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solo: dalla Giornata Nazionale Orientagiovani, che ormai raggiunge quasi 40mila studenti in tutta Italia, fino alla sperimentazione di Job Shadow, un progetto che permet- te ai giovani di vivere con un imprenditore un’intera gior- nata in impresa per capirne i meccanismi. Ma riconoscimenti sono arrivati anche al Progetto Rosa, che ha dato un contributo nella “lotta” contro i pregiudizi di genere che riguardano l’istruzione tecnica. Altri progetti riguardano la cultura d’impresa, la diffusione del dottorato industriale, lo sviluppo delle potenzialità degli ITS. Qui a Genova molto efficace il Progetto Sailor, alla scoper- ta delle professioni del mare a bordo della nave “La Su- perba” della compagnia Grandi Navi Veloci. Le brevi considerazioni condivise finora si possono sinte- tizzare in due priorità che Confindustria propone per elimi- nare gli ostacoli ad un corretto funzionamento del rappor- to tra scuola e lavoro. Le due priorità sono: Cultura tecni- ca nelle scuole, cultura d’impresa e del lavoro all’universi- tà. Per diffondere la cultura tecnica nelle scuole è neces- sario favorire l’alternanza studio-lavoro con un raccordo mirato delle iniziative territoriali con gli schemi legislativi nazionali e migliorare l’orientamento verso gli istituti tecnici e professionali, le lauree tecnico-scientifiche e gli ITS. Gli strumenti ci sono, bisogna permetterne l’utilizzo. Verifi- chiamo che “dal basso” provengono idee e stimoli a cui spesso la lenta macchina legislativa nazionale non sa dare risposta adeguata. Per diffondere la cultura d’impresa e del lavoro all’univer- sità è necessario riconoscere concretamente il diritto degli studenti a imparare lavorando. Siamo ancora indietro sulla configurazione di vere e proprie lauree triennali professio- nalizzanti su cui invece è necessario puntare con forza. C’è poi lo strumento dell’apprendistato alto che deve en- trare sistematicamente nella vita d’ateneo: quello che è stato chiamato “Erasmus in azienda” darà ai giovani l’oc- casione di incontrare il lavoro prima della laurea e di rico- noscere con maggiore realismo le loro potenzialità e vo- cazioni professionali. Gli strumenti e le idee dunque ci sono, ma vanno condivi- se e rielaborate in una dialettica che coinvolga tutto il Pae- se e non pochi “addetti ai lavori”. Le imprese hanno il me- rito di aver riportato l’Education al centro del dibattito pubblico e contribuito, anche se il percorso sarà difficile, a farlo diventare un tema meno ideologico e più orientato alla crescita dell’industria che significa, di rimando la cre- scita dell’intero Paese. Questa è la strada da seguire.l Ivanhoe Lobello è Vice presidente Confindustria per l’Education Il 41% di disoccupazione giovanile è un dato che richiama, con forza, la responsabilità di tutto il Paese. Da troppo tempo si collega questa piaga sociale al comodo alibi della crisi economica. Di sicuro la difficile congiuntura non ha aiutato a sviluppare politiche industriali e del lavoro lungimiranti ed efficaci, e le imprese lo sanno bene. Tuttavia, come ormai molti studi dimostrano, in ultimo il Rapporto McKinsey, è conclamato che quasi metà della disoccupazione giovanile deriva dal mancato incontro tra scuola e lavoro. Un mancato incontro che proviene da lontano: non dalla crisi del 2008 ma da problemi strutturali che hanno incrostato il nostro sistema educativo da quasi 30 anni e che pesano come un macigno sul futuro dei no- stri giovani. Produzione e formazione non devono più restare delle monadi separate. Di conseguenza come la scuola non può chiudersi al lavoro e all’impresa, l’impresa non può chiudersi alla scuola. Questa esigenza si sta diffondendo tra gli imprenditori italiani che comprendono sempre di più l’importanza di giovani ben formati, come direbbe Morin, di teste “ben fatte”, per poter far crescere la loro impresa e mantenerla competitiva nel difficile contesto globale. Oggi, senza un capitale umano altamente formato, l’impresa ri- duce notevolmente la sua capacità di resistenza e di rea- zione alla crisi. Confindustria accoglie e mette a fattor co- mune tutte queste energie imprenditoriali e continua nel suo impegno, finalizzato a far incontrare scuole e imprese. L’obiettivo è ridurre il profondo “mismatch” che separa la domanda di profili professionali da parte delle imprese e l’offerta di capitale umano che viene formato nelle scuole e nelle università. Ancora oggi le nostre imprese non tro- vano 47mila figure professionali di cui hanno urgente biso- gno: mancano soprattutto laureati e diplomati in ambito tecnico-scientifico. Figure fondamentali per le imprese in difficoltà, specialmente le piccole e medie. In concreto so- no introvabili ingegneri meccanici, chimici, giuristi d’impre- sa, economisti applicati, addetti alle professioni sanitarie, disegnatori tecnici, sviluppatori di software, tecnici dell’a- gro-alimentare e in particolare gli addetti alla green eco- nomy. È evidente un deficit di orientamento scolastico e universitario che penalizza giovani e famiglie più di quanto si possa pensare. Ma per superare questo deficit è neces- sario che l’impresa faccia la sua parte: bisogna dare più spazio ai tanti modelli virtuosi che i nostri territori produco- no grazie a imprenditori lungimiranti che riescono a trovare i canali giusti di collaborazione con le scuole. Come sistema associativo Confindustria ha messo in campo best practice riconosciute a livello nazionale e non DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO education & ricerca Dalla scuola all’impresa 20 Genova Impresa - Gennaio / Febbraio 2014 Genova Impresa - Gennaio / Febbraio 2014 21 L’Education per lo sviluppo dell’industria e dell’Italia: l’impegno di Confindustria per superare il divario tra domanda e offerta di profili professionali. IVANHOE LOBELLO © STUDIO FRANCESCHIN

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solo: dalla Giornata Nazionale Orientagiovani, che ormairaggiunge quasi 40mila studenti in tutta Italia, fino allasperimentazione di Job Shadow, un progetto che permet-te ai giovani di vivere con un imprenditore un’intera gior-nata in impresa per capirne i meccanismi. Ma riconoscimenti sono arrivati anche al Progetto Rosa,che ha dato un contributo nella “lotta” contro i pregiudizidi genere che riguardano l’istruzione tecnica. Altri progettiriguardano la cultura d’impresa, la diffusione del dottoratoindustriale, lo sviluppo delle potenzialità degli ITS. Qui a Genova molto efficace il Progetto Sailor, alla scoper-ta delle professioni del mare a bordo della nave “La Su-perba” della compagnia Grandi Navi Veloci.Le brevi considerazioni condivise finora si possono sinte-tizzare in due priorità che Confindustria propone per elimi-nare gli ostacoli ad un corretto funzionamento del rappor-to tra scuola e lavoro. Le due priorità sono: Cultura tecni-ca nelle scuole, cultura d’impresa e del lavoro all’universi-tà. Per diffondere la cultura tecnica nelle scuole è neces-sario favorire l’alternanza studio-lavoro con un raccordomirato delle iniziative territoriali con gli schemi legislativinazionali e migliorare l’orientamento verso gli istituti tecnicie professionali, le lauree tecnico-scientifiche e gli ITS. Glistrumenti ci sono, bisogna permetterne l’utilizzo. Verifi-

chiamo che “dal basso” provengono idee e stimoli a cuispesso la lenta macchina legislativa nazionale non sa darerisposta adeguata. Per diffondere la cultura d’impresa e del lavoro all’univer-sità è necessario riconoscere concretamente il diritto deglistudenti a imparare lavorando. Siamo ancora indietro sullaconfigurazione di vere e proprie lauree triennali professio-nalizzanti su cui invece è necessario puntare con forza. C’è poi lo strumento dell’apprendistato alto che deve en-trare sistematicamente nella vita d’ateneo: quello che èstato chiamato “Erasmus in azienda” darà ai giovani l’oc-casione di incontrare il lavoro prima della laurea e di rico-noscere con maggiore realismo le loro potenzialità e vo-cazioni professionali.Gli strumenti e le idee dunque ci sono, ma vanno condivi-se e rielaborate in una dialettica che coinvolga tutto il Pae-se e non pochi “addetti ai lavori”. Le imprese hanno il me-rito di aver riportato l’Education al centro del dibattitopubblico e contribuito, anche se il percorso sarà difficile, afarlo diventare un tema meno ideologico e più orientatoalla crescita dell’industria che significa, di rimando la cre-scita dell’intero Paese. Questa è la strada da seguire.l

Ivanhoe Lobello è Vice presidente Confindustria per l’Education

Il 41% di disoccupazione giovanile è un dato cherichiama, con forza, la responsabilità di tutto il Paese. Datroppo tempo si collega questa piaga sociale al comodoalibi della crisi economica. Di sicuro la difficile congiunturanon ha aiutato a sviluppare politiche industriali e del lavorolungimiranti ed efficaci, e le imprese lo sanno bene. Tuttavia, come ormai molti studi dimostrano, in ultimo ilRapporto McKinsey, è conclamato che quasi metà delladisoccupazione giovanile deriva dal mancato incontro trascuola e lavoro. Un mancato incontro che proviene dalontano: non dalla crisi del 2008 ma da problemi strutturaliche hanno incrostato il nostro sistema educativo da quasi30 anni e che pesano come un macigno sul futuro dei no-stri giovani.Produzione e formazione non devono più restare dellemonadi separate. Di conseguenza come la scuola nonpuò chiudersi al lavoro e all’impresa, l’impresa non puòchiudersi alla scuola. Questa esigenza si sta diffondendotra gli imprenditori italiani che comprendono sempre di piùl’importanza di giovani ben formati, come direbbe Morin,di teste “ben fatte”, per poter far crescere la loro impresa emantenerla competitiva nel difficile contesto globale. Oggi,senza un capitale umano altamente formato, l’impresa ri-duce notevolmente la sua capacità di resistenza e di rea-

zione alla crisi. Confindustria accoglie e mette a fattor co-mune tutte queste energie imprenditoriali e continua nelsuo impegno, finalizzato a far incontrare scuole e imprese.L’obiettivo è ridurre il profondo “mismatch” che separa ladomanda di profili professionali da parte delle imprese el’offerta di capitale umano che viene formato nelle scuolee nelle università. Ancora oggi le nostre imprese non tro-vano 47mila figure professionali di cui hanno urgente biso-gno: mancano soprattutto laureati e diplomati in ambitotecnico-scientifico. Figure fondamentali per le imprese indifficoltà, specialmente le piccole e medie. In concreto so-no introvabili ingegneri meccanici, chimici, giuristi d’impre-sa, economisti applicati, addetti alle professioni sanitarie,disegnatori tecnici, sviluppatori di software, tecnici dell’a-gro-alimentare e in particolare gli addetti alla green eco-nomy. È evidente un deficit di orientamento scolastico euniversitario che penalizza giovani e famiglie più di quantosi possa pensare. Ma per superare questo deficit è neces-sario che l’impresa faccia la sua parte: bisogna dare piùspazio ai tanti modelli virtuosi che i nostri territori produco-no grazie a imprenditori lungimiranti che riescono a trovarei canali giusti di collaborazione con le scuole. Come sistema associativo Confindustria ha messo incampo best practice riconosciute a livello nazionale e non

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Dalla scuolaall’impresa

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L’Education per lo sviluppodell’industria e dell’Italia:l’impegno di Confindustria persuperare il divario tra domanda e offerta di profili professionali.

IVANHOE LOBELLO© STUDIO FRANCESCHIN

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verse situazioni, tanto che non è un caso se molti italianitrovano facilmente occupazione perfino come ricercatoriall’estero. È vero però che ciò si ottiene ormai solo in al-cuni casi, quando cioè davvero i nostri studenti si impe-gnano, cosa che accade sempre più raramente. Troppi altri giovani invece si perdono nei cinque anni di li-ceo e altri vengono promossi all’esame finale senza unvero merito, ottenendo infine un diploma preuniversitarioche non vale molto. La verità è che nell’odierna società i giovani si educanopiù attraverso i media e i social network che attraverso lascuola. Stare a scuola ad ascoltare qualcuno che dicequalcosa e tornare a casa per studiare e ripetere quellacosa appassiona sempre meno. La causa - effetto dell’e-voluzione della tecnica è che si impara sempre più solociò che attira l’attenzione, ed è difficile fare attenzione senon c’è un effettivo interesse, che è la base del desiderio

di apprendere. Per questo motivo i sistemi didattici nelmondo da tempo si sono orientati sempre più all’appren-dimento per competenze, che rispetto al tradizionale no-zionismo è più utile rispetto alle esigenze pratiche delmondo del lavoro e dell’impresa, anche nell’alta cultura.Già, perché il liceo quadriennale è formativo tanto quantoè orientativo. Molto dipenderà da queste sperimentazioni. Da quantotraspare, se non altro nei nomi dei tre nuovi percorsi ap-pena ammessi - impresa, intercultura, innovazione - l’o-biettivo formativo è per grandi linee di preparazione inter-disciplinare svincolate dalle tradizionali distinzioni (classi-co, scientifico, ecc.). Gli studenti quando terminano il li-ceo devono essere meglio formati e più consapevoli dellescelte future, sia che si tratti di cercare lavoro che conti-nuare gli studi.Aiutare gli studenti a guardare il futuro, a scoprire e a va-lorizzare i propri talenti, a misurarsi rispetto alle compe-tenze acquisite da spendere in una società multiculturalee aperta all’internazionalizzazione, è certamente un gran-de impegno. Il liceo quadriennale è una scommessa percambiare davvero la scuola e punta innanzitutto alla qua-lità del processo formativo: si tratta di premiare chi è piùdotato e che sa coltivare i propri talenti, e stimolare mag-giori interessi tra gli studenti, attori nella vita scolastica.Sarebbe positivo avere una sperimentazione di questo ti-po anche a Genova. Forse una scuola non statale, doveè più facile rivedere l’organico dei docenti, forse il liceoGrazia Deledda, attivo nell’innovazione linguistica, potreb-be anticipare quello che prima o poi diventerà comunqueun sistema diffuso.Occorre smettere di inseguire riforme scolastiche che nontoccano la sostanza della scuola e occorre pensare aqualcosa di diverso: per questo il liceo quadriennale èuna scommessa, perché costringe a ripensare anche lasostanza. Se non si riesce in questo, infatti sarebbe solouna ulteriore discesa verso il basso del nostro sistemascuola. Infatti, chi è pessimista sulla possibilità di serie ri-forme in Italia, coerentemente dovrebbe essere pessimi-sta anche sulla realizzazione del liceo quadriennale.Sarebbe ottimale, all’avviso di chi scrive, se in questonuovo sistema il primo biennio fosse unico, preludendo aun esame finale di scuola dell’obbligo a 16 anni, come ingran parte dei Paesi più sviluppati del mondo, e il secon-do biennio differenziato e già mirato alle successive spe-cializzazioni della vita, il lavoro o i diversi indirizzi di studioall’università.Sarebbe ottimale se in questo nuovo sistema si introdu-cesse un criterio di valutazione degli studenti per cui siapossibile sapere che i “dieci” sono tali davvero, e che isufficienti sono tali a Genova tanto quanto a Milano o aPalermo. E allora, forse, le scuole si potranno confrontaretra loro su basi il più possibile oggettive. Forse è tutto un sogno. Forse no. Nell’educazione occor-re avere ideali, tenere duro, e cogliere le occasioni.l

Ignazio Venzano è direttore della Fondazione Fulgis e di Deledda International School

Terminare il liceo un anno prima? Dallo scorso set-tembre ci sono tre scuole paritarie che, autorizzate dalministro Maria Chiara Carrozza, sperimentano il “liceoquadriennale”: sono il “Collegio San Carlo” di Milano (li-ceo internazionale per l’intercultura), il “Guido Carli” diBrescia (liceo internazionale per l’impresa) e il liceo “OlgaFiorini” di Busto Arsizio (liceo internazionale per l’innova-zione). Inoltre, dal prossimo settembre, si conta che altrescuole si aggiungeranno, almeno altre tre statali e un’altraparitaria, in diverse regioni italiane.La riduzione di un anno del liceo comporta in genere piùore di lezione a scuola, tra lunedì e venerdì, niente lezionial sabato. Apparentemente è una questione di risparmioe tutto ciò serve a fare come in quasi tutti gli altri Paesidel mondo, in modo da iniziare l’università a 18 anni. Tut-tavia niente è solo formale a scuola, se fatto bene. Già ladidattica di una scuola aperta 5 giorni alla settimana è di-

versa rispetto a quella di una scuola aperta 6 giorni susette, figuriamoci un liceo di quattro anni rispetto a uno dicinque. In sostanza il liceo in quattro anni funziona solose si aggiornano gli obiettivi e se si costruiscono percorsidi competenze adeguati. Il nuovo sistema obbliga lascuola a riformarsi profondamente nella propria concezio-ne didattica e richiede maggiore propensione all’attenzio-ne ai singoli studenti più che alla classe. In altre parole, il liceo quadriennale è innanzitutto unascommessa didattica, che funziona attraverso l’insegna-mento e la valutazione di competenze; come si fa all’e-stero occorre cioè puntare non tanto a far memorizzarenozioni che poi si dimenticano, ma processi e metodolo-gie di diverse discipline.A questa idea in generale si obietta che il sistema scola-stico italiano tradizionale favorisce l’acquisizione di unacultura preuniversitaria profonda, vasta, e adattabile a di-

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Scommessadidattica

Il liceo quadriennale puòfunzionare solo se si aggiornanogli obiettivi, abbandonando ilnozionismo e puntando allaqualità del processo formativo.

IGNAZIO VENZANO

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smo di alternanza scuola-lavoro che si basa sulla corri-spondenza tra numero degli allievi e imbarchi disponibilipresso le compagnie di navigazione nostre partner. Que-sta è una delle ragioni della forte attrattività dell’Accade-mia nei confronti dei giovani di tutta Italia: quest’anno ab-biamo toccato il record di oltre 600 domande di ammis-sione per 80 posti, con candidati soprattutto dalla Sicilia,dalla Liguria, dalla Puglia e dalla Sardegna. Il successo si spiega anche con una forte ripresa in termi-ni di iscritti dell’Istituto Nautico di Genova, complice il tra-sferimento in Darsena ma soprattutto grazie a una gestio-ne innovativa dell’impianto didattico, ha sviluppato mag-giori sinergie con le imprese. L’Accademia rappresenta,per gli allievi ufficiali diplomati all’Istituto Nautico, il com-pletamento del loro percorso formativo, con il diploma diUfficiale di coperta o di Ufficiale di macchina. Inoltre, a se-guito della riforma degli istituti tecnici, l’accesso alla car-

riera marittima è stato liberalizzato e all’Academia oggipossono fare domanda giovani in possesso di qualunquediploma di scuola superiore, previa la frequenza di un cor-so di allineamento di 500 ore (quello offerto dell’Accade-mia è l’unico gratuito in Italia, compresa la residenzialità).La richiesta di ammissione ai corsi di allineamento è mol-to alta e proviene anche da regioni poco vocate al settoremarittimo, come Piemonte, Emilia Romagna, Valle d’Ao-sta... Le compagnie armatoriali inizialmente avevanoqualche dubbio sulla possibilità di formare alla professio-ne di ufficiale ragazzi che non avevano frequentato il nau-tico, ma si sono dovute ricredere. Per esempio, gli stu-denti del liceo scientifico hanno buone basi di matemati-ca e fisica: una volta recuperate le materie più specifiche,superano brillantemente gli esami di ammissione in Acca-demia e sviluppano un’ottima professionalità a bordo del-le navi. Con il corso di allineamento, i ragazzi hanno l’abi-

Gli Istituti Tecnici Superiori sono “scuole ad altaspecializzazione tecnologica”. Nate per rispondere alladomanda delle imprese di nuove competenze tecniche etecnologiche, rappresentano il segmento di formazioneterziaria non universitaria. Si costituiscono in Fondazionedi partecipazione che comprende scuole, enti di forma-zione, imprese, università e centri di ricerca, enti locali. Gli ITS attualmente istituiti sono 65: 29 nell’area dellenuove tecnologie per il made in Italy; 12 nell’area dellamobilità sostenibile; 8 nell’area dell’efficienza energetica;7 nell’area delle tecnologie innovative per i beni e le attivi-tà culturali; 6 nell’area delle tecnologie della informazionee della comunicazione; 3 nell’area delle nuove tecnologiedella vita. Genova ne “vanta” due, l’Accademia Italianadella Marina Mercantile e l’ITS-ICT l’Information andCommunication Technology; la Fondazione ITS di Savonaè dedicata all’efficienza energetica, mentre l’ITS della

Spezia forma tecnici nell’area dell’Innovazione di processie di prodotti meccanici. Genova Impresa ha chiesto al presidente della Fondazio-ne ITS Accademia Italiana della Marina Mercantile, Euge-nio Massolo, e al presidente della Fondazione ITS perl’Efficienza Energetica, Alessandro Berta, di fare un bilan-cio di questi primi anni di attività.

Eugenio Massolo Presidente Fondazione ITS Accademia Italiana della Marina Mercantile, Genova

«Il risultato dell’esperienza di questi anni è ottimo. Dal2005, quando abbiamo cominciato a operare, in allora inregime di società consortile e poi come ITS, abbiamo im-messo sul mercato oltre 400 nuovi ufficiali, con un’occu-pazione prossima al 100%; questo grazie a un meccani-

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Fondazioni ITS

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ITS-ICT, GenovaNell’ambito dell’Information and Communication Technologysono state individuate, a livello nazionale, tre figure professionalidi riferimento: Tecnico superiore per i metodi e le tecnologie perlo sviluppo dei sistemi software; Tecnico superiore per l’organiz-zazione e fruizione dell’informazione e della conoscenza; Tecni-co superiore per le architetture e infrastrutture per i sistemi dicomunicazione. Il diploma rilasciato dall’ITS-ICT di Genova è di Tecnico Superioreper l’ICT. Il programma di studi ha l’obiettivo di formare unospecialista in sviluppo di applicazioni e sistemi per ambienticomplessi nell’ambito dei settori ICT.

www.its-ict.net

ITS - Innovazione di processi e prodotti meccanici, La SpeziaCoerentemente con la presenza di eccellenze a livello nazionalenei settori delle tecnologie marine, della cantieristica e nautica dadiporto, della meccanica e navalmeccanica sul territorio del le-vante ligure, l’ITS della Spezia risponde alle esigenze delle azien-de di riferimento proponendo la figura professionale del TecnicoSuperiore per l’Innovazione di processi e prodotti meccanici.Le sue competenze riguardano la progettazione e l'industrializ-zazione di processi e prodotti meccanici, dalle basi economichee normative a tutti gli aspetti del design, delle proprietà dei ma-teriali impiegati, fino all'utilizzo dei software di rappresentazio-ne e simulazione.

www.itslaspezia.it

Percorsi alternativi per studenti eimprese.

ALESSANDRO BERTA EUGENIO MASSOLO

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litazione a imbarcarsi con il titolo di allievo ufficiale, come idiplomanti all’istituto nautico.I corsi, compresa la residenzialità, sono completamentegratuiti, in quanto finanziati dal Fondo Nazionale Marittimi(cui contribuiscono le imprese), dal Ministero dell’Istruzio-ne, Università e Ricerca, e dalla Regione Liguria. Nei due anni di corso, durante la navigazione, i ragazzivengono regolarmente assunti dalle compagnie di navi-gazione. È una vita di sacrificio e di grande responsabilità,ma il ritorno economico è interessante e la carriera è piut-tosto rapida: gli allievi ufficiali entrati in Accademia nel2005 e che hanno completato il corso nel 2007 sonoquasi tutti primi ufficiali. Nonostante la crisi, non abbiamoavuto una flessione dei corsi (normalmente ne bandiamo4-5 all’anno); si è verificata, piuttosto, una contrazione delnumero delle compagnie, ma con alcune di queste abbia-mo rafforzato in modo significativo le collaborazioni già inatto: Costa Crociere, per esempio, da due anni, assumesolo allievi ufficiali dall’Accademia, così come Grandi NaviVeloci e Italia Marittima. Si tratta di gruppi che applicanouna politica del personale mirata a formare e fidelizzare gliufficiali; queste compagnie partecipano alla pianificazionedei corsi dell’Accademia e stringono un rapporto con gliallievi che va oltre il periodo a bordo di 12 mesi: peresempio, Grandi Navi Veloci prevede stage anche pressoi propri uffici, per far capire come si lavora a terra, mentreCosta Crociere invita gli allievi a visitare i cantieri dovevengono costruite le navi. In generale, da parte di questecompagnie c’è grande disponibilità a fornire docenti emateriale utile alla didattica, come gli schemi degli im-pianti installati a bordo, che vengono poi studiati nelle le-zioni di elettrotecnica. Stiamo lavorando molto anche nella preparazione lingui-stica: molte lezioni, dal secondo modulo in avanti, vengo-no tenute in inglese, con particolare attenzione all’inse-gnamento dell’inglese tecnico e gergale - importante sulpiano della sicurezza. Sulle navi Costa, per esempio,quando si lavora si parla solo inglese. Un primo monitoraggio degli ITS ha evidenziato che sia-mo quello che produce più corsi e più occupati e, a livellonazionale, i nostri corsi si situano nella fascia più bassadei costi. Ma la soddisfazione più grande è il riscontro po-sitivo dei comandanti sulla qualità della formazione deinostri allievi ufficiali».

www.accademiamarinamercantile.it

Alessandro BertaPresidente Fondazione ITS per l’Efficienza Energetica, Savona

«La Fondazione “Istituto Tecnico Superiore per l’EfficienzaEnergetica” è stata costituita nel 2010, con la partecipa-zione dell’istituto “Ferraris - Pancaldo”, di SPES S.c.p.A.,dell’Università degli studi di Genova, della Provincia diSavona, del Comune di Savona e di Mondo Marine Spa.Il diploma, al termine del percorso di studio, è di Tecnicosuperiore per l’approvvigionamento energetico e la co-struzione di impianti, con specializzazione -per il biennio

2013-2015, in “efficientamento energetico nella domoti-ca, nella logistica portuale e nei trasporti intermodali”. L’obiettivo è formare una figura professionale con compe-tenze nella progettazione, organizzazione, gestione e ma-nutenzione degli impianti e delle reti di generazione e di-stribuzione, in un’ottica di migliore efficienza e valutando-ne l’integrazione e l’impatto ambientale sul territorio. La scelta di questo indirizzo formativo è evidentementecorrelata alla forte presenza dell’industria energetica nellaprovincia di Savona, con imprese che operano nell’ambi-to della produzione di energia, della costruzione di im-pianti e di sub-assiemi energetici. Ma l’attenzione è an-che rivolta alle realtà industriali del settore nel Basso Pie-monte e a Genova.Un ruolo di particolare rilevanza lo svolge l’Università che,fin dal primo anno, ha concesso il riconoscimento di cre-diti formativi sulle materie specifiche di corso, in quantouna parte delle lezioni vengono tenute da docenti univer-sitari (e, del resto, l’intero corso si svolge nel Campus).Per quanto riguarda le docenze di aziende e gli stage, ab-biamo la piena collaborazione delle imprese liguri cheoperano nel settore energetico e che hanno necessità difigure professionali qualificate. Per quanto riguarda il “saldo” tra diplomati ITS e occupa-ti, va detto che le aziende impiantistiche e di produzionedi energia lavorano rispondendo a puntuali esigenze dimercato e su commessa, e sebbene oggi le difficoltà sia-no innegabili, posso confermare che le imprese che han-no collaborato nella docenza dal primo anno di attivitàdella nostra Fondazione, e che oggi hanno una ventina diragazzi in stage, hanno tutte confermato la partnershipanche per il secondo e il terzo anno. Alcuni ragazzi hannoaddirittura trovato lavoro ancora prima di terminare il cor-so: se, da un lato, dispiace che il percorso formativo siastato interrotto, dal punto di vista dell’efficacia della pre-parazione il segnale è decisamente positivo - anche sel’impatto sul territorio potremo misurarlo solo al termine diquesto ciclo di studi. In generale, ritengo che gli ITS rappresentino un’opportu-nità molto interessante per i ragazzi che escono dallascuola superiore: tra i punti di forza, ci sono la forte siner-gia con le imprese, piani di studio formulati con un tagliopiù concreto, la possibilità di fare esperienza in aziendasu un progetto specifico e, non ultimo, la brevità di unpercorso di formazione che avrebbe come alternativa so-lo la laurea triennale - che non gode di particolare apprez-zamento presso le imprese. Questo perché c’è una buo-na offerta di laureati tecnici sul mercato, ma mancano lefigure intermedie tra laureato e operaio: l’ITS va a riempireproprio questo gap. L’azienda, infatti, assumendo un neodiplomato, dovrebbe farsi direttamente carico della suaformazione specialistica, comprese le prevedibili ineffi-cienze e i relativi costi. Tra l’altro, l’ammissione al corso èsoggetta a una valutazione per titoli, all’esito di un testsulle materie di competenza e a un colloquio motivazio-nale, quindi si assicura, già in partenza, una buona offertadi futuri tecnici».l

www.its-savona.it

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all’altezza delle loro capacità ed aspirazioni. Questo com-porta che in Italia le migliori università finiscono per pro-durre conoscenze di qualità destinate ad alimentare la li-bera circolazione del sapere su scala mondiale, ma non afruttificare in Italia. Il secondo danno è che l’industria nonpuò avere al proprio fianco le migliori università nella sfidadell’innovazione tecnologica, giovandosi di quegli apportidi nuove idee, competenze qualificate e conoscenze etecnologie avanzate, che sono determinanti oggi per ave-re successo nella competizione globale. Non si può perdere ulteriore tempo nel contrastare ilblocco dei “due perdenti”. Il Paese ha bisogno di supera-re questa anomalia del tutto italiana che ci penalizza neiconfronti di Paesi dove la cinghia di trasmissione tra uni-versità e industria funziona bene e con risultati di granderilevanza per la crescita dell’economia e dell’occupazionequalificata. L’innovazione di peso oggi non è più un fattogestibile in autonomia e indipendenza da parte delle im-prese, anche le più grandi e le più dotate di mezzi, ma ilrisultato finale di un complesso e articolato gioco di squa-dra tra vari attori - pubblici e privati - che si sviluppa al

meglio nell’ambito di un efficiente ecosistema dell’innova-zione, adatto per alimentare un humus fertile per la ger-minazione di nuove idee e la nascita di spin-off e start-uptecnologiche.Si tratta di una visione strategica che sta prendendocampo anche in Italia e che ora è in fase di implementa-zione, con il progetto strategico “Innovation Hub” dellaFondazione Ricerca & Imprenditorialità, in stretta collabo-razione con Confindustria Genova, e con il diretto coin-volgimento di alcuni dei suoi Soci presenti in loco - Fin-meccanica, Istituto Italiano di Tecnologia, Intesa Sanpao-lo, Telecom. Con questo progetto si mira in sostanza a sfruttare la capacità delle migliori imprese innovative knowledge-driven per fare ponte tra la ricerca e l’indu-stria, guardando a ciò che già esiste e a quanto si puòcreare di nuovo, con il diretto coinvolgimento del mondodella ricerca e delle imprese più avanzate, che sannomaggiormente apprezzare e valorizzare il ruolo di apripi-sta di tali peculiari realtà nei processi innovativi.l

Riccardo Varaldo è vicepresidente vicario della Fondazione Ricerca & Imprenditorialità

Occorre guardare e andare oltre il “parlare molto” eil “fare poco” per quanto concerne le politiche e le iniziati-ve volte al rafforzamento e alla diffusione dell’innovazionetecnologica nel Paese. Sono i tempi che lo impongono.Le dinamiche in atto nell’economia reale fanno emergeredue principali tendenze di fondo. Da un lato, la tecnologiaentra sempre più consistentemente nei processi, nei pro-dotti e nei servizi, elevandone qualità e prestazioni. Da unaltro, i nuovi grandi Paesi emergenti stanno rapidamenteriducendo il loro divario tramite massicci investimenti nel-la ricerca, nell’alta formazione e nelle infrastrutture perl’innovazione. La conseguenza è che i Paesi, le Regioni e le impreseche non sono in grado di capire e di adattarsi alla crescitadi peso dell’innovazione tecnologica sono destinati irri-mediabilmente a perdere colpi nella competizione globa-le. Quello dell’innovazione non è soltanto un problema diricerca scientifica e non si affronta semplicemente au-mentando di un po’ le relative spese, anche se questa èuna pratica largamente diffusa in Italia, dove manca unaorganica ed efficace politica della ricerca e dell’innovazio-

ne. L’Italia non accusa di per sé una carenza in termini diproduzione di conoscenza - il tipico mestiere dei ricerca-tori universitari - ma presenta piuttosto un problema divalorizzazione della conoscenza prodotta e di capacità diintercettazione e di assimilazione in tempi rapidi delle no-vità tecnologiche, da parte delle imprese e dell’ammini-strazione pubblica. L’innovazione nelle imprese è una par-ticolare attività produttiva che richiede investimenti, com-petenze e capacità specifiche e che espone a difficoltà erischi che crescono in funzione del grado di innovativitàdella conoscenza da impiegare. Questo è causa di un diffuso e naturale miss-match trauniversità e industria. La prima mira molto - troppo - in al-to nella voglia di rincorrere mete scientifiche ambizioseche danno lustro nel proprio ambiente e servono a pub-blicare articoli di pregio. L’industria, invece, non è in gra-do di norma di capire e seguire l’università e quindi di in-vestire nella trasformazione della conoscenza scientificaper renderla produttiva. Questo miss-match in Italia creadue danni. Penalizza innanzi tutto i centri di ricerca piùavanzati per la difficoltà a trovare interlocutori industriali

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Valore allaconoscenza

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Il mal funzionamento dellacinghia di trasmissione trauniversità e industria penalizza il nostro Paese in termini di crescita economica e di occupazione qualificata.

RICCARDO VARALDO

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L’Istituto di Studi Superiori dell’Università di Ge-nova (ISSUGE) è stato istituito nel 2013 come strutturadidattica autonoma finalizzata a promuovere e a realizza-re percorsi di alta formazione per la valorizzazione di alcu-ne tra le eccellenze didattiche e scientifiche presentinell’Ateneo genovese. Agli studenti più meritevoli dell’Università di Genova, sele-zionati mediante concorso, l’Istituto offre l’accesso gra-tuito al suo programma di formazione integrativa, uncomputer portatile in uso gratuito e un contributo econo-mico per lo svolgimento della tesi di laurea all’estero. Inol-tre, ai migliori classificati nella graduatoria del concorso diselezione, ISSUGE offre borse di studio del valore di3.000 euro all’anno e benefici riguardanti l’alloggio per glistudenti fuori sede. «I nostri allievi - spiega Gianni Vernazza, presidente dell’i-stituto -, oltre ai corsi di laurea tradizionali seguono unprogramma didattico che permette loro di ampliare leproprie conoscenze in settori e su problematiche nonprevisti nei curricula universitari, ma rilevanti per un effica-ce inserimento nel mondo del lavoro. La docenza è affi-data, oltre che a professori universitari, anche a espertiinternazionali, esponenti del mondo dell’industria e deglienti di ricerca. L’accesso è meritocratico: i ragazzi vengo-no selezionati tramite concorso nazionale e la graduatorinon tiene conto del reddito, ma del curriculum degli studie del risultato delle prove di ingresso». Oggi, l’Istituto ha attivato tre percorsi di alta formazione.L’indirizzo IAS - Ingegneria e Architettura della Sostenibili-tà, nell’ambito delle metodologie e delle tecnologie per losviluppo e l’innovazione sostenibili. Spiega, Vernazza:

«L’ingegnere e l’architetto oggi non possono più limitarsiad affrontare un lavoro sotto l’aspetto tecnologico edestetico, devono possedere anche un buon livello di co-noscenza giuridica ed economica: basti pensare ai vincolidi tipo ambientale, di sostenibilità dei progetti, agli impattisociali ed etici...».L’Indirizzo ICT - Information and Communication Techno-logies, è gestito in collaborazione con l’ISICT (Istituto Su-periore di Studi in Tecnologie dell’Informazione e delleComunicazioni) e offre un programma di corsi e di semi-nari mirati a sviluppare competenze in due principali areeculturali: area gestionale (organizzazione aziendale, eco-nomia, comunicazione, creazione di impresa ecc.) e areatecnico-scientifica con un forte orientamento all’innova-zione e alla multidisciplinarietà (nanotecnologie, bioinfor-matica, neuroscienze, informatica quantistica ecc.).Infine, l’Indirizzo IEB - Biomedicina è volto a svilupparecapacità e metodo nell’approccio di problemi scientifici incampo biomedico. «È il risultato di una stretta collabora-zione con alcune importanti società farmaceutiche - pre-cisa Gianni Vernazza - per sensibilizzare il medico ai temidella ricerca e per aiutarlo ad affrontare casi non comuni,che richiedono valutazioni più complesse per giungere auna diagnosi e individuare una terapia».L’attivazione progressiva di tre indirizzi, nei settori strategi-ci dell’alta tecnologia e della sanità, e la previsione di cre-scita fino a cinque o sei indirizzi, insieme all’incrementodel numero di studenti coinvolti, attualmente pari a circa90 e destinati a crescere fino a circa 200, nei prossimi an-ni accademici, fanno del progetto ISSUGE un elementosignificativo nell’offerta formativa del ateneo genovese.l

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Eccellenzedell’Ateneo

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ISSUGE - Istituto di Studi Superioridell’Università di Genova organizza corsi di alta formazione in ingegneria-architettura,ICT e biomedicina come complemento dei tradizionali percorsi di laurea. Ne parla il presidente Gianni Vernazza.

ISSUGE - Istituto di Studi Superioridell’Università di Genova organizza corsi di alta formazione in ingegneria-architettura,ICT e biomedicina come complemento dei tradizionali percorsi di laurea. Ne parla il presidente Gianni Vernazza.

GIANNI VERNAZZA

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ne dei termini di pagamento e condizioni contrattuali sem-pre più aggressive. Accanto a questi fattori, alcune critici-tà sono però ricondotte a fattori di contesto genovese oligure, tra cui: le ridotte dimensioni del mercato ligure, cheimpone alle imprese, fin dalla nascita, di rivolgersi a unmercato quantomeno nazionale, con tutte le implicazioniin termini di sviluppo di una rete commerciale adeguata; larefrattarietà del territorio a determinate tecnologie all’a-vanguardia, nonostante siano attivi alcuni centri di ricercaspecializzati; la “fuga dei cervelli” (ricercatori e laureati piùbrillanti), come conseguenza della scarsa attrattività delterritorio; la presenza di numerose iniziative (distretti e politecnologici), anche sovrapposte, che portano a frequentirelazioni tra enti di ricerca, spin-off e imprese, ma conscarsa produttività; la carenza della qualità dei servizi pro-fessionali, ad esempio con riferimento alle specifiche nor-mative riguardanti le start-up innovative; la presenza diannosi problemi infrastrutturali, che creano difficoltà allacrescita delle imprese e allo sviluppo di attività innovativecomplementari tra i vari soggetti operanti nel territorio.Critico è anche il rapporto con il sistema finanziario, carat-terizzato da una parte dalla ridotta propensione delle ban-

che a investire negli spin-off (e non solo), dall’altro dallascarsa presenza di venture capital in area genovese.Quali le implicazioni dei punti precedentemente descritti?Le specifiche carenze del sistema dell’innovazione geno-vese (elevata relazionalità, ma poco finalizzata; carenza diservizi professionali qualificati e mirati, discrasia tra specia-lizzazioni della ricerca e tessuto industriale), cui si aggiun-gono le criticità nel reperire investimenti per la crescita,rendono auspicabile l’avvio di iniziative che, anche attra-verso l’offerta di servizi professionali specialistici, di iniziati-ve formative mirate e di servizi di tipo finanziario innovativi,possano intervenire efficacemente, contribuendo anche aridurre il gap esistente rispetto ad altri ecosistemi innovati-vi. Ancor più rilevante appare però che tali iniziative si fac-ciano promotrici di una relazionalità non fine a se stessa,ma produttiva, che consenta da una parte il dialogo conaltri ecosistemi dell’innovazione, dall’altra di connettere iproblemi tecnologici delle imprese con le possibili soluzioniproposte da spin-off e centri di ricerca, agendo da “cassadi risonanza” sulle aree di interesse dei diversi attori.l

Cinzia Panero è ricercatore presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova

Qual è la consistenza delle nuove iniziative (spin-offoriginate da centri di ricerca e imprese start-up autonome)originate nel territorio genovese negli ultimi anni? E le lorocaratteristiche? Quali sono le maggiori difficoltà riscontra-te dai soggetti che intendono avviare un’iniziativa impren-ditoriale, sia essa di origine universitaria o meno, con par-ticolare riferimento al territorio genovese?È a questi interrogativi che, all’interno di un progetto di piùampio respiro, volto a realizzare una “fotografia” dell’eco-sistema dell’innovazione genovese, ha cercato di rispon-dere la prima parte della ricerca affidata al Dipartimento diEconomia da Confindustria Genova e dalla FondazioneRicerca & Imprenditorialità. Il primo dato che è emersodalle analisi condotte è la numerosità delle iniziative: con-siderando i soli spin-off originati dai centri di ricerca (Uni-versità di Genova, CNR e IIT) in area genovese si rilevanouna cinquantina di imprese. La piattaforma tecnologicapiù feconda in area genovese appare quella informatica,seppure con ambiti applicativi molto differenziati, che van-no dal biomedicale, all’ambiente, ai trasporti, all’energia.Un primo dato emerge quindi con evidenza: la discrepan-za tra il numero delle imprese spin-off di centri di ricerca e

il numero di imprese iscritte all’apposito registro Infoca-mere (27 al 4 febbraio 2014, di cui 23 in area genovese),un aspetto che consente di affermare che il Decreto Leg-ge “Crescita 2.0”, volto a incentivare e sostenere le giova-ni imprese innovative, non ha colto nel segno. I motivi? Gliincontri con le imprese e i centri di ricerca hanno eviden-ziato due aspetti: la scarsa conoscenza della normativada parte dei professionisti e i vincoli posti dalla stessa (inparticolare 4 anni di età e il divieto di distribuzione degliutili). Imprese (e centri di ricerca) hanno evidenziato diver-se criticità nell’avviare un’iniziativa imprenditoriale.Alcuni aspetti (riconducibili al contesto generale) sono no-ti: il peso della burocrazia e del fisco sulle imprese, checostituiscono un aggravio particolarmente pesante per leimprese nascenti e incidono sull’opportunità di fondareun’iniziativa in Italia piuttosto che all’estero; la normativache disciplina gli spin-off e le start-up, particolarmentevincolante; il sistema della ricerca, spesso maggiormenteinteressato alla ricerca di base più che a quella applicata epoco attento, nei percorsi formativi tecnologici, alle com-petenze manageriali; la crisi economica che, oltre a tra-dursi nel calo della domanda, comporta anche la dilazio-

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Foto di spin-off e start-up I primi risultati di una ricercacondotta dal Dipartimento diEconomia dell’Università di Genovasull’ecosistema dell’innovazionegenovese, confermano una grande“vivacità” relazionale tra centri di ricerca, spin-off e imprese, ma scarsamente finalizzata.

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nuova start-up viene individuata dai gruppi di lavoro tec-nologici, viene meno uno dei problemi più grossi che lanuova azienda, specialmente se nata in ambito universi-tario, deve affrontare per svilupparsi sul mercato, e cioèil “time to market”, ovvero la presenza e l’offering dell’a-zienda sul mercato troppo in anticipo rispetto alla “do-manda” effettiva dei clienti.Il gruppo di lavoro “SmartUp di Impresa”, oltre a favorirel’incontro tra la nuova impresa e i potenziali investitori, stapredisponendo una serie di servizi, forniti a titolo gratuito,per accompagnare e promuovere le nuove imprenditoria-lità: consulenze nelle aree amministrative, fiscali, del lavo-ro, legali, sulla proprietà intellettuale e industriale, sulladefinizione del business plan, per il marketing e per la co-municazione, rapporti con gli Istituti Bancari ecc., oltreall’organizzazione di attività di formazione specialistica.Anche in funzione della presenza sul nostro territorio dipersonale sia tecnico che manageriale molto qualificatoche, per motivi diversi, è uscito prematuramente dalle ri-spettive aziende (i così detti “over 50”), è possibile affian-care ai giovani imprenditori gli opportuni tutors che pos-sano accompagnarli nella costituzione, gestione e svilup-po della loro idea di impresa.

Il gruppo di lavoro sta costruendo, allo scopo, un database di qualificati profili professionali.Queste iniziative hanno già portato, nello scorso mese digennaio, alla valutazione e probabile costituzione di trenuove start-up che probabilmente saranno registrate co-me “start-up innovative”.La prima, nel settore del “3D Printing”, la tecnologia che,mettendo insieme l’informatica (hardware e software) e imateriali, sta rivoluzionando il mondo della produzione dicomponenti e oggetti tridimensionali, praticamente in tut-ti i settori industriali.La seconda, nel settore della “Realtà Aumentata”, e cioèquella tecnologia che, grazie, per esempio, a dispositivimobili dotati di fotocamera, consente la visualizzazione dielementi virtuali in grado di “aumentare” la realtà, comefilmati, animazioni in 3D, elementi multimediali, audio.La terza possibile start-up è nel settore del “Mare e Re-cupero Energetico”: come sfruttare il mare, appunto, perrecuperare energia realizzando anche opportuni sistemiinnovativi di diagnostica.l

Aldo Loiaconi è presidente Gruppo Sigla Spa e coordinatore del gruppo di lavoro SmartUp d’Impresa di Genova 2021

Da una recentissima indagine effettuata da Confin-dustria e Dixet, con l’importante collaborazione del Dipar-timento di Economia dell’Università di Genova, risultache le aziende del nostro territorio che realizzano servizi,prodotti, soluzioni e applicazioni, ricerca e formazione neisettori dell’high-tech e delle tecnologie avanzate (elettro-nica, informatica, telecomunicazioni, biomedicale, auto-mazione, robotica ecc.) sono più di 400.L’indagine, che è durata qualche mese, ha preso in con-siderazione diversi parametri, quali la partecipazione omeno dell’azienda a Distretti e Poli Tecnologici, a Bandidi Ricerca e Innovazione (Europei, Ministeriali e Regiona-li), l’attribuzione o meno del codice ATECO per attivitàhigh-tech ecc. Questa realtà, così significativa per il set-tore socio-economico di Genova e della Liguria, non èconosciuta da molti e, conseguentemente, non semprerisulta valorizzata e supportata per favorirne lo sviluppo.È anche per questa ragione che, a metà dell’anno scor-so, Confindustria Genova e Dixet hanno costituito l’Asso-ciazione Genova 2021 - voluta, quindi, fortemente dalleaziende del nostro territorio.La missione di Genova 2021 è favorire lo sviluppo, la pro-mozione e il coordinamento delle attività e delle iniziative

finalizzate alla crescita dei settori ad alta tecnologia chericomprendono le imprese, manifatturiere e non, ubicatenella nostra area metropolitana.Come? Sono stati creati due Gruppi di lavoro con lo sco-po di vedere quali sono, a livello mondiale, gli sviluppi in-novativi tecnologici (prodotti, soluzioni, applicazioni...) indue settori tra i più importanti della nostra regione: l’auto-mazione di fabbrica e il porto e retroporto. Questo al finedi fornire alle nostre aziende (grandi Imprese e PMI) leopportune indicazioni per innovare e svilupparsi sul mer-cato nazionale e internazionale.Inoltre, è stato costituito il gruppo di lavoro “SmartUp diImpresa” che, sulla base delle analisi effettuate dai grup-pi di lavoro tecnologici, ha la missione di favorire l’idea-zione, la nascita e lo sviluppo di nuove imprese, start-up, spin-off in settori particolarmente innovativi. I com-ponenti di questo gruppo di lavoro hanno le professio-nalità più variegate, anche perché sono davvero molte-plici e diverse le competenze necessarie per definire pri-ma, e sviluppare poi, un’idea imprenditoriale innovativanell’alta tecnologia: tecnologi, economisti, ricercatori,imprenditori di grandi imprese, imprenditori di PMI,esperti di brevetti. È chiaro che se l’ideazione di una

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SmartUp d’Impresa

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Il gruppo di lavoro costituitonell’ambito dell’AssociazioneGenova 2021 ha il compito di favorire la nascita e lo

sviluppo di nuove imprese, start-up e spin-off innovativi.

ALDO LOIACONI

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ro della Ricerca e il Fondo FIT del Ministero dello Sviluppo,entrambi dedicati al sostegno della ricerca industriale edell’innovazione tecnologica, e che l’1% di ricerca o di svi-luppo in più o in meno sia il discrimine per presentare unprogetto sul bando FAR piuttosto che sul bando FIT.

Tutto questo non aiuta né il trasferimento tecnologiconé la creazione di startup innovative.Per chi si dedica alla ricerca non è così immediato capirela differenza tra una scoperta e un prodotto, leggere i risul-tati della propria attività in una prospettiva commerciale. InItalia sono pochi i ricercatori che hanno questa sensibilità,perché il mondo della ricerca e dell’industria sono semprestati separati, non è mai stato creato un ponte che favoris-se la traduzione di una scoperta scientifica in prodottocommerciale. Anche l’Unione Europea sta lavorando suquesti temi. Un primo passaggio particolarmente com-plesso riguarda la prototipazione. Spesso, infatti, si trattadi ricerche che hanno come risultato processi, metodolo-gie, meccanismi di cui non è stata individuata ancora unafinalità precisa. Si pensi al grafene, per esempio: è unascoperta rivoluzionaria, di cui si capisce la grande poten-zialità, ma la strada verso l’industrializzazione è ancoralunga. In casi come questi, dove trovare le risorse per laprototipazione? Una possibilità è attraverso i fondi pubbli-ci, a livello nazionale ed europeo; oppure rivolgendosi alcorporate venture capital, ovvero a grandi imprese che in-vestono in spin-off innovativi potenzialmente strategici perlo sviluppo del proprio business. In Israele e negli StatiUniti hanno promosso fondi pubblici di finanziamento rota-tivi a sostegno dell’acquisizione di spin-off innovativi daparte di imprese medio-grandi. In Europa, però, questopotrebbe essere letto come un aiuto di stato.

Cosa sta facendo il CNR su questo tema?Innanzi tutto abbiamo approvato un nuovo regolamentodi sostegno agli spin-off che prevede un intervento più in-cisivo dell’Ente nella selezione dei progetti d’impresa e lasuccessiva partecipazione alla creazione dell’azienda at-traverso la “concessione” di ore/uomo del ricercatore, fa-cilitazioni nell’utilizzo di brevetti, strumentazioni o uffici delCNR. Questo contributo viene valorizzato, in base a con-venzioni, fino al 25% del capitale della società, da cuil’Ente uscirà dopo un periodo di tre-cinque anni. Il CNR siimpegna anche a trovare i finanziamenti necessari allosviluppo del progetto e quindi dell’azienda tramite una re-te di banche e di investitori privati; infine, favorisce la par-tecipazione delle start-up a eventi dove sono presenti an-che venture capitalist internazionali.Abbiamo inoltre costituito una commissione brevetti, dicui fanno parte aziende e investitori, che ha il compito diaiutarci nella valutazione dei progetti d’impresa. I ricerca-tori a un certo punto devono scegliere se diventare im-prenditori o restare come sono: la ragione per cui moltispin-off non si evolvono è perché non sono sostenuti daun vero progetto imprenditoriale. Per questo motivo è im-portante, anche come Confindustria, insistere sul collega-mento grande impresa - spin-off e piccola impresa - spin-off. Oggi, ricercatori e imprese parlano ancora una linguadiversa: i primi vedono nel rapporto con l’azienda l’oppor-tunità di proseguire la propria ricerca, mentre l’azienda haun orizzonte temporale molto più limitato e orientato auna rapida industrializzazione dei risultati. L’azione di unsoggetto aggregatore capace di fare sintesi e quindi favo-rire l’incontro tra la domanda di ricerca espressa dallePMI e il mondo della ricerca e degli spin-off sarebbe utilis-sima. Ma evitando duplicazioni di iniziative.l

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) è la piùgrande struttura pubblica con compiti scientifici nel nostroPaese. Costituito nel 1923 e trasformato nel 1945 in or-gano dello Stato, nel 1999, è diventato “ente nazionale diricerca con competenza scientifica generale e istitutiscientifici distribuiti sul territorio...”. Attualmente la retescientifica del CNR è composta da oltre 100 Istituti, arti-colati in 7 Dipartimenti, con circa 8.000 dipendenti. Lanuova missione dell’Ente è riassunta nell’obiettivo: “crearevalore attraverso le conoscenze generate dalla ricerca”.

Direttore, il nostro “sistema ricerca” è ricco di contenuti(progetti, scienziati di talento, centri di eccellenza) mapovero di risorse - e con la spending review la situazio-ne non è destinata a migliorare. Quali sono i punti de-boli del sistema su cui è urgente intervenire?Il “sistema ricerca” necessita di una riforma che operi sutre livelli: quello delle risorse, quello delle regole e quellodella governance. Per quanto riguarda il primo punto, ri-tengo ci sia un estremo bisogno di sintesi: in termini reali,continuiamo a ridurre le risorse per la ricerca e il numerodei ricercatori, gli investimenti in formazione e in attrezza-ture. Questo significa impoverire il capitale di conoscenzeche, ogni anno, finisce col deprezzarsi, mentre si dovreb-be continuare ad aggiornarlo e a valorizzarlo. Ciò cheproduce risultati non è tanto il flusso degli investimentima lo “stock” di conoscenze di cui si può disporre se nelcorso degli anni si è investito in modo corretto. Tagliare ifinanziamenti alla ricerca significa colpire la capacità diprodurre scoperte e quindi indebolire competenze ecompetitività, elementi fondamentali per il rilancio econo-mico del Paese. Per questo le spese per i programmi diricerca e sviluppo dovrebbero essere escluse dai para-

metri di calcolo del fabbisogno affinché non incidano suldebito e sia così possibile continuare a investire senzaessere vincolati dalla spending review.

Passiamo alle regole.Il problema è che oggi l’attività di ricerca è soggetta allestesse regole della pubblica amministrazione, e questo ge-nera inefficienze. Le strutture che fanno ricerca dovrebberogodere di una maggiore autonomia responsabile, che vuoldire meno controlli ex ante, cioè meno burocrazia, e piùcontrolli ex post, ossia verifica e valutazione dei risultati.

E ora parliamo di governance.Attualmente in Italia ci sono 22 enti di ricerca, regolati dasette diversi Ministeri che definiscono gli indirizzi dell’attivi-tà di ricerca e gestiscono i relativi fondi, ciascun Ministeroper sé. L’ideale sarebbe forse avere un’unica cabina di re-gia, che faccia riferimento al Presidente del Consiglio eche definisca un piano generale della ricerca. Andrebbeanche considerato che 22 enti di ricerca sono tanti, ed èprobabile che ci siano duplicazioni di cariche e di ineffi-cienze. Sarebbe importante riunire le risorse disponibili ecoordinare i vari progetti. Il famoso Piano Nazionale dellaRicerca, presentato nelle scorse settimane, riguarda solo ilMiur e nessuno degli altri Ministeri. Il Piano fa ampio riferi-mento a Horizon 2020, ma non c’è una visione organicasulle esigenze del Paese in materia dì ricerca, che com-prenda anche i temi della salute o della sicurezza del terri-torio. L’ideale sarebbe avere una governance “tripartita”,come in Francia, in Germania o negli Stati Uniti, formatada chi individua le linee di attività, da chi definisce i conte-nuti dei bandi e da chi la ricerca, alla fine, la realizza. Èparadossale che oggi coesistano il Fondo FAR del Ministe-

DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO

Struttura molecolare del Grafene

education & ricerca

Proposte di riformaCome si potrebbe intervenire per razionalizzare il sistema della ricerca italiano? Abbiamo chiesto l’opinione di Paolo Annunziato,direttore generale del CNR.

di Piera Ponta

PAOLO ANNUNZIATO

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si ridurrebbe così come i tempi necessari per stabilizzaree consolidare la start-up.E, d’altro canto, questo sarebbe uno straordinario mec-canismo che permetterebbe all’impresa di sfruttare unoscambio continuo con nuove idee dall’esterno creando,al contempo, un atteggiamento attento all’innovazione alproprio interno. La disponibilità di giovani che si mettonoin gioco con nuove iniziative è un’occasione preziosa chel’impresa italiana finora non ha saputo cogliere, contri-buendo così a relegare le start-up a un contesto indu-striale arido di legami e ancor più difficile da affrontare. Ma le start-up affrontano complessità che vanno al di làdello sviluppo del prodotto o dell’organizzazione del pro-prio ciclo industriale. In una recente indagine svolta dalla Fondazione Ricerca& Imprenditorialità emerge che gli start-upper italiani sitrovano smarriti quando, deciso di fare il grande passo, siscoprono a passare i primi mesi a risolvere questioni dimera burocrazia. Il sistema delle start-up si rivela uncliente inespresso per commercialisti, consulenti del la-voro, consulenti della sicurezza, notai ecc., i quali si rivol-gono alle start-up senza alcuna flessibilità, senza alcunaattenzione al fatto che, se ben aiutate, potranno diventa-re i clienti del futuro. È comprensibile come, visti con gliocchi di chi scommette su nuovi modi di fare impresa,questi atteggiamenti possano essere percepiti come in-comprensibili e, anzi, come un deterrente.Quando poi il nostro start-upper si rivolge alle fonti di fi-nanziamento, spesso si trova di fronte alla parte più im-pervia del suo cammino. E ciò, nella mia esperienza, nonperché in Italia non vi sia capitale di rischio, rintracciabilepresso i fondi d’investimento, i family office e le Fonda-zioni private, o ancora presso aziende e imprese sparsesu tutto il territorio. Piuttosto il settore delle start-up si rivela incapace di atti-rare l’attenzione di questi capitali perché caratterizzatoda un profilo di rischio alto. Un profilo di rischio - beninte-so - del tutto normale per iniziative giovani, ma evidente-mente eccessivo per il tessuto finanziario e industrialenostrano, che sembra più attento a riversare i propri sfor-zi su percorsi noti, guardando ai giovani con un misto dicuriosità e diffidenza. Se a ciò aggiungiamo un mercatosecondario molto fragile, ossia contraddistinto da pochicasi compravendita su aziende che hanno superato la fa-se di start-up, si comprende come, anche chi ha la mis-sione di investire nelle piccolissime neo-imprese, spessorimane alla finestra. Ben vengano casi come l’italianaEOS, che a novembre 2013 viene venduta per 400M$dopo una fase di start-up durata 7 anni. Che siano di in-coraggiamento per il settore! E tuttavia i dati dell’AIFI parlano di una frenata del Ventu-re Capital in Italia negli ultimi tempi, a cui si accompagnaun orientamento verso investimenti relativamente piccoli,capaci di rientrare in tempi brevi (3-5 anni) e con chiareprospettive di realizzazione. Tale strategia di gestione delrischio finanziario da parte degli operatori della finanza èradicalmente in contrasto con le necessità di una start-up ad alta tecnologia. Queste ultime, infatti, hanno me-

diamente bisogno di un periodo di accompagnamentolungo prima di generare flussi di cassa sostenibili e, so-prattutto, investimenti dell’ordine del milione di euro già infase di early stage. A fronte di ciò, promettono spessotecnologie che cambiano interi settori industriali, assicu-rando vantaggi competitivi di lungo periodo. Arroccati su(comprensibili?) posizioni di difesa, i capitali non entranonel sistema causando complessivamente una scarsadensità di scambi e mobilità di imprese su un mercatoche richiederebbe una “energia di attivazione” ben supe-riore di quella oggi disponibile.Quando la start-up Microturbina (sviluppa e commercia-lizza una turbina brevettata da IIT per la conversione diflussi liquidi e gassosi in energia elettrica, ndr), nata neilaboratori IIT, si rivelò vincitrice molti premi, tra cui il pre-stigioso Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI), vi fu unintenso periodo di confronti con numerose imprese inte-ressate alla tecnologia. Incoraggiato da questa rispostainiziale, il giovane inventore si mise alla ricerca di fonti dicapitale che, sorprendentemente, non trovò tra gli opera-tori professionali. Per i fondi, infatti, la start-up avrebbedovuto avere un mercato già disponibile, altrimenti sareb-be risultato un investimento troppo incerto. Per contro, lenumerose aziende interessate chiedevano un prodottogià utilizzabile, dicendosi non disposte a investire nella fa-se di prototipazione. Ebbene ci volle più di un anno perindividuare un soggetto privato che, con lungimiranza,decise di supportare la start-up in quella fase di de-ri-sking per portare il prodotto sul mercato. Questo caso può certamente essere considerato un’e-sperienza di successo nel panorama italiano, ma è stri-dente il confronto con un’altra start-up nata nei laboratoridi IIT: SEM Plus, che sviluppa e commercializza un touchpad flessibile di nuova generazione brevettato da IIT.Il team di SEM Plus, dopo aver ricevuto un primo finan-ziamento da un fondo italiano (30 mila euro da dedicarealla formazione manageriale) si trovò a cercare un sup-porto più solido per partire con lo sviluppo del prodotto. Ilviaggio studio in Silicon Valley di uno dei ragazzi lo portòa contatto con un potenziale investitore il quale, incontra-to a un evento mondano, gli diede appuntamento per ilgiorno dopo. Da quell’appuntamento SEM Plus uscì conun finanziatore e un mentor proveniente dal settore di in-teresse. 48 ore per accendere la macchina e partire. Lasocietà è stata costituita in USA e oggi sta affrontandoun nuovo round di finanziamento con riscontri molto po-sitivi da privati, aziende e fondi, e si chiuderà tra qualchesettimana. Dare ossigeno al sistema delle start-up vuoldire darlo al Paese e alle generazioni future. Questo è un risultato di Sistema, al quale imprese, finanzaricerca e pubblica amministrazione dovranno partecipareaccettando di cambiare le loro logiche e riconoscendo ilvalore di coltivare nuove idee. Vinceremo questa sfida sesaremo capaci di avere imprese più attente ed aperte,Venture Capital più capaci di rischiare e un sistema dellaricerca dotato di logiche premianti per chi fa start-up.l

Salvatore Majorana è Direttore Technology Transferall’Istituto Italiano di Tecnologia

Da qualche anno ho il privilegio di accompagnaregiovani ricercatori in quel percorso che li porta dai labora-tori dell’Istituto Italiano di Tecnologia verso il sogno dicreare impresa. Si tratta di ragazzi e ragazze che hannodedicato con trasporto ed enorme dedizione gli anni del-la loro giovinezza allo studio, all’approfondimento, al su-peramento dei confini di ciò che è noto per dar luce a so-luzioni nuove, a volte del tutto inattese anche per gli stes-si inventori. In questo affascinante percorso, lo sviluppodi un’invenzione, punto di arrivo di anni di scrupolosa ri-cerca, è tuttavia appena il primo seme di quel che po-trebbe essere un nuovo prodotto da immettere sul mer-cato. Per passare da quel seme al primo germoglio, e poialla pianta e al frutto, è necessario il contributo di compe-tenze e risorse che vanno ricercate in molti ambiti diversi.È così che taluni, animati da autentica passione, decido-no di valorizzare la loro ricerca creando nuova impresa.Chiunque si appresti alla creazione di una start-up, e for-se ancor di più lo scienziato, si trova di fronte a un mo-mento di grande discontinuità, che lo costringe ad ab-bandonare i metodi e gli strumenti familiari del laboratorioper confrontarsi con logiche di mercato, certificazionitecniche, sistema di produzione, finanza e, non da ulti-mo, burocrazia. Si tratta di una montagna di novità cheimpegnerà per mesi i neo imprenditori nella ricerca degliequilibri giusti tra le diverse componenti di business, nelcontinuo ridisegnare il rapporto tra il prodotto e il merca-to, tra la struttura di costo e le partnership strategiche,tra i modelli di distribuzione e la gestione del cliente. Lafase di start up è dunque quel percorso che, con logica

adattativa, permette - e impone - la sperimentazione dinuovi assetti aziendali, nuovi rapporti con la filiera produt-tiva e distributiva, richiedendo per contro una continua ri-cerca di conferme dal mercato e un accesso a fonti di fi-nanziamento attente e lungimiranti.Siamo dunque di fronte a dei giovani motivati, che hannolavorato tantissimo per creare qualcosa di nuovo e chevedono la possibilità di introdurre sul mercato un nuovomodo di generare valore. Sono i semi di quella forestache darà aria pulita ai nostri figli. È infatti dimostrato nei dati di tutte le economie più avan-zate del pianeta, che il contributo delle start-up al rinno-vamento del sistema produttivo e sociale è un elementodeterminante, capace di generare enormi valori e vantag-gi competitivi di lungo periodo. Allora chiediamoci: possiamo mai permetterci di ignorar-li? Possiamo forse avere l’atteggiamento sufficiente edistratto che si ha verso dei ragazzini rumorosi che gio-cano a pallone giù in strada? Eppure in molti, moltissimi casi, è proprio questo l’atteg-giamento dominante che gli start-upper nostrani si trova-no a fronteggiare.L’Italia esprime aziende con grandissime competenze,che hanno formato negli anni i migliori tecnici al mondo,eppure pochissime di queste (quasi nessuna) ha codifi-cato nella sua organizzazione un programma di accom-pagnamento alle start-up di chi ci prova. Se i giovani im-prenditori potessero accedere in modo più continuativo estrutturato al supporto e all’esperienza delle nostre im-prese, la loro probabilità di sbagliare modello di business

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Strada in salita

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Fare impresa in Italia è difficile, ma se lastart-up è pure innovativa, gli ostacolidiventano quasi insormontabili. Eppureè dimostrato che il contributo delle start-up al rinnovamento del sistema produtti-vo e sociale è un elemento determinantenel generare vantaggi competitivi di lun-go periodo.

SALVATORE MAJORANA

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teggiare il problema dell’occupazione giovanile. Non capi-sco come non ci si ribelli con maggior forza al dato di fat-to che il 50% dei ragazzi, oggi, in Italia, non lavora, e cherischia di perdere perfino la speranza di lavorare. Questonon è un dato statistico, ma un dramma.

E cosa si può fare, per favorire un’anche piccola inver-sione di tendenza? Insistere con le politiche di sostegno alla formazione. Al dilà dell’evidenza che negli anni passati c’è stato un abusodi formazione finanziata dagli enti pubblici, Province inprimis, che hanno generato perfino, talvolta, una certadiffidenza nei suoi confronti. Perché quando dico insisterecon le politiche di sostegno, intendo dire, insomma, cheoccorre individuare e perseguire dei percorsi di accredita-mento dell’idea stessa della formazione presso i privati.Privati veri. Imprenditori, cioè, disposti a investire l’x percento del loro costo del personale in formazione. Bisognafar capire di più, e a più soggetti, che la formazione è fon-damentale nello sviluppo di un’azienda. In tempi difficili,investire in formazione può anche essere una maniera diriciclarsi, e ripartire. Le attività Education di ConfindustriaGenova stanno andando convintamente in questa dire-zione. Per esempio quando Confindustria, con alcuneaziende associate, collabora nella gestione di Istituti Tec-

nici (ICT e Marina Mercantile). O quando partecipa attiva-mente, come ha fatto, al Salone ABCD, che si è tenuto inFiera a metà novembre, consentendo l’organizzazione dibrevi seminari su numerose realtà aziendali per i gruppi distudenti che ne hanno fatto richiesta. O ancora quando,sempre a novembre, in occasione della Giornata naziona-le della Piccola e Media Industria, ha coordinato l’apertu-ra di 30 aziende associate a visite di scolaresche, per untotale di oltre 900 studenti. Piccole azioni di orientamen-to. Necessarie, tuttavia, per tenere insieme i percorsi, al-trimenti paralleli o addirittura divergenti, del mondo dellascuola e di quello dell’impresa.

Lungo quest’asse così fondamentale, ci sono altre ini-ziative in cantiere? Abbiamo aderito alla nuova edizione del progetto nazio-nale “La Tua Idea d’Impresa” e alla candidatura presso laRegione Liguria per la costituzione di vari poli tecnico-professionali, tra i quali quello in tema “Mare”, “Cultura,Comunicazione e Informazione” e “Meccanica”. Infine,abbiamo aperto il bando per la terza edizione del “Pro-getto Stage Docenti in Azienda”, che prevede il coinvolgi-mento di una settantina di professori di vari istituti scola-stici genovesi, coinvolti, fra marzo e aprile, in brevi stagedi uno o due pomeriggi in azienda.l (RMR)

Beppe Costa, delegato all’Education di ConfindustriaGenova e Presidente di Sogea, non ha dubbi. La forma-zione, garantendo un continuo aggiornamento delle co-noscenze tecniche e gestionali delle risorse umane, rap-presenta la spinta operativa per favorire il consolidamentodel posizionamento strategico di un’impresa nei mercati ela nascita di nuove attività imprenditoriali.

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Quello della formazione è un mondo complesso, checoinvolge tanto la scuola e l’università quanto le impre-se. Cos’è, per lei, in sintesi, la formazione?Un metodo per investire sulla persona. Oggi, per fortuna,non conta più la macchina da sola, ma la persona, a tuttii livelli. Soprattutto in un tempo di crisi come il nostro, sesi vuole crescere, occorre fare un’attenta programmazio-ne della formazione. Sia a livello scolastico, universitario,e post-universitario, che all’interno delle aziende, dove losviluppo e la valorizzazione delle risorse umane è un as-set imprescindibile in un’ottica di innovazione e sviluppo.La formazione è un processo continuo, che va promossoe supportato. A mio avviso, beninteso quando è unabuona formazione, non è mai una perdita di tempo, ma,tutto al contrario, un volano che può essere molto utile

per contrapporsi a una stagnazione che non è sempre esoltanto economica, ma spesso anche mentale. I bilanciaziendali, nel tempo, sono soggetti a oscillazione. Non sidà un grafico “piatto” di un trend aziendale. Le aziende ocrescono o implodono, e per aiutarle a crescere i dipen-denti hanno bisogno di ossigeno, di allenare il cervello elo spirito a rinnovarsi costantemente.

Si parla non senza ragioni del gap di alta formazioneche affligge l’impresa italiana, sopratutto quella di pic-cole dimensioni, storicamente povera di personale inpossesso di laurea e ancor di più di titoli post laurea.Da questo punto di vista, qual è lo scenario genovese? Da parte dell’Università di Genova c’è voglia di andaredietro alle imprese, di studiarne le evoluzioni concrete, “dimercato”, per avvicinare quanto più possibile la formazio-ne e l’offerta di competenze alla domanda di lavoro. Enon mi riferisco soltanto alla facoltà di Economia, ma an-che alle altre facoltà, comprese quelle di taglio umanisti-co. Prova ne sia la recente stipula di un accordo quadrofra noi di Confindustria Genova e l’Università, e la costru-zione, nel maggio scorso, di un gruppo di lavoro dedica-to. Puntualizzerei però anche sulla necessità di focalizzar-si con più attenzione sul sostegno di una formazione mi-rata a livello pre-universitario. Sullo sfondo, vedo gigan-

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Più formazione Per Beppe Costa non è tollerabile che il 50% dei giovani non abbia un lavoro:la pianificazione di percorsi formativimirati, anche pre-universitari, potrebbecontribuire ad abbattere questo dato.

BEPPE COSTA

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Il MES (Manufacturing Execution Systems) è l’insiemedi quei programmi software che permettono a un’aziendadi gestire efficacemente la propria filiera produttiva, facen-do dialogare l’area business con la fabbrica. Il team MESdi Siemens, a Genova, è il riferimento della casa madretedesca per lo sviluppo di prodotti per questo settore.Responsabile dell’R&D dal 1995 (nell’allora Orsi Automa-zione) è Maria Giuseppina Uccelli, ingegnere elettronico.

Dottoressa Uccelli, qual è stato il percorso che l’haportata, oggi, a dirigere il centro di Ricerca & Sviluppodi Siemens nell’ambito dell’automazione industriale?Dopo la laurea in ingegneria elettronica, avrei potuto rima-nere all’Università con un dottorato di ricerca, ma io vole-vo “fare cose”... Per un anno e mezzo ho lavorato negliStati Uniti, in un’azienda del settore avionico, dove mi so-no occupata di product management. Poi sono rientrataa Genova, alla Orsi Automazione, area Ricerca & Svilup-po, di cui sono diventata responsabile nel 1995. Nel 2000Siemens ha acquisito la società facendone il centro di ri-ferimento per il MES, di cui sono stata confermata re-sponsabile per le attività di R&D. Quello di Orsi con Sie-mens si è rivelato un matrimonio felice.

L’attività di ricerca richiede investimenti, in generalemolto ingenti e, spesso, senza alcuna garanzia di risul-tato: nelle scelte aziendali, quanto pesa la valutazionedel rischio di insuccesso o, viceversa, la redditivitàpossibile di un progetto di ricerca?La valutazione del rischio nel calcolo della redditività pesatantissimo. Gli investimenti che si devono mettere in cam-po per sostenere un progetto di ricerca sono rilevanti, equindi, in un’azienda, non basta avere una buona idea,creare il progetto e sviluppare il prodotto, ma serve capireanche dove andare e a chi venderlo, bisogna conoscere ilproprio posizionamento sul mercato e studiare i trendtecnologici a livello globale, anche con l’aiuto di esperti

analisti, perché un errore in questo senso può portare alfallimento del progetto.

Il binomio ricercatore-precario sembra contare pochis-sime eccezioni in Italia: secondo Lei esiste un problemadi mercato, dove domanda e offerta non si incontrano?La ricerca è, per sua natura, precaria. Quando si defini-sce un progetto che sembra avere una certa potenzialitàdi successo, il team di ricerca si organizza e comincia asvilupparlo. Se i risultati sono incoraggiati, il team si allar-ga, si consolida e diventa una start-up. Questo succedenegli Stati Uniti. In Italia la creazione di una nuova impresasu un progetto innovativo è resa ancora più complicatadalla rigidità del mercato del lavoro. Università e industria,poi, sono ancora molto lontane, i rispettivi interessi hannospesso obiettivi e orizzonti temporali diversi, il che rappre-senta un ostacolo nell’ottica di creare osmosi tra i duemondi. Credo che l’Università italiana dovrebbe rivedereprofondamente i percorsi di studio, per offrire agli studentiun livello di preparazione adeguato per competere in unmercato internazionale. Da inizio anno siamo agli Erzelli:Siemens ha riposto molte aspettative in un futuro di fortesinergia con la Facoltà di Ingegneria su progetti concreti.

La “conoscenza” è un fattore strategico di competitivitàper le imprese, e come tale va protetto; è immaginabileche un progetto di ricerca e i relativi risultati possano di-ventare una sorta di laboratorio “aperto” anche a sog-getti esterni alle imprese, dove i contributi si sommanoe danno origine a nuovi spunti di approfondimento?In questa direzione è stato fatto un importante passoavanti con la costituzione dei Cluster tecnologici naziona-li, ai quali partecipano centri di ricerca, università, impre-se, utenti finali, provando, concretamente, a fare rete suprogetti di interesse comune. Ma a livello mondiale la “co-noscenza” è già un “laboratorio aperto” da tempo: noinon possiamo rimanerne fuori.l (P.P.)

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La nuova sede di Siemens agli Erzelli

education & ricerca

Alla ricerca dellaconcretezza

MARIA GIUSEPPINA UCCELLI

In Siemens, agli Erzelli, Maria GiuseppinaUccelli guida alcune centinaia di ricercatori

esperti in automazione industriale.

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gio. Ma è anche vero che nel mondo non se la sono senti-ta in molti di investire in questo business. Di qui l’idea di in-vestire in nuovi “prodotti” superconduttivi. La stessa ASGsta sviluppando dei limitatori di corrente per utilizzi indu-striali e delle utility in particolare. Oggi la nostra filiera occu-pa circa 200 dipendenti con un fatturato di circa 30 milionidi euro all’anno e risulta attrattiva anche per manager congrandi esperienze che credono in questo percorso.

Il contesto locale quanto ha aiutato? Qui sul territorio c’erano non solo le competenze ma an-che compagni di viaggio come CNR, ENEA, INFM e INFNe alcuni giovani ricercatori ora lavorano nelle nostreaziende. A Settembre 2013 Genova ha ospitato Eucas,una manifestazione ottimamente organizzata dal team diCarlo Ferdeghini, direttore locale del CNR, che ha visto ri-uniti oltre 1000 massimi esperti del mondo supercondut-tività e anche il Premio Nobel Higgs.

Quale il segreto per coniugare ricerca e industria in ba-se alla vostra esperienza?Investimenti e corretta esecuzione dei piani. Riuscire a in-nestare sul “sistema ricerca” delle aziende guidate da ma-nager con esperienze industriali a livello internazionalepotrebbe dare una spinta al percorso evolutivo. In ASGper gestire un ricambio generazionale abbiamo cercato etrovato un top manager come Vincenzo Giori, già ammi-nistratore delegato di Siemens Italia. Tra i suoi compiti haquello di “portare” e “guidare” una nuova cultura e nuoviapprocci manageriali. E da poco anche in Paramed ab-biamo un nuovo amministratore delegato, Riccardo Ca-storina, esperto nel settore med-tech e nelle vendite. InColumbus siamo in una fase diversa ma, anche qui, ab-biamo “innovato” affidandoci da tempo ad un ricercatorediventato anche manager come Gianni Grasso che è il di-rettore generale. Insomma, investimenti dell’azionista, ricerca e manage-ment competente sono l’unica via possibile per esserecompetitivi nel futuro. Un mix di ingredienti che vale nonsolo nell’high-tech.l (P.P.)

Davide Malacalza, attraverso la sua holding Hofima,è azionista di ASG Superconductors, attiva nel settore deisuperconduttori per il mondo della ricerca. L’azienda con-trolla anche Columbus Superconductors, che produce uninnovativo cavo superconduttivo per la trasmissione del-l’energia, e Paramed che, proprio grazie alla tecnologiasuperconduttiva, ha realizzato un rivoluzionario sistema dirisonanza magnetica “green” e anticlaustrofobia.

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Come vi siete avvicinati al mondo della ricerca sotto ilprofilo industriale?Il nostro percorso tecnologico è iniziato nel 2001 con l’ac-quisizione dell’unità magneti dell’Ansaldo che si è andataad aggiungere alle altre attività di Famiglia. All’epoca ASG“ripartiva” con circa 70 dipendenti, una grande competen-za a livello internazionale nel settore superconduttività el’abitudine a lavorare pensando “alla commessa”. Aveva-mo chiaro, fin dall’inizio, quanto fosse importante il ruolodella ricerca in un’azienda che si posizionava a metà tramondo scientifico e industria. Ma avevamo anche altret-tanto chiaro che per portare a compimento il percorso diprivatizzazione e stare sul mercato - senza più appartene-re a una grande conglomerata e operando in un businessdi frontiera - erano necessari nuovi approcci manageriali.

Quali sono stati i passaggi decisivi sia sotto il profilodella Ricerca che sotto quello industriale?Oltre all’acquisizione e gestione di commesse internazio-nali, come quelle per il Cern e ITER, abbiamo fatto leva suinnovazione e ricerca per dare vita a due start-up, Colum-bus e Paramed. Aggiungendoci un mix di approccio im-prenditoriale e ingressi esterni provenienti dal mondo del-l’industria e della ricerca. Non ultima una buona dose diinvestimenti finanziari per creare e ingrandire le fabbriche.

I tempi però non sono stati velocissimi.A distanza di dieci anni Columbus inizia ad avere i primiriscontri su un innovativo cavo superconduttivo in Diboru-ro di Magnesio. Si tratta di un cavo che potrà avere appli-cazioni per la trasmissione di energia, sia nel mondo dellaricerca che in quello industriale, come l’eolico off-shoread esempio. Anche Paramed ha innovato sviluppandodal “foglio bianco” un nuovo sistema di risonanza magne-tica. Ai primi riscontri commerciali si affianca la soddisfa-zione di aver dimostrato che dai magneti superconduttivisi può arrivare a migliorare la vita dei “pazienti”.

Quindi una filiera high-tech nata dalle competenze lo-cali unite agli investimenti privati...Siamo partiti da tanti anni di ricerca e competenze di pre-

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Ricerca,investimentie manager

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Magneti per la ricercaIl nuovo stabilimentodi ASG Supercon-ductors a La Spezia:25.000mq con nuoviimpianti e attrezzatu-re per produrre bobi-ne superconduttriciper il reattore a fu-sione nucleare ITER.ASG ha già prodottoa Genova i magnetiper il Large Hadrone

Collider del Cern e, dietro la scoper-ta del “Bosone di Higgs” ci sono tec-nologie “Made in Genoa”. Vincenzo Giori è amministratore de-legato di ASG dal 2012 e riguardo il

tema “ricerca e industria” ci ha detto «In ASG affianchia-mo l’impegno nelle commesse internazionali di ricerca al-lo sviluppo di nuovi mercati e penso in particolare a siste-mi come l’SFCL, un limitatore di corrente supercondutti-vo. Le nostre sono aziende giovani e dovranno affrontarenuovi sviluppi, sia sotto il profilo dell’industrializzazioneche dei mercati, anche grazie a nuovi ingressi manageria-li. Se ci riusciremo quella che è già ora una privatizzazionedi successo diventerà esempio concreto di come svilup-pare nuove aziende, valorizzando competenze che eranogià presenti in loco ma destinate a scomparire».l

Mr OpenMrOpen, il sistema di risonanza magnetica “aperto” diParamed, è una combinazione di alta tecnologia, designinnovativo e soluzioni cliniche avanzate. La rivoluzionariaconformazione a U del magnete, oltre a fornire un confortpaziente di livello superiore, rende possibile l’esame fun-zionale e sotto carico del sistema muscoloscheletrico,mediante esami in posizione eretta e seduta. Le sue ca-ratteristiche lo rendono inoltre perfettamente integrabilecon le strumentazioni tipiche di una sala operatoria. Pro-

dotto a Genova nello stabili-mento Campi, utilizza magnetiprodotti da ASG e cavi super-

conduttivi in Dibo-ruro di Magnesio diColumbus ed è giàin funzione in alcu-ne cliniche e centridiagnostici d’eccel-lenza in USA, Ca-nada, UK e Italia.

Riccardo Castorina è ammi-nistratore delegato di Para-med dal 2013.l

MgB2Il filo supercondut-tivo in MgB2 - Di-boruro di Magne-sio progettato, svi-luppato e prodottoda Columbus Su-perconductors .

Gianni Grasso ex ricercatoreCNR è il direttore generale del-l’azienda dove guida circa 30addetti ad alta specializzazio-ne e 8 ex ricercatori. La fabbri-ca è stata recentemente am-pliata per produrre fino a 3000km di cavo all’anno.l

La ricetta Malacalza per la filierahi-tech della superconduttività.

DAVIDE MALACALZA