Dossier Ecomostri
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Dalla bellezza del territorio agli
ecomostri
Ho notato nella nostra regione aree non controllate, distrutte, aree protette violate, valori storici non sempre
tenuti in conto. Ora occorre fornire segnali importanti di cambiamento
di To mmaso Fa renga pubblicato il 18 d icembre 2012
Mesi fa abbiamo raccontato la forza della bellezza, passando dai paesaggi geologici mozzafiato della Puglia ad un incontro svoltosi a Bari dal titolo La bellezza ci salverà. Non nascosi allora il mio personale entusiasmo per quel convegno che sembrava una speranza verso il futuro, dove si parlava della bellezza dei gesti, la bellezza delle cose e poi quella dei luoghi.
In questi giorni ci occupiamo
invece di cose meno belle, cioè
degli “ecomostri“, interventi in
grado di rappresentare un’alterazione perenne del territorio, realizzati nel disprezzo dei grandi valori
ambientali. Non nascondo che ne parlo con profonda amarezza: sono profondamente legato alla
mia regione, vero scrigno di ricchezze storiche, architettoniche, naturalistiche ed umane. Ma c’è
amarezza anche per il ruolo professionale che esercito, quella professione di ingegnere che ho
sempre sentito come un’occasione per contribuire alla crescita del paese. Per questo mi
sento ferito nel leggere dei sequestri di ecomostri e dei problemi ambientali che ne derivano, spesso
esasperati da molti ma che ritengo spesso giusti. La Regione Puglia però non è stata a
guardare. In questi anni siamo diventati un riferimento in Italia, facendo tesoro di errori altrui e
delineando strategie di governo del territorio all’avanguardia, fortemente partecipate. È partito
anche un serrato controllo del territorio con recenti leggi che prevedono un concreto contrasto
dell’abusivismo.
Grandi interventi in molti settori hanno generato mostri, anche se maggiormente li ha generati
uno sviluppo turistico che in questi anni ha seguito la logica dei grandi numeri: in passato
più volte ho spesso evidenziato la delicatezza ed il rischio connessi a pressioni territoriali non
sostenibili. La Puglia, partendo dai precedenti governi, è stata a volte aggredita da interventi
incontrollati, dettati solo da logiche economiche devastanti, truccate con il più nobile degli obiettivi,
il lavoro. Chiunque avesse un pezzo di terreno e fosse spregiudicato presentava istanza per
La costa deturpata di Torre Mileto (FG)
realizzare insediamenti turistici in
zona agricola In nome del lavoro si
sono proposti numerosi interventi
con varianti speciali puntuali, che
dovevano servire per non perdere
investimenti produttivi, ma che si
sono trasformate in occasioni
per varianti urbanistiche di
interesse privato, varianti dettate
dalla sola logica del profitto e
funzionali a realizzare
trasformazioni urbanistiche incontrollate, diversamente non compatibili con le normative. Ottenuto
il permesso di costruire, quelle aree venivano vendute ad imprenditori, con un elevato incremento
di valore. Così sono sorti i primi ecomostri, funghi nati dove non sarebbe stato possibile, nelle
nostre aree rurali: e loro malgrado, gli strumenti sono stati prima la legge regionale 3 del 1998 (poi
abrogata), poi l’indiscriminato utilizzo del DPR 447/98.
La strategia di sviluppo del territorio sarebbe comunque dovuta passare attraverso
una pianificazioneattenta. Le numerose pratiche edilizie in variante approdate nei nostri comuni
costieri hanno generato impatto non solo sulle componenti ambientali, ma anche sull’economia dei
comuni, nonché sull’organizzazione del lavoro degli Uffici tecnici, fortemente gravati da carichi di
lavoro e spesso impreparati a gestire lo sviluppo edilizio. Anche le ingenti risorse economiche
derivanti dagli oneri sono state impiegate non all’interno di una strategia di valorizzazione del
territorio, ma di spreco.
Queste criticità hanno portato a far mancare
nell’ultimo decennio una logica di
pianificazione e programmazione. A volte ha
contato anche mancanza di sensibilità e in genere
di cultura. Un sistema in crisi a livello nazionale,
in cui significativa è anche la profonda crisi di
valori, ha fatto sì che mancassero il confronto, il
dialogo, la partecipazione dei cittadini, il
controllo, il coinvolgimento del territorio, delle
Università, degli Enti a vario titolo preposti alla
gestione e pianificazione del territorio. E’ venuto
a mancare un sistema complesso all’interno del
quale sarebbe dovuto avvenire quel complesso
sviluppo del territorio e mancando il quale molte
cose sono degenerate.
In questa foto, il Comitato Tutela Porto Miggiano segnala lo scempio dell'area
Porto Cesario (Punta Grossa) località Serricelle - ortofoto
Ho notato nella nostra regione aree non controllate, distrutte, aree protette che non decollavano e
magari venivano violate, valori storici non sempre tenuti in conto. E’ un sistema che per fortuna è
stato bloccato con le nuove politiche regionali.
Ora occorre fornire segnali importanti: dal miglioramento della conoscenza di ciò che è
avvenuto, dall’individuazione dei ruoli che sono mancati; occorre trarre una lezione perché ciò non
accada più e si fermi lo scempio del territorio, favorendo invece trasformazioni importanti,
sostenibili e strategiche per uno sviluppo ordinato.
Cemento, il business
dell’ecocriminalità
L’ecomafia dilaga in gran parte del Paese: arte, animali, agroalimentare. Cemento e rifiuti si
confermano settori clou del florido business dell’ecocriminalità.
di Ma r i l isa Ro magno pubblicato il 18 d ic embre 2012
Il rapporto Ecomafia 2012, l’indagine annuale diLegambiente sull’illegalità ambientale, anche quest’anno ha fotografato una situazione grave e impressionante, con un business illecito dalle cifre scioccanti. L’indagine descrive i numeri dell’attacco smisurato al Belpaese e al suo patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e artistico da parte di ecocriminali e ecomafiosi che saccheggiano e distruggono il territorio mettendo in pericolo la salute dei cittadini e il futuro del Paese. Aumentano i reati contro il
patrimonio faunistico, gli incendi boschivi, i furti delle opere d’arte e dei beni archeologici. Triplicano gli illeciti nel settore agroalimentare.
E sono già 18 le amministrazioni comunali sciolte per infiltrazioni mafiose solo nei primi mesi del 2012, per reati spesso legati al ciclo illegale del cemento. Un dato allarmante che testimonia l’enorme pervasività della criminalità organizzata che sempre più s’infiltra nei circuiti economici e imprenditoriali legali.
Se tre miliardi di metri cubi di calcestruzzo vi sembrano pochi… -Con numeri straordinari
soprattutto se confrontati col business legale, si distinguono i reati nel ciclo dei rifiuti e del
cemento. Sono 6.662 gli illeciti e 8.745 le persone denunciate nel ciclo del cemento, dove
nonostante la crisi e il calo del 20% stimato dal Cresme nel mercato legale, l’abusivismo ha fatto
registrare 25.800 casi tra nuove costruzioni o grandi ristrutturazioni,con un fatturato che si
conferma stabile intorno a 1,8 miliardi di euro.
La “pressione” esercitata dal cemento illegale
s’inserisce in un contesto caratterizzato da
due criticità che affliggono il Belpaese: le
costruzioni realizzate in aree estremamente
fragili dal punto di vista idrogeologico e un
consumo del territorio che procede a ritmi
devastanti. Il nostro Paese, infatti, continua a
subire la piaga dell’abusivismo edilizio; è
tra i massimi produttori al mondo di
Lo scheletro dell'Hotel mai completato per i mondiali di calcio
del 1990 (foto Gianluca Albertari/Fotogramma)
Figura 1Il consumo del suolo in Italia è tra i più alti d'Europa, il
7,3%
calcestruzzo e presenta una delle più alte percentuali di consumo del suolo in Europa, pari al 7,3%
della superficie totale. Tra il 1995 e il 2009, secondo gli ultimi dati dell’Ispra, sono state costruite
in Italia circa 4 milioni di nuove abitazioni, con l’impiego di circa 3 miliardi di metri cubi di
calcestruzzo.
Sparisce il territorio – Un “diluvio” di cemento che fa sparire ogni giorno circa 100 ettari di suolo.
Secondo il rapporto “Ambiente Italia 2011” di Legambiente, ogni anno sono circa 500 i
chilometri quadrati consumati dal cemento, con in testa la Lombardia, che raggiunge la cifra
del 14% di territorio fagocitato e il Veneto con l’11%. E ancora, negli ultimi 15 anni i suoli
urbanizzati sono aumentati del 12%, con 4.800 ettari trasformati per sempre a causa di interventi
edilizi. L’Agenzia del territorio ha identificato 1.081.698 unità immobiliari urbane mai dichiarate al
catasto; una buona parte di questo milione di “manufatti fantasma” si presume siano abusivi, del
tutto o in parte.
Tra crisi e illegalità - Le
informazioni raccolte finora
hanno già fatto emergere,
comunque, una mole imponente
di illegalità e/o scarsa trasparenza
nell’intero settore. Il mattone
illegale ha fatturato solo nel 2010
almeno 1,8 miliardi di euro.
Illegalità, corruzione, mafie
rappresentano il “cuore nero” di
un settore importante
dell’economia, quello legato alla filiera del calcestruzzo, alle opere pubbliche e all’edilizia privata,
che sta conoscendo una grave crisi e ha bisogno di una profonda riconversione, all’insegna della
legalità della trasparenza e della sostenibilità, ambientale ed energetica. Non è una sfida semplice ma
va affrontata fino in fondo, a partire proprio dalle regioni più ricche del nostro Paese.
Una intera area lottizzata ed edificata abusivamente
L’Ecomostro dietro casa
Il ruolo delle associazioni ambientaliste contro il dominio del cemento. Il “caso” Puglia.
di G iovanna Loda to pubblicato il 18 d icemb re 2012
Ecomostro ed ecomostri - Se si
parla di ecomostro la memoria
corre subito all’idea di grandi
palazzoni di notevole impatto
visivo posti, senza ragion veduta, in
luoghi di pregio sotto il profilo
paesaggistico. Eppure esiste tutta
una serie di micro-ecomostri che
vive all’interno delle città, in
prossimità delle strade che
abitualmente percorriamo o nelle
nostre campagne.
Un fenomeno possibile anche perché troppo spesso si va a costruire laddove una vera esigenza non
c’è. Come sottolinea il WWF in una nota «La superficie urbanizzata in Italia si è mediamente
moltiplicata negli ultimi cinquant’anni anni di 3,5 volte ovvero è aumentata di quasi 600 mila ettari,
equivalenti all’intera regione del Friuli Venezia Giulia, pari ad oltre 33 ettari al giorno e oltre 366,65
mq a persona». Per non parlare del fatto che «Negli ultimi sedici anni in Italia ci sono stati 3
condoni edilizi (nel 1985, nel 1994, nel 2003), che hanno prodotto 4,6 milioni di abusi, 75.000
l’anno, 207 al giorno, in termini di volumetrie, tra grandi e piccoli abusi, sono state edificati
illegalmente 800 milioni di metri cubi».
E nulla sembra voler cambiare nemmeno in prospettiva: lo spettro “ecomostro” non manca di
presentarsi a dieci anni dal primo Programma delle infrastrutture , presentato con la legge
Obiettivo. Come sottolinea ancora il WWF ad oggi «Le infrastrutture strategiche previste
interferiscono con 84 aree protette pari al 7% di tutte le aree tutelate; con 192 Siti di Interesse
Comunitario (SIC), pari all’8% di tutti i SIC italiani, con 64 International Bird Area (IBA), pari al
30% del totale».
Il caso “Puglia” - Allora come interrompere questo circolo vizioso che si va ad innescare anche in
seno alla progettazione dei vari tessuti urbanistici? Qualche spunto di riflessione arriva da una
regione come la Puglia che, oltre ad un imbarbarimento tutto italiano della politica del cemento, si
trova a fare i conti anche con la piaga dell’illegalità nel settore.
Struttura alberghiera sequestrata a Mattinata (Fg), in pieno Parco Nazionale
Secondo il Rapporto
Ecomafia 2012
diLegambiente alla Puglia
tocca quest’anno il terzo
posto con 683 infrazioni
accertate e con un
incremento pari al 20,7%
rispetto allo scorso anno.
Sono ben 1.040 persone
denunciate e 356 i sequestri
effettuati.
E nella “top ten” delle
province italiane per il
mattone illegale figura
proprio Foggia, al nono posto con 157 illeciti, il 57% in più rispetto al 2010. «Dopo la piaga del
ciclo illegale dei rifiuti, la provincia di Foggia, e in particolare il Parco Nazionale del Gargano,
sono colpiti oggi dall’abusivismo edilizio», dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente
Puglia, lo scorso ottobre, all’indomani del sequestro della struttura turistico-alberghiera “Il Porto”
di Mattinata (FG) nel Parco Nazionale del Gargano. «Inizi la stagione degli abbattimenti – sollecita
il presidente regionale di Legambiente – a partire dal villaggio costiero di Torre Mileto (FG), che
compare da anni fra i primi cinque ecomostri italiani da abbattere nella classifica del rapporto Mare
Monstrum di Legambiente».
Come reagire - «I dati sono preoccupanti – aggiunge ancora Tarantini – ma il fenomeno può
essere arginato attraverso un monitoraggio continuo delle aree “sensibili” da parte delle Forze
dell’Ordine. L’ottimo lavoro svolto dai Carabinieri del Comando provinciale di Foggia, del Nucleo
Operativo Ecologico di Bari e della Sezione
di Polizia Giudiziaria di Foggia e
coordinato dalla Procura della Repubblica
di Foggia, conferma l’esigenza di tenere
costantemente un’alta azione di contrasto al
mattone selvaggio che troppo spesso
deturpa le bellezze ambientali del nostro
territorio e arreca all’ambiente un danno
non di poco conto, senza contare il rischio
idrogeologico che potrebbe derivarne».
L’importanza delleassociazioni e
dellacittadinanza attiva - «Il problema per una regione come la Puglia non è soltanto quello dei
grandi ecomostri (sul modello di Punta Perotti, per intenderci) ma le lottizzazioni, l’urbanizzazione
La costa deturpata di Torre Mileto (FG)
L'iniziativa del WWF in Puglia
sul territorio condotti senza alcun rispetto per il paesaggio», fa presente Leonardo Lorusso,
presidente del WWF Puglia. Casi che spesso sollevano l’indignazione dei cittadini, come si è visto
con il progetto inedito del “Numero Verde per la segnalazione dei reati ambientali”, per consentire
ai cittadini di segnalare possibili reati ambientali sul demanio marittimo regionale.
Un’esperienza degna di nota, quella della Puglia, che da ben 9 anni, nel periodo che va dal 15
giugno al 15 settembre, porta avanti una sinergia di successo raggiunta fra il WWF Ricerche e
Progetti, il settore Demanio Marittimo della Regione Puglia, i Dirigenti del Demanio Marittimo
Regionale, il WWF Puglia e le Forze dell’Ordine. Quest’anno, in particolare, appaiono rilevanti i
reati relativi alla distruzione del sistema dunale costiero (11%), causato dal camping selvaggio (11%)
ma correlato anche alle costruzioni abusive (13%) e a casi di cementificazioni lungo le coste.
«É fondamentale per il territorio l’azione di repressione che può avere un’iniziativa come quella del
Numero Verde – aggiunge Lorusso -. Sapere che gli stessi cittadini vanno a segnalare gli illeciti
scoraggia il prosieguo degli stessi, assumendo un valore preventivo. Il presidio che le associazioni
(ma anche i privati) possono assumere – conclude – resta tra i punti chiave per combattere
fenomeni legati all’illegalità e alle brutture che vanno a segnare il paesaggio».
Abusivismo edilizio, il fenomeno
criminale che minaccia il Gargano
Ne abbiamo parlato con Angelo Colacicco, comandante del Nucleo Operativo Ecologico di Bari. Il
capitano: «Staneremo i “furbetti” della villeggiatura nel Parco del Gargano»
di Ma r ia Graz ia Fr isa ld i pubblicato il 18 d icembre 2012
Cementificazione selvaggia, stravolgimento
del paesaggio, alterazione dell’ambiente:
tutto questo è abusivismo edilizio. Più
suggestive e caratteristiche sono le location,
più gli “ecomostri” si dotano di finiture di
pregio e confort; più rinomate sono le
località interessate e più gli abusi del
paesaggio si trasformano in occasioni
dibusiness. Un fenomeno che funesta in
lungo ed in largo la Puglia, concentrandosi
nello sperone d’Italia, ovvero sul Gargano.
Ne abbiamo parlato con il capitano Angelo
Colacicco, comandante del Nucleo
operativo ecologico di Bari.
Capitano, può aiutarci ad inquadrare
meglio il fenomeno?
«L’abusivismo edilizio in Italia è un
fenomeno incancrenito che minaccia la
società, la pubblica salute e l’ambiente.
Storicamente i primi fenomeni di edificazione in spregio delle normative urbanistiche sono da
attribuirsi al post Seconda Guerra Mondiale, in particolare ove i centri urbani erano stati ridotti in
macerie. Negli anni ’60 e ’70 si afferma la corsa alla “seconda casa” e l’esigenza di investire i propri
risparmi nel sicuro e redditizio “mattone”. L’aumento della domanda edilizia aumentò tanto da
ricorrere anche all’abusivismo edilizio, perché prometteva velocità di esecuzione grazie all’assenza
del farraginoso iter burocratico e permetteva quindi di rispondere celermente agli investitori
attanagliati dalla caduta del potere d’acquisto del denaro a disposizione.
Sono abusive intere città della domenica ai margini delle città del settentrione, così come paesi della
domenica al meridione, in Puglia ed in maniera più incisiva nell’area garganica, costituiti da “casa
Litorale di Mattinata è uno dei punti più belli del Gargano
vacanze”. Giova rappresentare l’esistenza di interi quartieri e villaggi abusivi quali quelli realizzati
sul poco sicuro fazzoletto di terra che divide il lago di Lesina da quello di Varano, come Torre
Mileto, il quartiere di Tuppo delle Pile di Peschici».
In che modo si riescono a forzare le maglie della fitta rete di vincoli e autorizzazioni che
insistono su zone protette come quella del Parco nazionale del Gargano?
«L’astuzia dei criminali non ha confini. Un esempio concreto
potrebbe essere quella che è stata una complessa attività di
indagine sotto la direzione della Procura della Repubblica di
Foggia che ha portato al sequestro di importanti strutture del
valore di svariati milioni di euro il deferimento di
professionisti, quali ingeneri, geometri e responsabili di Uffici
Tecnici Comunali».
Ci spieghi meglio…
«Nella fattispecie, una Conferenza dei Servizi nell’anno 2005 –
tra i cui partecipanti figuravano membri necessari dell’Ente
Parco Nazionale del Gargano e della Soprintendenza del
Paesaggio della Regione Puglia – aveva valutato la concessione
di autorizzazione paesaggistica sul progetto integrato per la
società denominata Il Porto S.r.l. con atto denominato
“ Variante/quater” (per saperne di più leggi) Il progetto definitivo,
infatti, veniva approvato con la variante quater in quanto progressivamente ridimensionato perché
ripetutamente ritenuto “assolutamente non idoneo” alle tutele paesaggistiche. La variante, infatti, poneva
l’accento sulla tutela del paesaggio, con altezza massima di edifici non superiore alla vegetazione
esistente o da piantumare, con costruzioni discrete e defilate, volumi ridotti, con murature in opus
incertum tipico dei muretti a secco interpoderali alla tutela del belvedere e del panorama. Una volta
ottenuto il salvacondotto delle autorità preposte, nei mesi a seguire, in rapida successione, con una
richiesta di proroga del Permesso di Costruire, presentazione di Elaborati Integrativi al Permesso di
Costruire (palesemente difformi da quelli approvati in Conferenza di Servizi), nuovo permesso a
costruire rilasciato dall’UTC di Mattinata, una D.I.A. (Dichiarazione Inizio Attività), una “Variante
in DIA” dell’UTC ed una S.C.I.A. (Segnalazione Certificata Inizio Attività) si poneva in essere un
complicato raggiro affinché l’opera effettivamente realizzata corrispondesse nella quasi totalità a
quella presentata la prima volta e ritenuta non idonea dalla Conferenza dei servizi del 2005».
Il capitano angelo Colacicco (Foro Maria
Grazia Frisaldi)
E’ possibile individuare quelli che, generalmente, costituiscono o possono costituire gli
“anelli deboli” di questa
catena?
«L’anello debole della catena è
quasi sempre l’ingegnere
responsabile dell’Ufficio Tecnico
Comunale della giurisdizione
dove l’opera viene realizzata. La
realizzazione di un’opera illegale
passa dalla sua necessaria
criminale collaborazione perché a
lui, secondo le vigenti normative,
è devoluta la trattazione della
pratica sia nell’istruzione che nel
suo controllo».
Non si tratta, però, solo di paesaggio deturpato. Viene meno anche la sicurezza di inquilini
o avventori che entrano in contatto con queste strutture. In che modo?
«I permessi a costruire hanno intrinsecamente l’obiettivo di tutelare la pubblica salute affinché non
venga messa in pericolo da costruzioni poco sicure a causa di presenza di falde acquifere
superficiali, aree a rischio idrogeologico, lungo il corso dei torrenti o addirittura sui loro letti
temporaneamente asciutti, in zone ad alto rischio sismico. L’inosservanza delle regole urbanistiche
aumenta pertanto il rischio di subire le conseguenze di un evento catastrofico naturale.
L’abusivismo edilizio non è soltanto il mero rispetto delle regole a tutela di uno sviluppo ordinato
del territorio urbanistico ma anche è soprattutto un fattore di sicurezza per chi ci abita».
L’attenzione sul fenomeno resta alta: quali azioni saranno messe in campo per contrastare
queste realtà?
«Le armi a disposizione sono la tenacia e la professionalità che ha sempre contraddistinto il Nucleo
Operativo Ecologico, quale reparto specializzato dell’Arma dei Carabinieri. Siamo certi che
staneremo tutti i “furbetti” della villeggiatura nel Parco del Gargano e delle sue invidiatissime
coste».
La tutela del territorio è un fattore di sicurezza per chi lo abita
Ecomostro a 4 stelle? Il caso del
residence “Il Porto” a Mattinata
Lo scorso ottobre, il lussuoso residence in Contrada Principe è stato oggetto di una lunga e laboriosa
indagine condotta dai militari del Noe di Bari e coordinata dalla Procura di Foggia
di Ma r ia Graz ia Fr isa ld i pubblicato il 18 d icemb re 2012
Difficile definirlo “ecomostro”. Sì,
perché il fascino e il lusso del
residence a quattro stelle “Il Porto”, a
due chilometri daMattinata, avevano
conquistato tutti. Vip e clientela
d’oltremare compresa. Una struttura
mastodontica ed elegante, dal valore
stimato di 24milioni di euro: si può
vedere ad occhio nudo da lontano,
procedendo lungo la litoranea che
conduce a Vieste. Un brillante bianco
incastonato nel profilo della collina
che, per farvi spazio, è stata
completamente scavata.
Compromessa per sempre, come l’orografia del territorio. Solo qualche mese fa, lo scorso
ottobre, il complesso residenziale turistico – che fa capo ad Eliseo Zanasi, imprenditore edile e
presidente della Camera di Commercio di Foggia – è stato oggetto di una laboriosa indagine
condotta dai carabinieri del Noe di Bari, i militari del comando provinciale e della sezione di
polizia giudiziaria di Foggia e coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia. Latesi
sostenuta dagli inquirenti foggiani è chiara, messa nero su bianco: «che uno scorcio bellissimo e
internazionalmente invidiato quale quello del Belvedere di Mattinata» è stato «deturpato da una struttura turistica
alberghiera vastissima nell’estensione e che, nello
sventrare il monte sul quale è stato costruito, ha
completamente modificato l’orografia del territorio,
estirpato per sempre la fauna e la flora locale fatta
di macchia mediterranea e piccoli rapaci».
Località Mattinatella - scorcio
Procuratore Capo Vincenzo Russo e sostituti procuratori della
Procura di Fg - Titolari delle indagini
Indietro di sette anni - I lavori per la costruzione del complesso in Contrada Principe, a
Mattinatella, iniziarono sette anni fa. Dietro l’imponente costruzione, che sorge su una superficie di
circa 70mila metri quadri, vi era un progetto regolare, supportato da tutte le autorizzazioni edilizie,
compresi i pareri del Parco Nazionale del Gargano e della Sovrintendenza ai beni culturali. Ma –
come sostenuto dagli inquirenti della Procura di Foggia – nel corso degli anni, il progetto si è
evoluto, il complesso ha assunto altre forme, invadendo e aggredendo, allo stesso il tempo, il
territorio e il paesaggio, distruggendo un intero costone di roccia e macchia mediterranea. L’attività
investigativa condotta dalla Procura foggiana, dunque, avrebbe rilevato gravi irregolarità in
merito alla normativa edilizio/ambientale inerente la realizzazione di opere edili non
corrispondenti ai progetti, con permessi a costruire privi della obbligatoria e preventiva
autorizzazione paesaggistica dell’Ente Parco Nazionale del Gargano, deturpando l’area protetta che
le ospita. Il meccanismo per ottenere
dei permessi in totale sprezzo della
normativa vigente e della tutela
paesaggistica e naturalistica, nella sua
semplicità, «era ingegnoso e volutamente
capzioso, al fine di rendere difficilissimi, così
come è stato, gli accertamenti di liceità».
Basta confrontare il progetto originario
– quello autorizzato dagli enti preposti
– con quanto invece è stato realizzato
per rendersi conto dell’impatto che
quest’ultimo poteva avere sul paesaggio.
Il progetto iniziale prevedeva una serie
di casette servite da una piscina, il tutto
completamente immerso nel verde. A zero impatto visivo e ambientale, insomma. Nascosto,
mimetizzato nella macchia mediterranea, con i caratteristici muretti a secco, tipici di quella zona.
Ma nel corso degli anni, gli alberi sono stati sradicati e i muretti a secco – alti, da progetto, non più
di un metro – sono diventati muri in cemento alti 15 metri che garantivano a moltissime stanze e
suite la richiestissima “vista mare”. Tra le varie modifiche effettuate al progetto, sono stati
contestati, inoltre, numerosi terrazzamenti e la pavimentazione della rete viaria che serve il
complesso. Nell’immediatezza dei fatti, cinque persone – a vario titolo responsabili della struttura e
del suo progetto – vennero denunciate, ma sulla materia d’argomento sono in corso ulteriori
indagini. Sulle scrivanie delle Procure di Foggia e Lucera, infatti, vi sono molti faldoni all’attenzione
degli inquirenti, che si inseriscono in attività – organiche e programmate - di prevenzione e
repressione dei reati ambientali commessi sul territorio del Parco del Gargano, da anni soggetto a
violenta ed illegale speculazione edilizia.
Per le foto si ringrazia il Comando Provinciale dei Carabinieri di Foggia
Nelle foto aeree fornite dai carabinieri, l'intervento realizzato
Torre Mileto: dove l’abusivismo è di
casa
Sul Lago di Lesina sorge un villaggio di 2.800 case abusive edificate sulla sabbia senza fondamenta,
allacci e collegamenti alla rete fognaria. La politica temporeggia e le demolizioni sono sempre più una
chimera
di G io rg io Vent r ice l l i pubblicato il 18 d ic embre 2012
Nove chilometri di costa,
quattrocentocinquanta ettari di
terreno, cinquecento metri di
larghezza coast to coast: sono i
numeri del più
grandeabusivismo costiero
d’Italia. Siamo a Torre Mileto,
Comune di Lesina, terra di
Capitanata: circa
duemilaottocento case abusive
sono state costruite nei decenni
passati su terreni del demanio
pubblico, in unazona dichiarata
dall’Unione Europea Sito d’Importanza Comunitaria (SIC) e Zona di Protezione Speciale
(ZPS) perché meta delle rotte migratorie di numerose specie di uccelli, in pieno Parco Nazionale
del Gargano. L’insediamento di Torre Mileto è nella top five degli “Ecomostri di Legambiente”.
Il villaggio fantasma (ma non tanto) - Si tratta di unvillaggio costiero completamente
abusivo, costruito su una lingua
di terra che divide il mare
Adriatico dal Lago di Lesina. Le
costruzioni prive di fondamenta,
allacci e fognature a pochi metri
dal bagnasciuga, sono state
realizzate a partire dagli anni ’70,
con un incremento notevole di
edificazioni nei primi anni’80. L’elettricità per le singole utenze è fornita da generatori di corrente.
Losmaltimento delle acque reflue avviene tramite pozzi disperdenti e l’acqua per gli usi
domestici viene presa da pozzi scavati appositamente, con gravi rischi per la salute pubblica. Nel
caso di Torre Mileto non parliamo di abusivismo di necessità: infatti le abitazioni sono tutte
seconde caseappartenenti, per lo più, a cittadini residenti nella vicina Sannicandro Garganico. Un
Torre Mileto, Lesina - foto da elicottero (foto A.Fiore)
L'abusivismo edilizio a Torre Mileto parte dagli anni '70
vergogna collettiva da anni denunciata dalle associazioni ambientaliste, a cui sembra non esserci
rimedio. Nel 2009 la Regione Puglia, nell’ambito del Piano d’intervento di recupero territoriale
(Pirt), aveva approvato una delibera per l’abbattimento di una parte di queste costruzioni, circa
ottocento, entro il 2012 ma nulla di ciò è stato fatto. Le uniche demolizioni risalgono al 2004
quando il Comune di Lesina emanò un’ordinanza per abbattere quattro villette. Solo il canale
Schiapparo, che permette il ricambio delle acque dal lago verso il mare, ha impedito un ulteriore
scempio paesaggistico.
Dune addio - Le abitazioni
sono state costruire a ridosso sia
della spiaggia marina che si
quella lacustre, contravvenendo
alle normative in materia di
urbanistica e dissesto
idrogeologico. Il danno
ambientale arrecato
dall’abusivismo edilizio di Torre
Mileto è rilevante, soprattutto
per quanto riguarda la perdita
del sistema dunale: esso,
contribuisce a delimitare e
proteggere, interponendosi al
mare, ambienti umidi i laghi e le paludi costiere, oltre ad arginare naturalmente le acque alte marine.
Nonostante l’intera zona sia di demanio statale, le domande di condono edilizio presentate negli
ultimi decenni sono state numerose. Questo perché i proprietari delle case si sentono “vittima di
un’ingiustizia”, dato che hanno pagato nel corso degli anni tasse e balzelli emessi dallo Stato. C’è
una vero e proprio movimento che rivendica i “diritti degli abusivi” ad avere il condono edilizio,
secondo cui se lo Stato chiede denaro per le tasse automaticamente riconosce le ragioni dei
cittadini. Effettivamente, duemilaottocento case non nascono come funghi dall’oggi al domani, e le
istituzioni hanno parte delle colpe che, però, non giustificano l’atteggiamento di chi ha fatto
“orecchio da mercante”, innanzitutto, perché sul demanio dello Stato non si può né costruire
né lucrare con attività commerciali senza autorizzazione, come non è tollerabile che
l’ambiente venga distrutto solo per fregiarsi di avere una seconda casa al mare. Tutto ciò, a danno
dei cittadini e contribuenti onesti che pagano le tasse e che non posseggono abitazioni abusive.
Enorme è il danno ambientale arrecato dalle costruzioni abusive che
compromettono il sistema dunale della zona
Punta Perotti, una storia “finita”
La vicenda di uno storico ecomostro di Bari
di P ie r lu ig i De Sant is pubblicato il 18 d ic embre 2012
Dovrà rimanere inedificabile l’area che fino a
qualche anno fa ha ospitato lo
storico ecomostro diPunta Perotti. La
garanzia giunge dal sindaco di Bari, Michele
Emiliano, in seguito alle ultime vicende che
hanno portato il Tribunale di Bari a revocare la
confisca dei suoli su cui sorgeva l’ecomostro. Il
primo cittadino, a questo punto, ha proposto
allo Staro ed ai soggetti confiscati di spostare i
volumi edificabili in un’altra area oppure
procedere ad una variante al Piano Regolatore
Generale (PRG) che sancisca la volontà
dell’amministrazione comunale. L’obiettivo è
risolvere in maniera definitiva la vicenda di
quella che per anni è stata soprannominata la
“saracinesca” o “mostro” della città per le sue
notevoli dimensioni.
Una vicenda complicata - Alcune tappe
della Punta Perotti story sono state l’adozione ed
approvazione nel 1992 da parte del consiglio
comunale dei piani di lottizzazione proposti dalle aziende dei gruppi
imprenditoriali Andidero,Matarrese e Quistelli per la realizzazione del complesso immobiliare. Nel
1995 è rilasciata la concessione edilizia per la realizzazione dei blocchi A (mc 67.754) e B (mc
55.612) destinati a residenza, con un’altezza massima fuori terra di 45 metri, mentre il blocco N (mc
8.194) era destinato prevalentemente a terziario. Se da una parte, però, iniziano i lavori, dall’altra è
incominciata una vicenda giudiziaria che si è consumata nel corso di questi anni nelle aule di
giustizia e coinvolto cittadini ed associazioni ambientaliste. Ne ripercorriamo le tappe fondamentali.
Lo skyline del Lungomare di Bari "chiuso" dalla "saracinesca
del complesso di Punta Perotti - foto di Gianni Avvantaggiato
Stop and go – La Procura di Bari,
infatti, nel 1997ordina l’apposizione
deisigillisul complesso residenziale
perché non costruito secondo il
progetto e le norme vigenti mentre
la Corte di Cassazione, su ricorso in
via cautelare degli imprenditori
confiscati, annulla il decreto di
sequestro emesso dal G.I.P. di Bari e
dispone il dissequestro dei suoli e dei
cantieri. Nel 1999 al termine di un
processo è ordinata la confisca del
complesso edilizio, ritenendo la costruzione abusiva. La Procura Generale presso la Corte
d’Appello, però, sollecitata da movimenti ambientalisti e dal Ministero dell’Ambiente, propone un
ricorso in Cassazione avverso la sentenza di appello che nel 2001 dispone il ripristino della confisca
del complesso e dei suoli.
Il provvedimento è definitivo in
quanto non sono previsti ulteriori
gradi di giudizio.
…tutti giù per terra! - I
costruttori allora preannunciano
un ricorso per risarcimento dei
danni contro il Comune di Bari.
Nel settembre 2002 le tre imprese
costruttrici notificano a Comune
di Bari, Regione Puglia e
Soprintendenza ai beni
ambientali e culturali di Bari una
formale richiesta di risarcimento dei danni, materiali e d’immagine pari a 363 milioni di euro. Nel
novembre 2004 è avviato un tavolo di confronto tra il Comune di Bari ed i rappresentanti delle tre
imprese costruttrici con l’intento di trovare una soluzione immediata. A febbraio 2006 intanto il
Comune di Bari fissa le date della demolizione di Punta Perotti (2, 23 e 24 aprile) e consegna il
cantiere alla ditta che la dovrà eseguire. Da quel momento è iniziata un’altra fase della storia di
quell’area dove è sorto un parco urbano.
Movimenti ambientalisti e Ministero dell'Ambiente hanno svolto una
parte importante nella vicenda
La demolizione di Punta Perotti si svolge in tre fasi nell'aprile del 2006
Punta Perotti: perché l’Italia
pagherà 49milioni di euro (Parte I)
La vicenda di Punta Perotti, l’ecomostro più clamoroso della nostra città, si è chiusa con una
decisione di condanna per L’Italia. Ma perché?
di I sabe l la M i lano pubblicato il 18 d ice mbre 2012
L’interminabile vicenda giudiziaria di Punta
Perotti, a Bari, iniziata nel lontano 1996, si è
conclusa soltanto quest’anno, con la sentenza della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 10
maggio scorso, che ha condannato l’Italia,
presentandole un conto salatissimo, il più alto mai
chiesto a uno Stato:49mln di euro di
risarcimento alle imprese Sud Fondi s.r.l.,
IEMA s.r.l. e Mabar s.r.l. Ma perché un prezzo
tanto alto?
La vicenda. Essa risale ai primi anni ’90, quando le suddette imprese ottennero, dal Comune di
Bari, il permesso di costruire sui terreni, di loro proprietà, siti lungo la zona costiera di Punta Perotti e
considerati edificabili ai sensi dell’allora P.R.G. (Piano Regolatore Generale). Nacque, così, il plesso
immobiliare di Punta Perotti.
Nel 1996, sull’onda lunga delle innumerevoli polemiche sorte a causa dell’orribile mostro di
cemento che deturpava il lungomare barese, i Sostituti Procuratori di Bari, Rossi e Angelillis,
avviarono le indagini per far luce sulla vicenda e, in quella occasione, emanarono un provvedimento
che scatenò l’interminabile bufera giudiziaria: ilsequestro preventivo del plesso e dei terreni,
motivato dal fatto che la zona costiera (deturpata) fosse un sito naturale protetto. Le imprese
impugnarono il sequestro in Cassazione, perché il sito, invece, secondo il P.R.G., non era area
vincolata e la richiesta fu accolta.
Il processo, allora, proseguì nei suoi tre i gradi di
giudizio: nel 1999 il Tribunale di Bari dichiarò
l’illegittimità dei permessi, perché basati su un
diritto urbanistico regionale, in netto contrasto con
una delle più importanti leggi italiane in materia di
tutela paesaggistica, cioè la L.n. 431/1985 (c.d.
Legge Galasso)(1 - per visionare i riferimenti
normativi clicca sui numeretti in grassetto tra
parentesi) (poi modificata dal Dlgs.n.42/04
La "saracinesca" sul Lungomare Perotti, all'ingresso sud
della città - foto di Gianni Avvantaggiato
Il sindaco di Bari Michele Emiliano intervistato poco
prima dell'abbattimento dell'immobile - foto di Gianni
Avvantaggiato
Codice Beni Culturali) (2), che vietava di edificare sui siti di interesse naturale, tra cui le zone
costiere. In base all’art.19 di questa, quindi, fu disposta la confisca del plesso e dei terreni, “per
fatto materiale illecito” (cioè la lottizzazione: legittima per il diritto urbanistico regionale, ma
illegittima per la Legge Galasso). Gli imputati, invece, furono assolti perché, “quel fatto
materiale”, benché illegittimo, non costituiva reato, ma soloillecito amministrativo. Non fu
possibile, cioè, dimostrare l’elemento soggettivo del reato (dolo o colpa) in capo agli imputati:
questi, infatti, furono giudicati in totale buona fede circa la liceità del permesso, (in quanto emanato
dal Comune e conforme al diritto urbanistico regionale) eassolutamente impossibilitati a sapere
o prevedere la conflittualità tra la L. Galasso e la legge regionale, perché “oscura” e di difficilissima
interpretazione.
Anche la Corte di Appello confermò l’innocenza dei costruttori e, in più, decise per la
revocadella confisca degli edifici, per assenza di requisiti, poiché considerò la confisca
una misura di natura penale e, come tale, applicabile solo in caso di reato o per sventarne di
nuovi. Ma in questo caso,
secondo i giudici, il reato non
c’era affatto.
Nel 2001, in fine, la Cassazione, a
sorpresa, ribaltò la sentenza di
appello e ripristinò la confisca,
perillegittimità “materiale” da
illecito amministrativo dei
permessi di costruire: si ritenne,
cioè, che i terreni e il plesso
fossero soggetti adivieto
assoluto di costruire e
a vincolo paesaggistico,ex art.19 L.Galasso (ora art. 44, 2°c., d.p.r.380/01,
T.U.Edilizia) (3) e, quindi, inedificabili. In altri termini, la Corte richiamò la giurisprudenza
prevalente dell’epoca, che considerava la confisca di natura amministrativa e non penale, per
cui doveva applicarsi, a prescindere dalla sussistenza del reato e per la sussistenza del fatto illecito.
Quanto agli imputati, ne confermò l’assoluzione, per assenza dell’elemento soggettivo, poiché loro
erano stati indotti in errore dalla oscura formulazione delle leggi e dal comportamento del Comune
che aveva rilasciato le autorizzazioni, ex art.5 c.p. (ignoranza della legge penale) (4) per errore
inevitabile e scusabile: se non si può conoscere o prevedere il contenuto di una norma penale,
non si è responsabili del reato.
Nel 2006, dunque, l’ecomostro di Punta Perotti fu abbattuto, ma la confisca dei terreni rimase
attiva. Le imprese, allora, adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per farla revocare.
L'abbattimento dell'ecomostro di Punta Perotti
Punta Perotti: perché l’Italia
pagherà 49 milioni di euro (Parte II)
Concluse le fasi processuali in Italia, il caso Punta Perotti approdò a Strasburgo
di I sabe l la M i lano pubblicato il 18 d ice mbre 2012
Le imprese costruttrici di Punta Perotti non hanno
mai accettato la decisione della Cassazione, relativa
alla confisca dei terreni e del plesso Punta Perotti e,
meno che mai, la sua demolizione. Pertanto,
esauriti i mezzi processuali italiani a disposizione,
adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di
Strasburgo (CEDU), sostenendo l’illegittimità della
confisca, ex art 7 della Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo (CEDU anch’essa) (1 -
per visionare i riferimenti normativi clicca sui
numeretti in grassetto tra parentesi) e art. 1 del Protocollo n.1 (2) e chiedendo allo Stato italiano il
risarcimento dei danni subiti (davanti alla CEDU possono rispondere solo gli Stati UE).
Sentenza CEDU 2009. La Corte, con una macchinosa argomentazione, diede ragione alle imprese.
Presupposti normativi. L’art.7 sancisce il principio di legalità: nessuno può essere punito per un
fatto che, al momento in cui è stato commesso, non costituiva reato secondo la legge interna o
internazionale. Il principio, cioè, vieta di estendere i reati esistenti a fatti che, in precedenza, non erano
considerati come reati. Esso, perciò, impone che la legge penale deve essere sempre chiara e
prevedibile e deve definire esattamente i reati e le pene,
dando a ciascuno la piena possibilità disapere, attraverso il
testo di legge, quali atti implicano responsabilità penale
e quali no. L’art. 1 del Protocollo 1 (tutela della proprietà)
dispone che nessuno può essere privato della proprietà, se
non per causa di pubblica utilità e nei soli casi previsti
dalla legge.
Decisione. Su queste basi, la Corte, da un lato, definì la
natura penale e non amministrativa della confisca,
perché misura accessoria al reato, dall’altro, ritenne che
la sua applicazione al caso concreto fosse arbitraria e
Uno scorcio del parco di Punta Perotti,sorto sull'area
confiscata dal Comune di Bari
La "processione" di curiosi dopo
l'abbattimento della prima torre
contrastante con l’art.7, in quanto il reato, cui doveva essere collegata, era inesistente. E questo
perché il presupposto normativo dell’infrazione (cioè la norma che configurava la lottizzazione
abusiva) non era accessibile, conoscibile e prevedibile dai costruttori al momento del fatto
(“oscura” e di difficile interpretazione) e non li metteva in grado di sapere che la loro azione
sarebbe stata passibile di pena. Se, dunque, il fatto non costituiva reato perché non previsto
come tale dalla legge almomento della sua commissione, anche la confisca non poteva
esistere, per mancanza di previsione normativa. E per le stesse ragioni essa confliggeva anche con
l’art.1, Prot. 1 CEDU, che impone l’espropriazione solo nei casi previsti dalla legge.
Così, nel 2010, il GIP del Tribunale di Bari dispose la restituzione dei terreni, che intanto erano
diventati parco pubblico, alle imprese proprietarie.
Le imprese, però, non pienamente soddisfatte dalla restituzione dei terreni, adirono nuovamente la
CEDU. Strasburgo, accogliendo l’ennesimo ricorso, sollecitò allora una soluzione tra il governo
italiano e le parti. Ma questa non
arrivò. Quindi, si è giunti alla
pronuncia del 10 maggio 2012.
SENTENZA CEDU
2012.Strasburgo, riprendendo le
motivazioni del 2009, decide
per un’equa soddisfazione delle
imprese, ex art. 41 CEDU (3),in
quanto le norme CEDU erano
state violate e l’Italia, con la
restituzione dei terreni, aveva
riparato solo parzialmente,
mentre avrebbe dovuto
ripristinare lo “status quo ante”, per quanto possibile. L’Italia, quindi, subisce la condanna
esorbitante a 49mln di risarcimento, per le seguenti voci di danno: mancato indennizzo per la
demolizione del plesso, visti i costi che le imprese avevano sopportato per costruirlo; mancata
restituzione di alcuni terreni da parte del Comune di Bari, perché acquisti da esso, con conseguente
totale indisponibilità di essi da parte dei costruttori; mancata disponibilità dei terreni restanti
perché, benché restituiti, era solo un fatto virtuale, in quanto destinati ad area pubblica.
Il governo italiano, inoltre, deve rinunciare alle domande giudiziali, tuttora pendenti, per il rimborso
dei costi sostenuti dal Comune di Bari per la demolizione e per la riqualificazione dei terreni. E
forse, su questo punto, la Corte avrebbe potuto equamente bilanciare i diritti di entrambe le parti,
posto che la demolizione ossequiava le leggi ambientali nazionali, ripristinando la bellezza del
paesaggio costiero.
Lo skyline di Punta Perotti senza la "saracinesca" - foto di Gianni
Avvantaggiato
La Cementeria di Barletta
Un “archeoecomostro”, uno scempio edilizio risalente a cento anni fa, incombe ancora sulla città con
la sua struttura
di Do menico Tanga ro pubblicato il 18 d ic embre 2012
Sono passati moltissimi anni da
quando fu insediata la prima
ciminiera dellaCementeria di
Barletta (la sua inaugurazione
risale all’ottobre del 1912). Da
allora si sono avvicendati
moltissimi azionisti, proprietari e
imprenditori nei suoi uffici
amministrativi e sono passati
moltissimi anni durante i quali
le polveri sottili prodotte dalla
cementeria si sono posate
costantemente e silenziosamente
dovunque, sugli alberi, sui cespugli, sui balconi, sulle inferriate, sulle terrazze degli edifici, sulle case
vicinissime all’azienda. Oggi, le polveri sono meno visibili; l’ultimo gruppo di proprietari,
probabilmente colto, forse, da un senso di colpa, ha montato filtri e barriere ai fumi ed alla polvere
di cemento.
A vederla da vicino sembra una grande portaerei sulla terra ma smembrata, costituita da migliaia di
elementi funzionalmente connessi tra loro, razionalmente progettati per produrre il massimo
servizio, il massimo profitto,
senza rendersi conto
del massimo disordine visivo,
dell’obsolescenza e del senso di
abbandono che un tale ammasso
di elementi funzionali produce,
come impatto visivo, nella città
vivente.
La Cementeria di Barletta fu inaugurata 100 anni fa
L'altezza anomala della torre della cementeria è al di fuori di ogni vincolo
urbanistico
E’ il prodotto dell’immaginazione ingegneristica prona al capitalismo più sfrenato e
indifferente alla storia e alla comunità che la ospita.
Inoltre, alcuni anni fa, a completamento del già infelice prodotto urbano realizzato, fu
concessionata, con tutte le autorizzazioni del caso, la costruzione di una torre altissima, si
racconta che sia alta cento metri. La torre, anch’essa costruita in cemento armato gettato in opera e
lasciata con il suo grigio naturale scabro a vista, è il risultato perfetto di un prodotto dell’ingegneria
industriale e del pensiero dell’ingegneria dominante in provincia. Il dato alquanto anomalo è la sua
altezza, fuori da ogni vincolo urbanistico. Sappiamo che nelle norme urbanistiche di qualsiasi piano
regolatore vigente, nelle sue norme transitorie è sempre inserita una clausola che permette
interventi speciali finalizzati alla costruzione di volumi speciali, come i grandi volumi tecnici per le
Aziende, anzi per i Cavalieri del Cemento, giustificando probabili aumenti dei posti di lavoro, senza
nessun veto, nessun percorso ad
ostacoli, nessun ritardo
amministrativo.
Loro possono costruire sempre e
dovunque, e nel caso specifico,
anche con norme speciali del
P.R.G. che, giustificando ogni
intervento in un modo
amministrativamente
impeccabile, non giustificano
però il risultato architettonico
urbano a poche centinaia di metri
dal Castello Svevo-Normanno-
Angioino, composto da una
somma di elementi scomposti che creano, una poltiglia visiva di cemento, acciaio, vetro,tutti
dimenticati da anni, forse dalla data della costruzione originaria e da allora rimasti fissi nel tempo,
senza nessuna manutenzione ordinaria o straordinaria risultando oggi rotti, precari, frantumati,
arrugginiti ma ormai, acquisiti dall’immaginario collettivo come architettura urbana ineluttabile
realizzata con forme abbandonate dal tempo e dagli uomini.
Tutto ciò produce un’architettura urbana estrema, orrida, malsana, che corrode i principi
dell’architettura di una città, che s’insinua nella mente delle generazioni future, convincendoli
dell’idea che l’errore progettuale urbanistico e ingegneristico è norma. E’ l’estremo risultato
dell’abbandono della qualità urbana e suburbana nutrita da edifici, funzioni, materiali e
comportamenti che erodono e si contrappongono in modo stridente all’antica storia della città di
Barletta e ai suoi valenti uomini nonché ai segni di una civiltà dimenticata dove ogni elemento era
ed è un’ottima fusione della cultura del bello, della forma, della funzione della storia della città e
del paesaggio urbano di cui ogni città è composta.
E' massimo il senso di abbandono della qualità urbana che si ricava da queste
architetture
Porto Miggiano, dal Salento un
brand per tutto il mondo
Sbarca sui social network la protesta per salvare una delle aree più suggestive della Puglia. Con risultati
insperati
di Luc ia S ch inzano pubblicato il 18 d icemb re 2012
Ad aprile del 2011 (per tanti
salentini già periodo da gite a
mare) l’ingresso alla cala diPorto
Miggiano, nei pressi di Santa
Cesarea, viene chiuso con dei
cancelli per lavori. La zona, una
delle più suggestive del Salento e
da sempre aperta al pubblico,
comprendeva fino al 2011 un
ampia zona verde sopravvissuta
alla costruzione di un resort con
piscine progettato negli anni ’80.
Da un giorno all’altro l’accesso alla
famosa “cala dei 100 scalini” e la
discesa a mare per uno dei luoghi
più belli del Salentoviene così sbarrata, senza un cartello che informi dell’inizio di nuovi lavori; tutta
l’area diventa un enorme cantiere e chiunque passi dalla litoranea non può non notare quell’enorme
opera di sbancamento, quel fortissimo contrasto con l’immagine che da sempre tutti hanno di Porto
Miggiano Nasce così su Facebook il Comitato di tutela per Porto Miggiano, dall’intuizione di un
utente che pubblica le prime foto di quello che, come dimostrano i numeri degli utenti ed i loro
commenti, in molti reputano un
vero e proprio scempio.
Una protesta a macchia d’olio -
Dall’estate 2011 si sono succedute
iniziative di protesta e di
sensibilizzazione dell’opinione
pubblica – salentina e non – sempre
più seguite e pubblicizzate: sit-in,
una raccolta di firme per chiedere
all’assessore regionale al territorio
Angela Barbanente di inserire il
Da aprile 2011 Porto Miggiano si presenta così
Nandu Popu dei Sud Sound System indossa la maglietta col logo del Comitato
Tutela Porto Miggiano durante la Notte della Taranta 2011
territorio di Santa Cesarea nel Parco Otranto-Santa Maria di Leuca, interrogazioni parlamentari, un
concorso letterario e uno fotografico diffuso su facebook; sempre da facebook parte la “Raccolta di
firme 2.0″, con tanto di kit comprendente moduli raccolta firme, articoli di giornale, volantini «La
raccolta di firme tra la gente ha permesso di verificare come le persone, una volta informate di quello
che stava succedendo a Porto Miggiano, fossero tutte dalla nostra parte. Il sentimento più evidente era
la rabbia, insieme alla voglia di collaborare alla nostra battaglia», spiega Diego, una delle anime del
gruppo su Facebook. La mobilitazione coinvolge anche un evento internazionale come la Notte della
Taranta e richiama artisti del calibro dei Sud Sound System, seguiti da molti altri nei mesi seguenti e da
un’attenzione crescente di programmi di informazione, per arrivare all’interesse di Legambiente, che per
anni si era battuta contro la cementificazione dell’area, prima di “abbandonare” la battaglia, dicono i
rappresentanti del comitato. Alla fine di settembre 2011 l’accesso alla spiaggia viene definitivamente
chiuso per i lavori di consolidamento del costone roccioso pericolante, reso ancora più a rischio dai
lavori e dalle edificazioni a pochi metri di due complessi turistici. Nonostante i lavori di messa in
sicurezza siano pubblici e teoricamente a favore della cittadinanza, ripristinando una discesa a mare
pubblica, l’impatto è tremendo. Tutto quello che era naturale adesso è stato trasformato in una cava e la
presenza delle ruspe ne sta straziando ancora di più ciò che ne resta.
«La gente è con noi» – Negli ultimi
mesi, dopo la pubblicazione delle
fotografie dei lavori di consolidamento,
particolarmente forti perchè presentano
un territorio devastato rispetto alle
immagini bellissime di pochi mesi
prima, la sollevazione popolare e la
risposta della gente sono state
fortissime.E’ proprio la risposta
popolare a rendere a dir poco euforico il
Comitato di tutela per Porto Miggiano
che già nel suo logo (un girotondo a
protezione della torre saracena che
dominava fino a poco fa il panorama)
punta l’attenzione sulla presa in carico collettiva di una battaglia contro la distruzione di un’area di rara
bellezza. «Quella per Porto Miggiano non sarà certo la battaglia che salverà il Salento – spiegano dal
comitato -, tuttavia, siamo sicuri che la consapevolezza della gente, che quando informata è sempre a
sfavore di qualsiasi intervento che danneggia il territorio, è il mezzo per ostacolare seriamente i progetti
devastatori. Paradossalmente il valore aggiunto che la Puglia ed il Salento in particolare hanno saputo
fornire ai turisti, diventando in una quindicina d’anni meta ambita per il turismo di massa, è proprio
quello che verrà a mancare dopo gli interventi di consolidamento della falesia. Tipicità, natura
incontaminata, tradizioni, una forte identità, un’accoglienza calorosa, tutto ciò sta venendo a mancare e
irrimediabilmente allontanerà i tanto desiderati turisti, lasciando vestigia fatte di ecomostri mai
I lavori di consolidamento della falesia stanno mettendo a rischio uno dei
tratti più suggestivi del Salento
abbattuti, una terra impoverita dallo sfruttamento commerciale che avrà arricchito solo lobby e
speculatori».
(le foto a corredo dell’articolo sono tratte dalla pagina facebook del Comitato Tutela Porto Miggiano)
Un ecomostro a Niscemi
Si tratta del MUOS, base militare americana che, di fatto, rappresenta un grande pericolo vitale ed
ambientale per gli abitanti del paese siculo
di C laud io Mast rodona to pubblicato il 18 d ice mbre 2012
Forse non tantissimi conoscono
ilMobile User Objective System, ma
a molte persone fischiano le orecchie se
sentono pronunciare la sigla MUOS.
Agli abitanti di Niscemi sicuramente. In
poche righe abbiamo posto diversi
argomenti sul tavolo della discussione;
quindi sarà bene andare per gradi.
Cos’è il MUOS? È un sistema di
comunicazione satellitare ad altissima
frequenza che è stato progettato
dal Dipartimento della Difesa degli
Stati Uniti sin dal 2003 ed è ormai
arrivato ad una fase avanzata della sua realizzazione; lo scopo è quello di migliorare il servizio ed
implementare la conoscenza degli spostamenti (soprattutto quelli militari, naturalmente) ed i
movimenti terrestri, navali ed aerei per mezzo dell’azione combinata di quattro satelliti in orbita e
quattro stazioni terrestri.
Allarme da Niscemi – Una di
queste stazioni è stata
installata proprio nel paese
siculo in provincia di
Caltanissetta; tre gigantesche
parabole dal diametro di 18
metri e due torri radio di
circa 159 metri di altezza. E il
danno è stato grande,
innanzitutto per la location:
come riporta il Corriere del
Mezzogiorno dello scorso 6
ottobre – nelle pagine
dedicate alla cronaca di Palermo –, «la stazione radio si trova nella riserva naturale “Sughereta di
Il Mobile User Objective Sistem (MOUS) è un sistema di comunicazione
satellitare ad altissima frequenza progettato dal Dipartimento della
difesa degli Stati Uniti
La stazione MUOS si trova nella Riserva naturale Sughereta di Niscemi, un'area
ad assoluta inedificabilità
Niscemi”, area a inedificabilità assoluta, in un sito di interesse comunitario»; ed in effetti anche le
istituzioni comunali (in opposizione alla direttive della Regione) si sono sollevate di fronte a questa
contraddittoria situazione, ottenendo nell’ottobre 2011 un perentorio “no” dal Tar di Palermo di
fronte alla richiesta del Comune di Niscemi di sospendere i lavori. Un danno ambientale, dunque,
ma anche e soprattutto una minaccia alla salute dei cittadini: le radiazioni delle onde radio possono
essere letali nel raggio di 140 km, e – come tende a sottolineare il giornalista ed attivista
antimilitarista Antonio Mazzeo – «l’esposizione alle emissioni elettromagnetiche del MUOS può
uccidere in meno di sei minuti», o comunque queste possono provocare varie forme di tumori,
leucemie, infarti, aborti, sterilità e malformazioni dei sistemi immunitari.
“NO MUOS” – Proprio per dar
voce a tutto il dissenso popolare
è attivo dal 25 febbraio 2009 il
movimento “NO MUOS” –
come testimonia anche il
relativosito – per divulgare ciò
che sta succedendo, con
l’obiettivo dichiarato non solo di
«mettere in pratica una semplice
manifestazione, bensì una vera e
propria forma di protesta
continua ed
organizzata». Petizioni, eventi e
manifestazioni coinvolgono
anche i paesi limitrofi (ad
esempio sono sorti comitati “NO MUOS” a Gela e Caltagirone). Fra le tante voci, particolarmente
significativa è la testimonianza di Rita Borsellino, europarlamentare del PD: «È un fatto
importantissimo che tante persone diverse si trovino perfettamente d’accordo, nel momento in cui
si tratta di tutelare il proprio territorio, la propria salute, il proprio futuro e dire “no” a strumenti
che hanno attinenza con l’idea della guerra e non della pace».
Tra le voci a sostegno del movimento NO MUOS, l'europarlamentare PD Rita
Borsellino
L’ecomostro in Africa: colpa della
cooperazione sbagliata
Non è pensabile prevedere di costruire senza tener conto delle tradizioni e degli usi della popolazione
locale. Ma un concorso di idee ridarà un’anima all’ecomostro
di Fu lv io D i G iuseppe pubblicato il 18 d icembre 2012
Il termine più abusato è “cattedrale nel
deserto”. Ma qui di deserto c’è poco.
Nonostante siamo nella parte occidentale
dell’Africa, in Guinea Bissau, anche qui
gli ecomostri possono trovarsi in pieno
centro. E sono causati da una sciagurata
opera dicooperazione allo sviluppo.
Quellacooperazione che dovrebbe
promuovere la realizzazione di opere utili,
sostenibili e con impatto ambientale
minimo e che a volte, invece, finisce per
trasformarsi in killer del paesaggio. Ne
sanno qualcosa a Bissau, capitale della
piccola nazione confinante con il Senegal, tra i paesi con il più basso indice di sviluppo umano. Alle
spalle della Cattedrale, in una delle zone più centrali della città, da una decina d’anni campeggia una
enorme struttura incompiuta.
Una colata di cemento che porta con sé tutti i paradossi e gli orrori di una cooperazione
scellerata. Perché originariamente, l’idea della struttura prevedeva la creazione di un centro
polifunzionale che fungesse come una sorta di oratorio, con attività educative e ricreative per i
giovani della zona. Donata da italiani alla diocesi locale, complice la presenza e il forte legame con il
primo vescovo della Guinea Bissau (il veneto don Settimio Ferrazzetta), la struttura nasceva sotto i
migliori auspici. Posizione strategica, a poche centinaia di metri dall’ospedale pubblico, l’edificio è
però in una situazione d’abbandono da anni. E la diocesi è diventata succube di una situazione
ormai ingestibile: piloni, scale, muratura, ma tutto inutilizzabile. O meglio, lasciato a metà.
Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau
Con l’ulteriore, grosso handicap di un
aggravio economico tuttora impossibile
da affrontare. Prevedere l’abbattimento
dell’intero edificio è infatti, come
prevedibile, molto più dispendioso di una
rivalorizzazione dell’intera struttura. Per il
recupero, però, gli zeri lievitano e siamo
sull’ordine delle centinaia di migliaia di
euro. Troppo per una piccola diocesi, che
si è ritrovata ad avere un regalo che di
fatto non può gestire. Colpa della
cooperazione, si diceva, perché in questa operazione è stato tutto miope, a cominciare dal
progetto. Non è pensabile prevedere di costruire senza tener conto delle tradizioni e degli
usi della popolazione locale. Sbagliato, per esempio, impostare le costruzioni su spazi
eccessivamente chiusi in un luogo in cui il contatto con la natura è fortemente radicato.
Inopportuno ricorrere a costruzioni su più piani, in un paese in cui la maggior parte della
popolazione vive in tabanças nei villaggi sparsi nelle foreste. Insomma, anche nell’edilizia è insito il
rischio di esportare ed imporre modelli di
cooperazione non necessariamente rispettosi della
cultura locale.
E’ a partire da queste considerazioni che una rete
di associazioni coordinate da una ong pugliese ha
pensato di indire un concorso di ideeper la
presentazione di progetti
di riqualificazionedell’immobile, rivolto ad
architetti e giovani studenti. Tra i requisiti
da rispettare l’utilizzo di materiali
biosostenibili.
A presentare l’iniziativa è stato Fabrizio
Caròla,architetto napoletano formatosi alla
Scuola nazionale superiore d’architettura di
Bruxelles che sin dagli anni Sessanta ha progettato
in Marocco, Mali e Mauritania. Recentemente
Caròla ha ricevuto il premio internazionale
Sgoutas,assegnato “per aver migliorato le
condizioni di vita in molti Paesi africani
rispettando la cultura locale”. Da circa trent’anni è
Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau
Le immagini dell'ecomostro alle porte di Bissau
impegnato a sostenere l’efficacia di un modello costruttivo, fondato sul recupero di elementi della
tradizione architettonica africana. A partire dai suoi spunti toccherà ai partecipanti ridare un’anima
all’ecomostro.