltro; è invece soprattutto il potere come patrimonio personale di chi lopossiede, lo ha in sé, lo può "poi" usare nel rapporto con le cose e le perso-ne importanti nella sua vita.

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La parola "potere" ha infatti almeno due significati ben distinguibili:a) potere "relazionale": potere di qualcuno su qualcun altro, "influenza"

nella sua definizione più semplice. È il significato di potere più diffusonella cultura.r» potere "personale": potere che sta dentro la persona, che significa so-prattutto "possibilità", che è influenzato da fattori interni della personaancor prima che da fattori esterni. Potere non a somma zero (quanto piùne ha uno tanto meno l'altro) ma aumentabile (o diminuibile) in manieranon limitata a priori.

Parlando di potere relazionale si tende a parlare di fattori di tipo econo-mico, militare, di ruolo. Parlando di potere personale, interno, si confinacon fattori più psicologici quali motivazione, energia, fiducia in sé, speran-za. Con più precisione la ricerca ha evidenziato quattro componenti psi-cologiche principali:• la valorizzazione dei fattori interni di causa (interna! locus of control):

tendenza a investire psicologicamente sui fattori interni che influenzanociò che accade o accadrà alla persona (oggettivamente ci sono sempresia fattori interni che esterni). Esempio: la sottolineatura degli aspettiper cui la propria carriera lavorativa dipende da sé, e non solo da altri odal sistema o dalla fortuna;

• la tendenza ad avere fiducia nella capacità di usare bene le proprie risor-se (self efficacy). In ogni occasione infatti la persona tende sia ad averefiducia di usare bene le proprie risorse sia ad avere timore di non saperlemobilitare ed usare al meglio (esempio: il timore dell'esame anche dichi è molto ben preparato). Esempio: orientamento alla fiducia che, da-vanti a un problema o situazione difficile, la persona saprà mobilitare leproprie migliori conoscenze e capacità;

• il pensiero operativo positivo (operative positive thinking): investimentooperativo sulle risorse disponibili più che sulle risorse mancanti. Infattisul lavoro, quasi per definizione, le risorse necessarie sono quasi semprein parte disponibili ed in parte mancanti. Il pensiero operativo spinge aprivilegiare l'investimento, sia psicologico che operativo, sulle risorsedisponibili.

1. Secondo questa definizione, volutamente semplificata, si dice che la persona A ha poteresulla persona B quando l'influenza che A esercita su B è sistematicamente maggiore dellainfluenza che B esercita su A.

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Ci si può per esempio impegnare per vedere cosa si può fare e, al limite,impegnare invece per dimostrare cosa e perché non si può fare (in genere,con l'impegno, si può riuscire sia nell'uno che nell'altro!)

• la "speranzosità" (hopefullness) o tendenza a sperare che, nell'ambitodelle cose che all'esterno avverranno e non sono controllabili nè preve-dibili, ci saranno anche aspetti positivi, fattori "intervenienti" che faci-literanno (oltre a quelli negativi, problematici, di aumento delle diffi-coltà). Esempi di "intervenienti": comparsa di nuovi materiali o stru-menti informatici; cambiamento delle preferenze del mercato; innova-zione organizzativa.

Le dimensioni succitate sono evidenziate tra l'altro dai primi risultati diricerca di due importanti studiosi americani, Zimmermann e Rappaport(1988). Furono per primi questi due psicologi di comunità, nel corso deglianni '80, a rivalorizzare la parola empowerment (fino ad allora poco usata)ed a definire le dimensioni di questo costrutto.

Nel giro di pochissimo tempo il concetto di empowerment fu "adottato"dal mondo del lavoro, delle organizzazioni, delle risorse umane, del mana-gement. Questo fatto colpisce perché in genere passano molti anni primache ci sia passaggio tra mondi diversi (quali: mondo della psicologia emondo del management; mondo della ricerca sociale e mondo della prassioperativa aziendale).

Il rapido e contemporaneo successo dell'empowerment in mondi cosìdiversi, quali azienda e psicologia di comunità, è probabilmente dovuto an-che ad una sintesi originale che esso propone tra forza e debolezza, tra be-nessere e disagio, tra capacità e difficoltà, tra disponibilità e lacuna. Si notaper esempio che nella tradizione succede che:a) nel "mondo della forza" ci si occupa dei forti con la cultura della forza

(vedi la realtà o almeno l'immagine delle "Forze Armate");b) nel "mondo della debolezza" ci si occupa dei deboli con la cultura della

debolezza (vedi la tradizione storica dell'assistenza).L'approccio dell'empowerment propone di occuparsi della debolezza

(lacune, problemi, difficoltà, disagi) con la cultura della forza (risorse, ca-pacità di nozione, capacità, opportunità).

Talvolta ci viene domandato a "quali" persone o aziende serve l'empo-werment (ed a quali non): noi rispondiamo che serve soprattutto a coloroche sono alla ricerca, in tensione verso qualcosa, che quindi hanno un po'

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di forza e risorse, altrimenti non potrebbero porsi in tensione ed alla ricerca,ma a cui anche manca qualcosa che invece vorrebbero-dovrebbero avere.

2. Empowerment è una moda?

Ci si può domandare se empowerment sia solo una "moda"; e comunqueperché se ne parli molto oggi.

Secondo noi:• empowerment è "soltanto una moda" se ci si limita al primo dei suoi tre

usi possibili, quello di parola ri-aggregatrice di concetti non nuovi(esempi: responsabilità, autonomia, discrezionalità, partecipazione, de-lega, valorizzazione della persona e del team);

• è una moda che peraltro lascerà tracce permanenti (anche una voltapassata) se si valorizzano alcuni suoi principi originali ed orientamenti:alle opportunità e non solo ai problemi; ai desideri e non solo ai bisogni;alla aggiunta di possibilità e non solo alla oscillazione tra stabilità ecambiamento; alla vision e non solo agli obiettivi ed alle pianificazioni;all'analisi dei successi e non solo degli insuccessi;

• costituisce un costrutto ed un "approccio" nuovo e importante, se lo siusa per produrre anche nuove metodologie e strumenti: utilizzabili dagliinteressati, persone e organizzazioni (self empowerment) e degli opera-tori professionisti (formatori, orientatori, operatori sociali, ma anche percerti versi, manager, responsabili, politici).

A questo terzo ruolo ed uso dell'empowerment è dedicato in particolarequesto libro, allo sforzo di evidenziare metodi e strumenti per aumentarel'empowerment di persone, aziende, istituzioni.

3. Perché empowerment oggi

Secondo chi scrive non è un caso che l'approccio dell'empowennentemerga proprio oggi, alla vigilia del terzo millennio. Infatti è risaputo chenegli ultimi trent'anni ci sono state profonde trasformazioni strutturali: perònon è facile trasformare corrispondentemente gli strumenti mentali dellapersona moderna. Si avvertiva e si avverte l'esigenza di costrutti che forni-scano aria nuova sul piano della cultura ed una marcia in più sul piano ope-rativo. Infatti:

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a) sul piano strutturale (ci riferiamo qui alle società cosiddette post indu-striali o moderne-post moderne)Molte società sono diventate quasi improvvisamente ricche ed in parti-

colare liberate dalla centralità dei bisogni primari di sopravvivenza; emer-gono continuamente nuove possibilità e risorse (in particolare scientifiche-tecniche-produttive); si moltiplicano i problemi ma anche le opportunità ele possibilità.

Le risorse che contano sono diventate il know how, il sapere, i beni e glistrumenti non materiali: si apre la possibilità di un nuovo protagonismoall'uomo, ed alle sue capacità intellettuali ed emozionali.

La qualità della vita cessa di essere solo slogan (o cosa riservata per po-chi) e diventa aspirazione di molti e per certi versi problema centrale da ri-solvere.

Il lavoro è molto cambiato: lontani i tempi della condanna biblica, sem-pre più emerge la natura intrinseca "generativa" e tendenzialmente piace-vole del lavorare. Del resto le aziende, industriali e di servizi, sembranosempre più laboratori che non officine.

b) sul piano delle persone e della mentalitàSono incredibilmente aumentati beni e servizi di cui le persone dispon-

gono, e quindi le aspirazioni ulteriori di qualità della vita.Cresce quindi l'esigenza di un approccio che aiuti le persone a cogliere

le opportunità, ad aprire possibilità, a beneficiare di un ambiente ricco, aperseguire desideri e non solo bisogni, a superare impossibilità obsolete, afronteggiare ed usare con piacere il cambiamento godendosi al contempogli aspetti sia di tradizione che di stabilità. Con un concetto sintetico: adavere molte possibilità, poter scegliere, sentire responsabilità e protagoni-smo sulla propria vita.

Sul lavoro e in azienda si tratta di cogliere le opportunità dell'inno-vazione continua, di imparare a lavorare in maniera nuova per processi,orientati al cliente, con il vecchio approccio negoziale che diventa invece"generativo", col piacere più che con la sofferenza di lavorare*.

* Il Presidente della Fiat, Paolo Fresco, ha affermato in una nota intervista che in USA lepersone dicono che lavorare è un piacere mentre in Italia una sofferenza. Probabilmente nonè davvero tanto diverso il piacere o la sofferenza del lavorare, quanto la cultura la quale pre-vede che sia sottolineato e verbalizzato l'uno o l'altro dei due aspetti inevitabilmente coesi-stenti (il lavoro come piacere ed il lavoro come sofferenza).

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c) Sul piano delle aziendeC'è oggi esigenza di persone con iniziativa, in crescita continua, prota-

goniste della propria responsabilità, capaci di usare strumenti ma anche dialimentare il lavoro con le migliori doti personali. Altrimenti come si fa acogliere obiettivi oggi necessari quali le prestazioni aziendali eccellenti,l'innovazione continua, la competitività allargata, l'orientamento reale alcliente, il lavoro per processi, l'aumento continuo dei risultati a parità dirisorse?!

L'analisi che noi proponiamo è che l'empowerment emerge oggi di mo-da perché propone un approccio, anche culturale, che fornisce alle personenuova strumentazione, concettuale e professionale, nelle nuove sfide diaziende, persone, lavoro.

Ribadiamo che l'approccio dell'empowerment, nei suoi aspetti più con-sistenti e non solo di moda, è soprattutto utile in quanto fornisce nuovimetodi e strumenti.

4. Gratitudine a molte persone, aziende, istituzioni, Risfor

Vogliamo qui esprimere gratitudine a molte persone, aziende, istituzio-ni. Esse delineano anche il percorso fatto sull'empowerment da chi scrive,e da dove siamo partiti per le elaborazioni che proponiamo in questo libro.In particolare ringraziamo:

tra gli studiosi

Julien Rappaport e Marc Zimmerman, primi maestri in campo di psico-logia di comunità, e R.M. Kanter, prima consistente contributrice incampo manageriale (di Zimmerman e Rappaport è stata in particolareinnovativa ed importante la raccolta dedicata all'empowerment nel 1990nell'American Journal of Community Psychology);Donata Francescato, che per prima ci indirizzò dicendoci "ciò che voistate cercando lo stanno studiando in Usa e lo chiamano empowerment".E con cui continua - seppure distanza - un lavoro intellettuale affine. (diDonata Francescato ricordiamo innanzitutto Oltre la psicoterapia: per-corsi innovativi di psicologia di comunità; Nis, Roma, 1993; Amore epotere; Mondadori, Milano, 1998;i membri dello NTL (National Training Laboratory Institute for AppliedBehavioral Sciences) di Boston, presso il quale avemmo il primo trai-

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ning personal professionale in empowerment nel 1989, ed i membri delTavistock Institute di Londra;Claudia Piccardo che ha scritto il primo bel libro italiano sull'empo-werment, e con cui scambiammo fin dall'inizio materiali, opinioni edanche (con stima e amicizia) qualche divergenza interpretativa (di Clau-dia Piccardo ncordiamo il volume Empowerment, Raffaello CortinaEditore, Milano, 1995);Enzo Spaltro, che da molti anni studia il sentimento del potere e parladella nuova cultura adeguata alla società delle "risorse abbondanti" (diEnzo Spaltro ricordiamo, a proposito, il libro Sentimento de/potere, Bo-ringhieri, Torino, 1984).Ancora molti studiosi delle Università italiane, rispetto ai quali sentiamoun'affinità di fondo nel nostro modo di procedere e d'agire sull'empo-werment, sia nel campo della psicologia sociale e di comunità — comePiero Ameno, Dora Capozza, Augusto Palmonari, Maria Luisa Pombe-ni, Assunto Quadri°, Gian Piero Quaglino, Giancarlo Trentini, BrunaZani —, sia della psicologia del lavoro e delle organizzazioni e della so-ciologia — come Francesco Avallone, Massimo Bellotto, Federico Bute-ra, Domenico De Masi, Cesare Kaneklin, Vincenzo Mayer, Guido Sar-chielli —, sia nelle scienze dell'educazione — come Cesare Scurati e Duc-cio Demetrio.

(Nella rivista Risorsa Uomo, diretta da Vincenzo Majer, pubblicam-mo i primi contributi: "orizzonte empowerment: significati ed approc-ci", n. 3/1994, ed "empowerment nelle organizzazioni", n. 4/1995: rela-zioni presentate nel convegno Risfor sull'empowerment, del settembre1994).Infine altri colleghi stimati del mondo della psicologia di comunità, co-me Caterina Arcidiacono, Bianca Gelli e Anna Putton.

La nostra gratitudine va inoltre alle molte aziende che hanno utilizzatol'approccio empowerment ed hanno contribuito ad evidenziarne l'efficaciain Italia, ed ai colleghi del team di Risfor.

Tra le aziende ricordiamo in particolare AEM, Bayer, Bracco, Credem,Deutsche Bank, Hewlett Packard, Hyc, INPS, [PER, Kraft, Medal, Memc,Omnitel, Pirelli, RCS: con cui abbiamo svolto sul campo formazione e in-terventi significativi a supporto dell'innovazione. Con alcune di loro e conaltre abbiamo anche costruito "Empowerment Space", in cui studiare i pos-sibili strumenti per compiere veri e propri salti di qualità nello sviluppodelle persone, delle risorse umane, dell'azienda.

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Tra le Scuole: Politecnico di Milano-MIP-Poliedra; CFMT: Formez,Formazione Professionale in lingua italiana della Provincia autonoma diBolzano; ISFOL; ISVOR Fiat. In tanti lavori con loro abbiamo innescatoun bellissimo circolo virtuoso tra marcia in più consentita dall'approccioempowerment e sviluppo di nuove metodologie e tecniche. Affetto e grati-tudine speciali alla AIF, Associazione Italiana Formatori.

Tra le Società di Consulenza, in particolare: Andersen Consulting;COM; CTC; ISMO; MIDA; S3; TESI. Tra i colleghi ed amici consulentistimati con cui abbiamo insieme, non tanto parlato ma molto vissuto em-powerment: Dante Bellamio, Donata Fabbri, Ennio Baldini, Cristina Koch,Ulderico Capucci, Maurizio Castagna, Enrico Auteri, Franco Angeli,Adriano De Maio, Antonio Roversi, Magi Rotondi, Mario Tancredi, Ro-berto Barabino, Pier Luigi Amietta, Pino Pollina, Pino Varchetta, Vito Vol-pe, Vanna Olivieri, Raffaella Pederneschi, GianPaolo Prandstraller, Roma-no Trabucchi.

Per certi versi soprattutto siamo grati ai colleghi del team Risfor2 con iquali l'approccio empowerment è stata una scoperta condivisa, un amoreprofessionale, un impegno nel generare modalità nuove di essere utili allepersone ed alle organina7ioni. In particolare (oltre ai sottoscritti MassimoBruscaglioni e Stefano Gheno) Marina Capizzi, Massimiliano Colombo,Delia Duccoli, Daniela Ferri, Elisabetta Camussi, Paola Zucca, Elena Zuc-chi.

Con loro abbiamo studiato e ricercato, sperimentato, operato. Abbiamoanche dato vita ad una scuola per giovani, sulle applicazioni professionalidell'approccio empowerment, e approfondito (con seminari ripetuti da di-versi anni) temi quali: il self development tramite self empowerment, losviluppo del potenziale, la skill innovazione, il colloquio di counseling, ilteam building empowerment oriented, la leadership empowering.

Con tutti è stato ed è molto bello occuparsi di formazione all'empo-werment ed anche di utilizzo dell'approccio empowerment per apportareuna marcia in più sui temi dell'azienda, delle persone sul lavoro, delle in-novazioni organizzative, dei processi di trasformazione.

2. Risfor è la Società, fondata da Massimo Bruscaglioni con alcuni colleghi senior nel 1991,specializzata nel fornire strumenti e metodi e servizi innovativi a coloro che fanno forma-zione. Si è anche progressivamente specializzata nelle ulteriori tecniche applicative permes-se dall'approccio empowerment nelle organizzazioni e per le persone.

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5. Indice ragionato

L'empowerment delle aziende e l'empowerment delle persone che vilavorano sono, secondo la nostra esperienza, non in conflitto tra di loro maanzi compenetrati e non scindibili. Sono potenti le aziende in cui le personesi sentono potenti, sono potenti le società e le istituzioni i cui componenti sisentono potenti.

È una sorta di circolo virtuoso che supera la cultura della conflittualità edella scarsità, ereditate da millenni e secoli di lotta per la sopravvivenza.

Per esempio è difficile attribuire all'interesse dell'azienda o invece dellapersona, voci quali: lo sviluppo personal professionale delle persone, la ca-pacità innovativa, l'orientamento al cliente, la generatività del lavoro, ilcontinuo sforzo di imparare e migliorare, la produttività, l'apprezzamentodel mercato e dei clienti verso prodotti e servizi, l'utilizzo del potenzialedelle persone. Non abbiamo quindi usato la classica suddivisione in partiquali l'empowerment della persona e l'empowerment dell'azienda.

La sequenza dei capitoli cerca di seguire quello che può esserel'interesse del lettore, la sua voglia di capire, appropriarsi, utilizzare.

Resta il fatto inevitabile che il "focus di partenza" di alcuni capitoli puòessere, inizialmente, più quello della persona o dell'impresa o del lavoro.

Nei capitoli 2 ("empowerment organizzativo e psicologico") e 6("empowerizzare l'impresa") il focus di partenza è quello dell'impresa:come aumentare il suo potere "con" le sue persone; come aumentarne lacapacità di fronteggiare problemi e soprattutto di cogliere le opportunità;come avere una marcia in più a supporto dell'innovazione realizzata tramitele risorse umane: e le persone: che sono le protagoniste più preziose ma chetalvolta avvertono difficoltà e propongono sfide nuove da superare.

Nei capitoli 4 ("il processo operativo di apertura di nuove possibilità,self empowerment") e 5 ("esercizi di potere") si parte dal focus della per-sona e si descrive la metodologia guida per l'aumento del potere.

Il modello operativo del self empowerment è un nostro contributo origi-nale, elaborato insieme ai colleghi del team di RISFOR: speriamo e cre-diamo possa essere utile alle persone interessate ed agli operatori addettinelle professioni e ruoli di supporto: vuoi in ruoli specialistici vuoi in ruolidi responsabilità e management.

Il modello del self empowerment esposto è uno strumento operativo peril self development (tecnica dell'apertura di nuova possibilità), e costituisceanche un modello con qualche originalità di processo dell'apprendimento.

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Nei capitoli 7 ("formazione incisiva") e 8 ("rendere incisivo il colloquiodi counseling") si propone un affondo sull'utilizzazione dell'empowermentper rendere più efficaci la formazione ed il colloquio: attività sempre piùimportanti ed in cui è sempre più sentita l'esigenza di salto di qualità, distrumenti più efficaci, di risultati misurabili più consistenti anche se senzamaggiore dispendio di risorse.

Nel capitolo 3 si parla del lavoro e del "piacere di lavorare", piacere cheparadossalmente tanto è noto quanto negato nei dichiarati e nella letteraturaufficiale.

Siamo talmente abituati alla storica cultura del "bisogno-mancanza-malessere" che diventiamo pudici e persino falsificatori sul riconoscimentoesplicito delle cose belle e piacevoli. Il problema è che invece si vive e sicresce soprattutto alimentandoci di riconoscimenti e gratificazioni.

L'empowerment è per sua natura uno strumento per "andare oltre". Losottolineano alcuni dei principi stessi dell'approccio empowerment, qualiquelli dell'aggiunta, della apertura di possibilità, della nuova pensabilità.

Nei capitoli 9 ("andare oltre: la scala dei desideri") e 10 ("percorsi e le-ve per il cambiamento") proponiamo alcune esemplificazioni ed in parti-colare: la continuazione della scala dei bisogni in "scala dei desideri", e latipologia "multipossibilitante" dei percorsi e delle leve del cambiamento.

Diversi titoli di paragrafi e sottoparagrafi, sparsi nei capitoli, sonoscritti in corsivo: ciò serve per segnalare che sono approfondimenti un po'specialistici, magari un po' difficili da leggere, dedicati a chi studia e/oapprofondisce in vista di una sofisticazione professionale. Magari alcunilettori preferiranno saltarli o leggerli per ultimi, mentre altri li cercheran-no per primi.

6. Qualche precauzione ed avvertenza

Al lettore ci permettiamo di consigliare in particolare qualche"precauzione d'uso" circa la natura e l'uso dell'empowerment:

I) Empowerment come caratteristica non globale esistenziale ma bensìrelativa al rapporto della persona con uno specifico aspetto o areadella propria vita.Certe caratteristiche dell'empowerment, fin da quelle psicologiche fon-

danti (vedi precedente paragrafo "la parola empowerment"), possono far

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pensare che l'empowerment sia una caratteristica di personalità, quasi esi-stenziale.

Noi consideriamo, e consigliamo di considerare, l'empowerment comequalcosa che riguarda il rapporto della persona con uno specifico oggetto(con un'altra persona, con una propria capacità da sviluppare, con un desi-derio) o al massimo con un'area della propria vita, sia pur ampia (l'area la-vorativa; l'area affettivo-familiare; l'area sociale e del rapporto con le isti-tuzioni). Tanto è vero che il vissuto di empowerment può, in un certo mo-mento-periodo, essere positivo in alcune aree della vita e negativa in altre.Così come può essere positivo o negativo, nella stessa area, in periodi tem-porali diversi.

È anche vero che se una persona tende a sentirsi empowered nelle areetradizionalmente centrali della vita (esempi: lavoro, famiglia, rapporti so-ciali), sarà facile pensare all'empowerment come caratteristica globale toutcourt della persona. Però se consideriamo l'empowerment come specificorispetto a qualcosa, l'approccio ha utilità, sviluppa metodologie e strumenti,fornisce aiuto. Mentre se, al contrario, pensiamo che una persona tende adavere/non avere empowerment, serve a poco operativamente.

II) Empowerment come metodo e tecnica, non come ideologia; stru-mento in "aggiunta", non in sostituzione dei precedenti

Il nostro sforzo, ed il nostro tentativo di contributo, è soprattutto sull'u-so dell'approccio empowerment per evidenziare nuovi metodi, tecniche,strumenti. Per esempio: di self development, di formazione, di manage-ment, di colloquio, di orientamento.

Certamente quella dell'empowerment può diventare una vera e propriacultura (contrapposta per certi versi a quella della rassegnazione o a quelladel cambiamento deterministico). Però il suo valore principale sta nel forni-re principi operativi aggiuntivi per l'auto-etero aiuto a persone e organizza-zioni.

In particolare è nella stessa natura intrinseca di questo approcciol'orientamento ad aggiungere anziché sostituire. In questo senso l'approc-cio dell'empowerment si differenzia da quello del cambiamento pianificato:la meta è infatti quella dell'aumento delle possibilità, per poter scegliere esentirsi quindi responsabili e protagonisti di sé. Anche se poi è evidente chel'aumento di possibilità tendenzialmente favorisce di fatto il cambiamento;è però profonda la differenza.

Noi proponiamo che per certi versi il maggior pregio dell'approccioempowerment stia nella sua essenza operativa di "processo di possi-

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bilitazione": vero e proprio terzo e diverso polo rispetto a quelli della stabi-lità da una parte e del cambiamento programmato dall'altra. Di sicuro èutile per uscire dalla paralisi a cui costringe a volte l'impossibilità di sceltanella bipolarità stabilità-cambiamento (stabilità e cambiamento vengonospesso usati entrambi come positivi, per esempio in politica, ma non sonocoincidenti e né sempre facili da integrare tra di loro).

AVVERTENZE PRATICHE PER IL LETTORE

Il libro è dedicato:• alle persone (in particolare in quanto lavorano) che cercano uno stru-

mento in più per la propria ricerca, per il proprio tendere a nuove possi-bilità e desideri, per il proprio sviluppo personale;

• ai manager ed a coloro per cui è importante il know how sullo sviluppodi persone e risorse umane;

• ai formatori:• agli operatori delle professioni di supporto.

I titoli di alcuni paragrafi e sotto-paragrafi sono scritti in corsivo.Sono quelli scritti per gli addetti ai lavori e/o per gli studiosi del tema. I titolisono in corsivo, affinché sia più facile, a seconda del tipo d'interesse di cia-scun lettore, trovarli subito o andare oltre.

Leggibilità autonoma dei capitoliAbbiamo cercato di mantenere la leggibilità autonoma dei diversi capito-

li, senza richiedere necessariamente la lettura sequenziale del libro dall'ini-zio alla fine. Ciò è stato facilitato anche dal fatto che alcuni paragrafi deri-vano dalla rielaborazione di dispense ed articoli scritti in specifiche occa-sioni.

Ci scusiamo per alcune ridondanze rimaste; ci è stato peraltro detto dinon eliminarle completamente: e perché possono risultare utili alla chia-rezza e perché possono facilitare il lettore che vuole scegliere quali parti ecomunque in che sequenza leggere.

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2. Empowerment organizzativo e psicologico

1. L'approccio dell'empowerment nell'impresa

Abbiamo osservato il manifestarsi di tre livelli, tendenzialmente se-quenziali:1° livello: empowerrnent come parola-concetto aggregatore di orienta-

menti positivi preesistenti;2° livello: emergere di principi e modelli originali dell'approccio specifi-

catamente orientato all'empowerment;3° livello: approccio dell'empowerment che fornisce nuove metodologie e

permette nuovi tipi di risultati e di salti di qualità.

Questa tendenza successiva dei tre suddetti livelli l'abbiamo rilevata sianel successo avuto dal costrutto dell'empowennent negli ultimi dieci anninel mondo delle aziende e nel mondo della psicologia di comunità; sia nelpercorso che realizzano le singole persone quando si avvicinano al costruttodell'empowerment, e progressivamente ne aumentano l'utilizzo (l'abbiamoosservato soprattutto nei corsi di formazione all'empowertnent per operato-ri professionisti e nella consulenza sul campo).

Al 1° livello empowerment è una 'parola" che ha il pregio di"aggregare" in modo stimolante diversi e preesistenti orientamenti, ten-denze evolutive, auspici: e che li aggrega con una certa originalità attornoad un nuovo modo di concepire il concetto di potere (di qui la difficile tra-ducibilità in italiano).

Elementi aggregati a livello psicologico sono:• responsabilizzazione, tendenza a sottolineare la propria possibile in-

fluenza;

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• autoefficacia, tendenza alla fidueia nella utilizzazione delle risorse di cuisi dispone;

• speranzosità (o contrario di di-speranza), tendenza a sperare che gli ine-vitabili mutamenti a venire abbiano aspetti anche positivi;

• pensiero positivo operativo, tendenza a investire energie e azioni piùsulle risorse disponibili che non su vincoli e risorse mancanti;

• sentimento di padronanza sulla propria vita, controllo almeno cognitivosui fattori che la influenzano;

• consapevolezza delle proprie risorse e orientamento alla scelta perl'ottimizzazione del loro uso;

• integrazione in un unicum di sentimenti di desiderio, di competenza, divoglia di passaggio all'azione (in un certo senso motivazione positiva).

Elementi aggregati a livello organizzativo sono:• aumento diffuso di autonomia, avvicinamento di discrezionalità, auto-

rità, strumentazione della sede in cui si producono i risultati e la soddi-sfazione del cliente;

o partecipazione, coinvolgimento, appartenenza, motivazione in partico-lare intrinseca;

o abbondanza di comunicazione, facilitazione di rapporti;o lavoro in team;o cultura dello sviluppo delle risorse umane, della crescita;o importanza contemporanea e integrata della dimensione persona indi-

viduale, gruppo, organizzazione;o recupero e gestione di emozioni e sentimenti anche sul lavoro;o approcci del lavoro per obiettivi, della qualità e del miglioramento

continuo, dello sviluppo organizzativo (0.D.).

A questo primo livello, dell'empowerment come aggregatore, le appli-cazioni sono soprattutto:1. lo sviluppo dell'autonomia operativa dei gruppi (self directed work

teams o gruppi autogestiti);2. lo sviluppo dei gruppi in formazione, non solo per l'apprendimento ma

anche per la risoluzione dei problemi e per l'innovatività;3. il leader come facilitatore e lo stile di leadership aiutato a diffondere

empowerment;4. le surveys e le metodologie di indagine sui diversi fattori di clima, di

people satisfaction, di gradimento, anche dal basso verso l'alto.

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Al 2° livello, nell'empowerment cominciano ad evidenziarsi alcuniprincipi originali, culturali ed operativi; non solo quindi, come aggrega-zione del preesistente ma anche come apertura di strade nuove.

È un livello ponte verso l'approccio dell'empowerment vero e proprio,che vedremo al terzo livello applicativo.

Proviamo ad evidenziare sette dei più significativi principi originalidell'empowerment (sottolineando anche la loro differenza rispetto ad ap-procci più tradizionali):1. l'apertura di nuove possibilità, come processo chiave di ogni sviluppo e

come terza polarità per rompere l'oscillazione talvolta paralizzante trastabilità e cambiamento; la metodologia, la teoria e la praticadell'apertura di nuove possibilità e dell'aiuto che si può fornire in que-sto senso a persone e organizzazioni: l'approccio dell'empowerment di-venta concreto, diventa metodo applicativo, proprio focalizzando chel'apertura di nuove possibilità è l'aspetto centrale ed essenziale del pro-cesso di empowerment;

2. il ruolo del desiderio è fondamentale nell'alimentare i processi evolutivireali, ancora più di quello vissuto da necessità, problemi, bisogni: con iquali peraltro la dimensione e il desiderio si allea, anche per concretiz-zarsi e produrre progettualità concreta.L'attività di visioning è di conseguenza processo e risorsa crucialedell' attività generativa, in azienda (metodologia di management) comenella vita della persona (costruzione di pensabilità positiva di situazionimigliori e di sé in tali situazioni);

3. all'importanza del miglioramento continuo si aggiunge l'attenzione si-stematica alla possibilità del salto di qualità, anche con aspetti di di-scontinuità: concretamente attraverso l'analisi sistematica degli "inter-venienti", cioè dei fattori nuovi nel frattempo emersi. L'assenzadell'empowerment quindi come metodologia del passaggio dal perce-pito impossibile al possibile realizzabile;

4. lo sviluppo come aggiunta, piuttosto che come sostituzione-cambia-mento, e quindi il trattamento (assai diverso e molto più efficace) delleresistenze come resistenze all'aggiunta e non come resistenze al cam-biamento;

5. la gestione dei problemi storici (qui con riferimento a quelli soggettiviindividuali) per aggiramento, permettendo il rapido raggiungimento diobiettivi e desideri, invece che per loro pretesa di "risoluzione" (di solitomai raggiunta in sé, se non con un salto di qualità, un passaggio ad unlivello superiore);

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6. l'autorappresentabilità del soggetto, persona od organizzazione, nonsolo per quello che fa e per quello che vorrebbe essere, ma come insie-me di tutte le possibilità che gli sono permesse dall'interno e che po-trebbe realizzare operativamente con speranza di successo, anche seprobabilmente in buona parte alternative tra di loro. Quindi Rappre-sentazione di persone e organizzazione come insieme di possibilità;

7. tradizionalmente ci si occupa delle aree forti con la tipica cultura"paterna": meritocratica, che valorizza le risorse possedute e l'atten-zione alle capacità; che richiede crescenti risultati, che usa la comunica-zione assertiva; e ci si occupa delle aree deboli con la tipica cultura"materna": protettiva, comprensiva, accettante, attenta ai bisogni cheprivilegia la comunicazione rassicurante. L'approccio empowermentpropone invece l'utilizzo della cultura paterna delle capacità e delle ri-sorse a supporto delle aree di debolezza, della loro gestione e del lorosuperamento per quanto possibile: delineando una sintesi originale deiruoli delle inevitabili forze e debolezze compresenti e della loro utiliz-zazione.

Applicando questi principi culturali in maniera operativa, si aprono stra-de e risultati nuovi, e metodologie per praticarli: si arriva così al terzo li-vello del "vero e proprio" empowerment, inteso come strumento per perso-ne ed operatori.

Al 3° livello l'approccio dell'empowerment si rivela come vero e pro-prio strumento in più che fornisce metodologie nuove, permette applica-zioni e risultati con salto di qualità

Applicando infatti i principi originali suddetti dell'empowerment, peresempio:

Nell'organizzazione e management:• l'organizzazione per gruppi autogestiti diventa anche struttura portante

dell'intera organiz7Azione (esempio: la nuova struttura produttiva deglistabilimenti Fiat) e concretizza anche l'intero disegno dell'organizzazio-ne per processi orientata al cliente ed ai risultati fondamentali;

• il management by vision diventa metodologia portante di management,dell'intera azienda innanzitutto ed anche di specifici gruppi o pensieri oprocessi

• la cultura empowerment oriented si rivela (e non è una contemporaneitàcasuale) come la cultura corrispondente alle grandi innovazioni, al busi-

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ness process reengineering, alla learning organization: fra l'altro il con-cetto di empowertnent funge da ponte di collegamento tra ciò che av-viene a livello di grandi trasformazioni aziendali (livello "macro") e ciòche avviene dentro le singole persone (livello "micro");

• le metodologie di gestione e sviluppo delle Risorse Umane che consen-tono anche la personalizzazione, l'adeguamento alle specificità indivi-duali di ciascuno, non solo ai livelli;

• la rivisitazione con apporto di elementi innovativi di alcune skill qualileadership, decision making, problem solving, negoziazione; in partico-lare con nuove formulazioni che facilitano la generatività al posto deltradizionale orientamento a fronteggiare in qualche modo le necessità.

Nella formazione, i principi dell'empowerment facilitano l'emergere dinuovi tipi di formazione oltre l'aula tradizionale:• il training on the job finalmente efficace, basato sull'uso di risorse già

presenti nell'organizzazione (tutta la formazione tradizionale d'aula èbasata invece sull'analisi dei bisogni, cioè delle mancanze);

• la formazione come supporto al self development, cioè come concen-trazione e messa a disposizione di risorse esistenti nell'ambiente per ilself development, la crescita e la formazione autogestita

• si evidenzia la metodologia della formazione "quadricomponenziale":che assume l'apertura di nuove possibilità come risultato e come proces-so dell'apprendimento e che struttura i percorsi formativi con quattroprecisi e differenziati momenti formativi corrispondenti alle quattrograndi tappe logiche dell'empowerment (vedi cap. 7).

Nelle professioni e prestazioni di supporto alla persona:• la metodologia del counseling individuale empowertnent oriented (vedi

cap. 8) permette risultati importanti, con incontri singoli, o ripetuti almassimo due o tre volte (in particolare nelle aziende permette una me-todologia professionale di counseling anche al top management, dasempre cercata e fmora mai trovata dagli operatori;

• la metodologia di counseling empowerment oriented permette tra l'altrodi prendere in carico l'intera persona, pur essendo l'obiettivo operativoe specifico (per esempio di supporto all'efficacia di ruolo, o di orienta-mento, o di mobilità), essa rappresenta quindi l'elemento evidente diuna possibilità di gestire e sviluppare individualmente le risorse umane:laddove tradizionalmente ci si sapeva occupare di fasce, ruoli, gruppi,ma non di persone singole (la persona singola richiama infatti tutta la

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sua globalità, distingue meno tra lavoro, esigenza globale, ruoli, aspira-zioni complessive, capacità, punti di forza e di debolezza);

• il modello operativo del self empowerment, o la metodologia del sup-porto professionale ad esso (ampiamente illustrato nel cap. 4), evidenziacome siano diversi metodi e strumenti da usare nell'ambito dell'aiuto diuna persona su una specifica esigenza. Questo è molto rilevante, perchédi solito nelle professioni d'aiuto c'è il rischio di un atteggiamento e unmetodo unico. Per esempio corrispondono a diverse metodologie estrumenti nel processo applicativo di empowerment: la mobilitazionedell'io desiderante; il suo incontro con necessità, bisogni, richieste; lacostruzione di pensabilità positiva e vision, la predisposizione del-l'acquisizione risorse; il de-killering come aggiramento delle difficoltàpersonali e tecniche; la sperimentazione reversibile; la costruzione dellamargherita delle possibilità.

Riepiloghiamo quindi cosa è l'empowerment:1. ad un primo livello è una parola concetto che riaggrega in modo origi-

nale tendenze preesistenti, sia organizzative che psicologiche, di tipopositivo. Peraltro corredando la parola concetto con una nuova consape-volezza delle basi psicologiche profonde e quindi della connessione trail "macro", socio e organizzativo, ed il "micro", dentro alle persone;

2. ad un secondo livello è il delinearsi di nuovi principi originali, che pre-figurano una nuova cultura applicativa, in particolare diversa sia daquella della stabilità che da quella del cambiamento;

3. a un terzo e attuale livello è un approccio vero e proprio con metodolo-gie, attività operative, strumenti che aggiungono efficacia e permettonosalti di qualità nei risultati.

Detto tutto ciò, una piccola dedica. Questo libro è stato scritto innanzi-tutto per presentare il nostro approccio all'empowerment ed alcune sue ap-plicazioni, nella speranza che possa risultare utile a persone e organizzazio-ni. In particolare a:— i manager per dirigere meglio e per dirigere aziende vive, generative,

capaci sia di tradizione che d'irmovazione, fatte esistere da orgoglio disé, della propria azienda, del proprio lavoro. L'approccio dell'empo-werment può costituire per i manager una marcia in più, un'apertura dipossibilità anche verso i salti di qualità che, come spesso succede, ierierano fatti di impossibile e già domani diventeranno normalità;

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— gli operatori della formazione e delle professioni d'aiuto come stru-mento tecnico di lavoro, aggiunta significativa nella cassetta degli at-trezzi professionali;

— più in generale, le persone che cercano di vivere bene la loro vita (maquesta è una categoria discutibile: sono tutti!) la proposta è rivolta peraffrontare meglio i nuovi problemi e soprattutto le nuove opportunità diquesta moderna società, apparentemente un po' pazza: liberata, riccanon più solo di bisogni ma anche di desideri, in cui quasi tutto cambiacon grande rapidità, un po' stressante, fra l'altro non più disposta ad ac-cettare i problemi dell'umanità di sempre, con anche nuovi disagi e di-sorientamenti.

In questo senso il volume propone capitoli anche un po' specialistici,sull'empowerment organizzativo, sull'empowerment della persona, sul-l'empowerment nella formazione, sui fondamenti teoricidell ' empowerment.

Ma proprio la nostra esperienza di applicazione dell'empowerment, e diconsulenza sul campo, ha evidenziato che sempre meno si possono distin-guere nettamente l'area lavorativa rispetto alla vita globale, le capacità diruolo da quelle umane di base, la realizzazione di un bisogno o di un desi-derio dal complesso delle mete di una persona o di un'organiz7a7ione.

Nonostante nella nostra esperienza si parta quasi sempre (per tipo diconsulenza svolta) da tematiche organizzative e professionali, pur tuttavia ilsuccesso deriva praticamente sempre dalla capacità di attraversare, almenotemporaneamente, il complesso delle aspirazioni, risorse, caratteristichedelle persone.

Ciò non ci sembra casuale e porta ad istituire nuove regole generali, an-che perché corrisponde in particolare a quattro precise linee evolutivedell'uomo, dell'organizzazione, della società moderna:1. sempre più le prestazioni richieste sono a livello di eccellenza, e quindi

le capacità di base umane sono chiamate a sostenere quelle specifiche edi ruolo;

2. sempre più si tratta di cogliere opportunità e non solo di risolvere pro-blemi, e del resto sempre più i problemi si risolvono con salti di qualitàpermessi da nuove opportunità (l'esempio delle nuove tecnologie èeclatante);

3. sempre più i desideri hanno un ruolo rilevante accanto ai bisogni e allenecessità di sempre (anche in azienda, dove la vision diventa strumentocruciale di management);

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4. sempre più è richiesta la capacità di successo qualitativo, oltre a quellodi sempre quantitativo (nella qualità della vita così come nelle modalitàdi funzionamento aziendale, così come nei risultati forniti ai clienti diciascuno).

Da questo punto di vista l'approccio dell'empowerment è allora propo-sto a persone, a professionisti, a manager non solo per ruoli e aspetti speci-fici ma in tutte le sue occasioni: per sperimentare un approccio utile nellavita e soprattutto per perseguire i desideri che poi consentono anche di ge-nerare i risultati più importanti; per avere uno strumento e una tecnica peraiutarsi, per aiutare, per farsi aiutare; per avere una marcia in più per gestirele aree di propria responsabilità.

Per qualcuno potrà avvenire che anche dopo qualche esperimento di av-vicinamento con esito positivo, l'empowerment diventi uno strumento abi-tuale; e per qualcuno potrà anche avvenire che lo apprezzi, e in parte loadotti, anche come una sorta di cultura innovativa. Molti certamente vi tro-veranno la sistemati772zione di qualcosa che già praticavano, magari intui-tivamente. E questo è un buon segnale, anche perché il processo di em-powerment è in realtà un moltiplicatore in crescita dell'empowertnent inentrata.

2. Storia, autori, categorie psicologiche che portanoall'empowerment

È dalla ricerca psicologica che derivano le categorie concettuali più di-rettamente collegabili al costrutto di empowerment. Pertanto, se da unpunto di vista esistenziale la categoria centrale dell'empowerment è quella -a tutti cognitivamente accessibile - della possibilità, può essere utile — siaper una maggiore comprensione del costrutto sia per la sua applicazionemetodologica — provare a classificare le categorie più prettamente psicolo-giche che vi afferiscono.

Coerentemente all'orientamento della psicologia di comunità al cui in-terno si è formato, l'empowerment è un costrutto ponte tra la dimensioneprivata e quella pubblica della persona.

Un intervento di empowerment agisce sulla dimensione psicologica per-sonale del singolo, proponendosi di affrontare i suoi problemi partendo daisuoi punti di forza e rafforzando le sue competenze, ma anche sulla dimen-sione sociale dell'esperienza umana, secondo una prospettiva circolare: se i

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singoli competenti ed empowered contribuiscono a rendere più competentii gruppi e le reti a cui partecipano, queste a loro volta diventano settingambientali che offrono nuovi stimoli alle persone che li frequenta-no."(Francescato, Leone, Traversi, 1993).

Ciò implica che si debbano andare a ricercare i fondamenti concettualidell'empowerment sia all'interno di una prospettiva psicologica individuale(e personologica) sia di una sociale (e interazionista).

Partendo da una prospettiva individuale — a nostro avviso — due tra icontributi più significativi al tema dell'empowerment vengono da JulianRotter (1966) e Albert Bandura (1995).

Entrambi attribuiscono la motivazione del comportamento ad un sistemacomplesso di scopi e aspettative; sistema che non coincide automatica-mente con il sistema di rinforzo, visto dai comportamentisti classici' essen-zialmente come ricerca del piacere e allontanamento del non-piacere. Ciòche regola il comportamento dell'individuo nell'ambiente non è dunquesolo il premio o la punizione direttamente conseguenti ad esso, ma pure ilsistema di attese che, al riguardo, il soggetto formula. La personalità, inquest'ottica, risulta dal determinarsi di particolari interazioni tra l'ambientee la persona, che producono il consolidarsi di esperienze. Quanto viene ap-preso in forza di tali esperienze formerà il bagaglio comportamentaledell'individuo. Va sottolineato che tali esperienze apprese non si presenta-no solo come risposta a stimoli ambientali e situazionali, ma pure come at-tività propria della persona che all'ambiente attribuisce senso ed in esso simuove.

Rotter parla in questo senso di locus of control, luogo in cui è posto ilcontrollo del rinforzo, cioè l'attribuzione o meno di una consequenzialitàtra un comportamento agito e la sua conseguenza: l'autore giudica strategi-ca per l'individuo la capacità di porre internamente a sé tale controllo, cosaquesta che consentirà al soggetto di considerarsi attore responsabile deglieventi che lo vedono coinvolto.

Per certi versi simile è il concetto, enunciato da Bandura, di self-efficacy, la capacità di percepirsi come efficace attore di azioni con esito

1. Entrambi gli autori possono essere ricondotti alla corrente dell'apprendimento sociale(social learning). Il social learning mantiene l'enfasi comportamentista circa l'importanzadell'apprendimento e la medesima prospettiva situazionista. Tuttavia se ne distacca stradafacendo assumendo una posizione più complessa e sfumata, individuando importanti puntid'attenzione nell'interazionismo e nella necessità di porsi in una prospettiva fenomenologicaper cogliere e correttamente interpretare la relazione esistente tra l'individuo e la situazione(cfr. Caprara, Gennaro, 1987).

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positivo. Capacità quest'ultima che permetterà al soggetto di rappresentarsiun ventaglio di possibilità circa le conseguenze del proprio agire e, quindi,di evitargli una prospettiva univoca, tendenzialmente passivizzante.

Un altro grande tema connesso alle categorie fondanti il concetto di em-powerment è se queste vadano riferite a tratti stabili di personalità o vadanoinvece viste in termini puramente comportamentali. In ogni caso, anchevolendo considerare l'empowerment come espressione di una precisa e de-finita personalità, ovvero come la risultante di tratti personologici che de-terminano in un individuo l'esistenza di un certo livello di empowermentdobbiamo ricordare che all'interno del contesto culturale in cui tale con-cetto si sviluppa la personalità ed i suoi tratti costitutivi viene sempre intesain rapporto dinamico con il suo ambiente di riferimento. La personalitàdunque non sarebbe una struttura cristallina, defmita una volta per tutte eche possiede sfaccettature tendenzialmente stabili nel tempo come propon-gono alcuni autori di orientamento psicoanalitico, ma soggetta a cambia-menti all'interno di un processo di apprendimento continuo.

Forse il concetto che consente di spiegare meglio tale ipotesi è proprioquello di interna! locus of control.

Il luogo di controllo è legato secondo Rotter alle attese dell'individuocirca le conseguenze del proprio comportamento; quindi è possibile trovaredue differenti tipologie di soggetti a seconda che tali attese siano posteall'interno di sé oppure all'esterno, nel primo caso saremo di fronte a sog-getti con una tendenza a definire responsabilmente le conseguenze dei pro-pri comportamenti, a ritenere, cioè, di poter incidere sugli avvenimenti conle proprie azioni, nel secondo, al contrario ci troviamo di fronte a personesenza fiducia sulle possibilità di modificare gli accadimenti. In questo sen-so, il dentro ed il fuori vengono a coincidere con un sentimento di potenzaoppure di impotenza e potremmo far coincidere il benessere personale delsoggetto con la sua capacità di individuare un "egotismo attribuzionale",cioè la tendenza ad attribuire a sé ed ai propri comportamenti i risultati po-sitivi, mentre quelli negativi saranno determinati dall'azione di altri sog-getti o da fattori situazionali, al contrario il disagio (alcuni autori2 parlanoproprio di depressione) deriverà da una tendenza generalizzata adun'attribuzione esterna dei risultati positivi ed una interna di quelli negati-vi, da una attesa di soddisfazioni impossibili, nonché dall'individuazione dimete irrealistiche verso cui indirizzare le proprie azioni.

2. Cfr. Dweck, 1975.

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Il concetto di locus of control veniva inteso da Rotter in termini di trattirelativamente stabili di personalità; altri autori, più recentemente, hanno in-vece messo in relazione il luogo di controllo con la motivazione al successoed il "senso d'impotenza acquisito"3. Se il senso d'impotenza è acquisito,sarà acquisibile anche un sentimento di potenza, in questo caso ci avvici-niamo molto al self empowerment nella sua accezione costruzionista, anchese resta indubbiamente il problema di come potrà avvenire il processo glo-bale di modifica della personalità per poter giungere a modificare quel sen-so d'impotenza.

La prospettiva interazionista dell'empowennent trova il suo fondamentoprincipale nel lavoro di Kurt Lewin (1951) e nella sua teoria di campo.Nella concezione lewiniana, per campo si intende la totalità dei fatti coesi-stenti nella loro interdipendenza. Ciò comporta che le leggi che regolano ilcampo non dipendano tanto dalle caratteristiche degli elementi che vi sonocontenuti, quanto dalle loro relazioni. Quindi le proprietà di un fatto, di unevento, di un oggetto derivano dalla relazione con tutti gli altri fatti, eventi,oggetti presenti ora (ma anche nel passato e nel futuro) nella percezione delsoggetto.

Con la teoria di campo si pongono le basi di quella che verrà poi definitaecologia psicologica, che troverà molto spazio nella ricerca psicologica do-po la morte di Lewin. Secondo tale approccio il comportamento umano de-ve sempre essere visto in relazione al contesto in cui si attua. Per certi versi,dunque, il comportamento rappresenta un adattamento della persona alle:• risorse (ambientali) disponibili,• circostanze che si verificano.

Ciò implica che possano essere corretti i comportamenti attraverso lamodifica della disponibilità di risorse.

In un'ottica di empowerment, quanto detto comporta il fatto che vadaincoraggiata la ricerca e l'utilizzo delle risorse interne ed esterne al sog-getto, più che interventi esterni che tentino di modificare il soggetto stesso.

Possiamo individuare quattro principi fondamentali — potremmo direpunti di attenzione particolari — dell'intervento psicologico in prospettivaecologica (Kelly, 1966):1. interdipendenza tra le componenti di una determinata unità sociale;2. distribuzione delle risorse in un dato ambiente;3. adattamento, processo attraverso cui i soggetti modificano abitudini e/o

comportamenti per fare fronte ad un mutamento situazionale;

3. Cfr. Hiroto, Seligman ,1975

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4. successione, cioè la modalità di evoluzione del contesto per comprende-re come una popolazione possa esserne avvantaggiata o svantaggiata.Una ricomposizione della prospettiva individuale e relazionale in chiave

applicativa la possiamo trovare nel modello di Barbara Dohrenwend (1978)sullo "stress psicosociale". La Dohrenwend ricostruisce una sequenza cau-sale di questo tipo:• l'interazione tra le situazioni ambientali definite e le caratteristiche psi-

cologiche della persona può produrre eventi esistenziali stressanti;• tali eventi provocano nell'individuo reazioni transitorie che possono

portare a conseguenze psicologiche diverse:—una sostanziale stabilità nell'assetto psicologico;—una patologia - intesa come perdurare nel tempo di una situazione di

disagio psichico;—ma anche uno sviluppo della persona che impara a padroneggiare le

situazioni di disagio e, pertanto, arricchisce le proprie potenzialità diadattamento.

Dal suo modello possiamo ricavare differenti livelli di intervento, diver-sificati a seconda del momento della sequenza causale in cui si collocano edella modalità di azione che prevedono.

Riguardo questo secondo livello — la modalità di azione —, possiamo in-dividuare tipicamente cinque possibili tipologie di intervento sul disagio,che si differenziano in relazione al momento di azione attuato su di uncontinuum che va dal macro (il sistema sociale) al tnicro (la persona):1. intervento sul contesto ambientale (azioni sociali e politiche) e perso-

nale — (azioni educative);2. intervento organizzativo e di comunità sui mediatori situazionali (azioni

sugli elementi di vantaggio e di svantaggio presenti nell'ambiente, sulladisponibilità di risorse, etc.);

3. intervento sulla crisi in quanto tale (azioni di emergenza);4. intervento di training individuale sui mediatori individuali (azioni sulle

aspirazioni, sui valori, etc.);5. intervento terapeutico (azioni psicoterapeutiche).

L'intervento di empowerment — inteso sia come counseling individualedi self empowerment sia come training empowerment oriented — si collocaal quarto punto di questo continuum.

Come abbiamo visto — dunque — i riferimenti teorici dell'empowermentsono molti ed assai diversificati. Abbiamo provato a passare in rassegna

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quelli che — a nostro avviso — sono i più significativi, anche se senza alcunapretesa di essere esaurienti.

Del resto, l'empowerment prima ancora che un costrutto teorico è unapproccio alla realtà, che si traduce in atteggiamenti e comportamenti di-versamente organizzabili ed interpretabili. E allora il passo successivo chevi proponiamo è quello di suggerire una nostra lettura di tale approccio, se-guendo un ordine concettuale ma anche cronologico.

Ci sarà d'aiuto in questo breve percorso presentare innanzitutto la disci-plina scientifica la cui storia procede indissolubilmente legata a quelladell'empowerment: la psicologia di comunità.

La psicologia di comunità cerca di capire le persone nei loro mondi socialie di usare questa comprensione per migliorare la qualità della vita. Mira sia acapire che ad aiutare... Sta in una posizione ponte tra la psiche e il sociale, trail privato e il pubblico (Orford, 1992)

Questo brano è la prima citazione riportata nel libro di Donata France-scato ed altri (1993) Oltre la psicoterapia. Percorsi innovativi in psicologiadi comunità e ci sembra illustri — sinteticamente ma in modo efficace — ilnesso profondo tra l'empowerment e questa disciplina. Infatti, il concetto diempowerment nasce all'interno di quell'ampia corrente disciplinare ed ap-plicativa chiamata psicologia di comunità.

Risulta curioso notare come il termine "comunità" entri nella letteraturascientifica appena nel secolo scorso; ad opera del sociologo tedesco Tón-nies (1887) che ne mette in evidenza le differenze rispetto al concetto di so-cietà. Mentre quest'ultima sarebbe un costrutto artificiale, fondata su basiutilitaristiche e contrattuali, la comunità possiede una vita reale ed organi-ca, che si fonda sulla comprensione e sulla confidenza tra i suoi membri. Inquesta prospettiva la comunità rappresenta un tipo ideale di convivenzaumana, preesistente alla società e sociologicamente contraddistintadall'interdipendenza dei suoi sistemi di relazione, da una alta omogeneitàrispetto a norme e valori presenti, dall'esistenza diffusa di elementi forte-mente interiorizzati, da un forte senso di ingroup ed outgroup.

Nel secondo decennio del nostro secolo, negli Stati Uniti l'attenzionealla comunità viene rivolta in particolare alla comunità locale4.Quest'ultima intesa non come pura associazione di persone ma come vera e

4. Secondo Park, (1952) la comunità umana presenta tre caratteristiche fondamentali: unapopolazione organi772ta sul territorio; un radicamento nel territorio che occupa attraversotradizioni, sentimenti di appartenenza, etc.; una popolazione mutualmente interdipendente.

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propria unità basica della vita in comune della persona e, quindi, legata adun dato territorio. In quest'ottica la persona può trovare nella comunità illuogo in cui vivere tutti gli aspetti fondamentali della propria vita, con tuttele relazioni sociali che le sono proprie.

Nella seconda metà del secolo un gruppo di psicologi aderenti all'APA5individuano nella comunità il luogo privilegiato di azione al fme di portaresollievo al disagio psicologico coinvolgendo la comunità locale6. La psi-cologia di comunità si propone di sviluppare una modalità innovativa di af-frontare il problema dei soggetti deboli e disagiati, a cavallo tral'orientamento clinico e l'azione sociale.

I fondamenti disciplinari e di metodo della psicologia di comunità ven-gono sviluppati attraverso tre conferenze programmatiche svolte nell'arcodi un ventennio. La prima, tenutasi a Swampscott — un sobborgo di Chica-go — nel 1965 vede affermarsi un'irnmagine di psicologo inteso comeagente del cambiamento sociale, che opera attraverso la propria partecipa-zione attiva nel contesto. L'azione "clinica" viene proposta in un'ottica ri-voluzionaria rispetto agli approcci tradizionali rivedendo drasticamente laposizione di potere tra psicologo e cliente.

Nella conferenza di Austin — dieci anni dopo — la psicologia di comunitàfa proprio un approccio definibile come "ecologico": l'azione dello psico-logo è centrata sul rapporto che intercorre tra l'individuo e il suo ambienteed è nell'ambiente — interno ed esterno — che vanno cercate le risorse perl 'intervento.

Tale posizione si consoliderà tredici anni più tardi, nella conferenza diChicago. Le risorse disponibili possono e devono essere raccolte, possedu-te, utilizzate anche da quelle fasce della popolazione tradizionalmente rite-nute deboli proprio perché mancanti dell'accesso a tali risorse.

Il potere della persona, in questa prospettiva, sta nella sua capacità diutilizzare le risorse disponibili. Si tratta di un potere inteso come allarga-mento delle possibilità dell'individuo di essere e di agire con frutto nellastoria.

Da questo punto di vista, è facile cogliere la stretta connessione tra lanascita della psicologia di comunità e il clima creato dopo gli anni '60 negliStati Uniti dal movimento per i diritti civili. Culturalmente veniva affer-

5. American Psychological Association, fondata attorno alla metà del nostro secolo conl'intento di far progredire la psicologia come scienza, professione, promozione del genereumano.

6. Nel 1963 era stato promulgato il "Community Menthal Healt Act" secondo il quale lasocietà deve fornire cura e assistenza ai malati di mente coinvolgendo la comunità locale.

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mato che una categoria sociale — il cosiddetto black people considerato finoad allora il prototipo stesso della debolezza — possedesse in effetti una pro-pria forza ed una propria dignità, rispetto alla quale tutti i modelli tradizio-nali d'intervento sociale avevano fino ad allora fallito.

Possiamo anche comprendere il motivo per cui il concetto di empower-ment nasce all'interno di questa disciplina, fino a diventare — secondo alcu-ni autori (Le Bassé, Lavallée, 1993) — il focus della disciplina stessa. Scopodell'intervento di comunità è ridare potere a quelle categorie, persone egruppi di persone che tradizionalmente ne sono privi. Si tratta evidente-mente di un potere personale, non necessariamente relazionale, ma che co-munque ha un effetto dirompente per le conseguenze che porta sul pianoindividuale e sociale.

Le due caratteristiche fondamentali della psicologia di comunità sono,innanzitutto, quella di considerare le persone nel contesto del proprio am-biente di vita, quindi, di utilizzare le conoscenze e competenze psicologicheper promuovere un cambiamento — personale e ambientale — fmalizz,ato adun miglioramento della qualità della vita.

In questa prospettiva l'empowerment è non solo un concetto affasci-nante ma anche, come vedremo, uno strumento formidabile. Attorno a talecostrutto o, per meglio dire, a fondamento di tale costrutto vengono portatidalla psicologia di comunità numerosi contributi. Le ricerche di Kieffer(1984), Rappaport (1981) e Zimmerman (1988) evidenziano un paradigmaalternativo a quello della debolezza. Un paradigma in cui concetti comequello di speranza, di sviluppo continuo dell'individuo, di efficacia nelcambiamento, non assumono più la veste di pure e semplici enunciazioni diprincipio, di un desiderio impossibile, ma divengono fattori di sviluppo edoggetto di intervento.

È l'immagine di un uomo forte quella che ci pare emergere dalle paginedi questi autori. Un uomo che agisce sulla realtà con efficacia e responsa-bilità. Ed in questo senso la posizione di svantaggio non ha più la connota-zione di tara, individuale o sociale che sia, ma di limitazione di possibilitàda superarsi non nella direzione proposta dal superuomo nietzschiano, il cuicontrattare — peraltro — è il sostanziale nichilismo del saggio, lo svuota-mento di un significato ultimo, ma dalla apertura di nuove possibilità, pri-ma non considerate dal soggetto o ritenute pregiudizialmente impossibili.

È la categoria della possibilità e delle possibilità che, in questa prospet-tiva, riacquista significato.

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3. L'essenza dell'empowerment come rapporto di secondolivello

L'approccio dell'empowerment caratterizza — in una precisa direzione —il tipo di "gestione" che la persona ha del suo rapporto con un preciso og-getto della realtà circostante ovvero con un'area della sua vita. L'empo-werment, quindi, caratterizza il tipo di rapporto di una persona con il suorapporto con un certo oggetto: si tratta — in un certo senso — di un rapportodi II livello, di un meta-rapporto; per questo motivo frequentemente utiliz-zeremo il termine "posizione" per denominare questo rapporto di 11 livello.

Per chiarire ulteriormente cosa intendiamo esattamente per rapporto di Io II livello proponiamo i seguenti esempi:• rapporto di I livello; il rapporto che una persona ha con il proprio lavo-

ro (o con un'altra persona, o con un'Istituzione) può essere piacevole ospiacevole, importante o poco significativo, etc. In tutti questi casiavremo a che fare con un rapporto di I livello;

• rapporto di II livello; la posizione che una persona ha verso un propriorapporto (del tipo di quelli prima descritti di I livello: con il lavoro, conaltre persone, con le Istituzioni, etc.) può risultare — nel tempo — stabileo orientata al cambiamento di tale rapporto, di accettazione o di rifiutodi esso, attenta o disattenta rispetto alle sue caratteristiche, etc. Tutto ciòindica rapporti di II livello.

La posizione di empowerment esprime un ben preciso tipo di rapportoche l'individuo ha nei confronti del proprio rapporto con un oggetto. Adesempio, la posizione di empowerment spinge la persona a costruirsi men-talmente ulteriori possibilità di rapporto tra sé e il proprio lavoro (o tra séed altre persone, o tra sé e le istituzioni), per potere poi scegliere tra questediverse possibilità costruite, ovvero tra i vari tipi di rapporto che può essastessa prefigurare.

Questa riflessione sulla natura base del concetto di empowerment aiuta acapirne alcuni aspetti applicativi. In particolare evidenzia come il livello diempowerment sia relativo alla persona, ma non la caratterizzi globalmentein sé, ma quale "gestore" di una precisa area della propria vita. La specificaarea riguarda un tipo di oggetto, ovvero i rapporti del soggetto con un in-sieme di oggetti di natura specifica.

In questo modo si può dire che l'empowerment è un concetto che carat-terizza in una precisa "direzione" il tipo di gestione che l'individuo ha deisuoi rapporti con una specifica area di oggetti della sua realtà circostante.

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La direzione precisa in cui l'empowerment indirizza la posizione delsoggetto rispetto ad un oggetto (la sua personale gestione di un'area di rap-porti) corrisponde, in particolare a tre orientamenti fondamentali:1. la tendenza alla continua costruzione mentale di diverse possibilità di

rapporto tra sé e l'oggetto;2. la, tendenzialmente continua, scelta tra le diverse possibilità costruite

mentalmente (e magari anche parzialmente sperimentate), al fme dimetterne operativamente in atto una;

3. la valorizzazione dell'opportunità di una "contaminazione" sinergica trale diverse possibilità del soggetto, della varianza possibile nella loroscelta, della praticabilità della continua sperimentazione.

In ogni caso è bene ricordare che l'empowerment di un soggetto è — al-meno nella nostra accezione — relativo sempre ad un'area o un oggetto spe-cifico del mondo con cui la persona è in relazione, non è una caratteristicaglobalizzante del soggetto in sé.

Certo che se la persona si trova ad avere un buon livello di empower-ment relativamente a tutte le aree più significative del suo relazionarsi conla realtà, allora sarà possibile parlare di empowerment tout court del sog-getto: ciò però rappresenta un errore concettuale — anche se veniale — chenon deve far dimenticare che l'empowerment di qualcuno è sempre relativoa qualcosa di specifico' e che, quindi, ha conseguenze visibili e specifichenel suo rapporto operativo con la realtà circostante.

Lo schema di fig. 1 mette in evidenza l'intrinseca circolarità del con-cetto-processo dell'empowerment. Tale circolarità può assumere una dire-zione "virtuosa", di aumento dell'empowerment, ma anche "viziosa", didiminuizione dell'empowerment, ove si considerino i termini e le categorieinverse: dis-empowerment al posto di empowerment, e così via.

Ciò consente di evidenziare alcune caratteristiche interessanti sia in ter-mini di logica del processo sia di applicazione.

7. Questa osservazione circa la specificità d'area del livello di empowerment ci permette,tra l'altro, di spiegare come si incontrino sovente persone che inserite in un certo contestod'azione presentano un atteggiamento positivo, orientato alla soluzione, costruttivo mentrein altri contesti — che pure gli sono altrettanto propri — sembrano virare verso atteggiamentidefinibili negativamente. Tali osservazioni ci fanno indubbiamente propendere versoun'interpretazione dell'empowerment della persona come sganciata dai tratti più profondi estabili.

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•PROCESSO DI

EMPOWERMENT

RETROAZIONEL'aumentato livellodi empowerment(output) diventaesso stesso inputper successiviprocessi di ulterioreempowerment

OUTPUT SVILUPPODELL'OUTPUT

Aumentato livello Conseguenzedi empowerment operative

dell'aumento dellivello diempowerment

INPUT

EmpowermentIniziale:risorse efattori chepermettonoil processo diempowerment

••

Fig. 1

Rispetto allo schema presentato, possiamo notare che:• il livello di empowerment di un soggetto relativamente ad un oggetto od

area non è mai né nullo né totale, è invece sempre "maggiore" o"minore";

• le componenti dell'empowerment in quanto "livello-caratteristica" delsoggetto (output) ricompaiono anche come fattori causali in ingresso nelprocesso di empowerment. Così, ad esempio, dimensioni quali la fiduciadel soggetto circa la propria efficacia, la motivazione intrinseca versol'oggetto, il suo orientamento all'autodeterminazione, si ritrovano siacome esiti che come caratteristiche attivanti di empowerment (in questosenso il processo di empowerment è intrinsecamente circolare e sistemi-co).

Riguardo all'intervento sull'empowerment del soggetto, fmalizzato alsuo aumento, si evidenziano soprattutto due caratteristiche:1. si tratta di un intervento che favorisce l'avviarsi di un circolo virtuoso

(vs. circolo vizioso);

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2. può trattarsi di un intervento centrato sulla generazione o immissione diinput che inneschino il circolo virtuoso (o lo re-inneschino se per qua-lunque motivo si fosse interrotto o avesse cambiato direzione).

Si tratta comunque di un intervento portato su di un processo circolare eche agisce su tale dinamica. È quindi necessario, per operare con efficacia,una buona conoscenza di come il circolo virtuoso (e quello vizioso) tendo-no a funzionare per quel dato soggetto e in riferimento a quel dato oggetto,o area.

L'intervento di empowerment appartiene alla "famiglia" degli interventipsico-sociali, essendo necessariamente fondato sull'uso di risorse e di mec-canismi di funzionamento tipici del soggetto specifico e delle sue particola-ri modalità di gestione del rapporto con aree specifiche della sua vita e delsuo ambiente.

Naturalmente sarà possibile ipotizzare, preliminarmente, interventi dialtro tipo i cui risultati funzionino da input nel processo di empowermentoppure ne alimentino positivamente il circolo virtuoso. In tal senso possonoutilizzarsi interventi di tipo pedagogico, quali l'insegnamento di una nuovacompetenza, o di natura direttiva, quali l'imposizione di una particolaresperimentazione o la modifica di una caratteristica ambientale, interventi insostanza che creino risorse utilizzabili nel circolo virtuoso dell'empower-ment.

L'operatore non fornisce direttamente empowerment alla persona, mane facilita il processo. Anche assumendo il contributo portato da altri ruolioperativi come risorse preliminari.

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3. Piacere di lavorare

1. Nuovo lavoro e nuova cultura del lavoro

Nonostante tutti gli sviluppi avuti dal pensiero organizzativo verso unaprospettiva di valorizzazione e di gratificazione della persona, è pur veroche nelle aziende è diffuso anche molto disagio. In particolare perché inmolti settori tende a diminuire il numero delle persone necessarie; perché cisono notevoli aspetti di stress; perché l'evoluzione è in certi settori piùlenta di quanto ci si aspetterebbe.

Non si può però sottovalutare il procedere inesorabile di una "onda lar-ga" dell'evoluzione del lavoro nelle aziende, sia pure con punte moltoavanzate e punte molto arretrate (a seconda del tipo di settore, di azienda, dicondizioni ambientali, di storia aziendale).

Abituati a cogliere soprattutto esigenze, problemi, lacune, si tende aparlare molto degli aspetti di arretratezza. Vorremmo qui però proporre diparlare anche delle punte avanzate: e perché sono queste che delineano ilfuturo, e perché la spinta alla innovazione migliorativa è più forte, è dimo-strato, laddove le cose vanno bene (con eccezione per i cambiamenti drasti-ci e traumatici, che sono invece più sollecitati dall'andare male delle cose).

È proprio dalla consapevolezza dell'onda larga, dell'evoluzióne del la-voro nelle aziende, che nasce la speranza, e nasce anche il dovere-diritto dicercare di accelerarla, completarla, utilizzarla, tradurla in concreti sistemioperativi.

Proponiamo qui l' esplicitazione di cinque principali caratteristiche (ocontenuti qualitativi) dell'onda larga dell'evoluzione del lavoro nelle orga-nizzazioni.

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1.1. Riconoscimento della natura primaria del lavoro comeattività generativa

Il lavoro è per definizione attività generativa; lavorare significa mettereal mondo cose che prima/altrimenti non c'erano, utilizzando capacità edenergia, intelligenza, know how.

Millenni e secoli di risorse scarse e di povertà, hanno fatto velo a questaevidente caratteristica intrinseca della natura "generativa" del lavoro.L'automazione, diminuendo progressivamente la quantità di quel lavoroesecutivo che non richiede particolari capacità e intelligenza, favorisce ilriemergere di questa consapevolezza.

Lavorare significa generare, generare è attività tendenzialmente piace-vole, lavorare è attività tendenzialmente piacevole, gratificante, realizzativa(come benissimo sanno e dichiarano quasi tutti coloro che fanno un lavoroalmeno minimamente qualificato).

Il primo indicatore della arretratezza-sviluppo di un'azienda, della suagente, della loro cultura, è proprio l'attribuzione al lavorare di connotazionidi sofferenza-necessità-maledizione piuttosto che di positività-impegno-realizzazione.

1.2. La nuova razionalità trasparente del funzionamentoaziendale in quanto orientato al cliente

L'orientamento al cliente sembra essere emerso recentemente come ne-cessità, di mercato e di concorrenza: invece rappresenta anche l'inizio diuna vera e propria rivoluzione culturale all'interno dell'azienda e del mon-do del lavoro.

Infatti l'orientamento al cliente rende chiari e condivisi i risultati essen-ziali da raggiungere nell'impresa: diminuzione dei costi unitari, migliora-mento della qualità, accelerazione dei tempi, customer satisfaction. Si creacosì l'elemento di imprinting della chiarezza e della trasparenza: infatti, suquesti risultati, orientati dal/al cliente, si basano in modo trasparente i pro-cessi aziendali principali e il principio fondante del modello di funziona-mento organizzativo per processi.

Prima o poi si chiariscono, e inevitabilmente si riformulano, anche gliorientamenti chiave per la diffusione del potere e dell'autorità, per lo stiledi leadership, per i rapporti tra persone e funzioni.

L'orientamento al cliente risulta rivoluzionario anche all'interno del-

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l'azienda, perché ri-chiarisce la razionalità evidente e trasparente del fun-zionamento aziendale, che si era in buona parte inevitabilmente persa neglistadi precedenti dell 'evoluzione industriale.

È illuminante la considerazione che l'azienda può sopravvivere anchesenza l'azionista (viene acquisita da un altro) ed anche senza gli attuali la-voratori (ne vengono assunti altri): ma non sopravvive invece se non ha iclienti.

1.3. Il lavoratore meno "dipendente" e piu' "adulto"; ilnuovo contratto basato sulle responsabilita'

La persona diventa oggi finalmente adulta, cioè meno "dipendente" epiù soggetto protagonista di quello che fa anche in azienda. Ciò è anche le-gato ad alcuni fenomeni oggettivi tendenzialmente in aumento con l'avan-zare dell'onda larga di evoluzione delle aziende: la mobilità, all'interno edinteraziendale; l'aumento del lavoro qualificato e l'aumento di autonomia ediscrezionalità, anche ai livelli bassi più vicini al cliente ed alla determina-zione dei risultati; l'esigenza inderogabile di crescita continua del knowhow; la formulazione aziendale non solo di obiettivi ma anche di vision evalori; la cessata garanzia senza fine del posto di lavoro assicurato; la va-lutabilità reciproca più facile tra azienda e persona. Inoltre l'orientamentoai risultati-processi rivolti al cliente, e la razionalità nel funzionamentoaziendale che ne consegue (vedi punto precedente), rende esigenze e regoleimmediatamente trasparenti alla persona, che prima invece doveva dipende-re da altri per conoscerle.

L'individuo in azienda è oggi meno strutturalmente debole, si affacciaal rapporto con l'azienda (che ha bisogno di persone di valore) come sog-getto co-protagonista del rapporto: non più "dipendente" ma "costituente"dell'azienda. C'è il nuovo imprinting scelta, cruciale per ogni aspetto suc-cessivo: l'azienda sceglie la persona e la persona sceglie l'azienda, siaall'inizio che ripetutamente per tutto il periodo di lavoro.

Il nuovo contratto psicologico basato sulla responsabilità, vede la perso-na responsabile di crescere continuativamente in competenze, mentre lavo-ra e genera risultati, e l'azienda responsabile di fornire l'ambiente e le ri-sorse per poter crescere.

Estremamente significativo è, in questo senso, l'esempio della forma-zione: sempre meno "somministrata" dall'azienda sui dipendenti, e semprepiù autogestita dalle persone come "self development", assistita dall'a-zienda che mette a disposizione le risorse.

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Il rapporto tra persona e azienda si rivela oggi, nella società modernameno povera e arretrata per quello che è: alleanza, un patto di reciprocointeresse e sinergia: evidentemente non priva di contrasti e divergenze econflitti, ma sostanzialmente alleanza. In questo senso negli anni della in-dustrializzazione non ancora avanzata, alcuni aspetti contingenti hanno ri-schiato di confondere le idee sulla sostanza di fondo, inevitabile ed auspi-cabile, del rapporto tra persona e azienda.

1.4. Dalle resistenze al gradimento dell'innovazionecontinua

La crescita, lo sviluppo, l'innovazione fanno parte delle regole intrinse-che dell'azienda come della persona che lavora; in questo senso infattil'attività lavorativa è simile allo sport agonistico, agli hobbies impegnativi,alla scienza ed alla tecnica: la tensione a migliorare continuamente i risul-tati, e per questo innovare, costituisce parte intrinseca del gioco; è anzi unodegli aspetti fondamentali che lo rende piacevole, soprattutto nel senso distimolante ed achieving.

Miglioramento ed innovazione perseguiti sono continui ma avvengonoanche per salti di qualità e anche questo aspetto è positivamente determi-nante soprattutto per il senso del futuro e della speranza.

Là dove l'onda larga dell'evoluzione aziendale è più avanzata sta cam-biando la cultura rispetto all'innovazione: dalle resistenze al cambiamentosi passa seminai alla insoddisfazione per le stabilità troppo prolungate (vedigli esempi della cultura della mobilità rapida all'interno dell'azienda; oppu-re la tendenza agli incarichi speciali innovativi contemporanei agli incarichipiù stabili di struttura).

Anche perché l'essenza della innovazione evolutiva è in fondo il pas-saggio dall'impossibile al possibile, una delle aspirazioni caratterizzanti especifiche della razza umana.

Le persone sono in realtà molto orgogliose quando parlano delle inno-vazioni fatte, dell'impossibile diventato possibile (tecnologico, organizzati-vo, nel prodotto-servizio erogato): è vero che vi sono prima contingenti efisiologiche "resistenze" ma poi la "eroticità" della generazione e dell'in-novatività sul lavoro prevale rapidamente.

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1.5. Stress, ma anche gratificazione per la richiesta di cre-scenti prestazioni eccellenti

Si potrebbe avere perso la consapevolezza che — anche sul lavoro — ègratificante (anche se stressante) essere richiesti ed attesi di prestazioni ec-cellenti, intese come al meglio del proprio possibile: esattamente nello stes-so modo in cui ciò è evidente per esempio negli sport come nella scienza,nell'amore come negli hobbies, nell'azione sociale pubblica come spessonelle attività organizzate con gli amici.

Puntualmente ricerche vecchie e nuove confermano che è molto impor-tante, per le persone che lavorano, anche se di basso livello di responsabi-lità, l'evidenza delle prestazioni eccellenti della propria azienda, in parti-colare in rapporto diretto con i clienti.

Anche nel lavoro il meglio viene fatto se c'è emozione e questa c'è se lemete fanno sì che valga la pena di emozionarsi. La "vision" stessa è un ag-gregatore di attese-speranze di risultati rilevanti, per cui vale la pena di fati-care, impegnarsi, rischiare, anche temporaneamente soffrire.

Del lavorare ed organizzare fa parte intrinseca, anche il proporsi e pro-porre obiettivi ambiziosi, generare e provare emozioni.

Potremmo chiederci ora quale sia il nesso tra questa onda larga el'empowerment. L'onda larga è causata e alimentata da aspetti "oggettivi"che riguardano oggi l'intero mondo delle aziende, quali per esempio: laautomazione e l'informatizzazione; l'aumento della istruzione di base; lainternazionalizzazione; lo sviluppo della società dei servizi; la competizio-ne globale.

Crediamo che l'approccio dell'empowerment, non a caso sviluppatosi inquesti anni, sia un eccezionale strumento (culturale e metodologico) peraiutare queste evoluzioni: per aiutare le zone più arretrate ad un più rapidosviluppo, per rendere possibile l'accelerazione dell'innovazione, per esplo-rare e invadere ciò che ancora sembra impossibile.

Soprattutto l'approccio dell'empowerment sul lavoro sembra essere ca-pace di dare supporto alle persone, all'aspetto azienda fatta di persone con-crete, al collegamento tra le grandi innovazioni ("macro") e ciò che succededentro la persone ("micro"). Infatti molte delle evoluzioni, realizzate o pre-vedibili, sono positive, apprezzate, auspicate: ma la persona rischia di sen-tirsi in difficoltà, di temere di non farcela; vuole aiuto.

Le cose che abbiamo finora descritto sono largamente rilevabili già daoggi nelle cosiddette aziende avanzate, laddove c'è stato più sviluppo.

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Purtuttavia può venire naturale l'accusa di utopia: questa è infatti una accu-sa spesso avanzata quando si utilizza l'approccio dell'empowerment, delvisioning positivo, della spinta al miglioramento come intrinsecaall'azienda ed anche alla persona.

Vorremmo evitare la trappola della contrapposizione "ideologica" trapessimisti ed ottimisti (che tra l'altro spesso si scambiano repentinamenteruolo su diverse aree ed aspetti) e invece proporre due criteri crediamo ac-cettabili anche in termini scientifici:

A. criterio di concretezzaProponiamo come criterio di attribuzione della concretezza, il se-

guente: è concreto ciò che ha conseguenze osservabili e misurabili: ed ètanto più concreto quanto più tali conseguenze sono rilevanti oggettiva-mente (cioè in maniera osservabile e misurabile).

La nostra ricerca (fatta mediante l'interrogazione delle persone a di-stanza di tempo) tende ad evidenziare che c'è una inversione di quantoemerge rispetto alle tradizionali attribuzioni di concretezza ed astrattez-za: le cose che hanno avuto conseguenze più osservabili e rilevanti, sonoquelle definite nel quotidiano come astratte e talvolta utopiche. Peresempio: inizio di progetti; vision; sogni organizzativi; tentativi di inno-vazioni apparentemente a fondo perduto.

B. criterio della potenza nella spinta di miglioramentoProponiamo di misurare la potenza di un atteggiamento nei riguardi

della spinta al miglioramento attraverso la misurazione delle concreteattività e delle energie che, in maniera osservabile e misurabile,quell'atteggiamento porta ad investire in direzione innovativa e miglio-rativa.

Si nota facilmente che sono proprio le persone e i sistemi sociali conatteggiamento valorizzante e positivo ad avere una maggiore potenza dispinta al miglioramento. Al contrario nelle persone e nei sistemi socialipiù critici e più svalorizzanti, la potenza della spinta al miglioramento èminore, laddove misurata non a parole ma in azioni, attività, risultati.

In parole più semplici e con una verificabilità immediata: laddove sitende a sottolineare che le cose vanno male si agisce meno per migliorare,mentre laddove si tende a sottolineare gli aspetti per cui le cose vanno benesi agisce di più per innovare e cambiare in meglio.

Questa osservazione è importante, perché molte persone di buona fede

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credono che il valorizzare l'attuale, il lavorare su vision positive del futuroe sperare, l'usare il pensiero positivo, l'avere fiducia, rischi di portare a di-minuire la forza e la potenza investite nella voglia di cambiare. Ciò, nellanostra esperienza, capita anche a molti giovani. Al di là delle cause più omeno profonde, crediamo utile sottolineare che si tratta proprio di un erroreanche scientifico. È infatti proprio laddove c'è più positività che si riescead innovare e migliorare.

2. L'organizzazione dell'impresa, tra ragione ed emozione

Se il lavoro è vecchio almeno quanto l'uomo, altrettanto non si può diredella sua organizzazione. Infatti, prima della rivoluzione industriale risultaun po' difficile individuare un'organizzazione del lavoro così come la pos-siamo intendere oggi.

Anzi, per certi versi, nell'antichità classica il lavoro era dominio di unaparticolare categoria di uomini: i servi. L'uomo libero non lavorava, si de-dicava ad altre attività: la filosofia e il diritto, la guerra e lo studio, il go-verno e la religione. Il lavoro — almeno fino al medioevo — era un'attivitàprettamente servile, cioè di puro "servizio", svincolato per lo più dai suoifini.

In occidente è solo con il medioevo che si afferma l'uomo-lavoratorecome "nuova" categoria sociale, altra dal servo dell'antichità classica. Il la-voro — che definiamo ancora pre-organizzativo — si differenzia tra lavoro"artigiano", con un elevato valore aggiunto legato alla produzione di beni oservizi tendenzialmente unici e fondati sulla competenza esclusiva o elitariadel lavoratore (ad esempio, la costruzione delle cattedrali o la realizzazionedi capolavori artistici), e "servile", di puro supporto esecutivo svincolatodal fine ultimo e dal rapporto con la committenza.

L'introduzione sistematica di tecnologie produttive che avviene con larivoluzione industriale cambia radicalmente le regole del gioco: viene supe-rata la logica del lavoro artigiano, la macchina rende ripetibile in infinitiesemplari il pezzo prodotto quindi il lavoratore diviene il "servo" dellamacchina. Uno dei problemi fondamentali dunque diviene l'organizzazionedi questi nuovi "servi" nei luoghi di produzione.

Pare che il verbo organizzare trovi la sua radice nell'etimo greco orga-non, che significa strumento (in particolare strumento musicale). Nella no-stra lingua tale termine risulta presente fin dal medioevo. Dapprima per in-dicare il formarsi biologico degli organi e quindi portando un implicito sen-

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so di costruzione; sarà solo nel XVII secolo che il verbo "organizzare" ver-rà ad assumere il senso estensivo di ordinare, disporre.

L'etimologia e la storia filologica di questo termine ci consente irman-zitutto di evidenziare un senso generale dell'organizzazione collegato a re-gole e leggi lineari e ordinate, rimandabili ad un ordine assoluto, tendentialla semplificazione, alla classificazione, all'ordine. Ed in effetti in tutte ledefmizioni classiche di organizzazione (naturalmente "post" rivoluzioneindustriale) possiamo ritrovare come elemento comune il riferimento allarazionalità.

Non a caso, dunque, la prima teoria moderna dell'organizzazione del la-voro è propria di una concezione ingegneristica e strutturalista dell'orga-nizzazione, che viene rappresentata sotto forma di una sorta di diagrammadi flusso comportamentale; l'organizzazione è innanzitutto intesa come unamacchina.

Nel campo delle organizzazioni di lavoro tale riferimento troverà la suamassima espressione in termini di linearità logica e comportamentale nelloScientific Management (tradotto in Italia negli anni '20 con OrganizzazioneScientifica del Lavoro), teorizzato e descritto dall'ingegnere FrederickWinslow Taylor all'inizio del nostro secolo. Taylor (1903, 1911, 1912)concepisce un'organizzazione assolutamente lineare, costruita appunto co-me una macchina, in cui i diversi elementi si integrano come ingranaggiperfettamente oliati.

I comportamenti organizzativi in questa rappresentazione sono diretta-mente e perfettamente conseguenti al livello superiore e motivati dall'inte-resse economico del lavoratore, soddisfatto attraverso un nesso diretta-mente proporzionale tra compenso e lavoro. Anche le decisioni assuntenell'organizzazione evidentemente dipendono dal risultato da ottenere intermini di produzione e, quindi ultimamente, di redditività e da null'altro.Anche se, tutto sommato, in un modello talmente lineare, il problema delladecisionalità, o almeno della decisionalità complessa, non rientra più ditanto. Infatti, che decisioni dovranno mai prendere gli ingranaggi di unamacchina: per definizione si possono muovere in un modo solo.

Potremmo dire che nell'ottica di Taylor la decisione è solo quella ini-ziale; a partire da questa, l'organizzatore fa discendere in maniera logicatutti i comportamenti, i nessi, le procedure che la vanno a soddisfare. Inquesto senso, la buona organizzazione, quella "scientifica", esclude deci-samente qualunque intervento decisionale del lavoratore: esiste un'unicavia corretta, la one best way, un metodo unico e migliore per risolvere iproblemi e prendere le decisioni. Al di fuori di questa via, il dover prendere

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decisioni diminuisce la certezza di un'interpretazione univoca dei compor-tamenti e, di conseguenza, allarga imprevedibilmente il range delle possi-bilità in termini di risultati che nella logica tayloristica non possono, alcontrario, che essere assolutamente prevedibili.

La principale declinazione operativa di questo pensiero sta nell'indi-viduazione, attraverso uno studio scientifico, di metodi di lavoro rigida-mente prescrittivi. Tale declinazione ha portato alla formulazione di sistemidi "misurazione tempi e metodi", in cui rilevatori esperti vanno ad osserva-re i comportamenti produttivi per ridurre od eliminare tempi morti e poteraddestrare i lavoratori ad attuare sequenze "perfette" di comportamenti fi-nalizzati ad un risultato che è solo dell'organizzazione non del singolo.

L'apoteosi del razionalismo tayolorista applicato si ha poi conl'introduzione sistematica di tecnologie rigide nella fabbrica fordista. Lacatena di montaggio — con la sua evidente caratteristica di ripetitività obbli-gata nei comportamenti della persona che vi lavora — si sposa egregiamentecon il principio dei tempi e metodi.

È indiscutibile che si possa cogliere nella concezione tayoloristica e deisuoi epigoni fordisti una precisa lettura antropologica.

Da un lato l'organizzazione scientifica riduce l'arbitrio di chi ha il pote-re rispetto al lavoratore che non ne possiede, dall'altro è — per certi versi —un bene che il lavoratore sia privo di decisionalità e, quindi, di potere, datoche è presente nell'uomo una innata tendenza a sfuggire ai propri doveriportando nel lavoro una flemma che mal si concilia con le esigenze dell'im-presa.

Per il suo bene — pertanto — va distinto con chiarezza nell'organiz-zazione chi decide e chi esegue — cioè il lavoratore, anche se chi decide do-vrà in qualche modo coinvolgere gli esecutori al di là del mero incentivoeconomico. Tanto è vero che lo stesso Taylor tra i principi fondamentalidella sua teoria indica la necessità di una "collaborazione" tra chi guida echi esegue: «nessun sistema organizzativo ... può venire applicato in ma-niera meccanica. Opportuni rapporti personali devono essere mantenuti tradatori di lavoro e manodopera...».

Tuttavia, nella storia del pensiero organizzativo, una concezione rigida-mente razionalistica dell'organizzazione cessa ben presto di essere attuale:già negli anni '20 lo sviluppo della psicologia industriale porta pesanti per-plessità circa la fiducia complessiva da dare all'impianto teorico tayloristasottolineando la necessità di considerare i fattori personali del lavoratorenella determinazione degli standard organizzativi, nonché la sostanziale —se non addirittura patogenetica — inefficacia di un'impostazione parcelliz-

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zata e frammentaria del lavoro umano.A cavallo delle due guerre mondiali, una lettura non razionale ma psi-

cologica dell'organizzazione inizia ad affermarsi. Elton Mayo condusse unaserie di ricerche, tra il 1927 ed il 1932 alla Western Electric, che — a partiredalla constatazione empirica dell'esistenza di fattori comportamentali chesfuggono alla one best way — portarono ad affermare innanzitutto l'influen-za di elementi informali, di natura emotiva e relazionale, sul rendimentodella manodopera. Tali risultati portarono a definire una vera e propriascuola di pensiero organizzativo — ideologicamente antagonista all'Orga-nizzazione Scientifica del Lavoro — denominata "Relazioni Umane". I prin-cipi fondamentali concettuali di tale scuola sono, sinteticamente:• l'importanza del cosiddetto fattore umano dell'organizzazione, cioè di

quegli aspetti relativi alle dinamiche della persona nel suo rapporto congli altri e con l'ambiente;

• l'importanza degli aspetti informali o psico-sociali dell'organizzazione,che risultano più determinanti di quelli formali (economici-strutturali)nel produrre il successo del funzionamento organizzativo.

Come abbiamo già detto, il lavoro di Mayo e degli altri autori della cor-rente delle relazioni umane non si sostituisce all'influenza del pensiero diTaylor e dei suoi successori, piuttosto va a integrarsi ad esso, portando aduna lettura ambivalente ed alternata del funzionamento organizzativo. Ad-dirittura alcuni autori (Bendix, 1956; Wilenslcy, Wilensky, 1951), sottoli-neando la sostanziale contraddittorietà dei risultati delle ricerche fatte nelsolco delle relazioni umane, spiegano il successo che comunque ha avutoquesta scuola con un desiderio implicito di edulcorare la durezza dell'orien-tamento taylorista con elementi più soft quali il "clima", il "morale" confinalità più opportunistiche che di effettivo sviluppo.

In ogni caso dobbiamo constatare che il varco aperto dalle relazioniumane portò a sviluppare un livello di spiegazione dell'organizzazionecentrato sulla persona invece che sulla struttura. In questo senso il focus delpensiero organizzativo diviene, a partire dagli anni '30, la persona intesacome sistema complesso di dinamiche psicologiche interne ed esterne.

Il contributo in questo senso maggiore lo dobbiamo, da un lato, allascuola motivazionalista americana — innanzitutto con Maslow e poi conautori quali Argyris, Herzberg e Likert —, dall'altro alle scuole di deriva-zione psicodinamica, in particolare con autori quali Bion.

I motivazionalisti permetteranno il superamento della concezione poten-zialmente manipolatoria delle relazioni umane affermando la centralità

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dello sviluppo della persona al lavoro e proponendo una riorganizzazionetesa ad eliminare dal lavoro stesso quegli aspetti stupidi, ripetitivi, ultima-mente alienanti.

Lo stesso Maslow (1954), che nella sua famosa scala mette al vertice ilbisogno di auto realizzazione dell'uomo, sembra portare ad un ribaltamentodella prospettiva organizzativista classica: i bisogni umani non devono es-sere più considerati come dipendenti dalla variabile organizzativa, ma alcontrario le organizzazioni saranno "buone" se favorevoli alla soddisfazio-ne dei bisogni umani. Argyris (1957), tra i motivazionalisti, sarà poi quelloche metterà più in evidenza la dissonanza tra bisogni umani e organizzativi.Secondo l'autore le grandi organizzazioni impediscono un passaggio armo-nico dell'individuo dalla fase immatura del suo sviluppo a quella adulta eproprio la razionalità formale dell'organizzazione rappresenta l'ostacolomaggiore alle trasformazioni dell'adulto: attività, indipendenza, capacità diadattamento, capacità di programmazione, assunzione di responsabilità.

Abbiamo dunque una lettura delle grandi organizzazioni di lavoro ten-denzialmente negativa, oscurata da obiettivi e da dinamiche che non favori-scono la persona. Lettura del resto confermata da autori di diverso orienta-mento come Bion: l'organizzazione può essere intesa come un sistema di-namico di affetti che si relazionano ed agiscono attorno, ma talvolta indi-pendentemente, dagli obiettivi organizzativi dichiarati ed espliciti.

Tale tema è stato indagato approfonditamente da studiosi di orienta-mento psicoanalitico, che più che interessarsi ai meccanismi organizzativihanno affrontato l'organizzazione come gruppo in cui agiscono dinamichesocio-affettive particolari. Nota Bion (1961): «Ogni gruppo di persone ri-unite per lavorare manifesta un'attività di lavoro di gruppo, cioè un funzio-namento mentale inteso a perseguire l'obiettivo in questione... questiobiettivi sono talvolta impediti, e occasionalmente favoriti, da tendenzeemotive di origine oscura». Secondo tale concezione dunque in una orga-nizzazione di lavoro, il lavoro si esprime a due livelli — tendenzialmenteconflittuali —, un lavoro "esterno", tendenzialmente coincidente con l'atti-vità propria dell'organiz7.2zione, ed un lavoro "interno", della mente, con-nesso al primo nelle sue finalità ma talvolta interferente con esso sullaspinta di dinamiche inconsce e determinato da pulsioni anche distruttive.

Apparentemente, dunque, il pensiero organizzativo sembra impattarecon un problema di scelta di priorità. L'attenzione alla "macchina" porta aduna riduzione della dimensione personale, che può essere solo parzialmentecorretta da interventi di facciata sul livello relazionale. L'attenzione allapersona entra, invece, in conflitto con le esigenze organizzative provocando

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— nella migliore delle ipotesi — uno scollamento tra dimensione del lavoro epersonale dell'individuo.

L'apertura al fattore umano dell'organizzazione e i suoi sviluppi opera-tivi portano a focalizzare l'attenzione sul problema dello stile manageriale:l'importanza di una corretta comunicazione, la centralità degli elementimotivazionali, la gestione processuale delle dinamiche del gruppo di lavorocondurranno ad un superamento della tradizionale dicotomia tra stileorientato al compito (task oriented) ed orientato alla relazione (relationsoriented) proposta dalla managerial grid di Blake e Mounton (1951).

Il nuovo management per adeguarsi alle sfide offerte dal più recentesviluppo organizzativo viene ad assumere sempre più responsabilità nella"facilitazione" del processo di lavoro, piuttosto che responsabilità direttenel risultato del lavoro stesso.

Un termine come coach, riferito al management aziendale, sta prenden-do con sempre maggiore enfasi il posto del tradizionale leader. Questo afronte di una richiesta sempre più pressante di assunzione personale di re-sponsabilità rivolta al singolo lavoratore.

Nelle nuove organizzazioni di lavoro, dunque, il potere sembra passaredi mano. Il compito fondamentale del management più innovativo sembraessere quello di sviluppare l'empowerrnent dei propri collaboratori.

Ci piace pensare ad un ritorno alla centralità del contributo unico e irri-petibile che il lavoratore "artigiano" citato all'inizio di questo scritto porta-va al suo "cliente". Aggiungendo che questo nuovo lavoratore non operapiù all'interno di botteghe o di corti di mecenati, ma in organizzazioni altempo stesso uguali e diversissime da quelle descritte da Taylor. Uguali (oalmeno simili) nel tentativo di ordinare quantitativamente e qualitativa-mente il processo di lavoro, diversissime nel loro configurarsi come rete dicompetenze autonome ma interrelate (Butera, 1997).

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4. Il processo operativo di apertura di nuovepossibilità: self empowerment

Ci permettiamo d'indicare al lettore questo capitolo come particolar-mente importante. Lo schema operativo del self empowerment permetteinfatti di concretizzare in metodo e tecnica l'approccio generale dell'empo-werment e di utilizzarlo: sia per l'aumento del proprio potere personale sia,nei ruoli professionali di supporto, per aiutare l'aumento del potere dellepersone-clienti.

Descrivendo infatti le varie fasi del processo (e l'aspetto chiave di cia-scuna di esse) è possibile passare da un generico atteggiamento di aiuto adun sapere come fare per dare un contributo utile ed incisivo. Esempi: ci so-no fasi in cui bisogna aiutare a sognare ed altre in cui bisogna indirizzare asperimentare concretamente; fasi in cui incoraggiare la forza del desiderioed altre in cui è utile aiutare ad evitare la distruttività potenziale di alcuniproblemi storici della persona.

Quello che esponiamo è prima di tutto un modello descrittivo di comeavviene, per sua natura, il processo di apertura di una nuova possibilitàall'interno del soggetto. Questo modello lo abbiamo individuato attraversola ricerca, teorica e sul campo, lavorando con persone, gruppi, organizza-zioni. L'utilizzazione del modello, da noi sperimentata nell'arco degli ul-timi dieci anni, è descritta nei capitoli successivi: per aiutare singole perso-ne attraverso il counseling, per aiutare gruppi nel loro team building, peraiutare organizzazioni e loro parti impegnate in piccole e grandi innovazio-ni, per rendere la formazione più incisiva e più coerente con l'appren-dimento, per fornire consulenza laddove le sfide belle ma difficili richiedo-no nuove aperture e salti di qualità.

In questo capitolo è descritto come funziona il processo. Il soggetto puòessere sia un individuo, sia un gruppo, sia una unità organizzativa. In que-sto capitolo il riferimento prevalente è alla persona, sia per l'importanza e

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l'originalità di tale ambito applicativo, sia perché è più facile avervi chia-rezza.

1. L'apertura di nuove possibilità: essenza del poteree dell'empowerment

L'obiettivo del processo di empowerment è quello della apertura di unanuova possibilità all'interno del soggetto: proponiamo quindi di assumerela possibilità come "unità di misura" dell'empowerment.

La presenza di più possibilità è infatti la condizione necessaria affinchéla persona possa scegliere, e la (meta) possibilità di scegliere è la condizio-ne necessaria per l'assunzione di responsabilità.

In ottica di empowerment si può addirittura ipotizzare una concezionenon tradizionale dell'identità o almeno della auto riconoscibilità della per-sona: secondo cui la persona "è" individuata dall'insieme di tutte le possi-bilità che gli sono presenti dall'interno.

Intendiamo qui per possibilità, interna alla persona, qualcosa di diversoe molto più consistente di una semplice fantasia ad occhi aperti. La possi-bilità diventa tale, come descriveremo nel paragrafo successivo, a conclu-sione di un processo impegnativo e laborioso.

La focalizzazione del concetto di apertura ed aggiunta di nuova possi-bilità può essere molto utile rispetto ad aree applicative oggi importantiquali:• formazione-apprendimento: l'apertura di una nuova possibilità può

essere considerata come il risultato concreto e reale di un processo diapprendimento e della formazione organizzata a suo supporto. In questesenso apprendere non è ancora cambiare, però presenta un risultato giàrilevabile: la presenza di una nuova possibilità che, se praticata operati-vamente, determina cambiamento;

• flessibilità: la presenza di una costellazione plurima di possibilità co-stituisce, secondo questo modello, l'essenza della flessibilità. La perso-na può spostarsi, operativamente, da un comportamento all'altro sola-mente se dispone délle diverse opzioni come sua possibilità interna;

• cambiamento: si interpretano molto spesso le dinamiche del cambia-mento come dinamiche di resistenza. Questo modello porta a focalizza-re una fase preliminare fondamentale del processo di cambiamento:quella in cui il soggetto acquisisce la possibilità di "poter cambiare".Chiarendosi inoltre che, nel processo di cambiamento di organizzazioni

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e società moderne, il processo fondamentale non è tanto quello della ri-voluzione (annullamento di una configurazione ad opera di un'altra) maquello della aggiunta;

• sviluppo aziendale: è sempre più evidente come le aziende, che pureusano quasi sempre la terminologia del cambiamento, perseguano primadi tutto l'obiettivo dell'ampliamento delle possibilità (nei prodotti, nelletecnologie, nei mercati, nell'organizzazione). L'evoluzione concreta, edil cambiamento, derivano quasi sempre da un processo complesso in cuii vantaggi delle nuove possibilità aperte si affermano progressivamentesu quelli delle possibilità precedenti. Cosicché il passaggio chiave, an-che se meno appariscente, è proprio quello della apertura e sperimenta-zione della nuova possibilità;

• le persone nel quotidiano: spessissimo le persone dicono di volercambiare; e per questo chiedono consulenza, orientamento, nuovi stru-menti; si iscrivono a corsi di formazione; cercano e frequentano nuoviambienti; vanno in psicoterapia. Ma poi è evidente che non voglionocambiare. Altrettanto evidente è però che cercano qualcosa e che qual-cosa inizia a succedere.

Qui il modello propone che, semplicemente ed efficacemente, sicerchino non cambiamenti ma ampliamento delle proprie possibilità: dicui solo alcune e solo più avanti diventeranno protagoniste di cambia-mento.

Qui viene proposta una chiave di lettura ("modello", nel senso scientifi-co ingegneristico) di come si apre una nuova possibilità: per potere la per-sona aiutare se stessa e/o per potere l'operatore professionista essere piùefficace nell'aiuto.

"Self' empowerment perché comunque è enfatizzato il protagonismodel soggetto, essendo l'eventuale operatore di supporto un facilitatore ditale protagonismo.

2. Preghiera al lettore: esemplificare una nuova possibilitàdesiderata

Vorremmo pregare il lettore, nel paragrafo e nei i capitoli successivi, diavere sempre in mente un esempio di suo desiderio-obiettivo-possibilità daaprire: a cui riferire la declinazione applicativa delle cose via via illustrate.

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Noi faremo esempi, ma sono inevitabilmente limitati, ristretti nel testo, po-co significativi in quanto altrui.

Questa è quasi una supplica, quasi una conditio sine qua non, per unaragione precisa: l'empowerment è in quanto applicato a qualcosa; non ègrandezza e contenuto autonomo in sé. Per questo è facile, ci pare, parlarnese applicato a qualcosa di preciso, mentre è difficile scriverne in generale.Senza avere in mente un proprio esempio, la trattazione del libro risulteràevidentemente astratta.

Quando si dice che una persona o una organizzazione è empowered, sidovrebbe dire più correttamente che c'è empowerment rispetto a molte areeed a molti oggetti, e che c'è tendenza a costruire empowerment su quellecose specifiche rispetto alle quali di esso si manifesta nuova esigenza e de-siderio.

Tanto è vero che, il sentimento di empowerment di una persona puòcambiare da periodo a periodo (anche se generalmente non in tempi brevi)e da area ad area della vita (lavorativa, affettiva, dei rapporti sociali).

Quindi lettore, la preghiamo: abbia un suo esempio vero in mente,grande o piccolo, scelto come vuole: altrimenti, nonostante il tentativo no-stro di esemplificazione, tutto sembrerà astratto, esclusivamente per addettiai lavori: il rischio di uno di quei libri in cui chi scrive lo fa solo per le per-sone con cui dialoga e studia abitualmente, che sanno già cosa dire e rife-rito a cosa.

Per facilitare la formulazione di esempi abbiamo provato a scrivere quidi seguito un elenco intitolato "vorresti": richiamando esempi di desideriche, soprattutto negli incontri di counseling, emergono da subito o dopo iprimi passaggi.

Vorresti...• perdere peso; non avere paura del tuo capo; diventare così bravo da

prendere il posto del tuo capo;• il tuo lavoro non è male, però pensi che dovresti trovarne o inventarne

uno che ti renda più contento; vorresti essere più autonoma da tuo ma-rito (moglie) o forse no;

• ti piacerebbe essere un bel vecchio, mentre invecchi;• vorresti sapere cosa vuoi;• vorresti capire perché non trovi un marito (moglie), e se lo vuoi trova-

re;• vorresti trasmettere entusiasmo ai tuoi collaboratori; essere più bravo a

gestire i tuoi collaboratori; vorresti non essere intralciato dalla convin-

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zione che a tuo padre non piacevi e/o che tua madre non ti voleva ve-ramente bene;

• vorresti non avere paura, non temere di perdere sicurezza facendoquello che ti piace: cambiare città, cambiare lavoro, mettere su una at-tività in proprio;

• vorresti ridare vita al rapporto con tua moglie; vorresti un bel rapportocon tuo figlio;

• vorresti ricominciare a studiare; riprendere quello che sei stato co-stretto a lasciare quando avevi vent'anni. Vorresti iscriverti ad unascuola di ballo; uscire dalla prigione di rapporti che non dicono piùniente;

• vorresti che il tuo team funzionasse meglio; che i servizi che offritefossero più apprezzati; sentirti integrato nelle cose che contano;

• vorresti che la Direzione Generale considerasse importante la forma-zione, lo sviluppo risorse umane, il tuo lavoro;

• vorresti fare un salto di qualità ma non sai qual è;• vorresti essere più capace in questo, quell'altro o in quell'altro ancora;• vorresti sentirti davvero utile alle persone che aiuti; che ci fosse davve-

ro un risultato, più visibile; e non in tempi tanto lunghi da farti chiede-re se il risultato c'è, se sei stato davvero utile;

• vorresti essere davvero sicuro di valere come persona, di essereall'altezza del ruolo che occupi;

• vorresti sapere, capire perché ti sei fermato dopo una carriera così ra-pida. Vorresti ricominciare a crescere;

• vorresti che quel rapporto con quella persona non fosse così disastroso;• vorresti che il tuo essere razionale e le tue emozioni fossero un po' più

vicine. Vorresti che... va bene che va tutto bene... però allora perchésento un disagio;

• vorresti che le persone della tua azienda, guidate da te, lavorassero dipiù per risultati, in team, per processi orientati al cliente; che fosseropiù contenti e più impegnati. Vorresti essere più capace di farti apprez-zare, seguire, amare;

• vorresti, avendo ottenuto tutto, piacerti di più;• vorresti quello che c'è dietro a quello che dici di volere sapendo che

non è poi tanto vero: scrivere e pubblicare poesie, avere una relazionecon Claudia Schiffer, diventare direttore generale, fare l'allenatore diuna squadra di calcio, trovare il principe azzurro;

• vorresti che nella tua azienda tutti fossero orientati al cliente, internoed esterno, responsabilizzati, proPositori di nuove iniziative, attenti a

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sviluppare know how: e ti domandi cosa puoi fare perché pensi chequalcosa puoi fare;

• vorresti essere più deciso; più partecipativo; più emozionato; menoemozionato;

• vorresti dare di più a quelli che ti stanno intorno; vorresti ricevere dipiù da quelli che ti stanno intorno.

3. Le fasi operative del processo di self empowerment

Il modello del self empowerment permette di evidenziare come nellediverse fasi del processo siano utili azioni diverse e mobilitazione di diffe-renti tipi di risorse. Ciò diviene di grande utilità nel momento in cui si pas-sa all'azione operativa, dato che evita di concepire l'empowerment comeconcentrato di buone intenzioni ma povero di fatti.

In fig. 1 il processo e le fasi di apertura di una nuova possibilità sonodescritte in relazione alla persona individuale e in termini di come tende adavvenire naturalmente. Nei prossimi capitoli sarà visto anche come guidaall'aiuto da parte di operatori professionisti e/o relativamente in soggetticollettivi, gruppi od organizzazioni.

3.1. Fase dell'emergere e/o del chiarirsi di un nuovodesiderio

Il processo di empowerment si fonda sul desiderio più che sul bisogno,sull'energia fornita da una tensione positiva più che sul sentimento di man-canza, sul tendere a ciò che si vorrebbe ottimalmente più che sull'esigenzadella necessità o della soluzione di un problema. Pertanto, il protagonistache dà l'avvio al processo è quella funzione dell'io che chiamiamo"desiderante": se non c'è desiderio — nell'ottica di questo modello — è per-ché o la persona non è "presente" (il suo essere psicologico è altrove), op-pure perché il desiderio non riesce ad emergere o a chiarirsi alla persona.

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1.1. nuova attivazione

1.2. nuovo emergere di un pro-dell'Io desiderante blema, bisogno, necessità,della persona richiesta, opportunità

\4->171.3. incontro traio desiderante e

bisogno

1.4. emergere e/o chiarirsidi un nuovo desiderio specifico

3.2. reperimento 3.1.risorseesterne (es.:capacità; in-formazioni;rapporti;sponsor)

SperimentazioneIniziale(simbolica e/omottoparziale)

3.3. elaborazionerisorseinterne.In particolareaggiramentodei problemisoggettivi sto-rici personali

4. sperimentazione operativa parziale(comunque reversibile) della nuova possibilità

2. costruzione di nuova pensabilitàpositiva (del desiderio prefigurato comerealizzato, e di sé in tale situazione)

Fig. 1 - Schema riassuntivo, descrittivo del processo di golf empowermentper l'apertura di una nuova possibilità

I) FASEDELL'EMERGERE E/0CHIARIRSI DI UNNUOVO DESIDERIO

Il) FASE DI COSTRUZIO-NE DI NUOVA PENSA-MITA'

III) FASE DELL'APERTU-RA DELLA NUOVAPOSSIBILITÀ

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Anche l'eventuale stato di bisogno, di necessità, di problema, di disa-gio, d'insoddisfazione può — tuttavia — essere utilizzato come molla ini-ziale del processo di self empowerment, purché se ne elabori l'energia intermini di desiderio (o di energia desiderante).

Più in dettaglio le fasi si distinguono in:1.1. la "ri-mobilitazione della funzione desiderante", considerata come na-

turalmente presente nella dimensione psicologica della persona, anchese può essere coartata o temporaneamente sopita o quasi timorosa diemergere;

1.2. i bisogni o le necessità (tradizionalmente presenti o non ancora soddi-sfatti) propri o altrui, le nuove richieste ricevute dalla persona, le nuoveopportunità offerte dall'ambiente, sono tre volti di ciò che si sposa conl'emergere desiderante. Questi te oggetti sono ciò che fa scattare lacongiunzione con la funzione desiderante dell'io e così generano undesiderio più specifico (embrione di una nuova progettualità persona-le). A tale riguardo si possono portare numerosi esempi: il ricercatoreche coglie nuovi bisogni, nuove possibilità tecnologiche, nuove atteseche gli sono rivolte; l'imprenditore che cerca l'incontro tra la sua vo-glia di realizzare e i nuovi bisogni del mercato; un'opportunità di svi-luppo non ancora raccolta da nessuno;

1.3. e 1.4 a questo punto emerge quel desiderio specifico cui la nuova pos-sibilità potrà dare risposta (almeno potenzialmente). La costruzione diuna nuova pensabilità positiva - che è la fase successiva - è appunto fi-nalizzata a sviluppare l'iter del nuovo desiderio verso la sua realizzabi-lità.

3.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità

La persona costruisce la rappresentazione mentale della situazione didesiderio realizzato, con una visione altamente positiva di sé stesso mentrerealizza ciò che ha pensato. In questa fase non si considerano le modalità ele risorse con cui si potrà arrivare a realizzare davvero la pensabilità. Lapersona deve innanzitutto riuscire a proiettarsi il "film" della situazionerealizzata (con dovizia di particolari, quindi sapendo esattamente cosa av-viene, cosa fare, come si sente, come reagiscono gli altri e così via).

Può essere utile, prima di avviarsi a descrivere le caratteristiche dellapensabilità e della sua costruzione, provare a formulare alcuni esempi di

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oggetti-desideri a cui ci si può concretamente riferire. Esempi tratti dallaquotidianità di giovani e adulti possono essere:

diventare più adulto (o più "ragazzo");ottenere un titolo di studio;"conquistare" un ragazzo o una ragazza;sposarsi;avere un figlio;imparare a ballare;imparare una lingua straniera;essere più bravo nel rapporto con il proprio partner o con il proprio fi-glio;manifestare un po' meno (o un po' di più) emozioni in un'area dellapropria vita;cambiare luogo di residenza;diventare un leader;proporre una nuova iniziativa al proprio capo;accettare una proposta insolitamente stimolante;far valere di più le proprie ragioni;imparare ad applicarsi con impegno;agire in modo meno (o più) conformista.

Volendo fare un più specifico riferimento al mondo del lavoro e delleimprese, l'analisi approfondita di molti casi evidenzia come, ad esempio:• molte persone che vorrebbero essere meno autoritarie e più partecipati-

ve non riescono ad immaginare se stesse positivamente nella situazionedesiderata (ad esempio capita che non riescano ad immaginarsi com-portamenti più partecipativi, ma al contrario immaginano che sarebberomeno capi se fossero meno autoritari e che in tal modo prevarrebbel'anarchia totale);

• molti aspiranti manager (specie dell'area tecnica) portano dentro di séconcezioni negative del lavoro dirigenziale: non si tratta di un "vero"lavoro ma di politica, di esercizio di potere sugli altri, di pubbliche rela-zioni;

• molte imprese con un know how forte e specialistico non riescono aimmaginarsi orientate al cliente;

Allora il problema può non consistere primariamente nella "resistenzaal cambiamento" e/o nell'attaccamento al ruolo di potere e/o nella pauradel nuovo, ma spesso il problema sta nell'incapacità del soggetto d'im-

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maginarsi diverso (e con un valore positivo in questa diversità), perciò nonpuò nemmeno fare azioni in tale direzione.

Si pensi, ad esempio, al fatto che molta della formazione cosiddetta di"sensibilizzazione" o di "orientamento" possa operare nella direzionedell'ampliamento delle possibilità. A questo punto si prenderanno in esamealcune caratteristiche basilari della costruzione di una nuova pensabilitàpositiva, infatti:

la costruzione di una pensabilità consiste appunto in una "costruzione"che richiede un impegno prolungato. Si tratta di "girare il film" (sia pu-re solo a livello mentale) assumendo sia il ruolo di regista che di attoreprotagonista. Alcune scene potranno riuscire quasi immediatamente, al-tre richiederanno molto tempo e diversi tentativi successivi. Spesso (manaturalmente questo dipende dal tipo di desiderio o contenuto) possonoessere necessari mesi, talvolta anche anni, comunque non si tratta diun'attività istantanea della fantasia. Se la costruzione di pensabilità èimmediata - se improvvisamente e in fretta si vede il desiderio realiz-zato nei suoi particolari - significa che c'è stato un periodo precedente,magari inconsapevole, di lavoro psicologico sulla costruzione;la pensabilità svolge, nel successivo iter di self empowerment, alcunefunzioni fondamentali: 1) essa guida la persona nell'acquisizione enell'elaborazione di risorse, nonché nella sperimentazione (senza ade-guata pensabilità può addirittura accadere che le risorse siano a portatadi mano e che la persona non se ne accorga); 2) essa può fornire energiaal successivo - faticoso - processo di trasformazione della pensabilità inpossibilità reale. Nei contesti aziendali-manageriali la pensabilità posi-tiva viene spesso denominata "vision": una rappresentazione del futuroper cui valga la pena di impegnarsi e rischiare;• la costruzione di una nuova pensabilità positiva può utilizzare risorsemolto diverse tra loro: 1) il desiderio, innanzitutto, e la sua energia, 2)la creatività, 3) le metodologie per l'uscita dai vincoli attuali (ad esem-pio il reengeenering nelle imprese), 4) le risorse nuove che potrannoconsentire nuove situazioni, 5) la capacità di pensare anche per discon-tinuità e quindi di concepire salti di qualità e non solo miglioramentiprogressivi. Aiuta molto anche l'utilizzo di elementi esterni quali la te-stimonianza di persone che realizzano - o hanno già realizzato - con-cretamente un desiderio analogo a quello del nostro soggetto;

.,› il desiderio-pensabilità si alimenta anche grazie ai sogni e, talvolta, allapura fantasia. Tuttavia, generalmente, si differenzia da questi per il suo

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realismo. In altre parole, nessuna delle condizioni del film della miapensabilità può essere oggettivamente impossibile;l'aspetto cruciale del ruolo svolto dall'operatore nella fase della pensa-bilità è anche quello di separare la fase della concezione mentale daquella della realizzazione. In questo modo si impedisce che si mescoli-no e si paralizzino reciprocamente tre diverse possibili difficoltà: 1) ladifficoltà di far emergere ciò che si desidera davvero, 2) la difficoltà acomprendere quali risorse e metodologie ci si debba poi procurare equali sequenze operative realizzare, 3) la difficoltà a procurarsi real-mente le risorse necessarie e a rendere operativi i piani formulati. Cer-tamente tutti questi elementi di criticità andranno poi affrontati in unaprospettiva positiva, in un primo momento però la fase della pensabilitàpermette di rappresentarsi il futuro senza paralizzarsi operativamentesui mezzi e sui metodi.

3.3. Fase dell'apertura della nuova possibilità operativa

Quest'ultima fase permette, guida, la trasformazione della nuova pensa-bilità in possibilità potenziale del soggetto. Essa si determina attraverso losvolgimento di tre sottofasi — sistematicamente interrelate tra loro — chepresentano aspetti di sequenzialità ma anche di contemporaneità:1. fase di sperimentazione reversibile. La sperimentazione corrisponde -

in un certo senso - a quella norma del buon senso che consiglia, ad uncerto punto, di "buttarsi" e provare, se non altro per vedere che effettofa e quali conseguenze porta.

Più tecnicamente, la sperimentazione — ipotizzata subito dopo lapensabilità e spesso ancor prima di preoccuparsi di acquisire/elaborarerisorse — sottolinea l'orientamento all'azione dell'approccio dell'empo-wertnent: il passaggio all'azione — più simbolica che concreta, anchepiccola — indica il superamento da parte del processo di empowermentdella soglia del livello mentale-psicologico e l'avvio della mobilitazionedelle energie più significative anche per l'azione.

Si nota, nei ruoli di supporto al self empowerment, che questa fase disperimentazione simbolica iniziale rappresenta l'aspetto per certi versipiù delicato: infatti, è particolarmente importante per il consulente pre-scrivere un'azione che sia al tempo stesso piccola (e priva di rischi difallimento) ma ricca di significato. La sperimentazione può essere inparticolare:

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a. analogico/simbolica, ad esempio: la simulazione di un colloquiosenza un reale interlocutore, un'azione — fisica o verbale — che allu-da al superamento di una difficoltà, un comportamento deviante ri-spetto a quelli abituali, un'innovazione in un comportamento routi-nario;

b. preliminare, ad esempio: scrivere il proprio curriculum, fissare tele-fonicamente l'appuntamento per un colloquio (naturalmente mante-nendosi la possibilità di disdirlo), ricercare operativamente nuove in-formazioni. È importante che in questa fase le sperimentazioni sianotali da essere reversibili nei loro effetti, si tratta infatti di azioni fina-lizzate — per ora — a generare e raccogliere informazioni e feedback;

c. la sperimentazione diviene — in un secondo tempo (dopo un po' dielaborazione e di acquisizione di risorse esterne) — iniziale e parzia-le, ad esempio: le primissime azioni del piano reale da intraprendere,iscriversi ad un corso, un primo incontro con nuove persone e/onuovi ambienti.

La sperimentazione in particolare serve:— per raccogliere informazioni su di sé,— per raccogliere informazioni sul rapporto tra sé e l'ambiente,— per il passaggio all'azione,— come anticipazione delle prime azioni reali,— come elemento cruciale - per la mobilitazione di energia positiva —

dell'avvio del circolo virtuoso,— come verifica dell'oggetto del desiderio e della pensabilità,— per evidenziare: 1) le risorse che occorre ricercare ed acquisire, 2)

quali elaborazioni interiori sono da fare e approfondire;2. fase di acquisizione di risorse all'esterno. È questo Paspetto più evi-

dente nel passaggio da pensabilità a possibilità. Le risorse da acquisireall'esterno possono essere, ad esempio:— competenze specifiche - quali conoscenze, metodologie, strumenti,

capacità operative,— informazioni,— collegamenti - nuove relazioni con persone e ambienti,— sostenitori, alleati, sponsor (queseultimo aspetto è di estrema im-

portanza per quel che riguarda il mondo delle imprese),— risorse diverse - economiche, organizzative, tecnologiche.

Questa sembra la fase più ovvia ed anche - quantitativamente - piùimpegnativa. Alcune opportunità importanti vengono evidenziate peral-tro proprio dal fatto di considerarla ovvia all'interno del processo di

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empowerment, in particolare a valle della fase di pensabilità positiva —che alimenta energicamente (nel senso di motivare all'impegno) e indi-rizza correttamente (nel senso che tale impegno non sia dato per nulla)— e in interazione con l'elaborazione psicologica interna, senza la qualeè facile che l'impegno presto decada (magari a fronte delle prime diffi-coltà) e che spesso l'apprendimento stesso perda la sua efficacia;

3. fase dell'elaborazione delle risorse interne. Rappresenta la fase piùconnotata in senso psicologico dell'intero processo. Si propone - essen-zialmente - di mobilitare l'energia e le capacità migliori della persona,l'intero suo patrimonio psicologico (in particolare per alimentare il pro-cesso di crescita, di acquisizione, di sperimentazione) e — soprattutto —di elaborare le inevitabili difficoltà che si oppongono al processo di selfempowerment, alla formulazione di una nuova pensabilità, al buttarsinella sperimentazione.

Fig. 2 - Fasi del Processo di Self Empowerment - Dettaglio sull'Elaborazionedi Risorse Interne

3.2. REPERIMENTORISORSE ESTER-NE- acquisizione di

nuove capacitàaltre risorse: in-formazioni, spon-sor, rapporti

3.1. SPERIMENTA-ZIONE INIZIALEsimbolico-analogicae/o molto parziale

3.3. ELABORAZIONE DIRISORSEINTERNE*tipicamente:

mobilitazione di risorsepersonali positive finoratrascurateaggiramento di difficoltàe blocchi personali sog-gettivi

4. SPERIMENTA-ZIONE OPERATIVAcomunque reversi-bile

3.3.A. MOBILITA- 3.3.B. AGGIRA-ZIONE DELLE RI- MENTO DELLESORSE POSITIVE DIFFICOLTA'DELLA PERSONA SOGGETTIVE- per alimentare lo - Circa la formula-

sviluppo zione di nuova- per motivare pensabilità positi-

all'acquisizione di vanuova pensabilità Circa l'avvio della

- per aiutare la spe- sperimentazionerimentazione Circa l'efficacia

delle nuove passi-hilit

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L'elaborazione delle difficoltà merita che siano almeno accennati al-cuni aspetti importanti:• contrariamente a quanto avviene in altri modelli psicologici, le dif-

ficoltà vengono considerate nei loro aspetti molto specifici e relativiall'oggetto: non una mancanza generale di fiducia in sé, ma unamancanza di fiducia in rapporto a quello specifico oggetto. Si lavoracon la persona su quello specifico aspetto, non sull'intera persona-lità;

• l'elaborazione agisce in alleanza sia con la sperimentazione operati-va sia con l'acquisizione di nuove risorse, in una sorta di circolovirtuoso: la sperimentazione fornisce nuove informazioni su di sé -utili per una nuova e più efficace elaborazione (che altrimenti an-drebbe ad avvilupparsi progressivamente su se stessa),l'acquisizione di nuove risorse cambia i termini soggettivi attorno acui l'elaborazione lavora, l'ela-borazione interna facilita nuove spe-rimentazioni e nuovo impegno ad acquisire competenze e risorse;

• l'elaborazione — nel processo di self empowerment — non servetanto a sciogliere/eliminare l'ostacolo (operazione di solito com-plessa e lunga), quanto a "saltare" o "by-passare" l'ostacolo. Taleaggiramento viene attuato, magari, utilizzando la costruzione dinuove mappe cognitive, percorsi in cui l'ostacolo non è più tale.

Per capire quali siano i fattori tipici su cui l'elaborazione soggettivapersonale interviene (ricordando sempre che non ci si riferisce a caratte-ristiche esistenziali generali, ma tendenze applicate a specifiche situa-zioni, obiettivi, desideri, sfide) si farà riferimento, in particolare, alla:

fiducia in sé, ovvero l'aspettativa di saper mettere in atto i compor-tamenti corretti tra quelli di cui si è capaci;fiducia che comportamenti corretti porteranno buoni risultati;tendenza ad investire sulle risorse esistenti - sia interne che esterne -piuttosto che su quelle mancanti;tendenza a considerare i propri comportamenti causa degli effetticollegati (locus of control interno);tendenza al pensiero positivo - sulle possibilità proprie e altrui;tendenza a pensare di poter influire, gestire, indirizzare e modificarele cose che ci riguardano (hopefullness);va1oriz7azione delle proprie competenze utili.

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La storia della persona — fin dalla giovane età — presenta inevitabil-mente fattori di attacco a queste caratteristiche positive, veri e propri"killer" interni. Attraverso l'elaborazione ci si propone di aggirarli, perrenderli innocui rispetto a ciò che al momento interessa di più. A tal fi-ne il nostro approccio consente l'utilizzo di ogni mezzo disponibile:dalla riflessione profonda all'incoraggiamento a buttarsi e provare, dalrecupero di risorse personali acquisite nel passato al salto immaginativoverso il futuro, dall'ascolto di ciò che viene dall'interno della personaall'utilizzo di aiuti e stimoli esterni. È tipico dell'approccio dell'em-powerment sia ricorrere e valorizzare ogni possibile nuovo elementointerveniente che l'ascolto attento della propria realtà interna per com-prenderne i messaggi.

Abbiamo fin qui descritto il nostro contributo alla modellizzazione delprocesso dell'empowennent — che noi riferiamo nello specifico all'empo-wertnent della persona. È naturalmente possibile — in letteratura e sul cam-po — trovare altri modelli operativi e teorici, sia riferibili alle fasi del pro-cesso che al suo orientamento verso soggetti diversi. Nei capitoli successivicercheremo tra l'altro di fornire una panoramica di tali differenti approcci.

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5. Esercizi di potere

1. Il potere personale

"Potere" è bello; consente di soddisfare bisogni e realizzare desideri,generare risultati utili, importanti, guidare persone, sentirsi degni di atten-zione e rassicurati (molti sostengono anche che esercitare potere è gratifi-cante in sé).

Si dimentica però spesso che il potere è di due tipi, quasi sempre la tra-dizione porta a pensare solo al primo tipo del "potere esterno relazionale"defmibile come influenza sugli altri, trascurando il secondo tipo del "poterepersonale interno".

Focalizziamo mentalmente l'immagine estrema di una persona che, inuna particolare area e momento della sua vita, non riuscisse a mobilitare lapropria energia, non avesse desideri, non fosse motivata, non nutrisse spe-ranze, non coltivasse progetti, non avesse fiducia nelle proprie capacità,non avesse voglia di niente. Questa persona, in quel campo e in quel mo-mento, avrebbe conseguenze concrete simili a quelle di chi fosse comple-tamente privo di potere relazionale: non potrebbe infatti fare azioni che laqualificano e che risultano utili per gli altri, non potrebbe generare risultati,non potrebbe lavorare per un futuro migliore proprio ed altrui (chi non haprovato, in qualche momento almeno, questa dolorosa situazione ed i suoivissuti?!). Le conseguenze sono le stesse, forse ancor più accentuate, dellamancanza di potere relazionale.

L'approccio dell'empowerment sottolinea questa secondo dimensionedel potere, denominato "potere interno" o "potere personale".

La ricerca scientifica ha messo in evidenza e descritto alcuni dei fattoriprincipali del potere personale individuale. Li riportiamo brevemente percapire le basi psicologiche dell'empowerment.

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• Il sentimento di "autoefficacia": quella parte del vissuto di competenzaderivante dalla fiducia nel proprio saper trovare, di fronte alle situazio-ni, le risorse migliori e più adatte tra quelle di cui la persona dispone.

(Quando si sostengono gli esami, non c'è solo la paura di essere sco-perti impreparati, ma anche, e spesso soprattutto, l'ansia di non saperusare al meglio durante l'esame la preparazione acquisita).

• La valorizzazione della "collocazione interna della causalità". Ognipersona sa che quanto le accade è influenzato in parte dagli altri (exter-nal locus of control comprendente anche la fortuna, il sistema, la situa-zione) ed in parte dai propri comportamenti ed azioni (interna! locus ofcontrol). L'empowerment, o senso del potere personale, è collegato allatendenza a valorizzare l'influenza personale, interna dell'autodeter-minazione. (Quando si pensa alla propria crescita e carriera in azienda,che certamente è dipesa e dipende sia da se stesso che dagli altri, qualedelle due innegabili realtà ciascuno tende ad evidenziare, sottolineare,considerare importanti, anche proiettandole sul futuro?).

• La "speranzosità" (hope-fullness), il cui contrario non è la disperazionema la disperanza: tendenza a pensare che il futuro, proprio e altrui, pos-sa vedere miglioramenti. La ricerca evidenzia che la speranzosità si ap-prende: non tanto avendo buoni maestri (genitori, insegnanti, interlo-cutori), quanto soprattutto capendo come e perché avvengono le cose efunzionano i fenomeni, cioè i nessi di causalità. (Ci si autorizza a pensa-re che il futuro potrà essere migliore? Piace considerare "comprensibili"le cose della vita e del mondo, proprio e altrui?)

• Ogni persona sa che — in ogni situazione — sono presenti sia vincoli, la-cune, necessità, bisogni, sia risorse, opportunità, mezzi, possibilità.L'enfasi intenzionale ed operativa sul secondo set costituisce l'essenzadel "pensiero positivo operativo": da non confondersi con l'ottimi-smo-pessimismo, che è immediato e percettivo; il pensiero positivooperativo riguarda invece l'azione - e perdura nel tempo.

(Quando si affronta una nuova situazione, al di là delle emozioniimmediate di ottimismismo-pessimismo, si autorizza se stessi a con-centrarsi per operare sulle risorse più che sui vincoli, sulle presenze piùche sulle mancanze, sui desideri ed opportunità più che sulle necessità e

•problemi?)• Il vissuto di "responsabilità e protagonismo" nei riguardi della propria

vita, derivante dal sentimento che la situazione in cui ci si trova è, allalunga (non sempre invece nel breve termine), frutto di una scelta di cuinoi stessi siamo stati gli operatori perché comunque disponevamo di di-

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verse possibilità. (Quando si considerano le situazioni della propria vitaattuale, per esempio lavorativa o affettiva o sociale, si tende a pensareche alla lunga esse risultano frutto di proprie scelte? Che si sarebbe po-tuto percorrere altre possibilità? Che si è quindi protagonisti della pro-pria vita e che si continuerà ad esserlo in futuro?)

Autoefficacia, speranzosità, collocazione interna della causalità, costi-tuiscono alcune tra le principali dimensioni essenziali dell'empowennent opotere personale. L'inverso, il dis-empowerment, è costituito dalla tenden-za a pensare e sentire che tutto dipende dagli altri, che non ci si può fidarenemmeno delle risorse possedute, che non ci si consente di sperare, che cisi sente imprigionati da vincoli, bisogni, mancanze, necessità.

La parola chiave dell'empowerment, come qui la proponiamo al lettore,è "possibilità". Le possibilità, e la loro pluralità, come sintesi di potere elibertà, per potersi sentire "re" sulla scacchiera della vita che conta, cioèsulla scacchiera della propria vita.

Prima di continuare il discorso, vorremmo proporre al lettore qualcheesercizio basato sui criteri dell'empowerment: per una migliore compren-sione di quanto esposto, per giocare un poco con il self empowerment, pertrarne utilità magari provando piacere.

2. Esercizi di potere

2.1.11 desiderio fermo

Il lettore provi a richiamare alla mente uno dei suoi desideri: in parti-colare uno di quelli per cui, da almeno un paio di anni, oggettivamente noncompie azioni operative concrete tese alla sua soddisfazione.

Potrebbe trattarsi di un cambiamento di lavoro, di una love story conClaudia Schiffer (o Robert Redford), di un miglioramento del rapporto colconiuge o con un figlio, dell'inizio o della ripresa di un hobby o interesseculturale; potrebbe essere qualcosa di molto intimo o di molto importante odi apparentemente banale: il desiderio è comunque molto personale.

Adesso provi, caro lettore (e mi rivolgo a Lei poprio individualmente)ad immaginare questo Suo desiderio finalmente realizzato: provi a girare,nella sua mente, il "film" della situazione in cui ciò che desiderava è di-ventato realtà. Ne descriva, come nel copione di un film, cosa avviene, co-sa fa e come si sente Lei che è il protagonista, cosa fanno le altre persone

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intorno a Lei, cosa ci si dice, quali siano le azioni ed i comportamenti (tra-lasci invece, per regola dell'esercizio, l'aspetto di come e con quali mezzisi è arrivati alla situazione: si sposti in avanti nel tempo, e immagini che sisiano già realizzate le condizioni, le risorse e i mezzi, anche se oggi man-canti).

Con grande probabilità (la statistica dice otto casi su dieci), caro lettoreavrà una sorpresa: Lei non riesce a girare il film, la prefigurazione del de-siderio realizzato; riesce solo con qualche flash, qualche scena, qualche se-quenza, ma non riesce a descrivere la situazione completa. Oppure, sorpre-sa ancora più grande, nel film Lei non è prevalentemente contento, non sitrova a suo agio, non prova vissuti soprattutto positivi.

Questa previsione di probabilità, che mi sono permesso di avanzare eche Lei può mentalmente verificare, è dovuta al fatto che Le avevo chiestodi concentrarsi non su un desiderio qualsiasi ma su un desiderio "fermo":non uno di quelli in vista della cui reali~zione magari ancora ieri avevafatto azioni operative, bensì uno di quelli per cui da almeno due anni Lei,oggettivamente, non compie azioni (non risponde a inserzioni di ricerca la-voro, non si procura l'indirizzo di Claudia Schiffer...).

Spiegazione dell'esercizio. Per la costruzione concreta di un desiderioè fondamentale la laboriosa attività (non la semplice fantasia-flash) di co-struzione di pensabilità del desiderio soddisfatto e di sé almeno prevalen-temente contento in tale situazione ("pensabilità positiva"). Dice Messner(1994), a proposito delle sue scalate degli ottomila metri: «uno pensa qual-cosa, concepisce cioè un'idea, poi sviluppa l'idea nella mente sino a farneun'utopia reale; infine in una terza fase, si ritrova nella condizione di tra-durla in realtà».

Consigli d'azione. Le propongo, caro lettore, di lavorare sulla costru-zione del film, sulla pre-rappresentazione mentale del Suo nuovo lavoro, odella Sua nuova love story, o del Suo nuovo rapporto con Sua moglie o Suofiglio. È un "lavoro" impegnativo e duraturo, non una fantasia immediata:ci vorranno delle settimane, in genere dei mesi, qualche volta (per i deside-ri più impegnativi) un paio di anni. Quando avrà compiuto questa attività dicostruzione di pensabilità positiva del desiderio realizzato, Lei potrà agire,guidato da tale copione, con azioni sperimentali. Peraltro durante tale atti-vità di pensabilità, può accadere qualche variante: per esempio può accor-gersi che non era quello un vero desiderio, e ne emergerà uno davvero Suoper il quale lavorare; oppure, strada facendo, il desiderio iniziale si modifi-

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cherà, e probabilmente diventerà più gratificante in quanto più collegatocol mondo che lo circonda, aumentando il circolo virtuoso delle soddisfa-zioni.

2.2. Se il desiderio non c'è

Dirà qualche lettore: non mi viene in mente alcun desiderio (in genera-le, o rispetto ad un'area specifica della vita). Ci sono periodi e/o aree dellapropria vita in cui non si provano desideri. Due casi: o si sono appagatitutti i desideri, oppure si è poco fermi e tristi: qui ci occupiamo della se-conda possibilità (la prima è solo da godere finché dura il momento magi-co).

Proponiamo al lettore alcuni esercizi, per vedere se prova qualche bene-ficio, utilità, stimolazione attuale del desiderio. Uno dei principidell'empowerment è che desideri' non ancora realizzati costituiscono unaricchezza, un patrimonio della persona: (al contrario della cultura tradizio-nale, dove invece i desideri non soddisfatti sono presentati e spesso vissuticome fattore di frustrazione e/o velleità)2.

2.2.1. La rivisitazione del passato

Provare a ricordare cosa si desiderava (quasi come sogno, possibile malontano) quando si sono finiti gli studi; oppure quando si parlava da fidan-zati con la propria futura moglie/marito; oppure quando si è iniziato il pro-prio attuale incarico organizzativo; e/o in altri momenti significativi dellapropria vita passata.

1.Per desideri si intendono qui quelli oggettivamente non impossibili nella loro realizza-zione, indipendentemente dall'ampiezza di energie e risorse da mobilitare e/o acquisire. Idesideri vanno distinti dalle fantasie o dai sogni - pur se molto piacevoli e desiderabili: adesempio è oggettivamente impossibile cambiare la propria età anagrafica, lo stato sociale edeconomico dei propri genitori, (entro certi limiti) le proprie caratteristiche biologiche-fisiche.

2. Pensi il lettore all'ipotetico colloquio con due persone appena conosciute: l'una riccadi desideri, l'altra che ne è priva. Quale delle due le piace di più? Quale assumerebbe comecollaboratore o vorrebbe come collega? Con quale le viene più voglia di mantenere in futuroun'amicizia?

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2.2.2. Il balzo nel futuro

Provare ad immaginare, con più particolari possibili, come si vorrebbeche fosse la propria vita (o meglio una sua area specifica: per esempio dilavoro, o affettiva, o sociale) saltando mentalmente a piè pari nel futuro, tracinque anni (due o tre per i più giovani): per il momento essendo vietatodall'esercizio il preoccuparsi di problemi quali "come" fare ad arrivarci,come fare a procurarsi risorse attualmente mancanti. Descrivere invececome si vorrebbe essere tra cinque anni, ponendosi l'unico limite della nonimpossibilità oggettiva assoluta.

2.2.3. Lo Z.B.B.3

Questa volta è un esercizio non di realtà bensì di fantasia pura. Immagi-ni il lettore, come regola virtuale e temporanea imposta dall'esercizio, cheper una strana magia, si trovi in un ambiente totalmente nuovo (possibil-mente all'estero, ma senza problemi di lingua immaginati come risolti); laregola obbligatoria di questo esercizio impone che non ci sia più alcuno deirapporti attuali: con moglie/marito, figli, azienda, amici, parenti.

Provare ad immaginare come si vorrebbe che fosse la propria vita dopo3-5 anni in questo nuovo ambiente, specificando aree quali il lavoro o co-munque attività, rapporti con altre persone, abitazione, immagine di sépropria e verso gli altri, impiego del tempo. Possibilmente stendendo ap-punti scritti (assolutamente riservati e personali).

Spiegazione degli esercizi. Spingono ad uscire mentalmente dalla si-tuazione attuale (con le sue opportunità ma anche i suoi vincoli) e fare un"balzo" che permetta, per la durata dell'esercizio, di rimobilitare la funzio-ne del desiderio. Il desiderio, anche se non realizzato, è considerato risorsaimportante, molto energetica, elemento essenziale della propria autodefini-zione, assunzione di responsabilità (al contrario del bisogno, che è più ete-ro determinato).

3. Lo ZBB è una tecnica di budgeting (Zero Based Budget) il cui principio essenziale —estrapolato per questo esercizio — è quello di avviare le proprie previsioni partendo da zeroanziché dai dati dell'esercizio precedente.

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Consigli di azione. Provi a giocare con questi esercizi, caro lettore, nelcaso che si senta privo — o povero — di desideri o — comunque — nel caso lepiaccia giocare con il suo io desiderante.

Si concentri su di un esercizio alla volta. Lavori da solo, in un ambiente— e in un momento — in cui non può venir distratto da altre persone o altricompiti. Possibilmente, prenda degli appunti. Cerchi di porsi la minorquantità di vincoli possibile, non si preoccupi — in questa fase — di problemiquali "come si fa a farlo davvero" (questo è il miglior modo per stroncare idesideri sul nascere!): ci sarà tempo in futuro per la realizzazione.

Alla fine dell'esercizio provi ad autoascoltare se si sente meglio o peg-gio; se è emerso del materiale che le risulta significativo anche adesso cheil gioco-esercizio è finito; se le sembra di sapere o ri-sapere qualcosa di piùcirca il Suo sé attuale; se le è venuta qualche intenzione di azione futura; seil suo "io desiderante" si sta risollecitando.

2.2.4. La margherita delle possibilità'

Supponiamo caro lettore, che lei in questo momento sia in turbolenzamentale rispetto ad un'area della sua vita: per esempio nel lavoro, nel rap-porto con una persona, o per un certo aspetto della sua vita sociale. Taleturbolenza può prendere avvio sia da vissuti di problematicità, sia dal pre-sentarsi di nuove opportunità e desideri: comunque lei sta pensando chevuole cambiare-migliorare qualcosa.

Oppure può succedere che lei si stia domandando cosa vuole davvero,con molte idee che le girano per la testa; oppure ancora che senta un po' diconfusione per la presenza contemporanea di aspetti molto diversi tra lorocoesistenti in un campo della sua vita, per esempio nel suo ruolo lavorativonell ' organizzazione.

Rispetto a questi tipi di situazione, le proponiamo l'esercizio della mar-gherita delle possibilità, che si fa così:• disegni un fiore con cinque petali (altri potrà semmai aggiungerne in

seguito se necessario): su un normale foglio di carta, col corpo del fioreal centro ed i petali che occupano quasi tutto il foglio;

4. Nell'immaginario collettivo la margherita è il fiore dai mille petali. Qui la suggestionecercata è — appunto — quella dei petali che però non vengono uno alla volta strappati("m'ama o non m'ama?") ma piuttosto gradualmente si aggiungono, rappresentando ognipetalo una nuova possibilità.

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+ all'interno di ciascun petalo appunti telegraficamente le parole chiaveriguardanti una delle sue possibilità. Per esempio, se parliamo di cam-biamento lavorativo le possibilità potrebbero essere (ma lei segni soloquelle che sono davvero "sue" possibilità, nella sua mente): cambiareruolo e tipo di lavoro nella stessa azienda in cui è adesso; cambiareazienda; mettersi in proprio, da solo o con altri; andare ad insegnare; la-vorare a tempo parziale e dedicare maggiore parte del tempo ad attivitàsociali od esistenziali o personali; etc.;

• lasci sempre un petalo in bianco: potrebbe emergere in seguito un'ul-teriore possibilità (la sua situazione attuale invece, sta nel centro del fio-re: non si preoccupi di definirla, come invece ha fatto per le possibilità-petali);

• lavori, successivamente e separatamente, su ciascuno dei petali presiuno per volta, sulla prefigurazione mentale del loro sviluppo (prima:come sarebbe una volta realizzato; poi: come orientarsi a realizzarlo sedecidesse in tale senso).A seconda dell'impegno-tempo che decide di dedicare, possono essere

necessari cinque minuti per ogni petalo, oppure i momenti liberi di pensie-ro di un giorno della settimana.

Spiegazione e consigli d'uso dell'esercizio margherita delle possibi-lità. Aiuta ad evidenziare le diverse possibilità di cui la persona dispone,uscendo dalla prigionia del vissuto di "mono" possibilità oppure dalloscacco matto dell'oscillazione tra la possibilità attuale reale, ma insoddi-sfacente, e l'unica possibilità ideale, ma irrealizzabile.

Per "possibilità" s'intende ciò che è prefigurabile e pensabile positiva-mente nella mente dell'interessato. In questo approccio dell'empowerment,in un certo senso, la persona "è" e si riconosce attraverso l'insieme dellesue possibilità (anche quando, anzi per certi versi auspicabilmente, esse so-no alternative tra di loro nella realizzazione pratica).

Se più che all'innovazione la persona è tesa al chiarimento di una suasituazione, l'esercizio della margherita si può utilizzare in maniera legger-mente variata, facendo corrispondere ad ognuno dei petali una specifica"componente" dall'aspetto esaminato (ruolo, problema, obiettivo, situazio-ne).

Per esempio, nell'analisi del proprio ruolo nell'organizzazione: la com-ponente esecutiva; la componente gestione delle risorse affidate; la compo-nente micromanageriale dell'innovazione e dei risultati; la componente in-traprenditoriale all'interno dell'organiz72zione.

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Il riferimento potrebbe essere anche ad altre aree della vita, molto per-sonali, per esempio quella matrimoniale.

Un esempio di componenti potrebbe allora prevedere: la componentefidanzati-amanti-coppia sessuata uomo-donna; la componente genitori in-sieme; la componente amicizia, rispetto, valorizzazione; la componentecoabitazione; la componente progettazione del futuro; la componente sup-porto reciproco nei desideri di vita di ciascuno.

In questo secondo caso, dell'uso per l'analisi delle "componenti",l'esercizio della margherita è finalizzato soprattutto ad aiutare a non con-fondersi fin dall'inizio nella mediazione tra le diverse componenti, con laspiacevole conseguenza o della confusione o dell'appiattimento globale.

Si consiglia di:• fare l'esercizio sviluppando i vari petali uno per uno, senza porsi antici-

patamente il problema del come integrare le diverse possibilità ( o com-ponenti);

• verificare se già l'elencazione dei petali fornisce piacere psicologico,nell'evidenziare che si hanno parecchie possibilità (oppure nel vederechiaramente elencate le diverse componenti di uno stesso tema-problema, se i petali si riferiscono ad una situazione confusa);

• osservare che durante l'esercizio possono emergere progressivamentealcuni indirizzi guida quali: l'esigenza di lavorare a fondo sullo svilup-po di una specifica possibilità; l'emergere vincente di una possibilitàprincipale ed il chiarimento dei contributi potenziali ad essa da partedelle altre; una sinergia, maggiore del previsto, tra le varie possibilitàinizialmente considerate come alternative; l'emergere progressivo diuna nuova possibilità che all'inizio non si era focalizzata.

La regola generale, che sta alla base dell'esercizio, è che le alternativesono più facili da integrare (oppure da scegliere) ove siano state ben svi-luppate una per una. L'immagine può essere quella di un arco architettoni-co, più facile da costruire in altezza (vincendo la paura della vertigine) chenon a pochi centimetri da terra.

Dice un vecchio proverbio: mira alla luna, se il tiro risulta corto puoiatterrare su una stella.

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2.3. Altri brevi autotest

Appuntarsi su un foglio di carta (assolutamente personale) il nomedell'insegnante che, fra i tanti con cui si è avuto rapporto, non si vorrebbemai che sparisse dalla propria esperienza di vita. Fare altrettanto per unamore giovanile (escludendo, per vincolo dell'esercizio, quello attuale).

Verificare l'ipotesi:• hai scelto, tra i tanti, proprio quell'insegnante perché (al di là dei voti

belli o brutti, del rapporto facile o difficile) dalla relazione con quell'in-segnante sei uscito con più possibilità, più strade che sentivi aperte perte, più potente;

• hai scelto proprio quell'amore giovanile perché (al di là della brevità olunghezza, della fine in gloria o in lacrime) ne sei uscito pensando chenella vita ti sarebbe stato "più" possibile e aperto il futuro.

Volendo verificare il caso opposto: quelli designati come il peggiore in-segnante e il peggiore amore passato, sono quelli da cui si emerge magarianche più realisti, ma comunque più poveri di possibilità aperte riguardantisé stesso e il rapporto col mondo.

Appuntarsi su un foglio esempi di propri "desideri" ed esempi di"bisogni", nonché parole ed immagini a tali esempi associate: verificarepoi se è vero che la parola "desiderio" evoca di più l'immagine-emozionedel piacere ricevuto dalla sua soddisfazione, mentre la parola "bisogno"evoca di più l'immagine-emozione della su mancata soddisfazione.

3. Principi operativi orientativi

Sono qui riportati nella stesura proposta da una collega che ha parteci-pato ad un nostro corso sulla consulenza individuale empowerment orien-ted.

Aggiungere più che voler cambiareLa persona quasi sempre non cerca tanto di cambiare, quanto soprattutto

di aggiungere e sperimentare nuove possibilità: il che, tra l'altro, proteggedall'ansia di non dover buttare via ciò che già è/sa, e concede a chi lo aiutamaggiori libertà ed incisività nella sollecitazione.

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Risorse più che problemiPer aiutare, iniziare a lavorare non tanto su ciò che la persona vive co-

me problema, ma bensì a partire dai punti di forza: ed ampliarli per poi re-cuperare il problema avendo a disposizione maggiori risorse.

PensabilitàPer aprire una nuova possibilità, la persona deve essere stimolata ad

immaginarla, descriverla, fino a costruirne le sequenze operative possibili("girare il film").

I desideri ancora irrealizzati come ricchezzaSogni e desideri non realizzati, normalmente considerato come fonte di

frustrazione, sono da vedersi soprattutto come fonte di ricchezza, in quanto"serbatoio energetico" e piste che indirizzano verso opportunità da coglie-re.

Si impara soprattutto dai successiÈ vero che dagli errori si impara, ma ciò che conta per imparare è so-

prattutto sperimentare successi.

I killer personali interni si aggiranoA differenza che in altri approcci psicologici, nell'indirizzo empower-

ment i problemi personali storici ed i killer interni non si elaborano, ma siaggirano/by passano.

Ampliabilità della pensabilitàAmpliamento della pensabilità significa concepire che ciò che si pensa

e si fa può possedere confini più mobili, e questo incrementa la "voglia diosare".

Professionale e personale si alimentano vicendevolmenteAnche quando l'aiuto sia concentrato sull'empowerment professionale è

lecito, se è la persona a condurci, seguirla nella sfera del personale: dovepossono ritrovarsi risorse ed opportunità importanti per la realizzazionedelle nuove possibilità professionali.

Individuare la forza più che il problemaLa possibilità d'aiuto inizia quando si è riusciti a capire il nucleo cen-

trale della forza e delle risorse della persona (secondo gli approcci tradi-

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zionali, invece, ci si concentra prima e di più sul trovare "il suo proble-ma").

Dal singolare al pluraleAiutare a cercare "al plurale" (più che al singolare) le soluzioni, le pos-

sibilità, le voglie, i progetti, i riconoscimenti di sé.

Far brillare gli occhiNella ricerca dell'elemento cruciale per la persona, non fermarsi alla

prima risposta, ma continuare ad ampliare l'indagine fino a quando si per-cepisce di aver trovato un elemento positivo e attrattivo importante, consi-stente, significativo ("fmo a che alla persona non brillano gli occhi").

All'inizio vietato vietareNelle prime fasi del processo di self empowerment, è rigorosamente

vietato lavorare sui vincoli, le verifiche di realtà, la limitatezza delle risorse(ad eccezione delle impossibilità assolute)

Una piccola azioneAl termine di un incontro/colloquio è importante concordare o prescri-

vere alla persona un'azione sperimentale (reversibile), sia pur breve e sim-bolica, ma soggettivamente significativa: per facilitare l'innesco dello"agire", nella direzione di empowerment che il colloquio ha individuatocome importante.

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6. Empowerizzare l'impresa

1. Utilizzi applicativi

Le modalità di utilizzo dell'approccio empowerment in azienda, pur as-sai diversificate, possono essere ricondotte a quattro ambiti di obiettivi:• per lo sviluppo delle persone e della cultura organizzativa;• a supporto dei processi innovativi;• come intervento organizzativo;• come modello aziendale di riferimento.

Prima di descriverli uno per uno, proponiamo una sintetica lettura di ciòche l'approccio empowerment tende ad aggiungere, rispetto ad altri ap-procci precedenti.

L'approccio dell'empowerment, ultimo nato, recupera infatti ed utilizzaquasi tutti gli apporti evidenziati da altri tipi di approcci cronologicamenteprecedenti, quali direzione per obiettivi, O.D. sviluppo organizzativo, qua-lità.

Tanto è vero che qualche volta le persone in azienda si chiedono qualisiano gli elementi essenziali di differenza.

Evidenziamo qui di seguito le principali aggiunte—differenze:• rispetto all'approccio Qualità, che sottolinea soprattutto il migliora-

mento continuo e progressivo, l'aggiunta principale è quella dell'atten-zione ai possibili salti di qualità ed alle possibili discontinuità;

• rispetto all'approccio della direzione per obiettivi, che sottolinea so-prattutto l'aspetto razionale del coinvolgimento delle persone (attraver-so l'articolazione dei diversi tipi di obiettivi), l'aggiunta consiste so-prattutto nella mobilitazione degli aspetti emozionali e valoriali;

• rispetto alla tradizione degli approcci dello sviluppo organizzativo(0.D.), delle risorse umane, psicosociale, le aggiunte principali

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dell'approccio empowerment sono:o importanza non solo degli aspetti relazionali e collettivi (rapporti,

gruppalità, comunicazioni, cultura organizzativa), ma anche estremavalorizzazione della individualità, del potere personale interno dellasingola persona;

o orientamento alla consapevolezza, tipico valore psicosociale, ma an-che al passaggio all'azione, alla sperimentazione;

o focus sui bisogni, ma anche sui desideri, sulle resistenze al cambia-mento, ma anche nella vitalità desiderante generativa e innovativa.

1.1. Uso dell'approccio empowerment per lo sviluppodelle persone e della cultura organizzativa

I metodi principali utilizzati per questo sviluppo sono la formazione —soprattutto di tipo managerial comportamentale — e i sistemi di svilupporisorse umane (potenziale, valutazione, credibilità, incentivi).

L'obiettivo è quello di rafforzare le persone in termini di empowermentpersonale e di indirizzare l'evoluzione della cultura organizzativa versoorientamenti che facilitano l'empowerment diffuso dell'azienda.

Elenchiamo di seguito, anche con una certa cura, i principali di taliorientamenti, cercando di sottolineare gli aspetti dove l'approccio empo-werment immette alcuni elementi di originalità:• l'aumento di autonomia e discrezionalità. L'importanza della persona

ed in particolare della sua responsabilizzazione della fiducia in se stessae del suo approccio positivo sono le dimensioni psicologiche dell'em-powerment;

• l'importanza e la capacità del lavoro in team, anche perché il team ren-de possibili livelli di risultato e salti di qualità altrimenti irraggiungibili;

• l'orientamento alla mobilità come avvenimento non straordinario;• la crescita continua di capacità e know-how, e il rapporto con l'azienda

basato su questo principio;• la valorizzazione del ruolo della vitalità desiderante nell'alimentare

progetti, innovazione, imprenditività;• l'orientamento al miglioramento continuo (già tipico dell'approccio qua-

lità), ma anche ai possibili salti di qualità con aspetti di discontinuità:• la valorizzazione di razionalità e obiettivi, ma anche delle valorialità e

dei sogni organizzativi in azienda (a volte sostenuti dagli strumenti vi-sion e carta dei valori);

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• l'incoraggiamento alla sperimentazione, alla possibilità di sbagliare;• il superamento della rigida separazione tra area lavorativa e sfera perso-

nale, soprattutto perché comuni sono le capacità di fondo tipiche dellapersona, di cui è indispensabile l'investimento anche sul lavoro quandole prestazioni richieste sono sempre di eccellenza, come oggi semprepiù spesso avviene;

• i modelli di relazione organizzativa fra persone responsabili, dotate dirisorse, capaci (piuttosto che tra bisognosi, competitivi, insoddisfatti);

• la autogestione almeno parziale dei gruppi di lavoro e la rifocalizzazio-ne del ruolo di capo di primo livello come facilitatore;

• nuove crucialità nella funzione di leadership, tra cui quella di costruire ecomunicare vision e quella di facilitare empowerment e crescita deicollaboratori;

• sviluppo della capacità di pensare e alimentare più possibilità contem-poraneamente: "et-et" piuttosto che "out-out" nei risultati da perseguire,nei ruoli da svolgere, nelle competenze, nelle capacità da utilizzare esviluppare.Questi orientamenti in parte recuperano la tradizione dello sviluppo ri-

sorse umane ed organizzative (per esempio delega, fattore umano, parteci-pazione, antiautoritarismo); in parte introducono elementi originali tipicidell'approccio empowerment (per esempio la responsabilizzazione accen-tuata e richiesta; l'autogestione, la valorizzazione contemporanea sia delprotagonismo individuale sia del team).

L'esigenza di indirizzo della cultura e del rinforzo psicologico dellepersone nella direzione dell'empowerment viene sentita dal managementsoprattutto quando si è alla vigilia di innovazioni e mutamenti importanti: oessendone consapevoli o perché se ne avverte appunto l'esigenza. Accadeanche quando, pur non essendoci necessità immediate, c'è stimolo versomodelli più avanzati di funzionamento d'impresa: ad esempio, di orienta-mento al mercato, al servizio, al cliente; ad esempio per una evoluzionedelle tecnologie e dei prodotti-servizi del settore; ad esempio per funzionidell'opinione pubblica nel caso della pubblica amministrazione.

I sistemi di gestione e sviluppo risorse umane offrono diverse possibi-lità, per esempio:CI introducendo voci nuove nei sistemi di valutazione del potenziale, di

gestione per obiettivi, di misurazione delle prestazioni;o facilitando la mobilità sistematica e non solo sporadica;o articolando gli incentivi sui tre livelli: individuale, di team, organizza-

tivo;

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o strutturando anche per competenze (e non solo per ruoli e livelli) i si-stemi di incentivazione.

Nella formazione, ai corsi tradizionali, che continuano anche per crearenuova e comune cultura, si aggiungono altre modalità e canali:o formazione in parte autogestita, a supporto del self development;o formazione per percorsi articolati e a volte personalizzata con piani in-

dividuali;o formazione sul lavoro, guidando all'utilizzazione di risorse organizzati-

ve già presenti, da usare di più e meglio per l'efficienza produttiva, maanche per fmalità di apprendimento e crescita.

1.2. Uso dell'empowerment a supporto dei processiinnovativi

I principi orientatori dell'empowerment, nel paragrafo precedente vistiin dettaglio come elementi di fattore umano e culturale, vengono qui appli-cati su contenuti di innovazione specifica: l'empowerment fornisce lostrumento di tipo "soft" a fronte di innovazioni organizzative "hard" chel'organizzazione comunque introduce.

Dal punto di vista dell'empowerment come strumento di supporto aiprocessi innovativi è importante:• la sollecitazione della cultura e del fattore umano di cui si è parlato al

punto precedente, questa volta declinata su contenuti e sfide molto pre-cise;

• trattare le persone come adulti, responsabili, capaci, mai "dipendenti":avvicinando i livelli gerarchici e i settori diversi anche nei modi e neicanali di comunicazione;

• la formazione applicativa sul contenuto e il metodo dell'innovazione, edanche a sostegno della risorsa forza delle persone nell'affrontare i pro-pri inevitabili punti di debolezza. In particolare aiutando a mobilitare lavivacità, dell'io desiderante, a costruire nuova pensabilità positiva, delnuovo e di sé nel nuovo organizzativo, ad aggirare le difficoltà storichesoggettive di persone e ruoli;

• la consulenza metodologica e l'assistenza processuale al team building,alle metodologie di lavoro per sistemi di gruppi innovativi, alle moda-lità extra-ordinarie di comunicazione e coinvolgimento che le grandi in-novazioni richiedono, se si vuole che le persone siano protagonisti enon meri esecutori;

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• il potenziamento degli strumenti e delle informazioni a disposizione el'aiuto nel loro uso (normale a regime a innovazione realizzata, ma perle persone non facile all'inizio).

1.3. Intervento organizzativo di empowerment

È questa la forma più appariscente ed esplicita di utilizzo dell'approccioempowerment: in quanto esso si traduce non solo in aspetti di cultura e ge-stione del fattore umano, ma anche in formule o comunque azioni organiz-zative. Inoltre l'intervento di empowerment non è soltanto considerato co-me strumento di supporto ad innovazioni che avverrebbero comunque: inmolti casi qui l'empowennent diventa componente degli stessi obiettividell'azienda, spessoaffiancato a quello della people satisfaction.

Le forme di azione organizzativa maggiormente ispirate (più o menoesplicitamente od implicitamente) all'approccio dell 'empowerment, sono:• l'organizzazione del lavoro per gruppi autogestiti e, per ampliamento e

generalizzazione di tale modello, l'organizzazione strutturale per gruppiresponsabili di un intero processo-risultato (per certi aspetti il caso delleUTE della Fiat);

• il management by vision, che utilizza vision e valori anche esplicita-mente formulati: in genere costruiti con grande investimento e coinvol-gimento; talvolta la vision è formulata sinteticamente, talvolta invece èfrutto e sintesi di un grosso lavoro negli scenari, nelle specificità azien-dali, nelle strategie, che ha coinvolto decine o centinaia di persone e lametodologia della vision e dei valori discende poi dall'intera azienda fi-no ai singoli gruppi e settori: non solo come declinazione aziendale topdown, ma anche come metodologia di empowerment di ogni singologruppo, ufficio, reparto, utilizzando gli aspetti generali aziendali e ca-ratterizzandosi in più ciascuno;

• •i sistemi innovativi di gestione e sviluppo risorse umane che aprononuove possibilità, in particolare per esempio:o verso la possibilità di gestione e sviluppo anche personalizzato. Co-

me nel caso di una variabilità accentuata delle forme di controllo; disistemi di gestione e sviluppo delle risorse umane basati sulle com-petenze possedute e via via accresciute; di sistemi di formazione perpiani e percorsi anche individuali;

o verso la possibilità di autogestibilità almeno parziale dei sistemiaziendali di sviluppo del personale e nell'ottica del self deve-

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lopment: con autogestibilità per esempio della formazione, della ri-cerca di posizioni desiderate in azienda, della misurazione a fini diorientamento del potenziale;

o con la disponibilità di aiuti e feedback personalizzati: per esempiocon sistemi di tutoring, mentoring; coaching; per esempio con di-sponibilità di counseling individuale;

o verso la possibilità di una cultura ed una pratica normale della mobi-lità dentro l'azienda (e con supporto al di fuori): essendo la mobilitàil fattore di imprinting quasi necessario per i fondamenti dell'empo-werment della scelta, dell'assunzione di responsabilità, della plura-lità di possibilità:

o alcune aziende, fin dall'assunzione, addirittura aiutano le persone acompilare i loro curricula per usi sia interni che esterni; così comeaiutano le persone a mettersi in proprio dopo che hanno collaborato alungo con l'azienda e se non trovano più gli sbocchi desiderati;

• metodologie di survey sulla people satisfaction, sull'apprezzamentodelle persone riguardo ai diversi aspetti dello stare e del lavorare inazienda; metodologie di valutazione anche dal basso (upward apprai-sal) o a 360°.

Queste metodologie sono anche simbolicamente significative, perchésottolineano come soddisfazione ed empowerment delle persone diven-tino intrinsecamente uno degli obiettivi aziendali, non più solo fattore(umano appunto) finalizzato solo strumentalmente ad altri tipi di risul-tato.

Empowerment diventa qui anche un modo di essere dell'azienda ol-treché un fattore di efficienza ed efficacia;

• metodologia sistematica dei "team per l'innovazione": che si aggiun-gono alla struttura di normali produttività e funzionamento organizzati-vo, per progettare innovazioni e possibili salti di qualità nei risultati.Questi gruppi sono tipicamente a cultura empowerata, hanno ruoli di fa-cilitazione e assistenza, dispongono di risorse privilegiate;

• • metodologia sistematica di potenziamento concreto delle risorse: mes-se a disposizione dalle persone (e dei team) per consentire loro oltrechérisultati di migliore livello, anche maggiori autonomia e discrezionalità,crescita durante il lavoro, empowerment. Si tratta non solo di risorsetradizionali come macchinari e budget, ma anche ed in particolare di si-stemi di informazione, di sistemi di feedback rapidi sui risultati rag-giunti di ampliati canali comunicativi, di nuova e più ampia legittima-zione nei rapporti organizzativi interni ed esterni.

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1 .4. Empowerment ispiratore del modello difunzionamento organizzativo

In alcune aziende, soprattutto multinazionali, si può notare che quasitutte le forme di empowerment citate precedentemente come nuove intro-duzioni, siano già state percorse e siano diventate stabilmente componentinormali del funzionamento organizzativo nei suoi aspetti di tipo sociale.

Diciamo, per esempio, che fanno parte del funzionamento abituale:l'organizzazione del lavoro per gruppi autogestiti, la focalizzazione el'utilizzo aziendale ai vari livelli di vision e carta dei valori; la strumenta-zione abbondante a sostegno di informazione, comunicazione, esercizio diautonomia e discrezionalità; i sistemi di sviluppo delle persone largamenteautogestibili; le survey nei diversi aspetti di clima, di apprezzamento, dipeople satisfaction, di empowerment; i sistemi articolati di team innovativi;la mobilità interna; il supporto per chi vuole esplorare possibilità non solointerne ma anche esterne all'azienda, magari mettendosi in proprio;l'assistenza al team building; il counseling individuale; l'aiuto di mentorie/o tutor e/o coach; la formazione anche come centro di disponibilità e per-sonalizzata; gli incentivi nel triplice livello individuale, di gruppo, organiz-zativo; la possibilità di forme contrattuali diverse e/o originali; la abbon-danza di supporti per la comunicazione, la discrezionalità, il feedback suirisultati del lavoro fatto.

Sono generalmente aziende che hanno già, in passato, attraversato il pe-riodo di crucialità della direzione per obiettivi, dello sviluppo organizzativoorientato alle risorse umane della qualità totale.

Spesso hanno già da tempo sperimentato la metodologia del BusinessProcess Reengineering, l'orientamento all'organizzazione per processi, laristrutturazione per una organizzazione snella, il miglioramento drasticodei processi risultati, le metodologie di misurazione accurata della custo-mer satisfaction e dei parametri che vi concorrono.

Le condizioni di queste aziende non sono generalizzabili né il loro mo-dello è necessariamente da imitare in altre e diverse condizioni; tuttavia èinteressante osservare come i principi dell'empowernient, in genere utiliz-zati per introdurre innovazioni, qui siano diventati componenti stabili delfunzionamento organizzativo.

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2. Modelli e tipi di empowerment

Se pure, come abbiamo visto, il concetto di empowerment originaall'interno della psicologia di comunità negli anni '60, troverà — un venten-nio dopo — il suo massimo punto di sviluppo all'interno della letteraturamanageriale e organizzativa. Artefice della mutuazione del concetto incampo organizzativo fu l'americana Rosabeth Moss Kanter (1977, 1985),impegnata nel tentativo di una ridefinizione delle tradizionali dinamiche dipotere nelle organizzazioni di lavoro di matrice burocratica.

Già Weber (1961) aveva sottolineato il nesso tra burocrazia e organiz-zazioni di lavoro, individuando, all'interno dello sviluppo dell'impresamoderna, il passaggio all'amministrazione burocratica come il fattore, lostrumento efficiente ed efficace di sviluppo degli affari.

Secondo il sociologo tedesco le moderne organizzazioni di lavoro sonoun esempio emblematico di rigida organizzazione burocratica, fondate sudi una rigida ed oggettiva — potremmo dire "scientifica" — divisione del la-voro su principi di competenza.

È chiara dunque la coerenza tra la lettura taylorista dell'organizzazionedel lavoro e il contributo di Weber: le imprese sono organismi ingegneri-sticamente concepiti per l'ottimizzazione dei risultati economici sulla basedi un sistema di procedure operative svolte da ruoli precisi. Tutto può esse-re ricondotto, al loro interno, ad un calcolo razionale di costi e profitti, cheè del resto il motivo della notevolissima espansione del modello capitalista.

Tuttavia questo modello apparentemente "perfetto" porta una conse-guenza non irrilevante sul piano psicologico: l'organizzazione è tanto piùefficace quanto più spersonalizza i suoi membri, ossia quanto più riesce adescludere dai propri processi aspetti relazionali ed emotivi. Ciò implica chel'organizzazione burocratica, nel chiedere ai propri membri una limitazionedella propria personalità, tende a produrre uno stile comportamentale ten-denzialmente amorfo e affettivamente neutrale che può condurre ad unasostanziale indifferenza nell'azione.

Merton (1949) individua come peculiari conseguenze disfunzionalidell'organizzazione burocratica il ritualismo — tale per cui sostanzialmentel'adesione alle regole da mezzo per il perseguimento dei fmi organizzativisi trasforma nel fine stesso del lavoratore — e l'incapacità di adattarsi alcambiamento e all'innovazione. Oltre a questi due tratti dobbiamo notarecome l'organiz72zione burocratica porti intrinsecamente il rischio della su-

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pina accettazione — almeno apparente' — del potere gerarchico dell'orga-nizzazione. Questo fa sì che, come nota Gouldner (1954), l'organizzazioneburocratica sia essenzialmente funzionale, non tanto al raggiungimento difini organizzativi razionali, quanto al mantenimento di un potere gerarchicoe relazionale da parte di quanti, nell'organizzazione, ne dispongono.

Per poter perseguire tale obiettivo implicito risulta evidente che la viamaestra è quella che passa per una spersonalizzazione della base organiz-zativa, attuabile — da un punto di vista sociologico — attraverso l'irrigidi-mento di norme e procedure nonché — da un punto di vista più prettamentepsicologico — attraverso l'affermazione di un modello antropologico dico-tomico in cui l'espressione pubblica dell'individuo, nello specifico quellalavorativa, e quella privata seguono regole funzionalmente differenti.

Conseguenza pratica della prospettiva burocratica sarà dunque il costi-tuirsi di gruppi, all'interno dell'organizzazione, dotati differentemente dipotere. Tali gruppi, solo teoricamente di pari, saranno la proiezione oriz-zontale di una rigida gerarchia verticale. Il modello del potere relazionale —dominante — verrà imitato dalla base dell'organizzazione cercando di per-seguire diverse forme di vantaggio di un gruppo o di una categoriasull'altro.

L'obiettivo dichiarato della Kanter, dunque, è quello di recuperare losvantaggio di alcune categorie di persone (in particolare quella delle don-ne) all'interno delle aziende. Secondo l'autrice infatti tale svantaggio coin-cide con la condizione di mancanza di potere, causato appunto da una or-ganizzazione burocratica.

A partire da questi primi studi, ben presto l'empowerment diventò unconcetto assai popolare nella letteratura manageriale e organizzativa finoad assumere caratteristiche di un "concetto ombrello", abbastanza ampio dacontenere tra le sue "stecche" infinite accezioni e infmiti collegamenti. Ci-tiamo a mo' di esempio quattro possibili categorie di significati entro cui sipuò far ricadere il concetto di empowerment nelle organizzazioni.1. Empowerment come responsabilità diffusa. Nei modelli di qualità totale

spesso viene utilizzato il termine per intendere l'inevitabilità di un de-centramento decisionale nel processo produttivo. In questo senso, il la-

1. In effetti lo stesso Merton nota, accanto all'attuazione esplicita ed organizzata dicomportamenti subalterni — finalizzati al perseguimento lineare degli scopi organizzativi —,il possibile manifestarsi di uno "spirito di corpo" — latente — che può portare ad azioni didisturbo verso i superiori gerarchici; ad esempio, mediante la mancata trasmissione di in-formazioni necessarie al raggiungimento degli scopi comuni.

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voratore non può più essere un mero esecutore, ma deve agire respon-sabilmente, talvolta anche in autonomia, nella sua azione.

2. Empowerment come elemento della leadership. Spesso si sente dire chenelle nuove organizzazioni che il leader non può più limitarsi ad essere"democratico" o "partecipativo" o "orientato alle relazioni", ma deveessere "empowering", intendendo con questo termine la capacità di sti-molare l'assunzione di responsabilità, l'autonomia , la creatività deipropri collaboratori.

3. Empowerment nel Business Process Reengineering. Nei processi di re-ingegnerizzazione organizzativa il termine viene inteso come allarga-mento — tendenzialmente a tutti nell'organizzazione — della capacità diproblem solving. In questo senso l'empowerment porta ad uno sposta-mento del focus da un know how "esperto" al know how diffuso edelementi di successo diventano i sistemi di learning organization e dimappatura del know how.

4. Empowerment come cambiamento. Nelle organizzazioni in cambia-mento empowerment diventa sinonimo di interiorizzazione individualedel cambiamento stesso. In altri termini lo sviluppo della persona vieneconsiderata il prerequisito per il raggiungimento di una condivisioneesperienziale delle nuove modalità di funzionamento dell'organizza-zione.

Purtroppo dobbiamo rilevare che spesso questo eccesso di accezioni, si-gnificati, collegamenti non porta vantaggio reale alla comprensione e allavalutazione del concetto di empowerment. Anzi, ci pare talvolta di leggeretra le righe una sottile diffidenza oppure un pregiudizio un po' cinico cheporta i membri delle organizzazioni ad avere, nei confronti dell'empo-werment, il medesimo atteggiamento che vi fu — 50 anni prima — nei con-fronti della scuola delle relazioni umane: un modo "soft" per addolcire ladurezza di fondo delle organizzazioni.

In questo senso, la lettura più ingenua, ma più diffusa, sembra esserequella di un "gasamento", un po' terapeutico e un po' manipolatorio, neiconfronti delle persone che, altrimenti, verrebbero schiacciate da una orga-nizzazione che pretende sempre di più in termini di tempo, di energie edanche di affetti. Non vogliamo ignorare questa possibilità, tuttavia credia-mo che questa forma sia ultimamente un vantaggio per le persone, ancheprobabilmente per noi quando ci costringe a una ristrutturazione del con-cetto stesso al fine di identificarne i principi ed i limiti.

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In letteratura (Piccardo, 1994; 1995) possiamo trovare prevalentementedue differenti interpretazioni del processo di empowerment della persona.1. Secondo la prima, il processo di empowerment si avvia a partire

dall'identificazione delle cause dell'inadeguata sensazione di poterepersonale (powerlessness). In questo senso, la riduzione di tale sensa-zione negativa viene perseguita attraverso strategie particolari che sonoappunto strategie di empowerment. Da questo punto di vista qualunquestrategia che si propone di ridurre la sensazione d'inefficacia è dunqueuna strategia di empowerment. Il punto critico nel processo, che la Pic-cardo sottolinea nel suo schema, sta nella verifica della persistenza, cioèdella costanza nel tempo di tale riduzione.

2. In una seconda intepretazione, l'empowerment prende il via da una va-lorizzazione dei punti di forza già presenti nel soggetto, attraversol'identificazione delle aree di risorse da ottimizzare. Il passo operativo èdato dalla ricerca e dalla sperimentazione di strategie di aumento delpotere personale centrate su tali aree. Sarà tale sperimentazione checonsentirà poi di consolidare l'esperienza di successo che farà aumenta-re il livello di empowerment nell'individuo.

Se pure — a nostro avviso — l'empowerment è un approccio alla personae, in quanto tale, il punto di partenza per esso è comunque un processo diself empowerment, dobbiamo considerare che la persona sganciata dal suocontesto di relazione rischia di essere percepita come un ente astratto.

Volendo invece considerare la categoria dell'empowerment come unelemento applicativo, dobbiamo inevitabilmente affrontare la persona nelgioco delle sue relazioni. In questo senso, in letteratura troviamo diversetipologie di empowerment, differenziate in relazione al proprio contestosociale di riferimento.

Come dicevamo il punto di partenza risulta essere sempre l'individuo,ma l'unità basica applicativa diventa l'individuo in rapporto con il propriogruppo, la propria organizzazione, la propria comunità o, addirittura, con lasocietà.

Vogliamo dunque — di seguito — provare a fornire alcune linee, descrit-tive ed applicative, delle differenti tipologie di empowerment in relazione aquesti diversi contesti relazionali.

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2.1. Empowerment di gruppo

Al di là del "potenziamento" delle singole persone si può pensare ad unempowerment del gruppo in cui le persone sono inserite? La questione nonè banale dato che numerosi autori hanno messo in evidenza come il grupporappresenti un oggetto sociale 'altro' rispetto alla semplice sommatoriadelle caratteristiche personali dei suoi membri. Se — pure — intendiamo pergruppo un insieme di persone in interazione reciproca che agiscono per ilraggiungimento di un fine comune, possiamo evidenziare alcune caratteri-stiche che ne fanno un oggetto unitario: lo sviluppo di dinamiche specifi-che al suo interno — in particolare riferibili ai meccanismi d'identificazione,appartenenza e motivazione —, la peculiarità dei suoi processi di comunica-zione e relazione rispetto alla interazione diadica, la presenza di fattoriformali e/o informali legati all'esercizio della leadership, le diverse meto-dologie utilizzate nel problem solving e nel decision making rispetto aquelle in uso a livello individuale sono solo alcune delle caratteristiche chefanno di un aggregato di diverse personalità un vero e proprio gruppo.

In ambito lavorativo l'esempio più eclatante di empowerment di gruppoè rappresentato dai cosiddetti "gruppi di lavoro auto gestiti". Questo tipo diorganizzazione del lavoro costituisce — peraltro — l'applicazione aziendalepiù nota e diffusa dell'approccio empowerment; in lingua inglese viene de-nominata con la sigla SDWT, Self Directed Work Teams, ovvero col termi-ne empowered teams. Si concretizzano infatti applicativamente quasi tutti iprincipi di base dell'empowerment organizzativo. La definizione di gruppoautogestito, o empowerizzato, è data dalla presenza almeno dei quattrofattori seguenti:a. "ricomposizione dell'intero processo-risultato". Il gruppo è responsabile

di tutte le attività di un intero processo produttivo e del suo risultato:misurabile, significativo, da consegnare a cliente (esterno od interno)ben individuato;

b. "autogestione del gruppo". Il gruppo è responsabile anche degli aspettidi gestione (almeno quelli di solito di competenza del capo intermediodi l° livello). All'interno del gruppo non c'è un vero e proprio capo, maè designato un "facilitatore", a volte fisso a volte a rotazione: parecchigruppi fanno riferimento ad un unico capo di livello superiore.La quantità-qualità delle funzioni di gestione diventate di competenzadel gruppo, è nella realtà variabile: dalla programmazione del lavoro(sicura), alla innovazione dei metodi di lavoro (spesso), alla gestione diassunzioni e premi economici (per adesso quasi mai in Italia).

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Tendenzialmente è richiesto ad ogni membro del gruppo di saper faretutte le attività. Questo è comunque un obiettivo tendenziale: all'iniziosono necessari diversi mesi di training on the job per allargare progres-sivamente lo spettro delle competenze delle singole persone;

c. "strumentazione": il gruppo ed i suoi membri dispongono di maggiori-migliori strumenti (anche informatici), per poter svolgere il lavoro conmaggiore autonomia e per avere visibilità immediata dei risultati;

d. "salto di qualità": i risultati raggiunti sono generalmente più ampi(quantitativamente e qualitativamente) di quelli prima permessi dallasommatoria degli individui nell'organi7z2zione tradizionale.

2.2. Empowerment organizzativo

Sempre più frequentemente si legge e si sente parlare di organizzazione"empowerizzata" o "empowerizzante". Generalmente — come abbiamo giàvisto — ci si riferisce con questi termini a modelli organizzativi particolar-mente focalizzati sull'autonomia e la responsabilizzazione delle diversepopolazioni aziendali. Anche dal punto di vista strutturale l'empowennentorganizzativo provoca delle conseguenze importanti, di solito rispetto alletradizionali strutture gerarchiche, nelle aziende che seguono un modelloorientato all'empowennent c'è la sicura diminuzione di almeno un livellogerarchico, rispetto alla organiz72zione tradizionale del lavoro. Spesso — intali aziende — ci si collega ad un modello più ampio di lean organization.

Dal punto di vista degli strumenti organizzativi, oltre a quello rappre-sentato dai self directed work teams, ci sono ormai numerosi altri esempi diapplicazioni per l'empowerment organizzativo, di seguito ne riportiamoalcuni.

2.2.1. Salti di qualità e discontinuità organizzative, con un fortecoinvolgimento delle risorse

Quando si vogliono realizzare veri e propri salti di qualità aziendali, lacultura dell'empowerment fornisce il supporto più efficace e coerente per ilcoinvolgimento delle persone e per lo sviluppo delle risorse umane. Esem-pi di aree di salto di qualità, sono dati dalle tipiche voci del business pro-cess reengineering: aumento del livello di servizio, diminuzione dei costi,miglioramento della qualità, riduzione dei tempi. Tendenzialmente si cor-

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rela con l'uso dell'approccio dell'empowerment anche la contemporaneaintroduzione e implementazione di modelli innovativi di organizzazione,quali: lean organization; concurrent engineering; just in time; organizza-zione per processi.

Rispetto all'approccio della qualità totale, l'approccio dell'empower-ment (che spesso lo segue e lo continua) aggiunge e valorizza l'aspettodelle possibilità di "discontinuità" per consentire salti di qualità, rivelatisinecessari in tempi rapidi.

Negli approcci tradizionali, le discontinuità organizzative sono di solitostudiate e realizzate dal management o da gruppi ristretti: nell'approcciodell'empowerment è invece prevista la mobilitazione di "nuove" risorse daparte della maggioranza del personale (non quindi solo quello di vertice), ilquale viene coinvolto nei salti di qualità in due modi:+ a priori, in fase di studio-progettazione-preparazione, partecipando a

gruppi di studio, apposite azioni formative, iniziative speciali consi-stenti (come già nella tradizione dello sviluppo organizzativo);

• in fase di realizzazione, mobilitando per tutti e per ciascuno anche ele-menti fortemente innovativi quali: nuove competenze, capacità, respon-sabilità; nuove attività; nuove strumentazioni disponibili e più ampi ri-sultati richiesti; nuove modalità di gestione e sviluppo del personale;nuovi sistemi di cooperazione; nuova organizzazione del lavoro, spessoin gruppi autogestiti.

2.2.2. Management by vision e carte dei valori

Secondo l'approccio dell'empowerment, il primo compito del manage-ment (a tutti i livelli, anche infine della singola persona rispetto a se stessa)è di costruire, comunicare, partecipare una "vision" del futuro aziendaleemozionante, positiva fino ai limiti del possibile, capace di consentire dirispondere a domande quali "perché fare fatica? Perché rischiare?".

Si tratta anche di creare la possibilità di aggregazione attorno ad uncontratto psicologico condiviso: è come se ad ognuno si dicesse: abbiamoquesti scopi e questa visione del futuro, crediamo in questo modo di lavo-rare insieme, ci siamo scelti queste regole e abbiamo fede in queste cose:vuoi venire a lavorare con noi?

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2.2.3. Percorsi di sviluppo individualizzato

L'orientamento all'empowerment suggerisce di sviluppare sistemi chetrattino ogni persona come un elevato potenziale; d'altro canto ogni perso-na è chiamata a ritenersi responsabile primaria del proprio sviluppo inazienda.

Le risorse umane a tutti i livelli non sono quindi più gestite solo per fa-sce, ruoli, livelli, categorie, gruppi professionali, ma anche come persone,essendo ognuna considerata come un mondo completo e complesso e di-namico in se stessa.

2.3. Empowerment di comunità

Alcuni autori — come abbiamo visto — ritengono che il concetto di so-cietà sia un concetto astratto, sganciato da una reale implicazione conl'innata relazionalità umana. Secondo questi autori, la società sarebbe uncostrutto artificiale, caratterizzato da una normatività meccanica frutto diun "contratto" esterno alle persone che-ne partecipano; al contrario la co-munità — unità basica elementare della vita sociale — troverebbe il suo fon-damento in un sistema di valori, esperienze, credenze "naturalmente" pre-senti e condivise tra i propri membri. La comunità, e in particolar modo lacomunità locale, sembrerebbe in tal senso luogo privilegiato di empower-ment attraverso l'attivazione dei propri membri e lo sviluppo della loro ca-pacità di incidere sulla realtà (Martini, Segui, 1988).

In questa prospettiva l'empowerment di comunità si configura come unprocesso che, attraverso un incremento delle risorse utilizzabili per risolve-re problemi personali e comuni ed assumere decisioni a riguardo nonchéuna facilitazione della partecipazione attiva nelle decisioni collettive (fmoal livello della partecipazione politica), porterà i membri della comunità aduno sviluppo della propria percezione di potere, ad uno sviluppo del pro-prio sentimento di appartenenza alla comunità, più in generale, ad una piùampia attivazione personale.

Strumenti tipici dell'empowerment di comunità sono le consulenze fi-nalizzate all'identificazione ed all'implementazione di "reti" relazionaliche supportino la persona e la sua comunità nelle strategie di by-pass deiproblemi e dei disagi emergenti e — di conseguenza — nel processo di em-powerment.

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7. Formazione incisiva*

Vogliamo qui aggiungere qualche risposta in più a domande, importantiper i formatori di professione, quali:

come si fa a progettare la formazione tenendo conto dell'iter del proces-so di apprendimento e traendone indicazioni guida non solo teoriche maanche operative;come instaurare un rapporto vivifico con la committenza;

- come perseguire una relazione soddisfacente, efficace e valorizzante traformatori e usufruitori (qui ci riferiamo soprattutto alla formazioned'aula);come rendere il "fare formazione" più gratificante per i diversi attori,formatori compresi.

Partiamo qui da alcune ipotesi, che svilupperemo nei paragrafi succes-sivi, emergenti applicando l'approccio dell'empowerment alla formazione:• che la finalità operativa di un processo formativo sia definibile come

quella di aiutare le persone ad aprire per sè una nuova possibilità (ograppolo di nuove possibilità);

• che il ruolo della formazione e del formatore siano quelli di facilitatoridi questo percorso, di cui il soggetto è inevitabilmente il protagonista

• che il risultato della formazione, in quanto "apertura di nuove possibi-lità", sia abbastanza facilmente misurabile e specifico;

• che per migliorare l'efficacia della formazione e dei formatori, si possautilizzare anche il modello di lettura del self empowerment, ovvero delprocesso di apertura di nuove possibilità, risultando così più facile

• Nel presente capitolo sono rielaborate anche alcune delle tematiche contenute nel sag-gio di M. Bruscaglioni "Formazione Empowerment", nella rivista Adultità (2,1995) direttada Duccio Demetrio (Guerini e Associati).

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l'individuazione dei passaggi e delle componenti chiave dell'apprendi-mento-empowerment, potendosi così organizzare la didattica facilitatri-ce sui punti cruciali.

1. Apprendimento come potenziamento: la progettazionequadri-componenziale della formazione

Il risultato dell'apprendimento può essere letto come acquisizione diuna o più nuova possibilità da parte del soggetto: né cambiamento, ancora,né stabilità, ma un terzo tipo di variazione che è quella dell'aumento dipossibilità tra cui la persona può attingere e scegliere.

Il processo di apprendimento può essere letto come processo di self em-powerment. Abbiamo verificato questa ipotesi in innumerevoli aule edazioni formative. Sono infatti fondamentali e simili i fattori in gibco: risor-se, strumenti, competenze da acquisire all'esterno; risorse interne (alla per-sona) da elaborare e problemi storici da superare; pensabilità nuove daaprire e da rendere positive; desideri e voglie da mobilitare; esigenze e ne-cessità di cui tenere conto.

L'assimilazione del processo di apprendimento a quello di empower-ment ha il grosso pregio di fornire chiarezze nuove su quelle che sono ledinamiche fondamentali in gioco nell'apprendimento e nella formazione;su come se ne favorisce l'evoluzione e l'esito favorevole; su come si deve-no fornire diversi tipi di contributo in diverse fasi del processo.

Soprattutto si evidenzia come l'intero percorso di apprendimento sia dasupportare con quattro componenti di formazione, caratterizzate per obiet-tivi diversi e per specifiche metodologie — risorse — set da utiliz72re:I) formazione <orientamento» (obiettivo: costruzione di pensabilità posi-

tiva della nuova possibilità e di sè in essa);li) formazione «competenza» (obiettivo: acquisizione di competenze,

metodologie, strumenti);formazione «elaborazione» (obiettivo: aggirare i propri ostacoli sog-gettivi mobilitando e usando le proprie energie e risorse positive miglio-ri);

IV) formazione «azione» (obiettivo: sperimentare nell'azione la nuovapossibilità, in modo seppur parziale e reversibile).

Che si parli di una sola giornata di formazione o di un lungo percorso inpiù moduli, il modello dell' empowerment suggerisce che queste siano co-

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munque le quattro componenti o fasi fondamentali: più o meno mescolatetra loro, più o meno distinte e sequenziali o circolari.

È utile evidenziarle perché (anche riferendosi solo alla didattica d'aula),portano a prevedere l'articolazione della formazione in quatto distinti tipidi metodologie, risorse, funzioni e attività del formatore-facilitatore, set di-dattici.

Ci riferiremo implicitamente a oggetti di applicazione della formazionequali: nuova organizzazione del lavoro e nuovo ruolo-professionalità inimpresa; nuova organizzazione della didattica nella scuola e corrispondenteformazione insegnanti; preparazione al profilo nella scuola professionale;sviluppo di una nuova skill sul lavoro.

Il formatore è allora focalizzabile essenzialmente come un organizzato-re di «concentrazione» di risorse per l'apprendimento-empowerment; cosìcome la formazione organizzata è concepibile come concentrazione otti-male di risorse per l'empowerment delle persone; risorse, secondo lo sche-ma esposto di quattro tipi: di tipo orientamento, di tipo competenza, di tipoelaborazione, di tipo azione.

1.1. Formazione orientamento

Principali indirizzi e metodologie (per ottenere l'obiettivo della costru-zione di nuova pensabilità positiva, della innovazione-possibilità realizzatae del soggetto positivamente in essa):• organizzare l'incontro con persone-testimoni che vivono e conoscono

l'innovazione già realizzata (la "pensabilità" viene così "materializ-zata");

• spiegare bene, molto bene, com'è la nuova organi77azione e/o ruolo e/ometodologia e/o capacità esercitata. La costruzione di pensabilità ha in-fatti bisogno di molte informazioni ed elementi di conoscenza prefigu-rativa;

• aiutare le persone, in questa prima fase di orientamento, a immaginaresituazioni future e desideri realizzati senza porsi per adesso, il problemadel come e delle risorse per arrivarci;

• ancora prima, "rimobilitare" la funzione desiderante dei soggetti. Lad-dove ciò fosse spontaneamente difficile (quando per esempio la nuovapossibilità è richiesta per iniziativa dell'organizzazione più che dellepersone), la mobilitazione dell'io desiderante può per esempio esserefacilitata stimolando il ritorno al passato (quali desideri si avevano per

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esempio all'inizio del lavoro o al momento del passaggio all'attualeruolo); oppure facilitando il salto nel futuro (quali sogni non impossibi-li, quali visioni, quali salti di qualità sono desiderabili come realizzatifra tre o cinque anni);

• aiutare quindi a focalizzare i bisogni, le necessità, i problemi, le pres-sioni percepite dall'esterno, e aiutare a evidenziare i punti di incontrocon i suddetti desideri e sogni. Valorizzando anche l'analisi degli "inter-venienti", cioè dei fattori di novità emergenti nell'ambiente e nella per-sona stessa;

• anticipare in parte la successiva fase della formazione «elaborazione»,aiutando le persone a lavorare su quelle proprie difficoltà soggettive chesi opponessero anche alla sola formulabilità di pensabilità del nuovo;

• fornire il panorama, il quadro generale, la vision d'insieme in cuil'innovazione si pone; spiegare bene i come e i perché; collegare pas-sato-presente-futuro;

• accentuare gli aspetti positivi del nuovo; o almeno astenersi dal"criticismo" socio-universal-esistenziale che, apprezzabile da moltipunti di vista, non aiuta però il soggetto nel suo sforzo di immaginarepositivamente il futuro e, soprattutto, se stesso "bello" nel futuro.

set didattico della formazione orientamento è di tipo "comunicativo",con più interazione possibile tra chi espone nuova pensabilità e chi la stacostruendo.

1.2. Formazione competenza

Costituisce l'aspetto più evidente e tradizionale della formazione.L'approccio dell' empowerment si limita a raccomandarne il collegamentocon le altre fasi e componenti del processo di empowerment: senza talecollegamento, infatti, questa fase impegnativa dell'acquisizione di compe-tenze rischia spesso di cominciare bene ma poi di arenarsi presto di frontealle difficoltà e alla fatica che quasi inevitabilmente richiede.

set è spesso quello didattico, più o meno tradizionale o attivo.L'approccio dell' empowerment aiuta a ricordare alcuni utili accorgimenti:• utilizzare la pensabilità positiva come guida costante al lavoro di acqui-

sizione di competenze (con percorso quindi inverso, rispetto a quellodella didattica tradizionale: la quale parte dalle basi per arrivare solo infondo al prodotto finito e alla sua rappresentazione-pensabilità);

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• ricollegare, il più spesso possibile, il faticoso lavoro delle competenzealla mobilitazione iniziale della funzione del desiderio: infatti, se so-spinta solo da bisogno/necessità, la persona rischia di fermarsi presto,accettando di pagare il prezzo previsto. La forza del desiderio, invece,in un certo senso "non molla mai" (si pensi a ciò che quasi tutti fannoper un uomo o una donna desiderata; o per crescere un figlio; o per unabella vacanza; o per uno sport; o per una convinzione morale o ideolo-gica amata);insegnare anche la competenza dell'instaurare rapporti con quelle per-sone, quelle sedi, quelle istituzioni che costituiscono risorse importanti,è per certi versi indispensabile: prima per crescere e maturare nuovepossibilità, poi per realizzarle;

• individuare quali specifici passaggi (della costruzione di competenze)risultano più difficili per gli allievi: spesso il docente propone infatti uncammino lineare-uniforme, mentre invece gli allievi perdono contattosu uno o pochi passaggi cruciali (ma da lì in poi il processo di appren-dimento s'interrompe);

• dare più feedback possibile: in modo che la persona si renda conto nonsolo di ciò che ancora manca, ma anche di ciò che ha già realizzato; se-condo la lettura dell'empowerment, l'abbandono nella costruzione dicompetenze e nella ricerca di risorse è dovuto soprattutto allo scorag-giamento precoce per la lentezza nella percezione di raggiungimento deirisultati.

1.3. Formazione elaborazione

È la componente più psicologica della facilitazione dell' empowerment edella formazione: spesso le persone (o le popolazioni) sono bloccate, neicomportamenti nuovi e ancor prima nel loro apprendimento-sperimen-tazione, da ostacoli soggettivi quali: paure antiche; sfiducia nelle propriecapacità; indebolimento della speranza; convinzioni persistenti anche sesuperate dai fatti; collegamenti emozionali cristallizzati; cecità di fronte anuove risorse interne personali e/o a nuovi fattori sociali.

La fmalità della formazione elaborazione è quella di aiutare ad «aggira-re» tali ostacoli personali soggettivi, aiutando a mobilitare e usare al me-glio quelle risorse ed energie positive della persona che consentono il by-pass.

A livello di metodo sono fondamentali:

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le tecniche di discussione di gruppo, che hanno un forte beneficio stati-stico;la consulenza individuale (effettuata per esempio in formazione tramitela tutorship anche individuale) che consente di fornire un aiuto moltospecifico e a volte decisivo.L'approccio dell'empowerment, a differenza di altri modelli psicologici,

si pone come obiettivo quello dell'aggiramento o "salto" dell'ostacolo, perottenere ciò che è desiderabile in quel momento e rispetto allo specificooggetto: senza pretendere di andare a risolvere il problema di fondo. Il con-sulente cerca quindi nel soggetto soprattutto i punti di forza, le risorse e lecapacità (magari maturate nel prosieguo rispetto al momento in cui il pro-blema si era formato molto tempo prima), le energie fmora trascurate.

set formativo didattico tipico è, per questa componente del processo,quello della discussione di gruppo, possibilmente con l'appoggio della con-sulenza individuale. Il formatore è soprattutto tutor, counselor, coacher.L'atmosfera è leggermente psicologica.

La ricerca è soprattutto quella della forza, con cui affrontare e bypassarela debolezza (accettare e comprendere fattori e aree di debolezza, ma alloscopo di poter procedere verso il desiderio, evitando di finire col valorizza-re di sé debolezza e sofferenza e impotenza).

1.4. Formazione-azione

La nuova possibilità risulta aperta solo quando la persona l'ha anchesperimentata. La formazione considera quindi il passaggio alla sperimenta-zione-azione come parte integrante del proprio processo operativo (nonsolo come fase successiva, del dopo-formazione). La formazione-azione hacome obiettivo quella di fare sperimentare la nuova possibilità, di aiutare lapersona a provare il salto dal sapere all'agire. Il set è dunque di azione,prima di formazione e poi sul lavoro.

La sperimentazione-azione è di due tipi, in due fasi successive:A) una di tipo molto parziale, quando non addirittura solo simbolica o

analogica: deve avvenire molto presto, subito a valle della costruzionedi pensabilità positiva e prima ancora dell'impegnativo processo di ac-quisizione di competenze;

B) una di tipo applicativo sul campo, concreta anche se ancora parziale (lasperimentazione deve essere infatti comunque «reversibile», non deveancora diventare cambiamento).

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Esempi di metodologie:o in fase precoce di formazione, far «provare» il risultato finale tramite le

metodologie attive d'aula;o far fare atti e piccole cose simbolicamente importanti, in aula e/o fuori:

anche per "vedere l'effetto che fa" e aiutare la persona e il gruppo adavere più informazioni su di sè;

o impostare dettagliatamente, in sede di formazione, sperimentazioni eazioni da svolgere sul campo. La progettazione di tali sperimentazioni,fatta dal soggetto assistito dal formatore, deve essere molto accurata:non è solo del tipo "vai e prova ad applicare quello che hai imparato";

o organizzare attività ben impostate, assistite, verificate, quali: stage, pro-getti sul campo; ricerche; prove di applicazione di nuove metodologie;uso sperimentale di nuovi strumenti e/o nuovo uso di vecchi strumenti.

Per organizzare la sperimentazione-azione di tipo A, molto iniziale, insede di formazione, alcuni indirizzi e criteri guida importanti per il forma-tore sono:• usare le esercitazioni attive d'aula per provocare esperienza positiva di

successo; riuscire (il formatore) a far fare all'allievo l'esperienza di"esserci riuscito". Questo approccio è molto diverso da quello tradizio-nale, molto diffuso (anche nelle esercitazioni psicosociali), che tende afar acquisire soprattutto consapevolezza degli errori;

• le tecniche didattiche attive (per esempio di ricerca d'aula e consulenzad'aula o di role playing, o di analisi dei casi) vedono quindi nel forma-tore lo spirito non di "caccia all'errore" ma di "caccia al punto di forza"e alla facilitazione della sperimentazione di successo;

• cercare quelle capacità-aspetti-attività (da evidenziare nelle esercitazio-ni attive) che per loro natura sono piccole ma svolgono un ruolo cru-ciale nell'intero processo, magari anche solo a livello simbolico o ana-logico. Esempi: provare a scrivere il proprio curriculum (se il desiderioè di cambiare lavoro); simulare il rapporto con un cliente caricaturizzato(troppo fantastico o troppo tragico); costruire e illustrare agli altri unmanifesto di promozione del proprio nuovo progetto; spingere a fare, inaula o fuori, atti impensabili e/o apparentemente privi di senso, che peròprocurano esperienza nuova simbolica importante.

Per l'impostazione della sperimentazione-azione di tipo B, progettata inaula ma realizzata on the job, alcuni indirizzi e criteri guida importanti peril formatore sono:

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• analizzare e usare risorse già presenti nell'organizzazione: senza in-ventare tutto ex novo, ma inserendosi invece innovativamente in ciò chegià c'è ma che veniva trascurato (le organizzazioni moderne sono ricchedi know-how e innovatività poco usati: nei sistemi di gestione, nellepersone, negli avvenimenti);

• stare attenti a rimanere nel campo della sperimentazione «reversibile»tutto ciò che si richiede di fare deve avere un termine temporale ben de-finito: dopo di che la possibilità è aperta, potendo il soggetto o andareavanti o tornare indietro;

• abbattere temporaneamente le barriere tra lavoro e apprendimento, fraformazione off e on the job, utilizzando la grande quantità di risorsespontanee che si aprono per l'apprendimento-formazione;

• studiare come avviene il processo spontaneo di apprendimento senzaformazione (learning organizzativo spontaneo) e inserire le sperimenta-zioni per saggiare come esso possa avvenire più velocemente e più con-cretamente e a minor costo.

2. Incisività nell'operatività del formatore

Se nel paragrafo precedente si è parlato a lungo di progettazione e me-todologie formative (basate sul modello dell'apprendimento letto comeprocesso di empowerment), in questo paragrafo si vogliono, più sintetica-mente, proporre alcuni indirizzi (suggeriti dall'approccio dell'empower-ment) che riguardano altre fasi operative del processo formativo e aspettidel lavoro e della strategia del formatore.

2.1. Analisi dei bisogni ma anche dei desideri

Tradizionalmente l'analisi dei bisogni è analisi dei "gap", delle lacune emancanze, di ciò che dovrebbe esserci ma non c'è e che si vuole la forma-zione faccia esserci.

In sintesi, alcune aggiunte importanti che proponiamo sono:analizzare i bisogni, ma anche i "desideri", individuali e collettivi. Ciòche dovrà essere il futuro, nelle organizzazioni, è infatti determinatodalla soddisfazione attuale di bisogni e dalla risoluzione degli attualiproblemi, ma anche e soprattutto dalla realizzazione di desideri, dellevision, dei sogni non impossibili individuali e collettivi dei membri

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dell'organizzazione. Se analizziamo le organizzazioni aziendali di oggi,ci accorgiamo che molte di esse corrispondono quasi fedelmente ai de-sideri e alle visioni che i manager e le persone più illuminate avevanoquindici anni fa (sarebbero allora stati tacciati di onnipotenza e/o infan-tilismo dall'analisi dei bisogni tradizionale);

• analisi dei punti di debolezza, delle lacune, della "bottiglia mezzo vuo-ta", ma anche analisi della "bottiglia mezza piena", dei punti di forza,delle risorse che ci sono. Infatti, quasi per definizione, si può comunquelavorare operativamente su ciò che c'è, non su ciò che manca: le risorsepresenti (utilizzate, potenziate, rivitalizzate, riorientate) possono portarea sostituire-generare le risorse assenti; con ciò che non c'è, che manca,invece, non si può fare niente;

+ analisi dei bisogni come analisi dei punti di arrivo necessari (B finale,diverso da A iniziale attuale), ma anche analisi del «come» si può pas-sare da A a B. Altrimenti si cade nella formazione del come dovrebbeessere, bella e "teorica". L'analisi dei "come" si può passare dall'attualeall'auspicato facilita anche l'individuazione relativa agli "interve-nienti": dei fattori cioè innovativi (già presenti ma trascurati, oppure invia di formazione) che renderanno possibile ciò che è o era impossibile;

• analisi dei bisogni come analisi dell'"auspicato" (singolare) ma anchedei diversi possibili auspicati (plurale). Infatti, ciò facendo, sicuramenteaumenta la probabilità di azzeccare ciò che dovrà essere in futuro. Masoprattutto aumenta l'attenzione ai cambiamenti "micro" che concretiz-zeranno i cambiamenti "macro". Operativamente ciò significa indivi-duare il punto d'arrivo auspicato B (dell'organizzazione, o del ruolo, odella professionalità), ma individuare anche delle alternative, menoprobabili ma possibili: B', B", B". È probabile che esse ci guidino adaspetti specifici-micro importanti, anche se B davvero rappresentassel'esito vincente. Quante volte per esempio abbiamo previsto che sareb-be cambiato "tutto" in una certa direzione (B) e poi invece le cose sonorisultate assai più multiformi (B ma anche un po' di B' e di B")? Peresempio la professionalità: prima specialistica, poi tutta con l'accentogestional-manageriale, poi oggi con l'enfasi processuale, poi... In realtàè un gioco sempre complesso; "aggiuntivo" più che di cambiamento, diapertura di nuove possibilità e componenti più che drasticamente rivo-luzionario e unitario;

• analisi dei bisogni come misura dei gap che i corsi di formazione devo-no colmare, ma anche analisi di come l'apprendimento matura sponta-neamente nell'organizzazione e nel lavoro quotidiano: per vedere come

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la formazione può rendere tali modalità più veloci, più depurate di osta-coli ed errori sistematici, più efficiente. Anche qui il principio generaleè studiare non solo ciò che manca ma ciò che già c'è (il processo spon-taneo) per potenziare, aggiungere, facilitare.

2.2. Verifica dei passaggi cruciali e contributo alla valuta-zione dei risultati

Non entriamo qui nella complessa tematica della valutazione dei risul-tati formativi nella sua interezza, ma ci limitiamo a proporre due contributiguidati dalle domande chiave: "a chi e per cosa serve la valutazione dei ri-sultati formativi?"

2.2.1. I manager valutano la formazione come supporto allarealizzazione della visione

È chiaro che è giusto valutare le conoscenze acquisite, il cambiamentomigliorativo dei comportamenti, le performance, il cambiamento organiz-zativo.

Noi vogliamo qui focalizzare un ulteriore livello di valutazione: quellodel contributo alla realizzazione della visione aziendale. Ci sembra infattiche questo sia il criterio principale con cui i migliori manager valutanodavvero, e non a torto, i risultati della formazione.

Questa consapevolezza può aiutare i formatori ad individuare i sub ri-sultati principali, quali per esempio:• la conoscenza e comprensione della visione aziendale;• la specificazione della visione nelle conseguenze ai diversi livelli e ruoli

organizzativi;• l'apertura di nuova possibilità che consentano di perseguire la visione

davvero e non solo a parole;• l'acquisizione di nuove metodologie, tecniche, strumenti che la visione

richiede;• la cultura della cooperazione, in particolare i valori su cui si basa

l'integrazione delle persone nel lavorare insieme.È probabile infatti che i manager migliori, nonostante le dichiarazioni di

richiesta concretezza immediata, valutino soprattutto in vista di aiuto per-cepito verso il futuro. In fondo è plausibile che chi ha la responsabilità diguidare l'azienda verso una visione, che ne sintetizza risultati-progetto-

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valori, senta come prima esigenza quella di un aiuto alla preparazione econdivisione, delle persone in quella direzione.

2.2.2. La metodologia dei passaggi cruciali nella valutazionedella formazione fatta dai formatori

È noto come spesso misurare l'apprendimento possa non bastare (se poinon viene trasferito?); e come la misurazione del cambiamento fmale, onthe job, possa fornire una misura troppo poco precisa sul contributo speci-fico della formazione (influenza non misurabile dovuta a tanti altri fattori).Proponiamo, in aggiunta, la misurazione dei "passaggi cruciali": che puòessere più precisa e forse può fornire più importanti feedback all'analisi deibisogni e alla progettazione.

Esempi di passaggi cruciali:o quanto è aumentato nelle persone la «pensabilità» dell'innovazione

messa in atto (quanto le persone riescono a rappresentarla, a girare ilfilm di essa messa in atto nel futuro);

o quanto è aumentata la «positività» della pensabilità cioè la positivitàdella percezione di sé nell'innovazione una volta realizzata;

o quanto sono aumentate le competenze «cruciali»: non cioè tutte lecompetenze, ma proprio quelle particolari che permettono o bloccano ilprocesso spontaneo di apprendimento (si pensi per esempio alle tantepersone che interrompono l'apprendimento sul personal computer per-ché non hanno imparato certe operazioni di avvio e soprattutto di autoaddestramento);

o come sono migliorati alcuni fattori («elaborazione») psicologici rispettoall'oggetto di apprendimento-innovazione proposto, quali: la propria in-sicurezza; la speranza di poterci mettere del proprio; il timore o la ne-bulosità dei futuri rapporti con i ruoli contigui nel nuovo modo di lavo-rare; la rimobilitazione dell'Io desiderante, che fornisce l'energia indi-spensabile per poter andare a soddisfare bisogni, esigenze, problemi, ri-chieste;

o quanto è stato sperimentato almeno una volta, superando, l'inerzia-ostacolo del passaggio dall'apprendimento cognitivo alla prova-azionedella messa in atto (sia pur sperimentale e reversibile).

Si applica così in un certo senso anche alla formazione la tecnica delPERT (nota ai metodologi della programmazione): la quale evidenzia, tra

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le tante attività e passaggi, quelle cruciali per il risultato fmale: permetten-do di concentrare in modo privilegiato proprio su quei passaggi le energie ele risorse.

2.3. 11 contratto psicologico d'aula del formatoreempowering

formatore tradizionale si occupa dei "bisogni": dei suoi utenti-partecipanti, dei suoi committenti, delle loro organizzazioni. Ha anche,come ben noto, bisogno di essi: ha bisogno dei loro bisogni. Si occupa dibisogni, di lacune, di necessità, di problemi, di risorse che mancano.

formatore empowering ha un nuovo approccio e un nuovo modello dialleanza: si occupa di bisogni ma anche e forse soprattutto di desideri, dirisorse che ci sono, di punti di forza, di vision. Si occupa della forza: deisuoi partecipanti-utenti-clienti, dei suoi committenti.

Nel primo caso abbiamo, per scelta, partecipanti lacunosi e bisognosi,committenti bisognosi, formatore bisognoso (oscillante quindi poi inevita-bilmente e con l'opposto polo dell'onnipotenza).

L'alleanza tra deboli diventa invece tra forti, l'alleanza tra bisognosi di-venta tra desideranti. Partecipanti capaci e desiderosi, committente deside-rosi e capaci di vision, formatori desiderosi e operatori di empowerment.

Questo è un passaggio non indifferente per la psicologia e anche lastrategia della formazione e dei formatori.

Importante per il contratto psicologico è anche il passaggio (nella con-cezione dell'obiettivo operativo) da cambiamento ad apertura di possibilitàaggiuntive. La conseguenza più ovvia del formatore che ha come obiettivoil cambiamento è proprio l'evocazione aggiuntiva delle "resistenze" alcambiamento. Di qui il braccio di ferro, a volte infinito, con le resistenze alcambiamento con l'ovvia vittoria di queste ultime, data la natura del setpartecipativo e consensuale come è strutturalmente quella della formazione(per non parlare degli inevitabili interrogativi etico-metodologici).

L'approccio dell'empowerment propone invece come obiettivo l'aper-tura di possibilità: "aggiunta" di possibilità è valore tendenzialmente ac-cettato e riconosciuto da quasi tutti come positivo. E per far provare nuovepossibilità, il formatore può assai di più fare liberamente pressione e limi-tarsi di meno utilizzando tutte le sue risorse/capacità: dato che la trasfor-mazione della nuova possibilità in vero e proprio cambiamento sarà co-munque, come giusto, nelle mani degli attori protagonisti.

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Infine sottolineiamo come l'empowerment, cioè l'aumento di possibili-tà, rappresenti concettualmente un terzo polo tra «stabilità» e «cambia-mento». Le persone, le organizzazioni, i gruppi, soprattutto di adulti, sonosempre oscillanti, ambivalenti, desiderosi sia di cambiamento sia di stabi-lità. Questa condizione è particolarmente caratteristica dell'adulto: adultoche è portato alla stabilità, perché proprio l'adulto in quanto tale ha rag-giunto qualcosa che reputa valido, per cui ha a lungo lottato; portato alcambiamento, perché verso esso lo indirizzano i nuovi desideri e la forza dicui è consapevole e legittimato detentore e generatore.

Ci sembra allora che il concetto di empowerment (apertura di possibili-tà) possa costituire punto di snodo tra stabilità e cambiamento, e forse addi-rittura vero e proprio terzo polo capace di rompere l'ambivalenza e l'o-scillazione inevitabile tra queste due polarità in un certo senso troppo"fisse" se considerate da sole e senza alternative.

3. La comunicazione generativa

Il concetto e le metodologie della comunicazione generativa sono a no-stro parere importanti in molte situazioni: nelle riunioni di lavoro come neicolloqui, nell'orientamento (e nel counseling in particolare), e naturalmentenella formazione.

Proponiamo questo approfondimento qui, nel capitolo dedicato allaformazione, perché chi vi opera professionalmente e con passione non puònon conoscere e temere il pericolo di ripetitività, ritualità, scarsa incisivitàche talvolta affligge la comunicazione e i rapporti nelle aule: in particolaretra "docente" e "partecipanti".

Nella nostra prassi professionale di formatori , noi crediamo che si deb-ba prestare molta attenzione anche alle persone singole, una per una, nonsolo al "gruppo", e che debba essere il più possibile generativa anche lacomunicazione tra formatore e "ciascuna" delle persone partecipanti.

"Comunicazione generativa" è quella attività di comunicazione il cuirisultato è la costruzione e acquisizione di elementi nuovi da parte dei co-municanti': elementi che, prima della comunicazione, non erano ancora in

1. Si parlerà qui di comunicazione tra "due" persone, per motivi di semplicità e chiarez-za: il riferimento è però a situazioni anche di più interlocutori e di gruppo, purché faccia afaccia tra di loro.

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possesso consapevole di nessuno di loro. È cioè quella comunicazione checrea "nuove" informazioni2.

Fig. 1

IN ENTRATA IN USCITA

A con aA con a attività di

comunicazione13 con D ••

-->conferma del rap-porto tra A e B

B con b • "CONFERMATIVA"

A con a A con (a+b)attività dicomunicazione•

B con b • "SCALI BIATIVA" B con (b+a)

A con a A con (a+c')attività dicomunicazione• •

B con b "GENERATIVA" B con (b+c") ••La comunicazione "generativa" si distingue da altri due tipi di co-

municazione:• la comunicazione "scambiativa", il cui risultato è la messa in comune

di informazioni che precedentemente aveva solo uno dei comunicanti.Quando si parla tout court di "comunicazione", si pensa generalmentealla comunicazione scambiativa (comunicare come "mettere in comu-ne")

• la comunicazione "confermativa", il cui risultato non è scambio di in-formazioni ma la conferma di un rapporto preesistente tra i comunicanti(tipico esempio quello della famiglia d'origine con figli in età adulta).

2. Quando si dice "informazioni" s'intendono le informazioni vere e proprie ma anchealtri "elementi" che nella comunicazione vengono scambiati o generati quali: idee, signifi-cati, percezioni, emozioni, progetti, tendenze all'azione, valorialità, convinzioni, modelli,atteggiamenti, motivazioni.

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Volendo, più che differenziare;-mettere invece in evidenza la copresen-za delle tre "componenti":

Fig. 2

A con a

B con b ••

attività dicomunicazione

"COMPLESSIVA"

A con (a; parte di b; ci>

B con (b; parte di a; c") •

Evidentemente la comunicazione confermativa, quella scambiativa equella generativa possono essere considerate sia come tre tipi diversi dicomunicazione (come qui facciamo per motivi di chiarezza e di utilizzi ap-plicativi); sia come tre componenti dello stesso unico processo di comuni-cazione.

Vediamo subito alcuni esempi di aree generali tradizionalmenteprivilegiate dei tre tipi di comunicazione:D comunicazione confermativa

dialoghi tra genitori e figli, specie se già anziani gli uni e adulti glialtri;dialoghi tra innamorati,dialoghi cosiddetti "tra sordi",conversazione salottiera,gruppo di lavoro con conflittualità prevalente,comitato di rappresentanti;

comunicazione scambiativagruppo di lavoro nella fase di primo approccio ed analisi di un pro-blema,conversazione salottiera tra persone con interesse reciproco,rapporti affettivi o amicali con dominante desiderio di capirsi me-glio,

- scambio programmato di informazioni, pareri, opinioni, emozioni,comunicazioni,

- didattica tradizionale;III) comunicazione generativa

- gruppo di lavoro con competenze differenziate e obiettivo innovati-vo,

- consulto medico; gruppo di progettazione,

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- dialogo tra diversi, comunque troppo diversi per potersi davvero ca-pire reciprocamente: però interessati a produrre insieme benessere enuovo valore,

- simili che si aiutano reciprocamente a cercare risorse nuove,- perseguimento comune di nuove possibilità,- crescita delle persone; progresso scientifico; ideatività innovativa;

creatività espressiva,- situazione in genere in cui prevale lo spirito della ricerca,- rapporto affettivo che si vuole fare crescere mentre si risolvono pro-

blemi.

3.1. "Provocazioni" orientate alla comunicazionegenerativa

, La comunicazione generativa ha il grande pregio di creare "valore ag-giunto" per l'intero sistema che comprende tutti i comunicanti.Per esempio nelle organizzazioni di lavoro, nonostante l'informaticaabbia enormemente aumentato l'informazione messa in comune, pur-tuttavia la richiesta di informazione in buona parte permane: infatti larichiesta maggiore riguarda quel tipo di comunicazione che consente digenerare novità, non solo di sapere tutto ciò che sanno tutti.

• La comunicazione generativa ha evidentemente bisogno di "preliminariconfermativi" e di "tempi scambiativi" per la messa in comune di in-formazioni. Deve però anche essere protetta dal loro dilagare: nel tem-po, nella qualità, nell'investimento di energia. Comunicazione confer-mativa e comunicazione scambiativa possono andare avanti senza fme,soffocando di fatto ogni possibilità di nascere della comunicazione ge-nerativa.

• La comunicazione generativa è altamente gratificante. È proprio essache, quando è "riuscita" (cioè quando ha prodotto informazioni nuove),retroattivamente invoglia alla comunicazione confermativa e scambiati-va: nei rapporti di lavoro, come in quelli affettivi, come nel tempo libe-ro creativo.

lk Pro-vocazione spinta: il dovere del capirsi, del mettere in comune, delcondividere, è diventato oggi culturalmente quasi un "incubo": va bene

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perseguire questo obiettivo, ma senza esagerare, anche perché può es-serci qualcosa di ancora meglio (comunicare per generare)!

t Le persone sono comunque e sempre diverse fra loro; le persone appar-tenenti a ruoli e popolazioni diverse lo sono ancora di più. Si può dun-que arrivare a capirsi gli uni con gli altri solo fino ad un certo punto; peresempio:- tra uomini e donne- tra bambini, giovani, adulti, anziani- tra nazionalità, religioni, razze- tra scolarità e ruoli organizzativi e specializzazioni diverse.

E tuttavia, per fortuna, pur potendosi tra loro conoscere-capire sol-tanto fino ad un certo punto:- uomini e donne fanno l'amore, lo trovano bellissimo, generano anche

bambini- religioni, razze, nazionalità d'origine diverse hanno dato luogo al pae-

se che nel mondo esercita indiscutibile leadership (a quel modello in-terraziale tende oggi il mondo globale: purtroppo, come evidente, nonsenza difficoltà)

- la copresenza di bambini, giovani, adulti, vecchi rappresenta una delleprincipali bellezze insite nella vita e nella società

- la differenziazione delle specializzazioni e dei ruoli organizzativi (delresto appositamente creati) crea organizzazioni che brillantementeproducono beni e servizi e generano valore (anche se si può star sicuriche si continuerà sempre a denunciare le difficoltà nella cooperazionee nella comunicazione tra ruoli).

t Si possono evidenziare alcune regole generali della comunicazione ge-nerativa ispirandosi al prototipo primario della generazione, quello dellasessualità per la procreazione dei figli:- valorizzare la diversità, non tentare di assomigliarsi e omogeneizzarsi

troppo- essere piacevole non solo il risultato ma anche il durante del rapporto,

piacevóle soprattutto nel senso di stimolante- nutrire i partner dei sogni condivisi: anche se poi i risultati reali pos-

sono essere a volte grandiosi, altre volte normali, a volte non esserciaffatto

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- la speranza prevalere sul timore, e la speranza essere magari un po' vi-sionaria (come è in sé il concetto di dare la vita ad un figlio, cioè adun nuovo essere umano).

• Il valore aggiunto prodotto dalla comunicazione generativa (il "c" nellaformula-schema precedente) ha una parte comune ed una parte diversi-ficata (c'e c") per i due comunicanti. Ciò: 1) è inevitabile, 2) va bene,altrimenti c'è il rischio di appiattimento sul minimo condivisibile, e di-minuisce il valore aggiunto e complessivo.

3.2. Suggerimenti operativi per chi vuole facilitarela comunicazione generativa: il periodo di passaggidella comunicazione incisiva"

I suggerimenti sono qui riferiti soprattutto a situazioni di formazione, diteam building, di counseling individuale ad personam (ma possono esserefacilmente trasposti anche a più quotidiane situazioni):• dare spazio, tempo, clima di ricerca alla situazione di comunicazione

generativa, o programmandola oppure in tempo reale quando si crea;autorizzare anche il girare intorno un po' confuso ad elementi promet-tenti, anche senza subito dover arrivare a conclusioni (riducendo invece,come vedremo, il tempo precedente di comunicazione confermativa escambiativa);

• non avere paura di avanzare ipotesi nuove, anche se non si è ancora deltutto sicuri della loro conferma; e, senza necessariamente attenersi allaregola di aspettare che l'altro ci arrivi progressivamente da solo oppureche maturino i tempi (per esempio nella formazione e nel counseling);

• cogliere e valorizzare elementi contraddittori, eccezioni, stranezze: elavorarci sopra (è uno dei principi fondamentali dello sviluppo dellascienza);

• essere assertivi e decisi nel portare dati nuovi; o nel chiedere che ven-gano ripresi in considerazione dati trascurati.

Per certi aspetti peraltro, il principale problema della comunicazionegenerativa è proprio quello del limitare il dilagare delle comunicazioni con-fermativa e scambiativa. In particolare nella formazione e nel counseling aclima psicologico, dove ascolto e rispetto dell'altro costituiscono valori po-sitivi ma introducono anche rischi di distorsione ed esagerazione.

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Può succedere per esempio in formazione che si passi il tempo a ripe-tersi reciprocamente cose e opinioni già note a tutti (magari con toni appa-rentemente appassionati!); e che proprio alla fine del seminario si dica"peccato proprio adesso che si cominciava a lavorare bene"!

Può succedere nel counseling che il cliente racconti cose (magaridrammatiche) che ha già raccontato a tanti altri, oltretutto nello stessomodo; e che peraltro il consulente già indovina e sa, perché le ha sentite intante altre occasioni.

Rispetto a questi esempi vediamo qualche possibile modalità pro-vocatoria di interruzione del circolo vizioso e di facilitazione di comunica-zione generativa:• strategia "soft": 10) ribadire la positività del rapporto (conferma); 2°)

verbalizzare in breve, quasi con le parole dell'altro, quanto ha già dettoe ciò che prevedibilmente dirà, con alcune delle stesse parole che use-rebbe: facendo capire così che è ascoltato e compreso; 3°) proporre diandare oltre, verso qualcosa che sia per lui nuovo e fonte di speranza(strategia da adottare soprattutto quando l'altro sa di sentirsi un po' pri-gioniero di se stesso; o quando si forma qualche circolo vizioso di co-municazione);

• strategia "hard": chiedere per esempio" ma quante volte Lei ha già dettoe si è già detto queste cose in questo modo?" Perché non dice qualcosache è per Lei più stimolante e utile?!" (strategia utilizzabile soprattutto:quando l'altro è intelligente; quando eventuali altri del gruppo dimo-strano noia, disattenzione; quando l'interlocutore è già consapevole checiò che gli stai dicendo è vero; quando il consulente o formatore è senon totalmente almeno abbastanza sicuro di sapere quasi tutto quelloche si va a dire);

• strategia deviante: cambiare set; in formazione fare un breve speachsull'empowerment, o sul valore aggiunto, o sui tre tipi di comunicazio-ne con focus sulla comunicazione generativa);

• strategia contenutistica: in modo relativamente improvviso buttare sultavolo nuove ipotesi, dati, elementi devianti. Il Cliente sarà un po' me-ravigliato dello "spiazzamento" del tenore di comunicazione (a voltetenterà di ricostituirlo; in questo caso l'operatore ribadisce i dati nuovi).Questa strategia propone direttamente il passaggio alla comunicazionegenerativa; funziona tanto più quanto l'operatore dispone, per sua pre-parazione professionale e per comprensione acquisita dell'altro, di ele-menti realmente innovativi generativi;

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• strategia "superhard", che però richiede un rapporto acquisito positivo emolta autorevolezza dell'operatore: dire, in modo più o meno diretto,una cosa del tipo "non credo che sia vero quello che sta dicendo, e nonlo crede neanche Lei: cambiamo gioco".Possiamo denominare "comunicazione incisiva" questo tipo transitorio

di comunicazione, che ha lo scopo di limitare il dilagare della comunica-zione scambiativa e soprattutto di quella confermativa, e di facilitare il pas-saggio alla comunicazione generativa.

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8. Rendere incisivo il colloquio di counseling*

Il colloquio costituisce uno strumento professionale fondamentale inmolte attività e ruoli. Qui si parla di quel particolare colloquio, o quellaparte di un colloquio, particolarmente dedicata a dare supporto allo svilup-po della persona.

Per questo tipo (o parte) di colloquio, l'approccio dell'empowermentfornisce strumenti aggiuntivi molto efficaci e potenti, e consente di miraread un salto di qualità nei risultati raggiungibili.

Nell'approccio del self empowerment la finalità ultima e, di conseguen-za, il valore chiave da perseguire è quella della apertura di nuove possibilitàall'interno del soggetto. Possibilità, non necessariamente cambiamento.

In questo senso il nostro approccio rappresenta una sorta di terzo polotra i due tradizionali rappresentati, da un lato, dalla stabilità nell'attuale si-tuazione vissuta ed agita, dall'altro, dal cambiamento verso una precisa epredefmita configurazione, diversa da quella attuale.

Spingere e sostenere la persona cliente al proprio empowerment signifi-ca innanzitutto spingerla a lavorare sui suoi rapporti di secondo livello, cioèi rapporti che essa ha con i propri rapporti.

Spesso gli approcci al cambiamento implicano la modifica dei rapportidi primo livello, relativi a categorie come le relazioni interpersonali, le mo-tivazioni, gli atteggiamenti, cioè, in altri termini, i rapporti con oggetti spe-cifici. Fare empowerment, invece, significa considerare tali rapporti comedati di partenza e lavorare per ampliare le possibilità della persona nel suorapporto con tali dati di partenza. Il consulente di empowerment accompa-gna il proprio cliente all'interno di un'area che:

'Nel presente capitolo sono rielaborate alcune tematiche trattatene nel saggio di M. Bru-scaglioni, M. Capizzi e S. Gheno, "Orientamenti operativi per la consulenza al self em-powerment", in Arcidiacono C., Gelli B., Putton A. (a cura di), Empowerment sociale, An-geli, Milano, 1996.

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1. non gli è abituale (noi tendenzialmente lavoriamo sulle nostre relazionicon persone e cose, non su come ci rapportiamo con le nostre relazioniccin persone e cose);

2. il cui livello di difficoltà è nelle sue possibilità, ma è superiore a quelloa cui normalmente è abituato (trattandosi di un livello relazionale di or-dine superiore);

3. ma che una volta raggiunta può essere agita ed usata con facilità e bene-ficio.

Si propone (con forza!) al cliente di lavorare su di sé circa le proprie:• risorse presenti (vs. risorse mancanti),• realtà presenti e proiettate nel futuro (vs. la realtà passata),• potere personale (vs. potere sugli altri),• sentimenti del proprio possibile (vs. sentimenti di impossibilità),• energie e funzione desiderante (vs. energie negative della funzione pro-

blematizzante),• aperture e ciò che apre (vs. ciò che chiude),• emozioni e pensieri ottimistici (vs. pessimismo contrabbandato per rea-

lismo),• circostanze temporanee e contingenti (vs. senso della continuità stabile).

Ciascuna delle indicazioni di lavoro sopra riportate in forma estrema-mente ridotta, rappresenta spesso un vero e proprio ribaltamento delle tra-dizionali concezioni consulenziali che prendono in considerazione esclusi-vamente le polarità lineari stabilità-cambiamento. Non vogliamo ora illu-strarle nei dettagli, ci limitiamo a proporle quasi come slogan che sintetiz-zano, con un discreto potenziale suggestivo ed evocativo, le linee guida diun intervento di self empowerment.

Dal punto di vista della sistematicità di un vero e proprio metodo di la-voro, possiamo poi sintetizzare le attività del consulente di self empower-ment attorno a due direttrici, che possiamo chiamare "lo spingere a" ed "ilconnettere con".

Il consulente dovrà spingere il proprio cliente a far emergere la propriafunzione desiderante; a far accoppiare tale funzione desiderante con quellaproblematizzante (quella cioè, relativa a disagi; crisi, problemi da risolve-re); a far emergere e a chiarirsi nuovi desideri; a far costruire nuove pensa-bilità positive; a far immaginare i desideri realizzati; a far aggiungere lepossibilità l'una all'altra e quelle nuove alle attuali (e non, invece, conside-rarle alternative); a far pensare a possibili discontinuità e a salti di qualità;ad evidenziare aspetti nuovi, in sé e nell'ambiente: possibilità nuove già

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presenti, emergenti o che potrebbero emergere in futuro (noi le chiamiamo"intervenienti"); a sottolineare tutti gli aspetti del passaggio dal "prima im-possibile" al "poi possibile"; ad isolare e by-passare gli ostacoli interni; adacquisire nell'ambiente esterno le risorse disponibili; ad una sperimenta-zione operativa che sia reversibile; a pervadere della funzione desiderantetutte le suddette attività.

Dovrà inoltre aiutare il cliente a trovare connessioni con le proprie ten-denze innovative; le tendenze innovative dell'ambiente; le esperienze posi-tive già vissute; le variabili intervenienti di natura innovativa, interne o am-bientali, già presentatesi o potenziali.

A tale fine proponiamo quattro aree di mezzi, strumenti, attività checonsentono al consulente di facilitare l'insorgere e lo svilupparsi del pro-cesso di empowerment nella persona.a. Una comunicazione "autentica" con la persona. Con il termine

"autentico" vogliamo intendere una comunicazione centrata sui conte-nuti e non solo sulle relazioni. Spesso infatti nelle situazioni di consu-lenza la comunicazione viene intesa esclusivamente in termini di in-fluenza sul clima della relazione. Nel self empowerment la comunica-zione è, invece, finalizzata a cercare:- cose nuove (vs. quelle dette sempre);- cose che convincano e spieghino, che corrispondano (vs. quelle belle

per conversare ma che non dicono nulla);- cose che aprono (vs. quelle che chiudono).

b. Cultura "empowerment oriented", il consulente propone innanzitutto lapropria concezione della persona e delle sue possibilità. La cultura sot-tostante a ciò è cultura delle possibilità, dell'allargamento, mentre spes-so la cultura emergente nel rapporto cliente-consulente è cultura del bi-sogno, della debolezza. Nel self empowerment il consulente propone lapropria "forza".

c. Metodologie di empowerment. Senza descrivere qui approfonditamentetutte le metodologie possibili, i due primi grandi obiettivi metodologicisono quelli di far riemergere elementi ed esperienze positive passate edanalimre ed isolare i "killer" interni del soggetto. Modalità possibiliper perseguire tali obiettivi sono l'analisi delle caratteristiche costitutivedelle diverse possibilità esistenti per un determinato oggetto ("marghe-rita del possibile"); la descrizione dinamica del futuro possibile dellapersona ("zbb-reenginering"); la descrizione personalizzata delle propriediverse "anime" ("dinamica dei personaggi interni"); la formulazione di"vision".

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d. Applicazione dell 'empowerment alla consulenza, cioè l'applicazione deiprincipi generali dell'empowerment alle normali attività agite in sedeconsulenziale, quali: domande, richiesta di costruzione di nuovi pensie-ri, assegnazione di piccole esercitazioni, cognizione di sperimentazioni,costruzioni di diagnosi positive.

1. Orientamenti operativi su ciascuna fase del colloquio

Nel tnodello da noi seguito il processo di self empowerment si sviluppasecondo una sequenza di fasi che prendono l'avvio dall'accendersi dellafunzione desiderante della persona e si concludono con l'aggiunta di uncambiamento possibile nell'essere e nell'agire della persona.

Vorremmo in questa sede affrontare la descrizione delle linee metodo-logiche che dal modello del self empowerment discendono e che consento-no la declinazione operativa ed applicativa all'empowerment personale insede di consulenza.

Se nel precedente paragrafo abbiamo cercato di dare, spesso sotto forinadi slogan sintetici, una serie di punti critici di attenzione a quanti voglianoapplicare l'approccio da noi proposto, qui vogliamo provare ad affrontare ea proporre, secondo una modalità più analitica, i metodi e gli strumenti chepossono essere utilizzati dai consulenti di empowerment.

Prima di entrare nel merito, vale ancora la pena di ricordare che, secon-do la nostra accezione di self empowerment, il protagonista diretto e asso-luto dell'efficacia del processo è la persona stessa.

Qual è allora il compito di un consulente di self empowerment? Il con-sulente è il facilitatore del processo. Attraverso la valorizzazione del desi-derio del soggetto, l'individuazione di oggetti attorno a cui sviluppare ilprocesso di empowerment della persona, l'uso di specifiche (ma non neces-sariamente!) metodologie, il consulente rende più semplice alla persona ilprogredire lungo il percorso del proprio empowerment.

A nostro avviso, il poter svolgere con successo questo compito di faci-litazione implica che il consulente affianchi alla conoscenza e comprensio-ne del modello teorico la riflessione e la competenza sulla sua declinazioneoperativa. Per questo motivo, in questa seconda parte, lo svolgimento dellatrattazione avverrà seguendo la sequenza lineare degli step impliciti al no-stro modello.

Le linee metodologiche che proponiamo vedono dapprima una fase de-finibile come l'emergere ed il chiarirsi di un nuovo desiderio nel soggetto,quindi una seconda in cui viene costruita dalla persona una nuova pensabi-

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lità positiva circa il desiderio emerso, infine una terza fase in cuil'individuo passa, attraverso una triade di risorse metodologiche, da talepensabilità positiva alla costruzione di una reale possibilità di cambiamen-to.

1.1. Fase dell'emergere e chiarirsi di un nuovo desiderio

In questa fase il soggetto deve innanzitutto essere aiutato a mobilitare ilproprio io desiderante. L'emergere ed il chiarirsi di un nuovo desiderio na-sce proprio dall'apertura dell'io del soggetto che desidera, la sua funzionedesiderante deve accendersi e mettersi in moto. È questo, probabilmente, ilmomento in cui l'empowennent si qualifica maggiormente come culturadel desiderio prima ancora che cultura della possibilità.

Il compito del consulente è, in questo senso, assolutamente chiaro. Lun-gi dall'essere un "consigliere" in senso tradizionale, egli deve in questa fasedare spazio e ascolto alla funzione desiderante della persona, mettendo ungrande impegno nel tentativo di comprenderne la natura.

Non si tratta tanto di comprensione "interpretativa", quanto di una com-prensione profonda, espressa nei suoi più piccoli dettagli e particolari. An-che elementi apparentemente (o inizialmente) minimali trovano spazio inquesto tentativo del consulente. Questi deve preoccuparsi di raccogliereogni piccolo indizio, che testimoni dell'accensione della funzione deside-rante.

Un tale momento, soprattutto per quei soggetti in cui la funzione deside-rante tende ad emergere debolmente perché non allenata oppure perché so-verchiata dal bisogno, dal problema, deve trovare nel consulente un interlo-cutore puntuale ed attento, ma mai critico nei confronti di quanto proposto.La neutralità del consulente in questa fase di raccolta deve essere totale, sideve pertanto astenere dal mettere in discussione quanto emerge, fosse an-che solo per isolare un particolare dal contesto.

Lo ricordiamo, interessa ora solo il desiderio della persona quindi, inquesta fase il consulente deve pure astenersi da qualunque intervento fma-lizzato ad orientare il desiderio altrui. Non dobbiamo né proporre, né sug-gerire, né indicare, solo raccogliere.

Ma all'avvio del processo non è solo l'io desiderante ad interessare ilconsulente, anche l'io problematico.

Il consulente deve ascoltare "il problema" (il disagio, il bisogno, la ne-cessità) del soggetto così come esso lo pone. Se la persona ha difficoltà afare emergere tale dimensione di sé (spesso è lì per questo), il consulente

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non si limiterà a registrare il dichiarato di sofferenza del soggetto, ma dovràimpegnarsi a comprenderne il "vero" punto centrale.

Non è detto che necessariamente tale comprensione coincida con la"causa" del problema e neppure che per comprenderlo si debba indagare inprofondità nella storia personale del soggetto, come avviene in taluni ap-procci terapeutici. L'empowerment non si propone di risolvere i problemidella persona, o almeno non affrontandoli direttamente. Metaforicamentepotremmo dire che se il disagio nella storia dell'individuo ha costruito unmuro che rappresenta l'attuale fonte di problema, ove alcuni userebberopiccone e pala per abbatterlo il consulente di empowerment cercherà inquel muro delle porte oppure di valutarne l'altezza per verificare la possi-bilità di saltarlo o, ancora, di girarci attorno o passarci sotto.

Nel nostro approccio il solutore del problema è, ultimamente, la personache lo vive e ciò accade attraverso la costruzione di una possibilità di esserediversa che le consenta di superarlo. Così la ricerca del punto centrale, delfulcro del problema è relativa all'attuale problema vissuto non alle circo-stanze che l'hanno prodotto nel tempo.

A partire dall'ascolto attento e partecipativo del desiderio e del proble-ma il consulente potrà avviare il suo primo vero e proprio intervento. Ilnuovo desiderio nella persona — non più semplice espressione dell'atti-vazione del suo io desiderante ma definito ed orientato in una certa direzio-ne, verso un determinato oggetto — nasce infatti dall'accoppiamento trafunzione desiderante e problema.

Nella mente del cliente deve avvenire questa unione feconda dell'io de-siderante con la richiesta/bisogno per generare il desiderio orientato ed ilconsulente deve provocare l'accoppiamento. Ed è indubbio che, qualorauna simile unione non avvenga innanzitutto nella mente del consulente, dif-ficilmente potrà avvenire nella mente del soggetto, già soverchiata dallamassa monolitica e totalizzante del problema, particolare universalizzatoche, in soggetti in situazione di disagio, tende a divenire l'orizzonte ultimo,il criterio esplicativo unico dell'intera esistenza della persona.

È proprio a questo livello che il consulente, fm qui osservatore neutrale,potrà proporre alla persona la visione dell'accoppiamento tra il desiderio, lerisorse presenti ed il problema, la lacuna vissuta. Proporre, non in modo in-vasivo ma come un delicato suggerimento, un piccolo chiarore in cui lapersona, solo lei, può meglio percorrere la strada.

Il desiderio a tal punto emerso già indirizzato in una direzione deve es-sere afferrato dal consulente. Preso per buono così com'è, senza tentare direnderlo coerente con quelli che, secondo lui, dovrebbero essere i desideri

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giusti. Eventuali correzioni alla strada imboccata potranno emergere piùavanti.

1.2. Fase di costruzione di una nuova pensabilità positiva

Molto spesso la persona non riesce ad immaginare la situazione di desi-derio realizzato e/o non riesce a rappresentarsi come caratterizzato da vis-suti e comportamenti positivi per sé. Questo nemmeno se sono — tempora-neamente — eliminati tutti i vincoli, le temute mancanze di risorse, le criti-cità ambientali. La nostra esperienza sul campo dimostra che, proprio perquesta ragione, spesso l'iter della realizzazione del desiderio si blocca.Esempi frequenti di ciò sono: l'incapacità di un ragazzo di immaginarel'età adulta come positiva e sé adulto che "si piace"; l'impossibilità di uncapo autoritario, pur stanco di esserlo, ad immaginarsi partecipativo e pia-cersi; la difficoltà per la persona a rappresentare nei dettagli se stessa comesarebbe se già possedesse quel dato comportamento che dovrà assumere,quella capacità che dovrà apprendere.

A tale proposito, i compiti fondamentali del consulente consistononell'aiutare la persona, innanzitutto, a cominciare a costruire la rappresen-tazione del desiderio realizzato (prescindendo in questa fase dalle risorsenecessarie), quindi, a costruire la positività del sé del soggetto nella situa-zione di desiderio realizzato.

Infatti, la modalità con cui il soggetto può, a partire da un nuovo deside-rio orientato, costruire una pensabilità positiva del desiderio — il desideriopossibile per sé — procede dalla rappresentazione di sé nel desiderio realiz-zato.

A tale scopo il consulente dovrà invitare il soggetto a immaginarsi qualeregista, sceneggiatore, scenografo ed attore del film in cui egli, il protago-nista, vive la situazione desiderata come già realizzata.

Tale azione presuppone che il consulente debba insistere nella propriarichiesta anche davanti ai vari tentativi messi in atto dal soggetto per elude-re il compito. Molte volte, infatti, è presente nella persona una pre-convinzione circa la propria impossibilità nel desiderare, una tale personapuò concepire il sogno — in quanto totalmente separato ed ininfluente sullarealtà "vera" e "dura" — non il desiderio. A maggior ragione questo si pre-senta nella misura in cui l'individuo appare schiacciato dal problema,l'impossibilità del desiderare in una prospettiva attiva, progettuale, vienevissuta come naturale ed inevitabile conseguenza di un orizzonte personaledominato dal bisogno. E allora, tale pre-convinzione viene presentata al

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consulente come "è inutile", "non è questo il punto" o in circostanze parti-colari "non siamo più bambini" (il sogno è patrimonio del bambino),"siamo qui per lavorare!" (sottinteso: lavorare è degli adulti ed è una soffe-renza).

Di fronte alla segnalazione da parte del cliente dell'esistenza di una se-rie di vincoli, di mancanza di risorse e di capacità per realizzare la situazio-ne desiderata e, quindi, dell'impossibilità di una rappresentazione realisticadella stessa il consulente gli dovrà suggerire di by-passare ogni aspetto li-mitante la possibilità: il soggetto dovrà in questa fase "saltare" ogni aspettodi vincolo, di mancanza, di incapacità.

Unica eccezione alla grande regola generale del "è proibito proibire" ri-guarda quanto sia "oggettivamente e incontrovertibilmente" impossibile,come ad esempio cambiamenti di età ("se avessi ancora vent'anni"), di ses-so ("se fossi nata uomo"), di storia personale già vissuta ("se non avessiquattro figli").

Da un punto di vista metodologico, poi, il consulente dovrà, come nellafase precedente, registrare minuziosamente tutto il materiale emergente checostituisce innanzitutto una possibilità di comprensione circa lo sviluppodel processo di empowerment, quindi potrà essere riproposto in seguito alsoggetto stesso come materiale da elaborare o su cui sperimentare.

La difficoltà della persona a prefigurare il proprio desiderio realizzatodeve essere messa in relazione a quella "cultura del problema e della penu-ria" spesso così pervasiva. Tale cultura, spesso dominante in numerosi am-biti sociali (sicuramente in quelli del disagio, ma talvolta anche in quelli dellavoro e delle attività produttive), può arrivare, quando è mutuata dal sog-getto, a provocare una vera e propria resistenza a vedere realizzato il pro-prio desiderio.

Il consulente, di fronte ad una tale situazione, deve innanzitutto insistereperché il soggetto si ponga attivamente nella rappresentazione del desideriorealizzato. Una buona strategia spesso è quella di evidenziare o creareun'atmosfera di gioco (situazione in cui i desideri possono realizzarsi)piuttosto che una di lavoro (situazione in cui i vincoli sono predominanti).

Quindi dovrà fornire al soggetto tutto l'aiuto che serve, ma esclusiva-mente in termini di metodo e di facilitazione del processo di costruzione.Non si dovrà dunque aggiungere contenuti o suggerirne, anzi il consulentedovrà manifestare fiducia nella forza del soggetto e nella sua capacità disuperare la debolezza.

Tale fiducia nella persona, nelle sue possibilità — che è peraltro un ele-mento forte nella cultura empowering del consulente —, si traduce in termi-ni operativi in una continua valorizzazione del positivo emergente, accom-

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pagnata dal non considerare gli aspetti negativi, critici o problematici. Ilsoggetto nel corso del processo di empowerment deve sentirsi bene, accoltoed accompagnato. Così intervenire sull'aspetto positivo della nuova pensa-bilità lo può aiutare a vedersi bene nell'immagine costruita.

Va sottolineato come la costruzione di una nuova pensabilità positivasia, appunto, una "costruzione". Dunque non un atto istantaneo, quasi ma-gico, del fantasticare. Pertanto la consulenza si limita ad attivare il processodi costruzione, oppure interviene, in fasi diverse, sulla sua riattivazione. Ilprocesso vero e proprio può durare intervalli di tempo assai più lunghi(giorni o, addirittura, mesi).

A questo riguardo, il consulente aiuterà il soggetto nella fase iniziale,tendenzialmente in incontri differenziati per aspetti specifici.

Se pure la fase di attivazione della funzione desiderante è proposta alsoggetto come attività di gioco elaborativo svincolato dalla quotidianitàpercepita come vincolo oppressivo (è questo il caso di un tendenziale pes-simismo letto e proposto come realismo che spesso è presente nel sogget-to), tuttavia è il legame con la realtà che differenzia la pensabilità che sivuole aiutare a costruire in questa fase del processo dalla pura fantasia. Ilsuggerimento, in tal senso, che permetterà nella consulenza di cogliere que-sta diversità sostanziale va nella direzione di una evidenziazione dei fattoriintervenienti che permetteranno di concretizzare la pensabilità.

Tali intervenienti sono rappresentati da fatti o aspetti "nuovi" che giàintervengono, o presumibilmente interverranno, a mutare le attuali condi-zioni.

I fattori intervenienti possono essere sia interni al soggetto, cioè fatti oaspetti nuovi che emergono in lui, sia esterni, cioè fatti o aspetti nuovi cheemergono nell'ambiente in cui la persona è inserita. Dal punto di vista delladimensione temporale, poi, possono, ad esempio, essere: o già presenti, lanovità qui sta nel fatto che la persona, prima inconsapevole, ora li vede, licoglie, se ne accorge e ne tira le conseguenze; oppure, prevedibili nel futu-ro, avverranno cioè per effetto di tendenze che già ora si manifestano; o an-cora, imprevedibili, è presumibile cioè che potranno agire una serie dieventi attualmente imprevedibili ma non impossibili (il «ci sono più cose incielo ed in terra...» di shakespeariana memoria!).

Per capire il ruolo di tali variabili intervenienti nell'empowerment per-sonale può essere assai utile che il consulente aiuti il soggetto a pensare aicambiamenti positivi già avvenuti nella sua vita passata e, quindi, da lui giàsperimentati. In tal senso, risulta più semplice soffermarsi su quei cambia-menti avvenuti con una forte discontinuità rispetto alla vita precedente: il

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cambiamento per "salto di qualità" è più facilmente evidente anche in unasituazione apparentemente depressiva.

In conclusione, la costruzione di una nuova pensabilità positiva consisteessenzialmente nello:1. evidenziare uno ad uno (con la maggior completezza possibile) i tasselli

della situazione di desiderio realizzato;2. costruire un quadro in cui tutti i tasselli positivi sono presenti e in cui,

soprattutto, la persona riesce ad avere una vision positiva di sé nella si-tuazione desiderata, immaginata come realizzata.Spesso, durante il primo incontro nella fase della costruzione di pensa-

bilità positiva, avvengono alcune importanti e positive variazioni. La per-sona ritara o addirittura cambia il desiderio, rifocalizzando ciò che, a suadetta, "davvero" desidera. La persona intravede, in sé e nell'ambiente, im-portanti novità, risorse, nuove intervenienti e comincia a lavorare su di esseoppure focalizza alcuni ostacoli antichi e matura la voglia di aggirarli. Tal-volta invece nel primo incontro la persona non riesce ad iniziare la costru-zione, ma, nel vedere alcune proprie caratteristiche positive e concentran-dosi su di esse, si sente comunque meglio. Il processo riprenderà allora lavolta successiva, ma con nuove risorse.

1.3. Fase della trasformazione da pensabilità a possibilità

Come abbiamo visto, nel processo di self empowerment il passaggio dapensabilità del desiderio realizzato a reale possibilità di realizzarlo avvieneattraverso l'uso di tre diverse risorse metodologiche: l'elaborazione interna,il reperimento di risorse, la sperimentazione.

1.3.1. Elaborazione interna

Le attività in cui il consulente aiuta la persona nella fase di elaborazionedelle proprie risorse interne sono essenzialmente due:1. nel mobilitare le energie e le risorse positive del soggetto, utili per la

reali77. zione del nuovo desiderio e della nuova pensabilità;2. nell'individuare, isolare e by-passare gli ostacoli personali interni (killer

interni) che gli impediscono, o lo rallentano.Per la mobilitazione di energie e risorse positive è per lo più sufficiente

che il consulente abbia una posizione di attenzione e di valoriznzione: co-gliendole, sottolineandole e riproponendole all'attenzione del soggetto, il

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quale — lo ripetiamo — viene invece spesso sovrastato nei propri vissutidalla negatività dei suoi problemi.

Maggiore difficoltà sta, invece, nell'aiutare il soggetto a superare gliostacoli personali. È opportuno a proposito segnalare alcune indicazioni dimetodo.

Innanzitutto il consulente deve agire sugli ostacoli uno alla volta, af-frontandoli se sono più d'uno in incontri diversi.

Quindi, l'individuazione dell'ostacolo — nei suoi punti centrali — è com-pito del consulente che potrà poi indicarlo al soggetto. Spesso infatti il sog-getto tende a nascondere o travestire i propri killer interni proponendo ra-zionalizzazioni o para interpretazioni allo scopo di fornire un'immagine"migliore" al consulente; le informazioni riguardo agli ostacoli vanno inve-ce soppesate dal consulente che le organizzerà in forma di vere e proprie"ipotesi di lavoro" proponendole esplicitamente al soggetto.

Infine, desideriamo ricordare come obiettivo dell'empowerment non siala risoluzione dei problemi. Pertanto l'ostacolo individuato non va "risolto"ma isolato, prima, e by-passato, poi. Questo significa che l'ostacolo va evi-denziato nella sua specifica azione negativa, cioè compreso nelle sue ca-ratteristiche e nelle sue modalità operative attraverso cui impedisce allapersona di raggiungere quel "qualcosa" specifico che gli preme nell'area diempowerment presa in esame, e reso inoffensivo, di modo che pur perma-nendo nel campo del soggetto non continui a provocare impedimenti allarealizzazione del suo desiderio.

Proviamo ora ad esemplificare alcune possibili strategie di by-passdell'ostacolo individuato.• Evidenziare come esso si sia formato ed alimentato nel corso della no-

stra vita passata, in cui magari poteva anche risultare funzionale, macome esso, ora, possa essere evitato con le nuove risorse nel frattempoacquisite dal soggetto. Da "allora" ad "adesso".

• Aiutare la persona ad isolare l'ostacolo, comprendendo con essa comequesti concretamente opera ed evidenziando come, sia pure lasciandoloagire sul piano generale della personalità del soggetto, si possa impedireche agisca e blocchi la possibilità specifica e concreta rispetto alla qualesi sta lavorando con l'empowerment.

• Delineare variazioni in una nuova e contingente "mappa del sé", delleproprie caratteristiche, punti di forza e di debolezza, relativa esclusiva-mente al rapporto con l'oggetto con cui si sta lavorando con l'empo-werment. La mappa generale del sé della persona, descrittiva, rimane

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uguale ma se ne costruisce un'altra specifica per il desiderio su cui si stalavorando.

Altre strategie di superamento dell'ostacolo, più fondate su di una espe-rienza emozionalmente coinvolgente, possono essere rappresentate dal farcombattere la parte positiva ed utile di sé contro quella negativa, ottenen-done contingentemente la vittoria (anche barando!), di modo che il soggettosperimenti una situazione di maggior benessere esistenziale; dall'esaltareesageratamente l'ostacolo fmo alle sue conseguenze più estreme e irreali-stiche, di modo che il soggetto ne possa sperimentare la sua stessa debolez-za ed inconsistenza; dal reagire all'ostacolo come se non ci fosse (qui ilsupporto processuale del consulente deve essere fortissimo!) anzi come seesistesse la capacità contraria nella persona, di modo che essa possa speri-mentare — anche solo temporaneamente — modalità ed emozioni diverse daquelle a cui, generalmente, l'ostacolo condanna.

In generale, come si vede nelle strategie esposte, si tratta al contempo diaccettare l'ostacolo, il limite, ma mettendolo "fuori gioco", di renderloinoffensivo rispetto al desiderio specifico su cui si sta lavorando conl' empowerment.

Ricordiamo a riguardo che, secondo questo approccio, realizzando edaccumulando progressivamente esperienze positive il problema interno ces-sa di rappresentare l'unico orizzonte e l'unico criterio per affrontare ognisituazione e fmisce per essere gradualmente ridotto nella sua espressioneesistenziale dal soggetto. Questo anche se l'obiettivo non è quello di ab-batterlo ma di ridurne il potenziale d'azione rispetto ai desideri di volta involta affrontati.

Ripetiamo che, in generale, la funzione del consulente in questa faseconsiste nell'aiutare la persona a far prevalere le proprie risorse interne"positive" — di possibilità, di fiducia nelle proprie capacità e caratteristiche— su quelle ostacolanti.

1.3.2. Risorse esterne

Moltissime delle risorse utilizzabili dalla persona nel proprio processodi empowerment sono già reperibili nell'ambiente in cui essa agisce. Lafunzione del consulente, a questo riguardo, è quella di attivare e, ove è ne-cessario e soprattutto all'inizio, indirizzare il soggetto nel reperimento enell'acquisizione di tali risorse.

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Esempi tipici di risorse esterne utilizzabili nel processo di self em-powerment sono: le informazioni, che permettono l'orientamento del sog-getto verso nuove possibilità e insieme gli consentono di concretizzare ilproprio desiderio; le competenze (conoscenze, capacità, strumenti), chestrumentano l'azione del soggetto nei confronti degli oggetti verso cui ilproprio desiderio è focalizzato; i rapporti interpersonali, in particolare conaltre persone che possono sostenere il soggetto nella sua azione ("sponsor"e "alleati"); l'accesso a fonti di risorse specifiche, sia in termini di informa-zioni che di competenze che di rapporti.

Alcune attività di consulenza particolarmente utili al soggetto nella suaazione di reperimento ed acquisizione di risorse esterne sono:• aiutare la persona ad individuare di quali risorse ha effettivamente ne-

cessità;• aiutare la persona, favorendo la sua mobilitazione e la sua iniziativa, a

trovare informazioni e modalità di accesso alle loro fonti;• sostenere la persona di fronte ai suoi insuccessi (spesso inevitabili, al-

meno inizialmente) o percezioni di insuccesso. Questo in particolarenelle prime fasi, quando sembra che, a fronte di tanta fatica, i risultatisiano minimali;

• aiutare la persona a farsi guidare nella pensabilità positivanell'evidenziare le direzioni "giuste" nella ricerca di risorse. Ciò è parti-colarmente importante perché di frequente la ricerca di risorse da partedella persona procede in maniera disordinata, oppure è condizionata daschemi particolari non corrispondenti al desiderio effettivamente emersoed alla pensabilità che ne deriva. Così i risultati vanno in direzioni di-verse da quelle effettivamente desiderate dal soggetto e gli esiti dellasua azione non vengono da lui percepiti come un effettivo risultato.

1.3.3. Sperimentazione

La sperimentazione rappresenta di fatto la verifica concretadell'esistenza di una nuova possibilità per sé. Infatti, per quanto la nostrapensabilità abbia raggiunto dei traguardi di dettaglio e di sistema elevatis-simi, per quanto abbiamo allargato il nostro bagaglio informativo, perquanto abbiamo sviluppato competenze adeguate e mobilitato le nostreenergie personali, fmo a quando non misureremo nella realtà la corrispon-denza della nostra ipotesi, del nostro desiderio, questo non sarà una realepossibilità per noi.

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Per questo motivo la sperimentazione è, contemporaneamente, "provadel nove" e allenamento sulla nuova possibilità costruita. È dunque oppor-tuno che, per evitare iniziali insuccessi che potrebbero minare alla radice lanostra costruzione, la sperimentazione proceda con una gradualità prudente:1. dapprima deve essere molto piccola, ma significativa almeno a livello

simbolico. Si tratta di un primo passaggio all'atto e serve soprattutto amobilitare energie interne e ad assumere nuove informazioni su di sé (esulla vera natura del proprio desiderio). Il consulente deve individuare e,quasi, prescrivere questa prima sperimentazione;

2. quindi, le sperimentazioni successive diverranno sempre più concrete.Sempre parziali (restano sperimentazioni e devono pertanto presentaresempre un aspetto di reversibilità, si deve poter tornare indietro), maprogressivamente crescenti.

La sperimentazione, comunque siano le sue caratteristiche, deve essere"reversibile": si tratta infatti di aprire una possibilità di cambiamento, nondi cambiare.

Va registrato che, talvolta, gli ambiti di sperimentazione (specie inquelle iniziali, più piccole) vengono individuati con facilità dal soggettostesso. Quando questo non accade è il consulente che deve capirne la natu-ra, individuarne l'operatività, consigliarle e, in taluni casi, prescriverlequale "compito" al soggetto.

È questa, probabilmente, la fase che esige la maggiore capacità da partedel consulente di sostenere il soggetto nel suo processo di empowerment.Infatti, l'individuazione di sperimentazioni richiede di unire l'esperienzadel consulente (su di una pluralità di persone e di situazioni) con la grandeattenzione alla specificità ed unicità della persona cliente.

È opportuno, per aumentare l'efficacia delle sperimentazioni che:le prime (magari solo simboliche o estremamente parziali) avvenganoquasi immediatamente dopo la formulazione della nuova pensabilità;altre sperimentazioni (meno simboliche e più globali) avvengano poi,dopo il primo periodo di acquisizione di risorse;infine, in generale sperimentazioni ed elaborazione delle risorse internedevono procedere assieme, in modo da implementare un circolo virtuosoin cui il successo nella sperimentazioni venga introiettato come incre-mento delle risorse personali e l'emergere delle risorse interne forniscaenergia positiva all'azione sperimentale.

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2. Indicatori per la misurazione dei risultati di empower-ment nell'orientamento tramite counseling*

2.1. L'orientamento come processo di elaborazione della"configurazione delle possibilità" della persona

Per poter misurare i risultati di un intervento, è importante identificarel'unità di misura della grandezza elementare che sta alla base del fenomeno(qui l'orientamento).

Noi qui proponiamo che uno dei modi efficaci di leggere l'orienta-mento, soprattutto quando c'è bisogno di consulenza e/o counseling, siaquello ispirato all'approccio dell'empowerment: assumendo la "possibilità"come unità elementare del fenomeno su cui l'intervento di orientamentoopera. Anche perché, soprattutto in consulenza e in counseling orientativo,spesso la sfida principale non è quella della "scelta" tra possibilità, maquella dell'individuazione/costruzione di una o più nuove possibilità: ciòche spesso definisce la necessità di invio del cliente alla consulenza, o addi-rittura al counseling, è proprio la sensazione iniziale di un "blocco" dellepossibilità.

L'orientamento "spontaneo" dell'individuo che non ha particolare biso-gno di intervento d'aiuto, può essere così interpretabile:1) la persona dispone (come sua condizione "interna") di più "possibilità"

in qualche modo per lei positive (possibilità di intraprendere, per esem-pio, diversi tipi di lavoro, o di studio).

2) la persona non ha difficoltà eccessive a "scegliere" ed orientarsi versouna delle suddette possibilità: investendo quindi in tale direzione risorsedi diversi tipi. Proprio perché ha scelto tra diverse possibilità, se nesente responsabile, vi investe energia positiva, attiva e sviluppa il per-corso necessario.

Quest'ottica delle possibilità, tipica dell'approccio empowerment, mettel'accento non tanto sulla difficoltà di scegliere, quanto sull'importanza diavere possibilità positive tra cui scegliere.

In particolare si propone qui che la persona che ricorre alla consulenzasia una persona che si percepisce (a ragione o a torto) come priva di possi-bilità vissute come sufficientemente positive.

In questo paragrafo sono riportate anche molte delle elaborazioni fatte in occasionedella collaborazione con il Centro per le transizioni al lavoro e nel lavoro, ed in particolarecon Maria Luisa Pombeni

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Si sottolinea come una "possibilità" sia tale quando sono rispettate alcu-ne condizioni:• la possibilità è percepita come positiva: la persona vi ci si prefigura cioè

in modo almeno prevalentemente positivo;• c'è un livello anche di desiderio, voglia, opportunità (e non solo di biso-

gno, necessità, richiesta esterna, problema da risolvere);• la possibilità nasce prima di tutto all'interno del soggetto (o comunque

non è tale se non sta anche all'interno del soggetto), per potere esserescelta e cercare di essere messa in opera nel rapporto col mondo esterno("pensabilità positiva" del soggetto di sé in quel lavoro, o in quel tipo distudi, o in quella direzione di vita);

• la possibilità esige una vision (o pensabilità positiva) che prefigura lostato finale di sua messa in opera; ma esige anche una "vision di percor-so": cioè una prefigurazione di allocazione di risorse, di mobilitazionedi energie, di by-pass di eventuali propri problemi storici soggettivi in-vestendo sé in quella direzione specifica.

Il processo dell'orientamento può essere allora interpretato come tra-sformazione di una insoddisfacente "costellazione di possibilità" in entratain una soddisfacente costellazione di possibilità in uscita. Dove"soddisfacente costellazione di possibilità in uscita" vuol dire in particolareche:• il soggetto ha (internamente) più possibilità positive e quindi può

"scegliere" quale cercare di mettere in opera;• la possibilità scelta ha incrementato, anche grazie all'intervento di

orientamento, i suoi indici di positività e consistenza (vedi più avanti gliindicatori nel dettaglio).Al contrario "insoddisfacente costellazione di possibilità in entrata" può

voler dire, in particolare, uno o più dei seguenti casi:la persona non vede per sé alcuna possibilità (e/o non percepisce comealmeno prevalentemente positiva alcuna delle possibilità);la persona ritiene di avere una sola possibilità, che però non percepisceper sé abbastanza positiva;la persona dichiara positive una o più possibilità, ma pensa (o "sente")che ce ne sia una migliore che peraltro non riesce a focalizzare; oppurene intravede solo una che però non è realistica per motivi esterni od in-terni.

Qui si sottolinea come nel processo di orientamento (soprattutto quandoproblematico e quindi richiedente colloquio di consulenza o addirittura di

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counseling) sia fondamentale non solo la fase di "scelta" tra possibilità, masoprattutto la fase di individuazione e/o costruzione di possibilità.

Si apre allora, per la metodologia della misurazione dei risultatidell'orientamento-consulenza, una strada molto ricca, da aggiungere a quellepiù tradizionali: l'uso dell'approccio dell'ernpowennent e del self empower-ment, cioè del modello della apertura delle nuove possibilità. Infatti in questomodo si evidenziano diverse grandezze-variabili-indicatori, che danno uncontributo significativo aggiuntivo: molto incisivo per la misurabilità dei ri-sultati dell'intervento di orientamento, soprattutto quando basato sulla meto-dologia della consulenza o del counseling di orientamento.

Fig. 1

"configurazionedelle possibilità"

in entrata:

"problematica"o addirittura

"bloccata"

processo diORIENTAMENTO:

in particolare con esi-genza

di ricorso aCOLLOQUI DICOUNSELING

"configurazionedelle possibilità"

in uscita:

"soddisfacente"cioè generativa, che

permette uno sviluppo po-sitivo fino al buon esito

globale finaledell'orientamento

Questo modo di vedere il processo di orientamento sottolinea l'aspettoper cui tale processo, ancora più che in un processo di "scelta" consiste inun processo di individuazione, apertura, costruzione di "possibilità".

In particolare si ipotizza che il ricorso a consulenza e counseling sia ti-pico non tanto di una indecisione fra opzioni positive, quanto di una sortadi blocco di fronte alla insufficienza di opzioni percepite come positive.

Grandezze che è possibile misurare:

-N Numero delle possibilità-P numero delle possibilità percepite dall'interessato come almeno preva-

lentemente Positive-I numero di possibilità nuove (I come innovative), emerse per effetto del

processo di orientamento-S livello di Sceglibilità di una possibilità-opzione-direttrice rispetto alle

altre (in particolare quelle comunque positive). Tale livello può esseremisurato sinteticamente (sulla base del giudizio soggettivo della perso-

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na), oppure analiticamente con una serie di fattori-indicatori sceglibilitra quelli dei paragrafi precedenti.

È evidente che queste sono misurazioni sintetiche. La misurazione dellaconfigurazione di possibilità in termini molto più analitici può prevedere suciascuna delle possibilità, tutte le misurazioni delineate nel paragrafo suc-cessivo.

2.2. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultatiimmediati "alla fine" dell'intervento di orientamento

Si privilegiano qui risultati prevalentemente "oggettivi", nel senso cherilevano "azioni" specifiche compiute dall'interessato nella direzione sceltacon l'orientamento. Azioni che stanno, temporalmente e concettualmente,nella zona "a cavallo" tra l'ultima parte dell'intervento di orientamento e laprimissima parte del percorso realizzativo dell'opzione scelta conl'orientamento.

Negli esempi che seguono ci si riferisce a situazioni molto generali,quali la scelta di un lavoro o di un corso di studi:

• Azioni preliminari o preparatorieRiguardano soprattutto il procurarsi risorse:- procurarsi informazioni, prendere i primi contatti necessari; avviare

iter burocratici o di ricerca;- cercare fonti di finanziamento;- ricercare e prendere contatti con persone e fonti (per es. per una ri-

cerca di un certo tipo di lavoro);- andare a sentire sperimentalmente una lezione in università;- fare un piano, possibilmente scritto, di risorse da trovare e di azioni

da fare,- scrivere il proprio curriculum; inviarlo; andare a colloqui di selezio-

ne;togliere condizioni che oggettivamente impediscono la nuova dire-zione presa (vedi oltre "Azioni di ristrutturazione").

• Azioni di avviamento- l'iscrizione ad un corso di studi, ad un percorso di preparazione pro-

fessionale;

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- l'inizio della raccolta concreta di risorse economiche necessarie perportare avanti un progetto;

- l'inizio almeno sperimentale di una attività, per esempio lavorativa.

• Azioni di ristrutturazione per garantire la successiva "tenuta" neltempo

Sono azioni che cambiano aspetti circostanti della vita della persona,per facilitare-permettere il buon esito dell'opzione decisa in sede diorientamento. Sono evidentemente molto "specifiche" della direzioneintrapresa e della situazione della persona.

Esempi:ristrutturazione nell'uso del proprio tempo,ristrutturazione nell'uso del denaro disponibile,ristrutturazione dei rapporti interpersonali e sociali prevalenti,ristrutturazione di una o più condizioni oggettive di vita (qualil'abitazione; i mezzi di trasporto; il modo di vestire; etc.).

Le azioni di ristrutturazione sono importanti soprattutto se affiancate adazioni preliminari-preparatorie o di avviamento: infatti determinano unamaggiore possibilità che l'indirizzo avviato dal soggetto "terrà" nel tempo,non decadrà alle prime difficoltà oggettive o soggettive.

Nota bene: sono importanti anche alcune azioni-sperimentazioni simbo-liche (es. un colloquio particolare con i genitori o il coniuge; un cambia-mento nel look fisico o nelle abitudini; una piccola prova).

2.3. Esempi di indicatori per la misurazione dei risultati nel"durante" dell'intervento di orientamento

Sono quei risultati parziali (o intermedi, appunto) che dipendono dallabontà del processo "durante" l'orientamento.

Ispirandosi all'approccio dell 'empowerment ed al modello operativodella apertura di una nuova possibilità, si evidenziano alcuni fattori ed indi-catori che hanno un particolare pregio: quello della "incisività", incisivitànel cogliere da una parte le difficoltà del soggetto rispetto all'orientamento,dall'altra i punti cruciali per sbloccare situazioni e per avere garanzie dibuon esito globale nel tempo.

Questi fattori sono importanti per cogliere come l'operatore dell'o-rientamento possa facilitare l'emergere di quella "nuova possibilità" che

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spesso fa passare il processo di orientamento da "bloccato" ad aperto, pro-gressivo, risolvibile.

Possiamo evidenziare i seguenti tipi intermedi di variabili (e di relativiindicatori) seguendo lo schema del processo di self empowerment perl'apertura di una nuova possibilità. In particolare descrivendo i quattrosub-processi cruciali del self empowerment.

2.3.1. Sub-processo di apertura di nuova "pensabilità positiva"(visioning)

Costruzione, da parte del soggetto, di prefigurazione mentale della metaraggiunta (es.: lavoratore in un certo modo e situazione) e di sé stesso (al-meno prevalentemente) soddisfatto in tale situazione.

Esempi di fattori-indicatori:• livello di investimento di desiderio (Io desiderante). Misurabile per

esempio con una breve e semplice analisi del contenuto (parole comedesiderio, voglia, opportunità... versus parole come problema, bisogno,necessità, dovere...);

• livello di incontro tra la dimensione suddetta del desiderio e la dimen-sione del riconoscimento della "realtà" esterna e/o personale storica delsoggetto (esigenze, bisogni, problemi da risolvere, condizioni di contor-no, ... (incontro desiderio-realtà).

Spesso l'incontro desiderio-realtà è reso evidente dalla focalizzazio-ne di un nuovo desiderio: più specifico, concreto, realistico; generatodall'incontro della funzione desiderante con l'analisi di realtà e i biso-gni, che aiutano il desiderio generale a specificarsi.

Nella nostra esperienza, peraltro più frequente che non il problemadell'incontro desiderio-realtà è il problema della scarsità iniziale di in-vestimento di desiderio (escludendo i desideri dichiarati ma non autenti-ci o addirittura provocatori).

• livello di consistenza e positività della vision (o prefigurazione del desi-derio specifico realizzato):articolazione e ricchezza di contenuti;- livello di positività (quanto il soggetto vi ci si trova "bene");- livello di ottimismo realistico (quanto, pur essendo la vision per defi-

nizione nettamente ottimistica, non invade l'area dell'oggettivamenteimpossibile).

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2.3.2. Sub-processo di mobilitazione ed acquisizione risorse

È evidente come sia importante la disponibilità (attuale o potenziale) dirisorse, del soggetto e nel suo rapporto con l'ambiente (esempi: competen-ze, attitudini, finanziarie nel caso di imprenditoria, etc.).

Si sottolinea come, nel caso di consulenza-counseling, uno dei sub-processi cruciali sia spesso quello del fare emergere e diventare attive risor-se, interne ed esterne, che inizialmente erano trascurate o comunque nonutilizzate.

Si evidenziano alcuni fattori quali:• "visione positiva di percorso": livello di costruzione, da parte del sog-

getto, di una prefigurazione positiva di sé "mentre" si procura le risorse(per es.: "mentre" studia per ottenere un diploma; mentre "cerca" lavo-ro; mentre "impara" a fare una certa attività). Può succedere per esem-pio che una persona si piaccia in quanto possessore di un diploma, manon si piace mentre studia per ottenere un diploma;

• alimentazione da parte dell'io desiderante nella fase di acquisizione dirisorse: sostegno della dimensione del desiderio, e non solo di quella delbisogno, nei riguardi della mèta. Se è solo un bisogno, la persona può"rinunciare": per esempio nella ricerca di chi gli dia fiducia; o nel lungoprocesso di acquisizione di una nuova capacità;

• auto ed etero credibilità del piano di acquisizione operativa di risorse;• livello di recupero e mobilitazione di una o più risorse trascurate

(esempio: collegamento con persone o ambienti; facilitazioni di accesso;opportunità nuove che la persona non conosceva o aveva sottovalutate).

2.3.3. Sub processo di depotenziamento (specifico ed applicati-vo) di problematiche storiche soggettive della persona in-teressata

Ogni persona ha sue problematiche storiche soggettive che, senza entra-re nel campo della patologia, possono però ridurre il suo spettro delle pos-sibilità. Proponiamo l'ipotesi che spesso il blocco nell'autogestione delprocesso di orientamento (con esigenza quindi di consulenza o counseling),sia dovuto proprio al fatto che i problemi storici soggettivi (killers) agisco-no riducendo fortemente proprie le possibilità nell'area rispetto cuil'orientamento è richiesto (lavoro; studi; importanti scelte familiari...).

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Le problematiche storico-soggettive, studiate da noi in sede di orienta-mento e di formazione degli adulti, hanno spesso a che vedere con uno opiù elementi quali per esempio:• complessi di inferiorità• insicurezza• esperienze precoci bloccanti o comunque fortemente negative• interiorizzazione di elementi culturali disfunzionali• ideologie personali e/o sociali obsolete• residui di problemi di identificazione sessuale, o legate alle fasce di età• copresenza difficile di "anime" del sé.

È per questa ragione che spesso l'orientamento viene confuso con la te-rapia: come se l'intervento di orientamento dovesse farsi carico di"risolvere" un certo problema soggettivo storico della persona. Invecel'intervento di orientamento si fa carico di aiutare il soggetto a"depotenziare" il problema soggettivo storico della persona nell'area speci-fica in esame e rispetto ad una o più opzioni. Per esempio trovando stradeper rendere "inoffensivo" quel problema, sul lavoro di un certo tipo deside-rato, e/o nella ricerca di quel lavoro, oppure mobilitando risorse positiveche permettono, nello specifico, di ovviare alle lacune specifiche causate.Si tratta più di aggirare che di risolvere.

Esempi di fattori misurabili:• livello di individuazione di strategie (alternative rispetto al passato) per

rendere inoffensiva la problematica storica soggettiva in quello specificotipo di opzione-indirizzo (di studi, di lavoro,...)

• livello di irrilevanza del/dei problemi storici soggettivi della persona,dato il particolare tipo di opzione scelta o di nuova possibilità aperta

• livello di nuova fiducia della persona, rispetto al problema storico sog-gettivo, data una sua nuova elaborazione breve ma incisiva durantel'intervento di orientamento

• numero e rilevanza di azioni processualmente significative messe in attodalla persona durante l'orientamento: in modo simbolico-analogico, essetestimoniamo anche una nuova possibilità di gestione (su specifici ap-plicativi, non in generale nell'esistenza) della problematica storico-soggettiva.

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2.3.4. Sub-processo della sperimentazione

In consulenza e counseling orientativo prevale per molto tempol'elaborazione mentale; l'approccio empowerment sottolinea come ad essoè importante che segua e si accompagni anche la dimensione dell'azione.

Non si parla qui di quelle azioni in cui già si concretizza l'inizio effetti-vo del percorso realizzativo dell'opzione scelta. Si tratta invece di azioni,spesso simboliche/analogiche, che costituiscono segnale che qualcosa simuove in un'area preliminare/d'intorno. Già nel buon senso popolare ènoto come costituiscano spesso segnali significativi: novità nel look este-riore; la sperimentazione di nuovi rapporti e ambienti, comportamenti co-siddetti inusuali (rispetto alle abitudini del soggetto). Possiamo interpretareil significato generale di simili fattori come "prove indirette" o"sperimentazioni analogiche reversibili".

Esempi:• sperimentazioni di comportamenti diversi dal solito, non direttamente

ma psicologicamente collegabili all'area dell'orientamento (e come talipercepiti dalla persona, anche se i contenuti sono diversi da quelli dellavoro, o dello studio...)

• sperimentazioni-prove reversibili: la persona fa delle piccole prove chehanno tre caratteristiche fondamentali: 1) durano poco tempo; 2) sonoreversibili: al loro termine tutto torna come prima (salvo, ovviamente,l'esperienza fatta ed i dati esterni-interni raccolti); 3) sono apparente-mente poco importanti (andare a sentire "una" lezione; provare a parlare"una volta" in modo diverso col genitore; andare a trovare "quasi percaso" un amico che ha un'officina): però importante è il collegamentopsicologico percepibile ed esplicitato dall'interessato e verificato dalconsulente di orientamento.

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9. Andare oltre: la scala dei desideri

In questo capitolo proviamo ad andare oltre nell'applicazione del prin-cipio/guida dell'apertura di nuove pensabilità e possibilità.

La "pensabilità" che proponiamo è quella secondo cui a guidare i com-portamenti non sono solo i "bisogni" ma anche in larga parte i "desideri"(tutto il primo paragrafo è dedicato ad illustrare la differenziabilità, sia purparziale e non totale, tra "bisogni" e "desideri"). Ciò in particolare oggi,nelle moderne società "liberate": ricche, ad alto livello di scolarizzazione,postindustriali, liberate dalla centralità dei bisogni di sopravvivenza.

La "possibilità" che proponiamo è quella di leggere ed aiutare il"motore" della crescita, individuale e collettiva, in quanto motore basatonon solo sulla tensione al superamento dei problemi, ma anche sulla esi-stenza tipicamente umana di un'intrinseca "scala dei desideri": sul lavorocome nella vita extralavorativa; nei ruoli di management come nelle profes-sioni di aiuto alle persone; nello sforzo di ciascuno per il proprio autosvi-luppo come nella tensione al miglioramento della qualità della vita; nellaricerca della gioia e del godimento come nella gestione del disagio e dellasofferenza.

I due primi paragrafi di questo capitolo, la "differenziabilità" tra bisognie desideri e la "scala dei desideri", vogliono anche fornire un contributoallo sviluppo delle persone e degli operatori circa il know how nell'area deldesiderio. Infatti l'umanità ha accumulato molto know how, sia scientificoche pragmatico, rispetto al trattamento dello stato "bisognoso"; molto menoinvece rispetto a quello "desiderante", quasi come se non fosse utile. Men-tre invece la tematica del desiderio (e non solo del bisogno) comincia amanifestarsi, come gli operatori ben sanno, non solo tra i "benestanti" maanche laddove la tradizione prevedeva solo bisogni, quali: l'handicap, il la-voro dequalificato, l'immigrazione, la senilità, la malattia cronica.

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Non vogliamo qui entrare nella vastissima tematica della motivazione.Vogliamo mostrare come l'approccio dell'empowerment, ed il suo focus"anche" sul ruolo motore dell'io desiderante, consentano una possibilitànuova e originale, una strumentazione incisiva aggiuntiva, una strada apertada percorrere che sembra valere la pena di, un conforto a chi sentiva di nontrovare, nelle tradizionali categorie del bisogno, corrispondenza ad unaparte emergente della realtà di questi nuovi tempi.

1. Bisogni e desideri

La scienza, la società, le istituzioni si occupano prevalentemente di bi-sogni, di esigenze, di mancanze (per esempio nella psicologia scientifica,need, o per esempio nel linguaggio istituzionale e politico i "bisogni dellagente").

C'è un'implicita declinazione di questo dato: bisogni e desideri sonotrattati quasi come sinonimi dai linguaggi ufficiali, mentre hanno differenzemolto sensibili: sia nell'uso della parola stessa, sia nelle sottili — ma sostan-ziali — differenze di contenuti che le persone applicano quando collocanostimoli e scopi nella categoria dei bisogni piuttosto che nella categoria deidesideri.

Semmai ci sarebbe da chiedersi perché le parole e i concetti di bisogno edesiderio vengano così spesso confuse nei linguaggi ufficiali: quando inve-ce le loro differenze sono così istintivamente chiare nella consapevolezzadiffusa delle persone.

In fig. 1 proponiamo la focalizzazione sistematica' :delle principali diffe-renze tra la categoria bisogno e la categoria desiderio2.

1. La differenziazione tra bisogno e desiderio corrisponde ad una "tendenza" più che aduna separazione assoluta (ci sono anche zone di sovrapposizione).

La lettura più rigorosa delle frasi riportate nella tabella successiva, le trasformerebbe, peresempio, nel seguente modo: da "il bisogno tende di più ad essere orientato al passato", a (inmaniera più rigorosa) "l'attribuzione della categoria del bisogno tende ad essere, più diquella di desiderio, orientata al passato". Ciò vale per tutte le voci di differenza esposte nellatabella.

2. Una bella descrizione della differenza tra "bisogno" e "desiderio" è fornita da LucaAmovilli, nel suo libro Imparare ad imparare (Patron, Bologna, 1994).

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Fig. 1 - Principali differenze tra la categoria bisogno e la categoria desiderio

Connotazioni prevalentidel bisogno

Connotazionl prevalentidel desiderio

Esempi semplici che sottolineanoaspetti di differenza tra "bisogni e

"desideri"

Il bisogno tende di più adessereorientato al passato; lasoddisfazione del biso-gno tende a ripristinarestati di equilibrio prece-denti

II desiderio tende di più ad essereorientato al futuro: la realizzazionedel desiderio tende a indirizzare ver-so l'ampliamento del campo di espe-rienza

Il "bisogno" di mangiare come farne,come conseguenza del non avermangiato; il "desiderio" di una bellacena, con quella tale specialità e/ocon quegli amici

Il bisogno viene di piùassociatoalla frustrazione; la pa-rola "bisogno di" tendead evocare l'immagine ele sensazioni del biso-gno frustrato

II desiderio viene di più associatoalla soddisfazione. La parola "de-siderio di" tende ad evocare l'im-magine e le sensazioni piacevoli deldesiderio soddisfatto

Il "bisogno" di fermarsi a riposare; il"desiderio" di fare un viaggio

La bisognosità è tenden-zialmentespiacevole, lo stato di"bisognoso", è quasi perdefinizione, giudicatospiacevole

La desiderosità può essere piace-vole e valorizzante. Lo stato di"desiderante" può (anche se nonsempre) risultare piacevole per lapersona ed essere giudicato daglialtri come valorizzante

Il prototipo sociale di "bisognoso" èla persona non autonoma che habisogno di assistenza sociale; il"desiderante" tipo è per esempio ungiovanotto/a pieno di salute, energia,voglia di vivere

Il bisogno tende di più adessereImprescindibile.Il bisogno tende ad es-sere pressante e rigido:l'azione per soddisfarlopuò essere rimandatanel tempo, o sostituita daaltre attività, solo perobbligo e comunque consofferenza

II desiderio tende di più ad essereflessibile.Il desiderio tende ad essere flessibilee postpOnibile: altri piaceri possonofacilmente, e senza sofferenza, farerimandare l'azione per soddisfarlo

Il "bisogno" di mangiare, di trovareun posto di lavoro, di avere un rico-noscimento che cancella un'offesasubita: sono pressanti, irrinunciabilise non con sofferenza.Il "desiderio" di scoprire, di viaggiare,di stare con gli amici, di fare l'amore,di realizzarsi sul lavoro, di creare, dicomodità: sono facilmente interscam-biabili nelle precedenze

Il bisogno tende ad es-sere piùspecifico e concreto. Ilbisogno tende infatti adessere realistico, le suemete concrete e definite

Il desiderio può essere più gene-rico e astratto. Il desiderio può essereinfatti realistico e concreto, ma puòspesso essere anche irrealistico, oastratto, o visionario, o confuso, ogenerico

Il desiderio (di autorealizzazione la-vorativa; di cercare l'amore con la Amaiuscola; di godere la vita) rischia direstare vago se non trova un più pre-ciso bisogno che lo aiuta a concretiz-zarsi, specificarsi, assumere la pre-cedenza operativa

Il bisogno è pin vissutoIl desiderio è più scelto e respon-sabilizzato.La persona tende ad essere consa-pevole che il desiderio corrispondealle sue caratteristiche soggettive,individuali, che è da lei privilegiatorispetto ad altri possibili. La personase ne sente (per lo più positivamente)responsabile

Il drogato in astinenza, nel momen-to attuale non si sente, responsabile(lo è semmai di esserci arrivato); cosìcome l'affamato o l'isolato sociale.Desiderare un lavoro migliore, unrapporto più vivo, un se stesso piùabile, è invece una scelta: di cui lapersona è (e viene considerata) re-sponsabile

come subito.Il bisogno tende ad es-sere vissuto da chi loprova come subito, indi_pendente dalla propriavolontà, inevitabile, in uncerto senso "oggettivo".La persona per certiversi non se ne senteresponsabile

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Alcuni ulteriori semplici esempi possono aiutare a focalizzare la diffe-renza tra la "attribuzione di bisogno" e la "attribuzione di desiderio", anchequando l'area di contenuto cui ci si riferisce è la stessa.

Bisogno e desiderio "di un amore"

- "bisogno" di riavere un amoreperduto

- "bisogno" di amore per troppasolitudine

- "bisogno" tout court di un uomo(o di una donna)

- "bisogno" di amore perché il re-sto della vita è insoddisfacente

- "desiderio" di un nuovo tipo diamore, o di rendere più bellol'amore attuale"desiderio" di incontrare e inna-morarsi di una persona stupendacon cui essere e fare cose nuove

Bisogno e desiderio "di un lavoro"

- ho bisogno di un posto di lavo-ro, altrimenti non so comemantenermi

desiderio di un lavoro dove sen-tirsi realizzato, applicare ciò chesi è imparato, continuare a cre-scere

Bisogno e desiderio "di vacanze"

- "bisogno" di vacanze per recu-perare energia, per ritemprarsi,per uscire dalla routine soffo-cante

- perché "sennò finisce che quimi ammalo"

"desiderio" di vacanze per prova-re nuove sensazioni, per farequella cosa di cui c'è voglia datanto tempo, per godersi il tempolibero, per fare un bel viaggio,per godersi la corporeità

Bisogno e desiderio "di un cambiamento di governo"

ce ne è "bisogno" perché i

-

ce ne è "desiderio" perché siproblemi irrisolti sono diventati vuole aprire a nuova progettuali-troppo gravi e inderogabili

tà, si desiderano visioni e propo-ste nuove

Nelle ricche società avanzate è sempre meno necessario spendere lamaggior parte della vita per i bisogni di sopravvivenza ed è sempre piùpossibile perseguire desideri qualitativi, di benessere non solo economico-quantitativo.

Nei secoli, però, il genere umano ha accumulato tanto know how sui bi-sogni: oggi ci troviamo invece carenti soprattutto di know how sui desideri.

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Tanto è vero che continuiamo a trattare (e perfino a denominare) i desidericome bisogni, mentre le loro leggi sono significativamente diverse.

Esempio "pro-vocatorio": tutti sanno come mostrare solidarietà e comecercare di fornire conforto ad un amico che ha problemi e bisogni ma se unamico si rivolge a noi dicendo che sta bene ma che vorrebbe stare meglio,molti non trovano di meglio che dire soltanto "beh, sei già fortunato".

1.1. A cosa serve saper distinguere tra bisogni e desiderie saper valorizzare questi ultimi

Ad evitare di trattare anche i desideri come se fossero ancora e solo bi-sogni: rischiando così di vivere da "poveri" (non solo economicamente)anche quando si avrebbe la possibilità di essere e sentirsi "ricchi" (inmolti sensi).A costruire know how personale sul desiderio e sul benessere (diversodal know how sul bisogno e sul malessere, in genere abbondantementeposseduti, se non altro per eredità millenaria dalla storia e dalla tradizio-ne).A godersi i desideri ancora irrealizzati come ricchezza e vitalità perso-nale; a provare piacere nel viverli, anche se ovviamente non potrannoessere realizzati tutti.A godersi di più il vivere in questa società dove sempre più soddisfattisono i bisogni e sempre più spazio c'è per i desideri.A considerare i propri desideri come degni di considerazione e di inve-stimento di impegno, intelligenza, risorse (invece di sentirsi autorizzati afarlo solo per i bisogni, che sono più "oggettivi").A basare maggiormente sui desideri (e non soltanto sui bisogni) aspettiimportanti della vita quali: i rapporti affettivi e amicali, le appartenenzelavorative e anche quelle politiche, le attività di studio e di impegno so-ciale, l'interpretazione dell'essere diventati adulti, il rapporto coi figli econ le persone care, la gestione del proprio tempo. Risultando così mi-gliori colleghi, amici, sposi e genitori, cittadini, perché è oggi evidentecome persone e sistemi sociali abbiano bisogno (almeno nelle modernesocietà liberate) di noi come vivi e desideranti ancor più che di noi comebisognosi e attenti ai bisogni (se poteste scegliere: che collega vorreste?che partner ideale? che lavoratore assumereste? quale capo? quale figlioe quale genitore?).

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1.2. Suggerimenti d'uso, della differenziazionebisogno-desi-derio per gli operatori delle professionidi aiuto alle persone

• Evidenziare come diverse siano le tecniche per aiutare rispetto ai biso-gni da quelle per aiutare rispetto ai desideri (esempio: generalmente sisa fare bene l'analisi dei bisogni, più sprovveduti si è rispetto all'analisidei desideri).

• Utilizzare l'energia e la motivazione discendenti dai bisogni (e necessi-tà, e crisi e problemi), ma anche la forza motivazionale discendente daidesideri (e apertura di possibilità, opportunità, vision).

• Tener conto della propria dimensione desiderante: indispensabile perpoter essere d'aiuto agli altri, bisognosi e/o desideranti che siano, ed acrescere continuativamente in capacità nel rapporto di aiuto.

1.3. Proposte di ricerca

• Ricerca sulle modalità di attribuzione delle categorie di bisogno e di de-siderio, utilizzate dalle persone e gruppi sociali.

• Ricerca sulla struttura del know how che riguarda il trattamentodell'area desiderio.

• Ricerca sulle modalità di trattamento, nelle professioni sociali, delle duedimensioni, "bisognosa" e "desiderante", del cliente.

• Infine, uso di metodologia analoga a quella usata da Maslow per la scaladei bisogni, in una ricerca sistematica sull'ipotesi della scala dei deside-ri.

2. La scala dei desideri

La celebre "scala dei bisogni" di Maslow (1954) ha sottolineato i prin-cipali bisogni (fisiologici primari —> di sicurezza —> sociali —> di stima —>di autorealizzazione) come fattori motivazionali e - soprattutto - ha eviden-ziato il meccanismo sequenziale della loro azione nell'orientare il compor-tamento e l'azione.

In fig. 2 proponiamo un'analoga "scala dei desideri": che assume comeprimo gradino-desiderio quello della auto-realizzazione, cioè l'ultimo gra-dino-bisogno di arrivo della Scala di Maslow.

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NUOVO STATO DI AUTOREALIZZAZIONE A LIVELLOPIÙ AVANZATO

DESIDERIO DI COMPRENSIONEdesiderio di capire meglio il significato di ciò che si è fatto egenerato, di metterlo in relazione con gli altri aspetti, di daresenso, di comprendere. Aspetti di saggezza.

DESIDERIO DI GENERAZIONEdesiderio di "mettere al mondo", di generare mondo nuovo, di fare esse-re ciò che altrimenti non ci sarebbe.

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DESIDERIO DI INNOVAZIONEdesiderio di apportare innovazione in ciò che c'è intorno a sé nelmondo circostante.

DESIDERIO DI CRESCITA DI CAPACITA'crescita soprattutto in termini di nuove capacità e competenze, per saper ge-stire esperienze e fenomeni nuovi per la persona. Apprendimento; elabora-zione.

DESIDERIO DI ESPANSIONE DELL'ESPERIENZAvoglia di esperienze più ampie e/o più approfondite, rispetto a quelle fatte finora.Esplorazione; allargamento; sperimentazione.

DESIDERIO DI AUTOREALIZZAZIONEsentimento di soddisfazione dei precedenti bisogni, di attuale espressione di sé, di be-nessere raggiunto.

Fig. 2— Scala dei desideri

In particolare questo modello della "scala dei desideri" sottolinea come:raggiunto lo stato di autorealizzazione in un certo momento della vita (odi un percorso specifico), la persona tende a non permanervi a lungo, mabensì a introdurvi delle turbative attraverso la ricerca dell'allargamentodell'esperienza (vedere, conoscere, partecipare a nuove situazioni):l'allargamento dell'esperienza tende quindi a fare emergere ulteriori de-sideri di "acquisizione di nuove capacità" e di "sperimentarsi in primapersona nell'innovare"il trainante fondamenta le dell'intera scala è probabilmente "il desideriodi generazione", di mettere al mondo ciò che altrimenti non ci sarebbe(così come la spinta fondamentale dell'intera scala dei bisogni di Ma-

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Curiosa anche nell'intorno delsuo posto di lavoro; desideraallargare le sue mansioni; sidichiara disponibile a nuoviincarichi, cambia posizioneuna o più volte

Comincia a desiderare unarelazione amorosa più im-portante, meno occasionale-transitoria. Tende a distaccar-si emotivamente dalla famigliad'origine

Desidera conoscere nuoviambienti e nuove persone.Desidera provare nuoveesperienze, per esempio inpolitica, o nel volontariato, onelle associazioni, o nei di-vertimenti organizzati

slow era implicitamente l'allontanamento progressivo del puro bisognodi sopravvivenza per arrivare all'autorealizzazione);dopo la fase di generatività, si ritorna ad uno stato di autorealizzazione(più avanzato di quello di partenza) passando ancora attraverso la fasedel "desiderio di trovare e dare significato, di comprendere" il senso: inun certo senso collegandosi ad una fase di saggezza;la scala dei desideri può essere ripercorsa più volte nella vita; e più volteanche in percorsi che riguardano specifici oggetti ed aree (lavorativa, af-fettiva e familiare, intellettuale, sociale).

2.1. Esempio applicativo di scala dei desideri

Consideriamo l'esempio di un bel giovanotto che ha finito gli studi edha iniziato a lavorare.

Ha buoni amici ed amiche, facilità di rapporti affettivi, vive in casa conla famiglia e non gli manca niente, si esprime anche nello sport ed in altricampi. Ha soddisfatto i bisogni ed è chiaramente in uno stadio di autorea-lizzazione. Ma è un ragazzo vivace cioè desiderante. Proviamo a seguire,attraverso questo esempio, il manifestarsi della scala dei desideri in diversiambiti della vita del giovanotto: per esempio lavorativa, affettivo familiare,sociale (fig. 3).

Fig. 3Ambito lavorativo Ambito affettivo-familiare Ambito sociale

Desiderio di espansione dell'esperienza

Desiderio di crescita di capacità

Vuole acquisire capacità an-che organizzative e gestionali(che a scuola neanche so-spettava, e che nel suo primoincarico di lavoro, tecnicooperativo, non erano indi-spensabili). Ricerca nuovistrumenti e lavora sulle pro-prie skills

Si interroga sulle capacitàaffettive e relazionali che glisono necessarie per la co-struzione di un rapporto dicoppia consistente, duraturo,soddisfacente

Si accorge che nei nuovi am-bienti, non più scolastici e daragazzi non bastano più moti-vazioni e idealità; che bisognaanche essere bravi e sapercifare. Rielabora il suo stile ericerca nuovi metodi e stru-menti di azione nel sociale

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Comincia a proporre innova-zioni, ai propri capi, a intro-durle e verificarle nel suoambito di responsabilità.Migliora e innova ciò che gliè stato affidato, soprattuttomodi e sistemi di fare le co-se

Persegue innovazione in sé enella sua partner, nei modellidi coppia che la tradizioneprescriveva loro. Inventa unsuo-loro modo di stare incoppia, bello e nuovo e anchesolido e consistente

Comincia (nella politica, o nelvolontariato...) a proporre in-novazioni ai soci più anziani edirigenti e si cimenta egli stes-so in comportamenti e sfidenuove, per modificare quantoha trovato già fatto

Progetta la creazione di unnuovo reparto (o di un nuo-vo prodotto, o di una nuovalinea di vendita). Cerca al-leati, sponsor, risorse, fino arealizzare la sua vision.Mette "al mondo" qualcosache non c'era, che non haricevuto ma bensì ha creato,ha fatto essere.

Genera una nuova famiglia eprobabilmente mette al mon-do figli. Nella nuova famiglia,insieme con la moglie, generaex novo il modo di vivere, ivalori, i rapporti, il linguaggio,i riti, le aspirazioni

Intraprende la progettazione eCostruzione di una nuova"impresa": per esempio ag-grega un gruppo specificodentro il partito-politica, o unnuovo servizio nel volontaria-to, o una nuova compagnia diamici su un nuovo campo diinteresse.Può vuole che il mondo sia unpoco diverso perché c'è unqualcosa di nuovo cui lui hadato vita

Fig. 3 - Segue

Ambito lavorativo I Ambito affettivo-familiare i Ambito sociale

Desiderio di introdurre innovazione

Desiderio di generatività

Desiderio di comprensione di significato

Soddisfatto di ciò che di nuo-vo ha generato, se ne occupaora in modo più stabilizzato.Si interroga sul significato ed icollegamenti di ciò che hacreato con il resto (dell'azien-da e anche della vita); diventapiù saggio

La famiglia è solida, i figli cre-scono: si interroga su ciò cheha fatto, sul significato di tuttociò per sé, per la vita intera,per il mondo

Desidera ora capire meglio "ilsenso" (non solo quello ope-rativo) più evidente, di ciò cheha fatto, il significato di ciòche ha messo al mondo e nelmondo.Desidera anche prendere unpo' di distacco dalla suacreatura

Non sappiamo se il nostro giovanotto ha impiegato, per compiere tuttala scala dei desideri descritta, pochi o molti anni. È comunque ora di nuovoin uno stadio di auto-realizzazione (più avanzato peisché auto-realizza un sédiventato più ricco). Probabilmente ricomincerà, dopo un certo tempo, acercare nuove o più profonde esperienze, ed è pronto per l'inizio di un nuo-vo ciclo di scala dei desideri.

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3. Tempo per desiderare. desiderare per avere tempo

La rivista il Giornale del dirigente ha dedicato nel '99 un bel numeromonografico al tema della "schiavitù del tempo". In quel numero fu pubbli-cato un articolo di uno dei due autori del presente volume (Bruscaglioni,1999): ne riportiamo qui alcune parti come esemplificazione dell'uso dellecategorie bisogno-desiderio in una tematica quotidiana sentita come quelladella disponibilità della risorsa tempo.

Siamo affannati e ci sentiamo male perché non abbiamo mai"abbastanza" tempo; la scarsità di tempo ci induce a correre continuamente,a sentirci "stressati". Non solo noi: pare che questo sia il disagio emergentedel tempo moderno. Emerge dalle interviste approfondite che manca iltempo soprattutto per le cose che più desideriamo e che più ci piacciono,essendo esso troppo occupato da ciò che bisogna fare, che è necessario, chenon si può "non fare".

Però c'è qualcosa che non quadra: come frequentemente spiega ancheDomenico De Masi (1999), i numeri dimostrano che mai, come nel moder-no che stiamo vivendo, c'è stato tanto tempo disponibile, usabile secondoscelte personali, liberato dal lavoro come necessità.

Del resto, anche sul lavoro, tanto più macchine e informatica ci fanno ri-sparmiare tempo tanto più, contemporaneamente e paradossalmente, crescela percezione di non avere abbastanza tempo.

Tutto ciò ricorda il ben noto fenomeno del "consumismo" materiale.Quando in una nazione incomincia a crescere la ricchezza economica, ecresce visibilmente la possibilità delle persone di consumare beni e servizi,accade che per un certo periodo si diffonda ancor di più la sensazione dellepersone di non avere abbastanza soldi e abbastanza mezzi per acquisire ciòche abbisogna.

Razionalmente il problema sembrerebbe chiaro: manca il tempo quoti-diano3 per fare le tante cose che dobbiamo e vogliamo fare. Dobbiamo ovogliamo? per il momento la domanda sembra solo inutile ed anzi un pocoirritante.

3. Ci occupiamo qui del problema del tempo "quotidiano". Non affrontiamo altri aspetti:per esempio quello della prospettiva esistenziale del tempo che si accorcia, quando l'età cre-sce e si diventa più maturi (vecchi?!).

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Vediamo tuttavia alcuni esempi di persone-situazioni rispetto alle qualila questione tempo non è vissuto come problema'', sofferenza, motivo distress:

una donna incinta aspetta un bambino desiderato. Non è stereotipo chespesso si manifesta uno stato di serenità e di appagamento e che tende adiminuire la rincorsa di tante cose; la scarsità del tempo quotidianosembra non costituire più un problema, pur continuando magari comeprima lavoro e rapporti;un giovane a cui piace l'indirizzo universitario intrapreso (da tanto desi-derava concentrarsi proprio su quelle materie), che ha bei rapporti, af-fettivi e amicali, che fa del volontariato sociale: con così tante attivitàdovrebbe mancargli il tempo; eppure non lo denuncia come problemaacuto, palesemente non è stressato;un uomo sta assumendo nuove responsabilità sul lavoro, sta costruendola sua famiglia anche quantitativamente crescente, gli si rivolgono amicie conoscenti per consigli, magari è impegnato anche nell'associazioneprofessionale. Come fa (col tempo)?! Eppure non sembra angustiato;un anziano ama la riflessione e la lettura, fornisce collaborazioni profes-sionali, gli piace perfino fare un po' il nonno; qualche problema fisicogli rallenta i ritmi, ma non si sente assillato dal tempo.

Si potrebbero fare altrettanti analoghi esempi negativi:• un uomo in ansia sul lavoro, perché sa che vale poco chi non diventa di-

rigente a xy anni di età;• una donna costantemente dibattuta tra le incombenze lavorative e quelle

familiari (magari dice: "non si possono fare bambini e poi non dargli lapresenza della mamma, d'altronde voglio e in ogni modo devo continua-re a lavorare";

• un giovane che non sa come fare a studiare e divertirsi (se non studianon è una persona seria, se non si diverte che gioventù è?).

Sembrerebbe che l'avvertire il "problema tempo" dipenda più da qual-cosa che sta dentro la persona che non dall'oggettivo scandire dell'orologioe dall'oggettiva abbondanza-carenza di questa risorsa.

Per capire e per orientarci verso la liberazione dalla schiavitù del tempo,proponiamo di focalizzare la differenza tra la categoria del bisogno e quella

4. È un buon metodo, di fronte ad un problema, quello di non continuare a rivoltarcisidentro ma di analizzare "casi di successo", nei quali tale problema è superato.

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del desiderio e soprattutto di approfondire le leggi di comportamento unpo' diverse quando si ha a che fare con gli uni e con gli altri.

Proponiamo allora al lettore la seguente lettura del "problema" del tem-po.

Il tempo è avvertito mancare sistematicamente (da cui la tensione e lostress continuo) quando lo si sente insufficiente per le tante cose che"bisogna" fare. Il tempo non è vissuto come problema (e non c'è stress)quando viene usato per alcune delle tante cose che si desidera fare e chefanno provarepiacere mentre le si fa.

Usando la suddetta sottolineatura della differenza tra bisogno e deside-rio: il tempo è comunque insufficiente e problematico per dedicarsi ai biso-gni, il tempo non costituisce problema quando ci si dedica ai desideri.

Per moltiplicare il tempo, paradossalmente, si tratta allora di aggiunge-re: l'interpretazione "desiderante" del tempo quotidiano accanto a quellapiù tradizionale "bisognosa":•. "l'interpretazione bisognosa" del tempo quotidiano è che la vita ed il

tempo devono essere dedicati a fronteggiare bisogni, necessità, cose chesi è scelto di dovere fare per gli altri e per sé stessi (pena problemi,"mancanze", sofferenze);"l'interpretazione desiderante" del tempo quotidiano è che il benesseremoderno permette (e richiede) di dedicarsi non solo ai bisogni-necessità-problemi ma anche, per certi versi soprattutto, ai desideri al-trui e propri, ed alle attività che mentre si svolgono provocano piacere,altrui e proprio.

3.1. Come liberarsi dalla schiavitù del tempo

Proponiamo due indicazioni principali, sintetizzabili nello slogan "usarela risorsa tempo per desiderare, desiderare per godersi il tempo e non su-birlo come problema".

1) restituire legittimità alla parte di sé desiderante, spesso giudicata e rele-gata al ruolo di superflua, soggettiva, da tempo libero. Valorizzare inve-ce il sé desiderante, non solo egoistico ma anche al servizio degli altri,essi pure desideranti e non solo bisognosi (paradossale è, ci si permettal'ironia, la bontà di chi si dedica ai "bisogni" degli altri: in questo modonegando la loro più bella realtà di soggetti desideranti, tesi anche al pia-cere, alla bellezza, alla realizzazione, alla generatività)

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2) stare bene attenti ad evitare la trappola, tipica dei nostri anni attuali, cheporta a trattare i desideri come se fossero bisogni. Questo è infatti ilmeccanismo attraverso cui il tempo diminuisce anche quando ne abbia-mo di più, le attività sono stressanti (sul lavoro e fuori) anche quandosono belle come neanche prima ce le sognavamo, la frustrazione puòpeggiorare proprio nel moderno in cui le opportunità permetterebberooggettivamente migliori qualità, benessere, vitalità desiderante.

Facciamo un esempio perfino rimanendo nel campo tradizionale deltempo libero. È gradevole pensare ad una persona cui piace dedicarsi alpartner affettivo ed ai figli, cui piace andare in palestra, sciare, leggerelibri; cui piace andare al cinema, mangiare bene, chiacchierare. Ma sequesta persona cadesse nella trappola del consumismo psicologico epensasse (per qualsiasi motivo) che "deve" riuscire a fare tutte questecose, che corresse dall'una all'altra perché il tempo non basta, che pen-sasse alla prossima mentre ancora fa la precedente: questa persona (aparità di tempo oggettivo disponibile) passerebbe d'un balzo da contentaa stressata, da ricca a povera, perfino da bella a brutta, da protagonista aschiava del tempo che corre.

Poiché la società moderna (tecnologica, del lavoro knowledge intensive,delle tante risorse utilizzabili) ha "oggettivamente" moltiplicato il tempoliberato da necessità assolute, diventa particolarmente importante questacapacità di non scivolare soggettivamente dalla interpretazione desiderantea quella bisognosa del tempo.

Per evitare il grande errore (senza fondo) di trattare i desideri come bi-sogni, proponiamo di focalizzare alcuni esempi di "circoli virtuosi", che li-berano dalla schiavitù del tempo e, all'inverso, di "circoli viziosi" o trap-pole del tempo: ci sembrano esempi utili soprattutto perché il contenuto e leattività sono le stesse, mentre le conseguenze di benessere e malessere pos-sono essere indirizzate consapevolmente dall'interessato.

3.2. Come godere (o come rovinarsi) la vita e il tempo, conle stesse cose

La carriera:a) desiderare di fare carriera perché è bello crescere, aumentare responsa-

bilità, occuparsi di cose più importanti, essere utile a più persone; oltre-ché per guadagnare di più ed avere più prestigio sociale;

oppure

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b) avere bisogno di fare carriera perché se no si vale poco, non si è stimatidagli altri, si viene superati, i soldi non bastano, se si perde questo trenonon ne passerà un altro, etc..I figli:

a) aiutare i figli a fare attività ulteriori a quelle scolastiche (musica, nuoto,ballo, sport) perché così aumentano espressività attuali e opportunitàfuture, perché è bello per il genitore stare loro vicino in cose belle;

oppureb) "perché" se no rimarranno indietro nella vita, perché noi genitori forse

non gli diamo abbastanza, perché ho bisogno di sentirmi genitore bravodi figli bravi;

Il dirigere:a) fare il dirigente dedicandosi alle molte attività del dirigere: organizzare,

gestire, innovare, parlare con le persone, elaborare strategie, rispettareburocrazie: perché è piacevole dirigere e contribuire con le proprie ca-pacità al benessere ed ai risultati di tanti;

oppureb) fare le stesse cose, però organizzare perché altrimenti va tutto a catafa-

scio, doversi occupare delle persone perché se no si demotivano, inno-vare perché quelli di sopra ne vogliono sempre una nuova, occuparsidella maledetta ma inevitabile burocrazia.

La vacanza:a) godersi la vacanza per fare cose nuove; per aprire orizzonti; per fare

esperienze; per sentire contatto con sé e con gli altri; per crescere; perviaggiare e vedere nuove cose;

oppureb) avere bisogno di vacanza perché oramai ero vicino all'esaurimento; per

ricaricare le batterie; per fare ciò di cui per tutto il resto dell'anno mancail tempo; per "fare l'Egitto" che era sempre restato fuori dai miei viaggie dai paesi che ero riuscito "a fare".

In sintesi: stiamo proponendo che la schiavitù del tempo sia soprattuttodovuta al fatto che trattiamo i desideri come se fossero bisogni e che ci sipuò liberare di questi ultimi restituendo a noi stessi (e agli altri) ciò che ilmoderno permette: di avere desideri, di mirare all'autorealizzazione ed allageneratività, di gustare le cose mentre le facciamo, sul lavoro e fuori dallavoro.

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La schiavitù del tempo non è dovuta ai tanti bisogni: infatti non c'è nellesocietà (purtroppo ancora tante) in cui davvero nella vita prevalgonodrammaticamente i bisogni. Dalla schiavitù del tempo del moderno progre-dito, si esce riconoscendosi, sul lavoro come fuori, desideranti (come lecondizioni delle società avanzate oggi permettono). Nella schiavitù deltempo si riprecipita soprattutto se si trattano i desideri come se fossero bi-sogni: per cui "bisogna" fare carriera, bisogna fare "tutte" le cose previstenel tempo libero, bisogna risolvere tutti i problemi, bisogna voler bene a sée agli altri; bisogna, bisogna, bisogna... E il tempo più ampio che si eraaperto ridiventa stretto, assillante, fondamentalmente privo di quella gioia edi quel benessere che ognuna di quelle cose potrebbe dare se prese una peruna.

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10. Percorsi e leve per il cambiamento

1. Cambiamento quale e cambiamento come

"Più teoria che pratica": critica spesso rivolta alle trattazioni propostedai libri. Nel caso della tematica "cambiamento", accade oggi l'inverso. Ètantissima e visibile la pratica: tutte le aziende mutano visibilmente nel girodi pochi anni (per esempio nel rapporto col mercato, nei prodotti e nei ser-vizi forniti, nelle strutture organizzative), le società si trasformano macro-scopicamente (basti pensare all'evoluzione agricola-industriale-dei servizi),le persone cambiano (per esempio nei rapporti, nella immagine di sé, inquello che fanno).

Meno evidente è "come" avviene il cambiamento, anche laddove in- -dubbiamente avviene o addirittura è già avvenuto. Scarsa è proprio la teoriasui "modelli del cambiamento".

La mancanza di teoria e di modelli potrebbe anche non costituire unproblema pratico, se non fosse poi che se ne sente invece bisogno praticoquando si avvertono sempre più fortemente esigenze quali:• "accelerare" il cambiamento (per esempio quando su esso e sul suo

contenuto c'è consenso diffuso);• far sì che il cambiamento sia consapevole e coinvolgente per più perso-

ne possibili (e non solo imposto o dato di fatto);• provocare meno traumi e disorientamento; per integrare bene il cam-

biamento nell'esistente e nella tradizione;• produrre più efficaci strumenti e risorse di supporto al processo di cam-

biamento.

Certamente le teorie della persona, dell'organizzazione, delle società,comprendono anche l'aspetto cambiamento: spesso però considerato piùnei contenuti ("cosa" deve cambiare e in che direzione) che nei modi("come" fa a cambiare e secondo quale iter-processo).

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In questo capitolo ci proponiamo di dare un contributo alla focalizza-zione di alcuni "modelli" di processo di cambiamento.

Supponiamo per esempio che sia scontato: che un'azienda debba e vo-glia orientarsi di più al lavoro per obiettivi e/o al servizio-cliente; che unapersona debba e voglia ampliare la sua professionalità e il suo spettro diattività; che una società debba e voglia diventare più istruita, internaziona-le, computerizzata. È chiaro che tutto ciò "comunque" avverrà, però: primao poi, con più o meno traumi o partecipazione, con orgoglio o con frustra-zione, all'avanguardia o a rimorchio dei fatti. L'esplicitazione dei"modelli" può contribuire ad ottimizzare tutto ciò.

In particolare vogliamo focalizzare tre veri e propri modelli, ulteriori ri-spetto ai due finora maggiormente utilizzati e noti: del cambiamento drasti-co-rapido imposto da una parte e del cambiamento armonico-progressivo-partecipativo dall'altra. Il dibattito è infatti quasi sempre limitato attorno aquesti due (rischiando di finire nell'impasse dei pregi del modello parteci-pativo a volte però contraddetto dalla sua inaccettabile lentezza).

Non sempre nel cambiamento è primaria la questione del conflitto traparti sociali o persone portatrici di interessi diversi: si pensi per esempio aduna singola persona che vuole cogliere nuove opportunità (di lavoro, affet-tive, di divertimento, di equilibrio personale) e si sente imprigionata dellapropria incapacità di cambiare.

Nell'esposizione proposta in questo capitolo dei modelli del cambia-mento, privilegeremo quattro aspetti o, meglio, focus:

1° focus: sul "cambiamento-innovazione", sul cambiamento cioè inten-zionale e consapevole

Fig. 1

CAMBIAMENTO

Cambiamentocome"MUTAMENTO"awiene di fatto

Cambiamentocome"INNOVAZIONE"è consapevole eintenzionale

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Il cambiamento qui trattato è soprattutto quello "consapevole e inten-zionale". Si trascura invece l'accezione più vasta del cambiamento, com-prendente le evoluzioni che avvengono di fatto, senza consapevolezza edintenzionalità (che si palesano semmai a posteriori, a cambiamento avve-nuto).

Proponiamo di denominare "cambiamento-innovazione" questo tipo dicambiamento consapevole e intenzionale; di denominare "cambiamento-mutamento" le evoluzioni che avvengono di fatto, senza consapevolezza eintenzionalità nel suo durante, da parte degli attori coinvolti.

Per esempio costituiscono cambiamento-mutamento, senza intenziona-lità e consapevolezza, molta della crescita biologica dei bambini e dei ra-gazzi; molto del cambiamento sociale indotto da progresso scientifico-tecnologico-economico dell'istruzione; molto di quello determinato dall'a-deguamento dei prodotti operato dall'azienda.

Mentre sono più spesso intenzionali e consapevoli, per esempio: il cam-biamento di vita operato da un individuo, nel lavoro o nella vita personale;il cambiamento di struttura organizzativa e di sistema di obiettivi diun'azienda o d'istituzioni o di forme governative di una società.

Il focus viene qui posto sul cambiamento-innovazione, consapevole eintenzionale nella maggior parte possibile delle persone e dei gruppi coin-volti.

2° focus: sul "processo" del cambiamento: su "come" cioè avviene (piùche, in questa sede, su quali sono i suoi contenuti).

Ci si occupa di solito dello stato iniziale e dello stato finale, che prece-dono e concludono il cambiamento preso in esame. Qui noi poniamo inveceil focus sul "come" avviene e funziona "il processo" di cambiamento, l'itercioè del passaggio dallo stato iniziale a quello finale.

Si pensi per esempio a come e con quale processo può avvenire la cre-scita di un ragazzo che diventa adulto o di un adulto che invecchia,l'adattamento di una azienda a nuovi mercati e tecnologie, la modernizza-zione di una società. Tutte trasformazioni in buona parte "date", nei loropunti di partenza e d'arrivo, ma altamente variabili nel come avvengono.

3° focus: sui modelli del cambiamento culturale e sui processi secondocui questo cambiamento avviene.

Il cambiamento culturale di fatto avviene; ma "come"? Si potrebbeesplicitare il seguente paradosso:•• si può dimostrare che la cultura "non può" cambiare (se non in tempi

molto lunghi): infatti la cultura è costituita da così tanti elementi (e così

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tanto coerenti tra loro) che quando un primo di tali elementi tende acambiare, viene inevitabilmente ricondotto all'ordine da tutti gli altri;è altrettanto facile rilevare come la cultura di fatto cambia, ed anche ab-bastanza rapidamente. Basta vedere come sono avvenuti i passaggi (nonnei sécoli, ma in pochi decenni) della struttura-cultura agricola a quellaindustriale e postindustriale; come si trasformano rapidamente le cultureaziendali sollecitate dalle nuove richieste del mercato e dalla diffusionedell'informatica; come cambiano le persone a fronte di nuove crisi e dinuove opportunità.Crediamo che la focalizzazione di diversi modelli del cambiamento aiuti

a spiegare il paradosso, a capire come il cambiamento di fatto avviene, afacilitare questo processo.

40 focus: sui diversi tipi di contributori all'innovazione e sulla loro fun-zione.

Una prima distinzione, ripresa nei vari modelli di seguito descritti, èquella tra:• gli innovatori "puri" , cioè quelli che inventano il nuovo differenzian-

dolo dal vecchio precedente;• gli innovatori "integratori", cioè quelli che facilitano l'affermazione del

nuovo tramite il suo innesto-integrazione nel vecchio-precedente.È una differenza un po' simile a quella tra scienziati e tecnici, o tra pen-

satori sociali e politici. In azienda, ma anche nel sociale, non sono spessocosì nettamente distinguibili; può essere più opportuno parlare di"funzioni", dell'innovazione "pura" e dell'innovazione "integrativa".

Si è volutamente privilegiata la focalizzazione di quei modelli del pro-cesso di cambiamento che hanno efficacia esplicativa a livello sia della or-ganizzazione azienda, sia della persona individuale, sia della società. Que-sto anche come metodologia di verifica interna della validità scientifica deimodelli evidenziati.

I modelli del processo di cambiamento presi in esame sono cinque, ca-ratterizzati sinteticamente nella tabella e descritti nel testo successivo.

I primi due sono quelli maggiormente considerati nel dibattito tradizio-nale (spesso anche un poco ideologicizzato): la focalizzazione degli altri trerappresenta anche un modo per uscire dall'impasse dell'oscillazione tracambiamento "drastico" imposto e cambiamento armonico partecipato matroppo lento.

Si sottolinea inoltre, in particolar modo, come si può facilitare la"accelerazione" del cambiamento.

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2. Cinque tipi di percorsi e metodi di cambiamento

I modelli qui descritti non esauriscono certamente la tipologia possibile.Per certi aspetti essi sono davvero modelli diversi, per altri, nel cambia-mento reale, si mescolano e interagiscono come componenti di uno stessofenomeno.

Il pregio della proposta è — speriamo — quella di evidenziare comunquediverse possibilità di azione per facilitare il cambiamento, diverse strategiea seconda delle condizioni, diverse possibilità di integrazione tra vecchio enuovo, diverse opportunità da cogliere e rischi da evitare.

2.1. Processo "drastico" del cambiamento

Proprio perché convinti della superiorità di democrazia e consenso, pos-siamo consentirci/permetterci di valorizzare anche qualche pregio della"dittatura" drastica: la rapidità di talune realizzazioni e cambiamenti; lapossibilità di perseguire obiettivi doverosi, ma su cui nell'immediato è dif-ficile aggregare consenso.

Esempi di ciò si possono scoprire/evidenziare sia in azienda che nelsingolo o nella società.+ In azienda è indubbio che molte trasformazioni e cambiamenti necessari

vengano bene realizzati da direzioni generali nuove e dotate di forti po-teri; così come nella singola persona, alcune direzioni importanti per ilfuturo sono talvolta prese da una parte minoritaria e prepotente del séche impone di togliere di netto incertezze e tradizioni acquisite.

• Ed anche nel sociale, sono spesso minoranze illuminate ad aprire gli oc-chi a molti, a consentire nuove possibilità, nuove realizzazioni, veri epropri salti di qualità (quasi tutte le rivoluzioni, sia armate che pacifi-che).

2.1.1. Caratteristiche definitorie

Sinonimi e parole chiave del processo drastico di cambiamento: cam-biamento forzato, imposto da una parte sulle altre; rivoluzione leadershipminoritaria; dittatura, discontinuità.

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Fig. 2 - Tavola riassuntiva sui 5 tipi di percorsi e metodi del cambiamentoDenominazione del processo di cambiamento

I. Drastico Il. Armonico III. Creazionedi nuovo polo

IV. Strumenti V. Possibili-tante

Sinonimi e/oparole chiave

Imposto, forza-to,rivoluzione

Partecipazio-ne, consenso,progressività

Spostamentoquantitativoprogressivo

"Impara l'arte emettila daparte"

Empowerment.Apertura dipensabilità e dipossibilità ag-giunta

Fattore prima-do di cambia-mento

La forza di chipersegue ilcambiamento

Capacità dielaborare in-sieme

Nella coesi-stenza del vec-chio col nuovoma perde lasua centralitàquantitativa

La capacità diprefigurare si-sterni, stru-menti, metodo-logie nell'oggisovra dimen-sionati ma infuturo neces-sari

Prevalenzapsicologica eculturale deldesiderio sulbisogno, dellapositività sullanegatività

Rapporto traprima e dopo

II nuovo com-batte per so-stituire il vec-chio

Il nuovo emer-ge come evo-luzione delvecchio

Il vecchio coe-siste con ilnuovo ma per-de la sua cen-tralità quantità-tiva

Il nuovo pro-cesso di fun-zionamentosta su di unpiano total-mente altro; ilvecchio appa-re poi antico

Dapprima lenuove possibi-lità coesistonocon le prece-denti; quindiprove progres-sive convinco-no ad adottarecome perma-nente la nuovapossibilità

Vantaggio teo-rico principale

Velocità Potenza delcambiamentoquando avvie-ne

Possibilità diconciliare de-terminazioneinnovativa elibertà di scelta

Lancia un pon-te tra presentee futuro

Coglie le op-portunità esi-stenti e pro-muove l'azioneresponsabile

Limite teoricoprincipale

La resistenzadi chi subisce ilcambiamento

Rischio di len-tezza

Difficoltà diprevedere l'en-tità dei risultati

Pone le basima non realiz-za il cambia-mento

Rende possi-bile il cambia-mento, ma nonlo assicura

Esempio tipiconella società

Ogni tipo dirivoluzione so-ciale

L'evoluzionesociale in chia-ve industriale apartire da unmiglioramentonell'agricoltura

La fattoria e ilgrattacielo

Apertura dinuovi rapportiinternazionali;innalzamentodell'obbligoscolastico

Proposta dileadership cen-trata su unanuova visiondell'avvenire

Esempio tipiconelle imprese

Ristrutturazio-ne operata dal-la nuova dire-zione

i circuiti diqualità, la dire-zione parteci-pativa

La creazione diun repartonuovo connuova tecnolo-gia, organizza-zione, cultura

Un nuovo si-stema, moltoinnovativo, dicontrollo di ge-stione o di pro-cesso

Diffusione diautonomia ediscrezionalità,gruppi di lavo-ro autogestiti

Esempio tipiconelle persone

Cambiamentidi lavoro, diresidenza, direlazione affet-tiva principale

ll passaggioequilibrato daun'età all'altra

Un nuovo rap-porto di riferi-mento, una nuo-va attività postlavorativa

Lo studio di unalingua straniera;l'uso del pc e diInternet

Sperimentazio-ne di una nuo-va attività

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Nel risultato finale del processo di cambiamento il nuovo ha eliminato ilvecchio o comunque lo ha sottomesso; durante il processo di cambiamentoil nuovo si contrappone al vecchio, lo attacca per distruggerlo, lo consideracomunque come alternativa rispetto alla quale deve essere operata unascelta decisa (o vecchio o nuovo).

Una parte o qualcuno ha la forza di imporre agli altri il cambiamento:delle azioni, dei comportamenti, delle strutture operative, della cultura do-minante

il fattore cruciale primario è rappresentato dalla misura della forza di chiimpone il cambiamento e dalla sua tenuta nel tempo (peraltro in un secondotempo, il cambiamento realizzato deve acquisire consenso e cambiare tipodi processo non più imposto con la forza).

2.1.2. Esempi di processo "drastico"

Esempi di processo "drastico" del cambiamento nell 'organizzazione:• la nuova Direzione generale impone una nuova struttura organizzativa e

nuove regole-metodologie-organizzazione del lavoro operativo: gesten-do con forza il sistema di premi-punizioni sia tangibili sia psicologicoculturali;

• un nuovo leader, carismatico in un settore, fa carriera ed impone a li-vello aziendale complessivo nuovi metodi che avevano avuto successonel suo settore specifico.

Esempi nell 'individuo:• la persona decide, in maniera relativamente repentina, di cambiare tipo

di vita, di lavoro o di luogo di residenza, o di status familiare (in parti-colare in occasione di una nuova opportunità o di una nuova crisi-problema);

• una specifica "parte" dell'individuo decide dunque sulla base della nuo-va opportunità o crisi, ed impone al sé complessivo il cambiamentodelle precedenti abitudini, emozioni e sentimenti, identità, desideri, bi-sogni: per adeguarsi alla decisione presa autoimposta ed alle sue conse-guenze operative e psicologiche.

Esempi nelle società:• un dittatore assume il comando e impone con la forza nuove regole e

comportamenti e situazioni globali di vita (esempio: Stalin negli anni20-30 sposta milioni di lavoratori dalle campagne all'industria);

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• una minoranza culturale assume la leadership ed impone il modello suodominante di nuovi valori e stili di vita (in tempi ed ambiti diversi, peresempio nell'Italia del XX secolo, lo hanno fatto fascisti, comunisti,cattolici, liberali);

• nelle rivoluzioni che vengono poi istituzionalizzate, molti leader, in se-guito altamente apprezzati, operano all'inizio secondo il processo dra-stico impositivo del cambiamento.

2.1.3. Principali pregi e difetti del processo "drastico-forzato"del cambiamento

• Pregio tecnico: rapidità con cui il cambiamento può diventare operativoe antidoto ai difetti del modello "consensual partecipativo" (in un certosenso l'opposto).

• Difetti e limiti:— antidemocraticità; interrogativi etici:—probabile sollecitazione delle resistenze e mobilitazione dei resistenti

che (salvo gli eventuali vantaggi troppo evidenti procurati dal cam-biamento) tendono a permanere nel tempo (talvolta determinando poila "controrivoluzione", comunque facendo mancare consenso, ener-gia, apporto);

—pericolo che il cambiamento avvenga soltanto a livello di "come se":le cose cambiano a livello ufficiale ma non a livello sostanziale sotto-stante (esempio: molte colonizzazioni).

2.1.4. Tipologia degli innovatori nel processo di cambiamentodi tipo drastico

L'attore primario, che agisce, ha la forza necessaria per imporre il cam-biamento; coloro che aiutano l'attore primario a conquistare ed esercitare ilpotere; coloro che aiutano progressivamente a passare dalla forza subita alconsenso.

N.B.il significato di quanto esposto, in particolare riguardo a questomodello di cambiamento drastico, può risultare ovviamente molto diversonell'ottica dei "dittatori" negativi e di "leader innovativi" positivi.

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In questa sede ci sforziamo però di analizzare i "tipi" metodologici diprocesso di cambiamento astenendoci dall'entrare nel merito della negati-vità-positività dei contenuti del cambiamento.

2.2. Processo "armonico" del cambiamento

Sarebbe, e spesso è, bello se si potesse cambiare tutti insieme con ilconsenso e la partecipazione di tutti: progressivamente, senza forzature.questo il modello del cambiamento denominato democratico nel socialepartecipativo in azienda, armonico all'interno delle parti psicologiche dellastessa persona.

Le metodologie del miglior aumento continuo e partecipativo in azien-da, della crescita dell'industria come trasformazione di alcune attività agri-cole nella società, dell'educazione comprensiva del bambino per aiutarlo adiventare grande, risultano infatti certamente tra le più efficaci.

Il nuovo sboccia dal vecchio, ne rappresenta in un certo senso l'evo-luzione accrescitiva. Un solo problema in tanta reale positività: e se l'ul-timo non si convince? E se bisogna fare presto?

2.2.1. Caratteristiche definitorie

Sinonimi e parole chiave: elaborazione condivisa; progressività; consen-sualità; unanimità ("fino a che l'ultimo non è coinvolto"); senza traumi erotture; evoluzione reciprocamente sinergica di azioni, comportamenti,convinzioni, emozioni, metodi, strumenti, rapporti, valori, cultura.

Nel risultato finale il nuovo si configura come evoluzione del vecchioche si è trasformato progressivamente in qualcos'altro; attraverso successi-ve fasi; durante il processo di cambiamento, con il massimo consenso e piùpartecipazione diffusa possibile; il lavoro consiste nella elaborazione delvecchio per la sua trasformazione migliorativa.

Attraverso modalità partecipative e consensuali, si elabora insieme ilcambiamento-miglioramento culturale e operativo e contemporaneamentelo si mette in atto con progressività.

Il fattore cruciale sta nella "maturità collettiva" che permetta di alimen-tare continuativamente il processo nella sua complessità ed in particolareconsente di impedire il blocco di esso da parte di componenti assoluta-mente minoritarie ma non prive di energia bloccante.

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2.2.2. Esempi di processo "armonico"

Nell'organizzazione: attraverso modalità partecipative (quali riunioni,gruppi di lavoro, circoli qualità, analisi a cascata top-down e bottom-up) sielaborano, si decidono, si attuano le forme progressivamente migliorativedell'organizzazione e del lavoro.

Nell'individuo:• la crescita da un'età all'altra guidata senza sbalzi e traumi;• la preparazione consistente e ponderata di cambiamenti di vita, affettivi,

lavorativi, residenziali: evolvono coerentemente e insieme tutte le parti egli aspetti della persona: azioni, comportamenti, sentimenti, emozioni,bisogni, desideri.

Nelle società:• trasformazioni socioeconomiche produttive caratterizzate da continuità;

per esempio quelle dei distretti tradizionalmente agricoli che sviluppanoattività industriali proprio a supporto dell'agricoltura (molti esempinell'Emilia degli anni '50-60);

• lo sviluppo della democrazia del post-Franco spagnolo;• le innovazioni tipicamente guidate dal parlamentarismo democratico, in

particolare in quelle aree cui convergono anche forze politiche general-mente in opposizione tra di loro.

2.2.3. Sintesi di pregi e limiti

Tendenzialmente questo tipo "partecipativo" di processo del cambia-mento ha quasi tutti i pregi possibili e solo qualche limite che però può in-ficiarne il funzionamento reale.

Esempi di pregi: democraticità come valore; credibilità; consistenza, te-nuta, affidabilità del cambiamento una volta realizzato; massimizzazione alungo termine delle risorse disponibili; coerenza decisione-azione.

Il limite sta nella lentezza eccessiva, nella progressività troppo prolun-gata nel tempo. Può costituire rischio inoltre la tendenza del consenso adaddensarsi su obiettivi a breve temine penalizzando gli obiettivi a lungotemine soprattutto se richiedono sacrifici immediati.

Può esserci inoltre il pericolo che pochi minoritari possano riuscire abloccare l'intero processo di cambiamento talvolta per periodi molto lun-ghi.

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2.2.4. Tipologia degli innovatori

I propositori e animatori del processo partecipativo.Coloro che sanno costruire vision in cui tutti o quasi tutti gli interessatitrovano motivi di concorrenza positiva.Coloro che (vedi anche successivi modelli di processo di cambiamento)sanno fornire strumenti, risorse, possibilità aggiuntive per consolidareconsenso, partecipazione, soddisfazione, efficacia.

2.3. Processo del cambiamento del tipo "creazione delnuovo polo"

Questo tipo di processo è denominato anche del terzo tipo perché rap-presenta una modalità molto diffusa alternativa dell'oscillazione tra i dueprecedenti: non forzato come nel cambiamento drastico-imposto, ma anchecostretto (e rallentato) all'esigenza che "tutti" debbano partecipare ed evol-versi di pari passo.

In azienda l'esempio potrebbe essere quello di un nuovo reparto o setto-re, con tecnologie, organizzazione, cultura molto diversi dagli altri reparti.Probabilmente così è stato per l'introduzione iniziale dell'informatica, delmarketing, del lavoro in gruppi.

Cerchiamo di rendere chiaro il funzionamento di questo tipo di pro-cesso di cambiamento usando l'immagine della fattoria e del gratta-cielo (cioè utilizzando l'analogia con la trasformazione avvenuta recente-mente in molti paesi che ha permesso il passaggio da centralità agricola aindustriale).

Il presupposto è che il mondo della fattoria è troppo compatto e coerenteper tentare il cambiamento: i modi di produrre, i modi delle persone di darevalore, di rapportarsi, di lavorarne, di riposare e divertirsi, formano un in-sieme che isola qualsiasi innovazione tentata. Col modello armonico ci vo-gliono decine di anni. D'altronde l'imposizione, la distinzione della fattoria(perché poi?) provocherebbero una reazione violentissima.

2.3.1. Fasi del processo di cambiamento del "terzo tipo" ovverodella creazione di nuovo polo, ovvero di tipo grattacielo-fattoria

1. La costruzione del grattacielo, cattedrale nel deserto

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Qualcuno (interno od esterno alla fattoria) intuisce che c'èun'alternativa al modo di vivere della fattoria: quello del grattacielo.

Gli innovatori (una minoranza) uniscono le forze e costruiscono ungrattacielo.

In questa prima fase il grattacielo è in un certo senso una "cattedralenel deserto", un corpo separato ed estraneo all'ambiente.

Escludendo il piccolo gruppo degli innovatori, si può dire che lamaggior parte delle persone continua a vivere, lavorare, spendere il pro-prio tempo, soddisfare esigenze e desideri nella fattoria.

2. La sperimentazione iniziale del grattacieloPer motivi diversi, qualcuno degli abitanti tipici della fattoria, fa una

"puntata" nel grattacielo.Ciò può avvenire per un bisogno molto specifico (chiamare il veteri-

nario per telefono), per curiosità (magari di nascosto perché la culturadella fattoria lo condanna), per evasione avendo sentito parlare di nuovicambiamenti, per confermare che è giusto rimanere nella fattoria.

Si tratta, simbolicamente, di una permanenza molto breve, ma suffi-ciente per avere una "visione" di ciò che c'è nel grattacielo, una possi-bilità di apertura ed alternativa mentale.

3. L'inizio dello spostamento dalla fattoria al grattacieloNella breve "puntata" o sperimentazione iniziale alcune persone

hanno "visto" per esempio che nel grattacielo si invecchia più tardi, nonci si spezza la schiena dalla fatica, si mangia meglio, le donne sono piùbelle, non si muore di fame, si curano le malattie. E c'è la luce, l'acqua,il calore.

Alcune persone (le stesse od altre) cominciano allora ad andare "ognitanto" nel grattacielo per passare ore di divertimento diverse; per usareservizi che nella fattoria non ci sono; per sentirsi, per evadere tempo-ralmente dalla monotonia della vita nella fattoria; per conoscere nuovepersone e situazioni.

Qualche giovane va a lavorare nel grattacielo, tornando a casa la serae cambiandosi d'abito nel tragitto. Qualcun altro invece lavora nellafattoria e va a dormire nel grattacielo. Le mamme continuano magari adiffidare i giovani, ma li incoraggiano con gli occhi. I vecchi patriarchidella fattoria tuonano contro il nuovo Satana, ma acconsentono che sivada al grattacielo per acquistare trattori, fertilizzanti, servizi medici, si-garette.

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4. Lo spostamento quantitativo dalla fattoria al grattacielo: avviene ilcambiamento vero e proprio

"Se" i vantaggi della vita (lavoro, divertimento, rapporti, economia,cultura) nel grattacielo sono "evidenti e manifesti", allora le personecominciano a trascorrere quantità progressivamente crescenti del lorotempo nel grattacielo. E quantità progressivamente crescenti di personespostano il baricentro della loro vita nel grattacielo.

Il cambiamento è così avvenuto.È importante sottolineare come contemporaneamente:

• convivono grattacielo e fattoria;• convivono persone con baricentro nel grattacielo e persone con baricen-

tro nella fattoria;• convivono nella stessa persona la cultura della fattoria (nel tempo pas-

sato nella fattoria) e la cultura del grattacielo (nel tempo passato nel• grattacielo).

Per un tempo abbastanza lungo la cultura della fattoria rimane immutata• diversa da quella del grattacielo (solo a lungo termine opererà un flusso,una struttura di influenza e trasformazione della cultura e struttura delgrattacielo nei confronti di quella della fattoria).

I) I FATTORIA

Il) I FATTORIA

GRATTACIELO

separazione totale

avvicinamento parziale

GRATTACIELO

III) I FATTORIA

FATTORIA

spostamentobaricentrico progressivo

(più rapido quantomaggiori risultanoi vantaggi evidenti)

GRATTACIELO

Fig. 3

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Qualche psicologo potrebbe parlare di schizofrenia, ma in realtà è unaduplice appartenenza, strutturale e culturale: come quella per esempio deifigli italo-americani della prima generazione.

È importante sottolineare che il cambiamento avviene senza imposizio-ne ma che al contempo non si è costretti ad aspettare che cambi il mondodella fattoria e tutta la sua gente. Il meccanismo dello spostamento quanti-tativo tra il vecchio baricentro ed il nuovo polo realizzato, crea un fenome-no nuovo.

Oggi, per il passaggio da industriale a postindustriale, i poli diventereb-bero grattacielo il primo e villaggio qualitativo il secondo: ovvero aziendaorientata alla produzione la prima e aiutata al servizio la seconda; ovveroper funzioni la prima, per processi la seconda.

Ma cambiando i termini, non cambia l'evidenza di un tipo di processopossibile e per molti versi soddisfacente.

2.3.2. Caratteristiche definitorie

Sinonimi e parole chiave: vecchio e nuovo polo coesistono a breve di-stanza costituendo ciascuno mondo completo a sé; funzionalità potenzialedelle cattedrali nel deserto; coesistenza iniziale separata e progressivo"spostamento quantitativo" verso il nuovo polo a fronte di "vantaggiositàevidenti".1° tempo: qualcuno (innovatore del 1° tipo) realizza quasi come "cattedrale

nel deserto", il nuovo polo ed il nuovo modello di funzionamento: inuna zona a poca distanza da quella in cui continua a essere vigente ilvecchio, il polo tradizionale prevalente, che viene rispettato, non attac-cato.

2° tempo: a fronte di vantaggi evidenti (conditio sine qua non) del nuovomodello di funzionamento, le persone progressivamente "spostanoquantità" del loro tempo adesione, dal vecchio al nuovo.

Il fattore cruciale primario è rappresentato da:•:• la capacità di costruire il nuovo (a breve distanza dal vecchio) quando

ancora mancano tutti i supporti (assorbiti dal vecchio) e ci si trova inuna situazione di scarsità di risorse;

• la capacità di facilitare lo spostamento progressivo quantitativo di chivuole entrare a far parte del nuovo senza rinunciare totalmente al vec-chio;

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• è sottinteso peraltro che il nuovo deve dimostrare di dare luogo a van-taggi evidenti, altrimenti lo spostamento non avviene. Nell'immaginefattoria-grattacielo i vantaggi evidenti erano per esempio: vita più lunga;meno fame e meno malattie; maggiore disponibilità di oggetti e attivitàpressoché unanimamente considerate piacevoli; etc.

Nell'esempio aziendale i vantaggi evidenti possono essere:maggiore produttività,maggiore successo presso il cliente,superamento di problemi cronici tradizionali,maggiore soddisfazione lavorativa delle persone dopo che hanno speri-mentato.

2.3.3. Altri esempi di processo di cambiamento per creazione dinuovo polo

Nell'individuo:• il ragazzo che, pur continuando a vivere in famiglia, comincia a fre-

quentare un ambiente diverso da quello tipico della sua famiglia; oppureche si innamora ed entra in un nuovo tipo di vita con la sua nuova ra-gazza;

• residenza in provincia e studi o lavoro in città (o viceversa)• lavoro in azienda e attività diverse (imprenditoriale; volontariato;

espressiva retribuita).

Nell'organizzazione:• cambiamento dell'organizzazione del lavoro in un reparto specifico;• modello di funzionamento innovativo in una nuova funzione o in una

nuova intrapresa dell'azienda o in un'area di diversificazione di pro-dotto.

Nella società:• nascita di un partito politico con modello di funzionamento interno di-

verso dagli altri;• la California ha rappresentato, recentemente, un polo diversificato (dei

servizi, dell'informazione, del postindustriale) rispetto alla tradizioneindustriale e agricola degli States.

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2.3.4. Vantaggi e costi del cambiamento del terzo tipo

Il vantaggio fondamentale è quello della possibilità di velocità del cam-biamento, congiunta alla non forzatura degli interessati, alla possibilità diautodeterminazione diffusa.• Il cambiamento drastico-rivoluzionario ha infatti la caratteristica di esse-

re più veloce, ma spesso la maggioranza della popolazione o della per-sona lo subisce o comunque lo vive come imposto.

• Il cambiamento armonico-progressivo, molto più consensuale, corre in-vece il rischio di risultare molto lento. Si pensi ad esempi quali: il cam-biamento urgente perché oggi le popolazioni di buona parte dell'Africarischiano di morire di fame e di altre tragedie; il cambiamento necessa-rio ad un'azienda i cui prodotti e i servizi forniti non sono adeguati o imetodi di organizzazione e direzione o le metodologie e le tecnologieutilizzate. Il cambiamento di una persona che si sente prigioniera dellasua stessa vita.

• Il pregio fondamentale del modello creazione di polo innovativo èquello di consentire di uscire dall'impasse imposta dall'oscillazione trarivoluzione rapida forzata e evoluzione progressiva lenta.

I costi del cambiamento del terzo tipo sono invece soprattutto:• l'incertezza sui tempi dello spostamento quantitativo da vecchio a nuo-

vo;• probabili disarmonie, disorientamenti, vissuti di stress;• la possibilità che sia percepita come difficile (o addirittura come scis-

soide) la capacità di vivere una doppia appartenenza, di pensare e sentiresecondo un modello di pluralità invece che di unità: et-et (di cultura, peresempio della fattoria e del grattacielo), invece che unità (ovvero aut-aut).

2.3.5. Tipologia di protagonisti e funzioni

Si parla qui di seguito di tipi di innovatori, per dare più efficacia sugge-stiva al discorso: in realtà si tratta soprattutto di evidenziare le varie"funzioni" che facilitano il processo di cambiamento. Esse possono essereconcentrate in precise persone e gruppi (come sembra da quanto scritto diseguito), ma possono essere anche funzioni coesistenti negli stessi gruppi onelle stesse persone.

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Innovatori "puri": sono quelli che costruiscono il grattacielo, quandoesso è ancora una cattedrale nel deserto. Sono esterni alla fattoria: o per-ché davvero vengono da fuori o perché si pongono mentalmenteall'esterno di essa, inventando e mettendo in opera un sistema in uncerto senso nuovo e tutto diverso da quello in cui vivono.Innovatori "sperimentatori": sono i primi che vanno ad esplorare ilgrattacielo, a vedere cosa-come è; appartengono alla fattoria ma sono ipiù curiosi (o vogliosi o bisognosi) di altre possibilità."Facilitatori" dell'innovazione: sono quelli che costruiscono (concre-tamente e analogicamente: strade, ponti, mezzi di trasporto) facilitazionipratiche per la sperimentazione prima ed il trasferimento poi dalla"fattoria al grattacielo". Sono anche quelli che, pur rimanendo nellafattoria, stimolano e incitano gli altri a sperimentare prima e trasferirsipoi parzialmente dalla fattoria al grattacielo.Innovatori "di massa":sono coloro che, relativamente presto, colgonoil vantaggio del trasferimento prevalente nel grattacielo e lo realizzano.Innovatori "operativi": sono coloro che fanno funzionare bene il grat-tacielo:— nella prima fase di separazione e isolamento della fattoria, collaboran-

do con gli innovatori puri;—quando inizia lo spostamento quantitativo, facendo funzionare le

strutture del grattacielo con i suoi vantaggi evidenti.Innovatori "integratori": sono quelli che integrano fattoria e gratta-cielo; soprattutto in due modi diversi nel tempo:—all'inizio influendo sulla cultura della fattoria affinché si astenga dal

porsi troppo in contrapposizione verso il nascente grattacielo;—più avanti per permettere di coesistere a fattoria e grattacielo, permet-

tendo alle persone di utilizzare entrambi;—alla fine, a cambiamento quantitativo avvenuto, riportando gradual-

mente nella fattoria modifiche ed evoluzioni provenienti dal gratta-cielo.

2.4. Processo "strumentante" del cambiamento

2.4.1. Introduzione: ciò' che sembra non servire, e poi invece...

Poco utili apparvero, ed in effetti erano, la prima macchina a vapore, laprima automobile, la prima azienda di ricerca di mercato, il primo super-mercato. Così come appare poco utile, a chi studia, 'tutta quella teoria; a chi

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sta in Italia, studiare l'inglese; a chi ha poche esigenze, comprare il com-puter; a chi è giovane, fare ginnastica e check medici; a chi vive nella tra-gedia della guerra civile affermare purtuttavia il diritto.

Riguardo a quasi tutte le autostrade, si disse che servivano a poco quan-do furono costruite.

Quando, futuro vice presidente Usa, Alan Gore, parlava di autostrada in-formatica ci si chiedeva chi diavolo fosse ed a chi-cosa comunque servisse.

Una ragazza aveva la passione di studiare il cinese: solo dopo molti annilei e gli altri capirono perché.

Quasi un proverbio moderno: se in futuro tu volessi vivere tra le stelle,comincia a mandare una piattaforma in orbita. Per adesso ti darà solo in-formazioni, ma in futuro potrà costituire il centro di un altro modo di vive-re.

Arriva un nuovo manager, e sa (per altre esperienze) che tutto deve fun-zionare proprio in maniera diversa, ma capisce anche che, data la situazio-ne, non può cambiare; non può neanche esplicitare un nuovo modello. An-cor più gli impedirebbero di operare ad iniziare il cambiamento per neces-sario e inevitabile nel futuro; che fare?

Entrato in un servizio vecchio e cristallizzato, un manager installò unpotente sistema informativo: serviva per dieci ma aveva potenzialità permille. In un servizio pubblico un altro manager costruì un bel sistema dimarketing. Un altro manager sperimentò un processo produttivo elettronicoper un prodotto secondario. Un altro manager ancora installò un ottimo si-stema di controllo di gestione laddove sembrava che l'azienda lottasse di-speratamente per la sopravvivenza sul mercato.

Guardando ai grandi cambiamenti già avvenuti ci si accorge che c'èstato un vero e proprio salto di piano e che il centro "metodologico" delnuovo piano di funzionamento era stato impiantato come qualcosa di esage-rato, superfluo, periferico, rispetto alle cose che contavano al livello prece-dente. Così come si potrebbe scoprire che nella vita di un giovane andare afare vacanze all'estero, o fare strane ricerche bibliografiche, o frequentarestrani amici, era un modo di impostare una nuova vita rispetto a ciò che sipoteva prevedere da lui.

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2.4.2. Caratteristiche definitorie del modello "strumentante" delcambiamento

•. Agire soprattutto quando l'oggi reale ed il domani raffigurabile (dopo ilcambiamento) può sembrare utopia, quando le condizioni sono realisti-camente non ancora mature.L'innovatore primario costruisce e rende operativi strumenti che sonogià utili anche se palesemente sovradimensionati rispetto all'oggi, mache corrispondono peraltro a strumenti-metodi essenziali nel modello difunzionamento che sarà vigente nel futuro, a grande cambiamento (oggiancora prematuro) avvenuto.

•• Il grande cambiamento avverrà poi in realtà più presto di quantol'estrapolazione delle condizioni attuali farebbero prevedere.Figurativamente il nuovo "strumento" rappresenta una piattaforma cheappare periferica rispetto al funzionamento attuale, che però si proiette-rebbe, immaginando il futuro, come centrale. Tra i due piani-piattaforme(attuale e futuro) è così inserito un collegamento, una specie di perticache permette la salita.

•. Il fattore cruciale primario è rappresentato dalla capacità di invecchiaree cogliere le potenzialità di nuovi strumenti, tecniche, metodologie, ri-sorse, opportunità che sono necessari già un po' utili anche se non cosìimportanti nell'oggi ma lo diventano metodologicamente, come stru-mento, nell'ottica di un domani per adesso considerabile dai più quasiirrealistico-utopistico.

2.4.3. Esempi

Nell'organizzazione: nuovi sistemi informativi; nuovi sistemi di con-trollo di gestione; istituzione di ruoli e funzioni apparentemente strane;sviluppo di attività di benchmarking.

Nella società: nuovi collegamenti internazionali; cambiamenti di scarsovalore concreto ed apparentemente ispirati a mania di grandezza (esempio:la nuova lira che ne vale mille vecchie); aumento della scolarità obbligato-ria e della formazione continua; internet.

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2.5. Processo "possibilitante" del cambiamento

In questo modello del cambiamento la fase essenziale è la prima, in uncerto senso sia preliminare che centrale: quella della creazione di una nuovapossibilità.

Esso si applica come metodologia di cambiamento, soprattutto quando ilsoggetto (persona, organizzazione, società) ha difficoltà a cambiare perchénon sa cosa vuol dire essere diverso da come è attualmente, non riesce aimmaginarsi positivamente nell'innovazione, è non resistente al cambia-mento ma è in difficoltà. Acquisire la possibilità del nuovo costituisce allo-ra il passaggio primo e cruciale del processo di cambiamento (che si realiz-za poi operativamente tramite la reiterazione di prove applicative della pos-sibilità acquisita).

Non ci dilunghiamo qui nello scrivere del modello, perché esso è ampia-mente illustrato ed esemplificato negli altri capitoli del libro che esplicitanoinvece una serie di orientamenti che caratterizzano la cultura favorevole alprocesso possibilitante del cambiamento. Ci limitiamo qui a riassumerevalori culturali e i principi operativi del processo possibilitante:• desideri, sogni realistici, opportunità (più che bisogni, problemi, neces-

sità);• sperimentazione continua (più che stabilità e più che cambiamento pia-

nificato);• pluralità delle possibilità (più che vocazione univoca);• apertura alla possibilità di discontinuità e di salti di qualità (e non solo

al miglioramento continuo);• focalizzazione sulle risorse di cui si dispone, sulle opportunità, sui

punti forti, nelle possibilità (più che sui vincoli, le mancanze, i puntideboli, gli impedimenti);

• cambiamenti per aggiunta (più che per sostituzione);• aumento della pensabilità (ancor prima che valutazione realistica del

possibile);• attenzione alle novità che possono far diventare possibile ciò che era ed

appariva impossibile;• crucialità dell'energia desiderante (più potente e creativa di quella bi-

sognosa);• valorizzazione dei successi, anche per imparare (non solo dagli errori);• potenza del pensiero nel costruire nuova realtà;• sinergia virtuosa tra nuovo pensare e nuovo agire;• aggirabilità dei problemi soggettivi personali (senza necessariamente

doverli affrontare e risolvere alla base).

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2.5.1. La sequenza con cui l'iniziale possibilitazione può poidiventare cambiamento, anche rapidamente

1) La nuova possibilità diventa "pensabile": per esempio perché la personavede qualcun altro che la pratica (o l'azienda vede esperienze altrui o lastudia nei propri laboratori. Nel seguito il riferimento è alla persona, maanalogo è il processo per l'azienda).

2) La nuova possibilità viene sperimentata: per curiosità, oppure perché chila pratica sembra trarne vantaggio, oppure quasi per disperazione ri-spetto ad una crisi che appare insolubile coi vecchi modi.

3) La sperimentazione dimostra "vantaggi evidenti" e la persona la ripete ela privilegia.

4) La persona riorganizza alcuni aspetti della propria vita per innestare lanuova possibilità nella propria normalità (riorganizza per esempio partedell'uso del tempo, delle attività, dei rapporti con altre persone ed am-bienti).

5) La piccola ristrutturazione effettuata per fare posto alla nuova possibilitàcome normalità, determina nuove pensabilità-possibilità ulteriori.Esempio lampante è l'uso del computer: che inizia finalizzato ad appli-cazioni molto semplici e poi "dilaga".

6) Se le nuove possibilità, sperimentate, dimostrano ulteriori e più ampivantaggi evidenti, ricomincia il processo prima detto ai punti 1-2-3-4.Adesso però la ristrutturazione, rispetto allo stato iniziale, è sempre piùvasta. Si ha così un vero e proprio cambiamento.

Esempi semplici:• una nuova amicizia per un ragazzo• un nuovo materiale sperimentale in produzione• l'informatizzazione di una procedura• la certificazione di qualità• modi di fare "originali" di nuovi vicini di casa• la diversificazione pilota su un nuovo segmento di clientela• un nuovo collegamento interpersonale in campo professionale.

Quanto più è notevole il "vantaggio evidente" della nuova possibilità edella sua adozione, tanto più rapido diventa l'effetto valanga/moltiplicatoredel processo che porta dalle ristrutturazioni limitate a quelle più pervasive,cioè al cambiamento vero e proprio.

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11. Bibliografie

In questo ultimo capitolo sono proposte:

1. la segnalazione sintetica di dut libri essenziali, in un certo senso tra diloro complementari, sull'approccio empowerment

2. una rassegna di volumi, in lingua italiana, che trattano di tematiche ap-plicative legate all'empowerment e al potere; tra le quali ne abbiamoscelte due, in particolare: la leadership ed i gruppi responsabilizzati

3. la bibliografia vera e propria

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1. Due libri essenziali (e complementari)

Claudia Piccardo, Empowerment,strategie di sviluppo organizzativocentrate sulla persona, Raffaello Cor-tina, Milano, 1995.

Cynthia D. Scott e Dennis T. Jaffe,Empowerment, come creare un am-biente di lavoro responsabilizzato,FrancoAngeli, Milano, 1991.

Il volume di Claudia Piccardo hamolti pregi ed utilità:

fa una rassegna molto ampia e benragionata dei principali contributiforniti dai migliori autori, special-mente americani;è prezioso per gli specialisti, per lasua completezza e la tendenza al ri-gore teorico;

- riassume bene contributi impor-tantied interessanti (esempio: il contributodi Thomas e Velthouse sulla motiva-zione intrinseca)

- approfondisce sia il versante indivi-duale che quello organizzativofocalizza bene le cause del dis-empowermentÈ un libro colto ed utile, che dà cultu-

ra e permette di formarsi un quadro si-stematico.

Certamente soddisfa gli specialisti egli studiosi dell'approccio empower-ment.

Una critica che è anche un apprezza-mento: avremmo voluto che ClaudiaPiccardo ci credesse di più e quindiproseguisse il suo lavoro su questo te-ma, e risolvesse anche alcuni dubbi le-gittimi che Ella stessa acutamente sol-leva.

Anche questo volumetto, scritto in unostile che noi italiani defmiamo"molto americano", ha parecchi pregi(diversi dal precedente):

- è di facile lettura e comprensione (nona caso fa parte della collana "le guiderapide d'autofonnazione");si allaccia molto al buon senso, macoglie l'aspetto essenziale della "re-sponsabilizzazione". Nella nota in-troduttiva della traduzione italiana èscritto testualmente: "Non possiamotradurre letteralmente il termine em-powerment, non ne afferreremmo ilsuo concetto, un concetto tra l'altromolto vasto e di difficile defmizionee che per le sue implicazioni apparepiù simile a uno stile di management(basato sul lavoro collettivo e sullaresponsabilizzazione dello staff) chea una scarna definizione. In Italia, pe-rò, esso è stato tradotto con il termineresponsabilizzazione che, sebbene nedia una definizione riduttiva, e nonpotrebbe essere altrimenti, cogliel'elemento centrale dell'empower-ment (n.d.t.)";il gusto (di chi scrive e per chi legge)è quello del guidare al fare più chedella riflessione e dell'impianto teo-rico.

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2. Alcuni libri, in lingua italiana, sull'empowerment e sulletematiche della leadership, dei gruppi di lavoro, del po-terei

Arcidiacono C., Gelli A., Putton, A. (a cura di), Empowerment sociale. Il futurodella solidarietà: modelli di psicologia di comunità, FrancoAngeli, Milano, 1996.

Gli autori, rivolgendosi a operatori sociali, psicologi e psicoterapeuti di istitu-zioni sociali, educative e sanitarie, propongono una linea di pensiero e di azioneche modifica la tradizionale concezione dell'intervento sanitario e sociale. I puntifocali di questo modello sono il concetto di potere, partecipazione, autostima, desi-derio, responsabilizzazione: in altre parole, empowerment.

Pur essendo il filo conduttore di tutta l'opera, il tema dell'empowerment è inparticolare approfondito all'interno del primo e del terzo capitolo. Nel primo, at-traverso i due saggi Empowerment personale, di gruppo e sociale (Donata France-scato) e Orientamenti operativi per la consulenza al self empowerment (MassimoBruscaglioni, Marina Capizzi e Stefano Gheno), dove è presentato il modello delself empowerment ed è dedicato spazio all'approfondimento di ciascuna fase delprocesso. Nel terzo, con il saggio Empowerment e Scuola (Anna Putton):l'importanza di una scuola empowered ed empowering per "l'acquisizione di pote-re, cioè di conoscenze, competenze, modalità relazionali", e per "affrontare confiducia, cratività, progettualità gli eventi che si presentano nel corso dell'esi-stenza".

Banks L., La motivazione sul lavoro. Come stimolare i collaboratori a dare ilmeglio di sé, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Il lavoro di Lydia Banks, rappresenta uno strumento utile per l'autoformazionedi quanti hanno compiti di gestione e coordinamento di gruppi: propone infatti unaquantità di esercitazioni, test di valutazione e presentazioni di casi che mettono illettore nella condizione di sperimentare subito i suggerimenti e le tecniche presen-tate.

In particolare, l'autore offre al lettore strumenti utili al fine di motivare i colla-boratori e di gestire la demotivazione all'interno dell'organizzazione. Perchéun'organizzazione raggiunga il successo, infatti, è necessario che ci si occupi at-tentamente di tutti quanti vi lavorano, dedicando attenzione alle loro motivazionipiù profonde — per studiare sistemi di ricompensa adeguati alle attese dei collabo-ratori — e utilizzando strumenti di comunicazione efficaci.

Il libro è strutturato in sei capitoli, ciascuno dei quali è dedicato all'appro-fondimento degli aspetti più importanti per una gestione efficace dei collaboratori.Grande attenzione è dedicata a vision e valori, la cui condivisione è fondamentaleper il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

'Schede bibliografiche a cura di Elisabetta Lentini.

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Becciu M., Colasanti A.R., La leadership autorevole. La conduzione dei gruppidi lavoro, Carocci, Roma, 1997.

Il libro rappresenta un'utile strumento di autoformazione per quanti operanocon gruppi di persone: breve trattazione degli aspetti teorici relativi al tema dellaleadership e ampio spazio dedicato ad esercizi semistrutturati per lo sviluppo ed ilpotenziamento delle singole abilità evidenziate come rilevanti rispetto alla funzio-ne del leader. Soprattutto all'interno dell'appendice si trovano questionari utili allettore per leggere e valutare l'andamento del gruppo, in particolar modo rispetto aidue obiettivi fondamentali : la produttività e i processi interattivi.

L'interesse nei confronti del tema della leadership è da ricondurre all'osser-vazione che vede la qualità della guida come fondamentale nell'influenzare ilcomportamento del gruppo e dei suoi componenti. L'accento è posto qui sullecompetenze relazionali del leader, indispensabili per una buona conduzione delgruppo di lavoro. Attraverso uno stile interattivo autorevole e proattivo, al leaderspetta il difficile compito di aiutare il gruppo a raggiungere lo scopo e di mantenerele relazione interne tra i suoi membri. Il secondo capitolo è interamente dedicatoall'approfondimento di questo aspetto, mentre il primo descrive i lineamenti teoricidella leadership e delle sue diverse interpretazioni. Il terzo, infine, rappresentaun'esposizione sistematica di competenze comunicative indispensabili per il leadernella conduzione del gruppo verso l'obiettivo e nel mantenimento delle relazioniall'interno di esso. Soprattutto quest'ultima parte è arricchita da esercizi di autoad-destramento.

Bennis W., Nanus B., Leader, anatomia della leadership, Le 4 chiavi della lea-dership effettiva, FrancoAngeli, Milano, 5a ed., 1999.

L'obiettivo dei due autori è fornire una guida pratica a leader e a quanti deside-rano diventarlo.

L'originalità del libro sta nel modo in cui gli autori suggeriscono al lettore indi-cazioni utili in merito alle abilità necessarie ed alle strategie più efficaci per di-ventare capo: attraverso la presentazione di 90 interviste in profondità a grandi lea-der (capi di società come la General Motors, l'Arco, la Lever; senatori e governato-ri di stati degli Usa, famosi dirigenti sindacali, produttori cinematografici, rettori diuniversità, campioni sportivi, ecc.).

In particolare, dalle interviste emerge che la qualità di un leader è determinatasoprattutto dalla sua prontezza nell'interpretare i nuovi bisogni emergenti, dall'e-nergia che impiega nel convincere gli altri del valore delle sue idee, dalla capacitàche dimostra nel motivare e suscitare entusiasmo negli altri.

Il libro consta di sette capitoli, di cui cinque dedicati alla trattazione di strategieper una guida efficace dei collaboratori : le strategie sono basate sulla visione, sullacomunicazione, sulla fiducia, sull'autostima positiva.

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Berthelot C., Lloyd, S.R., Come ottenere quello che volete dalla vita. Guidapratica al successo personale attraverso il self empowerment, FrancoAngeli, Mila-no, 1995.

Il presupposto dei due autori è che l'autostima rappresenti uno strumento fon-damentale per instaurare relazioni positive con il prossimo, e quindi per ottenereciò che si desidera dalla vita sia sul piano professionale che su quello personale.

In particolare, ci si propone di dare un contributo al lettore nella definizionechiara dei suoi obiettivi, nella scelta dei mezzi più adeguati per raggiungerli,nell'impiego di strategie vincenti per la comunicazione delle proprie idee.

Gli autori propongono quindi indicazioni relative alla via da seguire per il po-tenziamento del self empowerment; inoltre, perché il lettore possa verificare imme-diatamente il livello di acquisizione di tale abilità e constatare i progressi fatti, essipresentano all'interno di ogni capitolo un buon numero di analisi di casi, esercizi,liste di controllo e test.

Chapman E.N., Heim J.A.,Imparare a dirigere, un piano d'azione per una lea-dership di successo, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Prendendo spunto dall'osservazione per cui la leadership non può più fondarsiunicamente sulle azioni del comandare e del dare ordini, gli autori sottolineanocome il concetto di leadership assuma oggi una connotazione profondamente di-versa rispetto al passato, arricchendosi di alcuni aspetti fondamentali, quali: la ca-pacità di responsabilizzare, coinvolgere, creare una visione comune, abituare al la-voro di squadra, trasformare gli "esecutori" in "partner" che operano impiegandotutte le risorse.

Il raggiungimento degli obiettivi all'interno dell'organizzazione dipende infattiin gran parte dalla motivazione dei collaboratori, e dalla loro capacità di percepirsimembri attivi di un progetto comune che dipende in larga misura dal loro impegnoe dal loro contributo personale.

Uno strumento fondamentale per ottenere il coinvolgimento dei collaboratori èrappresentato dalla vision, alla quale è dedicato un capitolo.

L'obiettivo di questo libro sta quindi nell'offrire al lettore strumenti efficaci peraffinare le qualità che possono fare di lui un leader che motiva, guida e sviluppa lecapacità dei suoi collaboratori. A questo scopo sono quindi proposte esercitazioni,attività da svolgere, test di valutazione e presentazioni di casi, in modo che, speri-mentando subito i suggerimenti e le tecniche presentate, il lettore acquisisca in ma-niera più efficace gli strumenti necessari.

D'Egidio F., Moeller C., Vision e leadership, Per un cambiamento culturale te-so all'eccellenza. La chiave per il successo della qualità totale, FrancoAngeli, Mi-lano, 1992.

Gli autori affrontano il tema della leadership da un punto di vista particolare: latrattazione prende infatti spunto dall'analisi delle ragioni per cui i programmi diqualità, nella maggior parte di casi, falliscono: la carenza di una leadership efficace

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sembra essere una di queste. Inoltre, il mancato raggiungimento dell'obiettivo èspesso da imputarsi all'assenza di alcuni elementi fondamentali all'interno di unorganizzazione, quali: condivisione di vision; piena responsabilizzazione di tutti icollaboratori; empowerment e rinforzo dell'autostima delle persone in prima linea;spirito di team; orientamento al continuo apprendimento; considerazione della per-sona da un punto di vista globale e conseguente eliminazione della distinzione trasfera personale e professionale.

In particolar modo, si sottolinea la grande importanza rivestita dalla vision, an-zi, dalla condivisione della vision da parte di leader e collaboratori: solo in questomodo è possibile ottenere il raggiungimento dei traguardi fissati. Alla vision è de-dicata gran parte del lavoro: in particolare, se ne sottolinea il valore e si descrivonoi passaggi fondamentali del percorso che ha come obiettivo il suo raggiungimento.

Desaunay G., Come gestire intelligentemente i propri subordinati, FrancoAn-geli, Milano, 1991.

Guy Desaunay, attualmente professore al Cesa (Hec, Isa, Cfc), dedica questapreziosa guida ai capi: egli propone infatti spunti di riflessione e strumenti utili acoloro che gestiscono persone e coordinano gruppi di lavoro.

L'autore propone un'alternativa alla classica separazione tra stile autoritario estile direttivo, suggerendo un insieme di caratteristiche é capacità che il leader devesviluppare, e che completano e arricchiscono il concetto di leadership moderna - ilclassico "saper comandare" non ne rappresenta infatti ormai che un aspetto. Traqueste figurano: raccogliere informazioni, comunicare, fissare obiettivi, animareriunioni, osservare gruppi, negoziare, decidere.

Basandosi sul presupposto per il quale solo dopo aver compreso se stessi èpossibile esercitare influenza positiva sugli altri, l'autore propone delle regole age-voli da applicare nei contesti reali. Utilizzando questi principi il capo gestirà nonsolo i subordinati, ma anche se stesso.

Fedel A., Da dipendenti a protagonisti. Flessibilità organizzativa, "gioco disquadra", responsabilità e iniziativa: un metodo per passare dalle parole ai fatti,FrancoAngeli, Milano, 1999.

Con questo lavoro l'autore vuole offrire uno strumento utile a quanti hannocompreso l'importanza dello sviluppare nei collaboratori un forte senso di respon-sabilità e di impegno al fine di raggiungere i risultati prefissi all'interno dell'orga-nizzazione. Il coinvolgimento dei collaboratori e la loro consapevolezza circa ilvalore del loro contributo rispetto all'obiettivo rappresenta un passaggio fonda-mentale in vista del successo.

In particolare, l'autore suggerisce un metodo pratico — denominato Job Ow-nership Process — la cui applicazione, stimolando e incoraggiando gli individui adun atteggiamento attivo, responsabile, vivace, ne assicura il massimo allineamentorispetto agli obiettivi comuni.

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I vantaggi ottenibili attraverso l'applicazione di questo metodo sono riconduci-bili a diversi piani, tra cui: flessibilità organizzativa; responsabilizzazione dei col-laboratori; motivazione; qualità; produttività.

L'esposizione del metodo rappresenta il fulcro del libro: la prima parte è dedi-cata alle ragioni per cui è interessante adottarlo, la seconda invece alla descrizionedel suo funzionamento nel dettaglio.

Francescato D., Leone L., Traversi M. (a cura di), Oltre la psicoterapia: per-corsi innovativi di psicologia di comunità, La Nuova Italia Scientifica, Roma,1993.

Con questo lavoro i curatori si rivolgono principalmente a operatori delle pro-fessioni di aiuto, insegnanti, formatori, proponendo un nuovo punto di vista sulquale riflettere: non solo il singolo individuo deve essere posto al centro del pro-prio operato, ma anche e soprattutto le relazioni tra questo ed il contesto sociale nelquale è inserito.

Esaminando esperienze attuate nel campo della psicologia di comunità nel no-stro paese, gli autori mostrano come sia possibile intervenire all'interno delle co-munità, nelle organizzazioni e nei piccoli gruppi promuovendo l'empowerment deisingoli e la conoscenza dei setting ambientali.

Di particolare interesse è il capitolo di Francescato, Leone e Morganti, intito-lato Le persone al primo posto: strategie di empowerment nelle organizzazioni la-vorative: qui il concetto di empowerment è analizzato rispetto alla psicologia dicomunità prima, al mondo del lavoro poi.

Francescato D., Amore e potere, La rivoluzione dei sessi nella coppia e nellasocietà, Mondadori, Milano, 1998.

Attraverso una conversazione con Aiem, figura che, secondo un'antica tradi-zione indiana, può scegliere prima della nascita se incarnarsi in un corpo maschileò femminile, l'autrice ci propone l'analisi di due anime: quella maschile, definitacialdesiderio di potere, di indipendenza, di controllo; quella femminile, caratteriz-zata dalla ricerca dell'amore, del legame esclusivo, della passione.

Amore e potere sembrano quindi due poli distinti e, forse, di difficile compe-netrazione.

La capacità di integrare questi due aspetti sembra dipendere in parte dall'empo-werment, e dal modo in cui il singolo individuo riesca ad utilizzare le proprie risor-se personali per cogliere al meglio le opportunità che gli vengono offerte dall'am-biente esterno.

Nel capitolo quarto Uomini e donne oggi si cambiano, l'autrice parla ad Aiemdell'esistenza di organizzazioni che promuovono e favoriscono l'empowerment, eall'interno delle quali si lavora per creare un buon clima organizzativo, si utilizzala delega, ci si occupa del singolo anche offrendogli opportunità di formazione. Equi, l'integrazione tra amore e potere, femminile e maschile, è possibile.

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Francescato D., Giusti E., (a cura di), Empowerment e clinica, Integrazione ditecniche per l'autopotenziamento in Psicologia clinica e di comunità e Psicotera-pia umanistica integrata, Edizioni Kappa, Roma, 1999.

L'eìnpowerment è il filo conduttore di tutta l'opera. All'interno del primo ca-pitolo, che presenta l'approccio psicoterapeutico integrato, gli autori propongonol'applicazione delle indicazioni del metodo integrato al concetto di empowerment.Il modello utilizzato è quello di Massimo Bruscaglioni, ovvero «l'autore che me-glio descrive l'empowerment in una prospettiva individuale, ma che nello stessotempo ne evidenzia le implicazioni a livelli diversi».

All'interno del secondo capitolo il modello del self empowerment rappresentàinvece un punto di incontro della psicologia umanistica e di quella di comunità:l'accento è posto sul potenziamento dell'individuo inteso anche come capacitàsviluppata di cogliere in maniera adeguata le risorse presenti nell'ambiente esterno.

Il terzo capitolo è dedicato alla definizione dell'empowerment, attraverso learee in cui esso trova applicazione e all'interno delle quali si è sviluppato. I princi-pi definitori del costrutto emergono qui attraverso le fasi del processo di autopo-tenziamento, strutturato intorno a dimensioni quali l'assunzione di responsabilità,l'autostima, il lavoro di gruppo, la motivazione (propria ed altrui).

Infine, il libro si conclude con la presentazione di un caso clinico che rappre-senta l'integrazione degli ambiti disciplinari sviluppati all'interno del libro.

Gillen T., Come influenzare positivamente gli altri, I nuovi skill manageriali,FrancoAngeli, Milano, 1996.

Terry Gillen — formatore e consulente — propone spunti interessanti e idee percoloro che gestiscono collaboratori e gruppi di lavoro.

L'accento è posto sull'importanza del saper influenzare positivamente gli altriper ottenere prestazioni eccellenti e impegno reale in vista del raggiungimentodell'obiettivo.

In particolare, Gillen offre alcuni suggerimenti in merito alle tecniche utilizza-bili per l'esercizio di influenza positiva da parte dei capi; tra queste, figurano ilportare gli altri sulla propria lunghezza d'onda; il prestare sempre grande attenzionea cosa succede ai collaboratori; il comunicare il proprio punto di vista, curando iparticolari e i dettagli; l'utilizzare il linguaggio del corpo; il variare costantementele strategie adottate in funzione della situazione e dell'obiettivo.

Hicks R.F., Bone D., I gruppi di lavoro autogestiti. Quando e come crearli efarli funzionare, FrancoAngeli, Milano, 1995.

Questo libro è una guida per la creazione e la conduzione dei gruppi autogestiti.L'interesse nei confronti di questo tipo di gruppo — responsabile di tutte le fasi delprocesso (progettazione, schedulazione, ordinazioni, assegnazione dei lavori, va-lutazione e determinazione degli standard di qualità) — è determinato dal successoottenuto all'interno delle organizzazione che per prime li hanno sperimentati.

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La prima parte del libro è dedicata alla presentazione del gruppo autogestito:che cos'è, perché è importante, quali sono i requisiti indispensabili ai dirigenti perassicurare appoggio al gruppo, quali le skill che è necessario avere, di che tipo so-no i vantaggi organizzativi che ne derivano.

La seconda invece descrive i passaggi da mettere in atto per l'implementazionedel gruppo: analisi di fattibilità, analisi del clima all'interno del gruppo, analisidella capacità di lavorare proficuamente senza superiori diretti, piani di lavoro, af-finamento della capacità di comunicazione, esame dei valori, programmazionedelle riunioni di verifica, gestione interna e dei rapporti esterni, coordinamento.

Infine, la terza parte: il perfezionamento delle risorse. Soprattutto, si fa qui rife-rimento alle competenze che facilitano l'operatività di un gruppo autogestito, ovve-ro la capacità di risolvere problemi, di guadagnarsi il consenso, di autocorreggersi.

Johnson R., Redmond D., L 'arte dell 'empowerment. Come realizzareun'organizzazione snella più competitiva coinvolgendo e responsabilizzando ilpersonale, FrancoAngeli, Milano, 1999.

Gli autori dedicano il libro all'empowerment e all'importanza che questo rive-ste all'interno delle organizzazioni che desiderano stare al passo con i tempi e ade-guarsi al cambiamento. A loro avviso, l'introduzione dell'empowerment qualestrumento organizzativo è fondamentale per la responsabilizzazione i collaboratori,e per la stimolazione di impegno e motivazione. Come ormai noto, questi sonopassaggi necessari per raggiungere il successo.

L'utilizzo dell'empowerment all'interno di un'organizzazione comporta deicambiamenti sotto molti punti di vista: è infatti necessario adottare un nuovo ap-proccio per la gestione delle informazioni e delle decisioni; conoscere molto beneil nuovo modello di comando; rivedere l'allocazione delle risorse e ristudiare i flus-si informativi; adottare nuovi stili di comunicazione; acquisire nuove capacitàcompetitive e di servizio al cliente.

Questo libro vuole rappresentare quindi uno strumento utile per mettere in pra-tica l'empowerment nelle organizzazioni, passo a passo, affrontando le difficoltàche si presentano e risolvendo i problemi. Ciò anche attraverso la presentazione dicasi, che aiutano a prendere familiarità con i concetti ed a considerarli immediata-mente in un ottica più concreta e applicativa.

Kakabadse A., I creatori della ricchezza, Come costituire' un team direzionalevieente: guida per imprenditori e manager, FrancoAngeli, Milano, 1992.

Con questo libro l'autore si rivolge principalmente ai dirigenti, con l'obiettivoi fornire indicazioni utili per la creazione di team direzionali vincenti. Il team di-

rezionale è il gruppo che decide tutti gli aspetti fondamentali: le politiche di ven-dita e di marketing, i livelli dei costi da rispettare per ottenere i profitti desiderati,le linee di comportamento che i dirigenti, devono assumere.

Il presupposto da cui l'autore prende spunto è che il buon funzionamento delteam possa determinare il raggiungimento dei traguardi prefissati dall'orga-

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nizzazione, e che quindi la sua creazione sia un aspetto da non trascurare, ma, anzi,da curare nei minimi particolari.

In particolare, Kakabadse si sofferma su tre aspetti centrali dell'attività del lea-der nello sviluppo di un team: la capacità di modellare le persone, di proporre unavisione, di defmire le responsabilità e gli obiettivi.

La prima parte del lavoro è dedicata all'approfondimento di questi aspetti.seconda invece ai metodi applicabili per influenzare positivamente gli alUi, conl'obiettivo di motivarli e di stimolarli. La terza, infme, alle strategie per mantenereil ritmo, ovvero: sviluppare una cultura di successo, affrontare in maniera costrutti-va i fallimenti, stimolare dirigenti di livello.

Creato nell'ottica del "manuale da tenere a portata di mano", il libro presentaalla fme di ogni capitolo una lista di suggerimenti e promemoria utili e di facileimpiego.

Kelley R., Il potere dei collaboratori, Come creare collaboratori capaci diguidarsi... e leader che sappiano farsi seguire, FrancoAngeli, Milano, 1994.

L'analisi del tema della leadership si muove da un punto di vista particolare:l'autore infatti, pur riconoscendone l'importanza ed il valore, sottolinea il fatto cheil contributo del leader rappresenta solo una piccola parte del risultato, e che il re-sto è determinato dai collaboratori. È su di loro che viene quindi posto l'accentoall'interno di questo libro: chi sono, cosa pensano, come lavorano, quali sono i per-corsi di crescita, quali i metodi per aiutarli a raggiungere livelli eccellenti. Soprat-tutto, come stimolarli: solo attraverso collaboratori capaci e motivati e stimolati èpossibile raggiungere i risultati prefissati. È fondamentale quindi, per i leader, tro-vare il modo per ricompensare e valorizzare le persone.

La conclusione alla quale l'autore giunge — o il punto di partenza dal quale simuove — è che essere buoni collaboratori è difficile almeno quanto essere buonileader.

Kets de Vries M., Leader, Giullari e Impostori., Sulla psicologia della leaders-ho, Raffaello Cortina, Milano, 1994.

Kets de Vries è docente di Organization Behaviour and Management Policyalla Facoltà di Management della McGill University e insegna psicologia socialealla Harvard Graduate School of Business Administration.

Il punto di partenza della sua analisi è rappresentato dalla convinzione circa lanatura psicologica e soggettiva dei fatti di potere: egli sostiene infatti che quando sitratta di leadership non è possibile prescindere dalle vicende personali e dalla storiadel leader, in quanto è fondamentale analizzare la figura di potere che è dentro dilui, le illusioni coltivate, le immagini fantasticate.

Il tema della leadership, analizzato rispetto alla dinamica di potere, si sviluppaintorno a due punti centrali: quello della visione, per cui la leadership rappresenta ilguardare dall'alto e il guardare lontano quello della dipendenza, per cui la leaders-hip è guardare sotto di sé. Soprattutto, essere leader significa saper dimostrare di

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avere visione, e saperla condividere con i gregari. Tutti devono essere ugualmentecoinvolti nel credere, alimentare, seguire il sogno: "al posto dei fatti, desideri".

Kettlitz V., Come trattare con i propri collaboratori. Introduzione alle nuovetecniche di leadership, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Il fattore leadership diventa via via più rilevante rispetto alla competitività sulmercato dell'organizzazione e alla sua capacità di affrontare le nuove esigenze e ledifficoltà caratterizzanti l'era moderna: è indispensabile quindi il suo adeguamentoal cambiamento ed alla novità. Ricondurre il concetto di leadership al comandare eal dare ordini è limitante e riduttivo, in quanto oggi, sempre più, è importante che illeader gestisca i propri collaboratori in maniera adeguata. Come, secondo l'autore,il leader può agire al fme di sviluppare i collaboratori e di ottenere prestazioni ec-cellenti? Innanzitutto pianificando e organizzando il lavoro, assicurandosi che essiabbiano ben compreso cosa ci si aspetta da loro, studiando strategie adeguate permotivarli e stimolarli, valutando i risultati che essi raggiungono. Inoltre, è impor-tante avvalersi della delega e utilizzare strumenti di comunicazione efficaci. A cia-scuno di questi aspetti è dedicato un capitolo del libro, che, oltre all'appro-fondimento dei temi, offre strumenti per affmare le proprie qualità di leader e peraiutare i propri collaboratori a crescere.

Kristi Long L., Empowerment. Maggiori responsabilità ai collaboratori.McGraw Hill, Milano, 1998.

L. Long — attualmente direttore didattico dell'American Society of TravelAgents — presenta uno prezioso strumento di autoformazione. In particolare,l'obiettivo dell'autore è fornire al lettore strumenti e indicazioni utili per applicarel'empowerment nell'ambito lavorativo, in modo da migliorare la produttività deipropri collaboratori ed affrontare le sfide di un contesto professionale sempre piùcompetitivo.

L'assunzione di responsabilità da parte dei collaboratori rispetto al proprio la-voro è correlata non solo all'innalzamento del loro livello di autostima e di fiduciain se stessi e nelle proprie capacità, ma anche ad un miglioramento dell'efficienza edella qualità del lavoro.

Sette temi/domande fondamentali rappresentano i pilastri di questo libro:—Introduzione all'empowerment: la vostra organizzazione è pronta?—L'empowerment è per tutti?— Motivazione dei collaboratori.—Come introdurre un programma di empowerment nell'organizzazione.—Come rendere efficace l'empowerment.—Gli effetti dell'empowerment

) — L'empowerment in azione.) All'interno di ogni capitolo, una sezione è dedicata a esercizi che permettono di

valutare i progressi compiuti, in modo da attuare nel modo più proficuo un pro-gramma di empowerment.

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Lawson K., Migliorare la performance sul luogo di lavoro attraverso il coa-ching. La tecnica di management del futuro, FrancoAngeli, Milano, 1999.

L'idea alla base del libro è che il buon funzionamento dell'organizzazione siadeterminato non solo da una buona leadership, ma anche — e soprattutto — da colla-boratori capaci e intelligenti: un buon capo è quindi colui che si occupa dello svi-luppo e della crescita dei suoi collaboratori. Una delle tecniche utilizzabile a questofme è rappresentata dall'attività di coaching, che permette di ottenere risultati siasul piano delle capacità che della motivazione.

Presentando una visione innovativa del concetto di leadership, questo librovuole essere uno strumento utile ai lettore per imparare a fare coaching e, quindi,per ottenere dai collaboratori prestazioni eccellenti.

Mentre la prima parte dell'opera è dedicata ad una presentazione più generaledel processo di coaching, la seconda si focalizza sui dettagli e sui particolari.

Lazzari L., Il manuale del team builder, Tutto ciò che è necessario sapere pertrasformare un gruppo di lavoro in una squadra e una squadra in una squadraspecializzata, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Lorenzo Lazzari è consulente nel campo di sviulppo organizzativo e formazio-ne aziendale. Il suo lavoro rappresenta un'utile guida per quanti, compresa l'im-portanza dei gruppi di lavoro all'interno dell'organizzazione in vista del raggiun-gimento degli obiettivi, desiderano dedicare energie al loro sviluppo e potenzia-mento.

Il team building risulta quindi fondamentale sia come tecnica di potenziamentodelle squadre che come strumento di intervento per lo sviluppo delle organizzazio-ni.

Il libro è strutturato in sei capitoli: dalla trattazione relativa a gruppi e sviluppoorganizzativo, il discorso si amplia con l'approfondimento del concetto di gruppodi lavoro e di squadra, rispetto al quale se ne analizzano gli aspetti strutturali, pro-cessuali e procedurali, la leadership ed i ruoli, l'andamento della comunicazione.

Infme, un capitolo è dedicato al team building, la cui trattazione è diversificataper tipi di attività (attività per family groups, per processi e culture, per specialgroups, riunioni di diagnosi, attività rivolte al compito, ai ruoli, attività fmalizzateal clima ed alle relazioni, attività di selezione, progettazione, formazione, diagno-si).

Parker G.M., Il gioco di squadra e i suoi uomini, La nuova strategia aziendalecompetitiva, FrancoAngeli, Milano, 1992.

L'accento è posto dall'autore sull'atteggiamento che è necessario condividereda parte dei membri del gruppo di lavoro, affinché la squadra sia efficiente ed i ri-sultati attesi vengano conseguiti.

L'importanza che i gruppi di lavoro assumono all'interno dell'organizzazione ènota da tempo: essi sono fondamentali in quanto rappresentano uno strumento pre-zioso per risolvere problemi, migliorare l'efficienza e favorire l'innovazione.

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L'autore identifica quattro stili caratterizzanti il funzionamento del gruppo, de-nominati Contributore, Collaboratore, Comunicativo e Provocatore, e sottolineacome solo l'equilibrata miscela dei quattro permetta un funzionamento positivodel gruppo.

Pedler M., Burgoyne J., Boydell T., Il manager eccellente, Guida all'auto-sviluppo delle capacità manageriali, FrancoAngeli, Milano 1994.

Questo libro, dedicato a tutti coloro che desiderano realizzare il propriopotenziale e migliorare abilità manageriali, è un valido programma di sviluppo. Inparticolare, è fmalizzato allo sviluppo e all'affinamento delle doti che carat-terizzano il manager nella società moderna (l'era del cambiamento): capacità dicontrollare gli eventi e di assumersene la responsabilità.

Alla base del lavoro è l'importanza attribuita all'autosviluppo, inteso comeprogetto di miglioramento gestito dall'individuo e come aspetto fondamentale equalificante dell'essere manager.

La prima parte del libro è dedicata all'introduzione dello schema di undiciqualità manageriali ritenute fondamentali, e delle undici aree-obiettivo ad essecorrispondenti. Qui è possibile trovare una gran quantità di test diagnostici voltiall'identificazione e all'analisi dei propri punti di forza e di debolezza: ciò permetteal lettore di stabilire i propri obiettivi all'interno di un percorso di sviluppopersonalizzato e costruito su misura.

La seconda parte è dedicata invece ad esercizi e attività pratiche per svilupparecapacità rispetto alle undici aree obiettivo: anche qui, la scelta degli esercizi piùadeguati consente lo sviluppo di un percorso individualizzato.

Quaglino G.P. (a cura di), Leadership, Nuovi profili di leader per nuovi scenariorganizzativi, Raffaello Cortina, Milano, 1999.

Il libro contiene una rassegna sui contributi più rappresentativi degli ultimi annirispetto al tema della leadership, nell'ottica di «ricostruire per grandi linee il riccocampo di scenari e interessi che si sono progressivamente aperti in questi anni».

All'interno, un capitolo dedicato interamente all'empowerment (Quinn R.,Spreitzer G., La via all 'empowerment. Sette domande su cui ogni leader dovrebbemeditare), in risposta al bisogno emergente di una leadership nuova, in grado diadattarsi in maniera adeguata alle sfide moderne: non più solo controllo e norme —sempre meno efficaci — ma anche e soprattutto sviluppo dei collaboratori, perchéimparino ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni e perché il loro mododi lavorare sia caratterizzato da spirito di iniziativa e creatività. Con questo capi-tolo, gli autori presentano e discutono sette domande che i manager desiderosi diavvalersi dell'empowerment all'interno delle loro organizzazioni si trovano ad af-frontare. La trattazione è arricchita da esempi concreti tratti da esperienze osservateall'in-temo di organizzazioni che nell'ultimo decennio hanno cominciato ad utiliz-zare l'empowerment, quali: Fortune 50, Ford Motor Company, UPS, Honda.

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Quaglino G. P., Casagrande S., Castellano A., Gruppo di lavoro, lavoro digruppo, Raffaello Cortina, Milano, 1992.

Il libro, strutturato intorno al concetto di team building di gruppi e organizza-zioni, consta di due parti. La prima, dedicata a "identificare il gruppo", è a suavolta costituita da tre capitoli, che sviluppano rispettivamente tre temi fondamen-tali nella trattazione del concetto di gruppo: la natura, i confmi, gli eventi. Centraleper questa prima parte è la distinzione tra gruppo e gruppo di lavoro: per quantosimili se osservati da un punto di vista superficiale, essi sono in realtà profonda-mente diversi sia sul piano della struttura che della dinamica.

La seconda parte, "Costruire gruppi di lavoro", si muove dal presupposto percui sia possibile far evolvere un gruppo in gruppo di lavoro, e questo soprattuttoquando il gruppo è inserito in un sistema sociale organizzato che gli assegna uncompito preciso e attende un risultato adeguato: in un contesto lavorativo, davantialla necessità di conciliare esigenze diverse (individuo, gruppo, organizzazione), ènecessario un più elevato livello di organizzazione ed un più marcato orientamentoal compito.

Due sono i presupposti alla base di questo lavoro: gli individui rimangono taliall'interno delle organizzazioni in cui lavorano, e quindi non è possibile operareuna distinzione netta tra sfera professionale e personale. Inoltre, le organizzazionisono composte da gruppi, con gli stessi problemi di funzionamento, le stesse pro-babilità di successo e insuccesso, le stesse caratteristiche di quelli che si strutturanoal di fuori delle organizzazioni.

Scott C.D., Jaffe D.T., Tobe J.R., Visione, valori, missione. Come costruire or-ganizzazioni e gruppi di lavoro vincenti, FrancoAngeli, Milano, 1995.

Il libro rappresenta una guida operativa per chiunque voglia sviluppare capacitàdi leader: esso propone infatti una quantità di esercitazioni, attività da svolgere, testdi valutazione e casi che invitano il lettore a impegnarsi attivamente e a sperimen-tare subito i suggerimenti e le tecniche proposte.

L'accento è posto su valori, missione e visione, considerati il collante che tieneuniti singoli, gruppi di lavoro, organizzazioni, e che insegna loro a reagire in situa-zioni nuove e innovare. In particolare, la creazione e il mantenimento di una visio-ne del futuro condivisa rappresenta oggi uno strumento utile per far sì che la pro-pria organizzazione raggiunga il successo e si adegui al cambiamento continuo.

Il libro è composto da sei capitoli, la maggior parte dei quali è dedicata proprioalla vision: elementi di processo nella sua creazione, legame tra vision e perfor-mance, potere delle immagini positive. Grande importanza è conferita ancheall'analisi degli strumenti adatti a elaborare visione, e ai passaggi necessari perrealizzarla (comunicazione della visione, analisi del campo di forze, ruolo del lea-der, rapporto tra visione e cambiamento aziendale).

Soverini M., Come creare gruppi di lavoro efficaci e efficienti. Un'esperienzadi lavoro per la Qualità Totale, Franco Angeli, Milano, 1996.

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L'interesse principale di questo libro sta nel fatto che è strutturato intorno aduna esperienza reale, condotta in Telecom Italia, di cui l'autore ha analizzato i na-stri registrati di più di cento ore di riunioni condotte da tre gruppi reali. L'espe-rienza si riferisce ad un progetto formativo avente l'obiettivo di trasferire una me-todologia di problem-solving ai gruppi coinvolti. Attraverso tale metodologia — de-finita "strategia vigilante di problem solving orientata all'azione" — ai partecipantial progetto venivano forniti strumenti utili per affrontare con sicurezza gli ostacoliche si presentano continuamente all'interno dell'organizzazione.

Dall'esperienza descritta il lettore potrà trarre indicazioni e suggerimenti utiliper affinare le proprie capacità e per portare la sua organizzazione al successo.

Il punto centrale della trattazione è rappresentato dall'importanza del crearegruppi di lavoro capaci e responsabilizzati, in quanto essi rappresentano lo stru-mento principale per raggiungere gli obiettivi di più alto livello che l'organiz-zazione si prefigge.

Spaltro E., Sentimento del potere. Analisi dei rapporti umani, Boringliieri, To-rino, 1984.

Enzo Spaltro analizza il tema del potere attraverso diversi livelli della società:la coppia, il piccolo gruppo, il collettivo.

Contrariamente all'idea per la quale il collettivo è pericoloso in quanto rappre-senta la negazione dell'individualità, il gruppo è descritto qui come «uno strumentocon il quale l'individuo può esprimere la propria creatività sociale e influire sullasfera più vasta del collettivo». Il gruppo è incentrato sul principio vita tua vita mea,secondo il quale il potere acquisito da un membro è fonte di ricchezza ed elementodi sviluppo anche per gli altri.

Nel capitolo settimo ("Cambiamento del sentimento del potere: che cos'è unpoterometro") l'autore arricchisce la trattazione presentando ricerche condotte alfme di "misurare" il sentimento del potere. Le ricerche hanno coinvolto 1100 sog-getti in trenta situazioni in cui è stato possibile misurare la percezione del poteremediante un questionario. Il sentimento del potere è convenzionalmente definitocome composto da percezione/desiderio e gradimento del potere, e ciò sempre neiriguardi di qualcuno/qualcosa: il gruppo di appartenenza, la propria organizzazio-ne; il proprio lavoro; la società in cui uno vive; l'ambiente fisico o le forze naturaliche uno incontra.

Trentini G., Oltre il potere. Discorso sulla leadeship, FrancoAngeli, Milano,1999.

Il fenomeno della leadership è stato ampiamente trattato e approfondito in lette-ratura. L'autore offre il suo contributo originale analizzandone alcuni aspetti speci-fici: gli orientamenti teoretici di base, i livelli di funzionamento dell'individuo nelsociale, il rapporto tra gruppo e leadership, i diversi modelli e le funzioni della lea-dership.

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L'ultima parte del volume è dedicata alla relazione tra leadership e potere: lefonti di legittimazione, l'articolazione tra Autorità, Potere e Libertà, la distinzionetra Potere e Autorità e le fondamentali modalità di articolazione fra le due.

Varvelli M.L., Varvelli R., Come cambia il potere in azienda. Cultura e mana-gement nella industria italiana, FrancoAngeli, Milano, 1989.

Con il presente lavoro gli autori — entrambi consulenti e formatori — intendonodescrivere un quadro generale dei diversi modelli di potere che si sviluppano e spe-rimentano oggi in contesti organizzativi: il potere in azienda cambia, e, conse-guentemente, molti aspetti ad esso correlati.

L'analisi prende spunto dai risultati di ricerche — che vedono coinvolte 200aziende — condotte su un vasto campione di imprenditori e dirigenti: essi rappre-sentano infatti lo "strumento" migliore per analizzare e capire i cambiamenti in at-to. In quest'ottica, gli autori hanno raccolto attraverso interviste i pareri di presti-giosi rappresentanti del corpo manageriale e di opinion leaders. Tra questi trovia-mo: Umberto Agnelli, presidente della Fiat Auto; Walter Mandelli, vicepresidentedella Confindustria; Vittorio Merloni, presidente della Merloni Elettrodomestici;Sergio Pininfarina, ex presidente della Unione Industriale di Torino e deputato alParlamento europeo.

White A., Il performance management, Come ottenere il meglio da se stessi edai propri collaboratori, FrancoAngeli, Milano, 1996.

Il volume è dedicato a quanti vogliono affinare le proprie capacità di leader emigliorare l'efficienza del proprio gruppo di lavoro. Poiché il buon funzionamentodel gruppo è determinato in gran parte dai collaboratori, diventa fondamentalemettere in atto strategie di leadership volte a innalzare il loro livello di motivazio-ne, il loro coinvolgimento all'interno dello specifico progetto, il loro senso di re-sponsabilità rispetto al lavoro. Ecco perché tanto interesse intorno al tema del per-formance management.

In particolare, l'autore pone in evidenza tre aspetti che il buon leader devemettere a fuoco al fine di ottenere gli obiettivi prefissati: la defmizione del traguar-do e la delineazione della direzione per raggiungerlo; la selezione, lo sviluppo e laformazione adeguata dei membri della squadra; la motivazione dei collaboratoriaffinché si consegua l'obiettivo attraverso l'impegno di tutti.

Inoltre, è necessario che il capo operi anche un'analisi sulla sua persona, inmodo da approfondire la conoscenza di sé e del suo stile comunicativo: solo inquesto modo sarà in grado di influenzare positivamente i collaboratori e di svilup-pare le loro potenzialità attraverso un processo di miglioramento continuo.

Di particolare interesse sono gli innumerevoli esempi e i questionari postiall'interno del libro, strumenti preziosi per sperimentare immediatamente le tecni-che più adeguate per ottenere risultati eccellenti.

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Zerilli A. (a cura di), Come guidare con successo un 'azienda, Autorità, respon-sabilità, delega, decentralizzazione, coordinamento, comunicazione, controllo,FrancoAngeli, Milano, 1994.

Andrea Zerilli si rivolge con questo libro a quanti, rilevato il costante emergeredi nuove, esigenze all'interno dell'organizzazione moderna, desiderano aggiornaree reimpostare il loro stile direttivo.

In particolare, il curatore focalizza la sua attenzione su quattro aspetti determi-nanti il successo di un'azienda. In primo luogo, l'autorità: cosa è, cosa rappresenta,che tipi di autorità esistono, quali sono le relazioni con responsabilità e potere, co-me avviene il processo di legittimazione da parte del gruppo sociale. Particolareconsiderazione è dedicata a delega e decentralizzazione dell'autorità: come e per-ché è importante avvalersene, quali sono gli ostacoli principali.

Poi, il coordinamento: analisi dei tipi di coordinamento, presupposti e strumentiper un coordinamento efficace.

In seguito, la comunicazione: ci si sofferma qui sui i tipi di comunicazione esi-stenti, e in particolare modo sulla distinzione tra comunicazione formale e infor-male, analizzando gli ostacoli più frequenti e considerandone i requisiti principali.

Infine, il controllo: come effettuarlo in maniera efficace e utile? Aspetti fonda-mentali della questione sono la definizione dei requisiti del controllo, la misurazio-ne, il confronto e la valutazione dei risultati, l'azione correttiva.

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323. Malcolm McDonald, Ian Dunbar, Lasegmentazione del mercato. Come crea-re segmenti di mercato redditizi: un ap-proccio passo per passo

324. Luigi Lombardi, Come risolvere i pro-blemi finanziari dell'impresa. Incassi, pa-gamenti, prestiti, impieghi. Rapporti conle banche. Strumenti finanziari derivati.Informazione della tesoreria

325. Tony Hope, Jeremy Hope, Il nuovo si-stema informativo direzionale. Come co-struire il quadro di riferimento per valu-tare la performance aziendale e realizza-re un miglioramento continuo

327. Giampio Bracchi, Sergio Campodall'Orto(a cura di), Progettare il telelavoro. Ma-nuale per l'utilizzo

328. E. Bellinzona, M. Bellinzona, U. Santa-relli, Excel® per la qualità. Le cartedi controllo

329. Edoardo Sabbadin, L'evoluzione delmarketing e delle attività promozionali.Le promozioni di continuità come ele-mento funzionale e strategico

330. Vito D'Incognito, Guida allo sviluppodei sistemi di gestione ambientale. Nor-ma ISO 14001

331. Mario Grasso, Le imprese di viaggio.Analisi strategica e politiche di marke-ting per il vantaggio competitivo

332. Gianfranco Baraghini, Maurizio Capel-li, Il sistema qualità ISO 9000 in sanità.Guida al miglioramento della qualità nel-le strutture sanitarie

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333. Sergio Cherubini, Il marketing sporti-vo. Analisi - strategie - strumenti

334. Sergio Cherubini, Giorgio Eminente, Ilnuovo marketing in Italia

335. AICQ - Associazione Italiana per la Qua-lità. QTS - Qualità Trasporti e Servizi,Il sistema qualità nelle aziende di tra-sporto pubblico locale. Interpretazionedella norma UNI EN ISO 9001

336. Pier Mario Vello, La direzione per Poli-tiche Creative. Come produrre accelera-zioni aziendali

337. Antonio Foglio, Azienda obiettivo ven-dita. Gli imperativi per una vendita vin-cente

338. Antonio Foglio, Strategie di vendita perl'impresa. Come soddisfare il cliente ebattere la concorrenza

339. Marcello Morelli, La comunicazioned'impresa e la promozione dell'immagi-ne. Metodi e tecniche per lo sviluppo,la pianificazione e la verifica della co-municazione

340. Franco Caron, Armando Corso, FrancoGuarrella, Project Management in pro-gress. Aggiornamenti, approfondimen-ti, tendenze

341. Giovanni Gaboardi, Pino Settimi, Fon-di Pensione: strumenti per l'uso

342. Edoardo L. Gambel, Management & or-ganizzazione. Dai protagonisti del suc-cesso aziendale alla progettazione degliorganigrammi

343. Giancarlo Ferrari, Manutenzione. Orga-nizzazione, struttura e contenuti

345. Amedeo De Luca, Marketing bancarioe metodi statistici applicati. Vol. III -Modelli di mercato: marketing relazio-nale, concessione credito, competitività,risorse umane

346. Roberto Galimberti, Marco Maiocchi,La gestione totale della qualità come stra-tegia per il successo dell'impresa. Il mo-dello dell'EFQM come guida all'eccel-lenza dei risultati aziendali

347. Giuliano Bonollo, Programmazione eanalisi delle vendite con Excel®

348. Carlo Bisio, Costruzione della realtà eformazione. Prospettiva psicosociale esistemi sui processi d'apprendimento

349. Pietro Guido, La previsione delle vendi-te. Tecniche per i beni di largo consumoe per i prodotti industriali

350. Felice Aloi, Costi & prezzi. La contabi-lità dei costi e la formazione dei prezziin ambiente competitivo

351. Vittorino Tedde, Il nuovo mercato fi-nanziario per le piccole e medie impre-se. La figura del market maker. Le op-

portunità per società, intermediari e in-vestitori

352. Lorenzo Lazzari, Il manuale del teamteambuilder. Tutto ciò che è necessariosapere per trasformare un gruppo di la-voro in una squadra e una squadra inuna squadra specializzata

353. Luciano Furlanetto (a cura di), Manua-le di manutenzione degli impianti indu-striali e servizi

354. Paolo Manzoni, Multi Project Manage-ment - MPM. Un approccio innovativoper gestire la fabbrica dei nuovi prodotti

355. Leonardo Idili, Lucia Siliprandi, Il mar-keting degli operatori turistici. Analisi,strumenti, strategie - verifiche sul campo

356. Arnold D., Manuale del Brand manage-ment. Come «fare marca» in un mondosempre più competitivo

357. Robert N. Anthony, Il controllo mana-geriale

358. Jma - Imac - Imac Consiel, TP - TotalProductivity Management. La sfida perun management creativo

359. G. Finco (a cura di), Peg: gestire il bi-lancio locale. Percorso di un piano eco-nomico dal programma elettorale all'am-ministrazione

360. AICQ, QTS, I sistemi di qualità per leimprese di pulizia. Interpretazione dellenorme UNI EN ISO 9002

361. Donald J. Bowersox, Patricia J. Dau-gherty, Cornelia L. Droge, Richard N.Germain, Dale S. Rogers, Eccellenza lo-gistica. Il nuovo modo di fare business

362. Deryl Northcott, Come decidere investi-menti di capitale. Tecniche e strategieper ottimizzare il processo decisorio d'in-vestimenti in attività immobilizzate

363. Neil Rackham, Richard Ruff, Il mana-gement delle vendite complesse. Comedirigere e rendere efficaci le forze di ven-dita impegnate nelle vendite a elevatovalore

364. Francesco Vagliasindi, Come organizza-re la manutenzione

365. Marcello Morelli, Internet: l'impresa inrete. Il marketing, le vendite, la pubbli-cità e la comunicazione d'impresa nellarealtà della rete globale

366. Carmine Reda, Giulio Del Gobbo, Leverifiche ispettive interne della qualitànelle ISO 9000

367. Mauro Cavallone, Luca Colleoni, Il mar-keting degli enti locali. Criticità, strate-gie, operatività

368. Serena Cascioli, Il sistema informaticoper ASL e aziende ospedaliere. Le esi-genze operative e d'interscambio infor-mativo

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369. Marco De Marco, Vito Salvo, WalterLanzani (a cura di), Balanced scorecard:dalla teoria alla pratica. Metodi e stru-menti per orientare le iniziative azienda-li al raggiungimento dei risultati strategici

370. Giuseppe Lo Martire, Il controllo di ge-stione. I sistemi tradizionali di calcolodei costi, il sistema dei centri di costo,il sistema del margine di contribuzione

371. Maurizio Costantini, Pietro Lafratta, Ga-briella Bettelli, La qualità come strumen-to di management innovativo. Iso 9000e qualità totale studiate e interpretateattraverso 12 casi

372. Andrew Black, Philip Wright, John E.Banchman, La ricerca del valore nell'im-presa. Analisi e gestione dei fattori disuccesso della performance

373. Edoardo L. Gambel, Qualità totale: ilmetodo Gambel per raggiungere il mi-glioramento e la certificazione

374. Sergio Cherubini, Marco Canigiani (acura di), // co-marketing sportivo. Stra-tegie di cooperazione nel mercato spor-tivo

375. Giancarlo Bizzarri, Il sistema qualità ISO9000 per i laboratori clinici. Guida al-l'applicazione della norma ISO 9001 nel-l'ottica dei processi (IS09004/2)

376. Giuseppe lacono, Gestire i rischi di pro-cesso. Una metodologia operativa perla prevenzione del fallimento

377. Vittorio Di Martino, Nigel Corlett (a curadi), Organizzazione del lavoro ed ergo-nomia. Come possibile migliorare le con-dizioni operative, la qualità e la perfor-mance e affrontare con successo le sfidedel 30 millennio

378. Luigi Lombardi, Manuale delle proce-dure aziendali. 45 procedure - 61 jobdescription

379. Roberto Pozza, Ingegneria del supportomanutentivo

380. Massimo Balducci (a cura di), Organiz-zazione e management dell'ente locale.Come organizzare e gestire in modo ef-ficace ed efficiente l'ente locale. Manualeoperativo per sindaci, assessori, segreta-ri, direttori, dirigenti e funzionari

381. Enzo Mario Napolitano, La qualità nel-l'impresa sociale. Strumenti per il nonprofit

382. Serena Cascioli, Il marketing strategiconei servizi sanitari. La filosofia e gli stru-menti operativi

383. Enzo Belluco, Metodi statistici per laqualità

384. Malcom McDonald, Beth Rogers, Capi-re i punti di vista dei clienti e dei forni-tori per affrontare con successo il terzo

millennio385. Giancarlo Bizzarri, Cristiano Guarnieri,

Il sistema qualità ISO 9001 nel settorealberghiero

386. Giorgio Brunetti, Il controllo di gestio-ne. In condizioni ambientali perturbate

387. Giuliano Bonollo, Michele Crivellaro,Maurizio Ulliana, La gestione integratad'impresa. Mago per Windows, softwa-re applicativo per le Pmi

388. Giuliano Mariotti, Tempi d'attesa e prio-rità in sanità. La selezione della doman-da come strategia per la qualità

389. Ron Johnson, David Redmond, L'artedell'empowerment. Come realizzareun'organizzazione snella più competiti-va coinvolgendo e responsabilizzando ilpersonale

390. David Gay, Matteo Sammartino, Con-trollo organizzativo e controllo di ge-stione negli enti locali. Un percorso me-todologico ed operativo

391. Giulio Aguiari, Giovanbattista Marini,La logistica nell'economia senza frontiere

392. Gian Carlo Cocco, Angela Gallo, Fareassessment. Dalla tradizione all'innova-zione

393. Luigi Lombardi, Determinazione del fi-do e gestione del credito commerciale.Come realizzare un sistema aziendale perl'organizzazione dell'ufficio crediti: con-cessione fidi clientela - procedure inter-ne - controllo esposizione - sollecito cre-diti scaduti

394. Stefano Valentini, Gestire l'outsourcing.I passi fondamentali per avere successoin un processo di ottimizzazione

395. Marcello Morelli, La comunicazione inrete. Sicurezza, privacy, copyright in In-ternet: soluzioni tecniche e giuridiche

396. Giulio Carducci, La tutela dei dati azien-dali. Come integrare gli aspetti giuridi-ci, organizzativi e tecnici per proteggerei dati

397. Luciano Furlanetto, Adolfo Arata An-dreani, Progettare la fabbrica snella

398. Marco Braghero, Stefano Perfumo,Franco Ravano, Per sport e per busi-ness: è tutto parte del gioco

399. Serena Cascioli, La gestione manageria-le della sanità. Gli strumenti a supportodel processo di programmazione, orga-nizzazione, realizzazione e controllo

400. Charles C. Poirier, La gestione della ca-tena di approvvigionamento/distribuzio-ne. Come conquistare e conservare unvantaggio competitivo

401. Antonio Foglio, Il marketing industria-le. Politiche e strategie di marketingbusiness-to-business

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402. AICQ - Associazione italiana per la qua-lità, Principi generali per l'integrazionedei sistemi: ambiente - qualità - sicurez-za - etica

403. Paolo Sassetti, Guida pratica al venturecapital. Come imprenditori e managerpossono sottoporre progetti d'investimen-to agli inventori istituzionali

404. Federico Rajola (a cura di), L'organiz-zazione dei sistemi di business intelli-gence nel settore finanziario. Il datawa-rehouse e il data mining

405. Fiorenzo Franceschini, Lionello Negri,Sperimentare per la qualità. Pianifica-zione industriale degli esperimenti

406. Sergio Campodall'Orto, Beatrice Ghiglio-ne (a cura di), Il commercio elettronicoper le piccole e medie imprese

407. Massimo Bassetti, Un sistema integratodi gestione delle risorse umane. Integra-ted Human Resources Management In-formation System. Resoconto di un'e-sperienza

408. Marco Fertonani, Le competenze mana-geriali. Dalla valutazione delle presta-zioni e del potenziale alla valutazionedelle competenze manageriali

409. Rodolfo Gianani, Anna Maira Massa-ra, Autsourcing e sanità. Analisi, sche-mi tipo e capitolati. Manuale per diri-genti sanitari. Direttori sanitari e ammi-nistrativi di aziende sanitarie e ospedaliere

410. Mauro Marcantoni, Alberto Toresani,Guida alla Vision 2000. Un nuovo mo-dello contrattuale per la certificazioneISO

411. Pasquale Tarallo, Business At Risk. Ladirezione strategica ed operativa nell'e-ra dell'economia virtuale

412. Odoardo Guerrieri Gonzaga, Renzo Spe-zia (a cura di), La moderna gestione del-l'impresa agricola supportata dal com-puter. Preparazione all'informatizzazio-ne aziendale

413. Sergio Cherubini (a cura di), Esperienzedi marketing sanitario

414. Carla Roggi, Paola Vercesi, Miriam Ros-si, Ombretta Pellerei, Chiara Corbellini(a cura di), La sanizzazione. Il sistema

di sanificazione secondo il metodoHACCP

415. Roberto Alfieri, Dirigere i servizi socio-sanitari. Idee, teoria e prassi per miglio-rare un sistema complesso

416. Marcello Morelli, Il commercio elettro-nico. Scenari, prospettive e tecniche pervendere in rete

417. Alberto Drei, Riccardo Varriale, Micro-marketing: una guida all'azione

418. Sergio Cherubini, Marco Canigiani, Me-dia e co-marketing sportivo

419. Dalla Patrizia Greco, Dal protocollo allatariffa. Un percorso per affrontare e ge-stire le problematiche dei costi della sa-nità

420. Roger Perrotin, Jean-Michel Loubère,Nuove strategie d'acquisto. Outsourcing,comakership, partnership

421. Giuseppe Iacono, L'organizzazione ba-sata sulla conoscenza. Verso l'applica-zione del knowledge management

422. SIFORP (a cura di), La formazione psi-cologica. Fondamenti, competenze, me-todologie, strumenti ed ambiti di inter-vento

423. Antonino Borgese, Luisella TraversoGuerra, Pier Mario Vello, Il percorsostrategico creativo. Un nuovo approc-cio al management in un'economia checambia: tecniche per il disegno dell'in-novazione strategica e per la sua realiz-zazione

424. Renato Rizzini, Bilancio e analisi fi-nanziaria delle imprese. Con floppy disk

425. Luciano Furlanetto, Carlo Mastriforti,Outsourcing e global service. Nuovafrontiera della manutenzione

426. Paolo Pratali, Roberto Chiavaccini, Pro-gettare i processi d'impresa

427 Alain Wellhoff, Jean Emile Masson,Il merchandising nel commercio mo-derno. Basi, tecniche e applicazioni

428. Ettore Cascioli, La modellazione di si-stemi aziendali. Come ridurre l'incer-tezza nei processi decisionali

429. Massimo Bruscaglioni, Stefano Gheno,Il gusto del potere. Empowerment dipersone ed aziende