Dossier Ecomostri

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Dalla bellezza del territorio agli ecomostri Ho notato nella nostra regione aree non controllate, distrutte, aree protette violate, valori storici non sempre tenuti in conto. Ora occorre fornire segnali importanti di cambiamento di Tommaso Farenga pubblicato il 18 dicembre 2012 Mesi fa abbiamo raccontato la forza della bellezza, passando dai paesaggi geologici mozzafiato della Puglia ad un incontro svoltosi a Bari dal titolo La bellezza ci salverà. Non nascosi allora il mio personale entusiasmo per quel convegno che sembrava una speranza verso il futuro, dove si parlava della bellezza dei gesti, la bellezza delle cose e poi quella dei luoghi. In questi giorni ci occupiamo invece di cose meno belle, cioè degli “ecomostri“, interventi in grado di rappresentare un’alterazione perenne del territorio, realizzati nel disprezzo dei grandi valori ambientali. Non nascondo che ne parlo con profonda amarezza: sono profondamente legato alla mia regione, vero scrigno di ricchezze storiche, architettoniche, naturalistiche ed umane. Ma c’è amarezza anche per il ruolo professionale che esercito, quella professione di ingegnere che ho sempre sentito come un’occasione per contribuire alla crescita del paese. Per questo mi sento ferito nel leggere dei sequestri di ecomostri e dei problemi ambientali che ne derivano, spesso esasperati da molti ma che ritengo spesso giusti. La Regione Puglia però non è stata a guardare. In questi anni siamo diventati un riferimento in Italia, facendo tesoro di errori altrui e delineando strategie di governo del territorio all’avanguardia, fortemente partecipate. È partito anche un serrato controllo del territorio con recenti leggi che prevedono un concreto contrasto dell’abusivismo. Grandi interventi in molti settori hanno generato mostri, anche se maggiormente li ha generati uno sviluppo turistico che in questi anni ha seguito la logica dei grandi numeri : in passato più volte ho spesso evidenziato la delicatezza ed il rischio connessi a pressioni territoriali non sostenibili. La Puglia, partendo dai precedenti governi, è stata a volte aggredita da interventi incontrollati, dettati solo da logiche economiche devastanti, truccate con il più nobile degli obiettivi, il lavoro. Chiunque avesse un pezzo di terreno e fosse spregiudicato presentava istanza per La costa deturpata di Torre Mileto (FG)

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Articoli sugli ecomostri italiani

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Page 1: Dossier Ecomostri

Dalla bellezza del territorio agli

ecomostri

Ho notato nella nostra regione aree non controllate, distrutte, aree protette violate, valori storici non sempre

tenuti in conto. Ora occorre fornire segnali importanti di cambiamento

di To mmaso Fa renga pubblicato il 18 d icembre 2012

Mesi fa abbiamo raccontato la forza della bellezza, passando dai paesaggi geologici mozzafiato della Puglia ad un incontro svoltosi a Bari dal titolo La bellezza ci salverà. Non nascosi allora il mio personale entusiasmo per quel convegno che sembrava una speranza verso il futuro, dove si parlava della bellezza dei gesti, la bellezza delle cose e poi quella dei luoghi.

In questi giorni ci occupiamo

invece di cose meno belle, cioè

degli “ecomostri“, interventi in

grado di rappresentare un’alterazione perenne del territorio, realizzati nel disprezzo dei grandi valori

ambientali. Non nascondo che ne parlo con profonda amarezza: sono profondamente legato alla

mia regione, vero scrigno di ricchezze storiche, architettoniche, naturalistiche ed umane. Ma c’è

amarezza anche per il ruolo professionale che esercito, quella professione di ingegnere che ho

sempre sentito come un’occasione per contribuire alla crescita del paese. Per questo mi

sento ferito nel leggere dei sequestri di ecomostri e dei problemi ambientali che ne derivano, spesso

esasperati da molti ma che ritengo spesso giusti. La Regione Puglia però non è stata a

guardare. In questi anni siamo diventati un riferimento in Italia, facendo tesoro di errori altrui e

delineando strategie di governo del territorio all’avanguardia, fortemente partecipate. È partito

anche un serrato controllo del territorio con recenti leggi che prevedono un concreto contrasto

dell’abusivismo.

Grandi interventi in molti settori hanno generato mostri, anche se maggiormente li ha generati

uno sviluppo turistico che in questi anni ha seguito la logica dei grandi numeri: in passato

più volte ho spesso evidenziato la delicatezza ed il rischio connessi a pressioni territoriali non

sostenibili. La Puglia, partendo dai precedenti governi, è stata a volte aggredita da interventi

incontrollati, dettati solo da logiche economiche devastanti, truccate con il più nobile degli obiettivi,

il lavoro. Chiunque avesse un pezzo di terreno e fosse spregiudicato presentava istanza per

La costa deturpata di Torre Mileto (FG)

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realizzare insediamenti turistici in

zona agricola In nome del lavoro si

sono proposti numerosi interventi

con varianti speciali puntuali, che

dovevano servire per non perdere

investimenti produttivi, ma che si

sono trasformate in occasioni

per varianti urbanistiche di

interesse privato, varianti dettate

dalla sola logica del profitto e

funzionali a realizzare

trasformazioni urbanistiche incontrollate, diversamente non compatibili con le normative. Ottenuto

il permesso di costruire, quelle aree venivano vendute ad imprenditori, con un elevato incremento

di valore. Così sono sorti i primi ecomostri, funghi nati dove non sarebbe stato possibile, nelle

nostre aree rurali: e loro malgrado, gli strumenti sono stati prima la legge regionale 3 del 1998 (poi

abrogata), poi l’indiscriminato utilizzo del DPR 447/98.

La strategia di sviluppo del territorio sarebbe comunque dovuta passare attraverso

una pianificazioneattenta. Le numerose pratiche edilizie in variante approdate nei nostri comuni

costieri hanno generato impatto non solo sulle componenti ambientali, ma anche sull’economia dei

comuni, nonché sull’organizzazione del lavoro degli Uffici tecnici, fortemente gravati da carichi di

lavoro e spesso impreparati a gestire lo sviluppo edilizio. Anche le ingenti risorse economiche

derivanti dagli oneri sono state impiegate non all’interno di una strategia di valorizzazione del

territorio, ma di spreco.

Queste criticità hanno portato a far mancare

nell’ultimo decennio una logica di

pianificazione e programmazione. A volte ha

contato anche mancanza di sensibilità e in genere

di cultura. Un sistema in crisi a livello nazionale,

in cui significativa è anche la profonda crisi di

valori, ha fatto sì che mancassero il confronto, il

dialogo, la partecipazione dei cittadini, il

controllo, il coinvolgimento del territorio, delle

Università, degli Enti a vario titolo preposti alla

gestione e pianificazione del territorio. E’ venuto

a mancare un sistema complesso all’interno del

quale sarebbe dovuto avvenire quel complesso

sviluppo del territorio e mancando il quale molte

cose sono degenerate.

In questa foto, il Comitato Tutela Porto Miggiano segnala lo scempio dell'area

Porto Cesario (Punta Grossa) località Serricelle - ortofoto

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Ho notato nella nostra regione aree non controllate, distrutte, aree protette che non decollavano e

magari venivano violate, valori storici non sempre tenuti in conto. E’ un sistema che per fortuna è

stato bloccato con le nuove politiche regionali.

Ora occorre fornire segnali importanti: dal miglioramento della conoscenza di ciò che è

avvenuto, dall’individuazione dei ruoli che sono mancati; occorre trarre una lezione perché ciò non

accada più e si fermi lo scempio del territorio, favorendo invece trasformazioni importanti,

sostenibili e strategiche per uno sviluppo ordinato.

Page 4: Dossier Ecomostri

Cemento, il business

dell’ecocriminalità

L’ecomafia dilaga in gran parte del Paese: arte, animali, agroalimentare. Cemento e rifiuti si

confermano settori clou del florido business dell’ecocriminalità.

di Ma r i l isa Ro magno pubblicato il 18 d ic embre 2012

Il rapporto Ecomafia 2012, l’indagine annuale diLegambiente sull’illegalità ambientale, anche quest’anno ha fotografato una situazione grave e impressionante, con un business illecito dalle cifre scioccanti. L’indagine descrive i numeri dell’attacco smisurato al Belpaese e al suo patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e artistico da parte di ecocriminali e ecomafiosi che saccheggiano e distruggono il territorio mettendo in pericolo la salute dei cittadini e il futuro del Paese. Aumentano i reati contro il

patrimonio faunistico, gli incendi boschivi, i furti delle opere d’arte e dei beni archeologici. Triplicano gli illeciti nel settore agroalimentare.

E sono già 18 le amministrazioni comunali sciolte per infiltrazioni mafiose solo nei primi mesi del 2012, per reati spesso legati al ciclo illegale del cemento. Un dato allarmante che testimonia l’enorme pervasività della criminalità organizzata che sempre più s’infiltra nei circuiti economici e imprenditoriali legali.

Se tre miliardi di metri cubi di calcestruzzo vi sembrano pochi… -Con numeri straordinari

soprattutto se confrontati col business legale, si distinguono i reati nel ciclo dei rifiuti e del

cemento. Sono 6.662 gli illeciti e 8.745 le persone denunciate nel ciclo del cemento, dove

nonostante la crisi e il calo del 20% stimato dal Cresme nel mercato legale, l’abusivismo ha fatto

registrare 25.800 casi tra nuove costruzioni o grandi ristrutturazioni,con un fatturato che si

conferma stabile intorno a 1,8 miliardi di euro.

La “pressione” esercitata dal cemento illegale

s’inserisce in un contesto caratterizzato da

due criticità che affliggono il Belpaese: le

costruzioni realizzate in aree estremamente

fragili dal punto di vista idrogeologico e un

consumo del territorio che procede a ritmi

devastanti. Il nostro Paese, infatti, continua a

subire la piaga dell’abusivismo edilizio; è

tra i massimi produttori al mondo di

Lo scheletro dell'Hotel mai completato per i mondiali di calcio

del 1990 (foto Gianluca Albertari/Fotogramma)

Figura 1Il consumo del suolo in Italia è tra i più alti d'Europa, il

7,3%

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calcestruzzo e presenta una delle più alte percentuali di consumo del suolo in Europa, pari al 7,3%

della superficie totale. Tra il 1995 e il 2009, secondo gli ultimi dati dell’Ispra, sono state costruite

in Italia circa 4 milioni di nuove abitazioni, con l’impiego di circa 3 miliardi di metri cubi di

calcestruzzo.

Sparisce il territorio – Un “diluvio” di cemento che fa sparire ogni giorno circa 100 ettari di suolo.

Secondo il rapporto “Ambiente Italia 2011” di Legambiente, ogni anno sono circa 500 i

chilometri quadrati consumati dal cemento, con in testa la Lombardia, che raggiunge la cifra

del 14% di territorio fagocitato e il Veneto con l’11%. E ancora, negli ultimi 15 anni i suoli

urbanizzati sono aumentati del 12%, con 4.800 ettari trasformati per sempre a causa di interventi

edilizi. L’Agenzia del territorio ha identificato 1.081.698 unità immobiliari urbane mai dichiarate al

catasto; una buona parte di questo milione di “manufatti fantasma” si presume siano abusivi, del

tutto o in parte.

Tra crisi e illegalità - Le

informazioni raccolte finora

hanno già fatto emergere,

comunque, una mole imponente

di illegalità e/o scarsa trasparenza

nell’intero settore. Il mattone

illegale ha fatturato solo nel 2010

almeno 1,8 miliardi di euro.

Illegalità, corruzione, mafie

rappresentano il “cuore nero” di

un settore importante

dell’economia, quello legato alla filiera del calcestruzzo, alle opere pubbliche e all’edilizia privata,

che sta conoscendo una grave crisi e ha bisogno di una profonda riconversione, all’insegna della

legalità della trasparenza e della sostenibilità, ambientale ed energetica. Non è una sfida semplice ma

va affrontata fino in fondo, a partire proprio dalle regioni più ricche del nostro Paese.

Una intera area lottizzata ed edificata abusivamente

Page 6: Dossier Ecomostri

L’Ecomostro dietro casa

Il ruolo delle associazioni ambientaliste contro il dominio del cemento. Il “caso” Puglia.

di G iovanna Loda to pubblicato il 18 d icemb re 2012

Ecomostro ed ecomostri - Se si

parla di ecomostro la memoria

corre subito all’idea di grandi

palazzoni di notevole impatto

visivo posti, senza ragion veduta, in

luoghi di pregio sotto il profilo

paesaggistico. Eppure esiste tutta

una serie di micro-ecomostri che

vive all’interno delle città, in

prossimità delle strade che

abitualmente percorriamo o nelle

nostre campagne.

Un fenomeno possibile anche perché troppo spesso si va a costruire laddove una vera esigenza non

c’è. Come sottolinea il WWF in una nota «La superficie urbanizzata in Italia si è mediamente

moltiplicata negli ultimi cinquant’anni anni di 3,5 volte ovvero è aumentata di quasi 600 mila ettari,

equivalenti all’intera regione del Friuli Venezia Giulia, pari ad oltre 33 ettari al giorno e oltre 366,65

mq a persona». Per non parlare del fatto che «Negli ultimi sedici anni in Italia ci sono stati 3

condoni edilizi (nel 1985, nel 1994, nel 2003), che hanno prodotto 4,6 milioni di abusi, 75.000

l’anno, 207 al giorno, in termini di volumetrie, tra grandi e piccoli abusi, sono state edificati

illegalmente 800 milioni di metri cubi».

E nulla sembra voler cambiare nemmeno in prospettiva: lo spettro “ecomostro” non manca di

presentarsi a dieci anni dal primo Programma delle infrastrutture , presentato con la legge

Obiettivo. Come sottolinea ancora il WWF ad oggi «Le infrastrutture strategiche previste

interferiscono con 84 aree protette pari al 7% di tutte le aree tutelate; con 192 Siti di Interesse

Comunitario (SIC), pari all’8% di tutti i SIC italiani, con 64 International Bird Area (IBA), pari al

30% del totale».

Il caso “Puglia” - Allora come interrompere questo circolo vizioso che si va ad innescare anche in

seno alla progettazione dei vari tessuti urbanistici? Qualche spunto di riflessione arriva da una

regione come la Puglia che, oltre ad un imbarbarimento tutto italiano della politica del cemento, si

trova a fare i conti anche con la piaga dell’illegalità nel settore.

Struttura alberghiera sequestrata a Mattinata (Fg), in pieno Parco Nazionale

Page 7: Dossier Ecomostri

Secondo il Rapporto

Ecomafia 2012

diLegambiente alla Puglia

tocca quest’anno il terzo

posto con 683 infrazioni

accertate e con un

incremento pari al 20,7%

rispetto allo scorso anno.

Sono ben 1.040 persone

denunciate e 356 i sequestri

effettuati.

E nella “top ten” delle

province italiane per il

mattone illegale figura

proprio Foggia, al nono posto con 157 illeciti, il 57% in più rispetto al 2010. «Dopo la piaga del

ciclo illegale dei rifiuti, la provincia di Foggia, e in particolare il Parco Nazionale del Gargano,

sono colpiti oggi dall’abusivismo edilizio», dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente

Puglia, lo scorso ottobre, all’indomani del sequestro della struttura turistico-alberghiera “Il Porto”

di Mattinata (FG) nel Parco Nazionale del Gargano. «Inizi la stagione degli abbattimenti – sollecita

il presidente regionale di Legambiente – a partire dal villaggio costiero di Torre Mileto (FG), che

compare da anni fra i primi cinque ecomostri italiani da abbattere nella classifica del rapporto Mare

Monstrum di Legambiente».

Come reagire - «I dati sono preoccupanti – aggiunge ancora Tarantini – ma il fenomeno può

essere arginato attraverso un monitoraggio continuo delle aree “sensibili” da parte delle Forze

dell’Ordine. L’ottimo lavoro svolto dai Carabinieri del Comando provinciale di Foggia, del Nucleo

Operativo Ecologico di Bari e della Sezione

di Polizia Giudiziaria di Foggia e

coordinato dalla Procura della Repubblica

di Foggia, conferma l’esigenza di tenere

costantemente un’alta azione di contrasto al

mattone selvaggio che troppo spesso

deturpa le bellezze ambientali del nostro

territorio e arreca all’ambiente un danno

non di poco conto, senza contare il rischio

idrogeologico che potrebbe derivarne».

L’importanza delleassociazioni e

dellacittadinanza attiva - «Il problema per una regione come la Puglia non è soltanto quello dei

grandi ecomostri (sul modello di Punta Perotti, per intenderci) ma le lottizzazioni, l’urbanizzazione

La costa deturpata di Torre Mileto (FG)

L'iniziativa del WWF in Puglia

Page 8: Dossier Ecomostri

sul territorio condotti senza alcun rispetto per il paesaggio», fa presente Leonardo Lorusso,

presidente del WWF Puglia. Casi che spesso sollevano l’indignazione dei cittadini, come si è visto

con il progetto inedito del “Numero Verde per la segnalazione dei reati ambientali”, per consentire

ai cittadini di segnalare possibili reati ambientali sul demanio marittimo regionale.

Un’esperienza degna di nota, quella della Puglia, che da ben 9 anni, nel periodo che va dal 15

giugno al 15 settembre, porta avanti una sinergia di successo raggiunta fra il WWF Ricerche e

Progetti, il settore Demanio Marittimo della Regione Puglia, i Dirigenti del Demanio Marittimo

Regionale, il WWF Puglia e le Forze dell’Ordine. Quest’anno, in particolare, appaiono rilevanti i

reati relativi alla distruzione del sistema dunale costiero (11%), causato dal camping selvaggio (11%)

ma correlato anche alle costruzioni abusive (13%) e a casi di cementificazioni lungo le coste.

«É fondamentale per il territorio l’azione di repressione che può avere un’iniziativa come quella del

Numero Verde – aggiunge Lorusso -. Sapere che gli stessi cittadini vanno a segnalare gli illeciti

scoraggia il prosieguo degli stessi, assumendo un valore preventivo. Il presidio che le associazioni

(ma anche i privati) possono assumere – conclude – resta tra i punti chiave per combattere

fenomeni legati all’illegalità e alle brutture che vanno a segnare il paesaggio».

Page 9: Dossier Ecomostri

Abusivismo edilizio, il fenomeno

criminale che minaccia il Gargano

Ne abbiamo parlato con Angelo Colacicco, comandante del Nucleo Operativo Ecologico di Bari. Il

capitano: «Staneremo i “furbetti” della villeggiatura nel Parco del Gargano»

di Ma r ia Graz ia Fr isa ld i pubblicato il 18 d icembre 2012

Cementificazione selvaggia, stravolgimento

del paesaggio, alterazione dell’ambiente:

tutto questo è abusivismo edilizio. Più

suggestive e caratteristiche sono le location,

più gli “ecomostri” si dotano di finiture di

pregio e confort; più rinomate sono le

località interessate e più gli abusi del

paesaggio si trasformano in occasioni

dibusiness. Un fenomeno che funesta in

lungo ed in largo la Puglia, concentrandosi

nello sperone d’Italia, ovvero sul Gargano.

Ne abbiamo parlato con il capitano Angelo

Colacicco, comandante del Nucleo

operativo ecologico di Bari.

Capitano, può aiutarci ad inquadrare

meglio il fenomeno?

«L’abusivismo edilizio in Italia è un

fenomeno incancrenito che minaccia la

società, la pubblica salute e l’ambiente.

Storicamente i primi fenomeni di edificazione in spregio delle normative urbanistiche sono da

attribuirsi al post Seconda Guerra Mondiale, in particolare ove i centri urbani erano stati ridotti in

macerie. Negli anni ’60 e ’70 si afferma la corsa alla “seconda casa” e l’esigenza di investire i propri

risparmi nel sicuro e redditizio “mattone”. L’aumento della domanda edilizia aumentò tanto da

ricorrere anche all’abusivismo edilizio, perché prometteva velocità di esecuzione grazie all’assenza

del farraginoso iter burocratico e permetteva quindi di rispondere celermente agli investitori

attanagliati dalla caduta del potere d’acquisto del denaro a disposizione.

Sono abusive intere città della domenica ai margini delle città del settentrione, così come paesi della

domenica al meridione, in Puglia ed in maniera più incisiva nell’area garganica, costituiti da “casa

Litorale di Mattinata è uno dei punti più belli del Gargano

Page 10: Dossier Ecomostri

vacanze”. Giova rappresentare l’esistenza di interi quartieri e villaggi abusivi quali quelli realizzati

sul poco sicuro fazzoletto di terra che divide il lago di Lesina da quello di Varano, come Torre

Mileto, il quartiere di Tuppo delle Pile di Peschici».

In che modo si riescono a forzare le maglie della fitta rete di vincoli e autorizzazioni che

insistono su zone protette come quella del Parco nazionale del Gargano?

«L’astuzia dei criminali non ha confini. Un esempio concreto

potrebbe essere quella che è stata una complessa attività di

indagine sotto la direzione della Procura della Repubblica di

Foggia che ha portato al sequestro di importanti strutture del

valore di svariati milioni di euro il deferimento di

professionisti, quali ingeneri, geometri e responsabili di Uffici

Tecnici Comunali».

Ci spieghi meglio…

«Nella fattispecie, una Conferenza dei Servizi nell’anno 2005 –

tra i cui partecipanti figuravano membri necessari dell’Ente

Parco Nazionale del Gargano e della Soprintendenza del

Paesaggio della Regione Puglia – aveva valutato la concessione

di autorizzazione paesaggistica sul progetto integrato per la

società denominata Il Porto S.r.l. con atto denominato

“ Variante/quater” (per saperne di più leggi) Il progetto definitivo,

infatti, veniva approvato con la variante quater in quanto progressivamente ridimensionato perché

ripetutamente ritenuto “assolutamente non idoneo” alle tutele paesaggistiche. La variante, infatti, poneva

l’accento sulla tutela del paesaggio, con altezza massima di edifici non superiore alla vegetazione

esistente o da piantumare, con costruzioni discrete e defilate, volumi ridotti, con murature in opus

incertum tipico dei muretti a secco interpoderali alla tutela del belvedere e del panorama. Una volta

ottenuto il salvacondotto delle autorità preposte, nei mesi a seguire, in rapida successione, con una

richiesta di proroga del Permesso di Costruire, presentazione di Elaborati Integrativi al Permesso di

Costruire (palesemente difformi da quelli approvati in Conferenza di Servizi), nuovo permesso a

costruire rilasciato dall’UTC di Mattinata, una D.I.A. (Dichiarazione Inizio Attività), una “Variante

in DIA” dell’UTC ed una S.C.I.A. (Segnalazione Certificata Inizio Attività) si poneva in essere un

complicato raggiro affinché l’opera effettivamente realizzata corrispondesse nella quasi totalità a

quella presentata la prima volta e ritenuta non idonea dalla Conferenza dei servizi del 2005».

Il capitano angelo Colacicco (Foro Maria

Grazia Frisaldi)

Page 11: Dossier Ecomostri

E’ possibile individuare quelli che, generalmente, costituiscono o possono costituire gli

“anelli deboli” di questa

catena?

«L’anello debole della catena è

quasi sempre l’ingegnere

responsabile dell’Ufficio Tecnico

Comunale della giurisdizione

dove l’opera viene realizzata. La

realizzazione di un’opera illegale

passa dalla sua necessaria

criminale collaborazione perché a

lui, secondo le vigenti normative,

è devoluta la trattazione della

pratica sia nell’istruzione che nel

suo controllo».

Non si tratta, però, solo di paesaggio deturpato. Viene meno anche la sicurezza di inquilini

o avventori che entrano in contatto con queste strutture. In che modo?

«I permessi a costruire hanno intrinsecamente l’obiettivo di tutelare la pubblica salute affinché non

venga messa in pericolo da costruzioni poco sicure a causa di presenza di falde acquifere

superficiali, aree a rischio idrogeologico, lungo il corso dei torrenti o addirittura sui loro letti

temporaneamente asciutti, in zone ad alto rischio sismico. L’inosservanza delle regole urbanistiche

aumenta pertanto il rischio di subire le conseguenze di un evento catastrofico naturale.

L’abusivismo edilizio non è soltanto il mero rispetto delle regole a tutela di uno sviluppo ordinato

del territorio urbanistico ma anche è soprattutto un fattore di sicurezza per chi ci abita».

L’attenzione sul fenomeno resta alta: quali azioni saranno messe in campo per contrastare

queste realtà?

«Le armi a disposizione sono la tenacia e la professionalità che ha sempre contraddistinto il Nucleo

Operativo Ecologico, quale reparto specializzato dell’Arma dei Carabinieri. Siamo certi che

staneremo tutti i “furbetti” della villeggiatura nel Parco del Gargano e delle sue invidiatissime

coste».

La tutela del territorio è un fattore di sicurezza per chi lo abita

Page 12: Dossier Ecomostri

Ecomostro a 4 stelle? Il caso del

residence “Il Porto” a Mattinata

Lo scorso ottobre, il lussuoso residence in Contrada Principe è stato oggetto di una lunga e laboriosa

indagine condotta dai militari del Noe di Bari e coordinata dalla Procura di Foggia

di Ma r ia Graz ia Fr isa ld i pubblicato il 18 d icemb re 2012

Difficile definirlo “ecomostro”. Sì,

perché il fascino e il lusso del

residence a quattro stelle “Il Porto”, a

due chilometri daMattinata, avevano

conquistato tutti. Vip e clientela

d’oltremare compresa. Una struttura

mastodontica ed elegante, dal valore

stimato di 24milioni di euro: si può

vedere ad occhio nudo da lontano,

procedendo lungo la litoranea che

conduce a Vieste. Un brillante bianco

incastonato nel profilo della collina

che, per farvi spazio, è stata

completamente scavata.

Compromessa per sempre, come l’orografia del territorio. Solo qualche mese fa, lo scorso

ottobre, il complesso residenziale turistico – che fa capo ad Eliseo Zanasi, imprenditore edile e

presidente della Camera di Commercio di Foggia – è stato oggetto di una laboriosa indagine

condotta dai carabinieri del Noe di Bari, i militari del comando provinciale e della sezione di

polizia giudiziaria di Foggia e coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia. Latesi

sostenuta dagli inquirenti foggiani è chiara, messa nero su bianco: «che uno scorcio bellissimo e

internazionalmente invidiato quale quello del Belvedere di Mattinata» è stato «deturpato da una struttura turistica

alberghiera vastissima nell’estensione e che, nello

sventrare il monte sul quale è stato costruito, ha

completamente modificato l’orografia del territorio,

estirpato per sempre la fauna e la flora locale fatta

di macchia mediterranea e piccoli rapaci».

Località Mattinatella - scorcio

Procuratore Capo Vincenzo Russo e sostituti procuratori della

Procura di Fg - Titolari delle indagini

Page 13: Dossier Ecomostri

Indietro di sette anni - I lavori per la costruzione del complesso in Contrada Principe, a

Mattinatella, iniziarono sette anni fa. Dietro l’imponente costruzione, che sorge su una superficie di

circa 70mila metri quadri, vi era un progetto regolare, supportato da tutte le autorizzazioni edilizie,

compresi i pareri del Parco Nazionale del Gargano e della Sovrintendenza ai beni culturali. Ma –

come sostenuto dagli inquirenti della Procura di Foggia – nel corso degli anni, il progetto si è

evoluto, il complesso ha assunto altre forme, invadendo e aggredendo, allo stesso il tempo, il

territorio e il paesaggio, distruggendo un intero costone di roccia e macchia mediterranea. L’attività

investigativa condotta dalla Procura foggiana, dunque, avrebbe rilevato gravi irregolarità in

merito alla normativa edilizio/ambientale inerente la realizzazione di opere edili non

corrispondenti ai progetti, con permessi a costruire privi della obbligatoria e preventiva

autorizzazione paesaggistica dell’Ente Parco Nazionale del Gargano, deturpando l’area protetta che

le ospita. Il meccanismo per ottenere

dei permessi in totale sprezzo della

normativa vigente e della tutela

paesaggistica e naturalistica, nella sua

semplicità, «era ingegnoso e volutamente

capzioso, al fine di rendere difficilissimi, così

come è stato, gli accertamenti di liceità».

Basta confrontare il progetto originario

– quello autorizzato dagli enti preposti

– con quanto invece è stato realizzato

per rendersi conto dell’impatto che

quest’ultimo poteva avere sul paesaggio.

Il progetto iniziale prevedeva una serie

di casette servite da una piscina, il tutto

completamente immerso nel verde. A zero impatto visivo e ambientale, insomma. Nascosto,

mimetizzato nella macchia mediterranea, con i caratteristici muretti a secco, tipici di quella zona.

Ma nel corso degli anni, gli alberi sono stati sradicati e i muretti a secco – alti, da progetto, non più

di un metro – sono diventati muri in cemento alti 15 metri che garantivano a moltissime stanze e

suite la richiestissima “vista mare”. Tra le varie modifiche effettuate al progetto, sono stati

contestati, inoltre, numerosi terrazzamenti e la pavimentazione della rete viaria che serve il

complesso. Nell’immediatezza dei fatti, cinque persone – a vario titolo responsabili della struttura e

del suo progetto – vennero denunciate, ma sulla materia d’argomento sono in corso ulteriori

indagini. Sulle scrivanie delle Procure di Foggia e Lucera, infatti, vi sono molti faldoni all’attenzione

degli inquirenti, che si inseriscono in attività – organiche e programmate - di prevenzione e

repressione dei reati ambientali commessi sul territorio del Parco del Gargano, da anni soggetto a

violenta ed illegale speculazione edilizia.

Per le foto si ringrazia il Comando Provinciale dei Carabinieri di Foggia

Nelle foto aeree fornite dai carabinieri, l'intervento realizzato

Page 14: Dossier Ecomostri

Torre Mileto: dove l’abusivismo è di

casa

Sul Lago di Lesina sorge un villaggio di 2.800 case abusive edificate sulla sabbia senza fondamenta,

allacci e collegamenti alla rete fognaria. La politica temporeggia e le demolizioni sono sempre più una

chimera

di G io rg io Vent r ice l l i pubblicato il 18 d ic embre 2012

Nove chilometri di costa,

quattrocentocinquanta ettari di

terreno, cinquecento metri di

larghezza coast to coast: sono i

numeri del più

grandeabusivismo costiero

d’Italia. Siamo a Torre Mileto,

Comune di Lesina, terra di

Capitanata: circa

duemilaottocento case abusive

sono state costruite nei decenni

passati su terreni del demanio

pubblico, in unazona dichiarata

dall’Unione Europea Sito d’Importanza Comunitaria (SIC) e Zona di Protezione Speciale

(ZPS) perché meta delle rotte migratorie di numerose specie di uccelli, in pieno Parco Nazionale

del Gargano. L’insediamento di Torre Mileto è nella top five degli “Ecomostri di Legambiente”.

Il villaggio fantasma (ma non tanto) - Si tratta di unvillaggio costiero completamente

abusivo, costruito su una lingua

di terra che divide il mare

Adriatico dal Lago di Lesina. Le

costruzioni prive di fondamenta,

allacci e fognature a pochi metri

dal bagnasciuga, sono state

realizzate a partire dagli anni ’70,

con un incremento notevole di

edificazioni nei primi anni’80. L’elettricità per le singole utenze è fornita da generatori di corrente.

Losmaltimento delle acque reflue avviene tramite pozzi disperdenti e l’acqua per gli usi

domestici viene presa da pozzi scavati appositamente, con gravi rischi per la salute pubblica. Nel

caso di Torre Mileto non parliamo di abusivismo di necessità: infatti le abitazioni sono tutte

seconde caseappartenenti, per lo più, a cittadini residenti nella vicina Sannicandro Garganico. Un

Torre Mileto, Lesina - foto da elicottero (foto A.Fiore)

L'abusivismo edilizio a Torre Mileto parte dagli anni '70

Page 15: Dossier Ecomostri

vergogna collettiva da anni denunciata dalle associazioni ambientaliste, a cui sembra non esserci

rimedio. Nel 2009 la Regione Puglia, nell’ambito del Piano d’intervento di recupero territoriale

(Pirt), aveva approvato una delibera per l’abbattimento di una parte di queste costruzioni, circa

ottocento, entro il 2012 ma nulla di ciò è stato fatto. Le uniche demolizioni risalgono al 2004

quando il Comune di Lesina emanò un’ordinanza per abbattere quattro villette. Solo il canale

Schiapparo, che permette il ricambio delle acque dal lago verso il mare, ha impedito un ulteriore

scempio paesaggistico.

Dune addio - Le abitazioni

sono state costruire a ridosso sia

della spiaggia marina che si

quella lacustre, contravvenendo

alle normative in materia di

urbanistica e dissesto

idrogeologico. Il danno

ambientale arrecato

dall’abusivismo edilizio di Torre

Mileto è rilevante, soprattutto

per quanto riguarda la perdita

del sistema dunale: esso,

contribuisce a delimitare e

proteggere, interponendosi al

mare, ambienti umidi i laghi e le paludi costiere, oltre ad arginare naturalmente le acque alte marine.

Nonostante l’intera zona sia di demanio statale, le domande di condono edilizio presentate negli

ultimi decenni sono state numerose. Questo perché i proprietari delle case si sentono “vittima di

un’ingiustizia”, dato che hanno pagato nel corso degli anni tasse e balzelli emessi dallo Stato. C’è

una vero e proprio movimento che rivendica i “diritti degli abusivi” ad avere il condono edilizio,

secondo cui se lo Stato chiede denaro per le tasse automaticamente riconosce le ragioni dei

cittadini. Effettivamente, duemilaottocento case non nascono come funghi dall’oggi al domani, e le

istituzioni hanno parte delle colpe che, però, non giustificano l’atteggiamento di chi ha fatto

“orecchio da mercante”, innanzitutto, perché sul demanio dello Stato non si può né costruire

né lucrare con attività commerciali senza autorizzazione, come non è tollerabile che

l’ambiente venga distrutto solo per fregiarsi di avere una seconda casa al mare. Tutto ciò, a danno

dei cittadini e contribuenti onesti che pagano le tasse e che non posseggono abitazioni abusive.

Enorme è il danno ambientale arrecato dalle costruzioni abusive che

compromettono il sistema dunale della zona

Page 16: Dossier Ecomostri

Punta Perotti, una storia “finita”

La vicenda di uno storico ecomostro di Bari

di P ie r lu ig i De Sant is pubblicato il 18 d ic embre 2012

Dovrà rimanere inedificabile l’area che fino a

qualche anno fa ha ospitato lo

storico ecomostro diPunta Perotti. La

garanzia giunge dal sindaco di Bari, Michele

Emiliano, in seguito alle ultime vicende che

hanno portato il Tribunale di Bari a revocare la

confisca dei suoli su cui sorgeva l’ecomostro. Il

primo cittadino, a questo punto, ha proposto

allo Staro ed ai soggetti confiscati di spostare i

volumi edificabili in un’altra area oppure

procedere ad una variante al Piano Regolatore

Generale (PRG) che sancisca la volontà

dell’amministrazione comunale. L’obiettivo è

risolvere in maniera definitiva la vicenda di

quella che per anni è stata soprannominata la

“saracinesca” o “mostro” della città per le sue

notevoli dimensioni.

Una vicenda complicata - Alcune tappe

della Punta Perotti story sono state l’adozione ed

approvazione nel 1992 da parte del consiglio

comunale dei piani di lottizzazione proposti dalle aziende dei gruppi

imprenditoriali Andidero,Matarrese e Quistelli per la realizzazione del complesso immobiliare. Nel

1995 è rilasciata la concessione edilizia per la realizzazione dei blocchi A (mc 67.754) e B (mc

55.612) destinati a residenza, con un’altezza massima fuori terra di 45 metri, mentre il blocco N (mc

8.194) era destinato prevalentemente a terziario. Se da una parte, però, iniziano i lavori, dall’altra è

incominciata una vicenda giudiziaria che si è consumata nel corso di questi anni nelle aule di

giustizia e coinvolto cittadini ed associazioni ambientaliste. Ne ripercorriamo le tappe fondamentali.

Lo skyline del Lungomare di Bari "chiuso" dalla "saracinesca

del complesso di Punta Perotti - foto di Gianni Avvantaggiato

Page 17: Dossier Ecomostri

Stop and go – La Procura di Bari,

infatti, nel 1997ordina l’apposizione

deisigillisul complesso residenziale

perché non costruito secondo il

progetto e le norme vigenti mentre

la Corte di Cassazione, su ricorso in

via cautelare degli imprenditori

confiscati, annulla il decreto di

sequestro emesso dal G.I.P. di Bari e

dispone il dissequestro dei suoli e dei

cantieri. Nel 1999 al termine di un

processo è ordinata la confisca del

complesso edilizio, ritenendo la costruzione abusiva. La Procura Generale presso la Corte

d’Appello, però, sollecitata da movimenti ambientalisti e dal Ministero dell’Ambiente, propone un

ricorso in Cassazione avverso la sentenza di appello che nel 2001 dispone il ripristino della confisca

del complesso e dei suoli.

Il provvedimento è definitivo in

quanto non sono previsti ulteriori

gradi di giudizio.

…tutti giù per terra! - I

costruttori allora preannunciano

un ricorso per risarcimento dei

danni contro il Comune di Bari.

Nel settembre 2002 le tre imprese

costruttrici notificano a Comune

di Bari, Regione Puglia e

Soprintendenza ai beni

ambientali e culturali di Bari una

formale richiesta di risarcimento dei danni, materiali e d’immagine pari a 363 milioni di euro. Nel

novembre 2004 è avviato un tavolo di confronto tra il Comune di Bari ed i rappresentanti delle tre

imprese costruttrici con l’intento di trovare una soluzione immediata. A febbraio 2006 intanto il

Comune di Bari fissa le date della demolizione di Punta Perotti (2, 23 e 24 aprile) e consegna il

cantiere alla ditta che la dovrà eseguire. Da quel momento è iniziata un’altra fase della storia di

quell’area dove è sorto un parco urbano.

Movimenti ambientalisti e Ministero dell'Ambiente hanno svolto una

parte importante nella vicenda

La demolizione di Punta Perotti si svolge in tre fasi nell'aprile del 2006

Page 18: Dossier Ecomostri

Punta Perotti: perché l’Italia

pagherà 49milioni di euro (Parte I)

La vicenda di Punta Perotti, l’ecomostro più clamoroso della nostra città, si è chiusa con una

decisione di condanna per L’Italia. Ma perché?

di I sabe l la M i lano pubblicato il 18 d ice mbre 2012

L’interminabile vicenda giudiziaria di Punta

Perotti, a Bari, iniziata nel lontano 1996, si è

conclusa soltanto quest’anno, con la sentenza della

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 10

maggio scorso, che ha condannato l’Italia,

presentandole un conto salatissimo, il più alto mai

chiesto a uno Stato:49mln di euro di

risarcimento alle imprese Sud Fondi s.r.l.,

IEMA s.r.l. e Mabar s.r.l. Ma perché un prezzo

tanto alto?

La vicenda. Essa risale ai primi anni ’90, quando le suddette imprese ottennero, dal Comune di

Bari, il permesso di costruire sui terreni, di loro proprietà, siti lungo la zona costiera di Punta Perotti e

considerati edificabili ai sensi dell’allora P.R.G. (Piano Regolatore Generale). Nacque, così, il plesso

immobiliare di Punta Perotti.

Nel 1996, sull’onda lunga delle innumerevoli polemiche sorte a causa dell’orribile mostro di

cemento che deturpava il lungomare barese, i Sostituti Procuratori di Bari, Rossi e Angelillis,

avviarono le indagini per far luce sulla vicenda e, in quella occasione, emanarono un provvedimento

che scatenò l’interminabile bufera giudiziaria: ilsequestro preventivo del plesso e dei terreni,

motivato dal fatto che la zona costiera (deturpata) fosse un sito naturale protetto. Le imprese

impugnarono il sequestro in Cassazione, perché il sito, invece, secondo il P.R.G., non era area

vincolata e la richiesta fu accolta.

Il processo, allora, proseguì nei suoi tre i gradi di

giudizio: nel 1999 il Tribunale di Bari dichiarò

l’illegittimità dei permessi, perché basati su un

diritto urbanistico regionale, in netto contrasto con

una delle più importanti leggi italiane in materia di

tutela paesaggistica, cioè la L.n. 431/1985 (c.d.

Legge Galasso)(1 - per visionare i riferimenti

normativi clicca sui numeretti in grassetto tra

parentesi) (poi modificata dal Dlgs.n.42/04

La "saracinesca" sul Lungomare Perotti, all'ingresso sud

della città - foto di Gianni Avvantaggiato

Il sindaco di Bari Michele Emiliano intervistato poco

prima dell'abbattimento dell'immobile - foto di Gianni

Avvantaggiato

Page 19: Dossier Ecomostri

Codice Beni Culturali) (2), che vietava di edificare sui siti di interesse naturale, tra cui le zone

costiere. In base all’art.19 di questa, quindi, fu disposta la confisca del plesso e dei terreni, “per

fatto materiale illecito” (cioè la lottizzazione: legittima per il diritto urbanistico regionale, ma

illegittima per la Legge Galasso). Gli imputati, invece, furono assolti perché, “quel fatto

materiale”, benché illegittimo, non costituiva reato, ma soloillecito amministrativo. Non fu

possibile, cioè, dimostrare l’elemento soggettivo del reato (dolo o colpa) in capo agli imputati:

questi, infatti, furono giudicati in totale buona fede circa la liceità del permesso, (in quanto emanato

dal Comune e conforme al diritto urbanistico regionale) eassolutamente impossibilitati a sapere

o prevedere la conflittualità tra la L. Galasso e la legge regionale, perché “oscura” e di difficilissima

interpretazione.

Anche la Corte di Appello confermò l’innocenza dei costruttori e, in più, decise per la

revocadella confisca degli edifici, per assenza di requisiti, poiché considerò la confisca

una misura di natura penale e, come tale, applicabile solo in caso di reato o per sventarne di

nuovi. Ma in questo caso,

secondo i giudici, il reato non

c’era affatto.

Nel 2001, in fine, la Cassazione, a

sorpresa, ribaltò la sentenza di

appello e ripristinò la confisca,

perillegittimità “materiale” da

illecito amministrativo dei

permessi di costruire: si ritenne,

cioè, che i terreni e il plesso

fossero soggetti adivieto

assoluto di costruire e

a vincolo paesaggistico,ex art.19 L.Galasso (ora art. 44, 2°c., d.p.r.380/01,

T.U.Edilizia) (3) e, quindi, inedificabili. In altri termini, la Corte richiamò la giurisprudenza

prevalente dell’epoca, che considerava la confisca di natura amministrativa e non penale, per

cui doveva applicarsi, a prescindere dalla sussistenza del reato e per la sussistenza del fatto illecito.

Quanto agli imputati, ne confermò l’assoluzione, per assenza dell’elemento soggettivo, poiché loro

erano stati indotti in errore dalla oscura formulazione delle leggi e dal comportamento del Comune

che aveva rilasciato le autorizzazioni, ex art.5 c.p. (ignoranza della legge penale) (4) per errore

inevitabile e scusabile: se non si può conoscere o prevedere il contenuto di una norma penale,

non si è responsabili del reato.

Nel 2006, dunque, l’ecomostro di Punta Perotti fu abbattuto, ma la confisca dei terreni rimase

attiva. Le imprese, allora, adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per farla revocare.

L'abbattimento dell'ecomostro di Punta Perotti

Page 20: Dossier Ecomostri

Punta Perotti: perché l’Italia

pagherà 49 milioni di euro (Parte II)

Concluse le fasi processuali in Italia, il caso Punta Perotti approdò a Strasburgo

di I sabe l la M i lano pubblicato il 18 d ice mbre 2012

Le imprese costruttrici di Punta Perotti non hanno

mai accettato la decisione della Cassazione, relativa

alla confisca dei terreni e del plesso Punta Perotti e,

meno che mai, la sua demolizione. Pertanto,

esauriti i mezzi processuali italiani a disposizione,

adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di

Strasburgo (CEDU), sostenendo l’illegittimità della

confisca, ex art 7 della Convenzione Europea

dei Diritti dell’Uomo (CEDU anch’essa) (1 -

per visionare i riferimenti normativi clicca sui

numeretti in grassetto tra parentesi) e art. 1 del Protocollo n.1 (2) e chiedendo allo Stato italiano il

risarcimento dei danni subiti (davanti alla CEDU possono rispondere solo gli Stati UE).

Sentenza CEDU 2009. La Corte, con una macchinosa argomentazione, diede ragione alle imprese.

Presupposti normativi. L’art.7 sancisce il principio di legalità: nessuno può essere punito per un

fatto che, al momento in cui è stato commesso, non costituiva reato secondo la legge interna o

internazionale. Il principio, cioè, vieta di estendere i reati esistenti a fatti che, in precedenza, non erano

considerati come reati. Esso, perciò, impone che la legge penale deve essere sempre chiara e

prevedibile e deve definire esattamente i reati e le pene,

dando a ciascuno la piena possibilità disapere, attraverso il

testo di legge, quali atti implicano responsabilità penale

e quali no. L’art. 1 del Protocollo 1 (tutela della proprietà)

dispone che nessuno può essere privato della proprietà, se

non per causa di pubblica utilità e nei soli casi previsti

dalla legge.

Decisione. Su queste basi, la Corte, da un lato, definì la

natura penale e non amministrativa della confisca,

perché misura accessoria al reato, dall’altro, ritenne che

la sua applicazione al caso concreto fosse arbitraria e

Uno scorcio del parco di Punta Perotti,sorto sull'area

confiscata dal Comune di Bari

La "processione" di curiosi dopo

l'abbattimento della prima torre

Page 21: Dossier Ecomostri

contrastante con l’art.7, in quanto il reato, cui doveva essere collegata, era inesistente. E questo

perché il presupposto normativo dell’infrazione (cioè la norma che configurava la lottizzazione

abusiva) non era accessibile, conoscibile e prevedibile dai costruttori al momento del fatto

(“oscura” e di difficile interpretazione) e non li metteva in grado di sapere che la loro azione

sarebbe stata passibile di pena. Se, dunque, il fatto non costituiva reato perché non previsto

come tale dalla legge almomento della sua commissione, anche la confisca non poteva

esistere, per mancanza di previsione normativa. E per le stesse ragioni essa confliggeva anche con

l’art.1, Prot. 1 CEDU, che impone l’espropriazione solo nei casi previsti dalla legge.

Così, nel 2010, il GIP del Tribunale di Bari dispose la restituzione dei terreni, che intanto erano

diventati parco pubblico, alle imprese proprietarie.

Le imprese, però, non pienamente soddisfatte dalla restituzione dei terreni, adirono nuovamente la

CEDU. Strasburgo, accogliendo l’ennesimo ricorso, sollecitò allora una soluzione tra il governo

italiano e le parti. Ma questa non

arrivò. Quindi, si è giunti alla

pronuncia del 10 maggio 2012.

SENTENZA CEDU

2012.Strasburgo, riprendendo le

motivazioni del 2009, decide

per un’equa soddisfazione delle

imprese, ex art. 41 CEDU (3),in

quanto le norme CEDU erano

state violate e l’Italia, con la

restituzione dei terreni, aveva

riparato solo parzialmente,

mentre avrebbe dovuto

ripristinare lo “status quo ante”, per quanto possibile. L’Italia, quindi, subisce la condanna

esorbitante a 49mln di risarcimento, per le seguenti voci di danno: mancato indennizzo per la

demolizione del plesso, visti i costi che le imprese avevano sopportato per costruirlo; mancata

restituzione di alcuni terreni da parte del Comune di Bari, perché acquisti da esso, con conseguente

totale indisponibilità di essi da parte dei costruttori; mancata disponibilità dei terreni restanti

perché, benché restituiti, era solo un fatto virtuale, in quanto destinati ad area pubblica.

Il governo italiano, inoltre, deve rinunciare alle domande giudiziali, tuttora pendenti, per il rimborso

dei costi sostenuti dal Comune di Bari per la demolizione e per la riqualificazione dei terreni. E

forse, su questo punto, la Corte avrebbe potuto equamente bilanciare i diritti di entrambe le parti,

posto che la demolizione ossequiava le leggi ambientali nazionali, ripristinando la bellezza del

paesaggio costiero.

Lo skyline di Punta Perotti senza la "saracinesca" - foto di Gianni

Avvantaggiato

Page 22: Dossier Ecomostri

La Cementeria di Barletta

Un “archeoecomostro”, uno scempio edilizio risalente a cento anni fa, incombe ancora sulla città con

la sua struttura

di Do menico Tanga ro pubblicato il 18 d ic embre 2012

Sono passati moltissimi anni da

quando fu insediata la prima

ciminiera dellaCementeria di

Barletta (la sua inaugurazione

risale all’ottobre del 1912). Da

allora si sono avvicendati

moltissimi azionisti, proprietari e

imprenditori nei suoi uffici

amministrativi e sono passati

moltissimi anni durante i quali

le polveri sottili prodotte dalla

cementeria si sono posate

costantemente e silenziosamente

dovunque, sugli alberi, sui cespugli, sui balconi, sulle inferriate, sulle terrazze degli edifici, sulle case

vicinissime all’azienda. Oggi, le polveri sono meno visibili; l’ultimo gruppo di proprietari,

probabilmente colto, forse, da un senso di colpa, ha montato filtri e barriere ai fumi ed alla polvere

di cemento.

A vederla da vicino sembra una grande portaerei sulla terra ma smembrata, costituita da migliaia di

elementi funzionalmente connessi tra loro, razionalmente progettati per produrre il massimo

servizio, il massimo profitto,

senza rendersi conto

del massimo disordine visivo,

dell’obsolescenza e del senso di

abbandono che un tale ammasso

di elementi funzionali produce,

come impatto visivo, nella città

vivente.

La Cementeria di Barletta fu inaugurata 100 anni fa

L'altezza anomala della torre della cementeria è al di fuori di ogni vincolo

urbanistico

Page 23: Dossier Ecomostri

E’ il prodotto dell’immaginazione ingegneristica prona al capitalismo più sfrenato e

indifferente alla storia e alla comunità che la ospita.

Inoltre, alcuni anni fa, a completamento del già infelice prodotto urbano realizzato, fu

concessionata, con tutte le autorizzazioni del caso, la costruzione di una torre altissima, si

racconta che sia alta cento metri. La torre, anch’essa costruita in cemento armato gettato in opera e

lasciata con il suo grigio naturale scabro a vista, è il risultato perfetto di un prodotto dell’ingegneria

industriale e del pensiero dell’ingegneria dominante in provincia. Il dato alquanto anomalo è la sua

altezza, fuori da ogni vincolo urbanistico. Sappiamo che nelle norme urbanistiche di qualsiasi piano

regolatore vigente, nelle sue norme transitorie è sempre inserita una clausola che permette

interventi speciali finalizzati alla costruzione di volumi speciali, come i grandi volumi tecnici per le

Aziende, anzi per i Cavalieri del Cemento, giustificando probabili aumenti dei posti di lavoro, senza

nessun veto, nessun percorso ad

ostacoli, nessun ritardo

amministrativo.

Loro possono costruire sempre e

dovunque, e nel caso specifico,

anche con norme speciali del

P.R.G. che, giustificando ogni

intervento in un modo

amministrativamente

impeccabile, non giustificano

però il risultato architettonico

urbano a poche centinaia di metri

dal Castello Svevo-Normanno-

Angioino, composto da una

somma di elementi scomposti che creano, una poltiglia visiva di cemento, acciaio, vetro,tutti

dimenticati da anni, forse dalla data della costruzione originaria e da allora rimasti fissi nel tempo,

senza nessuna manutenzione ordinaria o straordinaria risultando oggi rotti, precari, frantumati,

arrugginiti ma ormai, acquisiti dall’immaginario collettivo come architettura urbana ineluttabile

realizzata con forme abbandonate dal tempo e dagli uomini.

Tutto ciò produce un’architettura urbana estrema, orrida, malsana, che corrode i principi

dell’architettura di una città, che s’insinua nella mente delle generazioni future, convincendoli

dell’idea che l’errore progettuale urbanistico e ingegneristico è norma. E’ l’estremo risultato

dell’abbandono della qualità urbana e suburbana nutrita da edifici, funzioni, materiali e

comportamenti che erodono e si contrappongono in modo stridente all’antica storia della città di

Barletta e ai suoi valenti uomini nonché ai segni di una civiltà dimenticata dove ogni elemento era

ed è un’ottima fusione della cultura del bello, della forma, della funzione della storia della città e

del paesaggio urbano di cui ogni città è composta.

E' massimo il senso di abbandono della qualità urbana che si ricava da queste

architetture

Page 24: Dossier Ecomostri

Porto Miggiano, dal Salento un

brand per tutto il mondo

Sbarca sui social network la protesta per salvare una delle aree più suggestive della Puglia. Con risultati

insperati

di Luc ia S ch inzano pubblicato il 18 d icemb re 2012

Ad aprile del 2011 (per tanti

salentini già periodo da gite a

mare) l’ingresso alla cala diPorto

Miggiano, nei pressi di Santa

Cesarea, viene chiuso con dei

cancelli per lavori. La zona, una

delle più suggestive del Salento e

da sempre aperta al pubblico,

comprendeva fino al 2011 un

ampia zona verde sopravvissuta

alla costruzione di un resort con

piscine progettato negli anni ’80.

Da un giorno all’altro l’accesso alla

famosa “cala dei 100 scalini” e la

discesa a mare per uno dei luoghi

più belli del Salentoviene così sbarrata, senza un cartello che informi dell’inizio di nuovi lavori; tutta

l’area diventa un enorme cantiere e chiunque passi dalla litoranea non può non notare quell’enorme

opera di sbancamento, quel fortissimo contrasto con l’immagine che da sempre tutti hanno di Porto

Miggiano Nasce così su Facebook il Comitato di tutela per Porto Miggiano, dall’intuizione di un

utente che pubblica le prime foto di quello che, come dimostrano i numeri degli utenti ed i loro

commenti, in molti reputano un

vero e proprio scempio.

Una protesta a macchia d’olio -

Dall’estate 2011 si sono succedute

iniziative di protesta e di

sensibilizzazione dell’opinione

pubblica – salentina e non – sempre

più seguite e pubblicizzate: sit-in,

una raccolta di firme per chiedere

all’assessore regionale al territorio

Angela Barbanente di inserire il

Da aprile 2011 Porto Miggiano si presenta così

Nandu Popu dei Sud Sound System indossa la maglietta col logo del Comitato

Tutela Porto Miggiano durante la Notte della Taranta 2011

Page 25: Dossier Ecomostri

territorio di Santa Cesarea nel Parco Otranto-Santa Maria di Leuca, interrogazioni parlamentari, un

concorso letterario e uno fotografico diffuso su facebook; sempre da facebook parte la “Raccolta di

firme 2.0″, con tanto di kit comprendente moduli raccolta firme, articoli di giornale, volantini «La

raccolta di firme tra la gente ha permesso di verificare come le persone, una volta informate di quello

che stava succedendo a Porto Miggiano, fossero tutte dalla nostra parte. Il sentimento più evidente era

la rabbia, insieme alla voglia di collaborare alla nostra battaglia», spiega Diego, una delle anime del

gruppo su Facebook. La mobilitazione coinvolge anche un evento internazionale come la Notte della

Taranta e richiama artisti del calibro dei Sud Sound System, seguiti da molti altri nei mesi seguenti e da

un’attenzione crescente di programmi di informazione, per arrivare all’interesse di Legambiente, che per

anni si era battuta contro la cementificazione dell’area, prima di “abbandonare” la battaglia, dicono i

rappresentanti del comitato. Alla fine di settembre 2011 l’accesso alla spiaggia viene definitivamente

chiuso per i lavori di consolidamento del costone roccioso pericolante, reso ancora più a rischio dai

lavori e dalle edificazioni a pochi metri di due complessi turistici. Nonostante i lavori di messa in

sicurezza siano pubblici e teoricamente a favore della cittadinanza, ripristinando una discesa a mare

pubblica, l’impatto è tremendo. Tutto quello che era naturale adesso è stato trasformato in una cava e la

presenza delle ruspe ne sta straziando ancora di più ciò che ne resta.

«La gente è con noi» – Negli ultimi

mesi, dopo la pubblicazione delle

fotografie dei lavori di consolidamento,

particolarmente forti perchè presentano

un territorio devastato rispetto alle

immagini bellissime di pochi mesi

prima, la sollevazione popolare e la

risposta della gente sono state

fortissime.E’ proprio la risposta

popolare a rendere a dir poco euforico il

Comitato di tutela per Porto Miggiano

che già nel suo logo (un girotondo a

protezione della torre saracena che

dominava fino a poco fa il panorama)

punta l’attenzione sulla presa in carico collettiva di una battaglia contro la distruzione di un’area di rara

bellezza. «Quella per Porto Miggiano non sarà certo la battaglia che salverà il Salento – spiegano dal

comitato -, tuttavia, siamo sicuri che la consapevolezza della gente, che quando informata è sempre a

sfavore di qualsiasi intervento che danneggia il territorio, è il mezzo per ostacolare seriamente i progetti

devastatori. Paradossalmente il valore aggiunto che la Puglia ed il Salento in particolare hanno saputo

fornire ai turisti, diventando in una quindicina d’anni meta ambita per il turismo di massa, è proprio

quello che verrà a mancare dopo gli interventi di consolidamento della falesia. Tipicità, natura

incontaminata, tradizioni, una forte identità, un’accoglienza calorosa, tutto ciò sta venendo a mancare e

irrimediabilmente allontanerà i tanto desiderati turisti, lasciando vestigia fatte di ecomostri mai

I lavori di consolidamento della falesia stanno mettendo a rischio uno dei

tratti più suggestivi del Salento

Page 26: Dossier Ecomostri

abbattuti, una terra impoverita dallo sfruttamento commerciale che avrà arricchito solo lobby e

speculatori».

(le foto a corredo dell’articolo sono tratte dalla pagina facebook del Comitato Tutela Porto Miggiano)

Page 27: Dossier Ecomostri

Un ecomostro a Niscemi

Si tratta del MUOS, base militare americana che, di fatto, rappresenta un grande pericolo vitale ed

ambientale per gli abitanti del paese siculo

di C laud io Mast rodona to pubblicato il 18 d ice mbre 2012

Forse non tantissimi conoscono

ilMobile User Objective System, ma

a molte persone fischiano le orecchie se

sentono pronunciare la sigla MUOS.

Agli abitanti di Niscemi sicuramente. In

poche righe abbiamo posto diversi

argomenti sul tavolo della discussione;

quindi sarà bene andare per gradi.

Cos’è il MUOS? È un sistema di

comunicazione satellitare ad altissima

frequenza che è stato progettato

dal Dipartimento della Difesa degli

Stati Uniti sin dal 2003 ed è ormai

arrivato ad una fase avanzata della sua realizzazione; lo scopo è quello di migliorare il servizio ed

implementare la conoscenza degli spostamenti (soprattutto quelli militari, naturalmente) ed i

movimenti terrestri, navali ed aerei per mezzo dell’azione combinata di quattro satelliti in orbita e

quattro stazioni terrestri.

Allarme da Niscemi – Una di

queste stazioni è stata

installata proprio nel paese

siculo in provincia di

Caltanissetta; tre gigantesche

parabole dal diametro di 18

metri e due torri radio di

circa 159 metri di altezza. E il

danno è stato grande,

innanzitutto per la location:

come riporta il Corriere del

Mezzogiorno dello scorso 6

ottobre – nelle pagine

dedicate alla cronaca di Palermo –, «la stazione radio si trova nella riserva naturale “Sughereta di

Il Mobile User Objective Sistem (MOUS) è un sistema di comunicazione

satellitare ad altissima frequenza progettato dal Dipartimento della

difesa degli Stati Uniti

La stazione MUOS si trova nella Riserva naturale Sughereta di Niscemi, un'area

ad assoluta inedificabilità

Page 28: Dossier Ecomostri

Niscemi”, area a inedificabilità assoluta, in un sito di interesse comunitario»; ed in effetti anche le

istituzioni comunali (in opposizione alla direttive della Regione) si sono sollevate di fronte a questa

contraddittoria situazione, ottenendo nell’ottobre 2011 un perentorio “no” dal Tar di Palermo di

fronte alla richiesta del Comune di Niscemi di sospendere i lavori. Un danno ambientale, dunque,

ma anche e soprattutto una minaccia alla salute dei cittadini: le radiazioni delle onde radio possono

essere letali nel raggio di 140 km, e – come tende a sottolineare il giornalista ed attivista

antimilitarista Antonio Mazzeo – «l’esposizione alle emissioni elettromagnetiche del MUOS può

uccidere in meno di sei minuti», o comunque queste possono provocare varie forme di tumori,

leucemie, infarti, aborti, sterilità e malformazioni dei sistemi immunitari.

“NO MUOS” – Proprio per dar

voce a tutto il dissenso popolare

è attivo dal 25 febbraio 2009 il

movimento “NO MUOS” –

come testimonia anche il

relativosito – per divulgare ciò

che sta succedendo, con

l’obiettivo dichiarato non solo di

«mettere in pratica una semplice

manifestazione, bensì una vera e

propria forma di protesta

continua ed

organizzata». Petizioni, eventi e

manifestazioni coinvolgono

anche i paesi limitrofi (ad

esempio sono sorti comitati “NO MUOS” a Gela e Caltagirone). Fra le tante voci, particolarmente

significativa è la testimonianza di Rita Borsellino, europarlamentare del PD: «È un fatto

importantissimo che tante persone diverse si trovino perfettamente d’accordo, nel momento in cui

si tratta di tutelare il proprio territorio, la propria salute, il proprio futuro e dire “no” a strumenti

che hanno attinenza con l’idea della guerra e non della pace».

Tra le voci a sostegno del movimento NO MUOS, l'europarlamentare PD Rita

Borsellino

Page 29: Dossier Ecomostri

L’ecomostro in Africa: colpa della

cooperazione sbagliata

Non è pensabile prevedere di costruire senza tener conto delle tradizioni e degli usi della popolazione

locale. Ma un concorso di idee ridarà un’anima all’ecomostro

di Fu lv io D i G iuseppe pubblicato il 18 d icembre 2012

Il termine più abusato è “cattedrale nel

deserto”. Ma qui di deserto c’è poco.

Nonostante siamo nella parte occidentale

dell’Africa, in Guinea Bissau, anche qui

gli ecomostri possono trovarsi in pieno

centro. E sono causati da una sciagurata

opera dicooperazione allo sviluppo.

Quellacooperazione che dovrebbe

promuovere la realizzazione di opere utili,

sostenibili e con impatto ambientale

minimo e che a volte, invece, finisce per

trasformarsi in killer del paesaggio. Ne

sanno qualcosa a Bissau, capitale della

piccola nazione confinante con il Senegal, tra i paesi con il più basso indice di sviluppo umano. Alle

spalle della Cattedrale, in una delle zone più centrali della città, da una decina d’anni campeggia una

enorme struttura incompiuta.

Una colata di cemento che porta con sé tutti i paradossi e gli orrori di una cooperazione

scellerata. Perché originariamente, l’idea della struttura prevedeva la creazione di un centro

polifunzionale che fungesse come una sorta di oratorio, con attività educative e ricreative per i

giovani della zona. Donata da italiani alla diocesi locale, complice la presenza e il forte legame con il

primo vescovo della Guinea Bissau (il veneto don Settimio Ferrazzetta), la struttura nasceva sotto i

migliori auspici. Posizione strategica, a poche centinaia di metri dall’ospedale pubblico, l’edificio è

però in una situazione d’abbandono da anni. E la diocesi è diventata succube di una situazione

ormai ingestibile: piloni, scale, muratura, ma tutto inutilizzabile. O meglio, lasciato a metà.

Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau

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Con l’ulteriore, grosso handicap di un

aggravio economico tuttora impossibile

da affrontare. Prevedere l’abbattimento

dell’intero edificio è infatti, come

prevedibile, molto più dispendioso di una

rivalorizzazione dell’intera struttura. Per il

recupero, però, gli zeri lievitano e siamo

sull’ordine delle centinaia di migliaia di

euro. Troppo per una piccola diocesi, che

si è ritrovata ad avere un regalo che di

fatto non può gestire. Colpa della

cooperazione, si diceva, perché in questa operazione è stato tutto miope, a cominciare dal

progetto. Non è pensabile prevedere di costruire senza tener conto delle tradizioni e degli

usi della popolazione locale. Sbagliato, per esempio, impostare le costruzioni su spazi

eccessivamente chiusi in un luogo in cui il contatto con la natura è fortemente radicato.

Inopportuno ricorrere a costruzioni su più piani, in un paese in cui la maggior parte della

popolazione vive in tabanças nei villaggi sparsi nelle foreste. Insomma, anche nell’edilizia è insito il

rischio di esportare ed imporre modelli di

cooperazione non necessariamente rispettosi della

cultura locale.

E’ a partire da queste considerazioni che una rete

di associazioni coordinate da una ong pugliese ha

pensato di indire un concorso di ideeper la

presentazione di progetti

di riqualificazionedell’immobile, rivolto ad

architetti e giovani studenti. Tra i requisiti

da rispettare l’utilizzo di materiali

biosostenibili.

A presentare l’iniziativa è stato Fabrizio

Caròla,architetto napoletano formatosi alla

Scuola nazionale superiore d’architettura di

Bruxelles che sin dagli anni Sessanta ha progettato

in Marocco, Mali e Mauritania. Recentemente

Caròla ha ricevuto il premio internazionale

Sgoutas,assegnato “per aver migliorato le

condizioni di vita in molti Paesi africani

rispettando la cultura locale”. Da circa trent’anni è

Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau

Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau

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impegnato a sostenere l’efficacia di un modello costruttivo, fondato sul recupero di elementi della

tradizione architettonica africana. A partire dai suoi spunti toccherà ai partecipanti ridare un’anima

all’ecomostro.