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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 50 – Settembre 2019 Regione panamazzonica Deforestazione: emergenza silenziosa In difesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 50 – Settembre 2019

Regione panamazzonica

Deforestazione: emergenza silenziosa

In difesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni

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INDICE

Introduzione 3

1. Il fenomeno della deforestazione 5

2. La foresta amazzonica 9

3. L’Europa e la deforestazione 13

4. Dati 16

5. Testimonianze 18

6. La questione: la deforestazione della casa comune 27

7. Le proposte 32

Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile: Sinodo e sostenibilità 37

14a Giornata nazionale per la custodia del Creato: 1 settembre 2019 38

Note 39

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 50 | Settembre 2019

REGIONE PANAMAZZONICADEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSAIn difesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni

A cura di: don Francesco Soddu | Walter Nanni | Danilo Angelelli | Paolo Beccegato

Testi: Alessandro Cadorin

Hanno collaborato: Massimo Pallottino | Chiara Bottazzi

Foto: Knut-Erik Helle (copertina) | Spencer Stoner (p. 7) | Harvey Barrison (pp. 12 e 26)Jonathan Levy (p. 26) | Eli Duke (p. 31) | Sam Sokwoo (pp. 36 e 39)

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

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Le foreste attualmente coprono circa il 30% dellamassa continentale del mondo (National Geographic)preservando l’80% della biodiversità della terra e ac-cogliendo 300 milioni di persone tra cui circa 60 mi-lioni di indigeni. Tra le foreste pluviali del pianeta, lapiù grande è quella tropicale dell’Amazzonia, che siestende su una superficie di 7 milioni di kmq eun’area boschiva di 5,5 milioni di kmq. Ad essa si ag-giungono poi altre importanti foreste: quella delCongo, di Valdina, per la maggior parte in Cile, la fo-resta Tongass, a sud-est dell’Alaska, e del Xishuan-gbanna in Cina. Otre a rappresentare una bellezzanaturale e un pilastro delle comunità locali che vi vi-vono in simbiosi, le foreste sono un bene inestima-bile per tutta l’umanità. Offrono il 20% dell’ossigenodel pianeta; assorbono il CO2, prevenendo il surri-scaldamento globale; stabilizzano il clima dell’interoglobo; favoriscono le piogge; offrono il 20% dell’ac-qua dolce del mondo, reintegrando le falde acqui-fere; bloccano il vento e l’erosione del suolo; forni-scono alimenti e sono una riserva di medicine natu-rali e di risorse rinnovabili, attorno alle quali si creanoposti di lavoro.

Alla luce di tali aspetti, sembre-rebbe superfluo considerare che lapreservazione delle foreste e la lorotutela costituiscano un obiettivoprioritario per coloro che hanno re-sponsabilità pubbliche nel nostropianeta. Eppure, non sempre ciò chedovrebbe essere scontato è quelloche avviene. Secondo il Programmadelle nazioni Unite sull’ambiente, ognianno la terra perde almeno 7 milionidi ettari di foreste vergini, un’area all’incirca delle di-mensioni del Portogallo. Considerando tutte le forestetropicali, almeno 12 milioni di ettari sono andati persisolo nel 2018 (Global Forest Watch, gruppo di lavorosulla deforestazione dell’Università del Maryland). Sitratta di dati davvero allarmanti.

Proprio alla fragilità e ricchezza dell’Amazzonia, deisuoi popoli indigeni e delle sue risorse naturali, laChiesa ha deciso di dedicare un Sinodo speciale che sisvolgerà dal 6 al 27 ottobre 2019, al fine di promuovereun’ampia e approfondita riflessione sull’ecologia e losviluppo umano integrale, favorendo il discernimentonell’elaborazione di nuove linee d’azione e nuovi cam-mini di spiritualità pratica, legati a questa immensa areadel mondo, polmone della terra, che si estende su novePaesi ed è abitata da 34 milioni di abitanti tra i quali 390gruppi etnici spesso dimenticati e discriminati.

Sono infatti oltre 3 milioni gli indigeni che popo-lano quest’area specifica del mondo. A partire da que-sto luogo di vitale importanza per l’umanità, la Chiesa,come Chiesa universale, intende estendere il proprioragionamento e impegno verso tutti gli altri biomi es-senziali della terra.

Abbracciando il tema Amazzonia: nuovi camminiper la Chiesa e per una ecologia integrale, il Sinodo hacome primi interlocutori i popoli indigeni, ai quali sirivolge per contrastare la «cultura dello scarto» e lamentalità estrattivista che, basate sull’idea che il gua-dagno è più importante della dignità umana, hannonon solo «danneggiato la ricchezza ecologica della re-gione, della sua foresta e delle sue acque, ma hannoanche impoverito la sua realtà sociale e culturale».

Già nel documento preparatorio al Sinodo si arti-colano le prime fondamentali considerazioni. L’Amaz-zonia ha al suo interno molti tipi di “Amazzonie”, chesi costituiscono e collegano all’acqua come elementounificante. Ben prima della colonizzazione le comu-nità si concentravano attorno ai fiumi, evidenziandoquel legame imprescindibile tra risorse idriche e po-polazione che si connettono sulla base di un profondo

rapporto di interdipendenza. Tuttavia, i popoli indi-geni sono stati via via esclusi, vittime del mutamentodi valori dell’economia mondiale. Spesso non hannodocumenti o sono irregolari, oppure sono allontanatidalle loro zone d’origine per far posto alle attività agri-cole, estrattive e di disboscamento o a grandi agglo-merati urbani. Attualmente fra il 70 e l’80% dellapopolazione della Panamazzonia risiede nelle cittàdove gli indigeni emigrano nella completa indiffe-renza, «spesso espulsi dall’industria mineraria legalee illegale e da quella dell’estrazione petrolifera, accer-chiati progressivamente dall’espansione delle attivitàdi disboscamento».

Si legge nei documenti preparatori del Sinodo dicome «la dimensione sociale – e in ultima analisi co-smica – della missione evangelizzatrice è particolar-mente rilevante nel territorio amazzonico, nel quale

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Abbracciando il tema Amazzonia: nuovi cammini per laChiesa e per una ecologia integrale, il Sinodo ha comeprimi interlocutori gli indigeni. Si rivolge loro per contra-stare la «cultura dello scarto» e la mentalità estrattivista,che hanno non solo «danneggiato la ricchezza ecologicadella regione, della sua foresta e delle sue acque, mahanno anche impoverito la sua realtà sociale e culturale»

REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

Introduzione

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l’interconnessione fra vita umana, ecosistemi e vitaspirituale è stata e continua a essere chiara per la mag-gior parte dei suoi abitanti».

La Chiesa è dunque impegnata a riflettere sullapropria identità mettendosi in relazione e ascoltodella spiritualità e della saggezza che i popoli indigeniesprimono. Come ha sottolineato Papa Francesco aPuerto Maldonado, «la loro visione del cosmo, la lorosaggezza hanno molto da insegnare a noi che non ap-parteniamo alla loro cultura. Tutti gli sforzi che fac-ciamo per migliorare la vita dei popoli amazzonicisaranno sempre pochi».

Secondo la Chiesa Il rapporto armonioso fra il DioCreatore, gli esseri umani e la natura, di cui le cultureindigene rappresentano un’espressione, «si è spezzatoa causa degli effetti nocivi del neoestrattivismo e dellapressione dei grandi interessi economici» che attra-verso la deforestazione stanno minando il futuro ditutta la terra. A questo riguardo, l’orientamento diPapa Francesco è chiaro: «Credo che il problema es-senziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo,compreso quello sociale e culturale, con la tutela dellecaratteristiche proprie degli indigeni e dei loro terri-tori» (Fr. FPI).

Si legge nei documenti preparatori del Sinodo di come «la dimensione sociale – e in ul-tima analisi cosmica – della missione evangelizzatrice è particolarmente rilevante nelterritorio amazzonico, nel quale l’interconnessione fra vita umana, ecosistemi e vita spi-rituale è stata e continua a essere chiara per la maggior parte dei suoi abitanti».

Secondo la Chiesa il rapporto armonioso fra il Dio Creatore, gli esseri umani e la natura,di cui le culture indigene rappresentano un’espressione, «si è spezzato a causa degli ef-fetti nocivi del neoestrattivismo e della pressione deigrandi interessi economici» che attraverso la defo-restazione stanno minando il futuro di tutta la terra.

A questo riguardo, l’orientamento di Papa Francesco èchiaro: «Credo che il problema essenziale sia comeconciliare il diritto allo sviluppo, compreso quellosociale e culturale, con la tutela delle caratteristi-che proprie degli indigeni e dei loro territori».

4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Questo dossier vuole approfondire soprattutto gli ef-fetti negativi delle attività di deforestazione sull’am-biente e le comunità locali. Il testo trae ispirazionedalle riflessioni contenute nell’enciclica Laudato si’ diPapa Francesco e dai messaggi e gli obiettivi propostiper l’imminente Assemblea speciale del Sinodo deiVescovi per la regione panamazzonica (ottobre 2019).

Coerentemente con la visione di ecologia integraleproposta dalla Chiesa, il dossier cerca di stimolare lariflessione e la presa di coscienza riguardo alla neces-sità di riportare al centro della discussione pubblica edell’agenda politica le conseguenze sul clima e sullapopolazione di una serie di modelli di sviluppo cinici,opportunisti e miopi, basati sul mero raggiungimentodel profitto, e incentrati sui valori del consumismo edell’individualismo.

Si tratta di un bisogno di consapevolezza semprepiù diffuso, che ha trovato un suo canale di amplifica-zione anche in recenti movimenti spontanei, giovanilie ambientalisti.

Nello specifico, il termine deforestazione è ormaiparte di un vocabolario comune, capace di evocare, perchiunque sia sufficientemente sensi-bile al tema ambientale, immaginipiuttosto vivide e altrettanto terribilidi ruspe e motoseghe che, senzapietà, abbattono alberi secolari; di-struggono e spazzano via intere ri-serve ricche di varietà naturale; met-tono a rischio il patrimonio culturaledi indifese popolazioni indigene.

Seppure questo immaginario nonsi distanzi di molto dalla realtà, il dossier cercherà difare chiarezza sul tema, utilizzando il più possibile datie definizioni provenienti da fonti attendibili, nel ten-tativo di descrivere un fenomeno che ha implicazioninon solo ambientali o economiche, ma anche regio-nali e globali, per l’individuo e per la collettività.

Il testo non può prescindere, né vuole sottrarsi, davalutazioni etiche e “politiche”. L’ecologia integrale, in-fatti, non è solamente la connessione tra l’elementosociale e quello ambientale, ma comprende anche lasfera personale e valoriale. Probabilmente la comuni-cazione contemporanea di massa, veicolata soprat-tutto dai social media attraverso l’uso di immagini eslogan semplificatori, ha regole e formule che potreb-bero far apparire questo dossier a tratti freddo, lentoo ridondante. Al contrario, per gli esperti del settore egli addetti ai lavori, potrebbe risultare scontato otroppo generico. Si tratta quindi di un tentativo di af-frontare e articolare, in maniera sobria e partecipata,

un argomento complesso rivolgendosi al numero piùampio di persone e interlocutori competenti, motivatie interessati a vario titolo ad affrontare e approfondireun tema che, per la sua rilevanza, non merita di essereeluso. È in questa ottica che ci aspettiamo avvenga lalettura e l’interpretazione del testo.

Per quanto ci sia un accordo quasi unanime pressola comunità internazionale e scientifica circa le re-sponsabilità e gli effetti dell’attuale modello di svi-luppo sui cambiamenti climatici, sul consumo e l’e-saurimento delle risorse naturali, sui danni all’am-biente e alla salute, esistono tuttavia delle correnti dipensiero contrarie a tale interpretazione. Lo scopo diqueste posizioni antitetiche è intrinsecamente quellodi fornire argomentazioni a favore della conserva-zione dello status quo, facendo leva sulla resistenza el’innata riluttanza umana al cambiamento; sul timoredi poter perdere il benessere acquisito e, per chi nonha accesso a tale benessere, sull’altrettanto forte pau-ra di non poterne mai beneficiare e di rimanere con-dannati a un’endemica esclusione. Si sta facendo stradadunque un nuovo pragmatismo materialista che, sulla

base della difesa degli interessi economici nazionali,si contrappone alla difficile, quanto impellente, neces-sità di apportare dei cambiamenti strutturali e globalinei modelli di produzione e consumo.

Queste posizioni, espressione di forti interessi eco-nomici, sfaldano e limitano la volontà e i timidi tenta-tivi dei governi e degli organi internazionali, nella di-rezione di mettere in pratica azioni realmente incisiveper “invertire la rotta”, in modo coerente ai principidello sviluppo umano integrale. In questo contesto sipossono leggere anche le attività di deforestazioneche, per quanto determinanti del cambiamento clima-tico e della perdita di biodiversità, possono essere giu-stificate alla luce di interessi economici e intrinsechepaure psicologiche.

Eppure stiamo parlando di una riserva oggettiva-mente preziosa e insostituibile.

Alberi e piante rimuovono e immagazzinano gasserra dall’aria, come ad esempio anidride carbonica,

1 Il fenomeno della deforestazione

Per quanto ci sia un accordo quasi unanime della comu-nità internazionale e scientifica circa le responsabilità egli effetti dell’attuale modello di sviluppo sui cambia-menti climatici, sul consumo e l’esaurimento delle risorsenaturali, sui danni all’ambiente e alla salute, esistono tut-tavia correnti di pensiero contrarie a tale interpretazione

5REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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ozono e metano, riducendo in questo modo l’avan-zare del riscaldamento globale. Le foreste e gli alberipossono inoltre rafforzare la resilienza e le capacità diadattamento rispetto ai pericoli legati al clima e ai di-sastri naturali, oltre ad essere tra gli habitat più impor-tanti per la diversità biologica terrestre. Basti consi-derare che almeno il 50% delle specie del mondo èospitato nelle foreste tropicali.

Le aree boschive aiutano a proteggere i bacini idro-grafici e a prevenire l’erosione del suolo, le inondazionie le frane. Le foreste sono parte integrante del ciclodell’acqua. Filtrano l’acqua e ne forniscono una gran-de quantità, per oltre un terzo delle più grandi cittàdel mondo. Si stima che circa il 40% delle popolazioniin condizione di povertà estrema nelle aree rurali – in-torno ai 250 milioni di persone – vivano in savane ezone forestali (quasi 160 milioni in Africa, circa 85 mi-lioni in Asia e circa 8 milioni in America Latina). Questepersone e comunità si affidano alle foreste per trovareforme di sussistenza e un minimo di sicurezza alimen-tare (The State of the World’s Forests, FAO, 2018).

Non vi sono statistiche ufficiali per quanto riguardail settore forestale informale. Si stima tuttavia che talecomparto produttivo fornisca tra i 40 e i 60 milioni diposti di lavoro attraverso settoriquali l’agroforestazione, l’empower-ment delle donne, la gestione soste-nibile delle risorse idriche, il turismoresponsabile, la conservazione delterritorio, la tutela della biodiversitàecc.

Il 33% della popolazione mondiale – circa 2,4 mi-liardi di persone – utilizza il legno per cucinare, bollirel’acqua e riscaldare le proprie case. La percentuale dipersone che fanno affidamento sul combustibile le-gnoso varia dal 63% in Africa al 38% in Asia e al 16%in America Latina. A livello globale, 840 milioni di per-sone raccolgono legna e carbone per uso personale.Il legno procura oltre la metà delle forniture nazionalidi energia primaria in 29 Paesi, di cui 22 nell’Africa sub-sahariana. Complessivamente, le foreste fornisconocirca il 40% delle energie rinnovabili globali sottoforma di combustibile legnoso, tanto quanto l’energiasolare, idroelettrica ed eolica combinate.

Ma cos’è una foresta? Secondo la definizione for-nita dalla FAO, la foresta corrisponde a una porzionedi terreno superiore a 0,5 ettari, caratterizzata dallapresenza di alberi con una copertura minima del 10%e un’altezza potenziale in situ di almeno 5 metri. Ven-gono esclusi da questa categoria tutti quei terreni,come ad esempio frutteti o parchi cittadini, impiegatiprevalentemente per uso agricolo o urbano (FAO,2001).

Di per sé la deforestazione non è un termine di im-mediata e automatica accezione negativa. Si tratta in

termini tecnici di una procedura di conversione di unaforesta verso un’altra forma d’uso del territorio (adesempio per fini agricoli e pascolativi, estrattivi, edilizi,infrastrutturali) o di riduzione nel lungo periodo dellacopertura arborea al di sotto del limite del 10%. La de-forestazione implica la perdita a lungo termine (>10anni) o permanente della copertura forestale e insenso più ampio può includere anche quel degradoche riduce la qualità delle foreste (la densità e la strut-tura degli alberi, i servizi ecologici, la biomassa di pian-te e animali, la diversità delle specie e la diversitàgenetica).

Il contesto macroeconomico, le relazioni commer-ciali, la pressione demografica, i flussi migratori, le po-litiche di welfare, la disponibilità di altre risorsenaturali, l’istruzione, le politiche governative e le ca-pacità istituzionali, sono tutti fattori esterni che in-fluenzano direttamente la conservazione delle foreste.

Oggi, la maggior parte (93%) della superficie fore-stale del mondo è composta da foresta naturale, unacategoria che comprende aree forestali primarie, doveè stata minima l’interferenza umana, così come areeforestali secondarie, rigeneratesi in modo naturale.Sempre secondo i dati forniti dalla FAO, nel 1990 le fo-

reste costituivano il 31,6% del territorio mondiale,circa 4.128 milioni di ettari, mentre nel 2015 questodato è sceso al 30,6%, vale dire circa 3.999 milioni diettari. Si registra dunque una continua e preoccu-pante scomparsa della superfice delle foreste. E que-sto nonostante il fatto che in alcune regioni il tassoannuo della deforestazione sia rallentato nel corsodegli ultimi vent’anni. La progressiva attenuazionedella deforestazione in alcune aree è un risultato di al-meno tre fattori: il rafforzamento delle pratiche di ge-stione forestale, l’effetto dei programmi di rimbo-schimento e la creazione di nuove aree protette.

La deforestazione non è un fenomeno di recenteintroduzione. Si tratta in realtà di un processo conna-turato all’attività umana, che ha avuto origine proba-bilmente mezzo milione di anni fa. La bonifica delleforeste è andato di pari passo con lo sviluppo umano:fin dalla preistoria gli alberi hanno fornito rifugio, ciboe calore. Il loro abbattimento ha procurato legnameper la costruzione di rifugi e per la produzione di at-trezzi, combustibile per il riscaldamento, per cucinareil cibo e persino per fondere i metalli. Con l'avanzaredella civiltà, gli alberi sono stati abbattuti per uso agri-colo e per facilitare l’urbanizzazione. Nella Russia cen-trale europea, per esempio, tra la fine del XVII e l’inizio

Nel 1990 le foreste costituivano il 31,6% del territoriomondiale, circa 4.128 milioni di ettari, mentre nel 2015questo dato è sceso al 30,6%

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del XX secolo, 67.000 chilometri quadrati di forestesono scomparse1. La deforestazione dunque non è unevento recente ma, seppure alcune stime indicanoche nove decimi di tutti i disboscamenti si sono veri-ficati prima del 1950, è proprio dagli anni Cinquantacon la comparsa delle seghe elettriche che si verificaun punto di svolta quantitativamente e qualitativa-mente significativo con un’accelerazione improvvisache ha causato un grande impatto sul processo di de-forestazione. A questa “rivoluzione” tecnologica” sisono sommate la rapida crescita della popolazionemondiale e il conseguente aumento della domandadi risorse naturali.

Il fuoco è la tecnica comunemente più usata per ri-pulire le foreste nel Sud-est asiatico, nell’Africa tropi-cale e nelle Americhe. Gli alberi vengono bruciati percreare piantagioni di soia, palma daolio, gomma o per l’allevamento delbestiame. Nelle zone tropicali il fe-nomeno è ancora più rilevante, ed èanch’esso correlato alla forte esplo-sione demografica. Le foreste ven-gono colonizzate e gli alberi vengo-no abbattuti e bruciati senza essereutilizzati per altri scopi, se non quello di liberare spaziper le piantagioni e i pascoli, riducendo di fatto le so-stanze nutritive del suolo e la possibilità di crescitadelle piante.

Senza la protezione degli alberi, infatti, il suolo,reso ancora più fertile dalla cenere, si impoverisce ra-pidamente, e gli agricoltori dopo pochi raccolti sonocostretti a doversi procurare nuovi terreni, perpetuan-do in questo modo un vero e proprio circolo vizioso.Sebbene le foreste possano ricrescere o essere ripian-tate, questo processo è frammentato e non permettela ricostruzione dell’interohabitat originario, renden-do difficile il ripristino dellepiante e animali nativi, mol-ti dei quali sono specie a ri-schio di estinzione.

Infatti, secondo il rap-porto di Greenpeace Contoalla rovescia verso l’estin-zione, l’80% della defore-stazione globale è provo-cato dall’agricoltura indu-striale, che a sua volta cau-sa la perdita degli habitatnaturali. Il sistema alimen-tare è responsabile di unquarto di tutte le emissionidi gas serra che contribui-scono al cambiamento cli-matico; circa il 60% di que-

ste è prodotto dal sistema legato agli allevamenti. Senel 2010 i membri delle principali multinazionali delsettore alimentare si erano impegnate a porre fine alladeforestazione entro il 2020, attraverso un approvvi-gionamento responsabile di materie prime comecarne, soia e olio di palma, a un anno dalla scadenzaquesto obiettivo appare largamente disatteso.

Sempre secondo il rapporto di Greenpeace, nel-l’Amazzonia brasiliana in meno di vent’anni l’area sa-crificata per lasciare posto ai pascoli è quadruplicata.Nonostante gli effetti positivi di una moratoria del2016 sulla soia prodotta nell’Amazzonia brasiliana,l’espansione delle piantagioni è comunque aumen-tata di 3,5 milioni di ettari. Tra il 1990 e il 2017 l’Indo-nesia ha perso invece circa 27 milioni di ettari diforesta, principalmente a causa delle piantagioni de-

stinate alla produzione di olio di palma e polpa di cel-lulosa. Parallelamente, la Costa d’Avorio ed il Ghana,che insieme producono il 60% del cacao venduto nelmondo, hanno perduto rispettivamente un quarto(tra il 1990 e il 2015 la Costa d’Avorio) e il 10% (tra il2001 e il 2014 il Ghana) della propria copertura fore-stale.

Senza la protezione degli alberi, il suolo reso ancora piùfertile dalla cenere rapidamente si impoverisce, e gli agri-coltori dopo soli pochi raccolti sono costretti a doversiprocurare nuovi terreni, perpetuando in questo modo unvero e proprio circolo vizioso

7REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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AREA FORESTALE: QUOTA DI SUPERFICIE

NEL 1990

NEL 2015

Fonte: FAO

Nessun dato 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Nessun dato 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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L’Amazzonia si sviluppa in un’immensa pianura allu-vionale compresa tra il massiccio della Guayana anord e l’altopiano del Brasile a sud, l’oceano Atlanticoa est e la Cordigliera delle Ande a ovest. Con una su-perfice di 6,7 milioni di chilometri quadrati, è la piùvasta e variegata foresta tropicale e pluviale dellaTerra e il più grande bacino fluviale del pianeta. La re-gione corrisponde per gran parte al bacino del Riodelle Amazzoni, si estende dalle Ande fino all’OceanoAtlantico, e si trova per circa due terzi in Brasile, men-tre la zona rimanente si divide tra Colombia, Ecuador,Perù, Bolivia, Venezuela, Suriname, Guyana e GuayanaFrancese.

L’area è coperta prevalentemente da una fitta fore-sta pluviale umida tropicale, intervallata da savane,praterie, paludi, bambù e forestedi palme che costituisconoecosistemi unici e una ricchez-za ineguagliabile in termini dibiodiversità acquatica e terre-stre. Basti pensare che il10% delle specie cono-sciute sulla Terra proven-gono dall’Amazzonia. Ilpiù grande numero di spe-cie di pesci d’acqua dolce almondo sono in questa regione(circa 3.000) a cui si aggiun-gono 427 specie di mammiferi,1.300 di uccelli, 378 di rettili e 427 di anfibi.Inoltre in questo vasto bioma il 75% delle 40.000specie di piante presenti sono uniche ed endemiche.Lo stesso livello di diversità si riscontra per gli inver-tebrati: ogni 2,5 kmq di foresta si possono rilevarecirca 50.000 specie diverse di insetti. L’Amazzoniagioca un ruolo fondamentale nella stabilità del climaregionale e globale, non solo perché la sua vegeta-zione trattiene il carbonio (tra 90-140 miliardi di ton-nellate di carbonio sono immagazzinate nei suoiterreni), ma anche perché grazie al suo immenso ba-cino idrografico facilita la circolazione dell’aria chedall’Oceano Atlantico si muove verso le Ande orien-tali. La foresta amazzonica ne ricicla da 5 a 6 voltel’umidità e autogenera circa la metà delle proprieprecipitazioni.

Tutta questa abbondanza di risorse naturali non èsfuggita al gigantesco appetito dello sviluppo econo-mico e delle multinazionali che ne sfruttano il territorioe le materie prime su scala industriale. Si stima che ilPIL regionale amazzonico raggiunga i 330 miliardi didollari all’anno, di cui il 70% è la porzione relativa solo

al Brasile. Petrolio e gas naturale principalmenteestratti nella regione amazzonica sono i pilastri delleeconomie della Bolivia (45% del totale delle esporta-zioni nazionali), dell’Ecuador (55%) e del Perù (11%).L’energia idroelettrica proveniente dall’Amazzonia ri-sponde in maniera significativa al fabbisogno energe-tico di diverse nazioni: per il 39% del fabbisognoenergetico dell’Ecuador; per il 35% di quello della Bo-livia, per il 22% del Perù e per l’11% del Brasile. Il 36%dei bovini brasiliani si trova in Amazzonia. Il 24% delpescato di acqua dolce della Colombia e il 22% del risodella Bolivia provengono dalle loro regioni amazzoni-che.

Dunque, sulla base di tali dati, non c’è da stupirsi seproprio in questa regione si stia verificando la più

grande deforestazione delmondo. Si calcola che al-meno il 17% della foresta

amazzonica sia stato distruttotra il 2001 e il 2012, principal-

mente in Brasile, Perù e Bolivia.Inoltre, secondo i dati divulgati il 3

luglio 2019 dall’INPE, l’Istituto nazio-nale di ricerca spaziale, il tasso di de-

forestazione registrato a giugno 2019 èstato il più alto dal 2016, crescendo addi-

rittura del 60% rispetto allo stesso periododell’anno precedente: 762,3 chilometri quadrati

di area disboscata contro i 488 del giugno 20181. Questitrend sono ulteriormente peggiorati a causa degli in-cendi divampati nel mese di agosto 2019.

Se in passato la deforestazione era soprattutto fun-zionale a liberare terreni per un’agricoltura di sussi-stenza, volta a soddisfare il fabbisogno familiare elocale, una sostanziale modifica di tale prassi è avve-nuta nella seconda parte del XX secolo, a causa dellosviluppo delle attività industriali e dell’agricoltura suvasta scala. La maggior parte dei terreni deforestatisono attualmente utilizzati per l’allevamento di be-stiame e per la produzione di soia (anch’essa per il 94%destinata alla produzione di mangimi per l’industriazootecnica). Altre zone di foresta sono state inondateda dighe, scavate per estrarre minerali e rase al suoloper costruire città. Allo stesso tempo, la proliferazionedi strade ha consentito di raggiungere aree forestaliprecedentemente inaccessibili, facilitando l’insedia-mento di colonie di agricoltori poveri, il disbosca-mento illegale e la speculazione sui terreni. Infatti learee che mostrano i maggiori tassi di deforestazionesono proprio quelle che sono attraversate dal maggiornumero di strade.

2 La foresta amazzonica

BRASILE

VENEZUELA

COLOMBIA

ECUADOR

PERÙ

BOLIVIA

GUYANASURINAME

GUYANA FRANCESE

Superficie Amazzonia:6,7 milioni di km2

9REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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La forte correlazione tra deforestazione e la pre-senza di nuove vie di collegamento suggerisce l’ipo-tesi che nel prossimo futuro si apriranno nuovi frontidi deforestazione. Questa interdipendenza tra svi-luppo delle infrastrutture stradali e aumento della de-forestazione emerge in modo evidente dagli studilongitudinali effettuati dall’Istituto nazionale per la ri-cerca spaziale (INPE) del Brasile che, con la collabora-zione di alcune università americane, hanno analiz-zato le immagini provenienti dai satelliti Terra e Aquadella NASA (Moderate Resolution Imaging Spectrora-diometer, MODIS). Tra l’altro, dalle immagini satellitariraccolte nell’ambito di tale progetto si individua inmodo evidente l’utilizzo del fuoco come metodo didisboscamento. L’uso diffuso di tale mezzo per elimi-nare gli alberi abbattuti e la vegetazione erbacea con-duce nel tempo all’essiccamento delle foreste circo-stanti, oltre a produrre una maggiore vulnerabilità alfuoco negli anni immediatamente successivi.

Le strade legali e illegali penetrano in una parte re-mota della foresta e i piccoli agricoltori migrano in talezona per coltivare le nuove aree che vengono succes-sivamente disboscate. Nel giro di pochi anni le fortipiogge e l’erosione esauriscono il suolo e la resa delle

colture cala drasticamente. Gli agricoltori convertonoquindi la terra impoverita al pascolo del bestiame e li-berano nuova foresta per successive colture. Alla finei piccoli proprietari terrieri, dopo aver sgomberatobuona parte della loro terra, la vendono o la abban-donano ai grandi allevatori di bestiame, che la utiliz-zano per il pascolo.

Seppure la deforestazione dell’Amazzonia sia un fe-nomeno diffuso in tutta l’area, alcune eco-regionihanno sofferto più di altre. Lo stato della Rondônia,nel Brasile occidentale, una volta sede di 208.000 chi-lometri quadrati di foresta, un’area leggermente piùpiccola di tutto il nord e centro Italia inclusa la Cam-pania, è diventato una delle zone più disboscate del-l’Amazzonia. Negli ultimi tre decenni, il processo didisboscamento e degrado delle foreste dello Stato èstato vorticoso: 4.200 chilometri quadrati disboscatinel 1978; 30.000 fino al 1988; 53.300 nel 1998. Nel2003 sono stati cancellati circa 67.764 chilometri qua-drati di foresta pluviale (un’area più grande della Sici-lia). Circa un milione di ettari sono stati distrutti solonel periodo 2004-2012 nelle foreste umide di Madeira-Tapajós, nelle foreste stagionali del Mato Grosso, nelleforeste umide di Xingu-Tocantins-Araguaia, nelle fo-reste umide sud-occidentali e nelle foreste umide diTapajós-Xingu.

I prodotti agricoli e i metalli dell’Amazzonia ven-gono esportati su larga scala. Il ricavo dell’esporta-zione di soia e carne brasiliana prodotta in Amazzoniasi aggirava nel 2012 a 9 miliardi di dollari. La domandacinese ha rappresentato il principale fattore propul-

sivo di tale espansione: basti pensareche il Brasile esporta in Cina circa il 70%della propria produzione di soia. A que-sto scopo il Paese ha sviluppato delle se-menti speciali, più produttive e resistential clima e all’ambiente amazzonico, pre-vedendo entro il 2021 di aumentare leproprie esportazioni del 39% e incre-mentando del 29% le esportazioni dicarni bovine.

Il 21% dell’Amazzonia è sotto unaqualche forma di sfruttamento. All’in-terno di queste forme di sfruttamentosono comprese le concessioni minerariee petrolifere. Solo queste ultime riguar-dano il 14% della regione amazzonica.Nello stato del Pará, in Brasile, il ferroestratto nelle miniere vale 8,8 miliardi didollari ogni anno, mentre l’oro prove-

niente dalla regione di Madre de Dios, in Perù, ha pro-dotto, nel solo anno 2012, 1,3 miliardi di dollari diricavi.

I fiumi, laghi e affluenti, che sono il cuore di quel-l’intrinseca interdipendenza tra ecosistema acquatico,

L’immagine del satellite Terra – MODIS (11 agosto 2002) evidenzia la presenzadi numerosi fuochi (contrassegnati da punti rossi) che bruciano nel MatoGrosso settentrionale (Brasile centro-occidentale)

CAUSE DEFORESTAZIONE DIRETTA IN AMAZZONIA

Allevamento70%

Agricoltura25%

Altro 3% Incendi, miniere,urbanizzazione,

costruzioni strade, dighe2%

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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terrestre e foresta, sono sempre più contaminati acausa dell’uso incontrollato di pesticidi e concimi chi-mici, per lo spargimento di petrolio, per le attività mi-nerarie e per la dispersione dei derivati della pro-duzione di droghe.

Nel complesso, il 20% del bioma dell’Amazzonia ègià andato perso, mentre il WWF stima che più di unquarto, precisamente il 27%, del bioma amazzonicosarà privo di alberi entro il 2030, se l’attuale tasso dideforestazione continuerà con gli stessi ritmi. Il Brasileè responsabile della metà della deforestazione del-l’Amazzonia.

Il miglioramento riscontrato nell’Amazzonia brasi-liana è stato l’effetto delle pressioni degli attivisti chenel 2006, con una forte campagna di advocacy, hannocostretto i più grandi produttori di soia del Brasile aimpegnarsi per evitare la deforestazione. Da quel mo-mento, i vari attori coinvolti (le banche statali, gli ac-quirenti di bestiame, i principali macelli e il governobrasiliano) si sono impegnati tutti a non incoraggiarecon le loro attività la proliferazione di allevamenti dibestiame nelle zone deforestate.

Alla Conferenza di Parigi del 2015,il Brasile si era inoltre impegnato ariforestare entro il 2030 un totale di12 milioni di ettari di Amazzonia,sulla base della consapevolezza chepreservare il ciclo idrologico amaz-zonico rappresenti un tassello fon-damentale per il benessere non solodel Brasile, ma dell’intera Terra. Se infatti la deforesta-zione dovesse continuare con percentuali del 20-25%soprattutto nella parte orientale, meridionale e cen-trale del bacino, la sinergia negativa tra essa, i cambia-menti climatici e gli incendi controllati farà collassarela foresta amazzonica in un sistema non-forestale.

A questa emergenza generale si aggiunge la pre-occupazione per il nuovo esecutivo del Brasile. La ten-denza positiva registrata negli ultimi anni sembraessersi invertita con il nuovo governo brasiliano che,sin dalle dichiarazioni nella campagna elettorale del2018, ha sempre mostrato grande insofferenza ri-spetto alle istanze ambientaliste e dei popoli indigeni 2.Ad esempio, ha fatto discutere e creato allarme socialela notizia dell’affidamento delle attività di demarca-zione delle terre, un tempo di competenza della FUNAI(Fundação Nacional do Índio) 3, al Ministero dell’Agri-coltura, guidato dalla ministra Tereza Cristina Corrêada Costa Dias, figura da sempre vicina agli interessi deilatifondisti e allevatori del cosiddetto “blocco ruralista”.Lo stesso Funai è stato trasferito dal Ministero dellaGiustizia a quello della “Donna, della famiglia e dei di-ritti umani”, con l’intenzione implicita di indebolirne,di fatto, la funzione e le facoltà. Tutte decisioni cheaprono la strada all’aumento dello sfruttamento per

uso agricolo e zootecnico di quei territori ancora inte-gri e abitati per lo più da popolazioni indigene.

In passato, era proprio grazie all’azione del FUNAIche le popolazioni indigene potevano trovare un’effi-cace rappresentanza, a difesa e tutela dell’Amazzoniain quanto “casa e bene comune”. Sono infatti propriole comunità aborigene dell’Amazzonia a subire le con-seguenze più pesanti della trasformazione e degrada-zione dei loro territori originali. Dunque sono proprioquesti popoli, i più esclusi dalle dinamiche di potere,ad essere maggiormente interessati a difendere la fo-resta dagli abusi e dalle speculazioni economiche.Come si legge nel documento preparatorio al Sinodoper la regione panamazzonica, essi da sempre vivonoin contatto e relazione con la natura, in equilibrio e ar-monia con l’ecosistema della foresta da cui traggonoil proprio sostentamento; ne rispettano le risorse e nepreservano la ricchezza.

Dal punto di vista storico, il “gigantesco processodi dominazione” 4, emarginazione e sottomissione deipopoli indigeni dell’Amazzonia ha avuto origine du-

rante l’occupazione coloniale del Sud America daparte della Spagna e del Portogallo. Ad esso si è ag-giunto il trasferimento forzato e disumano di unenorme numero di schiavi provenienti dall’Africa. Pro-prio la Chiesa, durante la IV Conferenza di Santo Do-mingo (1992), ha richiamato l’attenzione su questiepisodi, definiti tra «i più tristi della storia latinoame-ricana e dei Caraibi», che lo stesso Papa GiovanniPaolo II, chiedendo perdono, descrisse come «un ol-traggio scandaloso» per l’intera umanità 5.

Per la Caritas Italiana, come per tutta la Chiesa, latutela dell’Amazzonia e dei suoi popoli è dunque unimperativo morale, che si inscrive nella visione di eco-logia integrale espressa dall’enciclica Laudato si’.

A tale scopo, diviene fondamentale aggregare leforze disponibili per rafforzare il protagonismo dei po-poli e valorizzare, in una dimensione interculturale, di-versità e tradizioni, al fine di prendersi cura della CasaComune.

Proprio pensando ai popoli indigeni e alla neces-sità di una maggiore tutela, le Nazioni Unite hannoelaborato una dichiarazione che fa riferimento alla di-mensione individuale e collettiva dei loro diritti umanifondamentali, dei diritti culturali e di identità, di lin-gua, d’educazione, della salute e del lavoro. La Dichia-

La tendenza positiva registrata negli ultimi anni sembraessersi invertita con il nuovo governo brasiliano che, sindalle dichiarazioni nella campagna elettorale del 2018,ha sempre mostrato grande insofferenza rispetto alleistanze ambientaliste e dei popoli indigeni

11REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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razione è stata adottata dal Consiglio per i DirittiUmani il 29 giugno 2006 con l’obiettivo di garantirel’autodeterminazione dei popoli indigeni, riconoscen-do il loro diritto ai mezzi di sussistenza, a diversificarsie a perseguire il proprio approccio in materia di svi-luppo; garantendo dunque i diritti a loro spesso ne-gati di poter accedere all’insegnamento delle lingueautoctone e beneficiare delle terre e delle risorse(compreso un giusto ed equo risarcimento per le vio-lazioni e gli espropri subiti).

In questo senso la dichiarazione ONU condannaogni forma di discriminazione dei popoli indigeni e nepromuove la piena e attiva partecipazione in tutti gliaspetti della vita sociale, politica, economica e cultu-rale. Le popolazioni indigene abitano una grandeparte della foresta pluviale amazzonica. Le loro cul-ture, tradizioni e credenze esistono da secoli, sono so-pravvissute al colonialismo, e rappresentano un patri-monio immateriale inestimabile e di preziosa cono-scenza della foresta pluviale. Ad esempio, il popolo Ti-same dell’Amazzonia boliviana utilizza 47 diversespecie di piante a scopo medicinale. È su questo tipodi conoscenza pratica che i botanici fanno affida-mento per poter classificare e identificare le specie ve-getali autoctone.

Solo all’interno del Brasile, la popolazione indigenastimata è di 310.000 persone (160 etnie che parlano195 lingue diverse), di cui circa 280.000 risiedono al-l’interno di riserve. Queste costituiscono solo il 20%dell’intero territorio dell’Amazzonia brasiliana 6. La tu-tela della presenza delle comunità indigene all’internodi aree protette ha contribuito a inibire la deforesta-zione di questi territori.

Tuttavia, in altre zone dell’Amazzonia, il disbosca-mento continua e con esso il processo di occupazionedella foresta. Basti pensare che la popolazione non in-digena emigrata in Amazzonia dagli anni Sessantafino alla fine degli anni Novanta, è passata da 2 milionia circa 20 milioni di individui. Fatalmente questa spro-porzione numerica e di stile di vita tra i migranti “occi-dentali” e le popolazioni indigene, in particolare quel-le non protette dalle riserve, ha creato nel tempo nu-merosi conflitti 7.

Solo un terzo dei gruppi indigeni noti nel 1900oggi non risultano estinti 8. Con la perdita di questepopolazioni non scompaiono solo ricchezze culturalie antropologiche, ma anche preziose conoscenze, ne-cessarie per assicurare il futuro e la conservazio-ne dell’Amazzonia come patrimonio dell’intera uma-nità 9.

Solo all'interno del Brasile, la popolazione indigena stimata è di 310.000 persone(160 etnie che parlano 195 lingue diverse), di cui circa 280.000 risiedono all’internodi riserve. Queste costituiscono solo il 20% dell’intero territorio dell'Amazzonia brasi-liana

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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A differenza di varie zone vergini del mondo chehanno conosciuto un aumento vertiginoso della de-forestazione soprattutto a partire dal colonialismo, nelvecchio continente gli umani hanno trasformato ilproprio paesaggio sin dalla fondazione delle prime so-cietà agricole.

Le più importanti alterazioni antropogeniche del-l’ambiente naturale sono state infatti la bonifica delleforeste per stabilire terreni coltivati e pascoli e lo sfrut-tamento delle stesse allo scopo di ricavare legna e ma-teriali da costruzione. Si tratta di un processo di anticaorigine, che se da un lato ha portato ad abbattere al-beri per lasciare spazio allo sfruttamento e agli inse-diamenti umani, dall’altro lato ha permesso di matu-rare pratiche e regolamentazioni di varia natura, peruna gestione più razionale del patrimonio boschivo.

Le foreste sono soggette ad aspettative diverse, tal-volta contrapposte, come esemplificato dalle tensioniesistenti tra il loro sfruttamento e la loro protezione.Una delle sfide principali per la governance forestaleconsiste nel conciliare questi due tipi di esigenze.

Attualmente le foreste nell’Unione Europea si esten-dono su 182 milioni di ettari, pari al5% della superficie forestale mon-diale e al 43% di quella dell’Unione.Da sole, Svezia, Finlandia, Spagna,Francia, Germania e Polonia rappre-sentano i due terzi delle superfici fo-restali europee, anche se con impor-tanti differenze tra Paesi. Se la Fin-landia, la Svezia e la Slovenia sonocoperte per più del 60% del loro ter-ritorio da foreste, questa proporzione raggiunge sol-tanto l’11% nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. Inoltre,diversamente da quanto constatato in numerose re-gioni del mondo in cui la deforestazione continua acostituire un grave problema, nell’Unione Europea lasuperficie del suolo coperta da foreste cresce: tra il1990 e il 2010 è aumentata di circa 11 milioni di ettari,in particolare grazie all’espansione naturale e agli in-terventi di rimboschimento 1.

L’88% delle foreste europee sono state modificatee modellate dall’uomo e nella maggior parte dei casiappartengono a proprietari privati (circa il 60% in ter-mini di superficie, rispetto al 40% di foreste di pro-prietà pubblica). Dei 161 milioni di ettari di foresta,134 milioni sono disponibili per la produzione di le-gno, la cui principale destinazione d’uso è energetica(42% del volume), contro il 24% per le segherie, il 17%per l’industria della carta e il 12% per quella dei pan-nelli. Circa la metà del consumo di energia rinnovabile

dell’Unione deriva proprio dal legno. Il settore fore-stale (silvicoltura, industria del legname e della carta)rappresenta circa l’1% del PIL dell’Unione, valore chein Finlandia può arrivare al 5% (dando lavoro a circa2,6 milioni di persone) 2.

In Italia, guardando i dati dell’Inventario Nazionaledelle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio, prodotti dalCorpo Forestale, ci sono attualmente 12 miliardi di al-beri e 10 milioni e 400 mila ettari di superficie boscosa,pari a un incoraggiante aumento di oltre 1,7 milioni diettari di patrimonio forestale in più nell’ultimo ven-tennio. Tale incremento è in parte dovuto a una ap-prezzabile legislazione nazionale di protezione 3. Nelnostro caso va citata la nuova legge quadro nazionalein materie di Foreste e Filiere forestali, del maggio2018, che ha lo scopo di definire gli indirizzi normativiunitari e il coordinamento di settore per le Regioni e iMinisteri competenti.

Da un lato, sulla base di un approccio conservazio-nistico, la legge riconosce «il patrimonio forestale na-zionale come parte del capitale naturale nazionale ecome bene di rilevante interesse pubblico da tutelare

e valorizzare per la stabilità e il benessere delle gene-razioni presenti e future» (Art. 1). Dall’altro, ripren-dendo e ampliando il concetto di “gestione attiva”,incentiva in qualche forma il taglio dei boschi, in par-ticolare per combustione a fini energetici (da cui de-riverebbe tuttavia un potenziale attentato alla salutepubblica).

La maggior parte delle contestazioni alla legge, daparte di alcuni ambiti accademici, fa riferimento a dueaspetti di debolezza:

il testo di legge non opera una chiara distinzionetra boschi di conservazione e di produzione, con ilrischio di portare nel tempo a un aumento delladeforestazione anche nelle aree protette, minac-ciando la biodiversità del territorio;

il decreto non considera il “bosco nella sua com-plessità ecosistemica”, ma si limita a sottolinearnele potenzialità produttive ed “energetiche”.

3 L’Europa e la deforestazione

Le foreste nell’Unione Europea si estendono su 182 mi-lioni di ettari, pari al 5% della superficie forestale mon-diale e al 43% di quella dell’Unione. Da sole, Svezia,Finlandia, Spagna, Francia, Germania e Polonia rappre-sentano i due terzi delle superfici forestali europee, anchese con importanti differenze tra Paesi

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In questo contesto alcune associazioni nazionali(WWF, Legambiente, LIPU e Italia Nostra), pur regi-strando comunque accesi contrasti e dibattiti al lorointerno, hanno invece assunto una posizione costrut-tiva. Nonostante alcune perplessità e dubbi, si sonoinfatti espresse per una approvazione complessiva delTesto unico 4.

Il tema della deforestazione si distingue per la suaforte carica emotiva; è capace di risvegliare gli animie preoccupare l’opinione pubblica. È questo unaspetto confermato anche da un recentissimo son-daggio, commissionato a YouGov da Greenpeace eWWF, e pubblicato in vista della Giornata Internazio-nale della Biodiversità del 22 maggio 2019. Il 91%degli intervistati ha affermato di essere profonda-mente preoccupato per lo stato delle foreste del no-stro pianeta, convenendo che la de-forestazione è dannosa sia per lepersone che per la fauna selvatica.Inoltre, l’87% degli intervistati, pro-venienti da 25 Paesi dell’UE, ha con-venuto sulla necessità di una appo-sita legislazione europea e nazio-nale per proteggere le foreste.

Sempre secondo il sondaggio, lamaggioranza del campione pensache i governi nazionali e comunitarinon stiano facendo abbastanza percontrastare la deforestazione globale e auspica l’ema-nazione di nuove leggi per garantire che i prodotti cheacquistiamo, e di conseguenza il cibo che mangiamo,non siano stati prodotti a scapito delle foreste delmondo. Ricordiamo infatti che, sebbene l‘UE abbiapromesso di fermare la deforestazione globale entroil 2020, essa di fatto rimane uno dei principali impor-tatori di una serie di materie prime agricole, come lacarne bovina, la soia e l’olio di palma, con forte im-patto sull’entità del patrimonio forestale mondiale.

Ma la deforestazione colpisce anche il cuore dellavecchia Europa. È il caso di una delle più vaste e belleforeste del continente, quella che si sviluppa sull’arcodei Carpazi 5 (foto). Si tratta di una catena montuosa

lunga 1.500 chilometri, posizionata tra RepubblicaCeca, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Ucraina, Romaniae Serbia. Ospita la più grande regione boscosa conti-gua in Europa centrale e alcune tra le ultime forestevergini del nostro continente. Regioni abitate da orsibruni, branchi di lupi, linci e dal bisonte europeo convalli e versanti montani intatti da secoli.

Rispetto a tale contesto ecologico di incalcolabilevalore, il governo romeno ha stimato un prelevamen-to illegale di circa 4 milioni di metri cubi di legnameogni anno: un volume pari a una volta e mezza la pi-ramide di Cheope. Il fenomeno della deforestazionein Romania è grave e riguarda spesso le aree (in teoria)più tutelate del Paese, quelle dei parchi nazionali.Sotto accusa sono le grandi aziende austriache dellatrasformazione del legno. Molto di questo legname

viene trasformato in pellet, parquet e pavimenti in la-minato, semilavorati e pannelli per l’edilizia e l’arreda-mento, prodotti venduti soprattutto in Germania e inAustria. I numeri della deforestazione, d’altronde, sonoinequivocabili: secondo la Corte dei conti romena, dal-l’inizio degli anni Novanta sono stati tagliati illegal-mente circa 400 mila ettari, il 6% di tutta l’area boschi-va del Paese, azioni mascherate da coperture politichee mappe catastali manipolate ad arte da falsari ama-toriali. Nel complesso, i danni stimati al patrimoniodello Stato romeno sono stati stimati in oltre 5 miliardidi euro.

Oltre alla Romania, preoccupa molto anche la si-tuazione di altri Paesi europei. Ad esempio, i piani di

energia rinnovabile della Polonia per il2030 prevedono un aumento del 55%della domanda di legno domestico ad usobioenergetico. Per coprire tale fabbisognoenergetico, e nonostante le pressioni in-ternazionali, la Polonia sta proseguendo lesue attività di deforestazione, a scapito diquella che molti definiscono l’ultima selvavergine d’Europa, tutelata dall’UNESCO: laforesta di Bialowieza, che si estende oltreil confine tra Polonia e Bielorussia, occu-pando circa 1.500 kmq di terreno 6. A Bia-lowieza crescono abeti di 50 metri, insie-

Il 91% degli intervistati è profondamente preoccupatoper lo stato delle foreste del nostro pianeta, convenendoche la deforestazione è dannosa sia per le persone cheper la fauna selvatica. L’87% degli intervistati, prove-nienti da 25 Paesi dell’UE, ha convenuto sulla necessitàdi una apposita legislazione europea e nazionale perproteggere le foreste

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me a querce e frassini alti 40 metri, che danno ricoveroa 20 mila specie animali, tra cui 250 di uccelli e 62 dimammiferi, compreso il raro bisonte europeo.

L’intera area è sotto attacco da diversi anni, a causadella decisione del governo polacco di triplicare l’areasoggetta a disboscamento 7. Tuttavia la Commissioneha reagito in maniera particolarmente decisa, avvian-do una procedura d'infrazione contro la Polonia e tra-smettendola alla Corte di giustizia. Inizialmente laCorte ha intimato l’interruzione dell’abbattimentodegli alberi emanando un provvedimento di blocco odi sequestro, poi minacciando il governo polacco consanzioni di almeno 100 mila euro al giorno. Di frontea tale eventualità, il governo polacco è finalmente ri-tornato sui propri passi: nel tardo autunno del 2017 imacchinari pesanti hanno abbandonato Bialowieza, enell’aprile del 2018 la Corte di giustizia europea ha de-finito illegale l’abbattimento degli alberi. Il saldo finaleè comunque grave: 200 mila metri cubi di legno ab-battuti, corrispondenti a circa 180 mila alberi. Ma al-meno l’abbattimento è stato fermato 8.

Per quanto riguarda le azioni dell’UE in materia diforeste, non avendo una politica forestale comune,circa il 90% dei fondi dell’Unione per le foreste pro-vengono dal Fondo europeo agricolo per lo svilupporurale (FEASR). Per il periodo 2015-2020 sono stateprogrammate spese pubbliche per circa 8,2 miliardi dieuro (27% per il rimboschimento, 18% per il migliora-mento della resilienza e 18% per la prevenzione didanni). L’Unione si è inoltre fissata l’obiettivo di porrefine entro il 2030 alla diminuzione della copertura fo-restale del pianeta e di ridurre la deforestazione tro-picale di almeno il 50% entro il 2020.

L’UE finanzia altresì progetti nel quadro del pro-gramma REDD+, teso a ridurre le emissioni legate alladeforestazione e al degrado forestale in Asia, Africa eAmerica Latina. Va infine citato il programma di “buonvicinato” FLEG II, a favore di Paesi situati ad est del-l’Unione che, per il periodo 2012-2016, disponeva di9 milioni di euro per favorire la buona governance, lagestione sostenibile e la protezione delle foreste.

Tuttavia, proprio a causa della mancanza di una re-golamentazione comune europea, legalmente vinco-lante per i Paesi membri, le aziende possono facil-

mente aggirare le specifiche leggi nazionali, operandosu più Paesi contemporaneamente e continuando avendere prodotti provenienti dalla deforestazione sututto il territorio dell’Unione.

Nel frattempo, e nonostante le buone prospettivedi regolamentazione giuridica, il contributo negativodell’Europa continua a crescere, al punto da raggiun-gere nel 2030 la quota stimata del 25% sul totale delladeforestazione mondiale. Se gli stati UE che consu-mano prodotti agricoli legati alla deforestazione nontrovano rapidamente delle alternative, si innescheràuna spirale negativa dalle conseguenze incalcolabili.Per essere allineati con l’obiettivo Onu 2020 sulla de-forestazione, è necessario che l’Europa assuma unruolo di leadership, mobilitando le proprie forze poli-tiche ed economiche, e promuovendo un più ampiodialogo internazionale e di cooperazione.

A tale riguardo, desta preoccupazione il nuovo ac-cordo di libero commercio siglato tra UE e i Paesi delMERCOSUR (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay)che, riducendo i reciproci dazi, favorirà di fatto le im-portazioni in Europa di carne bovina e soia, a ulteriorescapito soprattutto del patrimonio forestale amazzo-nico. Nello specifico, il MERCOSUR punta a incremen-tare di circa il 30% le esportazioni di prodotti agricolie di carne bovina verso l’Unione Europea, alimen-tando un settore che si colloca al primo posto fra lecause della distruzione dell’Amazzonia. L’Europa, sottola spinta decisiva della Germania (con il supporto diSpagna e Portogallo), avrà in cambio un’apertura deimercati alle auto di grossa cilindrata, specialmentegrandi fuoristrada e SUV, attualmente soggetti a unatariffazione del 35%. Altri beni che viaggeranno piùspeditamente verso l’America Latina sono i macchinari(oggi tassati del 20%) e i prodotti chimici (che attual-mente affrontano un sovrapprezzo del 18%).

Nel complesso, l’UE promette di risparmiare 4 mi-liardi annui di dazi sulle esportazioni e di aprire ai suoiinvestitori un mercato di 260 milioni di persone 9. Con-tro questo accordo si sono schierate varie realtà dellasocietà civile, tra cui la Coldiretti, che ha segnalato ilrischio di un’entrata in Italia di prodotti non rispon-denti a standard accettabili, soprattutto rispetto al-l’uso di pesticidi.

Circa il 90% dei fondi dell’Unione per le foreste provengono dal Fondo europeo agricoloper lo sviluppo rurale (FEASR). Per il periodo 2015-2020 sono state programmate spesepubbliche per circa 8,2 miliardi di euro (27% per il rimboschimento, 18% per il migliora-mento della resilienza e 18% per la prevenzione di danni). L’Unione si è inoltre fissatal’obiettivo di porre fine entro il 2030 alla diminuzione della copertura forestale del pia-neta e di ridurre la deforestazione tropicale di almeno il 50% entro il 2020

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FORESTE NEL MONDO

Le foreste forniscono circa il 40% delle energie rinnovabili globali sotto forma di combustibilelegnoso, tanto quanto l’energia solare, idroelettrica ed eolica combinate.

Il legno procura oltre la metà delle forniture nazionali di energia primaria in 29 Paesi, di cui22 nell'Africa sub-sahariana.

Il 33% della popolazione mondiale – circa 2,4 miliardi di persone – utilizza il legno per cucinare,bollire l’acqua e riscaldare le proprie case.

La percentuale di persone che fanno affidamento sul combustibile legnoso varia dal 63% inAfrica al 38% in Asia e al 16% in America Latina.

Circa il 40% delle popolazioni in condizione di povertà estrema nelle aree rurali – intorno ai 250milioni di persone – vivono in savane e zone forestali.

Nel 1990 le foreste costituivano il 31,6% del territorio mondiale (circa 4.128 milioni di ettari),mentre nel 2015 questo dato è sceso al 30,6% (circa 3.999 milioni di ettari).

Ogni anno la terra perde almeno 7 milioni di ettari di foreste vergini, un’area all’incirca delledimensioni del Portogallo.

Considerando tutte le foreste tropicali, almeno 12 milioni di ettari sono andati persi solonel 2018.

L’80% della deforestazione globale è provocato dall’agricoltura industriale.

Il sistema alimentare è responsabile di un quarto di tutte le emissioni di gas serra che con-tribuiscono al cambiamento climatico.

4 Dati

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AMAZZONIA

L’Amazzonia, con una superficie di 6,7 milioni di chilometri quadrati, è la più vasta e variegataforesta tropicale e pluviale della Terra ed il più grande bacino fluviale del pianeta.

Il 10% delle specie conosciute sulla Terra provengono dall’Amazzonia.

Solo all’interno dell’Amazzonia brasiliana, la popolazione indigena stimata è di 310.000 per-sone (160 etnie che parlano 195 lingue diverse); circa 280.000 risiedono all’interno di riserve.

La popolazione non indigena emigrata in Amazzonia, dagli anni ‘60 fino alla fine deglianni ‘90, è passata da 2 milioni a circa 20 milioni di individui.

Dal giugno 2018 a giugno 2019, l’area deforestata è pari a 762,3 chilometri qua-drati.

Il PIL regionale amazzonico raggiunge i 330 miliardi di dollari all’anno (il 70% solo in Bra-sile).

Il ricavo dell’esportazione di soia e carne brasiliana prodotta in Amazzonia era pari nel 2012 a 9miliardi di dollari.

Il Brasile esporta nella sola Cina circa il 70% della propria produzione di soia.

Il 20% del bioma dell’Amazzonia è già stato perso mentre il WWF stima che il 27% – più di unquarto – del bioma amazzonico sarà privo di alberi entro il 2030 se l’attuale tasso di deforestazionecontinuerà.

17REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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5 Testimonianze

INTERVISTA A S.E. MONS. FABIO FABENE, SOTTO-SEGRETARIO DEL SINODO DEI VESCOVI

Eccellenza, sgombriamo subito il campo da equi-voci: cosa non sarà il Sinodo sull’Amazzonia del pros-simo ottobre?

«Non sarà un forum sociale né un Parlamento nelquale discutere questioni politiche, ma un eventoprettamente ecclesiale e pastorale, in cui tutte le te-matiche presenti nell’Instrumentum Laboris verrannoanalizzate con gli occhi della fede. Ciò non significache saranno tralasciate le questioni sociali e umaneproprie delle popolazioni amazzoniche. Come dice lostesso tema dell’Assemblea sinodale, i Padri sarannochiamati a individuare nuovi cammini per l’evangeliz-zazione nell’ampia regione e per un’ecologia inte-grale».

Come il Sinodo rispetterà e da-rà risalto alla diversità spirituale,ecclesiale e culturale dell’Amazzo-nia?

«Oggi più che mai la Chiesa com-prende che la diversità è elementoessenziale dell’unità cattolica. Lediversità e ricchezze della Chiesa inAmazzonia devono essere conside-rate con sincera attenzione per ac-cogliere ciò che di positivo si trovain esse. Nei nove Paesi che com-pongono la regione panamazzo-nica si registra la presenza di circatre milioni di persone indigene, cherappresentano quasi 390 popoli enazionalità differenti. Essi sono trai principali protagonisti di questo Sinodo speciale: loha indicato il Papa al momento della convocazione.Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità cul-turale particolare, una ricchezza storica specifica e unmodo peculiare di guardare la realtà, nonché di rap-portarsi con tutto questo a partire da una visione delmondo e da un’appartenenza territoriale specifiche,come afferma il documento preparatorio del Sinodo.È necessario riconoscere la spiritualità dei popoli nativicome fonte di ricchezza per l’esperienza cristiana. Sitratta di quel processo di inculturazione della fede chenon è l’imposizione di modelli estranei alla vita di unpopolo, ma un arricchimento delle culture autoctonealla luce del Vangelo, il cui soggetto attivo sono glistessi popoli indigeni (IL 122)».

Il dialogo con i popoli dell’Amazzonia in previ-sione del Sinodo è già iniziato da tempo. Quale sarà

il ruolo preciso dei rappresentanti delle comunità in-digene all’incontro?

«I popoli indigeni sono stati i principali interlocu-tori negli eventi che hanno preceduto il Sinodo, ossiale Assemblee territoriali promosse dalla REPAM (RedEclesial Panamazónica) e dalle Conferenze episcopaliin tutta la regione. Hanno avuto modo di rispondereai quesiti del documento preparatorio e le loro aspi-razioni e speranze sono state fedelmente riportatenell’Instrumentum Laboris. Una loro rappresentanzasarà presente fisicamente all’Assemblea di ottobre.Come previsto dalla metodologia del Sinodo, po-tranno intervenire e partecipare al dibattito. Prende-ranno parte anche ai circoli minori per dare il lorocontributo».

Da Chiesa indigenista (popoli indigeni oggetto dipastorale ma non protagonisti della propria espe-

rienza di fede) a Chiesa indigena.Quanto è lungo il passo da fare?

«La Chiesa in Amazzonia è già afianco degli indigeni annunciandoloro il Vangelo e difendendo la loroidentità. Al riguardo, nella fase diascolto del Sinodo è stato appro-fondito come far emergere sempredi più il “volto amazzonico” dellaChiesa in quel territorio. La fede deipopoli indigeni si deve incarnare einculturare nella loro realtà tradi-zionale. Soltanto nel contesto dellaloro cultura, identità, storia e spiri-tualità può nascere una Chiesa in-digena con i propri pastori e mini-stri ordinati. Come farlo? Per esem-

pio, nell’Instrumentum Laboris emerge la richiesta di“approfondire una teologia india amazzonica già esi-stente, che permetta una migliore e maggiore com-prensione della spiritualità indigena per evitare dicommettere gli errori storici che hanno travolto molteculture originarie”».

Amazzonia, territorio dove tutto è connesso. Chilo abita e come lo abita in che misura rende chiaro ilsignificato dell’espressione “ecologia integrale”?

«Quando si parla di ecologia integrale, si parte dalla“convinzione che tutto nel mondo è intimamente con-nesso”, come afferma la Laudato si’ al numero 16, percui si sta parlando di un approccio che guarda all’am-biente in cui si vive non solo dal punto visto stretta-mente naturale, ma tenendo conto anche della di-mensione umana, sociale, culturale e spirituale. Custo-dire il creato significa allora custodire ogni essere

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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umano in tutte le sue dimensioni vitali. Parlare di di-fesa della terra vuol dire parlare di difesa di uomini edonne, di bambini e anziani. Papa Francesco a PuertoMaldonado lo ha detto chiaramente: “La difesa dellaterra non ha altra finalità che non sia la difesa dellavita”. La vita, infatti, è strettamente connessa al terri-torio».

L’espressione “volto amazzonico della Chiesa”può entrare a far parte del nostro lessico ed essereintesa in maniera ampia, globale: “amazzonico”come aggettivo che indica attenzione alle periferie,al Sud del mondo, alla non imposizione di modelliculturali, religiosi, … estranei alla vita delle per-sone?

«Nell’Instrumentum Laboris al n. 107 si legge: “Ilvolto amazzonico della Chiesa trova la sua espressionenella pluralità dei suoi popoli, culture ed ecosistemi.Questa diversità richiede un’opzione per una Chiesa inuscita e missionaria, incarnata in tutte le sue attività,espressioni e linguaggi”. Dal canto suo Papa Francescoa Puerto Maldonado, in Perù, nel gennaio 2018, haespresso l’esigenza di una Chiesa inculturata e inter-culturale: “Abbiamo bisogno che i popoli originari pla-

smino culturalmente le Chiese amazzoniche locali”.Parlare di volto amazzonico significa far emergerel’aspetto pluriforme della Chiesa che è il popolo di Dioformato da tutti i popoli della terra, come afferma laLumen Gentium al n. 9. In questo modo si evidenziaconcretamente quanto era già vivo nei Padri dellaChiesa, secondo i quali la fede è una sola in tutti i luo-ghi pur esprimendosi in modi diversi».

Mons. Fabene, un suo desiderio, un auspicio ri-spetto al Sinodo.

«Il desiderio è che anche questo Sinodo sia un au-tentico evento ecclesiale, dove tutti i partecipanti siaprano all’ascolto dello Spirito Santo e parlino conparresia, come ha indicato più volte Papa Francesco.L’auspicio è che nella comunione fraterna i Padri ri-spondano alle necessità pastorali della Chiesa inquella vasta regione tanto ricca di risorse, di antichesaggezze e di fede, per avviare nuovi cammini di evan-gelizzazione e promozione umana. Inoltre la speranzaè che riflettendo sull’ecologia integrale in quel territo-rio, che è il polmone della terra, il prossimo Sinodopossa aiutare tutto il mondo a porre maggiore atten-zione all’urgenza ecologica».

Su www.sinodoamazzonico.va

– Documento preparatorio

– Instrumentum Laboris

– Riflessioni

– Testimoni

– Notizie

Sito della REPAM

Red Eclesial Panamazónica

https://redamazonica.org/

19REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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INTERVISTA A DON FELICE TENERO,FIDEI DONUM DI VERONA

Don Felice, lei lavora presso la Fondazione CUM(Centro unitario per la Cooperazione missionaria frale Chiese). L’anno scorso è stato due volte in Amaz-zonia, boliviana e peruviana, inviato dalla Fonda-zione Missio. Ha poi preparato delle schede didat-tiche per animare sulle tematiche dell’Amazzonia lecomunità, i gruppi, le scuole in Italia.

«Le schede affrontano i temi del territorio del-l’Amazzonia, la vita dei suoi popoli, della Chiesa e deimartiri. I video che le accompagnano danno voce allepersone che vivonolungo i fiumi, gliagenti di pastorale edi promozione so-ciale, i vescovi e glialtri operatori dellaChiesa cattolica cheogni giorno lottanoperché l’Amazzonianon sia solo distru-zione e morte»

L’obiettivo princi-pale di queste sche-de…

«Rendere accessibile a tutti la problematica del-l’Amazzonia, come suggerisce Papa Francesco. Il Pon-tefice è solito proporre alla Chiesa uno stile che partedalle periferie e quindi anche questa volta chiede allaChiesa di mettersi all’ascolto di una periferia, enormee significativa».

Quali i criteri seguiti nella loro costruzione?«I criteri sono stati “dettati” dal documento prepa-

ratorio che i vescovi hanno redatto per tutte le comu-nità e da quello che ho visto visitando parti di quellavastissima regione. Nel preparare le schede ho ancheattinto all’esperienza presso il CUM: facciamo corsi dicinque settimane per chi parte per le missioni e moltimissionari laici e religiosi vanno a lavorare proprio inAmazzonia».

Chi può usare queste schede e come?«Le possono usare gruppi di qualsiasi età, persone

che si riuniscono e si interrogano cercando di darsiqualche risposta. Le linee di lavoro sono due: la primariguarda le questioni ecologiche e ciò che l’Amazzoniaci sfida a dire: che stile di vita abbiamo, come esserecustodi del creato e non sfruttatori, ... L’Amazzonia è ilsimbolo di come il nostro consumismo sta distrug-gendo e offendendo la natura. La seconda questioneè l’interrogativo ecclesiale: l’Amazzonia, data la vastitàdi presbiteri e religiosi, date le enormi distanze, ci sfidaa pensare con coraggio e forse a costruire un nuovomodello di struttura ecclesiastica dove il centro non è

il prete, ma una comunità che a partire dai propri bi-sogni sociali e religiosi riconosce ministeri diversi».

Una frase di Davi Kopenawa, portavoce degli Ya-nomami del Brasile, che riportate nelle schede: «Per-ché ci vuole così tanto per capire che se feriamo lanatura, feriamo noi stessi? Non stiamo guardando ilmondo dall’esterno. Non ne siamo separati». Eccolal’ecologia integrale…

«Abbiamo tanto da imparare da loro. Dall’Amazzo-nia ci viene un grande insegnamento: tornare all’es-senziale della vita che è una relazione di equilibrio conDio, con gli altri e con la natura. Noi siamo terra chevive, che cammina, che pensa e che ama, ma siamo

sempre terra».Un ricordo perso-

nale di queste sue re-centi visite in Amaz-zonia…«Una volta, entratinella foresta, abbia-mo assistito al tagliodi un grosso albero dicirconferenza mag-giore di un metro emezzo da parte di per-sone mandate dalle

multinazionali. Con questo albero se ne è andata unamemoria vivente dell’Amazzonia, probabilmente eralì da circa duecento anni. Un altro ricordo: viaggiandoall’interno dell’Amazzonia, visitando i piccoli villaggi escoprendo come vivono le persone, abbiamo chiestoa dei giovani se potendo scegliere resterebbero co-munque lì. Hanno risposto che rimarrebbero lì se lecondizioni fossero diverse, se avessero cioè assistenzasanitaria, scuole vicine e mezzi di comunicazione.Dunque la tentazione di andare nelle città è forte».

Don Felice Tenero con alcuni Indios Ccosñipata – Perù

Schede e video suwww.missioitalia.it

FAAZIONE E LANIMA’PER LL’E VIDECHEDE S

’AMULLL’SSINODO ZIONEAFORM

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AZZONIAM

Biien vivir

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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INTERVISTA A FRANCESCA CASELLA, DIRETTRICESEDE ITALIANA DI SURVIVAL INTERNATIONAL

Ci presenta Survival?«Survival è il movimento mondiale per i diritti dei

popoli indigeni, con sostenitori in oltre 100 nazioni.Oggi siamo l’unica organizzazione a sostenere i popoliindigeni in tutto il mondo. Li aiutiamo a difendere leloro vite, a proteggere le loro terre e a determinare au-tonomamente il loro futuro. Per prevenirne lo stermi-nio, collaboriamo e offriamo loro un palcoscenico dacui rivolgersi al mondo sia finanziando i rispettiviviaggi sia mettendo a disposizione tecnologie di co-municazione d’avanguardia per denunciare quel cheaccade in tempo reale. Indaghiamo sulle atrocità visi-tando regolarmente i loro territori per fornire prove alleNazioni Unite e ad altri organismi internazionali. Of-friamo assistenza legale. Finanziamo piccoli progettimedici e autogestiti d’emergen-za. Facciamo educazione neiPaesi industrializzati per indurrecambiamenti di mentalità, lan-ciamo campagne, esercitiamopressione e organizziamo prote-ste. Siamo apartitici e aconfes-sionali, e per mantenere la no-stra indipendenza e integrità, ri-fiutiamo fondi dai governi e daaziende che potrebbero esserecoinvolte in violazioni dei dirittiumani. A rendere possibile tutto quello che facciamosono quasi esclusivamente le donazioni dei singoli».

Alcune campagne di Survival.«Nel corso degli anni, i successi che abbiamo se-

gnato sono stati tantissimi, in tutto il mondo, e alcunidi essi hanno contribuito a ribaltare le sorti di interi po-poli. Basti pensare alla vittoria legale dei Boscimanicontro il governo del Botswana, che oggi funge da pre-cedente legale anche per altri casi di sfratto dei popoliindigeni africani dalle terre ancestrali. Ma il nostro pri-mo grande successo è stata la demarcazione della terradegli Yanomami, proprio in Amazzonia. Negli anni ‘70e ‘80, il loro territorio era invaso da decine di migliaiadi cercatori d’oro e coloni. Gli Yanomami soffrivano im-mensamente: gli invasori sparavano agli indigeni, di-struggevano i loro villaggi e diffondevano malattieletali… Con l’obiettivo di far demarcare e proteggerela loro terra, lanciammo una grande campagna inter-nazionale insieme agli Yanomami stessi, guidati dalloro giovane leader Davi Yanomami Kopenawa, e allaONG brasiliana “Commissione Pro Yanomami”. Dopovent’anni di impegno, nel 1992 riuscimmo finalmentea ottenere il riconoscimento e i cercatori d’oro furonoespulsi. Il caso degli Yanomami è tuttora molto impor-tante perché dimostra cosa accade quando ai popoli

indigeni viene riconosciuto il controllo delle loro terre.Oggi, infatti, il loro territorio, che si estende tra Brasilee Venezuela, è l’area di foresta pluviale sotto controlloindigeno più grande al mondo, e anziché essere estinti,come alcuni predicevano, gli Yanomami sono ancorauna delle più numerose tribù del Sud America a viverein modo praticamente autosufficiente e in relativo iso-lamento».

Nel 2019 Survival ha compiuto 50 anni. Che rifles-sioni ha suscitato in voi questo anniversario?

«In 50 anni sono cambiate molte cose. Un tempo,l’uccisione dei popoli indigeni era in qualche modo tol-lerata, era considerata un prezzo doloroso ma inevita-bile da pagare al cosiddetto “progresso”, e la loroestinzione sembrava inevitabile. Oggi invece esistonoimportanti leggi nazionali e internazionali che ricono-scono i diritti fondamentali dei popoli indigeni, e traquesti il diritto a vivere nelle loro terre. Basta ricordare

la Convenzione ILO 169 del 1989o la Dichiarazione sui Diritti deiPopoli Indigeni adottata dalleNazioni Unite nel 2007 dopovent’anni di negoziazioni con iPaesi membri. Nel corso deglianni, i popoli indigeni si sonoanche rafforzati. Hanno creatoproprie organizzazioni e alle-anze per esercitare pressione eottenere il rispetto dei loro di-ritti. Infine, l’opinione pubblica

mondiale è più informata e consapevole dei problemiche minacciano l'esistenza dei popoli indigeni e intanti hanno cominciato a riconoscere l’inalienabilitàdei loro diritti e il valore delle loro culture. Anche se al-cuni governi hanno finalmente ammesso le responsa-bilità storiche, il cammino è ancora lungo perché gliinteressi economici continuano in molti casi a essereanteposti ai diritti umani».

Quali le principali minacce di sempre e degli ultimitempi per gli indigeni della regione panamazzonica?

«Le antiche minacce ai diritti e alla vita dei popoliindigeni panamazzonici, quelle che persistono ancoraoggi, sono violenze, malattie e furto di terra. I popoliindigeni dell’Amazzonia sono nel mirino di governi eindustrie sin dai tempi della colonizzazione, sia per leloro terre – ricche di risorse preziose come legni pre-giati, oro e diamanti – sia come forza lavoro: nono-stante la sua abolizione, infatti, oggi esistono ancoraforme di schiavitù salariata. Più recentemente, adaprire la foresta dei popoli indigeni allo sfruttamentoin proporzioni senza precedenti sono stati progetti disviluppo e infrastrutture come strade, dighe idroelet-triche e miniere. Il settore brasiliano dell’agrobusinesse le industrie petrolifere di Perù, Ecuador e Venezuelastanno facendo molta pressione per scardinare i diritti

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costituzionali dei popoli indigeni al fine di poternesfruttare le risorse senza avere avuto il loro consensolibero, previo e informato, come previsto per legge.Tutto ciò espone ulteriormente i popoli indigeni a ma-lattie e attacchi violenti. I più a rischio sono gli indianiincontattati e le tribù entrate recentemente in con-tatto con l’esterno, in molti dei Paesi della regioneamazzonica. Non hanno difese immunitarie verso ma-lattie introdotte dagli estranei, come l’influenza e ilmorbillo, e ancora oggi epidemie e invasioni violentepotrebbero rapidamente cancellarli dalla faccia dellaterra esattamente come nel passato».

La Chiesa mette al centro di un confronto impor-tante come il Sinodo l’Amazzonia. Quali aspettativeda parte del mondo laico?

«Il Sinodo costituisce una straordinaria opportunitàper trovare modi concreti di mettere in pratica quellacura ambientale e sociale che è oggi più che mai vitaleper il nostro pianeta e le sue risorse. Mettendo l’Amaz-zonia al centro della riflessione sulla casa comune e in-vitando al dialogo rappresentanti indigeni e altre per-sone che dipendono da questo ecosistema unico e locapiscono meglio di chiunque altro, il Sinodo costituiràun fertile luogo di discussione su come mitigare i cam-biamenti climatici e il riscaldamento globale. Speriamoinoltre che possa dare la dovuta visibilità alle voci deipopoli della foresta, che fornisca loro una piattaformaper farsi ascoltare da un vasto pubblico. Non è neces-sario essere cattolici o religiosi per capire che tutti noici troviamo oggi ad affrontare una delle più grandi sfideambientali della storia. Se il Sinodo contribuirà ulterior-mente a farne prendere coscienza, sarà molto positivo.La Chiesa cattolica vanta una fitta rete di individui e par-rocchie che lavorano dalla base in collaborazione convari tipi di movimenti sociali, tra cui anche il movimentoindigeno. In questo senso, penso che molte persone,credenti o laiche, metteranno da parte le differenze persostenere coloro che nella Chiesa si impegnano peruna società più equa e più giusta in Amazzonia, e perun uso sostenibile delle sue risorse».

Quando papa Francesco parla di “ecologia inte-grale”, cosa le viene in mente pensando al modo diessere dei popoli indigeni?

«Per loro la terra non è un’entità da sfruttare bensìun universo da sostenere e mantenere in equilibrio acui l’uomo appartiene al pari di qualsiasi altro esserevivente. Difenderla è semplicemente il loro modo divivere, e non un dovere, perché dal suo stato di salutedipende la loro stessa sopravvivenza e quella delle fu-ture generazioni. Per questo sono tanto efficaci nelproteggerla! Alla base del nostro concetto di “conser-vazione” c’è invece una concezione dualistica del rap-porto uomo-natura che considera la natura come undominio autonomo distinto dalla sfera delle azioniumane. Un luogo incontaminato in cui l’uomo si pone

solo come una mera forza distruttiva finché non inter-viene a esercitare la sua giurisdizione per assicurarnela preservazione. Gli approcci non potrebbero esserepiù distanti. Da un lato un rapporto dell’uomo con lanatura fondato su valori di uguaglianza, reciprocità edequilibrio: la visione eco-centrica dei popoli indigeni,capaci di sfruttare le risorse dei loro ambienti senzamai alterarne i principi di funzionamento e i cicli di ri-produzione. Dall’altro un movimento conservazioni-sta radicale e razzista che a partire dagli USA del XIXsecolo si è esteso soprattutto in Africa e in Asia sfrat-tando illegalmente milioni di indigeni dalle loro flo-ride terre ancestrali per farne santuari inviolabili, liberida qualsiasi presenza umana. Con conseguenze dram-matiche per tutti, uomini e ambiente».

L’Amazzonia e la sua grande ricchezza culturale.Cosa andrebbe raccontato in questo senso?

«La sopravvivenza dei popoli indigeni è non solouna fondamentale questione di diritti umani, ma an-che interesse di tutta l’umanità. La loro diversità dimo-stra che esistono modi alternativi di vivere, altrettantoefficaci dei nostri (o anche di più!). Ci aiuta a capirequali sono i bisogni e i valori realmente condivisi daogni essere umano, e quanto è invece solo frutto dicondizionamento sociale. Si parla sempre più spessodi diversità biologica e culturale come condizione in-dispensabile alla vita stessa, ed è verissimo. Ma pochiriflettono sul fatto che non serve a nulla mapparla ge-neticamente, conservarla nei musei o celebrarla neimanifesti pubblicitari, perché la diversità sopravvivesolo se vivono i popoli che la alimentano. Con la scom-parsa delle culture indigene perderemmo non solouna parte di noi, ma anche visioni del mondo unichee conoscenze enciclopediche di piante e animali ali-mentate da millenni di simbiosi con la natura. Un sa-pere di cui solo oggi gli scienziati hanno cominciato ariconoscere lo spessore e l’importanza per il futurodell’umanità. Se non fosse per le approfondite cono-scenze di botanica che possiedono i popoli indigeni,oggi potremmo ancora ignorare molti dei nostri piùimportanti composti medicinali, come l’aspirina, peresempio, o il “curaro”. Gli indigeni lo hanno applicatoa lungo sulla punta delle frecce per paralizzare leprede, e ora noi lo impieghiamo sull’uomo come rilas-sante muscolare, rendendo possibili procedure vitalicome gli interventi a cuore aperto. Le piante sonostate di cruciale importanza nello sviluppo di almenoil 50% delle medicine che usiamo oggi. Anche alcunidegli alimenti base del mondo, come mais e patate, civengono dai popoli indigeni e oggi nutrono milioni dipersone. Eppure, l’idea che esistano società progreditee altre no è ancora tanto diffusa e persuasiva da in-durre molti a considerare inferiori coloro che vivono inmodo diverso, esponendoli così ad abominevoli viola-zioni dei loro diritti umani. I popoli indigeni non sono

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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“primitivi” e “arretrati”, bensì moderni e contemporaneiper definizione. I loro stili di vita semplicemente nonsono industrializzati. Costituiscono un altro dei moltimodi possibili di vivere; una delle infinite strade chel’umanità ha intrapreso. E hanno tanto da insegnarci!».

Alcuni ex ministri dell’Ambiente del Brasile hannopresentato un manifesto nel quale denunciano lavanificazione da parte del nuovo governo di 30 annidi politiche per il clima e contro la deforestazione.Per questo nuovo governo siamo ancora all’equa-zione “deforestazione = progresso”?

«In generale, non può esserci reale progresso senzagiustizia sociale e rispetto dei diritti umani. Ridurre ledimensioni delle riserve indigene, inoltre, oppure can-cellarle per aprirle allo sfruttamento indiscriminatodelle risorse costituisce una violazione sia della Costi-tuzione brasiliana sia della legge internazionale, cheil Brasile ha ratificato in modo vincolante nel 1965 enel 2002. A differenza degli altri Paesi sudamericani,la Costituzione brasiliana non riconosce agli indiani laproprietà della terra nel senso letterale del termine,ma impegna comunque il governo a mappare, rico-noscere e proteggere le terre ancestrali dei popoli in-digeni destinandole al loro uso esclusivo. Mettendo inpratica le sue dichiarazioni pubbliche, quindi, l’attualegoverno brasiliano compirebbe atti illegali, così comedel resto è illegale anche mancare di demarcare que-ste terre o permetterne l’invasione. E in Brasile i terri-tori indigeni ancora in attesa di demarcazione sonotanti, circa un terzo, mentre più o meno tutti soffronoperiodicamente l’invasione illegale di taglialegna, mi-natori e coloni perché non sono protetti adeguata-mente. Per poter attuare le sue promesse elettorali,che davvero annullerebbero decenni di lotte e con-quiste in materia di diritti umani e territoriali dei po-poli indigeni, il presidente Bolsonaro potrebbe cercaredi emendare la Costituzione, come i politici legati al-l’agrobusiness stanno tentando di fare già da tempopromuovendo il famigerato decreto noto come PEC215, ad esempio. Ma gli indigeni, le loro organizza-zioni e i loro alleati, come noi di Survival International,stiamo tutti contestando questa manovra su basi le-gali. Però vi sono altri motivi di preoccupazione. InBrasile il numero di omicidi dei difensori dei dirittiumani e dell’ambiente è già tra i più alti al mondo. Lamancanza di indagini immediate ed efficaci, e il fattoche i colpevoli di questi crimini non vengano solita-mente perseguiti e puniti, mandano a invasori e as-sassini il messaggio che possono farla franca. Il raz-zismo di cui sono intrise le dichiarazioni di molti espo-nenti politici non può che peggiorare la situazioneperché i criminali si possono sentire incoraggiati o ad-dirittura istigati ad agire con ancor più violenza espo-nendo molte comunità al rischio di attacchi genocidi.È in gioco l’anima del Brasile, il futuro della foresta

amazzonica e la straordinaria diversità umana rappre-sentata dalle 350 tribù del Paese. Oltre che la nostrastessa umanità. “Se i popoli indigeni si estinguono emuoiono, saranno in pericolo le vite di tutti perché noisiamo i guardiani della natura” hanno detto di recentei Guaraní del Mato Grosso do Sul. “Senza foresta, senzaacqua, senza fiumi non c’è né vita né speranza per nes-sun brasiliano. Abbiamo resistito 518 anni; tra vittoriee sconfitte continuiamo a lottare, la terra è nostramadre. Finché splenderà il sole e all’ombra di un al-bero ci sarà aria fresca, finché ci sarà ancora un fiumein cui bagnarsi, noi continueremo a combattere”».

Il 65% della foresta amazzonica è in Brasile; ep-pure l’ambiente è al quarto posto delle preoccupa-zioni dei brasiliani. Anche per loro, come per gliabitanti di altri Paesi, l’Amazzonia resta un’idea, unconcetto, distante dal quotidiano?

«Sgombriamo subito il campo dal pregiudizio: no-nostante molti continuino a pensarla come un’im-mensa terra selvaggia, remota e vergine, anche se oggigravemente minacciata, in realtà di “selvaggio” l’Amaz-zonia ha ben poco. È infatti la terra ancestrale di oltreun milione di indiani, che da secoli la chiamano “casa”.La presenza degli indigeni ha contribuito a plasmarlae ad alimentare la sua grande biodiversità. E contribui-sce ancora oggi a difenderla dal disboscamento e dalladevastazione, anche a nostro beneficio. La cosiddettawilderness non esiste se non nel nostro immaginario,e prima ancora di essere un patrimonio verde di tutti,l’Amazzonia è la terra e la vita di qualcuno… Preoccu-parsene è anche una questione prioritaria di dirittiumani, che non si può ignorare. Le riserve indigene inAmazzonia sono 462, ma solo l’8% sono state demar-cate formalmente. Le altre vivono in un limbo in attesadella demarcazione, e la protezione della terra non èeffettiva. I loro abitanti sono tutti a rischio».

Incontri, esperienze per ricordarci che i popoli in-digeni sono i migliori custodi del mondo naturale.

«È vero: le prove scientifiche sono ormai inoppu-gnabili e dimostrano ovunque, senza ombra di dub-bio, che i popoli indigeni sanno prendersi curadell’ambiente meglio di chiunque altro e sono i mi-gliori custodi della natura; per questo, svolgono unruolo assolutamente fondamentale nella nostra bat-taglia contro il cambiamento climatico e il degradoambientale, per il nostro futuro e quello delle pros-sime generazioni. Molto prima che il termine “conser-vazione” venisse coniato, i popoli indigeni avevano giàsviluppato misure efficaci per preservare la ricchezzadei loro ambienti. Ancora oggi usano sofisticati codicidi conservazione per evitare di eccedere nella cacciae mantenere la biodiversità. Non a caso, la stragrandemaggioranza dei 200 luoghi a più alta biodiversità delpianeta sono terra indigena, e l’80% della biodiversitàterrestre si trova nei loro territori. Le immagini satelli-

23REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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tari sono impressionanti, perché spesso mostrano leterre indigene come isole di verde in mezzo a un maredi devastazione... Le aree indigene costituisconoanche la miglior barriera alla deforestazione e agli in-cendi. Nell’Amazzonia peruviana, quando le comunitàindigene hanno ottenuto i diritti territoriali, la defore-stazione è diminuita del 75%, mentre in Australia ci sista rendendo conto sempre più che i sistemi tradizio-nali aborigeni limitavano il rischio di grandi incendi.Negli ultimi 90 anni, gli incendi boschivi sono costati algoverno australiano quasi 7 miliardi di dollari ameri-cani. “I danni che stiamo avendo oggi potrebbero es-sere limitati semplicemente permettendo gli Aborigenidi fare quello che ci hanno messo decine di migliaia dianni a perfezionare” ha dichiarato recentemente il pro-fessor Bill Gammage, dell’Australian National Univer-sity. La relazione di reciprocità che le tribù hanno conla foresta si fonda sul rispetto dei cicli della natura e sulsenso di responsabilità per le generazioni future. I lorocostumi impongono che non si prenda mai più dellostretto necessario, che non si sprechi nulla, e che si re-stituisca alla natura tanto quanto le viene tolto. Nonsolo in Amazzonia ma in tutto il mondo. Ad esempio, iSoliga dell’India, quando raccolgono il miele sulle cimedegli alberi, ne tengono una parte per se stessi e la-sciano il resto a terra per le tigri, perché “le tigri nonpossono arrampicarsi sugli alberi e raccogliere il miele”.I cacciatori-raccoglitori Awá, che vivono nello stato delMaranhão, nel Brasile nord-orientale, hanno un rap-porto così stretto e intimo con alcuni animali della fo-resta da arrivare ad allattare al seno i piccoli rimastiorfani. Lo fanno con le scimmie, per esempio: “Ho al-lattato tanti piccoli di scimmia – mi ha raccontato Par-rocchetta Awá – e, quando sono cresciuti, sonoritornati a vivere nella foresta. Sento la mia aluatta can-tare là, nel folto della foresta”. Anche i piccoli orti degliindigeni contribuiscono ad accrescere la biodiversitàperché la presenza di cibo attira piccoli animali, che aloro volta richiamano la presenza di animali predatoripiù grandi. Tutti loro contribuiscono poi a diffondere

semi utili e così via... I Baka e i Bayaka del bacino delCongo utilizzano tecniche differenti per ripiantarel’igname selvatico garantendo così la sua ricrescita. Inquesto modo collaborano alla diffusione, in tutta la fo-resta, di zone ad alta densità di questo cibo moltoamato dagli elefanti».

Ci sono attenzioni, comportamenti che ciascunodi noi può adottare nel quotidiano per contribuire acustodire l’Amazzonia e salvare chi la abita?

«Il futuro dei popoli indigeni è realmente nellemani di ognuno di noi come singoli, che dobbiamoottenere il rispetto della legge e la protezione delleloro terre. Ciascuno di noi può e deve fare la sua partesostenendo il movimento indigeno e altri movimentisociali che lottano per salvare la foresta madre e le ri-sorse vitali da cui gli indigeni dipendono. Possiamoprestare la nostra voce alle loro organizzazioni ognivolta che ne abbiamo l’occasione, possiamo parteci-pare alle campagne internazionali e alle manifesta-zioni che chiedono il rispetto dei loro diritti; e farepressione sulle multinazionali e sui governi che vio-lano la legge. Abbiamo un grande potere anche comeconsumatori: possiamo fare in modo di non acqui-stare prodotti amazzonici non certificati. Non dimen-tichiamoci infine che molti indiani amazzonici oggi sitrovano al fronte di una lotta che ci riguarda tutti davicino. In assenza o in carenza di interventi da partedegli stati, sono gli unici sul campo a difendere la fo-resta e le persone che vi abitano dagli attacchi e dalleinvasioni illegali di taglialegna, minatori, allevatori ecoloni. Sono i “guardiani della foresta”, spesso rischia-no la vita in questa lotta, e in tanti casi la perdono.Hanno quindi bisogno del nostro sostegno».

Su www.survival.itl’impegno a fiancodei popoli indigenidi tutto il mondo

I popoli indigeni contanoalmeno 370 milioni

di persone e vivono inpiù di 70 nazioni diverse.

Tra loro, 150 milionisono classificati

come popoli tribali.

Anche se la legge riconoscei loro diritti territoriali,non sono pienamente

rispettati in nessun Paesedel mondo

Da www.survival.it: Alcuni dei popoli più minacciati al mondo

24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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INTERVISTA AD ANDREA STOCCHIERO, POLICYOFFICER DI FOCSIV – FEDERAZIONE DEGLI OR-GANISMI CRISTIANI SERVIZIO INTERNAZIONALEVOLONTARIO

Quale attenzione da parte di FOCSIV per l’Amazzo-nia in questi anni?

«Diverse organizzazioni non governative, ordini re-ligiosi, membri di FOCSIV, sono impegnati da lungotempo in Amazzonia a fianco dei popoli indigeni, deicontadini e del Movimento dei Senza Terra. Popola-zioni marginali che subiscono la prepotenza, l’arro-ganza, il potere di grandi latifondisti e delle impresemultinazionali, e hanno l’esigenza dirafforzare le proprie organizzazioni.Negli ultimi due anni abbiamo datovoce anche attraverso il nostro rap-porto sul land grabbing (l’accaparra-mento della terra) dal titolo I padronidella terra alla rete delle associazionidell’Amazzonia ecuadoriana controChevron Texaco: dagli anni ’60 sonostati sfruttati giacimenti petrolifericausando danni irreparabili a terra,acqua, salute, costringendo le per-sone ad andarsene. L’azione legaleavviata dalla popolazione della re-gione contro la Chevron Texaco hatrovato momenti di riconoscimentoalmeno in Ecuador».

Che opportunità pensa rappresenterà per i mem-bri FOCSIV questo Sinodo?

«Ci interessa mettere in evidenza ancora di più apartire dal caso dell’Amazzonia la necessità di salvareil pianeta, la questione della biodiversità, la ricchezzadella natura. Tale ricchezza può essere difesa propriodai popoli indigeni che vivono di questa ricchezza el’hanno mantenuta intatta. Nel documento prepa-ratorio del Sinodo si parla più volte del modello estrat-tivista, che punta a ottenere il massimo dalle risorse,senza tenere conto se queste siano rinnovabili o no.Dall’Amazzonia sale il grido dei popoli vulnerabili. Pernoi è un momento di rilancio importante di questogrido della terra e dei poveri e di tutte le lotte che dob-biamo e vogliamo condurre. Non è una cosa semplicecontrapporsi a un potere forte che causa gravi danni anoi e alle future generazioni, ma è necessario farlo».

Per l’occasione sarà allestita presso la Chiesa dellaTraspontina, in via della Conciliazione, la Tendadell’Amazzonia casa comune. Cosa vuole essere?

«Uno spazio di preghiera, dialogo, riflessione e in-contro per accompagnare il lavoro dei vescovi. È a di-sposizione di chiunque voglia conoscere e approfon-dire determinate tematiche. Vi si svolgeranno conve-gni, mostre, presentazioni di libri, momenti di pre-

ghiera. Nella tenda ci si incontrerà con 50 leader deipopoli indigeni che testimonieranno cosa sta acca-dendo in Amazzonia. Interverranno altri testimonidalla regione che lavorano con le nostre organizzazioninon governative, con gli ordini religiosi, che mostre-ranno i danni perpetrati in quel territorio. Però raccon-teranno anche i progetti, le speranze, le iniziative».

Oltre 40 eventi in programma nella Tenda del-l’Amazzonia casa comune. Altri se ne aggiunge-ranno. Quali vi stanno più a cuore?

«Anzitutto ricordiamo che l’iniziativa è promossada REPAM, la Rete ecclesiale Panamazzonica. All’iniziodi ottobre si svolgerà un’assemblea dei tanti parteci-

panti al Sinodo per salutare il lavorodei vescovi e auspicare che si vada inuna direzione forte, decisa per quelche riguarda la difesa di questi po-poli, dei diritti, della vita; sarà un mo-mento di scambio, dialogo e festa. Il13 ottobre i leader dei popoli indi-geni incontreranno i vescovi del Si-nodo: anche qui dialogo e festa, at-torno a una mensa comune dovecondividere il pasto. Il 19 ottobre siterrà il pellegrinaggio da MonteMario a San Pietro con i leader deipopoli indigeni e i vescovi per ricor-dare, celebrare l’impegno per la di-fesa della vita a partire dal messag-

gio evangelico e dall’incontro con le culture indigene.Per il 26 ottobre è prevista un’assemblea finale dovesi accoglierà il messaggio del Sinodo e si rilancerà l’im-pegno dei leader indigeni, di organizzazioni religiosee laiche nella difesa della vita. È vero: più di 40 eventie se ne stanno aggiungendo altri che a questo puntonon potranno essere ospitati nella Tenda bensì in altrispazi vicino al Vaticano. FOCSIV sarà nella Tenda il 25ottobre: porteremo le iniziative dei nostri membri a di-fesa dell’Amazzonia e approfondiremo il tema dell’ac-caparramento della terra. Che sempre più leghiamo almovimento dei difensori dei diritti umani, perché ognianno vengono uccisi leader di movimenti indigeni,contadini, sindacati. Per noi essere vicini a questi po-poli significa anche aiutare quei leader che sacrificanola propria vita. Sono i martiri del ventunesimo secolo».

Su www.focsiv.itgli eventiin programmanella Tendadell’Amazzoniacasa comune

25REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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Da almeno trent’anni si discute di degrado ambientalecome di deforestazione. Se ne parla nelle scuole, nellecomunità sia territoriali che virtuali, nell’arte e nei do-cumentari, in numerose ricerche e studi scientifici,nelle relazioni di istituzioni internazionali e nelle de-nunce delle ONG e delle popolazioni locali.

Al rapporto tra uomo, natura e individuo, PapaFrancesco ha dedicato 192 pagine di un’enciclica, laLaudato si’, tanto appassionata quanto lucida nell’ana-lizzare in profondità le radici e le conseguenze dellacrisi ecologica che attanaglia il nostro mondo e il no-stro tempo, mettendo in guardia dallo strapotere dellafinanza e dalla debolezza della politica, tracciando allostesso tempo le linee per promuovere un modello al-ternativo di sviluppo umano integrale.

I problemi sollevati dall’enciclica sono di una taleurgenza e portata storica che risulta difficile compren-dere il motivo per cui non siano state ancora presedelle misure e decisioni efficaci, con la determinazionee il senso di responsabilità necessari a scongiurare unpeggioramento ulteriore e irreparabile della situa-zione.

Tali questioni, quasi improroga-bili, rimpallano tuttavia tra coscien-ze e vertici mondiali, tra progressi erallentamenti, tra momenti in cuitornano al centro dell’interesse co-mune e altri in cui scompaiono, as-sorbite dalla cronaca. E dal prevaleredel pensiero e della logica economi-cistica. La dimensione finanziaria especulativa sembra essere divenutala principale preoccupazione e prio-rità dell’intera questione, alla quale tutto viene subor-dinato. Si è dato ingenuamente per scontato che letematiche ambientali fossero parte viva di una sensi-bilità universale, assimilate e interiorizzate dall’indi-viduo come valori assoluti indipendentemente daposizioni, appartenenze e opinioni di sorta. E inveceparadossalmente l’immensa contingenza della situa-zione è passata in secondo piano e i problemi delladeforestazione sono stati di volta in volta banalizzati,sminuiti, procrastinati, delegati ad altri, relegati inqualche nicchia o ancora peggio ignorati.

Infatti, ripercorrendo la storia dei vari accordi e ver-tici internazionali sul clima, si riscontra come dal 1992,anno cui è stato organizzato il primo storico Summitper la Terra di Rio de Janeiro, ad oggi, anche se nume-rosi passi in avanti sono stati fatti, altrettanti sono statii problemi e le deviazioni. Molti sono gli interessi chehanno contrastato il percorso verso il cambiamento

di paradigma, tanto auspicato anche dalla Chiesa cat-tolica.

Nel 1995 si tenne la prima Conferenza della Con-venzione ONU sul cambiamento climatico (UNFCCC).Ma solo due anni più tardi a Kyoto, dopo dure e in-tense trattative, venne siglato il primo storico trattatointernazionale per la riduzione delle emissioni di gasserra. L’impegno restava ristretto ai soli Paesi industria-lizzati e prevedeva delle azioni per il periodo 2008-2012. Fin da subito gli Stati Uniti si rifiutarono di rati-ficare l’atto mentre il Canada uscì dal protocollo nel2011. Nel 2008 alla Conferenza di Poznan, in Polonia,vennero definiti i primi meccanismi di supporto ai Paesiin via di sviluppo, mentre Nuova Zelanda, Australia,USA e Canada vanificano tutti gli sforzi volti all’intro-duzione nell’accordo di riferimenti espliciti ai dirittidelle popolazioni indigene.

Nel 2009 a Copenaghen si cercò senza successo distabilire nuovi obiettivi e impegni ma l’accordo nonfece altro che rimandare le decisioni al 2015. Un note-vole successo fu comunque l’introduzione, per la

prima volta, della necessità di evitare il superamentodella soglia di 2 °C nell’aumento delle temperature delpianeta. Tre anni dopo, a Doha, il protocollo di Kyotovenne esteso fino al 2020 e fu anche approvato l’im-portante meccanismo risarcitorio del “Loss and Da-mage”, secondo cui si stabiliva che le nazioni “ricche”dovessero assumersi l’onere economico dei danni cli-matici subiti dai Paesi in via di sviluppo.

Nel 2013 a Varsavia venne istituito un meccanismodi contrasto alla deforestazione nei Paesi in via di svi-luppo mentre durante la Conferenza di Parigi sul clima(la cosiddetta COP 21 del dicembre 2015), venne si-glato un importante patto climatico globale.

Tuttavia, nonostante questi lodevoli tentativi dimettere d’accordo i Paesi del mondo e i loro diversi espesso contrastanti interessi, i progressi che si stannofacendo sono troppo timidi e lenti. A ricordarcelo, trai vari autori ed esponenti del movimento scientifico

6 La questione: la deforestazione della casa comune

Si è dato per scontato che le tematiche ambientali fosseroparte viva di una sensibilità universale, interiorizzate dal-l’individuo come valori assoluti. E invece l’immensa con-tingenza della situazione è passata in secondo piano e iproblemi della deforestazione sono stati di volta in voltabanalizzati, sminuiti, procrastinati, delegati ad altri, rele-gati in qualche nicchia o ancora peggio ignorati

27REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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internazionale, si sono aggiunti di recente gli sponta-nei movimenti giovanili che sul tema si sono mobili-tati. Nella filigrana delle loro azioni si rivede la vogliadi riportare al centro della discussione pubblica edell’agenda politica la necessità di intervenire in ma-niera decisa e immediata, per evitare conseguenze ne-faste per il clima e le popolazioni. Un clima che cam-bia, una popolazione in aumento, una domanda cre-scente di cibo ed energia, l’espansione delle aree ur-bane e molti altri fattori, rappresentano infatti, nel lorocomplesso, gravi minacce per le risorse naturali e labiodiversità in tutto il mondo, non solo nei Paesi in viadi sviluppo 1.

Nonostante gli impegni internazionali e le mobili-tazioni collettive, la resistenza dei modelli di sviluppobasati sul mero raggiungimento del profitto a scapitodel bene comune e della sostenibi-lità ambientale sembra tuttavia per-durare.

Il compromesso tra due volontàsostanzialmente dissonanti, da unlato quella di rispondere con deter-minazione all’emergenza ambien-tale e dall’altro quella di perpetuarelo status quo e assicurare il benes-sere economico e lo stile di vita at-tuali dei più ricchi, risulta sempre piùinsufficiente, deludente e rischioso,poiché si traduce di fatto in decisionideboli e remissive, in cui i principi etici e le evidenzescientifiche vengono piegate al volere e ai tornacontidel sistema economico e finanziario.

In questo quadro ambivalente e complesso si inse-riscono anche le azioni di contrasto e regolamenta-zione/contenimento delle attività di deforestazione.Le azioni di disboscamento, per quanto universal-mente riconosciute come determinanti del cambia-mento climatico e della perdita della biodiversità, ven-gono con complice indulgenza tollerate alla luce di in-teressi economici preponderanti e paure psicologicheintrinseche, come quelle di veder ridotto il proprio po-tere d’acquisto. Il risultato è che, seppure sia unanime-mente accertata ed evidente l’importanza delle fore-ste per il futuro dell’umanità, le politiche messe incampo dai governi per la loro salvaguardia riflettonola logica e le contraddizioni sopra descritte, quandonon vanno addirittura a minimizzare e a ostacolaredeliberatamente le ragioni ambientali, a partire dal-l’amministrazione USA.

In particolare, per quanto riguarda i danni enormiche causa la deforestazione, sono soprattutto i prov-vedimenti dell’attuale presidente brasiliano a creareapprensione, poiché già in campagna elettorale il suoatteggiamento manifesto è stato di totale insofferenzaverso le istanze dei popoli indigeni e della società ci-

vile legate alla protezione della foresta amazzonica.Proprio durante il recente G20 di fine giugno in Giap-pone, in risposta ai timori oggettivi espressi da piùparti circa l’aumento della deforestazione, Bolsonaroaveva risposto con sfrontatezza, negando l’esistenzadi questo processo e minimizzando la rilevanza del-l’intero fenomeno, etichettato come effetto di una fan-tomatica “psicosi ambientale”.

Tuttavia, gli stessi dati ufficiali diffusi dall’IstitutoNazionale di Ricerca Spaziale del Brasile ci dicono benaltro, come già descritto ampiamente in questo dos-sier. Qui ricordiamo solo che nei primi sei mesi di go-verno Bolsonaro sono andati perduti, a causa di in-cendi e disboscamento illegale, 2.273 km quadrati diforesta, pari a una volta e mezza il territorio della cittàdi São Paulo.

Ma osserviamo anche fenomeni di deviazione e didepistaggio da parte delle istituzioni pubbliche delPaese. L’ex ministro brasiliano dell’ambiente, EdsonDuarte, aveva dichiarato che il disboscamento è da at-tribuirsi in particolare alla «criminalità organizzata cheagisce illegalmente in Amazzonia distruggendo le ric-chezze naturali del Paese». Tuttavia se questo può es-sere in parte vero, sappiamo come la deforestazioneillegale si faccia strada con l’avanzare di infrastrutturelegali e autorizzate, che penetrano nella foresta “ripu-lita” e che la rendono facile preda di allevatori di be-stiame e coltivatori di soia.

Hanno sollevato l’indignazione di tutta l’opinionepubblica le immagini degli incendi di agosto 2019nell’Amazzonia brasiliana, alle quali, in aperta pole-mica e contrasto con Bolsonaro, hanno fatto seguitol’interruzione dei finanziamenti da parte di Norvegiae Germania al fondo governativo che si occupa diAmazzonia, la minaccia da parte del presidente fran-cese Macron di far deragliare l’accordo di libero scam-bio MERCOSUR e la richiesta di una convergenza deileader del G7 nell’aiuto ai Paesi colpiti. Bolsonaro,sommerso dalle critiche, ha inviato l’esercito per spe-gnere gli incendi e, soprattutto, per calmare un’opi-nione pubblica finalmente allarmata dalla risonanzadata al fenomeno. Le fonti relative ai dati sono nume-

Il compromesso tra due volontà dissonanti, da un latoquella di rispondere con determinazione all’emergenzaambientale e dall’altro quella di perpetuare lo status quoe assicurare il benessere economico e lo stile di vita at-tuali, risulta sempre più insufficiente e rischioso, poichési traduce in decisioni deboli e remissive, in cui i principietici e le evidenze scientifiche vengono piegate al voleree ai tornaconti del sistema economico e finanziario

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rose e controverse. E in continua evoluzione. Ad esem-pio ad agosto i satelliti della NASA che monitorano gliincendi nella foresta amazzonica hanno descritto unarealtà che in parte ridimensionerebbe quanto diffusoprecedentemente dall’INPE e solo apparentementesolleverebbe il contestatissimo presidente brasiliano.Tali dati ci inchiodano però a un paradosso tragico. Sein alcune regioni del Brasile i focolai sono addiritturadiminuiti, all’inizio di agosto lo stato più esteso delBrasile, Amazonas, ha dichiarato lo stato di emergenzaa causa del grande numero di incendi boschivi nellaregione.

Ma queste controversie sui dati, che in alcuni casitendono perfino a rassicurare l’opinione pubblica esmentire i detrattori del presidente brasiliano, letti conlucidità e in prospettiva sono, in ogni caso, durissimie devastanti. Anzitutto ci dicono che la deforestazionecontinua incessante e non accenna a diminuire. In se-condo luogo ci dicono che gli incen-di per liberare nuove terre non sonosporadici ma la norma, e che proprioogni anno durante la stagione seccafino a novembre il loro numero au-menta sensibilmente, mentre pocoo niente si fa per contrastarli se nona seguito di uno scandalo mediaticoma senza dei meccanismi automa-tici. E sono questa continuità e nor-malità che dovrebbero scandalizza-re e preoccupare perché cogliendo proprio il recenteappello della Conferenza Episcopale Brasiliana, c’è bi-sogno di un’azione immediata. Per la foresta amazzo-nica e gli altri grandi biomi del mondo si presenta unasfida ancora maggiore, strutturale e globale che ha bi-sogno di interventi concreti e di un’attenzione co-stante dei media, degli attori internazionali e dell’opi-nione pubblica. Essa non può limitarsi all’emotivitàpasseggera o al solo confronto politico, né tanto me-no all’eccezionalità di una occasionale presa di co-scienza.

Il legname proveniende dall’Amazzonia brasiliana,secondo Greenpeace e altre organizzazioni che si oc-cupano di diritti umani, è spesso legato a violazionidei diritti dei popoli indigeni, delle comunità locali edelle leggi ambientali del Paese. Un esempio signifi-cativo è quello dell’Ipé, uno dei legni più duri e pre-giati al mondo, utilizzato come parquet da esterni,prodotto nello stato brasiliano del Pará. Tra marzo2016 e settembre 2017, undici Paesi dell’Unione Eu-ropea hanno importato circa 10 milioni di metri cubidi questo legno provenienti da aree a rischio delPaese, e dove, attraverso la falsificazione dei registriche censiscono le foreste, vengono spesso rilasciateconcessioni su stime appositamente gonfiate. Anchein questo caso è palese la responsabilità indiretta dei

Paesi dell’UE nel favorire la deforestazione, e l’accordodi libero scambio che si sta concretizzando con il MER-COSUR non può che aggravare la situazione.

Man mano che gli impatti dei cambiamenti clima-tici e la variabilità climatica diventano sempre più evi-denti in molte parti del mondo, il ruolo positivo delleforeste nel contrastare i cambiamenti climatici è statoampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica 2.L’Amazzonia è dunque una fondamentale protezionenaturale che limita le cause e mitiga gli effetti dei cam-biamenti climatici, poiché agisce come una sorta dipolmone gigante, in grado di assorbire il carbonio.Inoltre foreste come quelle dell’Amazzonia svolgonoun ruolo essenziale nel ridurre le vulnerabilità dellecomunità e degli ecosistemi e nel migliorare la loro re-silienza ai cambiamenti climatici. Senza affrontare ade-guatamente la governance delle foreste e integrare lequestioni relative ai cambiamenti climatici nelle poli-

tiche forestali nazionali, la gestione efficace dei boschinon sarà probabilmente mai raggiunta 3. Essa divienedunque essenziale in una visione più ampia di soste-nibilità del sistema globale, senza la quale il degradoambientale e l’accelerazione del cambiamento clima-tico non possono essere arrestati e contrastati. Fattoripiù ampi come quelli della sicurezza alimentare, dellaproduttività agricola, della domanda e offerta di ener-gia, dei trasporti e dello sviluppo rurale, sono infattitutti interconnessi e legati in qualche modo a una ge-stione sostenibile delle foreste. In questo senso, è cru-ciale il coordinamento e la cooperazione tra tutti i set-tori che in diversa misura incidono sul modo in cui laterra viene utilizzata.

A livello complessivo, i cambiamenti climatici com-portano gravi rischi per lìambiente e per la sopravvi-venza stessa della specie umana 4. In termini econo-mici, le foreste tropicali distrutte ogni anno rappresen-tano una perdita di capitale forestale del valore di 45miliardi di dollari. Ma oltre questo tipo di perdita, di-struggendo le foreste scompaiono anche i potenzialiricavi e l’occupazione futura che potrebbero derivaredalla loro gestione sostenibile 5.

Nel dibattito sui processi di deforestazione, spessosi confonde tra cause e agenti, pensando erronea-mente che il ruolo e l’atteggiamento dei diversi attori

Per la foresta amazzonica e gli altri grandi biomi delmondo si presenta una sfida strutturale e globale, cheha bisogno di interventi concreti e di un’attenzione co-stante dei media, degli attori internazionali e dell’opi-nione pubblica. Essa non può limitarsi all’emotivitàpasseggera o al solo confronto politico, né all’ecceziona-lità di una occasionale presa di coscienza

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CONTRIBUTO DIRETTO ALLA DEFORESTAZIONE

Agenti Legame con deforestazione, degrado e frammentazione

Contadini che tagliano e bruciano Liberano foresta per un’agricoltura di sussistenza

Grandi agricoltori Liberano foresta per impiantare grandi coltivazioni, a volte rimpiazzano i ter-reni lasciati dai piccoli contadini mano a mano che avanzano nella foresta

Allevatori di bestiameLiberano foresta per lasciare spazio a grandi allevamenti di bestiame, avolte rimpiazzano i terreni lasciati dai piccoli contadini mano a mano cheavanzano nella foresta

Pastori L’intensificazione delle attività di pastorizia può portare alla deforestazione

Boscaioli/Taglialegna Tagliano legname a fini commerciali; le strade forestali forniscono accessoad altri utenti del territorio

Commercianti di cellulosa e cartaEliminano per lo più foreste incolte o foreste precedentemente abbattuteper impiantare piantagioni al fine di fornire fibre all’industria della cellulosae della carta

Raccoglitori di legna da ardere L’intensificazione della raccolta di legna da ardere può portare alla defore-stazione

Industriali minerari e petroliferi Le strade che costruiscono favoriscono l’accesso ad altri agenti del territorioche si fanno a loro volta spazio nella foresta

Abitanti di nuovi insediamenti Il trasferimento di persone in aree boschive e i diversi progetti di insediamentofanno migrare la popolazione locale che si trasferisce poi nella foresta

Costruttori di infrastruttureLa costruzione di strade e autostrade attraverso aree boschive o le inonda-zioni da dighe idroelettriche facilitano l’accesso e la penetrazione della fo-resta ad altri agenti

sia sbagliato, quando invece il comportamento di talisoggetti diviene dannoso ed erroneo solamente se in-serito in modo illogico nel più ampio quadro di fragilità

climatica del territorio di riferimento. Elenchiamo nellatabella seguente (di fonte FAO), gli “agenti” che contri-buiscono direttamente alla deforestazione.

In particolare nella foresta umida tropicale, il pro-cesso di deforestazione assume uno schema piuttostonoto e ripetitivo. In primo luogo, i taglialegna costrui-scono strade nella foresta primaria per tagliare alberipreziosi distruggendo dal 45 al 74% degli alberi resi-dui. Una volta andati via il danno si aggrava con l’ar-rivo dei piccoli agricoltori che, seguendo le strade fo-restali alla ricerca di nuove aree per la coltivazione, ap-piccano il fuoco per liberare definitivamente i terreni.Come abbiamo visto anche nei capitoli precedenti,una volta impoverita la terra, essa lascia spazio anuove speculazioni. Questo tipo di deforestazioneviene anche chiamata a “spina di pesce”, dal modo incui appare dalle immagini satellitari, dove si vede chia-ramente come la deforestazione si sviluppi attornoalle nuove strade che si incuneano nella foresta perpoi aprirsi a ventaglio. Famoso esempio è il caso dellaRondônia in Brasile.

Nei Paesi in via di sviluppo, si ritiene che l’elevatacrescita della popolazione, unita all’agricoltura in ra-pida espansione e all’eccessivo sfruttamento delle ri-

sorse forestali siano responsabili nel loro insieme deltasso accelerato di deforestazione.

Probabilmente, come già detto, la conseguenzapiù grave e miope della deforestazione è la perdita dibiodiversità, che comporta l’estinzione di migliaia dispecie e varietà di piante e animali, molti dei quali nonsono ancora mai stati catalogati scientificamente (al-cune stime indicano il dato impressionante di 50.000specie perdute ogni anno). L’altra conseguenza di-retta, come abbiamo visto, è legata al cambiamentodel clima dovuta alla quantità di anidride carbonicapresente nell’atmosfera, che è aumentata di circa il25% negli ultimi 150 anni. L’anidride carbonica haun’alta capacità di assorbire il calore radiante, il suoaumento in atmosfera ha un effetto chiaro e direttosul riscaldamento globale.

Le conseguenze negative nel loro complesso sonocatastrofiche: aumento della siccità e della desertifi-cazione, danni alle colture, scioglimento delle calottepolari, inondazioni costiere e variazioni nella vegeta-zione che si sposta con il cambiamento del clima. Si

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Fonte: FAO, 2017

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ritiene che circa il 25% delle emissioni totali di ani-dride carbonica siano una conseguenza della defore-stazione e degli incendi boschivi. Inoltre, le zone disbo-scate diventano velocemente aride.

Il degrado del suolo è diventato un problema sem-pre più grave, che colpisce circa un quarto della su-perficie terrestre e minaccia il sostentamento di 900milioni di persone in oltre 100 Paesi in via di sviluppo.Entro il 2050, si stima che proprio in questi Paesi duemiliardi di persone, ovvero il 20% della popolazionemondiale, soffriranno di carenze idriche, altro pro-blema collegato al deperimento del suolo.

Anche le conseguenze sociali della deforestazionesono molte, spesso con impatti devastanti a lungo ter-mine. Per le comunità indigene, l’arrivo della “civiltà” disolito significa la distruzione dello stile di vita tradizio-nale e il crollo delle loro istituzionisociali. I diritti individuali e collettivisono spesso ignorati e le popola-zioni indigene e le comunità localisono progressivamente escluse dal-le decisioni che incidono diretta-mente sulle loro vite e sul loro lega-me con la foresta. Molte popolazioni indigene del Bra-sile sono state invase da contadini, allevatori e nuoviinsediamenti che spesso hanno provocato conflittianche violenti. Proprio per la lotta per il rispetto deidiritti umani delle popolazioni amazzoniche e controla deforestazione, nel 2005 venne uccisa nella città diAnapu, nel Pará brasiliano, suor Dorothy Stang. È solouna dei tanti missionari e missionarie che hanno de-dicato e dedicano la propria vita alla difesa dei popoliindigeni, spesso figure scomode inascoltate.

Infatti, nonostante le evidenze, importanti decisoripolitici sembrano intenzionalmente ignorare il valoredelle foreste come bene comune e i rischi conseguenti

alle attività di deforestazione e al degrado del loroecosistema. Le strategie macroeconomiche forni-scono un forte incentivo per la realizzazione di profittia breve termine anziché per la sostenibilità a lungotermine. Le strutture sociali profondamente radicatesi traducono in disuguaglianze nel processo di pos-sesso e assegnazione del diritto alla terra, discrimi-nando le popolazioni indigene, i piccoli agricoltori e ipoveri in generale. Fattori politici come la mancanzadi democrazia partecipativa, l’influenza di militari e losfruttamento delle aree rurali da parte delle élite ur-bane favoriscono la deforestazione e lo sfruttamentoincontrollato del suolo senza dimenticare che le abi-tudini di vita dei consumatori nei Paesi ad alto redditocostituiscono un’altra delle principali cause alla basedella deforestazione. Le conseguenze inevitabili di

questo processo irresponsabile non potranno che es-sere globali e compromettere seriamente il futuro delmondo.

La Chiesa certo non poteva e non può rimanere in-differente di fronte a questo panorama drammaticoche si è radicalmente costituito attorno al groviglio diinteressi e speculazioni economiche, e ha deciso di im-pegnarsi fino in fondo assolvendo il proprio ruolo di ri-ferimento morale, di attore istituzionale e internazio-nale a difesa dei più vulnerabili, di promotrice di unmodello di sviluppo basato sui principi dell’ecologiaumana integrale e di custode attivo a tutela e prote-zione della casa comune.

Il degrado del suolo è diventato un problema sempre piùgrave, che colpisce un quarto della superficie terrestre eminaccia il sostentamento di 900 milioni di persone inoltre 100 Paesi in via di sviluppo

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Come si è visto anche nei capitoli precedenti, il pro-cesso di deforestazione porta con sé delle implicazionirilevanti sul cambiamento climatico, determina la per-dita delle biodiversità, favorisce la desertificazione espesso si accompagna alla violazione dei diritti umani,in particolare dei popoli indigeni che abitano la fore-sta, come succede in Amazzonia.

Non è la prima volta che Caritas Italiana parla di que-sti problemi. Nel 2009, in occasione del terzo rapportosui conflitti dimenticati, intitolato Nell’occhio del ciclone(ed. il Mulino), una parte significativa del testo era statadedicata al tema ambientale e alla correlazione tra crisiecologica e diritti umani. Interessante osservare comeall’interno di un saggio del volume, redatto dal socio-logo Karl-Ludwig Schibel, si sottolineava in modo pro-vocatorio la “fine del dibattito” sui cambiamenti clima-tici: nessuna voce seria nella comunità scientifica inter-nazionale metteva più in discussione le dinamiche fon-damentali del fenomeno e il fatto che l’aumento delcosiddetto “effetto serra” fosse inequivocabilmente le-gato alla presenza umana. Alla crescita della combu-stione dei carburanti fossili (carbone,petrolio, metano), alla deforestazio-ne, alle attività di iperproduzioneconnesse all’agricoltura; alla gestionedei rifiuti; alla produzione industriale.

In seguito a questa progressivapresa di coscienza, a partire dalla finedegli anni Ottanta il dibattito suicambiamenti climatici è uscito dal-l’ambito scientifico, coinvolgendo ungruppo sempre più consistente di ambientalisti, poli-tici, leader economici, chiese, sindacati, cittadine e cit-tadini. Tutti ormai consapevoli del fatto che la que-stione climatica rappresentasse una minaccia in gradodi incidere sulle generazioni contemporanee, ma so-prattutto su quelle future.

E oggi, dopo appena due decenni, gli impatti deicambiamenti climatici sono sotto i nostri occhi e la mi-tigazione dell’effetto serra è diventata un compito diimmediata urgenza per la comunità umana.

Nonostante il raggiungimento di tale consapevo-lezza, osserviamo come l’attenzione pubblica e poli-tica sui cambiamenti climatici, come su altre emer-genze ambientali, evidenzi segnali preoccupanti di in-versione. All’uscita di ogni rapporto dell’IPCC (QuadroIntergovernativo sul Cambiamento Climatico), l’effettoserra diventa un tema di prima pagina dei quotidiani,che riportano titoli a effetto del tipo Ci rimangono 15anni. Tuttavia, quasi subito, il tema sparisce dall’a-genda pubblica e dall’attenzione dei media, lasciando

vaghe tracce di sé in occasione di qualche emergenzaambientale o qualche catastrofe naturale.

Ma non si tratta solo di amnesia, di indifferenza, odi insufficiente coerenza e continuità nel dibattitopubblico. Il tema ambientale, e il correlato fenomenodella deforestazione, trovano oggi degli agguerriti op-positori, che lo rendono paradossalmente ambiva-lente. È il caso più volte citato del neo presidentebrasiliano Jair Bolsonaro, che nei suoi continui sforziper ridimensionare la portata del degrado ambientaleha di recente dichiarato: «Io credo alla realtà e la realtàmi dice che se tutti i dati sulla deforestazione fosseroveri, l’Amazzonia non esisterebbe più. Invece esiste edè in salute». L’ex generale ha ribadito più volte che bi-sogna sfruttare la foreste «in modo ragionevole» e, perquesto motivo, ha rivisto alcune misure che, negli annipassati, avevano garantito l’esistenza e la sopravvi-venza del polmone verde.

Ma cosa intenda il presidente per «modo ragione-vole» diventa più chiaro analizzando le sue azioni con-crete. Come sottolineato da The New Scientist, in Brasile

è in vigore una legge che vieta ai proprietari terrieri didisboscare più di un quinto dei loro possedimenti. Bol-sonaro non ha modificato la legge ma – come ha sco-perto Carlos Rittl del Climate Observatory, un networkdi organizzazioni ambientali brasiliane – da quando èdiventato presidente ne ha fortemente limitato l’appli-cazione. Nello specifico, da gennaio ad aprile del 2019gli atti giudiziari di applicazione della legge sono dimi-nuiti del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno pre-cedente. Questa impunità de facto ha indotto moltiproprietari terrieri a non rispettare più il provvedi-mento, provocando a cascata l’abbattimento di un nu-mero molto maggiore di alberi. Anche l’attuale ministrodell’Ambiente del Brasile, Ricardo Salles, che in passatoaveva espresso a più riprese dubbi sull’esistenza delcambiamento climatico, ha di recente gettato alcuneombre sul Fondo per l’Amazzonia.

Dunque ancora una volta, sebbene i livelli di defo-restazione siano comunque molto lontani da quelliregistrati negli anni Ottanta e Novanta, la tendenza

7 Le proposte

Dalla fine degli anni Ottanta il dibattito sui cambiamenticlimatici è uscito dall’ambito scientifico, coinvolgendoun gruppo sempre più consistente di ambientalisti, poli-tici, leader economici, chiese, sindacati, cittadini. Tutticonsapevoli che la questione climatica rappresenti unaminaccia in grado di incidere sulle generazioni future

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dell’attenzione pubblica al fenomeno sembra subireun’inversione di tendenza, con il rischio di rendere im-possibile il recupero delle aree forestali abbattute ecausare così un vero e proprio cataclisma globale.

Non esiste una soluzione rapida che possa fermareun problema complesso come la deforestazione.Nell’Agenda 2030, in cui sono elencati tutti gli obiettivifissati dall’ONU per la tutela del pianeta, quello riser-vato alle foreste è il numero 15: «Proteggere, ripristi-nare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistematerrestre». L’ONU stabilisce che entro il 2020 sia pro-mossa «una gestione sostenibile di tutti i tipi di fore-ste», insieme all’arresto della deforestazione, al ripri-stino delle «foreste degradate», e sia incentivata ovun-que e in modo significativo la riforestazione e il rim-boschimento.

Senza dubbio, due concetti alla base di ogni possi-bile azione sul tema sono quelli della “sostenibilità” edella “responsabilità”. Tra l’altro, come aveva osservatoil filosofo Hans Jonas, i due temi sono fortemente cor-relati: anche se la sostenibilità ha una base scientifica,essa si basa comunque sul “Principio di responsabilità”,cioè sul senso di responsabilità verso coloro che nonconosciamo e non conosceremo mai.Come abbiamo più volte insistito inquesto dossier, tale senso di respon-sabilità deve essere globale, devecoinvolgere tutti gli attori, a tutti i li-velli, ed essere al tempo stesso inte-grale, spingendosi dall’umanità alsingolo individuo, fino alla sua sferaspirituale (proprio come affermatodalla dottrina sociale e pastorale della Chiesa). Infatti,adottare a livello individuale uno stile di vita consape-vole è una delle strade per ridurre le pressioni sulle fo-reste, a partire da piccoli gesti, come ridurre l’uso dellacarta nella propria vita quotidiana.

In effetti, nell’analizzare il fenomeno non si pos-sono eludere le dinamiche microeconomiche. Fer-mare la deforestazione illegale da parte di attori supiccola scala è estremamente difficile, soprattutto sesi trascura un fatto economico: le persone (non solole grandi imprese), continueranno ad abbattere alberifino a quando da tale azione scaturirà un interesseeconomico. Una strada importante per combattere lafame è quindi quella di spingersi verso le piccole realtàche da sole possono costituire una fetta importantedel problema. Ad esempio, per poter ridurre il feno-meno della deforestazione prodotto dalle piccole re-altà produttive è possibile avviare politiche di salva-guardia e promozione attiva della produzione di ali-menti nelle comunità locali, evitando la coltivazioneintensiva su larga scala e sostenendo piccoli appezza-menti, con metodi di coltivazione tradizionali, basatisulla ricchezza storica delle sementi.

Un caso interessante che va in questa direzione èquello del programma Socio Bosque, un incentivo at-traverso il quale il governo ecuadoriano fornisce di-rettamente un beneficio economico ai proprietariterrieri – siano essi individui o comunità – in base alledimensioni della loro terra. I proprietari terrieri rice-vono trenta dollari per ettaro all’anno fino a 50 ettari;venti ulteriori dollari per i successivi 50 ettari e ancoradieci dollari per eventuali ettari aggiuntivi. Questomeccanismo è riuscito a ridurre radicalmente il pro-cesso di deforestazione nel Paese.

Tali soluzioni vanno attentamente e scientifica-mente pianificate, evitando interventi di taglio propa-gandistico che rischiano di produrre effetti collaterali.Infatti alcune delle soluzioni al problema della defo-restazione possono avere effetti sulla desertificazione.Ad esempio piantare alberi in modo massiccio e in-controllato, come ha fatto per anni il governo algerino,tra l’altro con l’uso del lavoro forzato, può essere unamisura utile per stabilizzare il suolo ma può anche ag-gravare la situazione idrica del territorio di riferimento.

La Chiesa dal canto suo si sta impegnando per apri-re uno scambio costruttivo a difesa di ambiente e po-

polazioni autoctone. Tuttavia, questa disponibilità adialogare incontra spesso forti resistenze. La vita inAmazzonia, intessuta di acqua, territorio, e identità espiritualità dei suoi popoli, invita al dialogo e all’ap-prendimento della sua diversità biologica e culturale.Le minacce e le aggressioni alla vita generano grida,sia dei popoli che della Terra, alle quali la Chiesa invitaa reagire con indignazione, ripudiando la violenza, macon fermezza e sguardo profetico 1.

Nel 2014, per «rispondere con onestà e stile profe-tico al grido per la vita dei popoli e della terra amaz-zonica», la Chiesa brasiliana ha creato la Rete Eccle-siale Panamazzonica (REPAM), un’iniziativa volta ad af-frontare le principali sfide che coinvolgono la regionedell’America Latina al fine di promuovere i dirittiumani, individuare alternative di sviluppo a favore deipoveri e del bene comune e avviare azioni di ricerca esensibilizzazione. La REPAM è presente in Bolivia, Bra-sile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù e Venezuela edè costituita da molteplici riferimenti della Chiesa cat-tolica (autorità ecclesiastiche locali, nazionali, regio-nali e internazionali, vescovi, sacerdoti, ecc.) che lavo-rano nell’accompagnamento e nella difesa integrale

Nel 2014 la Chiesa brasiliana ha creato la Rete EcclesialePanamazzonica (REPAM), presente in Bolivia, Brasile, Co-lombia, Ecuador, Guyana, Perù e Venezuela. Suo obiet-tivo ultimo è la creazione di una consapevolezza circal’importanza dell’Amazzonia per tutta l’umanità

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dei territori e gruppi vulnerabili (con particolare at-tenzione alle popolazioni indigene e altre minoranze)secondo le prospettive proprie dei popoli e delle co-munità che abitano il territorio panamazzonico.

Obiettivo ultimo di REPAM è la creazione di una con-sapevolezza circa l’importanza dell’Amazzonia pertutta l’umanità 2.

Macroaree e proposte dell’Instrumentum Laboris

Nei documenti preparatori per il Sinodo dei vescovi di ottobre, e in particolare nell’Instru-mentum Laboris, vengono dettagliate numerose piste di lavoro che delineano la missioneche la Chiesa intende intraprendere a difesa e cura della casa comune. Al fine di indirizzare il complesso lavorodel Sinodo e suggerire azioni concrete da implementare, rivolgendosi direttamente alla comunità ecclesiastica,ai laici, alle donne, ai giovani e ai popoli indigeni, il documento propone di sviluppare una serie di azioni, in ri-ferimento ad alcune macroaree concettuali. Eccone una sintesi:

DISTRUZIONE DELL’AMAZZONIA E SOSTEGNO ALLE POPOLAZIONI INDIGENE: creare linee d’azione isti-tuzionali che promuovano il rispetto per l’ambiente | progettare programmi di formazione formali e informalisulla base dell’enciclica Laudato si’ | denunciare la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattivista | richie-dere ai rispettivi governi di garantire le risorse necessarie per l’effettiva protezione dei popoli indigeni isolati | esi-gere la protezione delle aree/riserve naturali in cui le comunità autoctone abitano | promuovere l’aggiornamentodel censimento e della mappatura dei territori in cui questi popoli vivono | informarli sui loro diritti di cittadinanza.

MIGRAZIONE: Garantire il lavoro in équipe, con competenze diverse e complementari affrontando il problemadella migrazione in modo coordinato, soprattutto dalle Chiese di frontiera | promuovere progetti agrofamiliarinelle comunità rurali | fare pressione sulle autorità pubbliche perché rispondano ai bisogni e ai diritti dei mi-granti | promuovere l’integrazione tra migranti e comunità locali nel rispetto della propria identità culturale.

URBANIZZAZIONE: promuovere l’accesso universale all’istruzione e alla cultura | promuovere una coscienzaambientale e il riciclaggio dei rifiuti | generare spazi di interazione tra la saggezza dei popoli indigeni e la sag-gezza della popolazione urbana, per raggiungere un dialogo e un’integrazione in merito alla cura della vita.

FAMIGLIA E COMUNITÀ: promuovere il ruolo della donna riconoscendo la sua funzione fondamentale nellaformazione e nella continuità delle culture, nella spiritualità, nelle comunità e nelle famiglie.

CORRUZIONE: promuovere una cultura dell’onestà, del rispetto per gli altri e del bene comune | accompa-gnare i popoli nelle loro lotte per la cura dei loro territori e il rispetto dei loro diritti.

CONVERSIONE ECOLOGICA: affiancare le iniziative della Chiesa ad altri organismi affinché le imprese si as-sumano le responsabilità degli impatti socio-ecologici delle loro azioni | smascherare le nuove forme di colo-nialismo presenti in Amazzonia | identificare le nuove ideologie che giustificano l’ecocidio amazzonico peranalizzarle criticamente.

CONVERSIONE ECCLESIALE IN AMAZZONIA: favorire una Chiesa come istituzione di servizio non autore-ferenziale, corresponsabile nella cura della casa comune e nella difesa dei diritti dei popoli | promuovere mer-cati ecosolidali, un consumo equo e una «felice sobrietà» | promuovere modelli di comportamento, diproduzione e di consumo, di riciclaggio e di riutilizzo dei rifiuti | recuperare i miti e attualizzare i riti e le cele-brazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica.

IN CAMMINO VERSO UNA CHIESA DAL VOLTO AMAZZONICO E INDIGENO: evitare l’omogeneizzazioneculturale per riconoscere e promuovere il valore delle culture amazzoniche | rifiutare l’alleanza con la cultura do-minante e il potere politico ed economico per promuovere le culture e i diritti degli indigeni, dei poveri e del ter-ritorio | promuovere la fraternità e il servizio come valori che animano il rapporto tra l’autorità e i membri dellacomunità | superare posizioni rigide che non tengono sufficientemente conto della vita concreta delle persone.

L’EVANGELIZZAZIONE NELLE CULTURE: promuovere la spiritualità vissuta dai popoli indigeni come rela-zione equilibrata tra natura e cultura | ricercare veicoli alternativi ai mezzi di comunicazione di massa.

CHIESA E POTERE: allearsi ai movimenti sociali di base | assumere la causa dell’agroecologia | promuovere ladignità e l’uguaglianza della donna nella sfera pubblica, privata ed ecclesiale | promuovere una nuova co-scienza ecologica | creare reti di collaborazione negli spazi di impatto regionale, globale e internazionale affin-ché i popoli stessi possano presentare le loro denunce di violazione dei loro diritti umani.

34 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Queste sopraelencate, sono solo alcune tra le im-portanti proposte che proprio durante il Sinodoavranno modo di essere approfondite, veicolate estrutturate.

Ma la voce della Chiesa, per quanto autorevole, nonpuò essere lasciata sola. È necessaria ma non suffi-ciente. Ad essa e alle istanze dei popoli indigeni e dellasocietà civile si devono associare coerentemente an-che le scelte e azioni politiche degli stati, dell’UnioneEuropea e delle Nazioni Unite. Da un lato per formare,mobilitare e sensibilizzare i cittadini come soggetti at-tivi, dall’altro per regolamentare e limitare la naturaleambizione del settore privato di ricercare prioritaria-mente il profitto. Il senso di responsabilità sociale deveessere quindi comune e coinvolgere anche l’impresa,specie se multinazionale, il cui pote-re e influenza sono difficilmente im-brigliabili.

Nel novembre 2018, in una letteraalla Commissione UE del gruppo le-gato all’Amsterdam Declaration – dicui fa parte anche l’Italia – si chiede diassumere un ruolo di leadership, mo-bilitando le forze politiche ed econo-miche e promuovendo un più ampiodialogo internazionale. Nell’appellofirmato dall’allora ministro dell’Am-biente danese Jakob Ellemann-Jen-sen, tale approccio è ulteriormente sottolineato. Silegge nel testo che le azioni da mettere in campo do-vrebbero allineare le opportunità economiche con una«gestione responsabile delle filiere globali».

Molte ricerche hanno infatti dimostrato che la cor-retta gestione delle foreste, oltre alle soluzioni naturalifornite dall’ambiente stesso, potrebbero offrire al pia-neta più di un terzo dell’azione mitigante necessariaper rallentare il cambiamento climatico entro il 2030.Lo studio di fattibilità sulle opzioni per intensificarel’azione dell’UE 3 per combattere la deforestazione e ildegrado forestale, spiega perché l’Unione sia parte in-tegrante del problema, importando prodotti quali oliodi palma, manzo, cuoio, soia e cacao, ma anche le-gname proveniente da aree deforestate e poi ricon-vertite. Secondo la FAO, infatti, solo una pianificazioneintegrata dell’uso del territorio fornirebbe un risultatoottimale atto a bilanciare gli utilizzi del suolo a livellonazionale, subnazionale e paesaggistico.

Da un lato quindi i proclami dell’Unione Europea siprefiggono di combattere duramente la deforesta-zione, ma nei trattati di libero scambio e nelle legisla-zioni nazionali dei singoli stati membri tali proclami sirivelano fallaci, blandi se non addirittura dannosi.

Il Piano d’azione europeo contro la deforestazioneevidenzia la responsabilità dell’Europa rispetto alladeforestazione globale ma non affronta però i costi

ambientali e umani delle politiche commerciali e agri-cole dell’UE. La sintesi, dunque, tra interesse econo-mico e salvaguarda delle foreste fuori dai confini deiPaesi europei, è ancora sbilanciata a favore del profittoe insufficiente a indirizzare verso quel cambiamento diparadigma da più parti auspicato e sempre più indi-spensabile e contingente. La stessa Corte dei Conti eu-ropea non ha lesinato critiche alla legislazione UE intema di commercio illegale del legname, ritenuta «malcongegnata, mal gestita e in gran parte inefficace».

A scapito di tutta la retorica attualmente in voga sul“sovranismo”, è proprio dalla mancata armonizzazionee uniformità delle legislazioni europee che risulta diffi-cile bloccare quei prodotti creati a danno della forestaamazzonica. L’impatto del consumo della UE sulla de-

forestazione rimane dunque pesante. Al contrario, laCommissione dovrebbe porsi un duplice obiettivo: daun lato proteggere e migliorare la salute delle foresteesistenti, in particolare delle foreste primarie, e dall’al-tro aumentare significativamente la copertura soste-nibile delle foreste a biodiversità in tutto il mondo. Perquesto sono state stabilite cinque priorità:

1. Ridurre l’impronta del consumo dell’UE sulla terrae incoraggiare il consumo di prodotti provenientida catene di approvvigionamento esenti da defo-restazione nell’UE;

2. Lavorare in partenariato con i Paesi produttori perridurre le pressioni sulle foreste e per cooperareallo sviluppo dell’UE “a prova di deforestazione”;

3. Rafforzare la cooperazione internazionale per arre-stare la deforestazione e il degrado delle foreste eincoraggiare il ripristino delle foreste;

4. Reindirizzare i finanziamenti per sostenere prati-che più sostenibili sull’uso del suolo;

5. Supportare la disponibilità, la qualità e l’accessoalle informazioni sulle foreste e sulle catene di ap-provvigionamento delle materie prime e sostenerela ricerca e l’innovazione.

La Commissione vuole inoltre incoraggiare regimidi certificazione più rigorosi per i prodotti esenti da

La voce della Chiesa non può essere lasciata sola. È ne-cessaria ma non sufficiente. Ad essa e alle istanze dei po-poli indigeni e della società civile si devono associarecoerentemente anche le scelte e azioni politiche deglistati, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Per for-mare, mobilitare e sensibilizzare i cittadini come soggettiattivi; per regolamentare e limitare la naturale ambizionedel settore privato di ricercare prioritariamente il profitto

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deforestazione. Per migliorare la disponibilità, l’ac-cesso e la qualità delle informazioni sulle foreste esulle catene di approvvigionamento, si propone inol-tre la creazione di un osservatorio UE sulla deforesta-zione e il degrado delle foreste. Infine, allo scopo dirispettare gli impegni volti ad arrestare la deforesta-zione entro il 2020, l’UE dovrebbe regolare le sue im-portazioni e il consumo di «materie prime a rischioforestale», sostenere le attività volte a migliorare la go-vernance delle foreste, chiarire l’uso del suolo e rico-noscere e rafforzare i diritti di possesso della comunitàsui terreni forestali.

È chiaro che per affrontare con successo i rischidel cambiamento climatico una gestione responsa-bile delle foreste non basta. Ad essa vanno associatealtre misure come ad esempio la produzione di ener-gia in maniera sostenibile. Tuttavia la riduzione delleemissioni di carbonio è solo uno degli aspetti e dei

vantaggi derivanti dall’efficace gestione delle foreste.Da essa si possono ricavare prodotti forestali ecolo-gici, si può proteggere e valorizzare la biodiversità, sipuò fornire un approvvigionamento sicuro di acquadolce.

Le foreste gestite in modo sostenibile sono pre-ziose, rinnovabili e rappresentano una fonte democra-tica di reddito per le comunità che le abitano.

Per questa ragione lo sviluppo di competenze e lapartecipazione alla governance sono fondamentali eurgenti. Molte comunità forestali soffrono dei conflittie della corruzione prodotte dalla speculazione sullerisorse forestali. Proprio per questo motivo, garantiree salvaguardare i diritti umani, civili e politici dei po-poli indigeni significa prima di tutto assicurarsi che laforesta venga gestita con la cura e il rispetto necessari,per assicurarne la sostenibilità e il futuro per tutto ilgenere umano.

Molte comunità forestali soffrono dei conflitti e della corruzione prodotte dalla specu-lazione sulle risorse forestali. Proprio per questo motivo, garantire e salvaguardare i di-ritti umani, civili e politici dei popoli indigeni significa prima di tutto assicurarsi che laforesta venga gestita con la cura e il rispetto necessari, per assicurarne la sostenibilità eil futuro per tutto il genere umano

36 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile

SINODO E SOSTENIBILITÀ

L’attenzione per lo stato del pianeta è centrale nell’encliclica Laudato si’. Papa Francesco ri-chiama l’idea dell’indissolubilità del legame tra crisi sociale e crisi ambientale: sono i poveri che

pagano il costo maggiore dei cambiamenti climatici e del degradarsi dell’ambiente naturale. Lo stesso temaè al centro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unitenel 2015: sostenibilità sociale, economica e ambientale non possono essere perseguite in modo parziale, madevono rappresentare tre impegni sempre presenti.

Il Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre 2019) costituisce una grande occasione per rendere concrete questeattenzioni. Il polmone del pianeta rappresenta un bene di tutta l’umanità, ed è custodito dalla sapienzadei popoli che lo abitano. L’Instrumentum Laboris (il documento preparatorio del Sinodo, pubblicato il 17 giu-gno scorso) rappresenta il risultato di un esercizio di ascolto coraggioso e per certi aspetti “scandaloso”, che cirestituisce con fedeltà il senso dell’esistenza di popoli piccoli ed essenziali alla cura del pianeta, la cui stessaesistenza è minacciata dall’avanzare dello “sviluppo”.

In che cosa la riflessione in preparazione del Sinodo sull’Amazzonia rappresenta un vero passo in avanti ancherispetto ai temi dello sviluppo sostenibile? Come ha spesso ricordato l’economista Serge Latouche, il problemanon è quanto sia “sostenibile”, ma quanto lo “sviluppo” stesso rappresenti il problema, con il suo carico diprogresso senza limiti che cozza contro il fatto di avere un pianeta limitato.

Anche se questa espressione è ormai entrata nel linguaggio comune per definire una modalità di cambiamentoattenta ai diritti delle persone e del pianeta, i popoli amazzonici ci ricordano però una realtà che non do-vremmo dimenticare: la prospettiva di un cambiamento può essere pensata solo ed esclusivamente se essoavviene al servizio della persona umana, e in armonia con l’ambiente.

A fronte di un modello di sviluppo caratterizzato dall’avanzare delle piantagioni, dalle mani (sempre più) liberenella deforestazione, dall’erosione dei diritti delle comunità indigene. Uno sviluppo che con la giustificazionedell’ “aumento del PIL” causa invece povertà, vulnerabilità, sradicamento. È necessaria un’altra voce che ci riportial senso vero delle cose, della dignità della persona e del creato.

L’Instrumentum Laboris ricorda l’importanza delle cosmovisioni indigene e di ciò che viene chiamato ”buon vi-vere” (buen vivir): una prospettiva di vita basata sull’armonia con la “Madre Terra”. Senza inseguire impro-babili sincretismi, questo sentire ci ricorda la dimensione fortemente etnocentrica dell’idea di “sviluppo”, anchenella sua versione “sostenibile”: forse uno strumento utile per migliorare la vita delle persone, ma che non puòpretendere di sostituire con slogan globali l’eterogeneità delle prospettive dei diversi popoli e culture.

Allo stesso tempo, tale richiamo ci mette in guardia per tutti i casi in cui “lo sviluppo” minaccia direttamente eindirettamente la vita delle persone, mettendo in opera dei meccanismi di espulsione e costruendo un modellodi produzione basato sullo sfruttamento sconsiderato delle risorse. Le monocolture a soya che minaccianola foresta amazzonica e la stessa vita delle popolazioni indigene, sono quelle che servono per portare sullenostre tavole proteine animali di cui forse non abbiamo sempre così bisogno.

Come spesso Papa Francesco ci ha ricordato, I POPOLI INDIGENI SONO UN’ICONA DELLA PROFONDA IN-TEGRAZIONE DELL’ESSERE UMANO CON LA PROPRIA CASA COMUNE. E siamo noi ad avere la responsa-bilità di definire il “nostro” buen vivir, rinunciando forse a qualche consumo nell’immediato per abbracciare unorizzonte più sostenibile per l’intera umanità.

37REGIONE PANAMAZZONICA | TITOLO TITOLO TITOLO TITOLO

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Conferenza episcopale ItalianaUffici nazionali per i problemi sociali e il lavoro, e per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

«QUANTE SONO LE TUE OPERE, SIGNORE» (SAL. 104, 24) COLTIVARE LA BIODIVERSITÀ

14ª Giornata nazionale per la custodia del Creato | 1 settembre 2019

Imparare a guardare alla biodiversità, per prendercene cura: è uno dei richiami dell’enciclica Laudato si’ di PapaFrancesco. Esso risuona con particolare forza nel documento preparatorio per il Sinodo che nell’ottobre del2019 sarà dedicato all’Amazzonia, una regione che è «un polmone del pianeta e uno dei luoghi in cui si trovala maggior diversità nel mondo».

La Giornata per la custodia del Creato è allora quest’anno per la Chiesa italiana un’occasione per conoscere ecomprendere quella realtà fragile e preziosa della biodiversità, di cui anche la nostra terra è così ricca.

Sono numerose le iniziative promosse nelle diocesi italiane per la Giornata.La celebrazione nazionale si svolgerà domenica 8 settembre nella diocesidi Cefalù. Nel sito dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il la-voro www.lavoro.chiesacattolica.it sono disponibili il calendariodei diversi appuntamenti e il materiale per l’animazione dellaGiornata.

Al centro della sezione della Laudato si’ dedicata alla biodiversità (nn. 32-42) c’è unosguardo contemplativo rivolto ad alcune aree chiave del pianeta – dal bacino del Congoalle barriere coralline, fino alla foresta dell’Amazzonia – sedi di una vita lussureggiantee differenziata, componente fondamentale dell’ecosistema terrestre. Prende così corpoe concretezza la contemplazione del grande miracolo di una ricchezza vitale, che – evo-lutasi da pochi elementi semplici – si dispiega sul pianeta terra in forme splendidamentevariegate. In tale sguardo papa Francesco sembra fare eco alle parole del Salmo:«Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delletue creature» (Sal. 104, 24). «Tu hai compassione di tutte le cose, perché tutte sono tue»(Sap. 11, 26).

È allora forse il momento che ogni comunità si impegni in una puntuale opera di discernimento e di rifles-sione, facendosi guidare da alcune domande: qual è la “nostra Amazzonia”? Qual è la realtà più preziosa –da un punto di vista ambientale e culturale – che è presente nei nostri territori e che oggi appare maggior-mente minacciata? Come possiamo contribuire alla sua tutela? Occorre conoscere il patrimonio dei nostriterritori, riconoscerne il valore, promuoverne la custodia.

Celebriamo la Giornata del Creato 2019 in un anno che vedrà lo svolgimento del Sinodo sull’Amazzonia –un evento che invita a mettere al centro dell’attenzione delle nostre comunità la cura per i luoghi più strategiciper la tutela della biodiversità. Importante allora garantire iniziative di qualità in tal senso – nel primo giornodi settembre o nei successivi o nell’intero mese.

Tra i materiali, il sussidio con riflessioni e preghiere.Alcuni estratti dal sussidio:

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38 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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NOTE

1. Il fenomeno della deforestazione1 Il dato è fornito da Michael Williams, in un articolo del 2001

su History Today.

2. La foresta amazzonica1 Estrattivismo. Dati choc: +60% di tasso di deforestazione in

Brasile, in: Diritti Globali, 5 luglio 2019.https://www.dirittiglobali.it/2019/07/estrattivismo-dati-choc-60-di-tasso-di-deforestazione-in-brasile/

2 R. Rosso, “Amazzonia a rischio estinzione. Così Bolsonarovuole fare grande il Brasile”, in: Il Fatto Quotidiano, 20 no-vembre 2019.

3 Fondazione nazionale dell’indio, l’organo del governo bra-siliano che si occupa delle politiche di protezione degli in-digeni.

4 III Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano di Pue-bla,1979.

5 Dal discorso di Giovanni Paolo II, Incontro con la comunitàcattolica dell’isola nella chiesa di San Carlo Borromeo, Isoladi Gorée (Senegal) – Sabato, 22 febbraio 1992.

6 Cfr. https://mwba.files.wordpress.com/2010/06/2000-cunha-e-almeida-indigenous-people-traditional-people-revista-daedalus-printed-version.pdf

7 Laurence W.F. et al., “Environment. The future of the Brazi-lian Amazon”, in: Science, 2001.

8 Bennett B. C., “Plants and People of the Amazonian Rain-forests: The role of ethnobotany in sustainable develop-ment”, in: BioScience, Volume 42, Issue 8, September 1992.

9 Hecht S. B., Cockburn A., The Fate of the Forest. Developers,Destroyers and Defenders of the Amazon, Update Edition,2011).

3. L’Europa e la deforestazione1 Parlamento europeo, Note sintetiche sull’Unione europea

– 2019, in: www.europarl.europa.eu/factsheets/it2 Ibidem.3 Anche se l’Unione europea fornisce un quadro comune

in riferimento per tutti i Paesi membri, la politica fore-stale rimane in primo luogo una competenza nazionale.

4 agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/54/il-testo-unico-materia-di-foreste-e-filiere-forestali

5 M. Angelillo, “Deforestazione selvaggia nel cuore verde d’Europa”, in: La Stampa, 5 giugno 2015.

6 https://www.lifegate.it/persone/news/la-polonia-ap-prova-il-disboscamento-della-foresta-piu-antica-europa

7 http://www.rinnovabili.it/ambiente/polonia-deforesta-zione-patrimonio-unesco-333/

8 A. Wajrak, “Così la Ue ha salvato due perle della natura po-lacca”, in: Gazeta Wyborcza (traduzione di M. Valenti per LaRepubblica, 25 gennaio 2019).

9 https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2019/07/05/news/mercosur_l_accordo_ue-mercosur_sa-crifica_l_amazzonia_sull_altare_del_commercio-230416318/

6. La questione: la deforestazione della casa co-mune

1 FAO, Valuing forest ecosystem services. A training manual forplanners and project developers, 2019.

2 FAO, Climate change for forest policy-makers. An approachfor integrating climate change into national forest policy insupport of sustainable forest management, 2018.

3 Ibidem.4 Ibidem.5 FAO, Manual on deforestation, degradation, and fragmen-

tation using remote sensing and GIS, 2007.

7. Le proposte1 Instrumentum Laboris, Assemblea speciale del sinodo dei

vescovi per la regione panamazzonica, Amazzonia: nuovicammini per la chiesa e per una ecologia integrale, 2019.

2 Terra bruciata. Il land grabbing, una forma di colonialismo,Dossier con dati e testimonianze, Caritas Italiana, febbraio2019.

3 COWI, Directorate-General for Environment (EuropeanCommission), Ecofys , Milieu, Feasibility study on options tostep up EU action against deforestation, 2018.

39REGIONE PANAMAZZONICA | DEFORESTAZIONE: EMERGENZA SILENZIOSA

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C’è un grido che riecheggia nelle coscienze. È il grido della terra e dei suoi popoli,quelli indigeni, feriti dalla deforestazione al polmone verde per eccellenza, l’Amazzo-nia. Immensa area che si estende su nove Paesi, abitata da 34 milioni di persone, tracui 3 milioni di indigeni appartenenti a 390 gruppi etnici. Dimenticati e discriminati.

Questo dossier si concentra proprio sul fenomeno della deforestazione, che negli ul-timi anni ha subito un’accelerazione. Gli incendi di questa estate 2019, che hanno ri-sollevato la questione a livello globale sia presso i leader governativi che presso lasocietà civile, ne sono soltanto una conferma.

Nonostante l’accordo unanime della comunità scientifica rispetto ai danni e all’im-patto della deforestazione sul cambiamento climatico e il surriscaldamento delglobo, non si vedono provvedimenti seri da parte di governi e decisori politici. Essisembrano assoggettati agli interessi preponderanti di un sistema economico globaleche crea sempre nuove diseguaglianze.

Alla fragilità e ricchezza dell’Amazzonia, dei suoi popoli indigeni e delle sue risorsenaturali, la Chiesa ha deciso di dedicare un Sinodo speciale, per promuovere un’ap-profondita riflessione sull’ecologia integrale e fare proposte concrete.

Tutti i dossier sono disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):

1. GRECIA: Gioventù ferita – Gen 20152. SIRIA: Strage di innocenti – Mar 20153. HAITI: Se questo è un detenuto – Apr 20154. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro

dignitoso per tutti – Mag 20155. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace

vera – Giu 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giu 20157. IRAQ: Perseguitati – Lug 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Sett 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ott 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e

l'umanità – Dic 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gen 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Feb 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Mar 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Apr 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Mag 201616. HAITI: Rimpatri forzati – Giu 201617. ASIA: Per un’ecologia umana integrale – Sett 201618. ARGENTINA: Il narcotraffico come una metastasi – Sett 201619. ASIA: Diversa da chi? – Ott 201620. EUROPA: Generatori di risorse – Nov 201621. AFRICA OCCIDENTALE: Divieto di accesso – Dic 201622. HAITI: Ripartire dalla terra – Gen 201723. ALGERIA: Purgatorio dimenticato – Feb 201724. SIRIA: Come fiori tra le macerie – Mar 2017

25. NEPAL: Il terremoto dentro – Apr 201726. Un mondo in bilico – Mag 201727. VENEZUELA: Inascoltati – Lug 201728. FILIPPINE: Il futuro è adesso – Sett 201729. TERRA SANTA: All’ombra del muro – Sett 201730. ASIA: Per un lavoro dignitoso – Ott 201731. KOSOVO: Minoranze da includere – Nov 201732. AFRICA: Fame di pace – Gen 201833. BALCANI: Futuro minato – Feb 201834. SIRIA: Sulla loro pelle – Mar 201835. HAITI: Una scuola per tutti – Mar 201836. NEPAL: In cerca di dignità – Apr 201837. La rivoluzione dei piccoli passi – Mag 201838. GIORDANIA: Rifugiati: la sfida dell'accoglienza – Giu 201839. MAROCCO: «Partire era l'unica scelta» – Lug 201840. FILIPPINE: Indigeni, diritti, cura del creato – Ago 201841. KENYA: Democrazia in cammino – Ott 201842. BALCANI: Minori migranti, maggiori rischi – Dic 201843. HAITI: Paradisi perduti? – Gen 201944. AMERICA LATINA: Terra bruciata – Mar 201945. SIRIA: Beati i costruttori di Pace – Mar 201946. NEPAL: Acqua: bene universale da proteggere – Apr 201947. GUINEA: Corruzione: ecologia umana lacerata – Mag 201948. LIBANO: Trattati da schiavi – Giu 201949. Vertici internazionali: servono veramente ai poveri? – Lug 2019

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