Essere Chiesa Don Vito Mignozzi

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    ESSERE CHIESA

    Offriamo come contributo per la riflessione sul nostro essere Chiesa oggi

    il capitolo finale di un testo dedicato alla Chiesa, pubblicato come 7 volumetto all'interno

    di una collana, dal nome "Teologando", che ha lo scopo di offrire

    ad un pubblico pi vasto di quello degli specialisti i contenuti della riflessione teologica.

    Il testo porta il titolo di

    "Come un sacramento. Uno stile per essere Chiesa oggi", Tau Editrice, Todi 2011.

    L'autore don Vito Mignozzi, presbitero della diocesi di Castellaneta (TA),

    che docente di Ecclesiologia presso la Facolt Teologica Pugliese

    ed ha svolto per qualche anno il servizio in Associazione

    come AE nei gruppi della sua zona e nei campi di formazione.

    Quella che don Vito propone in questo capitolo quindi una riflessione

    che non nasce per essere rivolto direttamente a noi capi scout,

    ma non di meno in essa potremo ritrovare cose che sono molto vicine alla nostra spiritualit

    e alla specificit della nostra proposta educativa;basti pensare alla categoria di "stile" che compare subito nella prima pagina del testo

    e che ci invita a riflettere sul nostro "modo di abitare il mondo".

    Inoltre, il fatto che sia un testo elaborato non appositamente per noi

    rappresenta un valore aggiunto per la nostra riflessione:

    infatti, per interrogarci sul nostro essere Chiesa, non possiamo guardare solo a noi

    ma dobbiamo aprirci alla relazione e all'incontro con tutta la comunit ecclesiale.

    Leggiamo queste pagine chiedendoci quante delle caratteristiche proposte da don Vito

    trovano spazio nelle nostre comunit.

    Anticipo solo alcune delle domande che potrebbero guidare la nostra riflessione

    dopo aver letto queste pagine:riusciamo ad essere comunit che consentono di vivere

    "il cristianesimo come esperienza di libert e gratuit" (pp. 49-50)?

    Riusciamo in qualche modo ad aiutare tutta la comunit ecclesiale ad esserlo?

    E in particolare: siamo capaci di "sostenere le tappe diverse

    degli itinerari di incontro con Cristo" (p. 51)?

    Le nostre comunit R/S riescono ad essere "comunit dove il Vangelo

    intreccia gli snodi fondamentali della vita" (p. 53) dei rover e delle scolte?

    Le nostre comunit riescono ad essere "per alcuni rifugio sicuro,

    per altri compagna di viaggio,

    per altri presenza critica, per altri ancora proposta di vita buona" (p. 62)?

    E, pi in concreto, che tipo di presenza viviamo negli organismi di partecipazione,

    come ad esempio il consiglio pastorale parrocchiale (cf. p. 59)?

    Ci piace concludere richiamando alcune parole di don Vito

    che collocano bene la sua riflessione all'interno del cammino che ci vede impegnati

    nella costruzione della route nazionale,

    poich ci che deve guidare tutta la nostra azione educativa,

    nella gioia dell'appartenenza ecclesiale,

    deve essere il desiderio di far risuonare nella vita dei rover e delle scolte

    "parole di Vangelo capaci di promuovere e dare futuro all'esistenza delle persone" (p. 54).BUONA LETTURA !

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    III.SACRAMENTALIT:

    UNA QUESTIONE DI STILETratti di un volto

    La scelta di utilizzare per la chiesa la categoria di sacramentocon una valenza di tipo interpretativo, non solo sul versante on-tologico ma anche su quello dei dinamismi esistenziali del sogget-to ecclesiale, ci obbliga a compiere ancora un passo in avanti nel-la nostra indagine. Si tratta, infatti, di verificare la portata teo-logica del percorso compiuto fin qui nellimpatto con lagire del-la comunit cristiana che rappresenta poi il banco di prova sul

    quale la sua natura sacramentale si traduce di fatto in prassi dimediazione.

    Per tale ragione desideriamo compiere questultimo passag-gio, nel quale tenteremo di catturare istantanee del nostro sogget-to in azione, attraverso la reinterpretazione della nozione di sacra-mento dal versante di unaltra categoria utile al nostro scopo,quella di stile ecclesiale. In un tempo come il nostro nel qualesi propagandano continuamente operazioni di restylingper sot-trarre alloblio e alla consumazione del tempo tutto ci che al-

    trimenti avrebbe perso il proprio valore originario, anche in teolo-gia si affaccia la possibilit di coniugare cristianesimo e stile, re-cuperando il significato di questultimo come emblema di unamaniera di abitare il mondo (M. Merleau-Ponty). Lapprocciostilistico permette cos di non ridurre il cristianesimo ad un in-sieme di dottrine, ma di onorare linsieme della vita cristiana,

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    sia nelle sue espressioni singolari e plurali, sia in quelle relazionalie socio-politiche. Sotto questo profilo la risoluzione del rapportotra cristianesimo e stile trova una singolare concretizzazione nel-la questione della sacramentalit della chiesa la cui verit di fon-do non esprime altro se non lemblema di una maniera parti-colare di abitare il mondo.

    Sacramentalit come stile, in definitiva, significa processo dicontinua configurazione e conformazione della comunit ec-

    clesiale alla singolarit dello stile cristologico di cui la chiesa sifa mediazione. Non unoperazione di restyling, dunque, ma pi-uttosto un cammino di progressiva conversione al dato origi-nario e fondativo in uno sviluppo dello stesso nelle direzioni at-tuative della missione ecclesiale di mediazione della salvezza.

    3.1. UNA COMUNIT MATERNA E FILIALE:DECLINAZIONI DI UN DONO

    Un primo tratto che contraddistingue lessere e lagire del-la comunit ecclesiale quello dellafilialit. Venuta alla luce nel-la Pasqua di Cristo, il Primogenito del Padre, la chiesa vive perla fede in lui come comunit di coloro che si relazionano a Dionella inaudita novit cristologica che lo ha manifestato come lAb-b. In Cristo stato, infatti, inaugurato un rapporto nuovo traDio e luomo, tra la grazia e la natura, tra il cielo e la terra. Lasua vicenda esistenziale, culminata nel mistero di morte e di res-

    urrezione, ha riconsegnato Dio alluomo e luomo a Dio, in unarelazione di prossimit sancita nella carne e nel sangue del Cro-cifisso-risorto. Proprio la sua singolarit disegna una possibil-it inedita per gli uomini di avere accesso, attraverso di lui, aDio nella forma della relazione filiale, tanto che credere vi-vere nella fede del Figlio di Dio (Gal2,20).

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    Sul piano ecclesiale la natura filiale della fede di Cristo e deicristiani, se traccia un filo comune che fa della figliolanza div-ina lelemento che accomuna i tanti in un soggetto collettivo,mostra pure il volto materno di quella comunit nella quale egrazie alla quale si viene generati a tale nuova condizione di vi-ta. Con unespressione che per certi versi apparirebbe parados-sale, si potrebbe affermare che la chiesa pu essere una comu-nit filiale se al contempo sa essere una comunit materna. Del

    resto, la mediazione che essa chiamata a realizzare riguarda pro-prio la generazione, la cura, laccompagnamento di quanti desider-ano, in qualche modo, fare i conti nella propria vita con les-perienza della fede in Cristo. Si tratta, come si ha modo dicogliere, di azioni che hanno tutte il sapore della maternit e chetratteggiano i lineamenti di uno stile ecclesiale capace di veicolarei significati di un cristianesimo che si caratterizza per essere unaproposta di gratuit e di libert.

    Quali elementi fanno emergere i connotati filiali e materni

    della comunit ecclesiale?

    3.1.1. La proposta di un cristianesimo che esperienza di li-bert e di gratuit

    Uno dei segnali, che con pi evidenza indica un mutamen-to radicale in atto allinterno della chiesa e nei rapporti che sicreano tra i tanti che vi si accostano e la sua proposta, la mu-tata mappa delle modalit di appartenenza e di esercizio dellafede da parte dei soggetti che nella loro vita incrociano o si scon-

    trano con la comunit ecclesiale. Si va da una forma di vita cre-dente che si sostanzia di pratiche tradizionali ad unaltra che se-leziona ci che del cristianesimo va preso e ci che va lasciato,dalla forma di esperienza di chi predilige una fede a-dogmati-ca e solo emozionale a quella di chi del cristianesimo sposa so-lo gli aspetti sociali mettendo volentieri da parte quelli spirituali.

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    Il quadro completo sarebbe molto pi articolato e contemplerebbediverse altre sfumature che, insieme ad esperienze dai toni mi-nori, annovera pure interessanti e incoraggianti figure di rein-terpretazione dellidentit credente.

    Questa configurazione complessa e pluriforme dei vissuti difede interroga la comunit ecclesiale in ordine allo stile col qualeessa chiamata a dare futuro al cristianesimo attraverso la pro-pria presenza e la propria missione. Libert e gratuit sono sen-

    za dubbio i due tratti principali con i quali la proposta cristianapu trovare varchi percorribili in un contesto sociale e cultur-ale che si fatto plurale oltre che pluralista.

    Libert vuol dire essenzialmente consapevolezza che non pilepoca in cui si nasce cristiani. passato il tempo in cui, per viadi una situazione connotata da una cristianit sociologica, era suf-ficiente venire alla luce per assicurarsi la propria identit di fede.Oggi non pi cos e proprio tale mutamento cruciale offre lachancedi un ritorno della fede cristiana al suo statuto originario

    di proposta libera e di adesione libera. Una trasformazione delgenere chiede di essere coniugata anche nella gratuit. Pertantola comunit ecclesiale chiamata ad accompagnare e sostenerein modo assolutamente gratuito ogni accesso alla fede, senza in-sinuare il sospetto che lo faccia perch il destinatario della suaazione possa diventare cristiano. Solo un esercizio veramente gra-tuito della propria missione materna pu, di fatto, suscitare libereadesioni alla fede e percorsi di vita credente.

    3.1.2. Una comunit iniziatica che, generando, rigenera sestessa

    Per riuscire a stare significativamente nella complessit dei cam-biamenti in atto, la comunit cristiana pu articolare attraver-so le proprie prassi uno stile ecclesiale fatto di libert e di gra-tuit se si abilita ad essere comunit iniziatica. Di fronte e accanto

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    alluomo di oggi, essa chiamata a far risuonare la domanda diGes Che cosa cercate? (Gv 1,38) e a rendere presente ilsuo atteggiamento educativo in scelte capaci di sostenere le tappediverse degli itinerari di incontro con Cristo. La comunit ec-clesiale, da tale prospettiva, custode materna della grazia del pri-mo inizio, ma anche di quella dei successivi ricominciamen-ti; in altri termini, indicando e accompagnando allincontro conCristo, il Figlio Primogenito del Padre, essa assume una fisionomia

    iniziatica non solo in rapporto a quanti, riconosciuto il deside-rio di unesistenza di fede, sono sostenuti dalla comunit a dareforma e prassi credenti alla propria vita, ma anche a quanti han-no bisogno di sperimentare la grazia di poter ricominciare a credereo di continuare a farlo, nonostante tutto.

    Liniziazione alla vita cristiana, che esistenza filiale, an-che iniziazione alla vita della comunit cristiana attraverso i gestiche la esprimono e la edificano (Parola, Sacramento, vita di co-munione/carit: cf.At2,42). Dalla qualit e significativit di

    questi gesti, infatti, condizionata buona parte del processo ditrasmissione della fede che passa non solo mediante le paroleche articolano i contenuti del credere, ma anche attraverso latestimonianza e la vita concreta del soggetto ecclesiale. Questoaspetto tanto pi evidente e urgente quando si considera lacondizione di chi manifesta il desiderio di ricominciare e ha bisog-no di un contesto comunitario che sappia consegnare il sensoprofondo della fede attraverso prassi di comunione e tessuti re-lazionali realmente improntati ad uno stile evangelico, nei quali

    si possa sperimentare laccoglienza, il dialogo, il discernimen-to comune. Prima che le parole hanno valore i gesti, soprattuttoquando riflettono e rimandano ai gesti del Figlio, nel quale ilPadre si detto e si donato per generare unumanit filiale. Unacomunit iniziatica, dunque, tale nella misura in cui sa in-contrare e sostenere le persone a partire dalla condizione di vi-

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    ta in cui queste si trovano. Cos si pu realmente esprimere unvolto di chiesa che, facendosi prossima ad ogni situazione es-istenziale, essa stessa si rigenera quale madre che si prende cu-ra di ogni uomo e donna nei quali la sua premura materna facrescere i lineamenti del Figlio, il Crocifisso-risorto.

    3.1.3. I sacramenti, per accompagnare simbolicamentenella vita

    Lesistenza filiale dei credenti si sostanzia non solo di paroleche sostengono la fede, ma anche di gesti che, nella loro valen-za simbolica e rituale, rendono i soggetti coinvolti partecipi dici in cui credono. Come la rivelazione di Dio non si definiscesoltanto nei confini di una dottrina, ma si dispiega pure attra-verso una presenza che agisce, che libera, che apre a possibilitnuove di vita, cos la vita del credente e della comunit, accantoalla narrazione di ci che Dio ha fatto, ha pure bisogno di ciche costituisca di fatto i soggetti parte dellevento salvifico, cio

    della relazione con Dio. Questa seconda dimensione dellespe-rienza credente resa possibile dai sacramenti, che non sono pisoltanto narrazioni, ma piuttosto rappresentano delle azioni acui si prende parte e attraverso cui la storia di chi li celebra siinserisce in quella di Ges Cristo.

    Lungi dal pensare ad un effetto dei sacramenti nei termini diuna statica trasmissione della grazia, essi costituiscono piuttostoper la comunit dei credenti i luoghi vitali nei quali lesistenzadel soggetto ecclesiale e dei singoli cristiani come raggiunta dal-

    lattualit dellazione divina che si rende presente ed efficace at-traverso la potenza di un gesto simbolico-rituale. A fronte diuna considerazione dei sacramenti alla pari di contenitori del-la grazia, essi ripresentano meglio il gesto creativo e ricreativodi Dio attraverso il quale la vita dei credenti e della comunit continuamente plasmata e riplasmata dalla forza dellevento

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    pasquale. Questultimo costituisce, infatti, la perenne sorgentedi vitalit che alimenta la vita della chiesa e dei cristiani.

    Alla luce di queste considerazioni, si coglie facilmentecome la chiesa, nei confronti delleconomia sacramentale, ha unarelazione di dipendenza e di servizio. Essa dipende dalla forzadei gesti sacramentali perch in questi ritrova la sua forma orig-inaria, quella che la rende comunit di salvezza e seme del reg-no. Al contempo essa a servizio di quella stessa economia di

    grazia perch esprime il segno sacramentale del gesto di Dio checi viene rivolto e ci raggiunge. Da tale prospettiva si fa ulteri-ormente chiaro il tratto materno della chiesa che, anche attra-verso ladiakoniasacramentale, realizza, di fatto, una relazionedi generazione, di cura, di sostegno, di accompagnamento del-la vita dei credenti. Se riportiamo, infatti, i diversi sacramentinellesistenza cristiana legandoli ai momenti e tempi di vita, pos-siamo renderci conto di come lagire sacramentale della chiesasostenga e fecondi di grazia pasquale non solo i passaggi della

    crescita (battesimo-cresima ed eucaristia), ma anche le situazionidi crisi (penitenza e unzione) e le scelte di vita (ordine e mat-rimonio). Tutto questo fa pensare che i sacramenti costituisconouna provocazione per la comunit perch la verit di ci che inessi celebrato prende forma nei gesti rituali ma poi chiede diessere alimentata in quelli della vita.

    3.1.4. Una comunit dove il Vangelo intreccia gli snodi fon-damentali della vita

    La maternit della comunit ecclesiale, nella quale sisviluppano forme di vita credente plasmate sui lineamenti delFiglio, invoca uno stile che sappia interpretare in prassi signi-ficative lattenzione alla vita dei soggetti, alle loro vicende per-sonali, agli snodi della loro esistenza. Potremmo affermare, intal senso, che lo sviluppo di autocoscienza materna da parte del-

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    la comunit procura un essenziale ritorno dei volti, ciounazione ecclesiale che non si confeziona su schemi e impiantiteorici lontani dal vissuto delle persone, ma anzi muove pro-prio dalla possibilit concreta di accogliere la narrazione dei vis-suti, dei bisogni, delle ricchezze e delle povert che costellanola loro esistenza: in una parola, da quel terreno di vita bisog-noso di parole di Vangelo capaci di promuovere e dare futuroallesistenza delle persone.

    Unattenzione di questo tipo chiede alle comunit ecclesialidi saper intrecciare con grande sapienza le parole della fede trale parole della vita, cio di saper maturare un ascolto attentodelluomo e delle sue storie perch di qui possa partire la tes-situra di una proposta che sa offrire gesti e parole adatte allacomplessit della vita. La simbolica materna, del resto, rendefacilmente intuibile come la relazione soggetto ecclesiale col-lettivo-soggetti credenti, alla pari della relazione madre-figli,deve poter mettere in conto unazione pluriforme e differen-

    ziata a partire proprio dalla diversit dei destinatari della cu-ra pastorale. Sarebbe fuori luogo continuare a pensare, per questotempo che viviamo, unazione ecclesiale uniformante, rigidache, in nome del disorientamento vigente nella proposta deivalori e nelle scelte della vita, volesse riportare il suo agire adun unum da tutti condivisibile e capace di coinvolgere tutti.Al contrario, anche la chiesa chiamata oggi a saper dire lo stes-so e identico Vangelo di sempre in una pluralit di condizionie di forme, quelle che essa riesce a percepire rispetto alle con-

    dizioni di vita delle persone e che la rendono realmente capacedi prossimit.Tale ricollocazione prospettica della missione della chiesa fa

    emergere la qualit educativa della fede giacch il Vangelo as-sume la fisionomia di una promessa di vita buona per le espe-rienze concrete della gente. Sui luoghi antropologici fondamentali

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    (gli affetti, il lavoro, la festa, la fragilit umana, la tradizione,la cittadinanza, per esemplificare con gli ambiti di vita consideratial Convegno di Verona) e a partire da questi, dunque, si stagliauna possibilit reale che la proposta evangelica intrecci le do-mande cruciali dellesistenza aprendole ad un senso altro che lafede capace di dischiudere. Di fronte a questa realt alla co-munit ecclesiale chiesto il coraggio di dis-organizzare la suaazione pastorale non per il mero gusto di rincorrere gli stili e i

    modi di vita del tempo, ma per riorganizzarla poi non pi a par-tire dallordine delle verit della fede e dalla sua coerenza teo-logica, ma dalla logica della vita con i suoi passaggi e i suoi sno-di cruciali. Abbiamo bisogno di disordine, di una pastorale pileggera che non si lasci sequestrare tutte le energie dai programmi,ma che sappia servire la vita che lo Spirito sta facendo germogliarenel cuore degli uomini e delle donne di oggi, non meno che inquelli del passato (E. Biemmi).

    3.2. UNA COMUNIT FRATERNA:ESERCIZI/PRATICHE DI COMUNIONE

    La relazione filiale con lAbb, che caratterizza lo stile dellacomunit dei credenti, determina pure il tratto fraterno dellostesso soggetto ecclesiale. Come ogni tipo di fraternit, anchequesta non il risultato di una scelta: ci si ritrova fratelli e sorelledegli altri senza una particolare opzione personale. La recipro-

    ca fraternit dei cristiani, infatti, fondata sulla nostra incor-porazione in Cristo; si tratta, dunque, di un fatto di fede chedona ai credenti la certezza della propria figliolanza nei confrontidi Dio e della loro reciproca fratellanza. Chi figlio di Dio hacome fratello Cristo (GS22) che il primogenito tra molti fratel-li (LG7, GS10). Proprio la relazione con Cristo per il battes-

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    imo e la fede rende veramente i credenti figli di Dio, come figlinel Figlio quali sono, potendo gridare nello Spirito:Abb!Padre!

    In tal senso la fraternit originariamente questione cristo-logicae non innanzitutto ecclesiale; ecclesiale lo solo in quan-to cristologica. Tale consapevolezza porta ad evitare il rischiodi ridurre la fraternit ecclesiale a una generica, irreale, retor-ica sintonia e, soprattutto, permette di viverla secondo lo stiledi Ges, con la portata da lui stesso assunta. Di qui si scorge

    la laboriosit di questo tratto fraterno dal momento che, gra-zie alle inevitabili difficolt, tensioni e rivalit tra i fratelli, sifavorisce pure il sorgere e lo stabilizzarsi di unidentit precisa,singolare, che rappresenta un antidoto efficace contro unideanarcisistica di identit. La presenza del fratello toglie dal cen-tro, decentra. Questo processo connotato cristologicamente,poich in Ges la rivalit tra fratelli stata superata per mez-zo della sua Pasqua. Di qui deriva che la fraternit, vissuta sec-ondo il suo stile, non una generica carit, ma comporta orig-

    inariamente un atto di fede che, per grazia, diventa capacit disuperare lindividualismo che conduce sempre al centro, in fa-vore del fratello.

    Uno stile fraterno cos delineato porta la comunit cristianaa ripensarsi soprattutto in relazione ai tanti che, particolarmentenellOccidente cristiano, vivono nei suoi confronti il disagio disentirsi estranei. Unattenzione allefficacia delle relazioni frater-ne pi che allefficienza di una comunit, che rischia di carat-terizzarsi come luogo di produzione e non piuttosto di incontro,

    rivela un tratto ecclesiale che non estranea, ma piuttostoavvicina, accoglie, condivide.In un tempo come il nostro, caratterizzato tanto da un in-

    dividualismo esasperato quanto da una massificazione soffocante,le comunit ecclesiali possono offrire un segno profetico per ilfatto che uomini di estrazione sociale e culturale diversa vivono

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    da fratelli perch in essi circola la medesima linfa vitale.Ritrovando laltro come fratello, ciascuno ritrova pure se stesso.

    Quali sono, dunque, i segni che raccontano la profezia del-la fraternit come strada possibile per incontrare Cristo attra-verso lesperienza ecclesiale di uomini e donne che in Lui si ri-conoscono figli di Dio e fratelli tra di loro?

    3.2.1. Una comunit di fratelli che fanno chiesa

    Non raro, partecipando alla liturgia e in particolare a quel-la eucaristica, sentirsi chiamare con il nome di fratelli da coluiche presiede lassemblea celebrante. Non si tratta di un appellativosimile a tanti altri, n frutto di una creativit liturgica che vor-rebbe accorciare le distanze tra i partecipanti se non addiritturaannullarle del tutto. La frequenza con cui ritorna il terminefratresrichiama, al contrario, unattenzione specifica sul fatto che, es-sendo la liturgia eucaristica il luogo epifanico per eccellenza nelquale si attua una speciale manifestazione della chiesa nella parte-

    cipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio (SC41),in essa il soggetto celebrante assume una fisionomia che esprimechiaramente la sua identit singolare. Coloro che sono radunatiper celebrare i divini misteri, infatti, vi partecipano anzituttoin virt dello statuto filiale che caratterizza la loro relazione conDio inaugurata e strutturata grazie alla fede battesimale. Nel-la pratica di questa fede la connotazione filiale si coniuga conquella fraterna che riflette il tratto ecclesiale dellesperienza cre-dente come fatto che originariamente comunitario.

    Ci che la liturgia rivela del soggetto ecclesiale non si esaurisceevidentemente negli stessi eventi celebrativi, ma riguarda piut-tosto tutta la vita della chiesa che esprime la sua presenza e com-pie la sua missione nella storia come soggetto co-costituito dauna pluralit di soggetti credenti che articolano il loro essere/farechiesa mediante relazioni intessute di filialit e di fraternit.

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    Questa figura ecclesiale poggia sulla consapevolezza che lacomunit, come popolo di Dio, ha una fisionomia sacerdotaleche le deriva, in via partecipativa, dallesercizio del sacerdoziodi Cristo e che coinvolge tutti i credenti nello specifico delle loroscelte di vita e nella molteplicit dei luoghi/contesti nei qualiqueste si compiono. stato proprio il concilio Vaticano II a ri-considerare lesistenza dei credenti e della chiesa tutta nellaprospettiva sacerdotale, interpretando questultima non tanto

    su un versante meramente cultuale, quanto su quello di une-sistenza interpretata e vissuta come offerta/dono a Dio. Ne de-rivata una grande attenzione al sacerdozio comune di tutti i fedelii quali, in virt del proprio battesimo e dellitinerario di in-iziazione cristiana, sono in grado di esprimere nel concreto del-lesistenza lofferta a Dio di quanto appartiene alle loro esperienzedi vita. A servizio del sacerdozio comune si pone quello min-isteriale esercitato da coloro che, fratelli tra fratelli (cf. PO9),sono chiamati a sostenere e ad accompagnare lesistenza di fede,

    filiale e fraterna, di tutti i soggetti che sono parte integrante delpopolo di Dio.Proprio in questo snodo relazionale si rintraccia la reale pos-

    sibilit che la profezia della fraternit non resti solo una meraaspirazione, ma si traduca in prassi e stili di vita ecclesiale neiquali la pluralit e differenza dei soggetti credenti possano es-sere declinate e interpretate sotto la luce di una fraternit cherimane la pi evidente espressione della filialit divina ricevu-ta in dono con la fede.

    3.2.2. In nome della fraternit: per uno stile ecclesiale par-tecipativo

    Se quello della fraternit non semplicemente uno slogano un adagio rivolto alle corde esistenziali dellemotivit e delpuro sentimento, esso rappresenta piuttosto uno stile che chiede

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    di prendere forma concreta in atteggiamenti e scelte ecclesialicapaci di dare carne e storia a quella profezia evangelica. Tradot-to in vissuti di chiesa, questo significa che il soggetto ecclesialeassume un volto fraterno nella misura in cui i fratelli sonorealmente coinvolti nella vita della comunit perch in ciascunodi essi il germe della filialit porta inscritto pure il munusdel-la fraternit. La chiesa assume cos la forma di una struttura ag-gregativa nella quale la fede nellunico Signore si inscrive in pras-

    si che, attraverso uno stile fraterno, danno vita ad un sogget-to continuamente rigenerato e rimodellato dallee nellerelazionidei credenti fra di loro e col mondo nel quale vivono. Frater-nit , dunque, partecipazione di ciascuno, con la propria vi-cenda personale, alla sorte della comunit ecclesiale che nonsi d a prescindere dai soggetti che la costituiscono, ma che anziproprio attraverso costoro pu vivere ed esprimere la propriamissione.

    Su tale versante si pu cogliere il valore teologico ed eccle-

    siale degli organismi di partecipazione (consiglio pastorale, con-siglio per gli affari economici, ecc.), che sono di fatto strumentiper la crescita della comunione nella comunit. Non si tratta,infatti, in primo luogo di strutture necessarie per il mantenimentodellapparato istituzionale della chiesa. Sono piuttosto strumentiche favoriscono occasioni di formazione, lincontro tra le per-sone, la crescita della loro capacit di comunicazione e di dis-cernimento, la possibilit di esprimere competenze specifichea servizio del noi ecclesiale. Accanto a tali organismi di comu-

    nione la vita della comunit conosce unespressione sempre pimultiforme di ministerialit a favore della crescita del corpo ec-clesiale e per la realizzazione della sua missione. Il loro eserciziodisegna una costellazione di servizi ai singoli credenti e al sogget-to comunitario che fa risaltare la possibilit reale di una chiesadal volto fraterno, capace di offrire gesti eloquenti di una fra-

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    ternit che va tessuta, come un ordito, nella trama delle relazioniche popolano il soggetto ecclesiale.

    La forza profetica di tale stile di chiesa non esaurisce le suepotenzialit in un orizzonte solo intraecclesiale; al contrario, es-sa si esprime quale rimando ad un compimento che appartienea tutta lumanit nei riguardi della quale la comunit ecclesialeha un debito di fraternit che nasce dalla sua natura e si esprimein una missione di riconciliazione e di solidariet universali. Nel

    cammino della storia, del resto, la chiesa, impastata di uman-it, impegnata nel far crescere semi e segni del regno di Dionei solchi della vicenda umana. Quello della fraternit sicu-ramente uno dei segnali pi chiari che rimandano a quelloltreverso il quale la chiesa accompagna i passi dellumanit tutta.

    3.3. UNA COMUNIT OSPITALE:QUANDO LALTRO DI CASA

    Laffermazione della sacramentalit della chiesa, da ultimo,rivela uno stile ecclesiale caratterizzato dal tratto dellospitalit;nei riguardi di tutti gli uomini verso i quali sa di avere una re-sponsabilit singolare in ordine alla salvezza, infatti, la chiesa sirelaziona mostrandosi disponibile ad accogliere tutti, come unacomunit in cui c davvero posto per tutti. Si tratta, tuttavia,di comprendere in che modo la dimensione dellospitalit di fat-to possa tradursi in stile ecclesiale, al di l di ogni retorica e di

    ogni proclama.Ancora una volta, il concetto di sacramento, riferito alla chiesa, illuminante. Affermare che essa segno e strumento dellin-tima unione con Dio e dellunit di tutto il genere umano sig-nifica riconoscere che la comunit ecclesiale segno profeticoe strumento di una salvezza che intende raggiungere tutti. Per

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    Tale aspetto dellaproesistenza ecclesiale, in ultima analisi, sifonda sulla relazione con Cristo, unico autore della salvezza ditutti, la cui ospitalit traspare sul volto della chiesa, anzitut-to come realt conformante la stessa comunit e poi come gestocon il quale essa si propone ad ogni uomo quale mediazione del-la salvezza ricevuta come grazia. Questo il motivo per cui nel-la chiesa c davvero posto per tutti; non che necessariamentetut-ti debbano entrarvi a far parte, ma, piuttosto, che essa possa por-

    si come medium, sacramento appunto, tra Dio e luomo, per rap-presentare tutti innanzi a Dio e per portare Dio in mezzo allastoria degli uomini.

    Sotto questo profilo il ruolo sacramentale della comunit cre-dente mette in luce la sua grande responsabilit nel tessere nonsolo legami di fedelt nei riguardi di Dio, ma anche nel custodireunaltrettanto radicale fedelt alla storia e ad ogni uomo. Ren-dere viva e attuale lazione amorevole e misericordiosa di Dioverso lumanit, del resto, non significa altro che fare proprio

    lo stile e il tatto che sono peculiarit del Dio di Israele rivelatosipienamente in Ges Cristo. E pertanto, dal Dio che mette lasua tenda tra quelle dei figli di Israele dimorando in mezzo aloro, come dal Nazareno che ospita nella tenda del suo corpola sorte dellumanit e prende dimora presso le case degli uo-mini, la chiesa impara che la sua collocazione non pu essereche nei sentieri lungo i quali lumanit si incammina, soffre, spera,sogna e si dispera, cade e si rialza. Per alcuni essa potr essererifugio sicuro, per altri compagna di viaggio, per altri presen-

    za critica, per altri ancora proposta di vita buona. Per tutti dovressere crocevia perch lincontro con la salvezza, che promes-sa e dono di vita piena, possa essere realmente possibile.

    Con quali atteggiamenti e in che modo la chiesa potr re-alizzare unagenda cos impegnativa? Se si sfogliano le pagine del-la sua storia ormai bimillenaria, si ha modo di ritrovare, come

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    un filo rosso, la permanente azione dello Spirito del Risorto che,nelle vicende spesso complesse della comunit dei credenti, hareso e tuttora rende possibile lesperienza della salvezza nellin-contro con il Vangelo di Ges e la sua proposta di vita. Nelleforme pi diverse, e talvolta anche pi paradossali, la chiesa hasempre inteso interpretare il mandato del Risorto a fare disce-pole tutte le genti (cf.Mt28,19-20) attraverso lannuncio es-plicito del Vangelo e anche mediante ogni altra forma di pre-

    senza e di azione nel cuore dellumanit. La portata di questocompito ha sempre esigito una duplice conversione, a Dio, del-la cui presenza essa segno e strumento, e alluomo, compag-no di viaggio nel faticoso cammino verso il compimento ulti-mo della storia.

    Anche nel nostro tempo la chiesa vive il travaglio circa la sig-nificativit della propria presenza nella storia, intercettando ledomande profonde che agitano il cuore delluomo e prestandoascolto alle esigenze dello Spirito che essa chiamata a rendere

    concrete attraverso la propria azione. Di fronte ad una uman-it che oggi sperimenta la croce dellindifferenza e tocca con manola paura e il disinteresse dellaltro come pure lestraneit rispet-to ad ogni possibile tu che si fa prossimo nellesistenza, la co-munit dei credenti in grado di mostrare, attraverso lamabilitdi gesti e di parole eloquenti, come la proposta cristiana decli-ni lospitalit del Nazareno in prassi capaci di riconoscere nel-lhospesi tratti delfiliuse delfrater. In fondo, uno stile ospitaleche si impone senza se e senza ma, che accoglie senza

    chiedere lidentit, che apre le porte senza pretendere le ragioni,che incondizionatamente mostra il volto di colui che si fattoHospes, di fatto articola gi nei vissuti concreti legami di fraternit,anche previamente rispetto ad ogni presa di coscienza.

    Lantico assiomaextra ecclesiam nulla salus(fuori della chiesanon c salvezza), da tale prospettiva, non altro se non la rilet-

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    tura ecclesiologica della domanda genesiaca: Che ne di tuo fratel-lo?. Se, difatti, la comunit dei credenti vive nella consapevolezzache la salvezza ha il nome e la storia di Ges, il Nazareno Risor-to, essa non pu rinunciare, usque ad finem, alla responsabilitdi mostrare ad ogni uomo e ad ogni donna la possibilit conc-reta di essere ospitati in una relazione con Dio che capace difar sperimentare, gi nelloggi, la vita in pienezza.

    Un volto di chiesa che assume questa fisionomia non si tro-

    ver impreparata neanche quando, inaspettatamente, le sidovesse presentare loperaio dellultima ora. Anche per lui sarebbepronto lanello della figliolanza e lagnello della Pasqua, doni diunospitalit che appartiene solo a Dio.

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