Evanvelizzare3 dossier

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dossier d rché andare a Messa? r

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eucarestia

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dossier d rché andare a Messa?

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m la mappa del dossier

Perché andare a Messa? Domanda semplice. Appartiene a quella categoria di interrogativi ovvi che,

proprio perché tali, sono imbarazzanti. Sì potrebbe rispondere: "Perché esiste un precetto".

Oppure "Per ottenere i mezzi della salvezza". Ci basta tutto questo?

L'interrogativo investe chi pratica da anni, ma tocca anche il marginale, l'indifferente. Ed ecco il quadro dei nostri interventi:

2 . La dimensione storico-teologica

La Messa era il sigillo di un'appartenenza.

Ora è un evento aperto a, tutti, senza preclusioni.

GIULIANO ZANCHI

La dimensione educativa Strade inefficaci,

strade da percorrere. Le condizioni favorevoli per

ripartire. EZIO CAZZOTTI f

Per l'Idea ci siamo avvalsi delia disponibilità e competenza di Giuliano Zanchi Egli è parroco a Marne, direttore del Museo diocesano di Bergamo,

autore di specifici saggi in materia.

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Cè, per i cristiani un "andare" che si ripete ogni domenica e connota la vita. Lo si fa perché "precettati" o per scoprire un posto ove si incontra il Risorto?

Porsi la domanda ATTILIO BIANCHI

I ragazzi dell 'Iniziazione? Catechesi al 90%; a Messa i l 10%. Qualcuno dice che va bene così. Ma per arrivare a dargli ra­gione, o dirgli che sta prendendo farfalle, occorre qualche riga. Che parte appunto dall'avverbio che t i tola questo dossier: Perché? Se vi inoltrate subito i n categorie di salvezza, quelle dei teologi e dei papi con le loro encicliche e i loro catechismi (ricordate quello d i san Pio X?), non v i verrà facile di uscire da un ginepraio, se non dicendovi che così dev'essere. Così ci è stato detto, così sia. U n amen che ha la struttura di quello liturgico senza aver riguardato i l senso. E cioè che la grazia è un dono, che lo si deve meritare, e che per meritarlo occorrono opere: quella della Messa domenicale, appunto. E per sfug­gire ad accuse di lassismo, nel caso invece vi venga facile sposare la tesi di chi obiet­ta alla obbligatorietà dell'andare a Messa, dovete voi stessi ripartire dalla grazia da­ta gratis: che non è un modo per opporsi alla prima tesi, ma la via per interpretarla senza precetti farisaici.

Fate questo Intanto è bene rifarsi alla memoria, e dire che oggi a Messa si sta meglio dei tempi del pre-Concilio: meglio per partecipa-

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zione, meglio per continuità di tempo e di luogo (ricorderà qualcuno come in certi paesi si entrava a "prendere" Messa siste­maticamente dopo la predica, che tanto era valida Io stesso). E questo anche per­ché a Messa ce ne vanno di meno: e non solo per ribadire che alla fin fine il piccolo resto è regola non solo della fede ebraica, ma anche di quella cristiana. Ma sono più convinti? Per la maggior parte, sì. Forse c'è ancora chi alla Messa chiede solo un buon servizio della Parola e subisce il resto, giu­sto rovesciando la tradizione precedente: quelli che ritenevano un'appendice la Pa­rola e il suo servizio, questi che ritengono un'appendice, o giù di lì, la parte eucari­stica. Vado per tagli di scure, ma ci inten­diamo. Anche perché recentemente, met­tendo l'accento su omelie lunghe, noiose e ridondanti, eminenti personalità da ta­volino fanno lezione a chi vive sul campo: tra le mille difficoltà di popoli liturgici che dalla grammatica biblica e dalla traduzio­ne nel quotidiano vivono distanze siderali (e senza scusare i preti che le omelie non le preparano, e quelli che ancora celebra­no senza più credere nel mistero). È bene fare al meglio un'omelia, ma è altrettanto bene mostrare il totale della celebrazione della Messa: per non ingenerare appunto l'idea che la predica è il tutto dell'appun­tamento domenicale. Ma fate secondo memor ia Il totale della Messa potrebbe aiutare a dire il perché immediato dell 'andarci: spiegarlo a piccoli e grandi. I quattro mo­menti a) L'atto penitenziale, come punto di partenza per confessare il nostro biso­gno di perdono e di amore, b) La liturgia della Parola, Bibbia e omelia: al bisogno di perdono risponde la Parola di Dio, che.

a sua volta, chiede la professione di fede e accende la preghiera di intercessione della comunità, c) La liturgia eucaristi­ca: sui doni portati all'altare, pane e vino e offerte per la solidarietà verso i poveri, il Signore viene a rendersi presente con il Suo Corpo e il Suo Sangue, d) La Comu­nione e l'invio: la Comunione Eucaristica si traduce nella missione ad entrare nella storia del mondo per testimoniare il bene della resurrezione di Cristo che si è cele­brata. Certo, tutto questo comporta un av­vicinamento che non sia solo di cuore, ma anche di mente: i nostri ragazzi possono da subito esserci? E sennò, che si fa? Ci si rifugia in maqiiillages che trasformano le Messe in happy-hour, quell'ora felice in cui i bar praticano sconti? E dunque anche le Messe siano scontate delle cose difficili ("Come si fa a parlare a un bambino di un uomo crocifisso? Meno male che ho trova­to un prete che mi ha dato ragione" - da un'intervista a unagirl televisiva). Oppure ci si rifugia in tentazioni regressive, dan­do importanza dogmatica alle rubriche: il latino, un crocifisso e rispettivi candelieri allineati sulla mensa, obbligatoriamente in ginocchio a ricevere il corpo del Signo­re, così sconfiggendo quel popolo di Dio che celebra il Signore crocifisso e risorto, 10 sposo che è presente e dunque fa festa nell'incontro? 11 posto deir incontro Ecco, andare a Messa dà gioia: è a partire da questo che si potrebbe risolvere il per­ché dell'andarci. Ma è troppo facile a dirsi. "Ci vado quando me la sento" chissà per­ché non lo si fa equivalere al "ti amo quan­do mi va". Abituati, dall'anno mille in poi, ad essere buttati in chiesa in ogni dome­nica e festa comandata, pena un peccato

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mortale, è facile pensare che non si sia co­struita una mentalità della necessità e in­vece si sia subita quella della obbligatorie­tà. Come si è fatto capire - o non si è fatto capire - che la fede è possibile perché c'è un posto in cui incontro Gesù, il Risorto? E che quel posto è la memoria che, ripe­tuta secondo il suo comando, ci permette di renderlo continuamente presente nelle parole e negli atti della nostra esistenza? È vero che l'educarsi a una cosa buona na­sce da un'abitudine coltivata: questo forse fa capire perché, in un clima di cristianità diffusa quale hanno vissuto le generazioni precedenti, era molto piìi facile (anche se non del tutto penetrato) il motivare per­ché si andava a Messa. Ma oggi, se i ge­nitori che debbono passare la chiamata sono essi stessi colpiti dai connotati della noia per una incomprensibilità che non si è in loro stessi risolta, come pretendere che possano accompagnare la fede dei lo­ro figli? Può avvenire, come accade in Alto Adige, che quasi tutti i bambini vengano battezzati - dunque portati alla Chiesa -in percentuali superiori al 90%; e succede che quasi la metà di loro nasca da madri italiane non coniugate (48%). È l'epoca del primato della coscienza individuale e della ricerca di forme personalizzate di adesione alla religione, commenta i l son-daggista di turno.

Ciò che precede Appunto tocca anche l'andare a Messa. Un tempo ai catecumeni si chiedeva -prima di ammetterli ai Santi Segni - che mostrassero di sapere la Sacra Scrittura e avessero appreso un codice morale. Ci si può interrogare se le società cristiane che si sono formate su una chiave dottrinali-stico/moralistica siano state le migliori.

Ma oggi la Messa è fatta da tutti, senza aver fatto nulla, o quasi. Certo troverete chi dice che supplisce la Chiesa: ma chi 10 nega? Solo che per quell'invio con cui la Messa si conclude - missa est, nel buon latino antico che non dovrebbe essere manipolato a fini esteto-estatici - occor­re una predisposizione che è appunto i l testimoniare quel che si è celebrato. Ma se si è passata l'ora guardando l'orologio 0 tampinando la mamma chiedendole "quando usciamo", c'è da sospettare - in­dovinando - che non succeda. Così come pare che non possa succedere quando la Messa diventa un rito sociale: è morto qualcuno in Afghanistan? Una bella Messa con tutto il corpo dei politici a prescinde­re dalla fede, è perpetuare da parte della Chiesa quella religione civile su cui ali­mentare qualche dubbio è doveroso. Se è vero che non ci può essere una Eucare­stia che non costruisca la Chiesa - con la Parola e con il Pane, e con la missione al mondo - non vi pare che occorra esigere 11 senso di questo andare che di domeni­ca connota una \'ita? Vi pare una domanda ingenua, una domanda sbagliata? O una domanda necessaria, per non costringere nessuno a una bellezza che profanerebbe con l'indifferenza, se non peggio? C'è si­curamente un rischio: quello del tiro alla fune tra una rigidità neogiansenista o ca­tara, e un'accoglienza che lasci avvicinare ai Misteri chi non li apprezza, sulla scor­ta dell'immagine paolina dei cani inde­gni. Ma proprio per questo è necessario, direi con un po' d'ironia letteraria obbli­gatorio, porsi la domanda, dirsi i l perché dell'andare a Messa. Sapendo che sapere non risolve certi enigmi dell'animo uma­no, che tende a Dio anche quando non lo frequenta. •

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Abbiamo rimpressione di aver smarrito l'orizzonte di senso nel quale TEucarestia si colloca. Essa è l'esperienza che pone i discepoli di fronte a Gesù e permette loro di riconoscerlo come il Signore

Una preoccupazione antica Il bisogno di fare un'apologia della parte­cipazione all'Eucaristia non è per niente nuovo. Se Paolo rimprovera aspramente i cristiani di Corinto per il modo indegno con cui essi mostrano di maltrattare la ce­na del Signore (1 Cor 11,17ss), l'autore della lettera agli Ebrei non tralascia di lamentare la disdicevole abitudine di molti a disertare le riunioni dei fratelli (Eb 10, 24-25). A di­stanza di ben dodici secoli, a riforma grego­riana da tempo impiantata in tutta l'Euro­pa cristiana, il Concilio Lateranense II, per mettere un argine alla generale diserzione dall'Eucaristia del popolo cristiano, deve, nel 1215, imporre le note condizioni cano­niche della Confessione/Comunione alme­no a Natale e Pasqua, trasformando in pre­cetto giuridico l'essenziale forma simbolica della presenza del Dio di Gesti. La Chiesa tridentina saprà a sua volta elaborare mille stratagemmi di monitoraggio della fedeltà ai sacramenti del riottoso gregge cristiano.

Un'apprensione nuova La questione per noi, per giunta disincan­tati eredi del sogno rianimatore del Conci­lio Vaticano II, si esprime con l'apprensione del vedere smarrito l'orizzonte di senso sul­lo sfondo del quale la liturgia appare com­prensibile. La pressione ansiogena indotta dal fenomeno viene percepita anche per riferimento al caso degli stessi frequenta­tori, che pur presenti, con maggiore o mi­nore assiduità, non sanno separare la loro pur libera scelta da un senso di prestazione che ne inquina la leggerezza. Il clima delle assemblee domenicali emana, in linea ge­nerale, una coda di malinconia che lavo­ra sotto la pelle del sentire dei fedeli con efficacia direttamente proporzionale agli sforzi di rianimare artificialmente il copio­ne liturgico. Solo la parola del sacerdote, di tanto in tanto, nell'eccezione di un caso fortunato di predicazione decente, riesce a sostenere il peso di una performance di cui la nostra esperienza quotidiana ha smarrì-

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Eucaristia: il necessario non comandato GIULIANO ZANCHI

to l'alfabeto. Perché l'inedito appunto sta in questo. 11 metabolismo deritualizzato e desimbolizzato della vita contemporanea avvolge i ritmi della quotidianità di tutti, buoni e cattivi, belli e brutti, credenti e a-gnostici, praticanti e no, spogliandoci del­la sensibilità necessaria a lasciarsi edificare dagli effetti performativi del segno liturgi­co. Basterebbe pensare ai bambini di oggi. I segtii della liturgia rappresentano sonno­lente esperienze di mortificazione per na­tivi informatizzati che hanno strutturato la loro coscienza attraverso i simulacri della realtà virtuale. Portare in chiesa un bambi­no addestrato all'interfaccia del videogioco è un dramma. Ma non è colpa della debo­lezza del segno liturgico. È il mondo intor­no a esso che non procede piti sulle stesse lunghezze d'onda. Dall'altro capo della parabola Oltretutto noi ci poniamo questi interro­gativi anche stando precisamente all'altro

capo di una parabola storica nella quale la posizione dell'Eucaristia all'interno della vita cristiana ha subito un ribaltamento che appare sconcertante. L'Eucaristia di­fatti nasce come il punto di approdo defi­nitivo di un cammino di adesione alla fede. Veniva ammesso all'Eucaristia qualcuno che avesse compiuto per intero tutto un itinerario di discepolato che prevedeva u-na profonda comprensione della Scrittura e l'acquisizione di una vera vita evangelica. La partecipazione all'Eucaristia eral'ultima delle tappe possibili. Era il traguardo della vita cristiana. Essa era anche avvolta da una disciplina di segretezza [disciplina arcani] intenta a proteggere la serietà del rito dalla sprovvedutezza dei non iniziati. Veniva in­fine concessa nella sintesi dei Sacramenti dell'Iniziazione (Battesimo Confermazio­ne Eucaristia), amministrati tutti insieme. Per tutta una serie di ragioni, la piìi deter­minante delle quali è lo spostamento sul tempo dell'infanzia del cammino di ini-

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ziazione, per noi oggi la partecipazione all'Eucaristia è la soglia base della vita cri­stiana universalmente accessibile. La par­tecipazione alla Messa è la prestazione di base del fedele comune. Per ogni altra cosa della vita cristiana vengono richiesti itine­rari, condizioni, procedure, mentre per la Messa basta spingere la porta della chiesa e si è già al centro della vita cristiana. Poi esiste qualcuno che oltre alla Messa si i m ­pegna i n u n cammino di consapevolezza. La Messa però è i l primo gradino. L'epoca d'oro di questo ribaltamento è la pastora­le del cristianesimo tridentino. Nel regime della cristianità tridentina questo essere della Messa da subito nel centro della v i­ta cristiana era supplito dalla capacità del sistema ecclesiale di garantire una forma­zione a posteriori. I l controllo sociale ob­bligava alla partecipazione avita. Garantiva così uno stato permanente d i iniziazione. Lo sgretolamento d i quel mondo sociale cristianamente organico ha lasciato nella sua nudità questo contrasto: da u n lato un punto di arriva offerto come un punto di partenza; dall'altro un'incapacità generati­va della pratica pastorale. Noi siamo in u n sistema pastorale che dà tutto subito. Ma fatica a trasformare i l dono i n adesione ma­tura. I l punto è che non è detto che i n que­sto momento la soluzione stia nell'istinto a ritardare il tempo dell'ammissione ai gran­di gesti della vita cristiana. Sarebbe forse u n gesto autoritario. Giustamente difatti resistiamo nel precipitarci i n simili scelte.

Strategie dell'ansia Intanto però l'apprensione non ci lascia i -nerti. Nelle nostre comunità la preoccupa­zione per assemblee domenicali, della cui grazia molt i distratti discepoli non sanno approfittare, mette giustamente alla ricer­

ca di possibili soluzioni. Le strade battute - potremmo dire - sono sostanzialmente tre. La prima è la pi t i istintiva e anche la pit i grezza. Si tratta di quella insistenza pre­cettistica che pensa di poter raccomandare l'importanza vitale dell'Eucaristia proiet­tandola nella categoria del dovere. I l lega­lismo che questa logica comporta non ha bisogno di essere spiegato. Né c'è bisogno - m i sembra - d i argomentare sull'ineffica­cia di questo maldestro modo di riaccredi-taie l'Eucaristia. La seconda è composta da quella serie di strategie attrattive con cui si pensa di riaffezionare alla Messa renden­dola con vari metodi più «coinvolgente». I l ricatto della retorica emotiva produce però i l p i t i delle volte degli effetti disastrosi. La raffinatezza del linguaggio liturgico viene trascinata nella facile e superficiale ecci­tazione di una didattica molto elementa­re. La forza del segno si spegne nello stu­pefacente deWe trovate animative. Delle tre questa è se non altro la pit i appassionata e la pi i j laboriosa. La terza m i sembra sem­plicemente la p i l i ingenua. Percorre la via pericolosa della regressione nostalgica. La convinzione ingenua è che i l funzionamen­to virtuoso del cristianesimo di una volta, in cui tut t i andavano i n chiesa, fosse do­vuto a quella forma del rito con cui in quel momento si celebrava la liturgia. Astraen­do completamente dalle metamorfosi che accompagnano la storia e la cultura molt i pensano che la strada giusta sarebbe ritor­nare a quella forma liturgica, al suo presun­to «mistero», alla sua incantatrice sacralità. Specialmente i n tempi di incertezza come questi gli amici della «Messa i n latino» sono molti . I l rito tridentino infonde indubbia­mente una sua forma di fascino. Ma oggi non può essere niente di p i l i che i l fascino emotivo d i una interessante esperienza e-

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stetica. La sua forza di fascinazione sta nel trasportare i n una dimensione separata e diversa dalla concretezza quotidiana della vita reale. L'opposto d i quanto è chiamato a fare i l simbolo liturgico: legare la grazia di Cristo alla storia del discepolo.

Le ragioni teologali I n questa ricerca di soluzioni rimangono insondate e invisibil i le ragioni teologa­li dell'esperienza eucaristica. Ritrovare i l bandolo della matassa, senza precipitare i n soluzioni d'accatto e senza rodersi i n ansie distruttive, richiede per lo meno di ritornare con consapevolezza sui nuclei incandescenti della «necessità» di quella forma cristiana del rito che abbiamo i m ­parato a chiamare confidenzialmente «la Messa». Rimettere a fuoco le ragioni per le quali, senza i l segno della comunione euca­ristica, l'esperienza cristiana non solo non sarebbe quella che è, ma semplicemen­te non potrebbe essere. I l primo d i questi nuclei incandescenti si potrebbe dire così: l'Eucaristia è u n dispositivo che, secondo le intenzioni di Gesti, attualizza simboli­camente l'esperienza dell'incontro credente con il Risorto. La Messa difatti- invenzione rituale senza precedenti - replica la forma e

i l dinamismo dei racconti evangelici delle apparizioni del Risorto (i quali a loro vol­ta sono raccontati nei Vangeli secondo la struttura delle Eucaristie già celebrate dal­la generazione apostolica). Come proclama i n modo splendido la preghiera eucaristica y nella Messa Cesia stesso «ci spiega i l sen­so delle Scritture e spezza i l Pane per noi», conduce anche noi a riconoscere Lui co­me Risorto e Signore, esattamente facen­doci accedere alla stessa esperienza che è stata di quei discepoli. L'Eucaristia offre le condizioni per l'atto d i fede personale che riconosce in Gesti i l Cristo compiuto real­mente davanti a Lui. I l secondo nucleo i n ­candescente, senza del quale la vita cristia­na non sarebbe tale, consiste nel fatto che nella liturgia eucaristica si dà forma alla natura comunitaria della salvezza indivi­duale. Quella cristiana non è una fede del singolo che dialoga individualmente con i l divino. La forma i n cui la via evangelica attrae nella grazia del Dio d i Gesù ogni sin­golo individuo è quella della vita fraterna. Essa è i l destino promesso come comunio­ne dei santi. La comunione fraterna della vita ecclesiale è anticipazione e testimo­nianza di quel destino. L'Eucaristia ne è i l segno reale. Se ci sono ragioni per cui «si deve» essere partecipi dell'Eucaristia, esse stanno fra queste essenziali esigenze dell'e­sperienza cristiana.

Questi due nuclei della vita cristiana co­stituiscono nella liturgia eucaristica delle relazioni reali. Davvero durante l'Eucari­stia si è nella vita della grazia e davanti al Risorto. Cosa che non accade di fronte alla sola Scrittura. Come non accade di fronte al destinatario della carità (l'altro, i l povero, i l fratello). Solo nel dispositivo della liturgia eucaristica i l Signore Gesti è realmente di fronte alla nostra libertà chiamata a ricono-

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La storia, l'uomo, l'Eucarestìa

EZIO GAZZOTTI

scerlo. Essere all'altezza di questo realismo richiede anzitutto alla vita cristiana la capa­cità di ritrovare la vera forza simbolica dei segni della liturgia. Questa esigenza è spes­so proclamata. Aiiiverà senz'altro al letto­re come una formula ovvia. Ma il punto è che a onorarne il compito non si è ancora veramente cominciato. La si è scambiata per molte cose: allegoria, didascalismo, oggettivismo rituale, feticismo devoziona­le. Sondare la posta in gioco della forza del segno liturgico è un compito ancora tutto da avviare. Si dovrà poi acquisire la capaci­tà di metterlo in atto. Dobbiamo del resto ancora acquisire veramente l'idea che ce­lebrare (mettere in atto i segni della grazia) non è semplice esecuzione, applicazione, adempimento, ma un'arte, una sapienza, un'abilità in cui l'efficacia non si dà senza il concorso della verità. Come per ogni gesto significativo compiuto dall'uomo.

I l necessario non comandato Andare a Messa non si deve. Semmai si può. Se si vuole. La forma eucaristica della litur­gia cristiana appartiene all'ordine di quelle cose che non possiedono la doverosità di ciò che è imposto, ma la necessità di ciò che è vi­tale, una volta entrati nell'orbita di legami liberi e tuttavia indispensabili. Non è mai stato difficile mediare l'ingresso all'interno di simili perimetri. La libertà è per l'uomo la condizione piti onerosa. Anche l'winven-zione» con cui Gesti rende disponibile per sempre e per tutti la Sua presenza rimane esposta all'umana ritrosia per quanto è ne­cessario seppure non comandato. Ma non gioverà in nessun modo raccomandarla al discepolo disaffezionato attraverso la lin­gua del dovere. Svanirebbe nello stesso i -stante la splendida rivelazione che tutto è grazia. •

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Come rispondere alla domanda: "Perché andare a Messa"? Tante le vìe che, di fatto, si percorrono a livello pedagogico: l'insistenza sul precetto, il valore "sociale" della Messa, la preoccupazione per un rito attraente. Presentiamo una nostra risposta.

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Succede quando si sale i n montagna; do­po ore i n cui ci si inerpica per sentieri tor­tuosi, la fatica si fa sentire. Conviene allora fermarsi. Ci si assesta, ci si siede. Si consi­dera i l cammino percorso. Non è solo una necessità; è anche un'opportuna strategia. Vale anche per la pastorale e la catechesi. Si investe tanto sull'Eucarestia. Ci sono e-sperienze, riflessioni, sussidi. Ma i risultati non si vedono. Appare invece i l calo verti­ginoso della pratica. Occorre fermarsi. Se si vede i l cammino percorso a partire da u n punto lontano, qualcosa cambia. Non è vero che nulla si è ottenuto.

U n flash dal giurassico

Imbocchiamo questa strada. Proviamo a ricordarci degli anni 1945-1948. È agevole per me: sono le prime immagini che ho re­gistrato nella mia mente. Ricordo la chie­sa del paese: è di stile romanico. È tutta i n pietra, costruita da "artigiani" del posto. Si trova a 900 metri d i altezza. Quanta fatica costa la Messa a coloro che, la domenica, salgono dal fiume? La chiesa è sempre pie­na. È impensabile non andare a Messa. È una specie di crocevia ove incontri tut t i e sai tutto: quanti sono emigrati e quanti so­no tornati? Com'è andata la vendemmia? Chi è i n buona salute e chi è mancato? Fissiamo l'attenzione sulla "Messa alta" delle ore 11. C'è i l coro che interviene. So­no presenti uomini e donne con i l vestito buono. Ma gli u o m i n i - questa è una nor­ma non scritta, ma praticata - si fermano rigorosamente fuori : aspettano che i l prete scopra i l calice: è da quel momento che la Messa è obbligatoria. I l prete, intelligentemente, fa la predica i n dialetto. Deve superare i l duplice handi­cap: la lingua latina e quella italiana.

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Egli ha accuratamente preparato i fanciulli alla Prima Comunione. Bastano 2 mesi: di fatto il contesto familiare è profondamen­te religioso. Ha usato un metodo interatti­vo, facendo culminare ogni incontro con una formula del catechismo di S. Pio X. Quella che ci interessa è questa "L'Euca­restia è il Sacramento che, sotto le appa­renze del pane e del vino, contiene real­mente Corpo e Sangue, Anima e Divinità del nostro Signore Gesìi Cristo per il nu­trimento delle anime"». Questi i nostri interrogativi come chie­richetti: a) Quante volte il prete fa il segno della croce? Che significato ha questo? b) Perché sta così a lungo in ginocchio do­po la consacrazione? Nei giorni feriali si celebrano quasi sem­pre Messe dei defunti. Di solito, appena il prete entra con il caratteristico tricorno, il sacrista intona il Rosario. Svantaggi, condizioni favorevoli Che cosa è cambiato? È finito un mondo, quello della "profonda cristianità". Ci sono certo condizioni sfavorevoli: • È svanito il catecumenato familiare. Si sono interrotti canali di trasmissione del­la fede. Si fa una gran fatica per ricostru­ire un contesto, un quadro di significati. • È svanito il controllo sociale. Sappiamo quale significato abbia il "trascinamento". È occasione per "vedere", farsi una ragione e poi capire. È vero che l'indifferenza e il plu­ralismo hanno spogliato la Chiesa dell'ulti­mo dei suoi poteri, quello sulle coscienze. Ci piange il cuore nel vedere deserta que­sta mensa! Ma si tratta di un elemento pu­ramente negativo? Non avviene, per caso, anche una chiarificazione di fondo: la Mes­sa è atto dei credenti in Gesti, dei discepoli!

Sono maturati elementi nuovi e fecondi: • Si connette sempre piti l'Eucarestia non solo con la morte, ma con la resurrezione di Gesti. Sempre piii si parla di "incontri con il Risorto". • Le Letture con i 3 cicli (ABC) hanno per­messo una comprensione nuova della litur­gia della Parola. Non è preparazione, sala d'attesa. È l'apertura della lettera che Dio ci ha inviato. Narra ciò che nel rito accade. • È in ombra la dimensione di presenza reale "cosificata". Ma è in piena luce, an­che nella percezione del popolo, quella di Cena del Signore (ICor 11,20). • Si può fare un percorso in cui la fede si abbini alla libertà. In questo nuovo contesto quali sono le strategie educative? Le esprimiamo in for­ma di risposta alla domanda: "Perché an­dare a Messa?". "È obbligatorio" Questo slogan fa riferimento alla via precet-dstica. Così si esprime il catechismo di s. Pio

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X. " I l terzo comandamento ricordati di san­tificare le feste ci ordina di onorare Dio nei giorni di festa con atti di culto esterno dei quali, per i cristiani, l'essenziale è la Mes­sa" (Parte I I , n . 184). Che dire di questa via? Ha u n effetto immediato maggiore. Ecco però le contro-indicazioni: • C'è la norma, ma non ancora i l valore. Ci si può ancora chiedere: perché è obbligatorio? • C'è i l rischio di restare sempre sulla so­glia della fede, d i scambiare i l "minimo" con i l massimo. È successo per l'obbligo di confessarsi e comunicarsi almeno a Pa­squa (Concilio Lateranense IV). • Ciò che è "possibilità", "fonte d i vita" de­cade al livello di precetto cui adeguarsi. • Questa procedura mantiene le persone aJ JJveJJo delia "minore età " senza far ma­turare le convinzioni.

"Non puoi non andarci"

Questo slogan è fatto proprio anche da tan­t i non credenti. È preceduto da " i n certe oc­casioni". La motivazione non è né esterna.

né giuridica; è interiore. Se perdi la Messa, t i pri\ di uno dei pezzi di storia (individua­le, sociale, mondiale). Se muore un militare italiano i n Afganistan, come fai a non anda­re ai funerali? Se viene uccisa una ragazza a Brembate, non puoi assentarti. Se si sposa un amico, devi esserci. Quando tuo figlio compie otto anni devi accompagnarlo alla Prima Comunione... La fede non c'entra. La Messa è rappre­sentazione della vita nel suo sorgere, con­giungersi, spegnersi. Segna dei passaggi. Se perdi la Messa, ci perdi tu. Se partecipi port i qualcosa (la solidarietà, la vicinan­za, la gioia).

" T i salvi l'anima"

Per secoli, a livello popolare, ha "fenuto" la motivazione devozionale, spirituale. Si è detto: "Sei piìi vicino a Gesù; acquisti merit i ; t i guadagni i l paradiso; vai avanti nel cammino della fede". Questa risposta è di ordine diverso rispet­to alle precedenti. Non apporta ragioni e-

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sterne, estrinseche. Pone al centro il "teso­ro" che è l'Eucarestia. La considera come fonte d'acqua zampillante. In negativo ha la visione del Dio con il "se" davanti. Egli "ti salva se"... vai a Messa. Il Sa­cramento è premio, riconoscimento. Non è pili in quell'ordine che è espresso nel saluto liturgico "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi".

"Vieni e vedi" Questa risposta sposta l'accento: mostra l'Eucarestia. La intende come azione co­munitaria, come esperienza da vivere. Questa via, alcune volte, funziona: • Per i genitori, per gli educatori. È bello che essi precedano i piccoli e non li spediscano a Messa. Si impegnano poi a fare da "voce narrante" all'interno del rito. Non può es­sere strada permanente. I "piccoli" cresco­no. Devono arrivare ad avere convinzioni. Gli adulti resteranno propositivi se le loro facce "parleranno di resurrezione". • Quando una comunità intera si attiva per accogliere, coinvolgere, presentare gesti veri e non semplicemente "gesti esatti". Non funziona (se non epidermicamente e momentaneamente) quando si pongono in atto procedure fascinose (ogni volta si inventa qualcosa, si scambia il "rumore" con la partecipazione, si mettono le mani sulla struttura stessa dell'Eucarestia). Ani­mare la Messa è mostrarne l'anima. • Quando, dopo o prima del rito, si narra la storia di salvezza culminante nella Pasqua.

"Senza l'Eucarestia non possiamo vivere" Sappiamo che cosa succede in Africa, ad Abilene nel 304 d.C.: è in atto una violenta persecuzione contro i cristiani. Ogni atto di culto è proibito. Emerito ospita in ca­

sa sua persone che celebrano il giorno d t Signore. Il proconsole Anulino gli chiede "Perché non glielo hai impedito?" Rispor de Emerito: "Non avrei potuto farlo, perch-noi cristiani non possiamo stare senza l'Eu­carestia domenicale" (Atti dei Martiri XI, Qui siamo proprio agli antipodi della \T. precettistica: • È proibito • Noi violiamo la legge per affermare, cor questo rito, la nostra identità. Per noi lo spezzare i l pane (At 2,46) e fa: passare il calice è segno distintivo, moti­vo di gloria. Non ci legano appartenenze sociali, etniche, livelli etici: si comunice a noi i l Dio fatto corpo, fatto carne, fatte sangue. È una divinizzazione conviviale discendente, festosa. Mangiando Cristc diventiamo suo corpo. C'è un invito perentorio "Prendete e man­giate", prendete e bevete. Con gioia lo ac­cogliamo. Così sentiamo che Dio è pane cioè vita; è vino cioè gioia (Le 22,14-20). Noi, come le donne che vanno al sepolcro, cerchiamo Gesti di Nazareth. Senza di lui non potremmo vivere. Ci viene indicato il luogo dell'appuntamento e dell'incon­tro: "Andate dai fratelli: là lo vedrete" (Me 16,7; Mt 28,7). Le sorti del mondo sono tutt'altro che de­cise. Vincerà la morte? Questa grande av­ventura della storia si concluderà con il grido inascoltato delle vittime? E Dio da che parte sta? L'Eucarestia dà una risposta che non ri­guarda solo il destino del singolo. Concer­ne l'umanità, la storia. Dio, in Gesti cro­cifisso e risorto, si implica. Dice il Cristo: "Questo sono io, dato per voi". In base a questo, i l futuro assume la for­ma di banchetto eterno, festivo (Le 22,14-18). •

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La domenica occorre andare a Messa: pare un "precetto" collegato alla minore età. Come mai i genitori disertano il rito? Come rimotivare gli adulti?

I ELIANA ZANOLETTI

Una mistagogia della Eucarestìa o l'Eucarestìa come mistagogia

Tutti i catechisti dell'ICFR sanno che l'in­sistenza con cui propongono ai fanciulli e ragazzi la partecipazione all'Eucarestia domenicale è destinata ad essere ineffica­ce se non è supportata cordialmente dai genitori, non solo a parole, ma con i fatti. Il duplice messaggio contenuto nella dico­tomia fra le parole ("La domenica bisogna andare a Messa") e la pratica dei genitori

• - che a Messa proprio non ci vanno o che depositano il bambino sulla soglia della chiesa per venirlo a ritirare 45' dopo - crea effetti conseguenti. Ovvero: il ragazzino capisce benissimo che si tratta di una pratica temporanea, legata alla sua condizione di minorità, da

cui potrà felicemente emanciparsi appena raggiunta l'età della ragione (ovvero dopo la Cresima). Come ha affermato A. Castegnaro in un'in­dagine miliare sulla pre-adolescenza': " Ci si può chiedere per quali motivi una pra­tica religiosa così alta come quella ma­nifestata in età evolutiva dovrebbe man­tenersi nel tempo, se il contesto sociale è caratterizzato da una pratica reUgiosa modesta [...]. Un interrogativo vero si porrebbe semmai se avvenisse il contrario, se cioè ragazzi nati e cresciuti in ambienti spesso mode­stamente religiosi o comunque lontani dalla religione "di chiesa", avviati ad inse-

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rirsi in un mondo adulto altrettanto poco interessato, conservassero ciononostante un alto livello di pratica religiosa". Rimotivare gli adulti Sarebbe quindi fondamentale rimotivare i credenti adulti alla frequentazione all'Eu­carestia della domenica; le nostre forze migliori dovrebbero spendersi in questa direzione: nel far comprendere agli adulti già compiutamente iniziati - ovvero che hanno celebrato i sacramenti dell'inizia­zione - che "senza la Messa non sei cristia­no", nella convinzione che se custodiamo la domenica, "la domenica custodirà noi"

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(GEI, Volto missionario della parrocchia...). Questa prospettiva potrebbe sembrare, a prima vista, una regressione rispetto alle indicazioni del decennio GEI su Evange­lizzazione e Sacramenti 0970-80), quando si avvertiva come incresciosa una pratica sacramentale discostata dalla vita, una frequentazione alla Messa che riducesse a sé il tutto del Gristianesimo. Non si tratta, ovviamente, di ritornare al minimalismo del precetto adempiuto co­me tassa da pagare o investimento oculato

per l'eternità. Sono passati 40 anni di cam­mino dal primo piano pastorale dell'epi­scopato italiano, la secolarizzazione è a-vanzata, le comunità cristiane hanno at­traversato varie fasi. Nel riconoscimento, non pienamente metabolizzato, di essere una minoranza, cruciali sono i temi della figura del cristiano adulto, della differenza cristiana, del primo annuncio e della cura delle "pratiche" che mantengono vitale la fede senza ridurla ad una dimensione set­taria e culturalmente stravagante. In questa nuova temperie è frequente il ri­chiamo al valore performativo della litur­gia. D'altra parte, la liturgia è il primo luo­

go in cui la Ghiesa si esprime, mettendo se stessa in scena, prima di dirsi attraver­so discorsi razionali: essa resta un "luogo simbolico in cui sono formate le menta­lità, modellate le spiritualità e forgiate le rappresentazioni cristiane".^ In una logica di "secondo annuncio" Si tratta di prendere sul serio la felice e-spressione di "secondo annuncio" recen­temente coniata^ I genitori che incontriamo per la richiesta

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dei sacramenti sono mi numero consi­derevole di persone che hanno un mini­mo di dimestichezza con ciò che stanno chiedendo: conoscono il Cristianesimo e la Chiesa forse troppo e male; danno la fe­de per scontata anche se ne hanno una vi­sione parziale, confusa se non addirittura distorta; vivono alcune abitudini religiose, legate a qualche gesto o rito. Non stiamo parlando di persone totalmen­te estranee - per le quali la Chiesa e le sue pratiche sono assoluti misteri - ma di sog­getti che si avvalgono in modo differenzia­to e selettivo dell'offerta ecclesiale, avendo acquisito il "diritto" a farlo, essendo co­

munque stati iniziati. Per prendere sul se­rio la loro richiesta, occorre superare una serie di deficit che vanno prima nominati. Un deficit di sorpresa Gli adulti sono quelli che in qualche modo sanno già e questo "sapere già" costituisce spesso un inspessimento della sensibilità, una riduzione della disponibilità ad ap­prendere. La partecipazione sporadica e distratta all'Eucarestia domenicale tende a confermare (piuttosto che a convertire)

le precomprensioni religiose pre-esisten­ti, soprattutto se legate alla fanciullezza e non sottoposte a nessuna revisione seria o intervento formativo prolungato. Forse bisognerebbe riuscire a sorprende­re di nuovo: è vero che l'Eucarestia non è un'occasione per esibire creatività ed im­provvisazione, ma neanche è una rubrica da ripetere in modo routinario e sciatto. Un deficit di conoscenza Per abitare la liturgia occorre l'intelligenza del rito. Non occorre capire tutto - e capire tutto in ogni celebrazione - ma non è op­portuno sottovalutare il bisogno di sapere

(non durante la celebrazione, ma prima, in un contesto catechistico) cosa accade, di ricevere suggerimenti su come vivere le singole parti del rito. Spesso ci si sorprende (da adulti) a ripetere gesti, preghiere, disposizioni che ci erano stati inculcati da bambini, non disponen­do di nessun'altra elaborazione. Un deficit di attivazione/processo Ogni rito inizia e finisce e si suppone che la situazione in uscita non sia identica a

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quella i n ingresso. Una celebrazione eu-caristica fa fare delle cose. Attraverso ciò che fa fare, intende anche sollecitare, pro­muovere, abilitare... I l gesto che Gesìi ha scelto, n o n ha nulla d i esoterico; è un ge­sto dell'esistenza, la commensalità, ed una commensalità umana: fatta d i parole, di riconoscimento reciproco, di cibo offerto e consumato... Propriamente la celebrazione è una m i -stagogia. Attraverso ciò che fa fare intro­duce dentro. Una mancanza di "regia" rende difficolto­so "entrare" nella celebrazione: spesso le parti che si susseguono vengono percepite come scollegate. Se si cambiasse l 'ordine di alcune preghiere o momenti , l'assem­blea celebrante i n buona parte n o n per­cepirebbe la dissonanza, segno che n o n è entrata da nessuna parte.

Un deficit di attualità L'Eucarestia n o n è una parentesi a-pro­blematica, u n tempo sotto vuoto, un non­luogo senza rapporto con la vita. Alla fine bisogna pure aderire al proprio mondo. Viviamo un quotidiano che è piccolo an­che se ci impegna dal mattino alla sera. Questo piccolo non vive a sé, ma dentro u n p i l i grande che è quello che incontria­mo nell'assemblea domenicale. A volte, i nostri ambienti hanno poco ossigeno per­ché dimenticano che i l piccolo sta dentro i l grande, ma non come un'alienazione o una sublimazione. I r i t i hanno a che fare con la vita.

Due sfondi integratori MoltepUci sono i percorsi "mistagogici" sul rito per gh adulti''; qui ci l imit iamo a proporre due orizzonti da "secondo an­nuncio" esistenziaU e storici.

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• L'Eucarestia come "processo alchemico" In u n suo libro recente^ A. Gruen afferma che, in ogni Eucaristia, celebriamo la tra­sformazione della nostra vita. Nei doni del pane e del vino offriamo a Dio noi stessi, con le nostre lacerazioni, i nostri pensie­r i e i nostri sentimenti. "Abbiamo fiducia nel fatto che Dio accetta i nostri doni e l i trasforma, Attraverso le molte celebrazio­n i eucaristiche, qualcosa i n noi , imper­cettibilmente, viene modificato, come la pasta madre fa hevitare tutta la madia di farina e la trasforma i n qualcosa d i gusto­so e commestibile".

I l messaggio della metamorfosi che Dio opera i n noi è davvero una buona not i ­zia. Nell'Eucarestia avviene la trasforma­zione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesti Cristo, ma anche la nostra trasformazione: la nostra quotidianità, i l nostro lavoro, i nostri sentimenti sono tra­sformati i n gioia divina, i n vita divina. La celebrazione, attraverso quello che ci fa

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Deiss L., La Messa. Comprendere per partecipare, EMP, Padova 1992.

Donghi A., Gesti e parole. Un'iniziazione al linguaggio simbolico, LEV, Città del Vaticano 1993.

Magrassi M.-Radcliffe T., L'anima della domenica, EDB, Bologna 2005.

La Font G., Eucarestìa. Il pasto e la parola. Grandezza e forza del simbolo, EDC, Leumann 2002.

Radcliffe T., Perché andare a Messa? Il dramma dell'Eucarestia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009.

Falsini R., Gestì e parole della Messa. Per la comprensione del mistero celebrato. Ancora, Milano 2001.

Maule L., Per grazia tua tì lodo. La preghiera cristiana: i Divini misteri e le Ore sante, EDB, Bologna 2006.

Wernert F.-Moog D., Per vivere insieme l'Eucarestìa. Strumento di lavoro per animatori e gruppi liturgici, EDC, Leumann 2010.

fare, diventa per noi la possibilità di vedere diversamente; di collegare diversamente i frammenti della nostra vita secondo la lo­gica che corrisponde all'esperienza di Ge­sti, al suo mistero pasquale. L'Eucarestia ci fa entrare in un rito che ci precede e ci ospita, facendoci fare cose che ci abilitano ad una personale rielaborazione. Ogni Eu­caristia è riserva di un buon immaginario. • La celebrazione eucaristica come "dram­ma" Una prospettiva molto interessante è sta­ta proposta daT. Radcliffe'' che riprende i l tema della trasformazione: impercettibil­mente, come un albero che cresce, l'Euca­restia ci forma come persone che credono, sperano ed esercitano la carità. Per spiegare ciò, propone di leggere la ce­lebrazione come un dramma in tre atti: nel primo atto siamo imdtati ad eserci­tare la fede (riti di ingresso, ascolto della Parola, professione del Credo, Preghiera dei Fedeli);

nel secondo atto, la fede porta sàia, speran­za i dall'offertorio alla fme della Preghie­ra Eucaristica). Siamo abilitati ad essere donatori nella fiducia che il regalo che i l Signore Gesù fa di sé, per quanto contra­stato, vince sulla morte e sul male. È questa la nostra piti grande speranza: la cena del giovedì santo sembra celebrare un fallimento, ma di fronte alla sconfit­ta, Gesij offre la sua vita al Padre, lo prega perché ne faccia qualcosa; nel terzo atto esultiamo per la vittoria dell'amore. Siamo chiamati a recitare il Padre Nostro, scam­biare il segno della pace e a riconoscere Gesù Risorto che ci prepara una mensa e ci nutre del suo Corpo, rendendoci suo corpo reale. In conclusione siamo congedati ("Andate in pace"), non perché dobbiamo far posto alla Messa successiva, ma perché siamo mandati in missione: inviati ad incarna­re il riconoscimento del Padre verso tutti i suoi figli. •

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dalla riflessione al lavoro

1 La domanda

Ci lasciamo raggiungere dall'interrogativo espresso nel titolo "Perché andare a IVlessa?". Diamo libero sfogo alle risposte. Non censuriamone alcuna: • È obbligatorio. C'è uno specifico precetto della Chiesa; • È una devozione; • Si attinge forza spirituale per l'intera settimana; • Si celebra la morte e resurrezione di Gesù.

Colui che guida la riflessione fa da specchio. Raccoglie tutto su di un foglio o sulla lavagna. Fa emergere la concezione di Eucarestia che è sottesa. La Messa appare come: • Osservanza rituale • IVlezzo per la santificazione spirituale dell'individuo

• Celebrazione settimanale della Pasqua.

Ci aiuta l'articolo di A. Bianchi.

2 Dimensione storico-teologica

Leggiamo l'articolo di G. Zanchi. L'Eucarestia nei primi tempi era: • Punto di arrivo del cammino di fede • Rito tipicamente cristiano, riservato agli iniziati, custodito dalla disciplina dell'arcano. Per noi è diventata: • Realtà universalmente accessibile, incondizionata • Rappresentazione del dramma dell'esistenza sociale. Si può riscoprire come: • Attualizzazione, per noi, degli incontri con il Risuscitato • Possibilità, per noi, di credere a Gesù, di riconoscerlo presente, di nutrirci di lui. Ci chiediamo: a) È vero che sì è verificato questo ribaltamento? b) I racconti evangelici ci parlano dell'incontro con il Risorto già in forma di rito. Che sigrrifica questo per noi?

' Diocesi di Vicenza, Sentieri Interrotti, rapporto policopiato, dicembre 1996 ^G.Jiouthier, La Chiesa dopo il Concilio, Qiqajon, 2007

^ E. Biemmi, // secondo annuncio, EDB, 2011, pp. 36-7 Evangelizzare ne ha proposti a pii;t riprese: cfr. E. Ciazzotti la rubrica La Messa: un pane da spezzare,

anno 2010-11; ma anche l'inserto Dio è di casa (2002-3), una mistagogia dell'edificio, che era insieme mistagogia alla celebrazione. La mistagogla è una dimensione fondamentale della liturgia; essa si basa sulla consapevolezza che il senso delle cose non si esaurisce in quello che si può vedere, ascoltare e realizzare la prima volta. La mistagogia è l'ingresso nel mistero, e i l tempo necessario a tale operazione. (R De Clerck, Liturgia Viva, Qiqajon, 2008). ^ A. Gruen, Confidare nella trasformazione, Queriniana, 2011 (dello stesso vedi aitche Eucarestia)

« T. Radcliffe, Perché andare in Chiesa?, San Paolo, 2010

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La via pedagogica

Leggiamo l'articolo di E. Cazzotti. Ci chiediamo: a) È vero che sono inconcludenti le vie dell'esasperazione della legge e dell'appagamento delle esigenze individuali devozionali? b) Si può ancora percorrere con gli adulti la strada del controllo sociale? c) Quali le vie oggi più opportune?

Come rimotivare Leggiamo l'articolo di E. Zanoletti. Attinge al testo di T. Radcliffe Perché andare in chiesa? Il dramma dell'Eucarestia. San Paolo, Cinisello Balsamo 2009. Ci chiediamo: a) È vero che, ogni domenica, sotto i nostri occhi, si svolge il dramma più decisivo per l'umanità? b) Come e perché le varie fasi del rito trasformano le nostre persone, rendendole capaci di condividere la vita di Dio?

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Volti dell'Eucarestia lungo i secoli

Per molta parte del popolo cristiano, il Concilio Vaticano II fu reso evidente e immediato con i cambiamenti avvenuti nella celebrazione eucaristica. Il cambio della direzione del celebrante, l'altare collocato in modo da guardare i fedeli, l'uso della lingua italiana, furono i frutti evidenti e la traduzione di quell'ideale di "partecipazione attiva" [actuosa partìcipatìo) auspicata dalla Sacrosanctum Concilium, la costituzione sulla liturgia approvata nel dicembre del 1963. "Si possa concedere nelle Messe celebrate con partecipazione di popolo - afferma il testo non senza contorsioni - una congrua parte alla lingua volgare. Si abbia però cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme anche in lingua latina le parti dell'Ordinario della Messa che spettano ad essi". Eppure già per arrivare a questo primo, parziale obiettivo vi furono aspre resistenze tra i padri conciliari. L'argomento utilizzato dai conservatori era che bisognava salvaguardare la tradizione e il mistero dei riti, che il latino racchiudeva più il senso del sacro e che, usandolo, si capiva la Messa in qualunque parte del mondo. Ma come è andata lungo la storia?

La Didaché

Il primo scritto, dopo il Nuovo Testamento, nel quale ricorre il sostantivo "Eucaristia", è la Didachè, un testo molto vicino alla Prima lettera ai Corinti di Paolo. Accanto vi troviamo la forma verbale eucaristein: «Per il rendimento di grazie (Eucaristia) così rendete grazie (eucaristesate).

Anzitutto per il calice: Ti rendiamo grazie o Padre...». La preghiera di azione di grazie, detta Eucaristia, accompagna la cena e la specifica; nello stesso tempo il pane e il vino collocati in questo nuovo contesto, assumono il nome di "Eucaristia": «Nessuno mangi o beva della vostra Eucaristia se non è battezzato».

La disciplina dell'arcano

Quello che è certo, è che la celebrazione dell'Eucarestia era parte integrante e decisiva del percorso di iniziazione di quanti intendevano entrare nella comunità cristiana. Senza voler esagerare il senso della disciplina detta "dell'arcano", non si può dimenticare che, nella Chiesa primitiva, i riti di iniziazione erano segreti. Le catechesi dei padri ci dimostrano che la spiegazione particolareggiata dei riti avveniva quando i catecumeni avevano ormai fatto l'esperienza vitale dei Sacramenti dell'Iniziazione. Questa catechesi era essenzialmente "mistagogica". "Iniziazione" significa anche inizio, ingresso in una vita nuova, quella appunto dell'uomo nuovo in seno alla Chiesa. Come in ogni vita, anche qui si ha un progresso con tappe che - in questo caso - sono rappresentate dai Sacramenti dell'Iniziazione. Nel loro cammino verso l'altare, conclusione obbligatoria della loro iniziazione, anticamente i neofiti erano accompagnati dal canto dei SI 22 e 44.

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DANIELE ROCCHETTI

S. Ambrogio

S. Ambrogio, commentando il SI 22, vede nell'Eucaristia il sacramento che ci fa "entrare" definitivamente nel corpo di Cristo. Il Battesimo e la Confermazione ci danno la possibilità di incorporarci definitivamente nel corpo del Signore: sono la preparazione indispensabile a ciò che nell'Eucaristia trova il suo pieno compimento. A poco a poco, olla celebrazione si darà poi un nuovo nome, tanto in Occidente ("santa Messa") che in Oriente ("Divina Liturgia"), e della preghiera di azione di grazie si perderà anche il nome, eccetto che per il racconto della Cena o Consacrazione; e il nome di "Eucaristia" sarà riservato al Corpo e Sangue di Cristo, e infine all'Ostia identificata nella persona di Cristo di cui si sottolineerà la presenza, più da adorare che da consumare.

Assistere più che partecipare

Sarà il Concilio di Trento ('J545-1563) non solo a definire il perimetro dogmatico e dottrinale all'interno del quale comprendere - in contrapposizione con la visione espressa dalla Riforma - il valore dell'Eucarestia, ma a mostrarla come elemento culmine dell'appartenenza cristiana. La gestione dell'atto rituale è esclusivamente affidata ai membri del clero, i quali devono agire non solo in piena fedeltà a quanto stabilito, ma digne, attente ac devote. L'assemblea che interviene al rito risulta in genere soltanto sua destinataria e per di più quasi sempre

in atteggiamento muto e passivo. I fedeli infatti sono chiamati ad ascoltare, senza peraltro comprendere, nella maggior parte dei casi, il significato delle parole e dei gesti. La massa "assiste" quasi sempre in ginocchio, in un atteggiamento di preghiera devota e personale; le risposte e le acclamazioni, pur previste dal rito, sono generalmente date da uno a nome di tutti . Le rubriche non prendono affatto in considerazione la presenza e l'agire dell'assemblea ed escludono totalmente

una diversificazione nel modo celebrativo, in relazione alla diversità di situazioni locali ambientali, culturali e di fede. La celebrazione acquista così un volto cerimoniale, pomposo e formalistico, che suscita al più un atteggiamento di stupore e di compiacenza. S'indebolisce e addirittura si perde il senso comunitario della Chiesa e dell'assemblea celebrante, perché si appoggia a una ecclesiologia di poteri, il cui centro rischia di non essere il Cristo, ma il clero.

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Nel giorno del sole Ogni settimana, nel giorno del sole, ti siedi in mezzo a noi, Ospite divino. Ancora ci trovi recintati dalla nostra paura, pronti forse a tradirti, preoccupati comunque dei primi posti. Ancora dici "Pace" e mostri la tua carta di riconoscimento: le piaghe alle mani, la ferita al cuore.

Alzi gli occhi verso il Padre, gli dici "Grazie" e frantumi il tuo corpo in mille particelle, perché ogni uomo ti abbia in cibo. Fa che, alla sera della vita, ci ritroviamo ancora in una tavolata senza misura, ove ogni popolo veda da vicino il volto del Padre tuo, nella tua casa. Amen. EZIO 6AZZOTTI