Dossier Alemanno

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Roma distrutta in un giorno

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Dossier Alemanno

Roma distrutta in un giorno

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Prefazione

Fino a poco prima che lo scandalo della Regione Lazio cancellasse la classifica dei fallimenti del centrodestra

girava una battuta tra i maggiorenti del Pdl: “A Roma dopo Alemanno non vinciamo nemmeno se

candidiamo Gesù Cristo”.

Eppure l’aveva detto “Gianni il pugliese” che il 2013 l’avrebbe rivisto di nuovo ai blocchi di partenza per la

conquista della Città Eterna. E questo per il semplice motivo che Roma non si fa in un giorno e a lui

sarebbero occorsi “almeno dieci anni per dare una svolta a questa città”. Gliene sono bastati cinque per

portarla allo stremo e imbottirla di populismo e funanbolismo.

Ma si sa, l’arrosto non è Roma, ma lui, o meglio il progetto politico della destra sociale “al potere” con quel

misto di revival e falso modernismo, razzismo cagnesco e doppiopetto affittato al magazzino dei costumi

del teatro dell’opera.

Dal Gran Premio di Formula Uno dell'Eur alla candidatura alle Olimpiadi, dalla valanga di inchieste sugli

uomini da lui messi nei posti chiave, e relativi schizzi di fango (Punti verdi, dossier da usare contro

l’opposizione, mazzette ovunque, fascistopoli, parentopoli), per finire all’inglorioso primato del bilancio

preventivo più evanescente e inutile del mondo, quella di Alemanno è stata una giunta che dire inefficiente

e inconcludente è senz’altro dire poco.

Nessuno oggi ricorda la difficoltà a mettere insieme la squadra degli assessori, indice di una mancanza reale

di uomini e idee. Nessuno ricorda più ormai i continui rimpasti e né gli scontri con funzionari, direttori e

presidenti di municipalizzate. Di fronte a tanto disastro, in realtà, una ratio c’è, ed è il tentativo di

“Aledanno” di trovare una nuova strada di potere legando la sua esperienza politica passata, ovvero la

cosiddetta destra sociale dei picchiatori, e di qualche affarista senza scrupoli, contesa ai suoi antagonisti

diretti, Storace e Polverini, ai poteri forti della città e alla filiera politico-affaristica del Vaticano. Operazione

riuscita a metà, evidentemente. Cioè, cinque anni passati a distribuire prebende e regalìe ma quasi nessun

progresso sul piano dell’accreditamento nelle stanze che contano e dell’amministrazione della cosa

pubblica. Anzi, se leggiamo l’operazione Acea (e quella della vignettistica Formula Uno) come un tentativo

di consolidare il legame con Caltagirone viene a galla tutta la portata del flop.

Alemanno ha sempre giocato la carta “telegenica”, cercando di seguire il maestro Berlusconi sullo stesso

terreno: interpretare cioè contemporaneamente il volto del Governo e quello dell’Opposizione

(paradossale il siparietto del “No” alla discarica ai “Monti dell’Ortaccio” o quello, pala in mano, dell’invito a

far fronte all’emergenza neve) e provando a nascondere la sua strutturale incapacità a risolvere i problemi.

E quando questo non è proprio possibile, né politicamente realistico, eccolo rifugiarsi in un populismo

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d’accatto, mai in sintonia con i cittadini di Roma, peraltro, che hanno sempre stigmatizzato con diffidenza e

ironia le esibizioni del potere e della ricerca facile del consenso.

Anche se sono in pochi a dirlo ma Alemanno è proprio con i cittadini che ha dovuto vedersela in questi anni:

dai numerosi comitati No Pup a quelli contro le discariche, tra le rivolte per l’aumento dei biglietti e lo

stravolgimento dei percorsi dei mezzi pubblici, senza dimenticare gli asili nido, i tagli ai servizi sociali e le

occupazioni delle case, il confronto è stato molto diretto. Il movimento per l’acqua pubblica e i beni

comuni, che comunque ha messo una zeppa al suo progetto di privatizzazione dell’Acea, e i vari comitati

sorti nei quartieri contro l’alienazione del patrimonio pubblico, hanno finito per decretare la fine di ogni

velleità del centrodestra di “domare” la protesta sociale.

Quel che è venuto a galla con fascistopoli e parentopoli sono solo alcuni brandelli del percorso di Alemanno

dentro una “democristianissima” costruzione del potere. Dentro il Campidoglio ha fatto di peggio: da una

parte si arroga la promozione al rango di empirico conoscitore dei meccanismi di governo ma dall’altra

viene condannato a un profilo da sbruffone che di fatto ha finito per portarlo verso la deriva, fino al punto

di piatire l’appoggio di Berlusconi.

“Ad un certo punto deleghe, nomine in incarichi – scrive l’ex assessore Umberto Croppi nel suo pamphlet

dal significativo titolo di “Romanzo Comunale” - quelle date a non consiglieri alla fine ammonteranno a

trentacinque: c’è un delegato alla memoria, uno alle politiche della disabilità, uno alla sicurezza nello sport,

uno all’energia del Tevere, c’è perfino un’addetta alle relazioni con il Dalai Lama!”. Ed ancora, “non era mai

successo prima che, in questa misura, il Consiglio comunale disponesse di una capacità autonoma di spesa

come in questi anni. La presidenza è arrivata addirittura a fare dei bandi per attività di spettacolo. Senza

commissioni tecniche, senza valutazione di congruità, senza controlli e senza nemmeno pubblicare le

graduatorie. Altro che organo di indirizzo”. L’assoluta evanescenza del merito, un po’ per ignoranza, un po’

per scelta politica è una costanza nella legislatura di Alemanno. E su alcune questioni, come l’Urbanistica e

il Bilancio, tanto per fare alcuni esempi, assolutamente decisiva.

Insomma, Alemanno i nomignoli di “Retromanno” e “Aledanno” se li conquista sul campo, vittima della sua

stessa furbizia. Mentre da una parte tesse una rassicurante ragnatela protettiva con il Consiglio comunale e

con la rete di sottobosco della politica distribuendo i classici “doni di babbo natale” al momento di chiudere

il bilancio preventivo, dall’altra fa un uso sfrenato dello spoil sistem alienandosi il potenziale collaborativo

della macchina amministrativa ma senza alcuna garanzia sul piano dell’efficacia. Risultato, paralisi totale

della legislatura e impantanamento nelle secche di “Roma Capitale”. Nessuno dice, per esempio, che

Alemanno è laureato in ingegneria ambientale. E nel suo campo, quindi, Roma presenta un bilancio che è

un autentico naufragio. Tre i capitoli che registrano un peggioramento della situazione rispetto alla

legislatura precedente: rifiuti e inquinamento, verde pubblico, amministrazione e decentramento.

Se è vero questo profilo allora bisognerà capire come Alemanno intende interpretare la campagna

elettorale del 2013. L’interpreterà, di fronte ai disastri costruiti consapevolmente, nel più classico canone

del centrodestra, ovvero “non mi hanno lasciato lavorare”; oppure opererà in trincea consolidando

promesse e scambi con i poteri forti e quel po’ di destra sociale che comunque qualche riconoscenza gliela

deve? Userà una delle tante varianti “anticomuniste” già sperimentate da Berlusconi oppure continuerà a

parlare a vanvera di progetti faraonici e irrealizzabili? Infine, utilizzerà il falso schermo della crisi per fare da

paravento ai fallimenti della sua amministrazione?

Intanto, tra promesse mancate e degrado imperante, Roma va a rotoli. A parte le solite buche delle strade

che nessuno riesce a tappare, l'economia langue (Confcommercio segnala la chiusura, nel 2011, di 5 mila

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imprese, mentre Confindustria ha parlato di un vero e proprio boom - più 13,9 per cento - di disoccupati) e

le opere pubbliche restano al palo. Anche i problemi endemici della capitale sono irrisolti: secondo il IV

Rapporto sulla qualità della vita dell'Agenzia per la qualità dei servizi pubblici romani, il 67 per cento dei

cittadini sostiene che la situazione del traffico negli ultimi due anni è peggiorata, mentre la gestione dei

mezzi pubblici (in primis metro, poi bus, tram e taxi) è giudicata molto al di sotto della sufficienza. I romani,

poi, sono i più tartassati d’Italia. Con un reddito da 40mila euro Regione e Comune chiedono in totale 1040

euro all’anno mentre a Milano se la cavano con 467. Roma è sì la Capitale d’Italia, ma per quanto riguarda

l’indice di tassazione dell’Ici/Imu.

Il fallimento del disegno politico del centrodestra ci consegna un centro politico non meno pericoloso e

insidioso, anzi. Si tratta di voti “in libera uscita”, buoni per qualsiasi avventura politica che non metta al

centro i veri contenuti e i veri bisogni di una città a cui sempre più urgentemente serve di voltare pagina.

Letto in trasparenza il percorso politico di Alemanno appare in più punti coincidente con quello della

precedente amministrazione. E oggi più che mai l’effervescenza del centro politico provocata dai suoi

disastri ci fa correre il rischio di una ripresa di quel filo sotto mentite spoglie. E di questo lo stesso

Alemanno potrebbe essere un nuovo protagonista.

Dall’altra parte, il voto di protesta che aveva caratterizzato la sua ascesa, ritorna nelle periferie con il

pericolo di dar luogo ad una fiammata di astensionismo diffuso. Qui il discorso si ferma sulla sinistra e sulla

sua capacità di cominciare a riannodare i fili di un discorso sui suoi referenti sociali interrotto molto tempo

fa.

Un ringraziamento particolare va ai compagni e alle compagne della redazione di Liberaroma che hanno

abbracciato fin da subito l’idea di curare un dossier su alcuni dei capitoli più importante della legislatura del

centrodestra a Roma nonostante i già gravosi impegni di lavoro, militanza e partecipazione politica.

Fabio Alberti segretario Prc Roma

Fabio Nobile segretario Pdci Roma

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Nota Introduttiva

Questo dossier è stato redatto seguendo il criterio della mera compilazione. Sono stati messi assieme i

buchi più vistosi, e nemmeno tutti, che Gianni Alemanno è andato facendo in una città già segnata dalla

precedente amministrazione di Walter Veltroni. Veltroni che aveva consegnato la Capitale ai palazzinari di

tutte le risme ha tracciato un solco che il suo successore ha seguito fedelmente nel metodo e nel merito.

Diversamente da Veltroni, però, lo stile di Alemanno per quanto riguarda l’informazione sulla sua attività

politica ha spesso cercato di cancellare le tracce interpretando, così come ha insegnato Berlusconi, sia la

parte del governo che quella della protesta. La sua recente partecipazione alla manifestazione contro la

discarica dei Monti dell’Ortaccio è piuttosto emblematica. È utile, quindi, tornare a porre all’attenzione

dell’opinione pubblica le “prodezze” di questo sindaco che al suo esordio dichiarò di voler cambiare

radicalmente la Città Eterna, forte del consenso che gli arrivava dal voto di protesta.

Per la redazione del dossier stati utilizzati i dati acquisibili dai normali mezzi di informazione, a cominciare

dalla rete, che è stata particolare produttiva nelle critiche, soprattutto quelle prodotte dai cittadini. La

forma del dossier è da intendersi quindi come un primo gradino per la comprensione di ciò che sta

realmente accadendo nella nostra città attraverso la pubblicazione di materiali che raramente vengono

messi insieme. Non c’è alcuna pretesa di sistematicità ed esaustività, naturalmente. Abbiamo preso in

considerazione temi comprensibili per tutti ed emblematici del percorso politico ed amministrativo della

giunta di centrodestra.

Un ringraziamento particolare va quindi a tutti coloro che a vario titolo hanno partecipato alla stesura del

dossier:, Isabella Borghese, Francesca Casafina, Roberta Cecili, Nicola Gesualdo, Francesco Guido, Adriano

Manna, Luigi Mazza, Marco Piccinelli, Bruno Steri, Michele Trotta, Grazia Rosa Villani. La redazione di

Liberaroma è stata il nostro luogo di incontro e di scambio tenuti insieme da quel giornalismo militante che

riesce a dare ancora risultati apprezzabili. Abbiamo poi voluto ospitare il contributo di un esperto, Claudio

Graziani, responsabile immigrazione di Arci Roma e Lazio.

Le nostre fonti sono state, oltre ai giornali e ai siti, soprattutto della società civile organizzata, i pochi libri

sul tema. Un ringraziamento va quindi agli autori di questi volumi: Ella Baffoni, Daniele Nalbone, Giacomo

Russo Spena, Nicoletta Orlandi Posti, Massimiliano Iervolino, Daniele Autieri.

Fabio Sebastiani

presidente coop Liberaroma

e direttore del sito www.liberaroma.it

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1.

Bilancio

Sulla testa di ogni cittadino di Roma pende…

Ha fatto rumore tempo fa la notizia tempo fa del rischio del fallimento della Regione Sicilia a causa di un

debito consolidato di 17 miliardi. L’isola ha poco più di 5 milioni di abitanti: ogni siciliano – neonati

compresi – ha un debito di 3.400 euro ciascuno.

Roma, per esplicita ammissione del sindaco Alemanno, ha 12 miliardi di debito consolidato. A questa cifra

spaventosa, su cui in realtà non si riesce a fare mai una chiarezza definitiva proprio a causa delle cortine

fumogene lanciate da assessori e commissari governativi al Campidoglio, va aggiunto il debito di alcune

municipalizzate (Atac e Ama in primis) e quello dovuto agli espropri per opere pubbliche non perfezionati:

si arriva a 15 miliardi. La popolazione di Roma è di circa 2 milioni e 600 mila abitanti. Ogni romano – neonati

compresi – ha un debito di 5.800 euro ciascuno. Se la regione Sicilia rischia di fallire, la capitale non ha

neppure il beneficio del dubbio, è alla bancarotta. È per nascondere questa cifra che Alemanno ha portato

l’approvazione del bilancio fuori tempo massimo (prima decade di novembre 2012) dopo sette mesi e 102

sedute del Consiglio comunale. Ha evitato il commissariamento per un pelo. E nonostante il record negativo

ha avuto anche il coraggio di scrivere su twitter “Siamo degli eroi”. Eroi di che?

A dire la verità, il Campidoglio in bancarotta lo era già nel 2008 quando il neosindaco sollevò per la prima

volta il coperchio sui conti. Ammetterlo però avrebbe però significato sopportare la sua personale

bancarotta e quella del disegno politico che si era prefissato, ovvero la democristianissima “Repubblica di

Roma Capitale”. E così scelse la via della dissimulazione nella speranza di trovare un modo di uscirne fuori,

tra un governo amico, sparate, come quella della holding quotata in borsa, e artifici contabili vari.

La legislatura di Alemanno è cominciata proprio dal tema del bilancio. Alla ricerca spasmodica di un “casus

belli” contro l’opposizione che gli consentisse di parare le critiche sulla spesa che era, lo ripetiamo, da libri

in tribunale, ha subito messo in chiaro che lo “stato disastroso” delle casse del Campidoglio ammontava a

quasi 8 miliardi. Ma è proprio lì che il neosindaco finisce per impantanarsi e di brutto. Tenta anche alcune

trovate, come la separazione tra gestione ordinaria e debito, ma il disastro dei conti sembra rimanergli

attaccato alle mani. Dopo due anni il buco sale a 12 miliardi. Non a caso nel giro di tre anni arriva a

cambiare tre assessori, mentre sono due i commissari straordinari che si avvicendano al Campidoglio.

Il patto di stabilità. e l’impossibilità di concludere la partita della privatizzazione del 21% di Acea hanno

finito per dar luogo al bilancio preventivo più anomalo della storia della città. È in questa chiave che si

arriva all’emergenza della vendita dei cosiddetti “gioielli di famiglia” e al tentativo di costruire la

superholding che attraverso qualche risparmio a livello fiscale avrebbe portato un po’ di sollievo, passando

prima per l’aumento dell’addizionale Irpef e alcune vessazioni come la tassa sul soggiorno e i tagli ai servizi

sociali, che in qualche caso gridano vendetta . Così a ridosso delle elezioni la vendita di pezzi di patrimonio

rappresenta una vera e propria grana che mette in luce lo stato di disperazione assoluta. Basti pensare per

esempio alla vendita del patrimonio abitativo, che di fatto non lascia scampo all’inquilino, costretto ad

acquistare usufruendo di uno sconto risibile. Grane che verranno immancabilmente fuori da un altro dei

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filoni importanti del bilancio, quello sul decentramento, che alla fine diventa la classica partita di giro.

Nonostante questo Alemanno non si fa scrupoli nella spesa (clamoroso il caso dell’Ufficio stampa, passato

da una precedente gestione di 6 milioni a ben 40), soprattutto quanto c’è da mettere benzina al progetto

neodemocristiano delle assunzioni targate centrodestra (fascistopoli e parentopoli) negli enti del

Campidoglio, accontentare la destra sociale, elargire bonus e prebende ai vari amici fedeli nei consigli di

amministrazione, provare a convincere qualche esponente dell’opposizione innaffiandogli un angolo di

orticello. Una partita che decide di giocare fino in fondo arrivando al punto di creare malumori e scontri

all’interno della stessa maggioranza. Per i tagli al bilancio dei municipi il sindaco, tanto per ricordare un

episodio, dovrà addirittura sopportare l’onta di una protesta bi-partisan. Il record di ritardi accumulati nella

definizione del bilancio è in gran parte da addebitare proprio a questa incapacità di fare sintesi politica e

alla fine doversi arrabattare alla meno peggio. Emblematica, a questo proposito, la vicenda del rating

Standard’s & Poor. L'agenzia americana, dopo aver confermato la valutazione 'BBB+' con outlook negativo,

ha deciso di non dare più il proprio giudizio a Roma. Il giudizio verrà riassegnato se “entro i prossimi tre

mesi Standard & Poor's riceverà le informazioni mancanti”. E con un verdetto così duro cosa vanno ad

architettare i “tecnici” del Campidoglio? La Campidoglio Spa in piazza Affari. Cioè, dalla superholding,

peraltro già ipotizzata da Veltroni, Alemanno intende ricavare un soggetto finanziario in grado di

presentarsi in borsa e raccogliere capitali freschi. Non è follia? Sì, è follia. Primo, perché una operazione del

genere presuppone una straordinaria capacità di “mettere in riga” le varie aziende capitoline, negli anni

cresciute e pasciute nelle regalie e negli sprechi. Secondo, perché si perderebbe totalmente il controllo

politico del bilancio; terzo perché per andare in borsa ci vogliono i numeri. E i numeri Alemanno non ce l’ha.

Quando all’inizio di novembre Alemanno approva il bilancio la stragrande maggioranza delle voci di bilancio

(per un totale di dieci miliardi) sono già spese. Resta solo un magro piattino di 10 milioni tutti consumati in

chiave politica pre-elettorale attraverso la cosiddetta “manovra d’aula”. La manovra d’aula più che una

procedura istituzionale è una legge non scritta attraverso la quale ogni consigliere ha a disposizione un

plafond tra i 150 e i 200mila euro da spendere attraverso gli emendamenti al bilancio. Un esasperante e

degradante tira e molla che alla fine diventa un maxiemendamento di giunta.

I balzelli del Campidoglio

Questa che segue è una scheda indicativa di alcune voci sulle quali il Campidoglio è intervenuto per tentare

di sistemare i vari bilanci e ricavare anche un suo spazio di manovra nella gestione del maxiemendamento

di giunta nel 2012. Non si può non richiamare l’attenzione su un dato che svetta per la sua evidenza: Per

quanto riguarda l’Ici/Imu, nella top ten delle città Roma si è piazzata al primo posto con un costo totale

medio della prima casa pari a 639 euro, seguita da Milano (427 euro), Rimini (414 euro) e Bologna (409

euro). Torino È al quinto posto con 323 euro mentre Padova e Verona si dividono la sesta posizione con 321

euro. Agli ultimi posti Napoli e Pavia rispettivamente con 303 euro mentre Genova chiude la classifica con

295 euro. Anche per quanto riguarda la seconda casa, Roma si conferma la più cara con un costo totale

medio di 1.885 euro, seguita sempre da Milano con 1.793. Al terzo posto Bologna con 1.747 euro. Seguono

Firenze (1.526 euro), Rimini (1.408 euro), Siena (1.304 euro), Padova (1.249 euro), Latina (1.190 euro),

Verona (1.184 euro) e Napoli (1.173 euro).

• Aumento delle mense scolastiche (aumento del 100%)

• Azzeramento dei buoni libri

• Tassa di soggiorno

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• Aumento del 50% del biglietto dell’Atac

• Aumento della tassa sui rifiuti

• Aumento delle multe (2,4%)

• Tassa sul matrimonio (100 euro, prima era gratis)

• Aumento dell’Ici/Imu (su seconde e terze case l’aliquota è passata dal 6,9 per mille al 9,9)

• Certificati di visura urbanistica (aumenti del 66%)

• Spese di segreteria per visura (da 12 a 50 euro)

• Certificato Dia (da 121 a 500 euro)

• Musei capitolini (aumento del 15,38% per i non residenti)

• Contributi per gli affitti agevolati che subiscono un taglio di ben 17 milioni (da 19 a 2 milioni).

Ogni obiezione a questo scempio è stata tacitata da Alemanno sempre con il solito argomento: il buco di

bilancio è stato provocato dalla sinistra. “La verità – sottolinea Giovanni Barbera – è che sono 5 anni che la

Giunta Alemanno e la sua maggioranza campano di rendita su questa colossale bufala, non dicendo che,

peraltro, da qualche anno, la gestione del debito comunale è stata separata da quella ordinaria e affidata

ad un commissario governativo. Pertanto, non ci sono più alibi per la Giunta Alemanno e la sua

maggioranza per continuare ad utilizzare tale ridicolo argomento. La gestione Alemanno, con i suoi sprechi,

le sue inefficienze e le sue clientele, ha portato la città di Roma al capolinea, travolta da scandali e inchieste

giudiziarie. È ora che la città si liberi da tutto ciò”.

Nelle pieghe di qualche cifra

Roma, esattamente come l’Italia, si trova possiamo dire, nella trappola del debito. È la crisi economica,

ormai, a dettare le regole. È la crisi che mette ancora più in evidenza la scelta di non inserire nel bilancio

alcun investimento importante sulla città. Il piano investimenti di oltre 3 miliardi si regge per 1,7 miliardi da

risorse pubbliche, e i restanti interventi per 2,4 miliardi dal concorso del capitale privato. La spesa in conto

capitale è circa ¼ della spesa corrente ed è dovuta per una parte consistente al pagamento degli interessi

sul debito. Il disavanzo reale, ove si considerino gli oneri sul debito, il rimborso di prestiti e i nuovi prestiti

ammonterebbe in realtà a € 1.045.930.593,07 e senza le nuove e le maggiori entrate per Imu, imposte,

tasse e tributi vari (che in totale apportano risorse per 3.695.234.398,91, nonostante lo sconto dell’Imu

sulle case invendute ai costruttori) sarebbe stato il default. Nel dettaglio dalla sola Imu entreranno oltre

2,2mld. Ogni balzello al cittadino è buono, si arriva persino a prevedere una nuova entrata di 100.000 euro

di tasse per procedure concorsuali per nuove assunzioni che stando a quanto stabilito dal Salva Italia non vi

potranno essere, viceversa non ci sono entrate per affissioni e pubblicità, che pure invadono le strade

cittadine, perché si chiude in perdita di 7.500 euro.

Manca una politica per affrontare l'emergenza abitativa in una città dove crescono in maniera esponenziale

gli sfratti per morosità, tant’è che, non c'è un euro di entrata per concessioni di diritti di superficie né per

cessione di aree destinate a edilizia residenziale economico popolare.

Ridotto a circa 1/3 rispetto al 2010 il contributo statale al bilancio 420.026.165 vengono azzerati o quasi

quelli per economia, ambiente, istruzione e cultura, resta qualcosa, circa 40 mln, per lo sport e il sociale. La

giunta Capitolina non pone in campo alcuna soluzione alternativa per reperire fondi, come riprova l'entrata

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di appena 47 mila euro dai fondi comunitari.

In totale da Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma e altri enti pubblici entrano 766,5 milioni. contro i

3.695.234.398,91 euro provenienti dai cittadini oltre all’incremento dei proventi derivanti dai servizi

pubblici (+ 19.454.382,18) per un totale di € 406.952.484,91. Diversamente i proventi derivanti dall’utilizzo

di beni pubblici continuano a scendere (-6.142.954,31). In particolare, nonostante l’invasione dei dehors

l’entrata per occupazione di suolo pubblico scende di 3,7 milioni e arriva a 69,427 milioni. Dalla concessione

di scuole e spazi culturali entrano solo 2,9 milioni ( - 173.165,79), analoga la situazione per gli affitti del

patrimonio di pregio disponibile.

Dalla destinazione delle entrate per concessioni edilizie si capisce molto della politica urbanistica del

centrodestra, infatti, mentre dalle concessioni ubicate in zone di edilizia economica popolare entrano

appena 6,266 milioni, dalle concessioni in aree destinate a lottizzazioni convenzionate si prevede

un’entrata di 76,397 milioni. Anzi, in queste zone degradate, dove risiedono i cittadini più colpiti dalla crisi,

non ci si fa scrupolo a far cassa portando il valore del diritto di superficie che dovranno pagare gli abitanti a

26,620 milioni.

Constatato che sono risibili gli utili delle aziende comunali e delle partecipate, 21,8 milioni (in calo di ben

61,440 milioni), anziché andare ad esaminare cosa non va nella gestione delle società si preferisce avviare

un piano di alienazioni, che comprende la vendita del 21% delle azioni Acea, da cui entreranno appena

329,278 milioni. Eppure, da una razionalizzazione delle spese e da una revisione delle politiche aziendali si

potrebbe far molto per ridurre il disavanzo. Così come si potrebbero reperire le risorse mancanti, anziché

svendendo le azioni Acea, dal taglio delle spese per gli organi istituzionali che ammontano a circa 116

milioni, dalla spesa per eventi sportivi e turistici di oltre 20 milioni, dall'utilizzo di beni di terzi

(prevalentemente esosi affitti passivi) per 122 milioni, dall'acquisto di materie prime e/o beni di consumo

per 17 milioni, dall'acquisizione nuovi immobili per oltre 1,3mld (3,3 milioni per teatri e servizi culturali, 735

milioni. per il settore trasporti, circa 214 milioni per la gestione del territorio e dell’ambiente, che

potrebbero celare i finanziamenti ai Punti Verdi Qualità, 20 milioni per l'acquisto di casa Pound, etc.), per

finire ai circa 10 milioni di spesa per incarichi professionali esterni. In un momento di crisi mentre si

investono appena 30 milioni per lo sviluppo economico si decide di tagliare per oltre 90 milioni le già

ridotte spese per asili nido, sociale, istruzione, sport e cultura mentre, fermi restando sprechi e inefficienze,

la spesa per viabilità, illuminazione e trasporti, smaltimento rifiuti, rete idrica e prestazioni di servizi. supera

i 4,4 miliardi.

L’odioso sistema di prelievo sulle rette per le mense scolastiche

Particolarmente odioso il sistema di tariffazione, già raddoppiato e segnato dall'appropriazione indebita dei

contributi per i pasti non erogati versati dalle famiglie anche quando i bambini sono assenti. In media, i

pasti non erogati per utente sono 30 quindi più di una mensilità, che in base alla fascia ISEE rappresentano

un contributo da 40 a 100 € annui per utente. Moltiplicate per 150mila utenti esce fuori una truffa che

avviene solo a Roma, mentre nel resto di Italia la tariffa a carico dei genitori è calcolata in base ai pasti

realmente consumati. “A Roma abbiamo le tasse comunali tra le più alte d'Italia e continuamente si

moltiplicano le richieste di finanziamento della scuola pubblica da parte delle famiglie mentre se ne

peggiora la qualità complessiva - sottolinea l'Osservatorio popolare sull'alimentazione dei bambini e delle

bambine di Roma - se il bando non verrà immediatamente bloccato daremo vita ad una campagna di

autoriduzione delle rette in tutta la città!”. Roma, prima di Alemanno, almeno sulle mense per gli alunni

delle scuole elementari era diventata l'avanguardia in Italia grazie alle mobilitazioni dei genitori. Gran parte

dei cibi attualmente consumati nelle scuole erano prodotti con le tecniche dell'agricoltura biologica e

certificati da enti accreditati dal Ministero dell'Agricoltura. L'arrivo di Alemanno, già, nel 2010 ha

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determinato il peggioramento della qualità di alcuni alimenti (burro, riso e parmigiano da biologici ad

industriali, maiale al posto di coniglio, ecc.) ed il contestuale aumento delle tariffe a carico delle famiglie

che ha fatto lievitare il contributo a carico dei cittadini dal 40% all'80% del costo totale del pasto.

L’Ars funambolica del sindaco: la proposta dello scorporo AMA

Il procuratore regionale, Raffaele De Dominicis, nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario

2013 della Corte dei Conti del Lazio, ha fatto riferimento alla vicenda di AMA Senegal. "Tra le fattispecie

illecite ricordo la dissennata gestione AMA Spa, società partecipata al 100% dal Comune di Roma. Questa

società - ha spiegato il procuratore regionale - attraverso la sua controllata AMA international affidò ad

AMA Senegal lo spazzamento, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani in Senegal". "L'esito È stato

fallimentare - ha sottolineato il magistrato contabile - ed i danni cumulati ingenti, con pesante accollo al

Comune di Roma''. Uno dei tanti buchi che tempestano le aziende del Comune di Roma. Alemanno cerca di

metterci una pezza attraverso lo strumento dello scorporo, ovvero la tecnica della bad company in cui far

confluire i debiti.

L'ipotesi di privatizzazione delle attività più remunerative dell'AMA, cioè lo smaltimento e la trasformazione

dei rifiuti, mantenendo pubbliche solo quelle in perdita, la raccolta e lo spazzamento, è più che altro

l'ennesimo tentativo della giunta Alemanno di pagarsi la campagna elettorale ipotecando il futuro dei

romani. Dopo anni di malgoverno dell'azienda, che hanno determinato il buco di bilancio, con assunzioni

clientelari e con politiche dei rifiuti sbagliate, si arriva all’ennesimo funambolismo scrivendo nella delibera

che la motivazione della scelta è in relazione a un accordo capestro con le banche che impedisce all’AMA di

fare investimenti.

La proposta prevedrebbe la divisione delle attività sui rifiuti a due soggetti societari diversi: una nuova

società, pubblica/privata, che gestirebbe l’attività di smaltimento e trasformazione, e l’Ama che si

occuperebbe dello spazzamento e del trasporto rifiuti. Questa diventerebbe una “bad company”, ossia una

società in cui riversare tutti i debiti, liberandone di fatto una nuova privata, esattamente come avvenne per

l’Alitalia.

Viene indicata la necessità di un unico soggetto che gestisca tutti gli impianti esistenti, quelli in via di

autorizzazione e di futura progettazione. In pratica, si è già deciso chi sarà il soggetto privato, in quanto gli

altri impianti presenti o in via di autorizzazione sono quelli del Co.La.Ri. Di proprietà di Cerroni. Il soggetto

privato della nuova società avrà potere operativo. Quindi le scelte economiche della nuova società saranno

determinate dal partner privato e la parte pubblica si limiterà a svolgere una funzione di “servizio”. Le

quote di maggioranza 51% saranno di Roma Capitale o di un soggetto pubblico da essa indicato. Un nuovo

ente che sarà ancora a carico dei cittadini, ma soggetto alle scelte operative della parte privata.

L’affidamento in house ad AMA da parte del Comune di Roma durerà il tempo necessario al suo

risanamento economico e finanziario. Poiché AMA senza l’attività più remunerativa non potrà ripianare il

debito, a fine contratto verrà posta sul mercato. Il servizio di smaltimento e trattamento rifiuti verrà

affidato alla nuova società tramite gara, per la stessa durata del contratto in house dell’AMA. Verrà così

sancita definitivamente la fine dell’Azienda pubblica dei rifiuti di Roma a favore della nuova società, che

potrà così acquisire anche l’attività di conferimento dei rifiuti negli stabilimenti per il trattamento e lo

smaltimento, ottenendo un’altra entrata.

Anche in questo caso Alemanno si guarda bene dall’intervenire sugli sprechi e la mala gestione. “Occorre

che AMA avvii un vero risanamento economico – scrive Usb in un suo comunicato - attraverso il taglio delle

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11

consulenze (da Bein &Co a quelle individuali), lo scioglimento delle società partecipate, la

reinternalizzazione di servizi e manutenzioni, la riduzione di emolumenti e benefit ai dirigenti, la

dismissione dei locali in affitto, l’utilizzo degli straordinari solo per i settori operativi, il taglio dei contributi

per Ipa e Cral”.

2.

Urbanistica

Mai così in basso

L’urbanistica non è mai caduta così in basso a Roma. È vero, il sindaco Gianni Alemanno non ha inventato

niente di nuovo per la città, anzi. Da questo punto di vista, ha fatto molti più danni il suo predecessore

Walter Veltroni con il PRG. Alemanno è stato solo un buon discepolo. Tuttavia, non è certo stato con le

mani in mano. E se da una parte ha più che altro “teorizzato” tutta una serie di interventi (dalle Olimpiadi al

Waterfront) per “muovere” l’immagine della sua amministrazione agli occhi dei poteri forti, dall’altra ha

finito per intensificare lo sfruttamento di alcuni strumenti nel quadro dell’urbanistica contrattata. In

pratica, ha tentato di consegnare la città in mano alla più bieca speculazione. L’ossessione del bilancio, il

suo vero disastro di legislatura, l’ha portato addirittura ad alcune estremizzazioni come la vendita del

patrimonio che, inquadrata nel discorso urbanistico che ha visto l’aggiunta di circa 24 milioni di metri cubi

di cemento extra-Prg, rappresenta una irripetibile aberrazione. Di fatto, il tentativo di una ricucitura del

tessuto urbano viene appaltato alla improvvisazione e al profitto più dissennato. In chiusura di mandato,

infine, la perla delle “64 delibere”, in cui ci sono molte partite immobiliari, dimostra fino in fondo l’inedito

svuotamento dell’idea di città, e di piano regolatore, e la consegna totale della sua identità ai poteri forti.

Venti milioni di metri cubi di cemento passano senza un minimo di valutazione di impatto ambientale. “Una

quantità enorme di cubature, ma anche uno stravolgimento di regole e di norme”, sostiene Luigi

Tamborrino di Roma territorio. Qualcuno ha parlato di piano regolatore mascherato. La verità è che se

davvero venisse edificato quanto previsto “peserà sul futuro della città scardinando ogni possibile idea di

pianificazione urbanistica".

Roma non ha bisogno di cemento

Roma non ha bisogno di altro cemento. E basta fare un semplice confronto con i dati storici del censimento

per rendersene conto.

1981 ab 2.839.000

1991 ab 2.775.000

2001 ab 2.663.000

2011 ab 2.612.000

Il saldo negativo è anche in relazione con il fenomeno dell’emigrazione verso i territori della provincia. Sono

163mila, infatti, i romani che tra il 2003 e il 2010 hanno lasciato Roma per spostarsi nei comuni della

provincia. Questo è un dato direttamente legato, però, alla speculazione edilizia. Dal 2003 al 2007, infatti, si

sono costruiti quasi 52mila alloggi, 10mila ogni anno. Un incremento percentualmente doppio di quello di

Page 12: Dossier Alemanno

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Milano. Questo ritmo ha avuto effetti devastanti sul mercato immobiliare alimentando l’aumento dei

prezzi. Negli stessi anni il disagio abitativo è diventato insostenibile costringendo molti residenti a cercare

alloggi in provincia, dove il costo medio di un alloggio è del 43% più basso rispetto alla media di Roma; gli

sfratti eseguiti sono cresciuti in un solo anno dell'8% e quelli per morosità erano quasi l'80 % del

totale.“Costruire case non basta per contrastare l'emergenza abitativa – sottolinea Giovanni Caudo,

professore di Urbanistica a Roma 3. C'è bisogno di politiche per la casa che toccano aspetti diversi e che

ruotano attorno a una sola questione: aumentare la dotazione di case a costo accessibile, sia in affitto che

per l'acquisto".

Gianni Alemanno, nel tentativo di esemplificare la sua idea di crescita immobiliare della città, ha usato il

concetto di “moneta urbanistica” volendo sottolineare la funzione di stimolo alla crescita che

tradizionalmente ha l’edilizia tra le attività economiche, ma che sembra irrimediabilmente tramontare in

una fase depressiva come questa. Il sindaco nella sua relazione al seminario sulle varianti urbanistiche

dell'aprile scorso ha proprio teorizzato questo approccio quando ha parlato di "moneta urbanistica". "Più

che una banca, direi che Roma diventa una zecca – sottolinea Caudo - non possiamo più stampare la lira e

allora a Roma stampiamo metri cubi.

Secondo Legambiente a Roma ci sono qualcosa come 250mila case sfitte. D’altra parte la Capitale continua

ad avere un “tasso di assorbimento” di circa il 50% (dati del maggio di quest’anno). E ciò vuol dire che di

due case proposte in vendita (nuovo ed usato) solo una viene venduta. Il dato più interessante è che la

situazione della capitale è molto a macchia di leopardo e vede tassi superiori alla media proprio nelle aree

più popolari (Roma Sud e Roma Ovest). La Fedilter, che invece controlla i manufatti destinati al settore

commerciale, parla di 40mila immobili rimasti al palo. Roma è una città a bassa densità. Tra le città europee

è quella che ha però la più alta quantità di suolo urbanizzato per abitante (circa 230 metri quadrati per

abitante), anche più di Berlino.

Questi numeri fanno emergere con forza il contrasto con la mega variante della Giunta capitolina. Il piano

di housing sociale della Giunta Alemanno prevede un consumo di 2.380 ettari di suolo agricolo. In totale

circa 23 milioni di nuove cubature sul territorio. Pari a 66.198 nuovi appartamenti e a un’utenza di circa

200mila nuovi abitanti. Dove li trova Gianni Alemanno 200mila nuovi abitanti?

Le 64 delibere

Le delibere riguardano molte partite immobiliari. Si va da nord a sud, dall'ex Velodromo dell'Eur alla

Romanina, dai depositi dell'Atac al comprensorio Casilino. Periferie storiche, nuovi insediamenti: cemento

distribuito a macchia di leopardo che di fatto sconnette dal punto di vista socio urbanistico quel poco di

“connesso” che già c’è. Dagli "ambiti di riserva" (23 milioni di metri cubi sparpagliati in aree agricole con il

pretesto di realizzare housing sociale (vedi sotto), a operazioni che rispondono agli interessi di Sergio

Scarpellini, l'editore di “Il Tempo” Domenico Bonifaci, il Vaticano, l'Eur Spa (quello di Mancini, indagato per

le tangenti Finmeccanica). E c’è posto anche per i nuovi stadi di Roma e Lazio: 4 milioni di metri cubi;

caserme dismesse: 1,5 milioni di metri cubi; ex Velodromo: 136mila metri cubi. Incremento indici edificatori

nelle ex aree abusive: 60mila metri cubi. Sono solo alcuni esempi dei disastri urbanistici “solo annunciati”

ma che se sommati insieme aggiungono un bel 27% in più al piano regolatore approvato dal Consiglio

comunale nel 2008. Il che equivale ad un campo e mezzo di calcio al giorno per la Giunta Alemanno.

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A questo scempio si aggiunge la ‘moneta urbanistica’ che da Pietralata, Monti Tiburtini, Santa Maria del

Soccorso, Rebibbia, Torraccia, cede aree pubbliche ai privati per realizzare il prolungamento della metro B

da Rebibbia a Casal Monastero, per un milione e 135mila metri cubi.

Ambiti di riserva/housing sociale

Cardine dell’”urbanistica” di Alemanno, che con “Roma Capitale” in sostanza può andare in deroga senza

tener conto del parere vincolante della Regione e della Provincia, sono gli “ambiti di riserva”. La delibera in

arrivo al Consiglio comunale prevederebbe una cinquantina di aree, non si sa ancora quanto grandi e dove

localizzate. I terreni selezionati sono stati 166, per un totale di 2.300 ettari e 23 milioni di metri cubi. Poi si è

scesi a 135. Comunque questi terreni sono distribuiti in tutti i punti cardinali dell'agro romano, anche

pregiato. Particolarmente investiti sono i Municipi XIX e XX, a nord, ma sono intaccati persino i bordi

dell'Appia Antica, la riserva di Marcigliana, Selva Candida, Colle della Strega e altre zone verdi. Il Comune

aveva invitato chi possedeva terreni agricoli non compresi nel Piano regolatore a presentare proposte per

realizzare insediamenti di edilizia privata a prezzi di mercato in cambio di una minima parte da destinare ad

housing sociale (case ad affitto concordato).

“Basti pensare – spiega Pippo La Cognata di Idee in Corsa su ‘Paese Sera’ - che alla Cecchignola su 40 ettari

di parco, 18 diventano edificabili per un totale di circa 170mila metri cubi di cemento”. A ridosso

dell’Aurelia, invece, sono ben 2,4 milioni le cubature ipotizzate. E se volessimo fare una stima per municipi,

quelli più a rischio ricadono nel territorio di Roma Nord-Ovest, dove si concentra oltre il 60% della

cementificazione avviata dal Comune di Roma”.

Sul bando del Comune di Roma arrivano anche le critiche dell’Istituto nazionale di Urbanistica (sezione del

Lazio). Già l’Istituto aveva criticato i criteri del bando, in particolare per aver portato la distanza minima

dalle attestazioni del trasporto pubblico a 2,5 Km, distanza che costringe i futuri utenti all’uso

dell’automobile. E aveva preso una posizione negativa rispetto ad un fabbisogno generico, non articolato e

non verificabile. “Ora, l’intenzione di procedere ad una variante generale del PRG per tutte le aree

selezionate – proseguono gli urbanisti - si configura solo come un cambio di destinazione delle aree da

agricolo ad edificabile, con una attribuzione generalizzata ed inaccettabile di rendita assoluta ai proprietari

delle aree interessate”.

Nella provincia romana, come scrive in un suo saggio Francesco Erbani, in dieci anni (dal 1990 al 2000) le

aziende agricole sono passate da 72mila a 60mila e gli ettari coltivati da 248mila a 193mila. Si sono liberati

in questo modo qualcosa come 200 casali che Alemanno vuole recitare sfruttando l’area intorno.

Gli ambiti di riserva nei Municipi

Il Municipio più devastato sarebbe il XIX, dove arriveranno, su 347 ettari, oltre 5 milioni di metri cubi di

cemento e quasi 43mila nuovi residenti in aree splendide tra Ottavia, Palmarola, La Storta, Tragliatella, ma

anche affianco all'Olgiata. Segue nella classifica dello scempio, il Municipio XX con 3,5 milioni di metri cubi

su 358 ettari tra a Formello. Ancora nel quadrante ovest, il Municipio XV è terzo sul podio, con 2,7 milioni di

metri cubi su 284 ettari e 22mila nuovi residenti tra Monte Stallonara e la Valle dei Casali. Subito appresso,

non se la cavano meglio il Municipio VIII con altri 2,7 milioni di metri cubi su 214 ettari (tra Castelverde e

San Vittorino fino a saldare la Capitale con Monte Compatri, attraverso anche aree adiacenti all'ormai nota

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Corcolle), il Municipio XVIII con 2,4 milioni su 170 ettari (tra Selva Candida e Villa Santa), il MunicipioXII con

1,2 milioni di metri cubi (tra la Tenuta della Cecchignola, Colle della Strega, Spinaceto e anche il Divino

Amore), il Municipio XI con 1,1 milioni, il Municipio. V con 1,1 (tra Casal Monastero e Case Rosse). Ci sono

poi Municipi con minore appesantimento in termini di cemento e nuovi residenti, ma con aree a rischio

altrettanto importanti. È il caso della Tenuta della Mistica nel Municipio VII. attraversata dall'acquedotto

Anio Vetus, dove da tempo residenti e ambientalisti chiedono l'istituzione di un parco agricolo e ora

rischiano di arrivare 306mila metri cubi. Di aree in agro ce ne sono pure di folli, per motivi diversi da quelli

esclusivi della tutela: si vorrebbero portare altri 51mila metri cubi all'Infernetto, un quartiere che va

sott'acqua alla prima pioggia, dove addirittura morì un cittadino lo scorso anno affogato in uno scantinato;

c'è persino un'area fronte pista dell'aeroporto di Roma -Fiumicino, tanto per creare nuovi problemi col

frastuono dei voli. Ci sono aree dove il piano regolatore aveva previsto un ridotto carico di cemento per

motivi urbanistici che vedono volare in alto i numeri: è il caso della Longarina (Municipio. XIII), ex borgata

abusiva dove il PRG si limitava a 8mila metri cubi e il nuovo bando ne aggiunge ben 451mila, riempiendo

completamente gli 11 ettari sopravvissuti alla trasformazione abusiva.

a) Centralità Romanina

Originariamente la centralità, una delle 18 previste dal PRG (su terreni del costruttore Sergio Scarpellini)

prevedeva 1 milione 350mila metri cubi, per il 58 per cento destinati a uffici pubblici, per il 42 a residenze

private. Con Alemanno la cubatura schizza a 1 milione 920mila metri cubi, e salta del tutto la proporzione

fra pubblico e privato: al primo va solo il 5 per cento, al secondo il 95. L’operazione, nella logica dello

scambio perverso tra autorizzazione ad edificare/valorizzazione dei terreni e oneri concessori, serve in

parte a sostenere i costi del prolungamento della metropolitana, linea A. Scarpellini è una vera e propria

potenza nell’immobiliare della città. È il proprietario di tanti palazzi nel centro storico in cui sono insediati

uffici della Camera, del Senato, del Tar, dell'Authority per le telecomunicazioni, oltre ai garage affittati al

Comune che preferisce pagare lui anziché parcheggiare le macchine di servizio nelle autorimesse di sua

proprietà.

b) Acquafredda

Senza una spiegazione plausibile, segnala Luigi Tamborrino, 60 ettari di proprietà dell'Apsa,

Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, sono stati inclusi fra le aree che generano

compensazione urbanistica per 210 mila metri cubi. La questione è molto tecnica e risale a una norma

presente nel Piano regolatore: un proprietario viene "compensato" spostando da una parte all'altra della

città i suoi diritti a costruire. Ma ad Aquafredda, terreno agricolo, di diritti non ce n'erano, insiste

Tamborrino: "non si capisce per che cosa il Vaticano venga ‘compensato’".

Doveva essere un parco tutelato e invece è stato passato dalla Santa Sede al Campidoglio che in base al

principio di compensazione, appunto, ha concesso il permesso di costruire 210mila metri cubi, l’equivalente

di un migliaio di appartamenti. Al Vaticano stesso l’incredibile libertà di decidere quando e, soprattutto,

dove. Il Vaticano aveva già ricevuto alcune “attenzioni particolari”, come i tredici ettari all’interno dell’area

protetta del Parco di Veio, oppure una colata di 23mila metri cubi di cemento in piena area archeologica a

San Paolo, travestita da presidio dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù. Senza contare le cinquantuno

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nuove parrocchie da costruire in altrettante zone periferiche, dove magari collocare degli asili nido a regime

di sussidiarietà.

c) Ex Velodromo (Eur)

La giunta di Veltroni aveva previsto un Acquatic Center, uno spazio fitness (entrambi, si diceva, destinati ai

Mondiali di nuoto del 2009) e poi attività commerciali, un albergo, uffici, parcheggi oltre a strutture

pubbliche (un asilo, una scuola materna e una media, un centro anziani). Con Alemanno arrivano sì più

strutture pubbliche, più verde, annunciano all'assessorato all'Urbanistica, ma anche molto più cemento in

generale (da 5,3 ettari di superficie a 6,8) e soprattutto quattro palazzi di 6 piani, alti 20 metri, e due torri di

oltre 25 piani per 90 metri d'altezza. All'operazione è interessato Riccardo Mancini, amministratore

delegato di Eur spa., grande amico e compagno di giovanile fede neofascista del sindaco Alemanno, e anche

al centro dell’inchiesta sulle tangenti Finmeccanica.

d) Rimesse Atac

Quindici ex rimesse dell'Atac, l'azienda del trasporto pubblico, verrebbero valorizzate e vendute. In queste

aree (per un totale di 16 ettari) sorgerebbero insediamenti in gran parte residenziali e commerciali

fittamente costruiti. L'Atac spera così di abbattere parte del colossale debito che l'affligge. I depositi sono in

aree molto centrali della città, da piazza Bainsizza, in Prati, a piazza Ragusa, quartiere Tuscolano, a via

Alessandro Severo, zona San Paolo. In molti casi gli edifici sono di pregio architettonico (costruiti nei primi

decenni del Novecento) e, stando ai comitati di cittadini sorti per evitare speculazioni edilizie, potrebbero

ospitare servizi utili al quartiere. Invece l'Atac ha bisogno di fare cassa e quindi ha chiesto al Comune di

prevedere incrementi di volume e cambi di destinazione d'uso.

e) Mercati rionali

La delibera prevede uno scambio tra il Comune e una delle più potenti imprese di costruzione romane,

impegnata nella realizzazione di molti parcheggi interrati, la Cam srl: la ditta dovrebbe realizzare oltre

duecento appartamenti in housing sociale e il Comune dovrebbe cedere tre mercati rionali con

autorimesse, il mercato Trieste, il mercato Pinciano ai Parioli e il mercato Metronio a San Giovanni. Pezzi di

città pubblica che slittano verso i privati. In un primo tempo sembrava che la Cam potesse addirittura

demolire e ricostruire i mercati ottenendo premi di cubature. Ora lo scambio dovrebbe limitarsi alla

ristrutturazione e gestione dei parcheggi, un affare da mille posti auto, molto redditizio.

Remunerazioni nel breve periodo

Non essendo decollate le diciotto cosiddette centralità, la giunta di centrodestra, tramite l’assessore

all’Urbanistica Marco Corsini che ha presentato nel 2011 una memoria, è intervenuta sulla “densificazione”

del tessuto urbano. Come? Intanto alzando l’indice di edificabilità, da 0,23 a 0.60. Il che significa una

“iniezione” di superficie edificabile aggiuntiva di quasi due milioni di metri quadrati (e questo solo su circa

Page 16: Dossier Alemanno

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la metà delle centralità). Le centralità, per il momento, rimangono sulla carta perché il Campidoglio non ha

un euro per portare i servizi. Ma stanno lì come una pistola carica. Quindi, niente di più facile che qua e là

l’intervento pesante di qualche speculatore non arrivi a sfibrare il territorio con l’ennesimo “fantasma

urbano”. Parole dell’assessore Corsini: “La qualità architettonica è in conflitto con la massimizzazione

economica perché diminuisce i margini di investimento e i privati vogliono e devono fare cassa, hanno

bisogno di remunerazioni in breve periodo”.

Housing sociale

Quando si insedia quasi cinque anni fa la giunta Alemanno comincia a delineare una serie di progetti per lo

sviluppo della capitale tra i quali spicca la riqualificazione urbana della stessa e un nuovo piano casa. Sono

soprattutto due gli interventi che si intende realizzare e che sono il cosiddetto housing sociale e il progetto

“Masterplan Tor Bella Monaca”.

Letteralmente il termine housing sociale significa “edilizia sociale”, per estensione, “tutto ciò che attiene

all’offerta pubblica di abitazioni che non rientrano, però, nei piani di edilizia residenziale pubblica”:

abitazioni costruite da privati in base ad un accordo con il Comune che vengono date in affitto ad un prezzo

inferiore a quello di mercato, ma che nulla hanno a che vedere con l’edilizia detta ERP.

Normalmente funziona così: il Comune concede il visto a costruire all’edilizia privata (con cambio di

destinazione d’uso del suolo) con l’accordo che una piccola percentuale delle abitazioni venga lasciata al

fine di destinarla ad housing sociale. Praticamente, è un piccolo scotto che i costruttori pagano ben

volentieri pur di far diventare edificabili i loro terreni.

Laddove è stato realizzato, soprattutto nei paesi del Nord-Europa, che vantano un reddito pro-capite

sicuramente maggiore (e non di poco) di quello medio italiano, questo modello abitativo è stato vincente,

anche perché supportato da una serie di infrastrutture (servizi sociali, scuole, ospedali, ecc.) che hanno reso

meno disagevole vivere fuori città. Va comunque tenuto conto del fatto che l’housing sociale non è, proprio

per sua natura, una risposta all’emergenza abitativa delle fasce sociali molto deboli, poiché affittare una

casa con questa formula è comunque costoso; in poche parole non è certo la soluzione al problema della

carenza di case pubbliche, è più che altro un intervento tampone.

Da sempre si parla di un’emergenza case a Roma; negli anni tale emergenza si è cronicizzata assumendo

proporzioni allarmanti se si considera il fatto che aumenta, esponenzialmente purtroppo, la platea di coloro

che non possono permettersi di acquistare una casa ma nemmeno di affittarla ai costi di mercato attuali.

Del problema era ben conscio lo stesso Alemanno, che in campagna elettorale promise di assegnare una

abitazione a 2.500 richiedenti. Al momento, le richieste soddisfatte sono solo 200. La crisi, intanto, ha

aggravato una situazione già molto difficile. Secondo un recentissimo calcolo della Cgil, a causa degli sfratti

per morosità e delle esecuzioni immobiliari, sono circa 30mila le famiglie che rischiano di rimanere senza un

tetto. Come fa notare Giovanni Barbera, presidente del Consiglio del XVII Municipio, sulla moratoria degli

sfratti ci sono, gravissime responsabilità del sindaco di Roma che in questi anni avrebbe potuto applicare

l’art. 13 della Legge regionale n. 21/2009 che prevede la possibilità di istituire le Commissioni di

graduazione degli sfratti. “In sostanza – spiega Barbera - tale commissione avrebbe dovuto garantire il

passaggio da casa a casa dei soggetti socialmente deboli colpiti da provvedimento di sfratto, come avviene

nella gran parte dei paesi civili, mettendo semplicemente in relazione il rilascio dell’unità immobiliare con la

consegna dell’alloggio di edilizia popolare”.

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Nei cassetti dell’ufficio del Campidoglio giacciono 42mila domande per un alloggio popolare senza risposta.

Presso gli ufficiali giudiziari, invece, ci sono quasi 10mila ordinanze per sfratti esecutivi, l’80% dei quali per

morosità. Da tre anni a Roma non è possibile presentare domanda per una casa comunale. Prendendo

come base uno studio del CRESME, che stima in ben 52.800 abitazioni la domanda di edilizia residenziale

nella Capitale, il Comune di Roma elabora un piano che prevede di edificare 25.700 abitazioni (delle quali

6.000 per housing sociale) entro il 2016; per farlo si dota di una serie di strumenti legislativi, in tutto 10

delibere di Giunta, che a partire dal 2008 stabiliscono i criteri e le modalità sui quali dovrà poggiare la

nuova edificazione della città eterna tra i quali una maxi variante al Piano Regolatore Comunale in virtù

della quale si cambierà la destinazione d’uso, ossia si renderanno edificabili un bel po’ di ettari - per

l’esattezza 2.380 - di suolo agricolo per un totale di 23 milioni di nuove cubature sul territorio. Le aree

interessate da questo novello “sacco di Roma” sono, per la maggior parte, nell’Agro Romano, il grande

polmone verde che circonda Roma, e comprendono zone adiacenti al parco della Cecchignola, al parco di

Vejo, alla riserva naturale della Marcigliana, al parco dell’Appia Antica, alla Riserva del Lido ad Ostia,

all’Aurelia per citare solo alcuni territori che sono stati individuati come possibili candidati alla nuova

cementificazione della capitale; un patrimonio di verde che negli anni si era sempre riusciti, comunque, a

preservare dalle intenzioni speculative dei grandi costruttori romani.

Gli urbanisti chiamano tutto questo “sprawl” che si traduce in italiano con il termine “dispersione

urbanistica” ossia quel rapido e disordinato sviluppo delle metropoli, in senso orizzontale, i cui effetti sono

un enorme consumo di territorio che da agricolo (e quindi inedificabile) viene trasformato in edificabile con

la conseguenza della drastica riduzione degli spazi verdi, la dipendenza dalle automobili per gli spostamenti

verso il centro urbano dove si svolgono le attività produttive, commerciali e ludiche, una mancanza di

infrastrutture e un basso rapporto tra popolazione residente e suolo utilizzato.

Ma la ciliegina sulla torta al contorto e raffazzonato piano casa di Alemanno viene messa nel luglio del

2012, precisamente il giorno 4, quando con la delibera n.184 la Giunta Capitolina cancella l’obbligo (per

coloro che sono stati ammessi ad ottenere il cambio di destinazione d’uso delle aree di loro proprietà al

fine anche di costruire abitazioni destinate ad housing sociale) di realizzare alloggi “housing”

semplicemente pagando una “multa”, chiamata contributo straordinario, che verrà utilizzata dal Comune

per costruire abitazioni di edilizia residenziale pubblica.

Il grimaldello dell’housing sociale salta: l’esca che il sindaco aveva pensato di usare per giustificare il cambio

d’uso dei terreni privati ad un costo che fosse uguale al buco del bilancio capitolino - che probabilmente

tutta l’operazione era destinata a coprire - sembra non interessare più; evidentemente si è raggiunto lo

scopo che l’amministrazione ha così tenacemente rincorso nel favorire la nuova cementificazione di Roma

con le relative speculazioni: il secondo mandato.

Anche l’altro progetto, il restyling di Tor Bella Monaca, anzi la sua demolizione e riqualificazione secondo il

progetto dell’Archistar Leon Krier, si può leggere come un ulteriore regalo a una certa imprenditoria edile

d’assalto anche se viene ammantato di scopi sociali; l’intento sembra essere quello di migliorare una

situazione di degrado sociale, quando l’intero progetto regalerà a chi lo realizzerà un 20 per cento di case in

più da spendersi.

Dei due progetti allo stato attuale nessuno è ancora nemmeno iniziato, grazie anche alle forti opposizioni

dei Comitati di cittadini e delle associazioni in difesa del suolo e del verde pubblico. Da tempo le realtà

sociali più direttamente coinvolte nella questione “emergenza casa” hanno individuato altre strade da

percorrere per dare una risposta alle famiglie che cercano una casa popolare o in affitto a basso costo e a

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quelle che rientrano nei 2.400 sfratti annuali. Moltissimi urbanisti si sono espressi a favore di questa

visione di città “recuperata”, città che si rimette a posto, si rinnova e facendo questo da delle risposte in

termini sia di occupazione che di abitazione, ma anche di sviluppo di commercio e di servizi.

È chiaro, che se l’amministrazione attuale avesse cavalcato questa ipotesi ci avrebbe rimesso in termini di

consenso, se si tiene conto di quale è la filiera di ceti sociali che ha sottoscritto l’elezione di Alemanno e

quale lo stesso si deve pur riferire per garantirsi un secondo mandato; ed è altrettanto chiaro che quando

non ci sono grandi idee per risollevare il bilancio comunale la prima cosa che viene in mente è buttarsi

sull’edilizia, anche se di questi tempi occorre dargli una parvenza di intervento volto soprattutto al sociale,

facendola apparire come una risposta ad un problema che può essere chiamato, di volta in volta, risolvere

l’emarginazione sociale o l’emergenza casa, ingentilirla insomma al fine che non sembri la solita operazione

speculativa, tipo “ri-qualificare ” un quartiere difficile proprio come Tor Bella Monaca.

Tutto il cosiddetto ”piano casa” dell’amministrazione Alemanno, oltre ad essere un grande bluff, è stato

teso ad un progetto esclusivamente di carattere politico-elettorale: accontentare la speculazione edilizia

che finalmente può mettere le mani su un territorio che si era sempre riusciti a preservare - il bellissimo

Agro Romano - ottenendo anche un grande vantaggio che consiste nell’allontanare una gran parte di

popolazione dai centri decisionali in modo che il loro “spostamento fisico” coincida, inevitabilmente, anche

con quello da eventuali situazioni che possono produrre conflitto sociale. Per ottenere questo il Sindaco ha

probabilmente recuperato un’idea del fascismo che con l’urbanizzazione delle campagne aveva proposto

un regime di vita semplice e superficiale legato più a mode che a culture, popolato da persone che si

guadagnano sicuramente il reddito nella città ma la sera tornano distrutti nella loro casa di campagna

diventando, insomma, innocui e trasparenti, lasciando la città quasi esclusivamente in mano alla borghesia.

Ma i tempi sono diversi e di crisi e il conflitto sociale è già in fase avanzata ragion per cui l’arma del sindaco

è già spuntata all’origine.

Tor Bella Monaca, il progetto folle che consuma altro territorio

È passato più di un anno da quando giornalisti, politici, militanti e cittadini si chiedevano che fine avessero

fatto le affermazioni di Alemanno su Tor Bella Monaca e le torri da abbattere in vista di un quartiere nuovo

di zecca. Sembra ieri, in realtà sono passati circa due anni da quella che è stata definita una boutade estiva

del sindaco di Roma.

Boutade o no, esattamente un anno fa la rivista bimestrale dell'ANCE (Associazione Nazionale Costruttori

Edili) pubblicava cinque pagine dedicate al quartiere posto all'estrema periferia romana, fuori dal raccordo

anulare diventato l’emblema, insieme a Corviale, dell’emarginazione urbanistica, come lo erano Tiburtino III

o Pietralata negli anni ‘50.

“Demolire o rigenerare? - Il caso di Tor Bella Monaca”, si apre con questo titolo il lungo articolo che illustra

come TBM sia stato frutto “del Piano di Zona del 1980” e che sia stato costruito in tempi da record, tra il

1982 e il 1984.

Ma allora la situazione era diversa: non c'era nessun tipo di servizio alla cittadinanza, i 28.000 abitanti

avevano la sensazione di essere stati “deportati dalle zone centrali per essere confinati in quelli che erano

gli estremi confini della città”. Mancavano strade, cabine telefoniche (era il periodo precedente ai

telefonini), negozi, servizi. Un po' come la sensazione che hanno adesso gli abitanti delle nuove zone nate

dalla cementificazione di aree intere di agro romano, separate da quella sottile linea che divideva i confini

fra la capitale e le altre realtà urbanistiche: ne è un esempio la famigerata “Via Mejo de Gnente”, che

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collega Ponte di Nona con “il quartiere fantasma” Colle degli Abeti. I quartieri che stanno nascendo o sono

nati sulla Prenestina in questi anni sono lo specchio di quello che è successo circa trent'anni fa con TBM:

Prato Fiorito, Castelverde, Corcolle. Quartieri che distano 15 Km da Zagarolo e 30 Km dalla Stazione

Termini: ma è ancora Roma.

Nell’Assemblea Capitolina il tema “masterplan” è tornato pochi mesi che Alemanno chiudesse il travagliato

percorso del bilancio di previsione. La consigliera al comune di Roma Azuni, in quota Sel, definisce il piano

per TBM “uno scempio” che va a braccetto con le modalità “di costruzione dei nuovi quartieri” totalmente

alienanti per la popolazione.

In uno scenario come questo, fatto di urbanizzazione selvaggia, di cemento ovunque mangiando chilometri

e chilometri di campagna pre-esistente, con il sindaco che gira in motorino di notte in incognito come Papa

Sisto V (“che non perdona manco a Cristo”) per controllare che tutto vada per il verso giusto, Tor Bella

Monaca correrebbe il rischio dell'abbattimento.

Il condizionale è d'obbligo per una questione delicata, spinosa ma che Alemanno ha avuto modo di

qualificare come “prioritaria” per Roma in più di un'occasione pubblica.

Dunque, se si desse un'occhiata alla rivista dell'ANCE in cui viene descritto il piano TBM a firma

Alemanno/Krier (architetto lussemburghese) datato 4 novembre 2010, si nota come il nuovo complesso

residenziale andrebbe a mangiare ulteriore territorio. Gli attuali residenti sono 25.000 ma quelli della futura

Tor Bella Monaca ben 44.000, 20 ettari di terreno costruito in aggiunta ai 188 già edificati. È impressionante

come le parole scritte nell'articolo dall'architetto Domizia Mandolesi sulla rivista dell'Ance del 2011, siano

terribilmente attuali e pungano ancora come saette vista la scarsa sostenibilità economica e ambientale del

progetto Alemanno/Krier. L'architetto, che fa parte del laboratorio HousingLab de “La Sapienza”, si

addentrava in discorsi sociologici attualissimi e riconducibili anche a quei quartieri che ora stanno nascendo

dal niente, criticando il progetto del masterplan TBM come un “tornare al passato più che proiettarsi verso

il futuro”. Quel passato che Mandolesi descriveva era costituito da un “villaggio quattrocentesco fatto di

case di 3 o 4 piani con palme, fontane barocche e cupole arabeggianti, di dubbio gusto anche per il più

kitsch dei set televisivi”. Il progetto, dunque, di accostare “case basse per dare l'idea del paese” a

casermoni di cemento armato non convince molto. Si andrebbe, oltretutto, a creare una situazione per la

quale la nuova TBM non sarebbe collegata col mondo esterno se non con i soli collegamenti pre-esistenti.

Che non sono il massimo dell'efficienza neanche per l’attuale volume di popolazione. Per cui, molti

dipartimenti universitari di architettura delle più grandi città italiane, l'HousingLab dell'università “La

Sapienza” e altre realtà cittadine (comitato no masterplan), hanno stilato (due anni fa! Nda) un “contro-

masterplan” che prevedeva tre temi principali: “costruire sul costruito, ridisegnare il sistema delle

infrastrutture e quello degli spazi aperti, individuare funzioni strategiche, prevalentemente terziarie o

culturali”. Sembrano parole astruse ma, in soldoni , il concetto è: ricostruire sul costruito, sfruttando al

massimo quello che si è già fatto fin ora evitando il consumo di suolo. Linee di tram veloci per collegare il

quartiere alla nuova metro, riqualificazione del verde, un insieme di piccole cose che fanno socialità,

cittadinanza. Tutto questo in due anni da quella “boutade estiva” di Alemanno. Non è cambiato nulla.

La dismissione delle caserme

Le dismissioni delle caserme militari sono una opportunità irripetibile: decine di ettari distribuiti nella città

(Trionfale, Tiburtina, Boccea, Esquilino, Casilino) che potrebbero rappresentare una risorsa per ristrutturare

interi quartieri; per creare servizi pubblici, Si tratta di quindici caserme, una volumetria complessiva di

1.500.000 metri cubi e una SUL (superficie utile lorda) di 500.000 metri quadri. A Barcellona, Parigi, Berlino,

analoghe strutture sono state trasformate in poli culturali o universitari, in strutture ricettive o ostelli per la

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gioventù, in centri culturali o museali. A Roma e in Italia i processi di dismissione e valorizzazione del

patrimonio pubblico, subiscono una distorsione profonda e anziché essere orientati per la rigenerazione

ecologica e la crescita socio-economica, vengono brutalmente messi sul mercato. Forzando il PRG, senza un

piano strategico, senza un confronto con la città, strutture e aree dei compendi militari saranno preda della

speculazione fondiaria e finanziaria; nel migliore dei casi diventeranno uffici, istituti finanziari, alberghi,

piccoli o grandi centri commerciali. L’obiettivo è quello di fare cassa anche “svendendoli al 50% del loro

valore reale” come dichiarato dal ministro Di Paola. La scelta di (s)vendere è definitiva: la terra, bene

pubblico, non è rinnovabile. Gli immobili militari, i loro terreni “appartengono a tutti noi, non solo come

lascito della nostra storia, ma come frutto del nostro lavoro e dei nostri risparmi” (Piero Bevilacqua). Si

tratta dunque di decidere. Spetta al popolo e alla buona politica scegliere tra la città dei cittadini e la città

della rendita finanziaria.

Speriamo sia di buon auspicio. La bocciatura del famigerato piano casa (legge regionale 10/2012), che

concede un po’ di speranza alla drammatica realtà che il territorio laziale e i suoi abitanti sono costretti a

vivere da anni a questa parte. “Quel piano casa” scrive l’urbanista Paolo Berdini “era basato su una

filosofia rozza e incapace di affrontare le sfide del futuro”. Purtroppo di questa filosofia è impregnata la

cultura politica; di destra e di un certo centro-sinistra.

Affrontando le questioni del territorio, abitualmente, le amministrazioni , centrali o periferiche che siano,

saltano a piè pari ogni forma di pianificazione, ogni preoccupazione per la vita sociale dei cittadini,

violentano regole urbanistiche e democratiche.

Vera e propria “eccellenza” di questa pratica è il sindaco Alemanno, con la sua cinica operazione di vendere

pezzi del patrimonio immobiliare: 370 immobili di edilizia residenziale pubblica, terreni edificabili per oltre

56.000 mq, 210 immobili non residenziali (negozi), strutture di pregio e di grande valore storico. Questa

delibera (la 84/2012) fa il paio con il “piano di housing sociale di Roma Capitale” : 20 milioni di metri cubi in

135 aree di agro romano (2000 ettari) .

In un comune devastato dal clientelismo e dal dilettantismo amministrativo (Ama, Atac , il succedersi degli

scandali) si può comprendere la necessità di fare cassa. Salvatore Settis (la Repubblica 18 settembre 2012)

scrive: “Solo rimuovendo cinicamente dalla scena l'evasione fiscale e i suoi effetti si può sostenere che le

dismissioni delle proprietà pubbliche e i tagli alla spesa sociale siano le sole leve disponibili per ridurre il

debito. La dismissione di beni demaniali non è solo inefficace, è anche incostituzionale. La proprietà

pubblica è infatti attributo necessario della sovranità, che spetta al popolo (art. l Costituzione della

Repubblica italiana).Demanio, beni pubblici, beni comuni e beni culturali sono, nel disegno della

Costituzione repubblicana, beni essenziali a garanzia dell' esercizio dei diritti civili e degli interessi collettivi

(libertà, salute, democrazia, cultura, eguaglianza, lavoro). Sono, come ha scritto la Commissione Rodotà,

“funzionali all' esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona. Diritti dei cittadini e beni

economici che ne sono la garanzia fattuale si stringono in un solo nodo: vendere le proprietà pubbliche e

comprimere i diritti sono due facce della stessa medaglia”.

Ma gli esempi citati, rappresentano il fondamento politico di questa classe dirigente, condizionata dal

potere economico che a Roma si traduce nelle lobby del mattone.

L’amministrazione di Roma Capitale è attraversata (e sostenuta) da una concezione economica prima che

urbanistica, dalla stretta attenzione agli strumenti di stabilizzazione e riproduzione del capitale piuttosto

che ai bisogni sociali dei propri cittadini. Ed è il riconfigurarsi del capitale nei beni comuni (acqua,

territorio) che guida e ha guidato negli anni recenti l’intervento sul territorio.

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Roma è una città devastata, ipertrofica ,scarsamente vivibile. Ha subito una cementificazione violenta : si

sono moltiplicate le aree destinate all’edilizia privata (già in eccesso per oltre 150.000 appartamenti) e per

attività commerciali (22 centri commerciali, previsti altri 16) che hanno trasformato il cittadino in

consumatore. Il sostanziale disinteresse per i servizi pubblici (trasporto, servizi sociali, spazi aggregativi,

ecc.) hanno prodotto, per la città e per i suoi abitanti, condizioni disperate. Roma avrebbe bisogno di

fermare la propria crescita e riqualificare il proprio territorio.

3.

Decentramento

Si scrive municipio, si legge colonia

Gianni Alemanno è stato sempre pronto a dei veri e propri spot sul decentramento. Il trattamento ricevuto

dai Municipi durante la sua legislatura, però, ha scatenato una vera e propria rivolta bi-partisan quasi

inedita, rappresentando di fatto uno dei più importanti punti deboli di Roma Capitale. Sebbene il sindaco

da un lato esalti l’importanza delle autonomie rispetto ai governi di prossimità, dall’altro con l’istituzione di

Roma Capitale ha di fatto privato i Municipi di ogni libertà di gestione e, soprattutto, di bilancio. Secondo le

linee di “Roma Capitale” sarebbe dovuto nascere una specie di sistema su due livelli, unitario tra Comuni e

Municipi, con Roma Capitale al di sopra. Questo era il progetto iniziale, mentre ora è stata creata una Roma

Capitale che coincide col Comune capoluogo e che continua a non avere tutti i Comuni dell’hinterland

metropolitano interessati allo sviluppo della Capitale e titolari delle infrastrutture così come nella

prospettiva della città metropolitana. Non c’è quindi né un vero decentramento interno né un

accorpamento che consenta di pianificare e di programmare con più ampio respiro le infrastrutture e la

viabilità.

Per quanto riguarda il capitolo più delicato, quello del Bilancio, la norma che ridisegna i confini e

competenze dei Municipi viola l'articolo 65 del regolamento sul decentramento amministrativo, poiché

assegna nel piano investimenti 2011-13 ai Dipartimenti comunali fondi destinati ad opere di competenza

municipale. L'articolo del regolamento stabilisce che ai Municipi spetti la manutenzione ordinaria e

straordinaria, la messa in sicurezza e l'abbattimento delle barriere architettoniche degli edifici scolastici,

delle strade di viabilità secondaria, l'85% del totale, e dei mercati rionali. Il risultato? Il caso emblematico

raccontato da Gianmarco Palmieri, che guida il municipio VI, con alcuni esempi concreti: "Con i fondi che ci

assegna attualmente il bilancio io avrei a disposizione 1,9 euro al metro quadro per la ristrutturazione delle

scuole e potrei intervenire per la manutenzione delle strade secondarie una volta ogni 63 anni”.

Insomma, una delle ragioni fondamentali che ha ispirato l’accorpamento, oltre alla preoccupazione di non

finire nelle more della norma lasciando ogni decisione nelle mani del prefetto, è legata al tentativo di

recuperare risorse cercando di colmare le lacune estreme degli ultimi Bilanci del Comune di Roma (2011 e

2012). Non vi è mai stato mai un criterio oggettivo, né un’analisi di flussi economici e sociali o di aspettative

dei cittadini rispetto ai servizi. La Giunta di Roma Capitale parla di “Funzioni”, ma basta dare uno sguardo

anche superficiale per rendersi conto che così non è, anzi. Roma Capitale, inoltre, ha riconfermato che gli

enti territoriali non hanno nessuna capacità giuridica per costituirsi parte civile nei processi che riguardano

fatti accaduti sui territori di appartenenza, al fine di bloccare le iniziative di alcuni Consigli municipali che

hanno approvato atti in questo senso. In questo modo, e dopo aver agito senza pietà sulle voci di bilancio,

ha di fatto tarpato le ali a qualsiasi decentramento. L’unica possibilità di raccattare delle risorse, per i

Municipi, è il Pup.

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Sandro Medici, presidente del X Municipio, e candidato sindaco: “Questa delibera (sull’accorpamento, ndr)

è solo in apparenza un mero esercizio di aritmetica, in realtà sommando banalmente territori disomogenei

e tra loro spesso stridenti, accontenta gli inconfessabili appetiti dei partiti: un municipio a te e uno a me, e il

notabilitato politico può continuare a spartirsi quartieri e territori”.

I ritardi della Città metropolitana

Ma c’è un’altra grave questione che ha segnato la legislatura del centrodestra, quella dei ritardi

nell’attuazione della legge. Le nuove disposizioni di legge permettono di articolare in più comuni il territorio

del comune capoluogo di provincia, confluito nella Città metropolitana (art. 18, comma 2 bis, della Legge di

conversione n.135/2012 del D.L. n.95). In questa maniera il Comune di Roma potrebbe suddividere il

proprio territorio in più comuni, riproducendo i confini dei propri municipi e attribuendo ad essi i poteri

previsti dal testo unico degli enti locali.

Sarebbe stato importante che fosse stata convocata la Conferenza prevista dalle disposizioni di legge che

istituiscono le città metropolitane per elaborare e approvare lo statuto entro il novantesimo giorno

antecedente la scadenza del mandato del presidente della Provincia, in maniera tale da poter decidere

subito le modalità di elezione del sindaco della città metropolitana e iniziare la lunga e complessa

procedura per la trasformazione dei municipi in comuni metropolitani. E invece, nulla di questo è avvenuto.

La Capitale disegnata da Alemanno sarà formata da un grande centro storico che comprende l’attuale I

Municipio, il XVII (Prati e Borgo) e una fetta importante di San Giovanni – Appio; il IX Municipio andrà

insieme al X.. Così i confini del I Municipio arriveranno fino a piazza Lodi, piazza Zama, Villa Fiorelli, la

stazione Tuscolana, Ponte Lungo, via Ivrea. E ancora piazzale Appio, piazza Re di Roma, un tratto di via

Appia Nuova e di via Tuscolana, per intenderci fino a Ponte Lungo: tradotto in cifre poco meno dei due terzi

dei 120 mila residenti dell’attuale IX. Appena fuori ecco un altro accorpamento sostanzioso. Una zona

semicentrale formata dai quartieri che oggi compongono il II e il III: Flaminio, Parioli, Salario, Trieste,

Nomentano e San Lorenzo verranno uniti.

La delibera 22/2013 prevede la riduzione dei consiglieri da 60 a 48 e diverse novità nel funzionamento degli

organi comunali. Ma tutti sanno, infatti, che i municipi sono stati sacrificati da Alemanno nella riforma di

Roma Capitale solo per poter prevedere un risparmio con cui finanziare, nel prossimo futuro, un forte

aumento degli emolumenti di consiglieri e assessori. Una decisione meschina, frutto di una mediazione al

ribasso per vincere le resistenze della Lega, che allora osteggiava fortemente tale riforma, per logiche che

nulla hanno a che fare con gli interessi della città e dei singoli territori che saranno penalizzati da questo

accorpamento. “Invece di rafforzare il decentramento e la partecipazione dal basso con una devoluzione

dei poteri amministrativi ai municipi su alcune materie fondamentali, come il verde urbano – sottolinea

Giovanni Barbera - si è deciso di dar vita a municipi più grandi, meno omogenei dal punto di vista

urbanistico, demografico e sociale e quindi molto più difficili da gestire con la partecipazione dei cittadini”.

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4.

Trasporti e viabilità

Poteri speciali sulla viabilità, per stare peggio di prima

Le vicende legate all’Atac sono forse uno dei casi più emblematici della cattiva gestione della cosa pubblica

da parte della giunta Alemanno, ormai “arrivata al capolinea”. Assunzioni facili di amici e parenti fino ai

cugini e ai generi, sprechi e indebitamenti, super premi per dirigenti e stipendi bloccati o tagliati per

dipendenti, un parco mezzi non degno di una capitale europea, servizi scadenti e, a chiudere tristemente la

lista, l’epilogo della primavera 2012: l’aumento dei ticket a 1,50 euro mentre comincia a spuntare un giro di

tangenti come non se ne vedevano dal 1992. Gli ultimi sviluppi societari mettono in evidenza come anche

nelle situazioni meno compromesse alla fine bisogna far i conti con improvvise voragini nel bilancio.

“L’azienda Trambus Open, che solo pochi anni fa veniva considerata il fiore all’occhiello del Comune di

Roma (al 60% di proprietà del Comune stesso tramite Atac S.p.A.), è stata messa in liquidazione e circa 110

dipendenti, costretti per anni alla precarietà, ora rischiano di essere licenziati.

Tutto questo mentre una delle prerogative che la legge di Roma Capitale attribuisce al sindaco di Roma

sono proprio i poteri speciali da commissario sulla viabilità. Un titolo che Alemanno ci ha sempre tenuto ad

avere per tentare, forse con la recondita idea di riuscire finalmente bloccare cortei e manifestazioni. La

realtà è che su viabilità, trasporti pubblici e piano parcheggi Alemanno è riuscito a costruire una ostilità

inedita da parte dei cittadini. Basti pensare che dal 2007 al 2011 i costi da congestione traffico si sono

raddoppiati (da 1,4 a 2,8 miliardi di euro), gli spostamenti con veicoli a motore sono passati dal 50,5% del

totale nel 2008 al 66,5% attuale, l’inquinamento è fuori dai limiti di legge e i morti per incidenti stradali

sono quasi duecento l’anno. Analisi e controproposte. Una recentissima ricerca effettuata dall’Istituto Eures

Ricerche Economiche e Sociali dal titolo “La mobilità a Roma, tra esperienza e utopia” ha appurato che in

media un cittadino romano trascorre 14 giorni del suo anno incastrato tra le auto percorrendo il tragitto

casa-lavoro. I giorni diventano 22 nel caso dei pendolari. Facendo il confronto con le altre grandi città

d’Italia si capisce il perché: a Roma l’offerta di trasporto pubblico locale su gomma è pari a 174 km ogni 100

Km² di superficie comunale contro i 546 di Torino, 505 a Firenze e 355 di Napoli. La conseguenza è

inevitabile: quasi il 48% dei romani sceglie il mezzo privato, in 700 mila.

Atac: esternalizzazioni, tangenti e sprechi: il bilancio in rosso lo pagano lavoratori e cittadini

“Privatizzare gli utili e socializzare le perdite”, è il sempre verde slogan liberista che ben si può applicare

anche al caso Atac. È il dicembre del 2010 e, in piena bufera Parentopoli, tra le carte del caso Atac spunta

un dossier noto come “ZF”, che sta per “ZF Friedrichshafen AG”. Si tratta di una nota multinazionale

tedesca di ricambi di cui Atac si serve (nel classico metodo delle esternalizzazioni) per gestire oltre il 40%

Page 24: Dossier Alemanno

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del processo di manutenzione del parco autobus: trasmissioni automatiche, cambio, centraline, pulsantiere.

Il quadro che emerge è abbastanza chiaro e inquietante: il contratto per la manutenzione di 1.086 vetture è

affidato dalla vecchia Trambus (nel frattempo assorbita da Atac stessa) alla ZF Italia, filiale italiana

dell’azienda tedesca. Il contratto di affidamento prevede un periodo di sperimentazione che va dal 1°luglio

2009 al 30 giugno 2010 e, tra attività ordinarie e straordinarie, stima un importo di 2,4 milioni di euro. Già a

questo punto viene da chiedersi: perché Atac per gestire il proprio parco mezzi non si serve delle centinaia

di meccanici specializzati di Trambus, società nel frattempo assorbita, che paradossalmente risulta anche

titolare dell’affidamento dato a ZF Italia? Se non fosse emerso il quadro fosco che poi è effettivamente

emerso, si potrebbe quasi credere alla “mancanza di risorse qualificate dotate di specifico know how”,

formula con cui la società ha giustificato l’esternalizzazione del servizio di manutenzione. In realtà la ZF in

Italia sa bene come e dove muoversi: si aggancia sempre a società presso cui ottenere facilmente appalti e,

soprattutto, in cui debitore ne risulti lo Stato. Nel caso specifico di Atac, la gallina dalle uova d’oro a Roma

per ZF si chiama Drive Line Service. E di chi è questa società? Di Carlo Amati, che la gestisce insieme alla

figlia Alessia. Carlo Amati, manco a dirlo, è in splendidi rapporti con l’allora amministratore delegato Atac

Adalberto Bertucci, voluto alla guida della municipalizzata dei trasporti dal sindaco Alemanno in persona.

Bertucci stesso, pochi mesi dopo (nel maggio 2011), risulterà indagato insieme ad altri nell’ambito delle 850

assunzioni sospette avvenute per chiamata diretta.

Al 30 giugno 2011, data di scadenza del periodo di sperimentazione in cui ZF è incaricata di gestire la

manutenzione dei mezzi Atac, l’importo previsto di 2,4 milioni di euro è misteriosamente lievitato a 10,4

milioni: 8 milioni di spesa aggiuntiva, a fronte di una riduzione dei guasti di linea pari al 13%. A contratto

scaduto ZF continua a gestire la manutenzione senza fatturazioni perché è in attesa del rinnovo

contrattuale. E in effetti era subito pronto un rinnovo per un contratto da sei anni che sarebbe pesato sul

bilancio Atac per ben 46,6 milioni di euro. Cifra impossibile per le prosciugate casse di Atac nella gestione di

Bertucci, che così si limita (siamo nell’agosto 2010) a rinnovare l’appalto a ZF fino a dicembre 2010, per un

importo di 2,9 milioni di euro.

Nel frattempo Atac, che ha inglobato Trambus e MetRo per ridurre gli sprechi e ottimizzare i costi, continua

ad andare in perdita. Il bilancio è sempre più rosso: i conti del 2009 fotografavano Atac con una perdita di

esercizio di oltre 91 milioni, un miliardo e mezzo circa di indebitamento complessivo (erano 871 milioni

l’anno prima) e un margine operativo lordo crollato da 97 a 60 milioni. Nel 2010 il bilancio continua a

peggiorare, e Atac affronta il biennio 2011-2012 presentandosi sempre a rischio crac. Questo non vuol dire

che le spese siano state oculatamente ridotte per tempo: alla fine si registrano spese per il personale

cresciute di 70 milioni di euro, ammortamenti lievitati a 130 milioni e oneri finanziari per quasi 14 milioni.

La situazione è così grave che anche Alemanno si decide a inviare, nella sede Atac dell’Ostiense, gli ispettori

per setacciare i conti.

Intanto si succedono al ruolo di amministratore delegato, dopo Bertucci, Maurizio Basile, che lascerà a

maggio 2011 “per divergenze sul piano industriale” col Campidoglio, e Carlo Tosti che invece, dopo il

fallimento della nuova linea metro B1, si dimetterà a settembre 2012 per essere sostituito da Roberto

Diacetti.

Ad ora non è noto il bilancio del 2012, ma i conti sono “migliorati” nel corso del 2011. A maggio 2012,

quando viene presentato il bilancio dell’anno precedente la perdita è di 179,2 milioni di euro a fronte dei

319,1 milioni di fine 2010, dunque un rientro del 43,85%. Effetto della “pulitura” di Tosti che però, oltre a

tagliare gli sprechi e a prevedere la vendita, in alcuni casi “svendita”, del patrimonio immobiliare della

municipalizzata (contro cui diversi comitati cittadini sono in protesta da anni), si traduce in riduzione del

personale, pensionamenti e prepensionamenti, e decurtazioni salariali da mettere in bilancio: alla fine i

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dipendenti Atac passano in un anno da 12.566 a 12.212. Con un taglio dei costi pari a 32 milioni Atac riesce

a mettere in circolazione 399 nuovi autobus, ristruttura 11 stazioni metro e 30 capolinea, e rinnova le divise

dei dipendenti. Ma è chiaro che la crisi di Atac, usata come un bancomat per alimentare un perverso

sistema clientelare, nella cura di risanamento viene fatta pagare soprattutto ai lavoratori con tagli al

personale e annunciate decurtazioni sui salari, e ai viaggiatori con l’aumento dei ticket di viaggio e le

annunciate svendite del patrimonio immobiliare di proprietà della municipalizzata.

Il 28 ottobre 2011, mentre la cura dimagrante di Tosti inizia a dare i suoi frutti, a tutti e 12 mila lavoratori

Atac viene indirizzata una lettera, firmata proprio da Tosti, che spiega che per evitare il fallimento

dell’azienda, all’indomani dei tagli del governo al fondo trasporti e al netto del credito non saldato che Atac

vanta nei confronti di Comune e Regione, sono necessari dei sacrifici da parte di tutti. Inizia a circolare la

voce di decurtazioni fino a 350-400 euro sugli stipendi e modifiche sull’orario di lavoro, in osservanza del

Contratto collettivo nazionale.

Sindacati e lavoratori sono sul piede di guerra, e l’azienda corregge il tiro comunicando che le modifiche

sull’orario di lavoro riguardano solo il personale amministrativo e di manutenzione con esclusione, dunque,

di macchinisti, autisti e addetti al supporto in linea, e infine che questi ultimi non subiranno riduzioni sulla

retribuzione. La minaccia di sciopero, con conseguente paralisi della città, fa evidentemente paura. Ma non

solo: l’annuncio di trattamenti diversi riservati alle varie categorie, appare ai sindacati come una trappola

per dividere i lavoratori. Mentre ai lavoratori appare chiaro che le intenzioni di Atac sono di abrogare il

contratto aziendale, ripristinando le 39 ore lavorative e concretizzando il rischio di tagliare tra i 300 e i 400

euro per busta paga. 125 autisti interinali, inoltre, rischiano il posto mentre a quelli confermati si chiede di

lavorare di più. La posizione dei 12 mila dipendenti non è stata mai risolta, e ad ogni nuovo rischio crac,

Atac potrebbe decidere di rifarsi proprio su di loro.

Parentopoli

Durante questi anni di pessima gestione di Atac, c’è un filo rosso che li percorre e che finisce per intrecciare

a stretto giro i vertici di Atac con la maggioranza di Gianni Alemanno in Campidoglio, consegnandoci alla

fine la fotografia di un sistema perverso fatto di clientelismo e malaffare. È il novembre 2010 quando, dopo

notizie di scandali pubblicate dai principali quotidiani locali e nazionali, la Procura di Roma fa sapere

dell’apertura delle indagini relative a ben 854 assunzioni per chiamata diretta a dir poco sospette. La

Questura di Roma apre un fascicolo: “Atti relativi ad assunzioni a chiamata diretta”; si aprono indagini

contro ignoti e l’ipotesi di reato è quella per abuso di ufficio. Il fatto è che fra quegli 854 nomi di persone

assunte, ne spuntano alcuni molto strani, e i curriculum ad essi collegati sono piuttosto bizzarri per le

mansioni affidate. Agli onori della cronaca balza subito il nome di Giulia Pellegrino, assunta come segretaria

(“una delle tante” specificherà lei) del direttore industriale Atac, Marco Coletti, ma di professione cubista: a

fare da tramite fra le discoteche da cui proveniva e la municipalizzata pare sia stato Gianni Sammarco,

deputato e coordinatore romano Pdl, legato a Cesare Previti. Parenti di Bertucci, sempre lui, tra cui Patrizio

Cristofari, nominato addirittura dirigente. Poi spuntano Francesco Bianco e Gianluca Ponzio, ex esponenti

dei Nar. È solo l’inizio della bufera che sta per abbattersi su Atac: accanto al nome della cubista spuntano

quelli di generi, nuore e nipoti di dirigenti, politici e sindacalisti. É scoppiato il caso “Parentopoli”: Atac

spende 50 milioni di euro l’anno per stipendiare i parenti di persone potenti, messi un po’ ovunque in

azienda senza troppo badare a reali competenze, capacità o titoli di studio. E la bufera non può non colpire

Alemanno, che subito chiede a Basile, nuovo a.d. appena succeduto a Bertucci, di avviare un’indagine

interna. Ma passano meno di due settimane e si scopre che il capo-scorta di Alemanno, Giancarlo Marinelli,

maestro di boxe, era riuscito a piazzare entrambi i figli nelle due municipalizzate romane: Giorgio, di

professione pugile all’Atac, e Ilaria all’Ama. Il sindaco glissa dicendo di non essersi mai occupato

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direttamente di assunzioni. E poi ecco che la vicenda di Parentopoli mostra tutti i suoi tentacoli, che

arrivano ovunque e abbracciano la maggioranza di Alemanno più di quanto si potesse pensare. Spunta un

uomo potente: l’assessore comunale al Traffico Sergio Marchi. Marchi nel 2008, fresco di nomina, fa

trasferire la fidanzata, Flavia Marino, da Cotral a Metro, e dunque in Atac dopo la fusione aziendale,

facendola magicamente avanzare da operatore d’ufficio a quadro, con conseguente scatto di stipendio.

Sempre Marchi, che evidentemente ha mano libera, provvede poi a sistemare il fratello della fidanzata

Flavia, tale Claudio Marino; e per farlo si serve stavolta dell’Agenzia per la Mobilità piazzandolo come

consulente esterno alla Direzione relazioni esterne e istituzionali. Ma non basta. Presso lo stesso ufficio

riesce a trovare spazio anche per Francesca Bottinelli, moglie di Enrico Guarneri, che è capo staff di Marchi,

e per Mariella Plotino, che invece ha il merito di essere l’ex fidanzata di Giuseppe Leoni, altro uomo di

Marchi.

Ma nella lunghissima lista di assunzioni sospette i nomi che in un modo o nell’altri riguardano la squadra di

Alemanno sono ancora tanti. Compare per esempio Giuseppe Sorrenti, consigliere Pdl in IV municipio,

assunto come funzionario e premiato a spese dell’azienda con un master alla Luiss del costo di 8 mila euro;

Barbara Pesimena, fidanzata di Marco Visconti, consigliere Pdl che Alemanno ha delegato all’emergenza

abitativa, assunta da Trambus nel 2009 in prima fascia quadro; Manolo Cipolla, anch’esso consigliere Pdl,

nominato dirigente senza alcun particolare merito, e senza laurea, che a sua volta ha fatto sistemare

(presso l’ufficio del Personale di via Tiburtina) Ugo De Angelis, marito di sua sorella. E ancora: Nicola

Valeriani reclutato come capo-ufficio forse perché genero del deputato (Pdl, manco a dirlo) Francesco

Aracri.

Ma nella lista c’è spazio anche per parenti dei sindacalisti: e qui lo scandalo è trasversale, seppur sbilanciato

a destra. Per esempio la Cisl, che in Atac è la prima sigla con ben 2500 iscritti fra i lavoratori, all’emergere di

Parentopoli si presenta con personalità come Alberto Chiricozzi (segretario regionale del sindacato) che in

Cotral è riuscito a piazzare la figlia e il genero, mentre in Atac ci ha messo il figlio; Danilo Granaroli, con la

compagna assunta in Atac; Luigino Pitaccio, con figlia e nuora sempre in Atac. La Cgil, che per numero di

iscritti in azienda è seconda solo alla Cisl, compare nella lista con l’ex segretario Alberto Murri, un figlio in

Atac, Eugenio Brusadin (membro della segreteria Cgil) che in Atac ha la compagna, e Augusto Ammiraglia

(anch’esso membro di segreteria) con un figlio in Atac. Al terzo posto in Atac, con 1800 iscritti, vi è il

sindacato Faisa Cisal, vicino agli ex An; e il suo segretario regionale, Gioacchino Camporeschi, ha moglie e

figlia in Atac. Fabio Moro, stessa sigla sindacale, invece ha la compagna e la sorella. Per la Uil invece ha

fatto bingo Giancarlo Napoleoni, segretario regionale dello stesso sindacato, che in Atac ha un’intera

famiglia: due figli, un nipote e la fidanzata. Mario Dolce, predecessore di Napoleoni alla segreteria

regionale, pare si sia accontentato di un solo figlio in azienda. E poi ci sono gli altri sindacati: SUL Trasporti il

cui segretario regionale, Antonio Pronestì, ha in Atac un nipote; Ugl il cui segretario nazionale, Fabio

Milloch, conta in Atac moglie e cognato; Rsu di cui fa parte Ivo Fabiani che, sempre in Atac, ha una figlia.

Nel maggio 2011 la Procura di Roma manda 5 avvisi di garanzia, firmati dal procuratore aggiunto Alberto

Caperna e dal sostituto procuratore Francesco Dall'Olio. I destinatari sono: Adalberto Bertucci, ex a.d. Atac;

Antonio Marsia, ex a.d. Trambus; Riccardo Di Luzio, ex responsabile personale di Atac poi diventato capo

del personale di Trambus; Luca Masciola, dirigente Atac ed ex capo del personale di Trambus; Vincenzo

Tosques, ex direttore di Metropolitana di Roma. In pratica l’intera dirigenza di Atac, incluse MetRo e

Trambus intanto confluite, è sotto inchiesta. Per tutti l’ipotesi di reato è di abuso d’ufficio. A questi 5

indagati si aggiungono poi Tullio Tulli, all’epoca dei fatti direttore generale di Trambus, e Mario Marinelli,

direttore delle risorse umane e direttore dell’ufficio amministrazione personale di Atac. E, nell’estate

scorsa, nel registro degli indagati finisce anche Marco Visconti, assessore all'Ambiente: era riuscito a far

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assumere in Atac la moglie , che tuttora figura come responsabile di Eventi sanitari in azienda. Visconti era

stato intercettato in una telefonata con il consigliere Francesco Maria Orsi: “So’ cose che se so’ sempre

fatte, sia chiaro - racconta Visconti ad Orsi - ma chi ricopre un ruolo da assessore, purtroppo marchette sue

ne può fare veramente poche. Io stavo al Patrimonio, e la mia compagna è entrata con Bertucci. Le ho dato

una mano ai Trasporti, non l’ho mandata alle risorse per Roma”.

E sempre nel maggio 2011 spuntano delle lettere segrete (di cui il 27 maggio 2011 dà notizia il “Corriere

della Sera”) che chiariscono bene come funzionasse il sistema Atac sotto la gestione di Bertucci. Le lettere,

siglate proprio da Bertucci, garantivano - e oggi testimoniano quale fosse il funzionamento - da parte di

Atac l’erogazione di maxi-bonus a sette dirigenti (tutti vicini al Pdl, e uno parente del potente senatore

Cesare Cursi) sotto forma di cinque anni di stipendio – e non due come previsto dal contratto nazionale - in

caso di interruzione del rapporto lavorativo o di cambiamento di mansioni. In totale sul bilancio di Atac

pare pesassero oltre 4 milioni di euro aggiuntivi, e solo per sostenere queste generose elargizioni garantite

da Bertucci.

Mazzette e false fatture per l’acquisto di nuovi bus

500 mila euro: a tanto ammonterebbe la tangente che la Breda Marini di Bologna, società del gruppo

Finmeccanica, avrebbe pagato per garantirsi una commessa di 40 filobus da vendere al Campidoglio per la

linea Laurentina. La commessa risale al 2009, e ha un importo di 20 milioni di euro circa, su cui il pm Paolo

Ielo ipotizza il rischio di sovrafatturazioni. Tra gli indagati compaiono Roberto Ceraudo, ex a.d. di Breda

Marini, e Riccardo Mancini, a.d. dell’Ente Eur e uomo vicinissimo ad Alemanno. Corruzione e frode fiscale

sono i reati ipotizzati. Secondo quanto dichiarato dal commercialista Marco Iannilli davanti ai magistrati,

Mancini si sarebbe fatto da garante per l’erogazione della maxi-tangente, ottenendo in cambio da

Finmeccanica l’appoggio per essere nominato amministratore dell’Ente Eur: nomina puntualmente arrivata.

Il ruolo di Mancini sarebbe poi diventato ancora più determinante e delicato nel momento in cui Atac si

dimostrò intenzionata a non pagare la commessa. A questo punto, racconta Iannilli ai magistrati che “il

ruolo di Mancini era quello di chiudere gli accordi e bloccare i pagamenti, attraverso le sue entrature

nell’amministrazione comunale fino a quando Ceraudo non avesse erogato le somme dovute”. E la

tangente, che Mancini pare dovesse garantire, sarebbe stata destinata a Lorenzo Borgogni, ex responsabile

alle pubbliche relazioni di Finmeccanica, e a Lorenzo Cola, ex consulente di Finmeccanica. Tangente che, in

parte, pare sia stata pagata con false fatturazioni. Ovviamente Mancini continua a ritenersi estraneo ai fatti

contestatigli, i vertici di Atac negano e Alemanno tenta di sminuire la vicenda. E non solo. Mancini di

recente si è aggiudicato la poltrona di a.d. della nuova Roma Convention Group spa, controllata al 50% da

Ente Eur e Fiera di Roma, per spodestare il ministero dell’Economia dal ruolo di azionista di maggioranza

nel business dei congressi della capitale. In pratica una promozione per il buon lavoro svolto.

Nel dicembre 2011, sentito dai magistrati, Borgogni aveva fatto intuire quali fossero i rapporti tra

Finmeccanica e Alemanno. L’ex responsabile alle pubbliche relazioni di Finmeccanica aveva spiegato ai

magistrati che a far da cerniera era proprio l’ex super-consulente di Finmeccanica, Lorenzo Cola: “Cola –

dichiarava Borgogni - d’accordo con Guarguaglini (all’epoca dei fatti amministratore delegato di

Finmeccanica, ndr) mi disse di farmi da parte perché ai rapporti con il sindaco Alemanno ci avrebbe pensato

lui, perché con tali ambienti egli coltivava rapporti storici. La cosa venne confermata quando l'ad della

Menarini mi disse di interessarmi per una fornitura di autobus che la nuova amministrazione comunale

intendeva acquistare nella repubblica Ceca”,

Interessante rileggere quanto Cola abbia dichiarato invece a maggio del 2012 davanti ai magistrati:

“Propongo la questione dell'ingresso delle controllate Finmeccanica nei lavori della metropolitana (...)

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Guarguaglini mi dice di occuparmi della chiusura dell'affare autobus, per poi puntare alla metro e mi dice di

parlare con Ceraudo”.

A questo punto, che il passaggio di soldi ci sia stato, e che quindi in qualche modo Ceraudo sia stato

convinto a pagare, diventa per gli inquirenti una certezza. A fare da mediatore era intervenuto, infatti,

Edoardo D'Incà Levis: sarebbero state le sue manovre a sciogliere i nodi per fare entrare la Breda

Menarinibus nell'affare dei filobus. Il ritrovamento dell’agenda di Ceraudo. con annotate cifre di movimenti

illeciti di denaro appare come una conferma.

Il 24 gennaio 2013, Ceraudo viene arrestato per corruzione. Mancini intanto lascia l’Ente Eur, e D'Incà Levis,

nel corso di un interrogatorio, rivela che il passaggio di 600 mila euro c’è stato, ed era indirizzato “alla

segreteria di Alemanno”. Per la procura i soldi sono transitati verso “l’ambiente politico”. Alemanno non è

nel registro degli indagati, ma il quadro che emerge getta nuove inquietanti ombre sulla sua giunta.

In attesa che si completi il quadro, e si chiariscano tutte le posizioni in questo ennesimo scandalo legato alla

municipalizzata dei trasporti, per la Procura mancano sicuramente all’appello almeno altri 150 mila euro.

Forse D’Incà Levis potrebbe aiutare a scoprire dove siano finiti. Le ipotesi ad oggi sono che in qualche

passaggio di mano qualcuno li abbia tenuti per sé, o che siano parte di una seconda tangente. Tutto

lascerebbe pensare che il denaro versato da Ceraudo a Mancini per l’affare dei filobus, fosse in realtà solo

un primo via libera per nuovi e ricchi appalti. Lavori per la metropolitana su tutti. Il 25 marzo 2013 Mancini

viene arrestato da Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza.

Che ne pensano i romani del trasporto pubblico a Roma? E dell’aumento del biglietto?

Ritardi che arrivano a superare i 40 minuti, vetture sporche e affollate e, in generale, servizi scadenti. A

rendere noto il giudizio dei romani sul servizio dei trasporti pubblici nella Capitale, è un sondaggio del

Codici, reso noto proprio il 24 maggio 2012, alla vigilia dell’aumento delle tariffe. I sondaggisti intervistano

un campione di 600 persone che tutti i giorni usano i mezzi pubblici per spostarsi e recarsi a lavoro. E quei

dati parlano chiaro: il 93% degli intervistati denuncia uno “scontento generale”; “il servizio, allo stato

attuale, non è adeguato alle esigenze dell’utenza. In molti casi poi si palesano veri e propri disservizi come

le lunghe attese alle fermate degli autobus, i continui stop per problemi tecnici delle linee della

metropolitana”. Al primo posto dei maggiori disagi denunciati le lunghe attese: il 52% degli intervistati

dichiara di aver dovuto attendere un mezzo anche per più di 40 minuti. Gli orari più critici sono quelli che

vanno dalle 7,30 alle 9,00, e dalle 17,00 alle 18,00: in queste fasce orarie l’attesa media è di 25 minuti per i

mezzi di superficie, e di almeno 5 minuti per la metropolitana. “Ritardi che – secondo il Codici – si sommano

a ritardi, quindi, soprattutto se si è costretti a prendere più di un mezzo di trasporto, e ad utilizzare le linee

di autobus che collegano la periferia al centro e viceversa”. Il 30% degli intervistati, inoltre, dichiara di

viaggiare su autobus sporchi e su vetture della metropolitana superaffollate (le vetture della linea B

risultavano anche prive di impianto di areazione). L’11% denuncia “autobus vetusti in circolazione” e,

spesso, non forniti di macchina erogatrice di biglietti e pedana elevatrice per viaggiatori disabili. L’82% del

campione, infine, ritiene “scorretto” l’aumento delle tariffe: “un abuso considerando la qualità del servizio

che si continua ad erogare”.

“Un abuso” che puntuale arriva: il giorno dopo la pubblicazione del sondaggio – è il 25 maggio 2012 – il

biglietto costa 1,50 euro, e la sua validità viene estesa a 100 minuti. Atac lo aveva deciso già da tempo,

Alemanno all’inizio era fortemente dubbioso per il calo di popolarità (che proprio a causa degli scandali

legati all’Atac era scesa ai minimi storici), ma alla fine arriva ad accettarlo e a difenderlo come un normale

“fatto di sostenibilità dei costi”. Sarà. Ma il fatidico giorno in cui entrano in vigore le tariffe aumentate,

Roma le accoglie così:

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Aumento del biglietto Atac. Proteste e ‘salti al tornello’ in tutta la città.

Obliteratrici sigillate e siliconate, “salti al tornello”, manifestazioni e sit-in di protesta e la sede Atac di via

Prenestina “assediata”. Così Roma ha accolto oggi il rincaro delle tariffe, che innalza il costo dei biglietti a

1,50 euro. Riuniti sotto la sigla “ACAB” (Attivi Contro l’Aumento del Biglietto), studenti, lavoratori e precari,

“stanchi dei tagli ai propri salari”, hanno dato il via alle proteste già dalle 6 e 30 del mattino alla fermata

della linea A Subaugusta; in un comunicato diffuso in mattinata ACAB spiega: “le obliteratrici sono state

sigillate e siliconate, sono stati attaccati ovunque adesivi contro il carovita e con lo slogan ‘Atac gratis’ e

infine, onde evitare un disservizio all’utenza, sono state aperte le uscite di emergenza per far affluire la

grande ondata di gente che, già alle prime ore del mattino, stava riversandosi sulle banchine. L’azione –

prosegue il comunicato – dimostra l’indisponibilità della cittadinanza a ripianare i bilanci in rosso della

giunta Alemanno con un aumento dei costi di servizi che dovrebbero essere un diritto libero di ogni

cittadino; occorre riaffermare, anche attraverso la mobilitazione e l’azione diretta di sabotaggio delle

macchinette obliteratrici, un principio fondamentale: il trasporto pubblico è un servizio sociale e non una

merce qualsiasi”. L’Atac intanto annuncia di aver presentato una querela alla Procura della Repubblica,

ipotizzando il reato di istigazione a delinquere e istigazione a disobbedire alla legge contro coloro che

incoraggiano i cittadini a evadere l’obbligo di pagare il biglietto.

Ma se per i romani l’aumento delle tariffe è una “vergogna”, il primo cittadino, Gianni Alemanno, ritiene

che “passare da 1 euro a un 1,50 non è una vergogna, è un fatto di sostenibilità dei costi”. Immediata la

replica di Fabio Nobile, segretario Pdci-Fds e consigliere regionale: “al contrario di quanto pensa e dice il

sindaco Alemanno, l’aumento dei biglietti per il trasporto romano è molto più che una vergogna. È uno

scandalo che ai cittadini venga chiesto di pagare di più senza avere nulla di più in cambio, di risanare i

bilanci in rosso di un’azienda portata al collasso da questa giunta”. La Federazione della Sinistra di Roma,

con lo slogan “non paghiamo i vostri aumenti”, dà pieno appoggio alle mobilitazioni e alle proteste perché,

come spiega il suo segretario Fabio Alberti, “si tratta di una giustificata forma di disobbedienza civile nei

confronti di una amministrazione comunale e di un governo che premiano i ricchi e colpiscono i poveri”.

Alberti annuncia inoltre che la Fds organizzerà “assemblee e iniziative di autoriduzione sparse per la città

per riprenderci il diritto alla mobilità, per un servizio pubblico efficiente e di qualità”

La mobilitazione intanto inizia ad assumere varie forme in tutta la città, sia sulla linea di superficie (autobus,

tram e trenini) che sulle due linee di metropolitana: ovunque, attivisti e comuni cittadini sabotano le

obliteratrici, invitano a scavalcare i tornelli e a viaggiare senza biglietto; la protesta viaggia in tutta la

Capitale, e presidi spontanei nascono anche alla fermata Roma Nord della Roma-Lido, e nelle stazioni metro

di Battistini e Cornelia. Nel primo pomeriggio dal quartiere di San Lorenzo parte anche un corteo diretto

alla sede Atac di Via Prenestina: al grido di “Atac io non ti pago” un centinaio di manifestanti blocca i binari

del tram, mandando in tilt le linee 5 e 14. “Aumento del biglietto, taglio di servizi e posti di lavoro… Atac,

che fai? Io il biglietto non lo pago!”, “Atac bene comune”… Così si legge su alcuni dei cartelli esposti.

Intervengono i poliziotti in tenuta antisommossa per sbarrare l’accesso al deposito dei tram, il presidio

prosegue senza disordini, e alla fine i manifestanti si rimettono in corteo e liberano la zona. Termina così la

prima giornata di mobilitazioni contro l’aumento delle tariffe, e per affermare una nuova idea di mobilità, di

trasporto pubblico e di città.

No Pup*

Non è possibile parlare della questione del Piano Urbano Parcheggi senza partire dalla legge Tognoli, la

122/89, che collega il tema della mobilità alle tematiche della sosta: infatti le auto in sosta irregolare ne

determinano un notevole peggioramento, se non – in numerosi casi - addirittura la paralisi.

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La legge Tognoli affronta la questione della mobilità delle grandi città italiane con interventi che tendono a

togliere le auto dalla strada, sia quelle in entrata da fuori città, con parcheggi di scambio, sia quelle dei

residenti con parcheggi pertinenziali al servizio di quegli edifici che ne sono sprovvisti. Per dotare i

condomini dei box necessari, i Comuni possono addirittura dare in concessione suolo pubblico. L’idea

iniziale di Tognoli è la creazione di cooperative di residenti, ma a Roma invece prevalgono le proposte

avanzate direttamente dai concessionari/costruttori, che vengono inserite in un “Piano Parcheggi” che non

risponde a nessuna indagine a monte né a nessuna pianificazione operata da un soggetto pubblico.

Il Piano Urbano Parcheggi, nato nel 1989 e portato avanti dalle varie giunte che si sono succedute fino a

oggi, ha avuto un notevole incremento sotto l’Amministrazione di Walter Veltroni quando due ordinanze di

Romano Prodi, neo Presidente del Consiglio, hanno dichiarato “lo stato di emergenza per la situazione del

traffico e della mobilità a Roma”, attribuendo al Sindaco della Capitale poteri speciali in qualità di

“commissario delegato per l’attuazione di interventi per fronteggiare l’emergenza traffico nel territorio di

Roma”.

Quali sono state le reazioni dei cittadini agli interventi del Piano parcheggi? Nella maggior parte dei casi una

forte contrarietà, sostenuta dal sospetto che si tratti di una speculazione edilizia più che di interventi “utili

per la collettività”. Così un gruppo di Comitati (a oggi sono 29 comitati e associazioni) il 16 marzo del 2010

ha costituito il Coordinamento dei Comitati No Pup di Roma, per fare fronte comune nel chiedere tutele e

maggiori garanzie di pubblica utilità del Piano dei parcheggi.

Il Coordinamento dei NO PUP ha realizzato negli anni numerosi dossier. Nel luglio 2012 con “Non

chiediamo la luna” sono state avanzate 30 proposte al sindaco, che rispondono ad altrettanti “punti

dolenti” del PUP. Innanzitutto: il ritardo nella realizzazione dei parcheggi di scambio a fronte della

realizzazione di parcheggi privati, per la maggior parte concentrati nei Municipi centrali. E la scelta di

privilegiare la costruzione di box rispetto agli stalli aperti, con la conseguenza che i garage diventano molto

spesso cantine e magazzini mentre le auto continuano a intasare le strade. E soprattutto la scarsità di

garanzie per i cittadini che vivono negli edifici accanto agli scavi dei parcheggi sotterranei.

A questi si aggiunge la mancanza di un quadro strategico generale e di una pianificazione che consideri le

caratteristiche, ma anche le esigenze di ciascun territorio. Per quanto riguarda i parcheggi da realizzare in

concessione su suolo pubblico, i Comitati rilevano come ogni responsabilità sia attribuita al solo

concessionario, che è anche il soggetto che deve compiere tutte le scelte legate alla sicurezza e alle

garanzie verso terzi. Scelte che hanno rilevanti conseguenze economiche per il concessionario stesso: la

fattibilità, le indagini preliminari, le assicurazioni.

Inoltre è quasi sempre il concessionario a scegliere le caratteristiche dell’intervento. E in molti casi i posti

ricavati sottoterra sono di poco superiori a quelli che verrebbero tolti in superficie.

Il Coordinamento ha avanzato nuove proposte che riguardano la trasparenza e la partecipazione dei

cittadini, arrivando a elaborare un nuovo schema di Convenzione per la concessione dei Diritto di Superficie

e a chiedere nuove regole tecniche, che tra l’altro sono state poi elaborate nelle nuove “Linee guida” stilate

dall’Ordine dei Geologi del Lazio insieme al Comune di Roma, che a tutt’oggi non sono state però adottate

dagli uffici comunali, come la maggior parte dei cambiamenti chiesti dai comitati. Qualche risultato è stato

ottenuto attraverso il confronto con l’Amministrazione, che ha permesso in certi casi di ottenere

l’applicazione di procedure in precedenza disattese dai concessionari, o modifiche parziali dei progetti, fino

all’espunzione dal Piano Urbano Parcheggi di alcuni interventi con numerose controindicazioni.

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Ad ogni modo dal 2000 ad oggi la maggior parte delle cantierizzazioni non sono partite, anche se gli

interventi previsti sono moltissimi.

Nel quartiere Flaminio, II Municipio, fra parcheggi ultimati e in previsione di realizzazione, sono previsti 8

parcheggi per 1 km, per circa 2000 posti auto

Per quanto riguarda la tutela dei residenti, i numerosi casi di problematicità sorte in seguito a scavi di

parcheggi interrati, come quello sotto il mercato Trionfale, dove un palazzo a tutt’oggi risulta sgomberato,

dimostrano che esiste il rischio che i lavori di scavo intacchino e danneggino la stabilità degli edifici

adiacenti o provochino smottamenti del terreno.

In Non chiediamo la luna vengono passate in rassegna molte criticità che da sempre affliggono Roma e che

rendono sconsigliabile la realizzazione di parcheggi interrati nella Capitale: falde acquifere, fenomeni di

subsidenza o sismicità in alcune aree, reperti archeologici.

E proprio in relazione a queste gli stessi cittadini propongono varie soluzioni: più investimenti nel trasporto

pubblico e parcheggi di scambio a rotazione da collocare nei nodi intermodali.

Quanto ai benefici per il quartiere, i comitati fanno presente che spesso il Pup porta un peggioramento

della superficie, soprattutto dove vengono tolte le alberature preesistenti. In viale Giulio Agricola 11 platani

che avrebbero dovuto essere espiantati, sono stati malamente strappati dal terreno: gli altri sono stati

salvati dall’intervento spontaneo dei cittadini.

Da quel giorno un coro unanime si è sollevato sdegnato: salviamo Giulio Agricola. Un coro che oggi è

tornato di attualità. Dopo una parentesi di battaglie legali, con esposti dei cittadini e della forestale che

hanno impedito la prosecuzione delle attività, il 10 Gennaio 2012 sarebbe stata prevista la ripresa dei lavori

preliminari da parte dell’impresa ma la mobilitazione della cittadinanza ne ha impedito l’iniziazione. “Siamo

sdegnati! Nonostante gli esposti e la vertenza pendente fra la ditta e il Comune di Roma circa i fatti del

2010 l’autorizzazione ad espiantare e a svolgere i lavori preliminari è ancora in vigore e presto l’intero viale

sarà letteralmente deturpato, come del resto via Tito Labieno e viale Anicio Gallo (tutte le strade alberate

del quadrilatero interessato)” afferma Annamaria Turnaturi del comitato No-Pup Salviamo viale Giulio

Agricola.

Bisogna poi considerare anche le perplessità dei commercianti che si lamentano della durata dei lavori che

impediscono per anni la viabilità e così anche l’accesso ai negozi. Sono tante insomma le criticità

evidenziate dalla cittadinanza, che ne chiede conto alla politica: “Nessuno ci ha interpellato. Dicono che

hanno svolto indagini di mercato, ma qui ci sono già tanti garage e poi nessuno ha i soldi che chiedono per

acquistare questi box”. Appello inascoltato davanti ai cittadini nel gioco dello scaricabarile fra comune e

municipio.

Il rischio è che tutta l’operazione legata ai box si riveli solo una speculazione privata.

In soldoni, dopo più di vent’anni dalla Legge Tognoli e dopo sei anni di Emergenza Traffico e Mobilità, con

relativi poteri speciali del Sindaco, il Piano Urbano Parcheggi si è rivelato un fallimento.

A dimostrarlo dati precisi: non si è vista la realizzazione dei nodi e dei parcheggi di scambio. Di quelli

previsti dal 2006 a oggi (arrivati a 17 nel 2008) ne è stato completato solo uno. Dei Pup privati ne sono stati

realizzati solo una minima parte, senza realizzare, dunque, alcun miglioramento né della situazione della

sosta, né delle sistemazioni superficiali, che spesso invece sono addirittura peggiorate. La percentuale

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rotazionale dei parcheggi è utilizzata poco, senza garantire un sufficiente ritorno economico al gestore.

Molti sono i box invenduti. E lo sono da diversi anni.

Sul ruolo dei cittadini si può ben affermare che non sono stati preventivamente informati, né consultati, né

tanto meno coinvolti sugli interventi e sulle sistemazioni superficiali. Questo ha avuto anche la conseguenza

di scatenare proteste e azioni legali.

Carteinregola, il nuovo laboratorio di cittadini, comitati e associazioni, nato per mettere a punto idee,

proposte articolate e richieste non negoziabili per la città di adesso e di domani, a cui aderiscono anche i

Comitati No Pup, chiede che il Piano Urbano Parcheggi diventi uno strumento realmente messo al servizio

del Bene pubblico.

Per renderlo tale occorre un radicale cambiamento di rotta in 5 punti:

1)Il piano deve essere un piano È necessaria un’accurata pianificazione che integri il Piano Parcheggi con un

piano generale della mobilità e dello sviluppo urbanistico. L’obiettivo è ridurre progressivamente l’uso del

mezzo privato a favore del mezzo pubblico o di mezzi più sostenibili. La decisione su numero, tipo e

localizzazione degli interventi, deve essere attribuita a un soggetto pubblico ed effettuata sulla base di uno

studio della situazione attuale e della sua proiezione nel medio e lungo periodo, attraverso l’individuazione

“caso per caso” della soluzione di sosta più utile alle esigenze del territorio e della mobilità cittadina,

riducendo i parcheggi a punti strategici nella città consolidata e a nodi di scambio nelle fasce più periferiche

della città.

2) Lo spazio pubblico sopra i parcheggi è di tutti. Non si devono più realizzare parcheggi sotto aree verdi con

alberature di prima e seconda grandezza o alberi di pregio.

Le sistemazioni che contemplano la realizzazione di un nuovo giardino pubblico sopra i parcheggi devono

prevedere una zolla di almeno 2,5 m di terra per permettere la piantumazione di alberi di prima e seconda

grandezza. Gli interventi, soprattutto se in corrispondenza di piazze o crocevia importanti, devono

rispondere ai requisiti dei regolamenti per la sistemazione urbanistica degli spazi pubblici, a cominciare da

quello per la partecipazione dei cittadini; nel caso di interventi complessi, si deve ricorrere al concorso di

idee. I progetti di sistemazione devono comprendere rendering dettagliati e capitolati con la minuziosa

indicazione dei materiali utilizzati. La manutenzione dell’area pubblica superficiale deve essere effettuata

dal Comune, a spese del condominio dei proprietari dei parcheggi. Gli uffici comunali, prima di autorizzare

la realizzazione di nuovi interventi, devono verificare che la ditta non sia inadempiente nelle realizzazioni in

corso, sia sul rispetto delle prescrizioni e dei tempi, sia sul versamento degli oneri concessori.

3)Parcheggi per chi. I parcheggi pertinenziali devono essere destinati al ricovero delle auto e non devono

diventare cantine e magazzini: per questo devono essere costituiti da stalli aperti e non da box. Per evitare

speculazioni su suolo pubblico, coerentemente con la filosofia della Legge Tognoli, i parcheggi pertinenziali

devono essere effettivamente destinati ai proprietari di immobili dell’area limitrofa (“l’area di influenza”),

incentivati all’acquisto attraverso un prezzo favorevole, definito attraverso i parametri del bando pubblico e

comunque inferiore al valore di mercato. I parcheggi rotazionali devono essere prevalentemente collocati

fuori dal perimetro della città storica, e regolati da una politica tariffaria che scoraggi l’afflusso delle auto

verso il centro premiando chi abbandona il mezzo privato nelle fasce più lontane.

4) Più garanzie ai cittadini. Il Comune deve garantire la sicurezza e il benessere di coloro che vivono e

lavorano nelle aree degli interventi e la tutela degli edifici di contorno, adottando prescrizioni più stringenti

(come ad esempio quelle recentemente elaborate all’Ordine dei Geologi del Lazio) e soprattutto vigilando

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sul rispetto delle prescrizioni, in particolare sia per quanto riguarda le indagini preliminari, sia per quanto

riguarda la congruità e la durata delle polizze assicurative per gli eventuali danni emergenti ai fabbricati

limitrofi, durante la costruzione del parcheggio e per i dieci anni successivi al collaudo.

5) Stabiliamo le regole. La pubblica utilità e la valorizzazione delle risorse pubbliche devono essere il criterio

guida degli interventi. I parcheggi non possono comportare il danneggiamento o il ridimensionamento di

beni pubblici come siti archeologici, ville e giardini, vincolati e non. L’affidamento degli interventi deve

rispettare il principio del miglior offerente, individuato sulla base di gare di evidenza pubblica. Gli oneri

concessori da versare alle casse pubbliche devono essere proporzionati al prezzo finale di vendita dei posti

auto.

Le urgenze immediate: l’Elaborazione di un nuovo Piano Urbano Parcheggi inserito in un nuovo piano della

mobilità, stilato sulla base di uno studio articolato promosso da soggetti super partes. Richiesta di parere

all’Avvocatura comunale in merito ai diritti già acquisiti dai proponenti nelle varie fasi procedurali, per

valutare il peso economico di eventuali risarcimenti in caso di ricollocazione o cancellazione di interventi

previsti dai PUP precedenti che si ritenessero inadeguati al nuovo Piano. Pubblicazione on line degli

interventi del PUP, con lo stato delle procedure e tutte le informazioni relative, a disposizione dei cittadini.

Modifica dello Schema di Convenzione per la Concessione del diritto di superficie su un’area di proprietà

comunale per la realizzazione di parcheggi interrati con le integrazioni indicate al punto 4 (indagini

preliminari e coperture assicurative) e al punto 3 (area di influenza). Sospensione delle procedure di tutti gli

interventi non ancora finalizzati, in attesa del perfezionamento del nuovo Piano, e in ogni caso revisione e

espunzione di tutti gli interventi che rientrino nei punti 2 (aree verdi) e 5 (siti archeologici, ville e giardini)”.

*Il lavoro è stato visionato da Anna Maria Bianchi, portavoce del Coordinamento dei Comitati No Pup,

che ringrazio per il tempo e le preziose informazioni.

Le principali fonti di informazione provengono dal sitohttp://www.comitatinopup.it e dalla lettura di

“Non Chiediamo la luna, il libro rosa dei comitati”

Viabilità e traffico

Cento associazioni, aderenti a cinque reti (C.A.L.M.A, Coordinamento Comitati No Pup, Coordinamento

residenti Centro storico, Coordinamento Roma ciclabile, Mobilitiamoci) hanno redatto un rapporto

piuttosto approfondito su sei anni di emergenza traffico a Roma.

1) in sei anni realizzato nemmeno il 10% degli interventi (approvati nel 2006), 29 su 389 al 31 marzo 2012

(con questo ritmo saranno completati nel 2066). Il tasso di realizzazione aumenta di poco, all’11,6% ,8 su

69, per gli interventi relativi ai miglioramenti viari, parcheggi di scambio, nodi di interconnessione e corridoi

per la mobilità pubblica, essenziali per migliorare i flussi della mobilità e l’utilizzo dei mezzi pubblici. Il tasso

di realizzazione dell’insieme dei parcheggi è attorno al 5% (16 sui 300). Se si aggiungono gli interventi di

manutenzione, affidati senza procedura pubblica di appalto, nei piani nel 2009/10 (82,di cui 68 completati),

il tasso di realizzazione raggiunge i 20,6%,97 su 471.

A causa della inerzia nella gestione della emergenza dal 2007 al 2011 i costi da congestione traffico si sono

raddoppiati (da 1,4 a 2,8 miliardi di euro), gli spostamenti con veicoli a motore sono passati dal 50,5% del

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totale nel 2008 al 66,5% attuale, l’inquinamento è fuori dai limiti di legge ed i morti per incidenti stradali

sono quasi 200 l’anno.

2) Manca qualsiasi forma di rendicontazione. Non si sa che fine abbia fatto il miliardo e 700 milioni di euro,

assegnati (marzo 2008) ai piani per l’emergenza traffico. Trasparenza zero: per mesi non c’è stata risposta

alle richieste delle 100 associazioni, avanzate in base alle norme di legge. Per ottenere le schede è stato

necessario rivolgersi al presidente del consiglio, che finalmente l’ha agevolata. Il Commissario delegato

all’emergenza traffico ha tenuto nascosti l’andamento degli interventi come pure molte ordinanze relative

all’organizzazione, agli incarichi e ai compensi. Per mesi il Commissario e il Dipartimento della Protezione

civile hanno ignorato le richieste di accesso agli atti in violazione di specifiche norme comunali e nazionali.

Il fallimento della esperienza per l’emergenza traffico e mobilità, a Roma, richiede una urgente riflessione

collettiva su una serie di questioni:

La stupefacente insipienza progettuale e realizzativa della amministrazione capitolina ha fatto sì che

l’emergenza sia stata affrontata attraverso interventi infrastrutturali, senza definire obiettivi, tempi di

realizzazione ed impatti sulla circolazione, sulle percorrenze, sull’inquinamento. L’amministrazione si è

dedicata alla produzione di carta (Piano strategico per la mobilità sostenibile (nel 2010) e piano

“Ferrotranviario: Rapporto 1.0” (nel 2012) senza curarsi della realizzazione degli interventi gestiti dalla

stessa. Gli unici interventi con elevata realizzazione sono le manutenzioni che purtroppo non modificano gli

assetti.

- la funzionalità delle strutture utilizzate: Commissario delegato, soggetti attuatori, comitato di coordina

mento, ufficio speciale, strutture comunali, società comunali;

- il ruolo del Dipartimento della Protezione civile. Le relazioni inizialmente semestrali sono diventate

annuali e poi trimestrali diventando sempre più ermetiche, con pagine non numerate per le rendicontazioni

finanziarie e senza analisi d’insieme.

- il ruolo del Consiglio comunale il cui principale compito è l’ indirizzo e controllo politico-amministrativo del

Comune: come è potuto accadere che per quattro anni nessuno si sia domandato, in periodo di ristrettezza

finanziaria, come veniva speso un miliardo e settecento milioni di euro?

- la finora mancata rendicontazione di quanto realizzato al 30 giugno 2012: spese per interventi, incarichi,

consulenze, costi dei soggetti attuatori, del Comitato di coordinamento delle attività emergenziali, della

struttura dell’Ufficio Emergenza traffico e mobilità, stimati per quest’ultimo in 2 milioni di euro l’anno.

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5.

Rifiuti

Quadro generale

“La vita terminava in uno spiazzo dove si sarebbero visti cumuli d'immondizia, mucchi di terra infranti e

rifiuti vegetali, se non fosse che a Roma simile mercanzia si getta dappertutto, senza accordare preferenze

ad alcun sito particolare.”

Potrebbero sembrare le parole per descrivere la Roma di oggi, invece sono le parole usate da Charles

Dickens, in “Versioni d'Italia”, un secolo e mezzo fa.

La gestione dei rifiuti a Roma non sembra sia cambiata più di tanto nel corso degli anni, anzi la cattiva

amministrazione ha portato al malaffare.

Quello fra uomo e rifiuto è un rapporto ancestrale. Scriveva Freud che il rapporto dell’uomo con le proprie

deiezioni è assai istruttivo nell’illuminare i meandri nascosti della nostra psiche; così possiamo dire che il

modo con cui produciamo e gestiamo i rifiuti ha moltissimo da raccontare circa il nostro modello di società.

Calvino, ne “La poubelle agrée”, scorgeva nel rito serale dello svuotamento del pattume quella necessità

dell’uomo di separarsi da una parte di ciò che è suo perché egli possa identificarsi per completo (senza

residui) in ciò che è ed ha: “maledizione dello stitico e dell’avaro, che temendo di perdere qualcosa di sé

accumula deiezioni e finisce per identificare se stesso con la propria deiezione e per perdervisi” scriveva

ancora il grande autore. La metafora calviniana serve per comprendere quanto sia cambiata la percezione

del rifiuto da ieri sino ad oggi: un tempo l’esistenza della spazzatura, il gesto quotidiano di separarsene, era

sinonimo di benessere materiale e di tranquillità economica; oggi il rifiuto è sinonimo di inquinamento,

veleno, distruzione dell’ambiente, povertà.

Per capire come il rifiuto sia diventato un problema basta guardare l’evoluzione che le società

contemporanee hanno conosciuto in pochissimi anni, sia dal punto di vista demografico, sia da quello

relativo ai rapporti sociali ed economici. L’avvento del consumismo e la trasformazione dei processi

industriali ha fatto sì che le attività manuali diventassero sempre più costose a vantaggio della produzione

industriale che grazie alle economie di scala ha presentato sempre maggiori vantaggi. Insomma costa di

meno acquistare qualcosa di nuovo piuttosto che riparare o risparmiare. E questo comporta inevitabili

ripercussioni nella produzione del rifiuto e sull’impatto ambientale che l’accumularsi degli scarti al giorno

d’oggi causa. Spreco delle materie prime, inquinamento dei mezzi di smaltimento, esternalità dei processi

volti al riciclo. Queste le principali criticità che la questione dei rifiuti presenta. Così è emersa la necessità di

una regolamentazione organica della materia che consentisse di sviluppare delle politiche integrate con i

processi produttivi. Dalla semplice igiene urbana, insomma, si è passati alle politiche ambientali; il rifiuto è

diventato un problema e i costi per la sua gestione si sono moltiplicati. Basta pensare che trent’anni fa il

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costo dei rifiuti era di 5€/tonnellata, mentre oggi siamo sui 150€ a tonnellata. Inutile dire che si tratta di un

mercato a tutti gli effetti in cui la malavita ha piantato le sue radici.

Ma cosa è il rifiuto per l’esattezza? Rifiuto è anzitutto quel qualcosa per cui ciascuno è disposto a pagare

per disfarsene. Il rifiuto, per dirla in termini più economici, è un concetto legato al valore ed alla utilità

potenziale di un bene: quando un bene viene usato, la sua utilità potenziale diminuisce e con essa anche il

suo valore; finché tale valore diventa negativo. A questo punto il bene diventa uno scarto ed un costo da

sopportare.

Questa definizione è molto importante per diversi motivi. Prima di tutto il bene avente valore negativo,

cioè il rifiuto, ha uno “status giuridico” suo proprio. Ciò significa che il regime giuridico degli scambi dei beni

negativi è sottoposto a disciplina differente rispetto ad una qualsiasi compravendita fra privati avente ad

oggetto beni materiali della vita. È la legge quindi che stabilisce i criteri per definire qualcosa come rifiuto,

per classificarlo nelle diverse tipologie, e per identificare le diverse attività di gestione e di trattamento cui

questo deve essere soggetto. La principale fonte normativa in materia è di matrice europea ed i principi

generali cui gli Stati devono attenersi nell’ambito delle rispettive competenze sono racchiusi nella direttiva

2008/98 introdotta poi dal legislatore italiano nel nostro ordinamento con il d.lgs 152/06.

Nella normativa sono specificate modalità di trattamento del rifiuto e distribuzione delle competenze.

Quanto al destino del bene dopo il suo uso, le soluzioni adottate dalle amministrazioni sotto l’impulso della

produzione normativa sono andate di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie in materia che nel tempo

hanno avuto il merito di mostrare prospettive un tempo inimmaginabili. In parole semplici, una volta

utilizzato, il bene deve essere raccolto ed infine andare incontro a due diversi possibili processi: lo

smaltimento e il riuso. Diversissime tra loro dal punto di vista concettuale e procedurale, le due soluzioni

hanno mostrato nel tempo di essere più complementari di quanto non sembrasse ad un primo sguardo. Ma

andiamo con ordine. La raccolta può essere differenziata o indifferenziata. L’esigenza di una

differenziazione a monte dei rifiuti è emersa pian piano nel tempo con lo sviluppo delle diverse tecnologie

per il corretto smaltimento e un più efficace riuso dei materiali. Contrariamente a quanto si pensa, quindi,

la raccolta differenziata non serve solamente per il riciclo, bensì consente di differenziare quanto più

possibile i rifiuti in modo da ideare per ciascuna tipologia il trattamento più idoneo e meno dispendioso sia

dal punto di vista economico che ambientale. Emblematico è l’esempio, a riguardo, degli inceneritori: i

rifiuti meno sono puri e meno potere calorifero hanno; ciò comporta che per bruciare e produrre energia

essi necessitano dell’aggiunta di combustibili con la conseguenza che il processo è più inquinante e

maggiormente costoso.

La raccolta dei rifiuti può avvenire con tre diverse modalità: quella collettiva, basata su contenitori stradali

liberamente accessibili, quella individuale porta a porta e quella basata sul conferimento diretto da parte

del cittadino a punti prefissati e gestiti dall’operatore. Ciascuna modalità presenta pro e contro. La prima ha

dalla sua il fatto che non comporta particolari costi per i cittadini, ma d’altra parte non consente una

ottimale raccolta differenziata; la seconda è difficile da praticare nei grandi centri urbani, inoltre bisogna

tener presente che costi ed esternalità delle modalità di raccolta non possono essere maggiori dei benefici

scaturiti dalla differenziazione dei rifiuti, e quindi una raccolta porta a porta ha dei costi difficilmente

sostenibili in certi contesti; infine la terza ipotesi, che potrebbe comportare però un eccessivo aggravio per i

cittadini i quali sarebbero costretti a trattenere il pattume in casa. Insomma, efficienza, economicità ed

incentivo: il progresso della raccolta differenziata passa da questi fattori oltre che, soprattutto, dalla

sensibilizzazione sul tema da parte dei cittadini e dei produttori.

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In Italia, l’obiettivo per il 2012, era di raggiungere il 65% a livello nazionale di raccolta differenziata.

Obiettivo grandemente fallito visto che oggi siamo solo al 25%; e se teniamo conto che nel bel paese il

recupero diretto dei rifiuti è solo al 16% contro i parametri Ue che impongono il raggiungimento del 50%

entro il 2020, già risulta evidente il fortissimo ritardo che in Italia oggi registriamo rispetto al contesto

europeo. Quest’ultimo dato però, fa emergere un altro aspetto della gestione del rifiuto che aiuta ad

introdurre la trattazione sul suo destino: le modalità di raccolta sono cosa diversa rispetto alla destinazione

finale del bene dopo il suo uso. In particolare il riciclo consiste nel far rientrare il rifiuto nel circuito

produttivo in modo che, dopo diversi trattamenti, il bene riacquisti valore positivo; in questo caso si può

parlare di recupero diretto. La seconda strada invece consiste nel restituire all’ambiente il rifiuto usato

tramite lo smaltimento. In mezzo c’è tutta una zona grigia che è rappresentata da quei casi in cui il bene

riacquista utilità in seguito ad una nuova destinazione (es. ricavare combustibili dai rifiuti); questo processo

si chiama downcycling.

Il principale esempio di smaltimento del rifiuto è rappresentato dalla discarica. Essa consiste in un’area

confinata, realizzata in un sito idoneo a distanza da centri abitati e su un suolo impermeabile che eviti il

rischio di contatto con la falda acquifera. La discarica comporta due tipologie di inquinamento:

inquinamento dell’aria mediante la produzione di gas generati dalla decomposizione dei materiali organici,

contaminazione del suolo tramite la produzione di un liquame che trascina con sé in soluzione molti

composti (spesso chimici) presenti nei rifiuti e che è chiamato percolato.

Il rischio di contaminazione è alto qualora in discarica finiscano rifiuti putrescibili, cioè i cosiddetti rifiuti tal

quali. La discarica, se gestita correttamente, potrebbe rappresentare un ottimo sistema di produzione del

gas e di produzione di materiali organici destinati a concime. Anche qui però la purezza del rifiuto è il

requisito minimo per far sì che il prodotto da immettere sul mercato abbia richiesta. Dal 2000 in Italia è in

vigore una norma che, distinguendo i rifiuti in pericolosi, non pericolosi ed inerti, vieta il conferimento in

discarica di ogni forma di rifiuti diversa dai rifiuti inerti ossia non passibili di altre forme di valorizzazione. Il

divieto è stato più volte derogato a causa delle inadempienze di numerose amministrazioni, tra cui, lo

vedremo dopo, anche e soprattutto il Lazio, dove a Malagrotta viene ancora gettato di tutto. Il secondo

metodo di smaltimento dei rifiuti è sicuramente l’incenerimento. I rifiuti contengono infatti molte frazioni

combustibili e questa loro caratteristica ha da sempre spinto verso l’opzione di bruciarli. Tecnicamente il

rifiuto viene trasformato in fumi (spesso tossici e molto inquinanti) e in scorie che necessitano di

trattamenti specifici. Col tempo si sono sviluppate numerose tecnologie che hanno fatto degli impianti di

incenerimento dei veri e propri complessi industriali all’avanguardia, dove i filtri consentono di ridurre di

molto le emissioni e di produrre ancor meno scorie. Nell’ideazione delle nuove tecnologie finalizzate a

ridurre l’impatto ambientale dell’incenerimento ha avuto un ruolo molto importante l’Unione europea che

ha imposto per gli inceneritori parametri di inquinamento molto più severi rispetto a quelli fissati per altre

attività industriali come i cementifici. Se rimane controversa la questione delle nanoparticelle, che secondo

alcuni non sarebbero filtrabili e causerebbero importanti danni alla salute, è vero anche che lo sviluppo

della tecnologia dell’incenerimento ha fatto si che potesse essere utilizzata un’altra caratteristica del

rifiuto: il potere calorifico da cui ricavare energia. Anche qui però il condizionale è d’obbligo. Una corretta

gestione dei termovalorizzatori farebbe dell’incenerimento una pratica di smaltimento all’avanguardia,

tuttavia le lacune della legislazione, unite a corruzione e infiltrazione della criminalità organizzata, hanno

fatto emergere un dissennato utilizzo di questi impianti all’interno dei quali sono stati bruciati rifiuti anche

pericolosi senza appositi trattamenti.

Infine un terzo modello di smaltimento dei rifiuti è rappresentato dal trattamento meccanico-biologico.

Molto diffusa negli anni ’80, la pratica consiste nella selezione dei rifiuti a valle con la quale ricavare tre

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flussi di rifiuti: i rifiuti umidi (da trasformare in materiali organici inerti), i combustibili derivati dai rifiuti (il

Cdr da usare negli inceneritori) e gli scarti. Tuttavia il principale ostacolo al diffondersi di questa modalità di

smaltimento è costituito dal fatto che senza una selezione a monte dei flussi di rifiuti è difficile creare dei

compost o dei cdr di qualità, tali da avere una domanda sul mercato. Il trattamento meccanico oggi è usato

molto come sistema complementare rispetto ad altri, tenendo presente l’imprescindibilità della raccolta

differenziata.

Abbiamo parlato di smaltimento, ora occorrono due parole sul riciclo. Il riciclo è una pratica molto diffusa

innanzi tutto nell’ambito dei processi industriali. L’Italia, come paese povero di materie prime, è sempre

stata all’avanguardia per quanto riguarda la costruzione di filiere industriali che consentono di non sprecare

i materiali di scarto. Il riciclo si è diffuso poi in vasti settori: dalla carta all’olio delle auto, sino alle pile, ai

materiali di elettronica e al vetro. Il vero problema del riciclo sta nel processo industriale che occorre

effettuare per ridare valore positivo al bene. Tanto più il rifiuto è “impuro” tanto maggiore sarà il dispendio

di risorse energetiche, economiche e in termini di impatto ambientale che tali trattamenti richiederanno.

È evidente dunque quanto il problema della produzione e dello smaltimento dei rifiuti costituisca un tema

complesso e di difficile risoluzione. In Italia ed in Europa si sono provati a stabilire dei principi ed una

ripartizione delle competenze in modo tale da sensibilizzare cittadini, amministrazioni locali e produttori

dei beni. Secondo la normativa italiana spetta allo Stato tradurre la direttiva 2008/98 della UE in principi;

ciò è stato fatto con il d.lgs. 152/06. Alle Regioni spetta l’organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti,

con particolare riferimento alla pianificazione dello smaltimento e della raccolta differenziata, alla

fissazione dei criteri per l’individuazione di siti ove collocare gli impianti, alle attività amministrative e di

istruttoria e valutazione, alla pianificazione della bonifica dei siti contaminati. Il piano strategico viene poi

dettagliato e reso operativo dalle Province che, ciascuna nel territorio di propria competenza, individuano

nel concreto flussi di rifiuto da smaltire, obiettivi, siti designati ed impianti. Accanto alle Province ci sono le

Agenzie per la protezione dell’ambiente istituite a livello regionale (Arpa), che svolgono attività tecnico

scientifiche, istruttorie, di controllo e monitoraggio ambientale. Infine agli enti locali compete la gestione

nel concreto dei rifiuti. I Comuni devono assolvere alla loro responsabilità affidando il servizio a dei soggetti

gestori mediante autorizzazione con la quale l’amministrazione deve imporre tutte le prescrizioni che

ritiene opportune, nel rispetto dei principi e negli obiettivi imposti dalle norme nazionali e regionali.

Una volta chiarito il quadro normativo e la ripartizione delle competenze, ecco alcuni numeri sullo stato

delle cose in Italia ed in Europa. In Italia si producono oggi 140 milioni di tonnellate di rifiuti al giorno di cui

32 sono rifiuti urbani. L’incremento in pochi anni è stato enorme, se pensiamo che solo di rifiuti urbani se

ne producevano 13 t nel 1975 e 24t nel 1996. La produzione annua pro capite di rifiuti non è omogenea su

tutto il territorio nazionale, e ciò a dimostrazione del fatto che essa dipende molto anche dalle abitudini e

dal benessere della popolazione; essa infatti varia da un minimo di 450kg/ab di Basilicata e Molise ad un

massimo di 600kg/ab di Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e Lazio. Oggi rispetto al passato sono aumentati di

molto i rifiuti derivanti dagli imballaggi, soprattutto plastiche: si stima che ammontino a quasi il 15% del

totale. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, un grave rischio dell’incremento dei rifiuti nelle società

industriali è rappresentato dagli alti costi di smaltimento, che spesso spingono i produttori a rivolgersi alla

criminalità organizzata. In Italia sono state censite 13mila discariche abusive contaminate, sulle quali sono

stati effettuati sino ad oggi 5mila interventi di bonifica. Quanto alla destinazione dei rifiuti, invece, la

raccolta differenziata si attesta oggi in Italia sugli 8milioni di tonnellate l’anno, con un forte sviluppo al Nord

(40%) ed un Sud ancora indietro, fermo al 10%. In forte crescita è la modalità di smaltimento del rifiuto

tramite incenerimento (dal 5% al 10% in dieci anni) mentre il 23% dei rifiuti è destinato a trattamento

meccanico biologico. La discarica rimane ancora la destinazione prevalente; anche se in netta diminuzione

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la percentuale dei rifiuti conferita in discarica (si è passati dal 90% di inizio anni ’90 a poco più del 50%),

sono ancora molti i casi in cui, in deroga ad ogni norma, sono destinati al cosiddetto smaltimento rifiuti tal

quali, cioè privi di trattamento. Un triste esempio di questa pratica è, come vedremo, la discarica di

Malagrotta. Confrontando i dati appena citati con il passato, è evidente che anche in Italia si è avuto un

forte progresso nel campo della gestione di quello che possiamo ormai chiamare il ciclo dei rifiuti. Tuttavia

la situazione italiana si distingue, nel contesto europeo, per il fatto di presentare numerosissime situazioni

di criticità. Basti pensare al fatto che in Italia si pratica ancora l’incenerimento di rifiuti indifferenziati e che

la percentuale di energia ricavata dai rifiuti è molto bassa rispetto a Germania, Olanda e Francia, che si

attestano su valori compresi tra il 20% e il 30%. Inoltre il nostro paese è ancora molto indietro per quanto

riguarda l’obiettivo fissato dalla UE di raggiungere entro il 2020 una percentuale di recupero diretto dei

rifiuti intorno al 50% (abbiamo detto che ad oggi l’Italia è al 16%).

Malagrotta, l’ottavo colle di Roma

Quella dei rifiuti a Roma e nel Lazio, è una storia lunga più di 25 anni, fatta di commissariamenti, di

proroghe, di promesse mai mantenute, di battaglie nei tribunali, con due soli grandi protagonisti: la mala

politica, e un uomo, Manlio Cerroni, oggi 86enne di Pisoniano in provincia di Frosinone, che ha costruito

nell’ombra la sua fortuna venendo a capo di un impero composto da imprese specializzate nello

smaltimento dei rifiuti che oggi fattura a detta dei più oltre due miliardi di euro l’anno e che vede il suo

titolare operare da monopolista nella gestione dei rifiuti di Roma e Provincia.

Lo stato di emergenza in cui da anni ormai versa la Regione Lazio per quanto riguarda la gestione dei rifiuti

ha origini lontane. Quando negli anni ‘80 nasceva Malagrotta nessuno avrebbe immaginato che sarebbe

diventata la discarica più grande d’Europa. I suoi numeri presto sono diventati da record: vasta 240 ettari

(250 campi da calcio), in essa vengono riversate 5000 t/giorno di immondizia non trattata provenienti dalla

capitale e dalla provincia. In poco tempo quello che era un grande buco nel terreno si è riempito,

diventando una collina maleodorante e guadagnandosi l’appellativo di VIII colle di Roma. La discarica di

Malagrotta diviene presto l’emblema di un errato sistema di smaltimento dei rifiuti: essa raccoglie tutte le

categorie di rifiuti cosiddetti tal quali (senza alcun trattamento), i rifiuti speciali degli aeroporti di Fiumicino

e Ciampino, i rifiuti ospedalieri, mentre il cattivo odore del pattume accumulato si espande a seconda della

direzione del vento anche a 20 km di distanza. Non basta. In questa avvelenata periferia romana c’è posto

anche per due inceneritori, un bitumificio, un cementificio e per la grande raffineria di Roma; e questo

basta per definire questo territorio a due passi dal Tevere a forte rischio ambientale.

La discarica giunge al centro delle polemiche in seguito alle numerose denunce presentate dai 40mila

cittadini residenti nelle aree limitrofe, che hanno evidenziato numerose irregolarità nella gestione degli

impianti e un forte incremento delle polveri sottili sino a 15 volte più del normale: dal percolato (stante le

testimonianze dei comitati) sversato nei canali di scolo delle acque piovane, al mancato sotterramento dei

rifiuti depositati e, non da ultimo, il sequestro per mancato rispetto dei parametri di legge dell’impianto di

gassificazione ultimato nel 2008. Inchieste che sono andate a coinvolgere in prima persona anche il re della

monnezza romana e padrone della discarica Manlio Cerroni, presidente del consorzio Co.la.ri. monopolista

nello smaltimento della spazzatura. Non solo la dissennata conduzione dell’attività di discarica; dal 2003

Malagrotta, come ogni discarica del suo genere, è ufficialmente fuori legge e ciò in seguito al recepimento

di una vecchia direttiva della UE, risalente al 1990, la quale vieta lo smaltimento dei rifiuti tal quali in

discarica. In particolare, il D. Lgs. 36/2003, nel disporre che i rifiuti possano essere collocati in discarica solo

dopo il trattamento, ha previsto un regime transitorio per le discariche già esistenti con termine ultimo per

la loro chiusura previsto per il 31/12/2008.

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Cosa è successo dal 2003 ad oggi? Perché allo stato attuale si continua a prorogare la chiusura di

Malagrotta al in attesa di aprire altre discariche nascenti già in regime di illegalità? La risposta sta nella

progressiva saturazione delle 10 discariche laziali autorizzate e nei motivi che hanno condotto allo stato di

emergenza ed inadempienza in cui versa la Regione oggi.

Dalla fine degli anni ’90 sino ad oggi la Regione Lazio è stata incapace di avviare un proficuo piano

industriale di sviluppo della raccolta differenziata, oltre che una efficiente rete di impianti di trattamento

dei rifiuti indifferenziati utili soprattutto alla produzione del Cdr, combustibile derivato da rifiuti,

indispensabile per il funzionamento di termovalorizzatori.

I risultati rovinosi della gestione commissariale sono sotto gli occhi di tutti: mentre nel decennio appena

trascorso venivano gettati nelle discariche laziali più di 20milioni di tonnellate di rifiuto tal quale, la

percentuale relativa alla raccolta differenziata nel Lazio rimane inchiodata, stando agli ultimi dati, al 13%;

un dato lontanissimo tanto rispetto al 31% riscontrato su base nazionale, quanto rispetto a quel 65% che

l’amministrazione poneva come obiettivo da raggiungere entro il 2012. Un mix di cattiva politica, lentezze

burocratiche e malaffare hanno falcidiato sul nascere anche quelle poche iniziative poste in essere da

soggetti privati che nell’avviare attività d’impresa finalizzata al compostaggio o al trattamento di rifiuti

differenziati/indifferenziati si sono visti costretti ad accogliere rifiuti dalle altre regioni, in quanto nel Lazio

sembra si preferisca la discarica. Ciò senza contare le perplessità in termini di efficienza (economica) ed

efficacia (nello smaltimento) avanzate da più fronti riguardo un piano-rifiuti, come quello della Regione

Lazio, in cui il termovalorizzatore riveste un ruolo fondamentale. Se è vero che in esso possono essere

bruciati, oltre che il Cdr, anche molti rifiuti differenziati, i proventi dell’energia prodotti con la combustione

non sono tali da sostenere il costo della raccolta differenziata; l’unico sbocco possibile del rifiuto

differenziato – spiegano da Zero Waste Lazio, che ultimamente ha prodotto una sua proposta di legge – è il

riuso.

I primi giorni del maggio 2011 saranno ricordati per il black out della raccolta di rifiuti nella parte est della

capitale: in poche ore si sono creati accumuli di oltre mille tonnellate di rifiuti che hanno reso impraticabili

le aree antistanti i cassonetti della spazzatura e, in qualche caso, anche le strade.

Stefano, abitante di Tor Pignattara, raccontava quei giorni: “Da un giorno all’altro i camion dell’AMA non

sono più passati ed il 1 Maggio ricordo che i cassonetti erano già pieni sino all’orlo. Dal comune dicono che

il problema è risolto ma in alcune aree del Prenestino e del Collatino la raccolta ad oggi non è ancora stata

ripristinata”.

Da Tor Pignattara a Centocelle, passando per il Prenestino, il Collatino sino a Ponte di Nona; l’emergenza

rifiuti ha interessato soprattutto la parte est della capitale, ma non sono mancate segnalazioni di disservizi

anche nelle zone a nord. “Per fortuna non siamo arrivati al livello di Napoli e provincia nel 2008, ma la

persistenza di immondizia in strada associata al caldo tardo-primaverile ha reso l’aria nauseabonda ed

irrespirabile per giorni”.

“Un problema ordinario è la frequente comparsa di accumuli di rifiuti in zona Tor Sapienza, via dell’Acqua

Bullicante, passando per Malatesta e via Antonio Tempesta, l’assenza di un sistema di raccolta “porta a

porta” e, tantomeno, della raccolta differenziata”.

La sensazione, insomma, è che si tratti di un primo campanello d’allarme che viene da un sistema di

smaltimento rifiuti che mostra da anni pericolose crepe.

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A confermare le preoccupazioni dei romani, infatti, c’è una procedura d’infrazione in corso d’opera presso

la UE la quale si è espressa, riguardo la gestione dell'immondizia romana, con una relazione stroncante

della Commissione. A questa si è aggiunto anche il deferimento all’Alta Corte Europea. Del resto, l’obiettivo

dell’Italia doveva essere quello di raggiungere il 65% di raccolta differenziata e almeno il 50% di riciclaggio

entro il 2020, obiettivi ben lontani.

Pesano come un macigno sul futuro dei romani anni di scellerata gestione dei rifiuti, in cui l’inabilità delle

istituzioni ha condotto all’ormai prossimo collasso di Malagrotta, e all’ideazione di un sistema di stoccaggio,

di smistamento e di raccolta differenziata, gestito in condizione di semi-monopolio privato, assolutamente

inadeguato ad una città europea; e a lamentarsi non sono solo i romani, ma anche i dipendenti che da mesi

minacciano uno sciopero.

La logica dell’”ipermercato”, come l’ha definita Legambiente, impone di: inchiodare da una parte la

differenziata a percentuali mai arrivate sopra al 25% praticando, dall’altra, il conferimento in discarica a

fronte di un bassissimo prezzo di smaltimento (70 euro a tonnellata). Un diabolico “do ut des” tra

amministrazione comunale, AMA e imprese, che ha portato inevitabilmente all’esaurimento di Malagrotta

senza la parallela strutturazione di un percorso parallelo di trattamento alternativo dei rifiuti.

Ecco perché a Roma, così come anche in tutto il Lazio, le leggi sui rifiuti non sono mai state rispettate. Le

normative in merito prevedono infatti una rigida gerarchia ovvero in ordine, riduzione, riciclo, recupero di

materia e di energia ed infine lo smaltimento del residuo in discarica. Azioni queste che dovrebbero essere

messe in campo esattamente nell’ordine elencato. Invece a Roma circa il 75% della spazzatura finisce tal

quale a Malagrotta.

Così, tra proroghe, procedure UE d’infrazione e inadempienze amministrative, si è giunti alla saturazione di

Malagrotta e alla scadenza prevista per il 31/12/2011 della autorizzazione al suo funzionamento, poi

spostata a fine 2012, e ancora al giugno del 2013.

Va detto che nella Valle Galeria non esiste solo la discarica più grande d’Europa, ma anche un gassificatore

– per ora fermo – due impianti di trattamento meccanico biologico, una raffineria, un inceneritore per

rifiuti ospedalieri, dei depositi di carburante e diverse cave. Tale quadro aiuta a comprendere quanto la

zona sia fortemente antropizzata ed inquinata. Questa affermazione è avallata inoltre anche da due recenti

studi, di cui il primo dell’Ispra che certifica senza mezzi termini il notevole inquinamento della Valle Galeria

ed il secondo dell’Asl Rm che attraverso un’indagine epidemiologica ha rilevato come in questo quadrante

della città siano state riscontrate elevate percentuali di decessi rispetto ad altre zone della Capitale.

È importante sapere che la raccolta porta a porta dove effettuata correttamente a Roma (Colli Aniene,

Massimina, Trastevere, Villaggio Olimpico, Decima) oggi produce almeno il 60-65% di recupero di materiali

preziosi che possono essere rivenduti al CONAI (il Consorzio che si occupa di veicolare i materiali recuperati

nel ciclo manifatturiero) con entrate di contributi pari a circa 70 euro /tonnellata invece che spese

complessive di discarica/incenerimento attuali pari a 160 euro/tonnellata.

Da quando Alemanno si è insediato e ha proclamato di voler risolvere il problema dei rifiuti, siamo ancora a

meno del 50% di efficienza di un sistema di quattro impianti TMB, il trattamento meccanico biologico, (due

di AMA Spa e due del Colari di Cerroni), che se funzionasse a regime potrebbe trattare 900 mila tonnellate

annue, cioè non più del 60% dei rifiuti non differenziati oggi prodotti. Quindi di circa 1,9 milioni di

tonnellate annue di rifiuti urbani prodotti, tolto un 20% di raccolta differenziata pari a 390 mila tonnellate

annue, rimangono da trattare ancora oggi 1,5 milioni di tonnellate. Visto che i famosi quattro impianti di

TMB oggi sarebbero in grado di lavorarne solo 500 mila tonnellate annue, in attesa del funzionamento a

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pieno regime che li porterebbe a 900 mila tonnellate annue, la conclusione è che nei prossimi mesi

dobbiamo smaltire un milione di tonnellate annue.

In parole povere chi ha governato negli ultimi tre lustri sia la Regione Lazio che il Comune di Roma pur di

risparmiare ha scelto di buttare di tutto in discarica, non tenendo nella giusta considerazione la

salvaguardia della salute umana, nonché le norme operanti in materia.

La gestione dell’AMA

Nel Piano Industriale del febbraio 2009, AMA si era prefissata di raggiungere il 35% di differenziata con un

incremento in 5 anni del 15% per ottenere 600 mila tonnellate annue; di realizzare un impianto di

pretrattamento dei rifiuti di 400 mila tonnellate; di potenziare gli impianti esistenti; di individuare entro il

2010 una nuova discarica di proprietà di AMA. La realizzazione di questi obbiettivi, avrebbe assicurato il

trattamento di tutti i rifiuti, evitando il trasferimento all’estero al costo di 180 euro a tonnellata, che

comporterà un ulteriore aumento della tariffa per i cittadini romani, che già oggi è la più alta d’Italia con

Napoli. Benché AMA disponesse delle risorse, nessuno di questi obbiettivi è stato raggiunto.

La differenziata è aumentata di soli 6 punti in 5 anni (dal 19 al 25%), gli impianti di trattamento non sono

stati potenziati. Non è stato neppure presentato un progetto alla Regione per accedere ai 52 milioni

stanziati per la differenziata e si sono impiegati 5 anni per scoprire che il così detto sistema duale (gli utenti

conferiscono i sacchetti presso i punti di raccolta mobili di AMA), era un totale fallimento.

In compenso, nel corso della legislatura di Alemanno, l’azienda dei rifiuti, che ha 7.500 dipendenti, ha avuto

tutto il tempo di accumulare dei veri e propri disastri dal punto di vista gestionale. Senza contare tutta la

questione relativa a parentopoli, che ha utilizzando la stessa “tattica” di gestione da parte del Comune di

Roma; al Campidoglio (circa 200 collaborazioni esterne al costo di 18 milioni di euro in meno di due anni). In

poco tempo si arriva ad un cumulo di debiti davvero straordinario: 660 milioni con le banche (che si

garantiscono con la vendita degli immobili AMA); 300 milioni con i fornitori. Sofferenze per fronteggiare le

quali AMA mette mano alla svendita di immobili attraverso un fondo SGR (Società Gestione Risparmio) a

garanzia. La Cgil (Funzione pubblica) denuncia come “manca il gasolio per i mezzi e nelle unità territoriali da

mesi mancano addirittura sacchi e guanti per gli operatori”. E potrebbe non essere la notizia peggiore. “Nel

frattempo apprendiamo – continua il sindacato – che la giunta capitolina starebbe predisponendo un piano

per smembrarne le attività”. Il rischio più grande è quello di passare la mano ai privati: “Mettendo insieme

la crisi di governance aziendale, la mancanza di un piano industriale serio e questo ipotetico piano del

Comune, sorge il timore che si stia aprendo la strada alla privatizzazione”.

Durante la legislatura Alemanno sono stati 3 gli avvicendamenti degli amministratori delegati dell'AMA;

Franco Panzironi, Salvatore Cappello e Giovanna Anelli. Le tre nomine, ai romani, sono costate ben 2 milioni

di euro per le buonuscite dei manager. L'ultimo avvicendamento, quello tra Cappello e Anelli, sarebbe

arrivato a causa di un accordo che Cappello aveva intenzione di sottoscrivere con il Colari di Cerroni, 50

milioni di euro all’anno per un decennio, per il trattamento di una parte dei rifiuti prodotti dai romani.

Accordo del quale non sarebbe stato a conoscenza il consiglio di amministrazione di AMAe lo stesso primo

cittadino.

È davvero difficile sostenere, a fronte di circoli e verbali, la tesi che il Comune non fosse al corrente

dell’accordo. Insomma, non c’erano ragioni per la rimozione, ma si sarebbe trovato un pretesto per

l’avvicendamento e, infatti, si è scelta la strada delle dimissioni concordate. Alemanno ha potuto mutare gli

assetti mentre Cappello ne esce continuando a percepire gli emolumenti previsti: 700mila euro, anche

questi soldi dei romani.

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Alcune fonti in Ama spiegano che su questa decisione ha pesato il ruolo che ancora svolge Panzironi in

azienda, ex Amministratore delegato. E Franco Panzironi torna di fatto a comandare all’Ama. È uscito dalla

porta ed è rientrato dalla finestra”.

La storia più interessante è quella di Franco Panzironi e il ruolo svolto come A.d. dell'Ama, nonché il

protagonista principale della “parentopoli Ama ” e uno dei protagonisti del complesso sistema di potere

messo su da Alemanno e dai suoi, l'altro è Riccardo Mancini

Panzironi è nominato Amministratore delegato dell'Ama da Gianni Alemanno; durante l'epoca ministeriale

di Alemanno, gli viene assegnata la posizione di segretario generale dell’Unire, l’ente per l’incremento delle

razze equine.

Esperienza nel settore ippico? Zero. Fino al 2001 il dottor Panzironi, area democristiana, è direttore

generale di Lavoro Temporaneo, agenzia romana di lavoro interinale, che nel 2002 sarà acquisita all’80% da

un’altra società che si occupa di reclutamento e selezione di personale per le imprese: Obiettivo Lavoro,

che nel 2010 compare tra le vincitrici di una gara per selezionare personale proprio per l'Ama.

Conosce Alemanno durante la campagna elettorale del 2001; l'attuale sindaco gli chiede prima di aiutarlo a

organizzare il suo futuro incarico da ministro e poi di mettere in piedi un laboratorio politico; Panzironi

progetta la Fondazione Nuova Italia (che nasce ufficialmente nel 2003) e soprattutto trova i finanziatori e gli

sponsor per farla funzionare a dovere.

Della fondazione, Alemanno è il presidente, Panzironi il segretario generale e insieme a loro, tra i

consiglieri, ci sono anche Antonio Buonfiglio (mentore di Unirelab) e Ranieri Mamalchi. Panzironi, intanto, è

già commissario straordinario Unire dal 16 settembre 2002; nel 2003 si aumenta lo stipendio (con effetto

retroattivo), affittando un immenso palazzo sulla via Cristoforo Colombo per trasferirci la sede (canone

annuo: 1,5 milioni), assumendo personale senza concorso, distribuendo centinaia di migliaia di euro in

consulenze esterne (molte delle quali affidate a persone del giro Alleanza nazionale).

Azioni che attirano a più riprese l’attenzione della Corte dei Conti e, nel 2007, anche quella del Gup del

Tribunale di Roma Claudio Mattioli che lo rinvia a giudizio per abuso d’ufficio e falso ideologico.

In seguito sarà assolto e in appello finirà in un nulla di fatto, per vizi procedurali, anche una sentenza

avversa della Corte dei Conti che metteva in dubbio la legittimità di un ricco contratto stipulato da Stefano

Andriani e successivamente avallato da Panzironi. A maggio 2006 Alemanno lascia il ministero e il suo

successore, Paolo De Castro, altra sponda politica, comincia a fare le pulci all’Unire che ormai ha

accumulato un rosso di decine di milioni di euro e che viene per questo sottoposto nuovamente alla

gestione controllata.

Il neocommisario avvia subito la procedura di rimozione di Panzironi, segnalando che il bilancio dell’ente è

disastrato, che molte scelte prese dalla dirigenza sono censurabili, che il contratto di assunzione del

segretario generale prevede espressamente la revoca dell’incarico in caso dell’accertamento di “gravi

responsabilità e per i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione”.

In pratica è una lettera di licenziamento che Panzironi evita dando le dimissioni il 2 aprile 2007. Mossa

astuta che, come ricorda la Gazzetta dello Sport, “gli dà diritto, per legge, a fronte del ricco contratto in

essere fino al 2008, a una buonuscita da 7 a 10 mensilità, ovvero dai 210 ai 300 mila euro”.

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Negli ultimi mesi del 2010 scoppia il caso “parentopoli”; l'indagine dei p.m. romani vede indagati 7 tra

dirigenti ed ex dirigenti dell'Ama (Azienda municipale ambiente) che si occupa della nettezza urbana a

Roma.

Il Procuratore aggiunto, Alberto Caperna, e il sostituto procuratore, Corrado Fasanelli, hanno puntato

l'indice contro l'ex amministratore delegato Franco Panzironi e altri dirigenti dell'azienda per 841 assunzioni

sospette, divise in due tranche, una da 41( le più importanti) e l'altra da 800.

Gli altri indagati sono: Sergio Bruno, presidente del Consorzio Elis, Luciano Cedrone, responsabile del

personale, Gianfrancesco Regard, ex responsabile legale di Ama, Ivano Spadoni, dirigente Ama e i

consulenti Bruno Frigerio e Giovanni D’Onofrio. I sette indagati sono accusati, a seconda delle diverse

posizioni, di abuso d’ufficio, falso e violazione della legge Biagi.

Nelle 41 assunzioni della prima tranche a persone prive di requisiti e avvenute a chiamata diretta nel

periodo del 20 ottobre 2008, 24 ore prima dell'entrata in vigore della legge Brunetta, per sfuggire al divieto

di assumere a chiamata diretta ci sono molti collegamenti con esponenti politici. Tra le assunzioni spicca il

nome della figlia del capo scorta del sindaco di Roma, Alemanno, Ilaria Marinelli.

Inoltre ci sono Graziella Salvatori, Emanuele Arcese, Gerardo Mottola e Antonello Potenziani su cui c'è il

nome di Gianfranco Zambelli. Panzironi ammette: “Riconosco come mia la grafia apposta a mano con nome

Zambelli, si tratta di un consigliere del Pd”. Stessa formula per confermare che è stato il deputato del Pdl

Fabio Rampelli a segnalare un altro candidato, Francesco Gasperoni. Con altri aspiranti impiegati, invece,

Panzironi ha avuto un filo diretto: la sua ex segretaria Gloria Rojo;Valentina De Angelis, già nella segreteria

del sindaco; Edoardo Mamalchi, con il padre dirigente Acea; Silvia Pietropaoli, rampolla di un consigliere di

Multiservizi. Stefano Andrini, per esempio, con un passato nell'estrema destra, risulta assunto come quadro

a 90 mila euro all'anno dopo una collaborazione al dipartimento esteri di Alleanza nazionale e «studi e

incontri per la Fast ferrovie per l'interoperabilità del trasporto ferroviario”. Proprio riguardo a quest'ultimo

(condannato per tentato omicidio nei confronti di due militanti di sinistra nel 1991) e a Mericone, Bettidi

(Antonio candidato municipale del Pdl e poi distaccato nello staff del Campidoglio), Gallo e Magrone;

Panzironi afferma che gli sono stati segnalati in ambito comunale non ricordando esattamente da chi. Da

chi gli è stato segnalato l‘architetto Gianluca Brozzi, 46 anni, cugino di primo grado di Isabella Rauti,

consigliere regionale a moglie del sindaco Alemanno.

La seconda tranche di assunzioni è quella realizzata dalla municipalizzata attraverso il Consorzio Elis,

consorzio dell’Opus Dei, che non avrebbe potuto procedere alla selezione del personale perché non

sarebbe stata iscritta nell' albo previsto dalla legge Biagi. In secondo luogo, gli aspiranti dipendenti

avrebbero sostenuto solo "colloqui confermativi", come dimostrerebbero le carte in possesso della

procura. In questo caso, nel mancato rispetto della legge, sarebbero stati assunte altre 800 persone tra

autisti, operatori ecologici e interrogatori. Panzironi all’Ama percepiva circa 545.287 euro l’anno, 380mila

euro come a.d. Ama e 165.187 euro come presidente della Roma Multiservizi srl. Ma la storia di Panzironi

sembra non avere fine, il 18 ottobre 2012 il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza effettua

alcune perquisizioni e acquisizioni di documenti nelle sedi della società Roma Multiservizi srl e nella sede

dell'Azienda municipalizzata per l'ambiente della capitale, Ama. L'accusa, mossa dal pm Paolo Ielo, è di

favoreggiamento ad una società per farle vincere un appalto dal valore complessivo di 14 milioni di euro

per i servizi e il noleggio di materiale e vestiario dell'azienda municipalizzata capitolina; illegalità contestata

nel 2010 e appalto che sarebbe dovuto durare per 48 mesi. Oltre a Panzironi ci sono altri tre indagati: gli

imprenditori Piero Grossi, Fabrizio D'Antino e Luciano Nardi Schultze, tutti accusati di aver usato "mezzi

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fraudolenti costituiti da un preventivo accordo ed in questo modo avrebbero turbato la gara,

predeterminando così caratteristiche e tempi di fornitura tali da impedire ad altri concorrenti di presentare

offerte concorrenziali". Le perquisizioni si sono svolte presso case, uffici e aziende degli indagati, nella sede

della So.Ge.Si di Perugia, alla Alfredo Grassi spa a Varese, alla Alsco Italia, all'Ati, ovvero la società che ha

vinto la gara, all'Ama e a Roma Multiservizi.

Alla gara d'appalto hanno partecipato svariate aziende provenienti da tutta Italia; Panzironi, secondo

l'ipotesi di reato, ha favorito due aziende, la Alsco Italia della provincia di Lodi e la Alfredo Grossi Spa della

provincia di Varese. Le eventuali irregolarità sono state denunciate alla procura di Roma dalle altre aziende

partecipanti, che poi sono state escluse dall’accusa, le quali sostengono che ci sia stato qualcosa di strano.

Le aziende che hanno vinto l'appalto hanno infatti presentato un'offerta molto più alta rispetto alle altre

partecipanti.

Le assunzioni in Ama fanno parte di un intero sistema, quello Alemanno, che allarga il proprio raggio

d’azione a dismisura; il Campidoglio ha continuato a dettare le proprie linee guida sulle modalità di

gestione degli affari romani.

Un altro protagonista del “sistema Alemanno” è l’uomo che il sindaco ha voluto alla guida di Eur s.p.a.

Società controllata dal Campidoglio e dal ministero dell’Economia che ha nel suo portafoglio immobili per

centinaia di milioni; e rimasto incastrato nella vicenda delle tangenti della Breda-Menarini bus, Riccardo

Mancini. Mancini e Panzironi, ovviamente, si conoscono bene. A novembre 2009, il capo dell’Eur Spa ha

assunto Dario, il figlio di Franco, già portaborse al Comune e poi funzionario con contratto a tempo

indeterminato. Ma Panzironi non si ferma mai, e dopo le assunzioni arrivano le consulenze. Si va dalla

“necessità di effettuare uno studio per l'individuazione di aree e siti idonei all'installazione di impianti di

termovalorizzazione e discariche”, a “necessità di un supporto tecnico per ottimizzare le risorse (medici

competenti) per prevenzione e tutela della salute dei lavoratori”. A questa voce, nonostante le grandi

difficoltà economiche tra la seconda metà del 2008 e il 2010, l’AMA spende milioni di euro.

Un processo per Manlio Cerroni

Di fronte all’ottava sezione monocratica del Tribunale di Roma si sta svolgendo un processo contro

l’avvocato Manlio Cerroni. Il verdetto dovrebbe arrivare per la prima decade di luglio. È la prima volta che

Cerroni deve affrontare l’aula giudiziaria in prima persona per questioni inerenti gli impianti di Malagrotta.

In passato altri procedimenti avevano coinvolto i suoi collaboratori. Stavolta Cerroni, che ha 86 anni di età,

è accusato dalla Procura di Roma, pm Simona Maisto e Alberto Galanti, di aver fornito dati non veritieri sul

gassificatore che ha allestito nell’area di Malagrotta, a ridosso della strada che attraversa la valle Galeria e

del corso d’acqua omonimo, uno dei più inquinati d’Italia proprio a causa della discarica e di altre

compresenze industriali della zona. I dati sono quelli del serbatoio per l’ossigeno, tarato per 228 tonnellate

(la soglia di pericolosità scatta da quota 200 tonnellate). “Dando dati non veritieri, sotto le 200 tonnellate,

speravano che nessuno se ne accorgesse”, ha ricordato il pm Galanti. Rilevanti le implicazioni aggravanti di

queste comunicazioni falsificate. La prima è stata quella di evitare la cosiddetta normativa Seveso, che

riguarda i siti a rischio di grave incidente . In particolare, se fossero stati comunicati dati corretti, il Comune

di Roma avrebbe dovuto avviare uno studio sui pericoli riguardanti l’area più vasta che nel caso Malagrotta

riguarda tutta l’area industriale di Roma Nord e insediamenti abitativi a partire da quello della Borgata

Massimina che è a ridosso della mega-discarica. I dati non corretti sono stati forniti tra l’altro a tutte le

autorità coinvolte, a partire dai Vigili del fuoco incaricati di sorvegliare sulla possibilità di esplosioni di gas.

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Nel processo che è in corso da oltre due anni sono parti offese il ministero dell’Ambiente e alcune

associazioni di residenti, difese da Francesca Romana Fragale, a partire dal Comitato Malagrotta.

6.

Sicurezza e legalità

La sicurezza cavallo di battaglia di Alemanno

Il quadro politico del Paese, come è a tutti evidente, è profondamente mutato dal Novembre dello scorso

anno, quando il Governo a guida Lega – Pdl è crollato sulle proprie contraddizioni interne e sulla manifesta

incapacità di governare l’Italia al tempo della crisi economica. In seguito alla caduta del Governo Berlusconi

ed all’insediamento di Monti a Palazzo Chigi, non solo si è verificata la spaccatura tra le ex forze di

maggioranza parlamentare, tenute insieme fino a quel momento soltanto dal potere economico di

Berlusconi, ma si è consumata una spaccatura tendenzialmente irreversibile tra alcune fazioni del Pdl e

singoli esponenti del Partito. A Roma, il sindaco uscente Alemanno ha annunciato, già da alcuni mesi, la

propria ricandidatura nonostante il veto inizialmente posto dai pasdaran del regime berlusconiano e dal

capo in persona. La maggioranza di destra in Campidoglio, dal 2008 ad oggi, non solo si è contraddistinta

per una gestione personalistica della città e per un accentuata tendenza all’affarismo ed al clientelismo, ma

ha dato prova di grande incapacità nella gestione delle emergenze e di quelle che, il suo stesso leader ama

definire “politiche della sicurezza e dell’ordine pubblico”.

La campagna elettorale di Alemanno nel 2008 si fondò, tra gli altri, sul pilastro della “sicurezza”, brandita

come elemento demagogico di rassicurazione della diffusa incertezza sociale, presente in particolar modo

nei quartieri periferici della Capitale. Ciò che Alemanno fece fu riprodurre il modello nazionale del Governo

Berlusconi, fondato sull’eccitamento delle paure collettive nei confronti dei migranti e focalizzato sul rifiuto

delle politiche sociali e di integrazione. Anzi si potrebbe dire che il “modello – Roma” abbia fatto da scuola a

quel diffuso morbo della xenofobia che si è radicato nel Pese, ma ancor più nelle fasce disagiate, nei

quartieri periferici e negli strati popolari. Il sistema adottato dal Sindaco di Roma è consistito nel diffondere

tra la popolazione un vero e proprio terrore verso i rom, i cittadini comunitari provenienti dai paesi dell’Est

europeo, e tutti quei cittadini extracomunitari che vivono e lavorano nella Capitale. Non sembra un caso,

infatti, che le aggressioni di stampo razzista siano state frequenti in città, e che siano avvenute, per lo più,

in contesti estremamente popolari, se non quando nelle ultraperiferie romane. Così come non appare del

tutto casuale che, ai fini del successo elettorale, per Alemanno, siano stati determinanti i consensi ottenuti

in quegli stessi quartieri dove più hanno fatto presa le sue vane promesse in tema di sicurezza dei cittadini e

tutela dei loro spazi di vita sociale. L’intera esperienza amministrativa della maggioranza di destra, a ben

guardare, in prossimità delle elezioni comunali del 2013, è caratterizzata dalla manifesta incapacità di

governare una città complessa, ricca di fenomeni sociali e di culture alternative, quale è Roma. Tuttavia la

questione sicurezza e gestione dell’ordine pubblico segna un clamoroso fallimento di Alemanno e mostra

come, non solo abbia disatteso tutte le promesse elettorali che ne hanno sancito la vittoria, ma lascia Roma

in uno stato peggiore rispetto all’inizio del suo mandato. Altra questione particolarmente controversa, e

non sganciata dalle questioni della sicurezza è la piena ed incontrastata libertà di cui godono i gruppi

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neofascisti operante sul territorio urbano. Roma è una città costellata da sedi occupate da parte di varie

sigle fasciste e neonaziste che si richiamano, più o meno tutte, alle pratiche dei centri sociali di estrema

destra. Il fenomeno del radicamento fascista – sarà forse perché, come ogni altro fenomeno di matrice

socio-politica, nella Capitale d’Italia anch’esso trova una naturale amplificazione - è particolarmente

preoccupante, e le aggressioni da parte delle nuove leve del Littorio rappresentano un autentico bollettino

di guerra quotidiano. Tra aggressioni omofobe, xenofobe ed anticomuniste, la violenza in città è dilagante e

non governata. Più che ingovernabile appare verosimile parlare di una certa abulia del Campidoglio nel

combattere il fenomeno delle violenze fasciste, che sembrano anzi surrettiziamente avallate dalla più antica

e subdola forma di consenso non manifesto: l’assordante silenzio-assenso delle istituzioni comunali a fronte

di gravissimi fatti di sangue perpetrati ad opera di fascisti in erba ai danni di giovani e giovanissimi, spesso

aggrediti solo perché diffondono volantini o preparano striscioni in occasione dei cortei studenteschi o nelle

scuole. Tra i fatti più recenti e particolarmente efferati, si può ricordare l’aggressione al Liceo Classico

Tasso, avvenuta prima dell’estate 2012, nonché il recentissimo episodio, risalente al mese di Settembre,

dell’aggressione di chiaro stampo fascista avvenuta a Parco “Aguzzano”, in territorio del IV Municipio, ad

opera di una ventina di teste rasate. Si ricorda soltanto che il commento dell’Anpi, a seguito di questa

ulteriore vile aggressione, fu testualmente: “Aggrediti 200 manifestanti, Alemanno protegge gli aggressori”.

Per tutte queste ragioni Gianni Alemanno rappresenta un problema politico serio per la Città di Roma ed in

questi anni ne ha fornito ampia dimostrazione con la sua nefasta presenza sullo scranno più alto del

Campidoglio.

La ricetta “mando l’esercito”

Questa è la storia di un fallimento politico ed amministrativo, il fallimento in tema di politiche della

sicurezza del Sindaco uscente Gianni Alemanno. Il primo cittadino di Roma ci ha abituati alla proclamazione

del pugno di ferro in materia di sicurezza e legalità, a tal punto che un noto comico romano ha caricaturato

la tendenza militarista del “ras” del Campidoglio. Il Sindaco di Roma ha fondato la propria campagna

elettorale amministrativa sulla diffusione di timori irrazionali, facendo leva sulle paure diffuse, soprattutto

tra gli strati sociali più vulnerabili, ed autorappresentandosi come un punto di riferimento per la disciplina e

la sicurezza nei quartieri. La facile demagogia basata sull’instaurazione di un sentimento sociale di timore,

ha dunque consentito ad Alemanno di vincere le elezioni, grazie anche ad una particolare abilità nel

fomentare quell’odioso fenomeno costituito dalla guerra tra poveri. Dalle emergenze metereologiche, sia

state esse piogge copiose o neve, dallo spaccio di droga, alle aggressioni a cittadini extracomunitari, fino

agli omicidi di mafia, alcuni dei quali avvenuti anche in zone centrali della Capitale, l’amministrazione

comunale ha dimostrato tutta la propria incapacità nell’amministrare una città complessa e multiforme

come Roma. Non solo dall’azione amministrativa di Alemanno si è evinto il completo fallimento delle

politiche “securitarie” che pure noi, da sinistra, contestavamo, ma si è reso evidente come nessuna delle

promesse preelettorali sia stata realizzata da Alemanno in questi anni.

Il fallimento delle politiche della sicurezza è talmente grave che se non fosse tragico, si presterebbe

perfettamente al ridicolo. E proprio traendo spunto da questa naturale vena comica del nostro Sindaco, un

comico “vero”, di professione, ha colto con grande lucidità il tratto caratterizzante la politica di Alemanno,

una politica dalla quale si desume un’idea di stampo militarista (saranno le vecchie camicie di colore nero

conservate in qualche baule?), l’idea del “chiamo l’esercito”. Ed in effetti, fuor di boutade, la sinistra della

città di Roma ha sempre contestato apertamente l’idea che i problemi di disagio sociale debbano essere

inquadrati come questioni di ordine pubblico, tuttavia, da quest’orecchio, l’amministrazione romana di

destra, proprio non vuol sentirci. Al di là dell’inammissibilità politica di quell’idea (forse retaggio, ancora

una volta del “ventennio”) che una città poliedrica, ricca di cultura, di differenze religiose e di usi, costumi

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quale è la nostra Capitale possa amministrarsi pensando di “chiamare l’esercito”, è da dire che nessuna

delle prerogative dell’azione amministrativa promessa sia stata realizzata. Come dire, ciò che promise

Alemanno in campagna elettorale ci vide profondamente alternativi, avendo noi, come sinistra, ben altra

idea della gestione della sicurezza in una metropoli, e tuttavia, nemmeno è stato in grado di realizzare le

pericolose scempiaggini oggetto delle proprie promesse. Sorge perfino il dubbio che quel “chiamo

l’esercito”, fosse in realtà da intendersi come un esercito di parenti, zii, cugini, fratelli e fidanzate chiamati

in Campidoglio ed in altre aziende municipalizzate sotto il controllo amministrativo di Roma Capitale.

Qualche dato sul fallimento

Per comprendere, grazie all’ausilio di qualche dato, quale e quanto grave sia la situazione della pubblica

sicurezza a Roma, è sufficiente osservare qualche dato che, non la Pravda o qualche altro “pericoloso”

giornale bolscevico ha fornito, bensì il Sole 24 Ore, il giornale della Confindustria, riportando alcune

dichiarazioni e dati fornita a, a sua volta, da un altro organo “notoriamente” di sinistra quale è

l’associazione nazionale delle Forze di Polizia. I poliziotti denunciano che in riva al Tevere, nell’anno 2010, si

è verificato un surplus di reati rispetto agli anni precedenti di circa l’8%, e che grazie a questo

accrescimento delle azioni delittuose consumatesi entro le mura dell’Urbe, alla Capitale spetta la “maglia

nera”, tra le città italiane, per numero di reati commessi. Roma si caratterizza per il numero elevato di

conflitti a fuoco per le strade, le rapine, le aggressioni e le violenze sessuali. Ad appena un anno fa risale,

invece, il rapporto 2011 del Prefetto Pecoraro, il quale, non solo conferma la presenza di potenti cosche

mafiose oramai perfettamente integratesi nel tessuto produttivo della città, ma denuncia come questa

presenza mafiosa produca una immensa economia sotterranea. A Roma si spara, si spara molto. Si spara

soprattutto per la conquista del potere, potremmo dire – con linguaggio politologico – della leadership. Si

tratta della conquista dello sconfinato West, e come in ogni conquista che si rispetti, le sparatorie sono

all’ordine del giorni, con la differenza che a compierle non è qualche romantico bandito a cavallo, bensì

potenti uomini d’affari, broker di borsa, consociazioni con presunte finalità religiose, logge massoniche. Si

ma questi sono gli uomini di “paglia” o le “teste di legno”, che nel linguaggio mafioso indicano le facce

pulite, i colletti bianchi inseriti in maniera virale e capillare in ogni ambito della Pubblica Amministrazione e

delle professioni private. Dietro le “teste di legno” si nasconde la ‘ndrangheta calabrese, la camorra dei

Casalesi e, in quale misura ben più ridotta il locale Clan dei Casamonica e qualche “banda della Magliana”

dei giorni nostri. Ma il grosso degli affari lo fanno loro: i calabresi ed i casalesi. L’imprenditoria mafiosa

detiene bar, locali notturni, club privè, discoteche, intere catene di ristoranti ed Hotel di lusso in pieno

centro. Ma il punto è che Roma non è come Milano o Genova o Venezia, importanti città italiane dove

ormai la ‘ndrangheta ha acquisito la sovranità sul territorio.

A Roma c’è il Parlamento, ci sono le massime istituzioni politiche del Paese. È qui che la mafia incontra la

politica, è nei ristoranti di Trastevere che si stringono accordi, si fanno promesse, si raccomanda il voto di

scambio, e si stringono collusioni, dei veri e propri contratti fondati sulle cointeressenze politico-mafiose. La

quantità di potere gestito dalla politica a Roma, nell’incontro con l’immenso potere economico delle cosche

mafiose, fanno della Capitale un campione alquanto originale, se non unico, nel trasversalismo affaristico e

nella conclusione di accordi che mirano a rafforzare tanto la posizione di peso politico del singolo

rappresentate istituzionale, quanto la garanzia che nessuno metta le mani sugli affari delle mafie e delle

ecomafie. Quello che noi vorremmo sapere dal Primo cittadino di Roma, rivolgendo la stessa domanda a

tutti quegli elettori, non necessariamente di centro-destra, che alle scorse elezioni avevano creduto nelle

promesse loro indirizzate, cosa ha fatto il Sindaco Alemanno per combattere, sebbene ai livelli di sua

competenza, l’avanzata delle mafie in città? Perché si preoccupa di “chiamare esercito” per spalare 20 cm

di neve e non si è mai sentito il dovere, da rappresentante di tutti i romani, di “chiamare l’esercito” quando

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in pieno giorno, alle 9.30 del mattino, veniva assassinato Flavio Simmi al Quartiere Prati, o quando si spara

contro una bambina a Tor Bella Monaca, perché colpevole di essere la figlia di un pregiudicato rivale in

affari? Anche le opposizioni in Campidoglio hanno spesso criticato la cattiva gestione amministrativa delle

politiche in tema di sicurezza, ma, per tutta risposta, Alemanno ha più volte dichiarato che esistono nuove

sfide da fronteggiare sulla sicurezza. Tradotto “dall’alemannese” alla lingua italiana significa che il problema

della sicurezza, come sempre, è rappresentato dai rom, dai cittadini extracomunitari, e da ogni sacca di

povertà che, in virtù del proprio disagio sociale, genera preoccupazione ed allarme relativamente al

pericolo che essa costituisce per la tranquillità dei cittadini. Di questo passo è probabile che, in occasione

della prossima campagna elettorale, il Sindaco Alemanno venga perfino a dirci che, parte della grave

situazione di violenza in città, dipende dalle comunità gay, lesbiche e trans di Roma, che vengono

costantemente aggredite. Qualora evitassero di farsi vedere per strada, di camminare mano nella mano, o

di scambiare qualche effusione, probabilmente contribuirebbero alla riduzione delle aggressioni di stampo

omofobo. La responsabilità delle aggressioni razziali ed omofobe non è ascrivibile a chi le compie -leggasi

Casa Pound Italia ed altre numerose sigle neofasciste, purtroppo largamente presenti sul territorio romano

– bensì alle vittime che le subiscono. Eppure il Sindaco non resta con le mani in mano, annuncia verifiche,

verifiche, ed ancora verifiche, e nel frattempo non trova di meglio da fare se non conferire alle opposizioni,

definite “bassa e solita sinistra”, la responsabilità di quanto avviene in città (sic!). E mentre dal Campidoglio

verificano, la questione sicurezza di Roma Capitale assume dimensioni sempre più allarmanti con

l’emergere di fenomeni mafiosi e di criminalità comune in fortissimo aumento. A riprova di ciò, sempre il

Sole 24 definisce il 2011 l’anno “nero” per i romani, nel quale cioè la Città ha subito una drastica crescita

dei fatti di sangue, con sparatorie in pieno giorno, alcuni morti e numerose vittime di ferimenti da arma da

fuoco e da armi bianche. Inoltre nella mappa dei reati, la Capitale spicca nei furti d’auto, 491 ogni 100mila

abitanti - come dire una macchina rubata ogni 200 abitanti - e perfino negli scippi. Il dato dei furti nelle

abitazioni è ancora più grave, se si pensa che l’aumento è stato del 12% a livello nazionale, ma del 26% a

Roma, ovvero più del doppio della media nazionale. Per dirla in termini di politiche della sicurezza, Roma è

una città in cui la probabilità di subire il furto dell’auto, l’intrusione nel proprio appartamento ed il

borseggio, mediamente è alta più del doppio che nelle altre città italiane. In tema di borseggi, rapine scippi

– sempre il giornale della Confindustria – diffonde i seguenti dati: nel 2011 il triste record di borseggi è da

quantificare in più 27% rispetto all’anno precedente, mentre rapine e scippi crescono “solo” del 20%. Ma al

di là dei dati, tornando alla lucida analisi del Prefetto Giuseppe Pecoraro, sembra interessante analizzare un

fenomeno che, per sua natura, rimane quasi sempre coperto, ma che della cui massiva esistenza a Roma si

hanno conferme quotidiane: il fenomeno del riciclaggio. Il Prefetto, nel corso di una sua relazione sulle

operazioni di polizia in tema di antimafia, parla di fiumi di denaro sporco che vengono convogliati

nell’economia legale e di reti di professionisti e amministratori che contribuiscono a comporre quella che è

appropriato definire una vera e propria forma di imprenditoria, capace di “cogliere nuove opportunità e di

intervenire con proprie imprese nelle relazioni economiche”. Inoltre, lo stesso Pecoraro, nella relazione

consegnata a Deputati e Senatori, sostiene: sembra emergere un’imprenditorialità mafiosa costituita da

gruppi di imprenditori, professionisti ed altre figure che, in cambio di favori o di altre utilità curano gli

interessi delle cosche”.

La mafia a Roma

Questa valutazione sembra sufficientemente eloquente al fine di comprendere quanto sia ramificata,

complessa e potente la presenza delle cosche mafiose sul territorio. Sebbene oramai non possa nemmeno

più parlarsi di semplice presenza, trattandosi di un vero e proprio radicamento sociale, economico, nonché

culturale. Culturale si, perché è proprio la cultura mafiosa, particolarmente diffusa all’interno di un certo

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parterre imprenditoriale, che consente alle mafie la messa a punto, e la successiva realizzazione, di un

sistema estremamente sofisticato per il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite.

Particolarmente penetrante ed “efficace” sembra, in questo settore, la capacità delle cosche della

‘ndrangheta di lavare i soldi sporchi investendoli in locali pubblici ed Hotel, come dimostra il noto caso del

“Cafè de Paris”, storico Caffè di via Veneto il cui titolare – prestanome è risultato essere un calabrese vicino

alla ‘ndrangheta. Questo quadro riassuntivo non sarebbe completo senza alcune “perle” prese dalla

relazione che il presidente della Corte d’Appello di Roma, Giorgio Santacroce, ha presentato in occasione

dell’apertura dell’Anno giudiziario alla fine di gennaio 2013. Corruzione, peculato, corruzione,

malversazione ai danni dello Stato, concussione, abuso d’ufficio, omissioni d’atti d’ufficio e rivelazioni di

segreti d’ufficio e, per finire, illecito finanziamento ai partiti, sono tutti reati che dilagano. Mentre la politica

si sciacqua la bocca con la sicurezza fa finta di non vedere che in “casa propria” c’è ben altro che un

problema di sicurezza. Non è certo in chiave antipolitica che vogliamo sottolinea questo dato. Il punto è che

in un contesto in cui evidentemente il ceto politico si pone al centro dei flussi di criminalità organizzata non

si può girare la testa dall’altra parte e attribuire ad altri responsabilità e colpe che altrimenti vanno cercate

in “casa propria”. Questo è tanto più vero quando si pone l’attenzione sul grado di penetrazione della

criminalità organizzata di stampo mafioso. Un allarme condiviso anche dal procuratore generale presso la

Corte d’Appello di Roma, Luigi Ciampoli: “La Capitale, sede del potere politico ed economico, suggerisce la

possibilità di solidi insediamenti e lauti guadagni”.

Roma, quinta città più pericolosa d’Italia

Dai dati che emergono, in seguito alla ricerca statistica di cui si è dato conto, Roma risulta quindi essere la

5° città più pericolosa d’Italia e, certamente, risulta incomprensibile come Alemanno possa rivendicare il

proprio operato a fronte di un fallimento tanto evidente. Le politiche della sicurezze rappresentavano il

cavallo di battaglia della Giunta del Pdl, ma sembra che adesso il “generale” sia caduto da cavallo e le sue

truppe battano in ritirata. Chiunque ha memoria dell’insediamento in Campidoglio dell’allora neosindaco

Alemanno, ricorda come ricorressero le parole “tolleranza zero”. Proprio la politica dell’intolleranza contro i

fenomeni che destano insicurezza sociale ha determinato un numero di denunce per la commissione di

reati impressionante. Nel 2011 a Roma si contano 6138 denunce ogni 100mila abitanti, che sembrano non

corrispondere alle speculazioni “securitarie”, anche su determinati fatti di cronaca, che consentirono

all’Alemanno – pensiero del 2008 di spuntarla, raccogliendo quei voti dei quartieri periferici, espressi da

cittadini prima solo abbandonati, ed ora, a quasi 5 anni di distanza, illusi e ingannati. Così come è da

ricordare che nel novembre 2007 il Sindaco uscente improvvisava un comizio sulla morte di Giovanna

Reggiani, violentata e uccisa nei pressi della stazione ferroviaria di Tor di Quinto: allora la tolleranza zero

non solo rappresentava una promessa, bensì una garanzia che ha consentito ad Alemanno di aggiudicarsi i

voti decisivi alla propria elezione sullo scranno più alto del Campidoglio. Così come potremmo ricordare gli

investimenti e gli interventi per la sicurezza che il Sindaco ha promesso a più riprese ai comitati di quartiere

di Tor Bella Monaca. Promesse, evidentemente disattese, perché, o l’esercito si chiama per sgombrare il

campo Rom della Magliana o per sorvegliare che mafiosi in armi non sparino e che squadriglie di neofascisti

non pestino a sangue il primo cingalese che incontrano. Altra leggenda tutta romana è l’istituzione,

anch’essa promessa, di comitati per l’ordine e la sicurezza di Municipio, naturalmente naufragati ancor

prima di compiere un giorno di attività.

Perché Alemanno non è l’uomo giusto

Il Sindaco uscente continua a dichiarare che “Roma è una città aperta ed accogliente”, ma non sa o finge di

non sapere che la verità è ben altra. È sufficiente scorrere le cronache di questi ultimi anni per avvedersi

che la Capitale non è né aperta, né tantomeno accogliente, ma al contrario è scenario di una Far West

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mafioso fatto da agguati, ferimenti, sparatorie e radicalizzazione delle cosche nei quartieri. Ma non solo,

Roma è anche scenario di aggressioni quotidiane di stampo dichiaratamente fascista, omofobo e razzista.

Non v’è dubbio che in questi anni di legislatura, il Sindaco uscente non abbia fatto altro che difendere

interessi di casta e tollerare il diffondersi del clientelismo e del peggiore nepotismo all’interno delle aziende

municipalizzate e degli enti comunali. Ma il punto è, qualora Alemanno vincesse nuovamente le elezioni,

sarebbe l’uomo giusto per il governo della Capitale d’Italia, in un momento così delicato per l’economia, la

società e le sorti dell’intero Paese? La risposta è no! I motivi sono molteplici e si fondano, non su mere

opinioni politiche o ideologiche, ma su dati di fatto e su inchieste, sia giornalistiche sia legali, che offrono un

quadro chiarissimo, ma desolante, dell’incapacità di Alemanno di arginare i fenomeni di malcostume

direttamente attinenti al Comune di Roma. Non si vede, cioè, come, in un momento in cui dilaga un certo

populismo antipolitico, le cui ragioni non comunque sono del tutto infondate, si possa rispondere alle

critiche provenienti da movimenti e società civile, tramite la rielezione di un campione di scandali a sfondo

politico come Alemanno. Roma ha bisogno di un Governo serio, affidabile, limpido, che sappia tenere ben

ferma la barra sulla “questione morale”, e non può certo subire per un ulteriore quinquennio la

devastazione della credibilità delle proprie istituzioni, che sono state vilipese dal mercato delle vacche che

si è consumato nelle stanze e nelle commissioni del Campidoglio dal 2008 ad oggi. Alemanno non può più

fare il Sindaco di Roma, e non soltanto in ragione del suo passato a capo del Fronte della Gioventù, ma

anche in ragione della sua incapacità di governo cittadino e di una serie di inammissibili atti amministrativi

compiuti dalla sua Giunta. È noto come 12 milioni di euro siano stati devoluti dal Comune per l’acquisto

della sede di Casa Pound a Via Napoleone III, ed altri lotti di terreni pubblici, oltre a 2 casali alla Marcigliana

abbia avuto analoga destinazione. In una città dove la violenza neofascista dilaga, non si capisce perché

l’amministrazione comunale, non solo non si faccia promotrice di attività culturali antifasciste, ma, nel

dispregio per la Costituzione Repubblicana e per i valori della Resistenza, si presti a lanciare messaggi di

benevolenza a gruppi fascisti, tramite qualche concessione economica e qualche prebenda.

Il 6 Agosto 2012, “Linkiesta”, noto giornale online che si occupa di temi politici e sociali, pubblicava un

Dossier estremamente interessante ai fini della rappresentazione di un quadro esaustivo delle “cattive

compagnie” di Alemanno, a firma di Lidia Baratta e Carlo Manzo, il cui titolo era particolarmente eloquente:

“ Dalla Banda della Magliana ai Naziskin, ecco tutti gli uomini di Alemanno”. Il merito di questa inchiesta

consiste nell’aver portato a conoscenza dell’opinione pubblica i motivi per i quali, non solo le amicizie di

Alemanno sono poco raccomandabili, ma soprattutto la questione politica per cui, tali amicizie sono state

elevate al rango di collaborazioni istituzionali e consulenze per l’amministrazione di Roma Capitale.

L’apertura dell’articolo de “Linkiesta” cita testualmente: “diventato sindaco di Roma, non ha dimenticato

nessuno dei suoi vecchi amici camerati, neanche quelli condannati o finiti in galera per pestaggi o atti

terroristici durante gli anni di piombo. A loro il primo cittadino della capitale ha riservato cariche politiche,

consulenze e posti di tutto rispetto nelle società controllate dal Comune”. Il quadro è chiaro, tanto più se ci

si sofferma brevemente ad analizzare la storia personale e le vicende giudiziarie dei soggetti cui l’inchiesta

citata fa riferimento. Tra i personaggi più controversi, rientranti nella stretta cerchia degli “uomini di

Alemanno”, merita sicuramente di essere citato il caso di Francesco Bianco, assunto all’Atac e poi sospeso

dall’Azienda per insulti antisemiti su Facebook, ex militante del gruppo neofascista Nuclei Armati per la

Rivoluzione (Nar) ed oggi in quota forza nuova; ma ancora più clamorosa appare l’amicizia con Francesco

Morelli, Consigliere regionale del Pdl in Calabria, già finito sotto inchiesta anni addietro, ed oggi agli arresti

con l’accusa di corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione d’atti d’ufficio, fittizia

intestazione di beni. Resta un mistero il motivo per il quale Morelli, da Consigliere Regionale calabrese,

abbia ottenuto l’incarico da Consigliere di Amministrazione dell’Acea a Roma. In ultimo, ma non per

“importanza”, merita una citazione Maurizio Lattarulo, consulente esterno dell’assessorato alle Politiche

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Sociali, ex esponente dei Nar, poi – come ricordano i giornalisti de “Linkiesta” – affiliato alla Banda della

Magliana, con il soprannome di “Provolino”. Pare rivestisse addirittura l’alto grado di “braccio destro” di

Renatino De Pedis, il boss della banda della Magliana. A questo punto i motivi per i quali Gianni Alemanno

non sia l’uomo adatto a fare il Sindaco della Capitale d’Italia dovrebbero essere chiari a tutti, ma la

questione che più di ogni altra deve far riflettere è come 4 anni fa vinse le elezioni, sconfiggendo Rutelli (in

realtà una nota battuta che circola nei corridoi della politica recita testualmente: “se al posto di Rutelli ci

fosse stato Spongebob, Alemanno non avrebbe vinto”), al grido di “Roma non è una città sicura”. Ebbene i

risultati parlano con grande chiarezza di soli 4 anni siano stati sufficienti ad Alemanno per fare della

Capitale una delle città più violente e meno sicure d’Italia.

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7.

Servizi sociali

La macelleria sociale di Alemanno

Tagli per circa 22 milioni di euro ma i soldi non sono mancati per le “macchine” create ad hoc dalla giunta

capitolina nel suo disegno di “alemanizzazione” di Roma. L’inquilino del Campidoglio ha applicato da subito

anche al sociale il suo schema clientelare tagliando servizi storici e premiando le sue giovani creature.

Il grido d’allarme arriva forte e chiaro dal Roma Social Pride1, la rete di persone, enti ed istituzioni dedite al

volontariato, alla cooperazione sociale e all’associazionismo, che a settembre 2012 ha reso pubblico un

dossier denunciando la macelleria sociale messa in atto dalla giunta capitolina.

Tagli indiscriminati

Sul Terzo Settore pesa anche il taglio sul bilancio generale destinato ai Municipi per un importo di circa 11

milioni di euro, misura destinata ad incidere significativamente sui servizi resi alla persona. Dove si taglia?

In primis nei servizi agli immigrati con una differenza rispetto all’anno precedente di 2milioni e 100mila

euro circa. Altro settore fortemente colpito e quello del disagio sociale con un meno 17milioni di euro e 800

mila euro. Per i servizi sociali destinati alle popolazioni romane, se da un lato gli stanziamenti scendono da

7milioni e 100mila euro a 5milioni e 600mila euro (- 1.645.129) aumentano invece i costi per gli interventi

di vigilanza dei campi nomadi. Ciò mediante – dice il Roma Social Pride – un contratto di servizio con

Risorse per Roma di 3milioni e 700mila euro che si aggiungono agli oltre 403mila già stanziati. Cala di un

milione e 700mila euro anche la voce per la gestione delle Residenze Sanitarie Assistite e quella di

riabilitazione. Altra pesante sforbiciata si registra per gli altri interventi di assistenza agli anziani con un calo

di 2milioni e 900mila euro. Il Roma Social Pride denuncia inoltre la scomparsa del piano di aiuti ai giovani.

15 milioni di euro svaniti. Altro pesante appunto riguarda il ruolo della Fondazione Roma Solidale (nata – si

legge nel sito - nel 2011 sulla base dell’esperienza della Fondazione Handicap Dopodinoi Onlus, fondata da

Roma Capitale e BNL Bnp Paris Paribas nel 2005) per la gestione della quale si spendono 800mila euro, un

“duplicato” – sottolinea il Roma Social Pride “inutile, del dipartimento all’interno”, organismo peraltro già

dispendioso a causa di migliaia di euro di consulenze.

Un altro campanello d’allarme arriva dall’aumento delle spese per l’emergenza abitativa nei residence

lievitata dagli 8,8 milioni di euro ad una previsione di bilancio 2013 di 13,1 milioni di euro. Chi ci guadagna?

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Dito puntato inoltre sul ricorso al volontariato di ispirazione cattolica che si concretizza anche nei 60mila

euro spesi per la festa degli oratori durata un solo giorno. Il Roma Social Pride ha chiesto così a più riprese

l’abolizione della Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze (che – si legge sul sito - opera secondo le

linee guida definite dall’Assessore De Palo) e della Fondazione Roma Solidale.

Si denuncia inoltre che Alemanno ha beneficiato gli oratori, chiuso servizi essenziali storici come il “Pronto

Aiuto” (Fondazione Villa Maraini), la Comunità Nord Est (Parsec), il servizio Replan e il Centro Diurno

Massimina, chiusi anche dieci progetti per l’inserimento lavorativo degli ex tossicodipendenti. Strangolate

infine associazioni e cooperative dedite in particolare ai giovani. Il tutto con procedure definibili clientelari e

mediante il ricorso ad affidamenti diretti. Alemanno poi oltre che servirsi dell’Agenzia Comunale per le

Tossicodipendenze e della Fondazione Roma Solidale e della Croce Rossa come proprio strumenti di

gestione “diretta”, ha svilito il Terzo Settore capitolino accreditando strutture create ad hoc, alcune delle

quale, ha denunciato il Roma Social Pride, “non hanno esperienze specifiche di intervento sociale”. Anche

nel sociale – dice il Roma Social Pride – si è affermata una nuova cordata di interessi personali, una nuova

parentopoli, una “occupazione del sociale”, che oltretutto non riconosce dignità al lavoro sociale.

Duplicazioni mangiarisorse

Anche in piena campagna elettorale Alemanno e i suoi proseguono nello smantellamento dei servizi.

“Alemanno, il suo vice e l’assessore Belviso, hanno emanato un bando per creare, con la spesa di 2,2 milioni

di euro un ‘Polo cittadino di informazione e sostegno per gli anziani, i disabili, le neomamme e le loro

famiglie. Si tratta - denunciano il consigliere regionale di Rifondazione Comunista, Ivano Peduzzi e Roberto

Morea responsabile Welfare Prc Roma - in sostanza di un call-center e un portale web che dovrebbe

centralizzare i servizi informativi verso le categorie definite ‘fragili’. Si crea così – aggiungono i due

esponenti del Prc - un costoso ed inutile baraccone che duplicherà funzioni informative già svolte dai

Municipi e dalla rete dei servizi e inserirà un filtro tra l'utenza, gli assistenti sociali dei Municipi e gli altri

soggetti che già erogano prestazioni ma anche un doppio regime tra chi si rivolgerà al ‘polo cittadino’ e chi

al decentramento. Le risorse per tutto questo – commentano ancora - saranno sottratte proprio ai servizi,

in un periodo in cui i tagli ai loro bilanci sono già stati pesantissimi. A cosa servirà veramente questo

sportello e a chi sarà assegnato? Il nostro sospetto – hanno detto Peduzzi e Morea in appoggio anche alla

richiesta del Roma Social Pride di annullamento della delibera - è che si tratti di una operazione finalizzata

a creare un database di persone in difficoltà per realizzare iniziative clientelari in vista delle prossime

elezioni.

Homeless e tossicodipendenti sempre più abbandonati

Il 31 dicembre 2012 – denuncia ancora il Roma Social Pride - l’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze2

(ACT) ha deciso la chiusura di due servizi diurni e uno notturno a bassa soglia che accoglievano, da più di

dieci anni, persone tossicodipendenti senza fissa dimora. “In meno di un anno, con il nuovo Piano Cittadino,

l’ACT e la giunta Alemanno – dice il Roma Social Pride - hanno cancellato diritti ed opportunità per i nostri

cittadini più fragili. La città di Roma, dopo la “Cura Alemanno” passa da 6 Centri Diurni a bassa soglia e 3

Centri Notturni disseminati sul territorio della capitale ad 1 solo Centro Diurno ed 1 solo Notturno. Il Centro

(2) http://www.actroma.it/

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Diurno Scalo San Lorenzo, gestito dalla Parsec Cooperativa, e il Centro Diurno e Notturno Aldea, gestito

dall’Associazione La Tenda e dalla Cooperativa Il Cammino, dal 1 gennaio 2013 hanno dovuto cessare le

loro attività, rendendo ancora più poveri e disperati gli utenti assistiti e confermando ancora una volta, la

deriva ingiusta del governo della Capitale. “La chiusura di questi servizi, tra i pochi presidi ad oggi attivi di

riduzione del danno, potrebbe causare il riacuirsi di problematiche a danno dell’intera collettività in termini

di salute pubblica, di civile convivenza e di abbandono, malattia e solitudine per le persone accolte sino a

ieri ed oggi destinate a vivere sotto i ponti.

I numeri dei senza fissa dimora

In base a recenti dati Istat 3 “Milano e Roma accolgono ben il 71% della dei servizi per i senza fissa dimora.

Ben il 44% delle persone senza dimora, 7.827, utilizza servizi con sede a Roma o Milano: il 27,5% a Milano e

il 16,4% a Roma. A Roma le persone senza dimora che utilizzano i servizi di mensa sono il 66,2% di quelle

stimate a Roma. Il comune di Roma si caratterizza per una maggiore presenza di persone con dimora.

Asili Nido

Non poteva mancare in questa veloce panoramica la sottolineatura della situazione in un territorio

contiguo a quello dei servizi sociali, gli asili nido, che il sindaco di Roma ha in parte ristretto – tanto che solo

un bambino su due può accedervi - e in parte privatizzato. Secondo dati ufficiali di Roma Capitale, per

soddisfare tutta la domanda di posti negli asili nido è necessario un ampliamento dell’offerta di oltre il 61%

rispetto a quella garantita dalle attuali strutture pubbliche e private convenzionate. Una prateria

sterminata per chi intende realizzare profitti con poca spesa. E Alemanno ha caratterizzato tutta la sua

legislatura in questa direzione. Sommando il numero di nidi privati in convenzione o concessione con il

Comune e i nidi privati, si arriva ad avere un totale 450 strutture che accolgono 11.631 bambini. Un numero

che si accosta ai 12.030 bambini accolti nei nidi pubblici.

Su questo fronte c’è una battaglia in corso da parte delle educatrici, organizzate dal sindacato Usb, che

lanciano l’allarme sulla recente dismissione dal pubblico di otto siti. I privati che dovrebbero prendere in

gestione gli asili avranno un contributo di 480,769 € mensili per ogni bambino proveniente dalle liste di

attesa del Comune di Roma; 645 bambini per una cifra totale di 10.233.173 milioni di euro. “Cifra

importante, regalata a chi pretende di fare impresa con i soldi pubblici – scrive l’Usb - ma ridicola se si

considera che per gestire un asilo, garantendone la qualità, ne sono necessari almeno il doppio”. La

privatizzazione, quindi, si scarica sulle spalle delle educatrici sia in termini di minori compensi che di

superlavoro.

“A questo si va ad aggiungere la vergogna dell’affollamento – scrive ancora l’Usb -. Ad esempio, nel nido di

via Valcannuta nel XVI Municipio, è prevista l’accoglienza di 98 bambini per una superficie netta utile totale

di 502 mq, comprensiva di servizi, spazi per il personale e cucina, ossia spazi non utilizzati dai bambini. Sono

5,2 mq per ogni bambino, parametri vistosamente peggiorativi anche rispetto a quelli fissati dalla legge sui

‘nidi pollaio’ voluta dalla Polverini”.

(3) http://www.istat.it/it/archivio/72163

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8.

Rom

In continuità con le precedenti amministrazioni

La “questione rom” e i campi nomadi non sono imputabili unicamente agli ultimi cinque anni di cattiva

amministrazione comunale né riguardano solo Roma (1). Il Piano Nomadi presentato dal primo cittadino

Gianni Alemanno il 31 luglio 2009, era infatti figlio legittimo delle politiche sociali delle precedenti

amministrazioni. Tuttavia, volendo tracciare un bilancio alla vigilia delle prossime elezioni capitoline, è

possibile affermare con tutta tranquillità che con Alemanno al Campidoglio le cose sono andate

notevolmente peggiorando, sia in termini di emergenza abitativa sia di politiche integrative di rom e sinti

della capitale.

“Una soluzione alternativa ai campi non c'è. Inoltre non c'è alcuna intenzione di creare corsie preferenziali

per dare case ai rom, discriminando i cittadini italiani nelle liste. Se le possono scordare”. Sono parole

pronunciate dal vicesindaco di Roma – ex-assessore alle Politiche Sociali - Sveva Belviso, dopo che il Tar, lo

scorso agosto, aveva sospeso in via cautelare l'ordinanza di sgombero del campo di Tor de’ Cenci

(sospensione rimossa un mese dopo con il via libero allo sgombero rilasciato dalla II sezione del tribunale

amministrativo). “Il nostro obiettivo è quello di ridare dignità e sicurezza ai quartieri”. E sulle parole

“dignità” e “sicurezza” molto ci sarebbe da scrivere (2), soprattutto considerando la strumentalizzazione

mediatica del tema della sicurezza a Roma in relazione allo smantellamento dei campi rom (3).

A seguito del decreto governativo del 21 maggio 2008 – con il quale erano state emesse alcune ordinanze

attuative per nominare i prefetti di Roma, Napoli, Milano, Torino e Venezia “commissari delegati per la

realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza” – il prefetto di Roma

Giuseppe Pecoraro, nominato commissario straordinario, aveva dapprima firmato il regolamento per la

gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella regione Lazio e successivamente, insieme al

sindaco Gianni Alemanno, presentato il Piano Nomadi del Comune di Roma nel villaggio attrezzato di

Salone, alla presenza del ministro dell'Interno Maroni. Il piano venne subito aspramente criticato da

numerose associazioni, come Opera Nomadi, Amnesty International (4) e Associazione 21 Luglio (5). Gli

interventi previsti dal Piano Nomadi erano: eliminazione gli 80 “campi abusivi” e di 14 “tollerati”, a

cominciare da quelli considerati ad alto tasso di pericolosità, come Casilino 900, Tor de’ Cenci e La Martora;

creazione, in zone periferiche della capitale, di 13 “villaggi”, ottenuti ristrutturando quelli autorizzati già

esistenti e realizzandone di nuovi; dislocazione dei campi di Cesarina e Lombroso e ristrutturazione dei

“campi tollerati” di Salviati, Ortolani e La Barbuta. Tutte queste operazioni includevano lo sgombero forzato

di centinaia di rom dagli insediamenti informali. Per l'attuazione diretta del Piano Nomadi erano previsti

finanziamenti da parte del ministero dell'Interno, della Regione Lazio e del Comune di Roma (8 milioni di

euro), per un totale di 32.445.000 euro (6). Senza considerare le spese per la scolarizzazione dei bambini

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rom, la gestione dei “villaggi attrezzati”, la raccolta dei rifiuti negli insediamenti, i centri di accoglienza

comunali, le bonifiche straordinarie ecc. e i fondi dell'Unione Europea destinati alla minoranza rom.

Il primo importante sgombero è stato quello del cosiddetto Casilino 700 (novembre 2009). Il 19 gennaio

2010, alla presenza del sindaco Alemanno, dell'assessore Belviso e del prefetto Pecoraro è stata invece

abbattuta la prima baracca del campo Casilino 900. Posti i sigilli a Casilino 900 (15 febbraio 2010), è stata la

volta degli altri due campi considerati dall'amministrazione capitolino ad alto tasso di pericolosità, ovvero

La Martora e Tor de’ Cenci, situati a ridosso della via Collatina il primo e sulla via Pontina il secondo. La

chiusura del più grande campo rom d'Europa, salutata come una “vittoria di legalità e solidarietà” nella

lotta contro la sbandierata “emergenza sociale” - su cui Alemanno aveva basato la campagna elettorale del

2008 – venne festeggiata dalle autorità capitoline come un “evento storico”. Omettendo, però, il dato

assolutamente non trascurabile che spesso le famiglie coinvolte negli sgomberi non hanno ricevuto una

sistemazione alternativa. A un anno esatto di distanza dalla chiusura del più grande campo rom abusivo

d'Europa, l'Associazione 21 Luglio, presieduta da Carlo Stassolla, ha presentato Report Casilino 900 (7), una

puntuale denuncia dell'inadeguatezza e delle molte ambiguità del Piano Nomadi (8), compresi i cospicui

fondi impiegati in un programma che, a tutt'oggi, ha dimostrato solo falle. Pochi giorni prima della

presentazione del rapporto nella sede dell'Unicef, il 6 febbraio 2011, nel campo abusivo a Tor Fiscale, non

molto distante dal Campidoglio, avevano perso la vita quattro bambini rom (Fernando, Patrizia, Sebastian

Mircea e Raul Vasile), morti carbonizzati nel rogo della loro abitazione di fortuna fatta di pezzi di stoffa e

bandoni. Il 27 agosto 2010 un altro bambino rom aveva perso la vita in un campo abusivo nel quartiere Eur,

sempre per un incendio. Fino all'estate 2012, sono state 480 le famiglie coinvolte nei trasferimenti forzati

(oltre 2000 persone) e 450 gli sgomberi di insediamenti informali, costati alle casse del Comune quasi 7

milioni di euro.

Dall'estate del 2009 i lavori per l'edificazione o la messa in sicurezza dei nuovi mega-campi sono ancora in

alto mare ma sgomberi ce ne sono stati, e tanti (l'ultimo lo scorso 28 settembre, al campo rom di Tor de’

Cenci). E spesso le famiglie coinvolte, dopo essere state sgomberate – il più delle volte senza preavviso –

non hanno ricevuto una sistemazione alternativa. (i campi rom costano annualmente al comune di Roma

circa 20 milioni di euro).Le aree consentite dal Piano Nomadi erano i “villaggi attrezzati” di Salone, Camping

River, Candoni, Gordiani, Cesarina, Castel Romano e Lombroso (9).

Quattro anni di attuazione sconsiderata

Le conseguenze negative del Piano Nomadi, dopo quattro anni di attuazione sconsiderata, sono innegabili e

sotto gli occhi di tutti. Basta leggere, fra gli altri, il Rapporto riepilogativo stilato sempre dall'associazione

“21 luglio” sui numeri degli sgomberi dal 31 luglio 2009. Costi elevatissimi, violazione delle convenzioni

internazionali, dispersione scolastica, smembramento dei nuclei familiari, proliferazione di insediamenti

informali. Ma come si vive nei campi? Lontani dai centri abitati e dalle strutture per i servizi, lontani dalle

scuole frequentate dai bambini e completamente isolati dal tessuto sociale cittadino; le condizioni sociali e

igieniche all'interno dei campi violano i più elementari diritti della persona (10), l'assistenza medica è

carente, le forniture idriche sono quasi sempre difettose, la libertà di movimento fortemente compromessa

da un sistema di controllo e vigilanza invasivo. A Salone, per l'occasione ampliata e adattata, sono stati

trasferiti molti rom dopo la chiusura di Casilino 900. Altri sono stati ospitati nel campo rom di Gordiani e nel

centro di accoglienza di via Amarilli, Tor Cervara (una struttura convenzionata con il comune di Roma che,

come si legge nel rapporto dell'Associazione 21 Luglio, è costata 465 mila euro per l'assistenza dei 64 rom

provenienti da Casilino 900) (11). Il Piano Nomadi non solo viola i diritti dei rom ma è anche un dispendio di

risorse che potrebbero essere altrimenti dirottate verso politiche volte all'integrazione, all'inserimento

lavorativo (come è avvenuto, per esempio, con il progetto sperimentale a Torino per favorire l'inserimento

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lavorativo dei rom rumeni), alla promozione della scolarizzazione ecc. e che invece hanno dissanguato le già

disastrate casse comunali – con dinamiche non sempre trasparenti – senza in realtà fornire una risposta

esauriente al dramma sociale di rom e sinti. Per concludere va menzionata la sentenza del Consiglio di Stato

(numero 6050/2011), che ha dichiarato illegittimo il cosiddetto Piano Nomadi contro la “emergenza rom” e

la sua riconferma da parte della Corte di Cassazione su impugnazione del premier Monti.

Le buone pratiche sono possibili

Il rapporto presentato il 28 agosto da 8 associazioni italiane al Comitato per l'Eliminazione della

Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD), ha denunciato il frequente quanto deplorevole ricorso

a incitazioni all'odio razziale nel discorso politico e mediatico in Italia; mentre il dossier di Amnesty

International “Ai margini. Sgomberi forzati e segregazione dei rom in Italia” ha dimostrato chiaramente

come la “politica dell'emergenza”, oltre a basarsi su un'analisi non rigorosa del problema, diventa un facile

slogan in tempi di scontro elettorale ma non è risolutivo nel lungo periodo.

Esempi di buone pratiche ce ne sono, e significativi. Il progetto Axé in Brasile, tanto per citarne uno, ispirato

alla “pedagogia del desiderio”. A Bologna la giunta comunale ha varato un programma di affitti agevolati

per permettere ai rom di vivere nelle case e non in campi “nomadi”. A Trento è in fase di sperimentazione

la formula dei “nuclei di famiglie allargate”. Altrettanti tentativi per dimostrare come i dispositivi di

controllo della “minaccia rom” possano diventare strumenti di inclusione e messa in atto di politiche

partecipative, rispettose dei diritti e politicamente sostenibili.

A inizio anno l'Associazione 21 Luglio ha presentato l'Agenda rom e sinti,, una “carta di impegno” rivolta a

partiti politici, candidati a cariche elettive e associazioni del terzo settore, per un cambiamento radicale

delle politiche nei confronti di rom e sinti della capitale. Di poche settimane fa la notizia

dell'allontanamento dai villaggi di sessantaquattro rom, nell'ambito dei controlli ordinati dal primo

cittadino, e coordinati dal vice comandante della polizia di Roma Antonio Di Maggio, attualmente a capo

dell'ufficio sicurezza pubblica ed emergenziale. Sotto la supervisione di Di Maggio, nel corso di un anno, la

polizia municipale ha passato al setaccio oltre tremila conti correnti intestati a rom ospitati nei villaggi

attrezzati.

“L’integrazione delle comunità Rom, una sfida per la città” (intervento di Claudio Graziani)

I dati

A Roma vivono stabilmente oltre settemila persone di etnia rom. Appartengono a nuclei arrivati nella città

in diverse epoche, anche antiche se le prime presenze datano ad oltre 400 anni fa, e che nel tempo più

recente vede le prime migrazioni di Rom abruzzesi negli anni trenta, la graduale sedentarizzazione nel

dopoguerra delle famiglie girovaghe di Sinti giostrai e di Camminanti siciliani, fino alle comunità di origine

slava e rumena giunte in Italia in diverse ondate a partire dagli anni sessanta, anche in conseguenza prima

di crisi economiche e politiche in aree dell’est europeo e dopo la caduta del Muro di Berlino.

Si tratta nel complesso di comunità giovani con una forte componente di minori, che va oltre il 50 per

cento, ed una ridotta presenza di persone anziane, che si attestano poco sotto il 3 per cento. Ciò anche

perché l’aspettativa di vita di queste popolazioni, a causa delle dure e difficili condizioni ambientali, si

attesta generalmente a 10-15 anni di meno rispetto alla media nazionale. Sotto il profilo giuridico un buon

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quaranta per cento è di nazionalità italiana, ma è significativa la condizione di apolide, che si mescola

confusamente con quella di straniero o di extracomunitario più o meno regolare. Dopo l’entrata

nell’Unione Europea di Romania e Bulgaria è in crescita la componente di cittadini comunitari.

L’esperienza dei Campi Rom

I cosiddetti campi rom ospitano oggi gran parte di queste comunità. Solo una piccola minoranza, infatti,

risiede in normali, civili abitazioni. La soluzione dei campi fu definita e gradualmente attuata dal Comune di

Roma, come in altre città, a partire dagli anni ottanta, pensando di assorbire il forte impatto determinato in

quegli anni dall’arrivo di un consistente flusso di famiglie rom determinato in particolare dalla crisi della ex

Jugoslavia. Con i campi, decentrati nei diversi territori della periferia, si pensava di garantire una gestione

più ordinata del fenomeno ed evitare o, comunque limitare le periodiche e diffuse tensioni con la

popolazione, che andavano crescendo in particolare nel quadrante sud est della città, tanto nelle borgate

che in nuovi quartieri.

Allo stato attuale si contano nella città molti insediamenti. Si tratta di villaggi attrezzati e regolarmente

gestiti dai servizi comunali. Ad essi vanno aggiunti i campi tollerati dall’amministrazione, comunque precari,

e gli insediamenti abusivi. L'ormai palesemente fallito Piano Nomadi del sindaco Alemanno che,

millantando una emergenza dichiarata inesistente da una sentenza del Consiglio di Stato, ha comportato

costi esorbitanti, intorno ai 50 milioni di euro, a fronte di un drammatico peggioramento delle condizioni di

vita dei rom e di una accentuata conflittualità della popolazione locale verso questi.

Nonostante la scelta dei campi, sono state avviate azioni di integrazione e socializzazione. Ciononostante

tali insediamenti si sono alla lunga rivelati sempre più luoghi di abbandono e di degrado urbano e,

soprattutto, di isolamento delle comunità.. E questo ha contribuito ad accentuare quel fenomeno di

separazione e di emarginazione sociale che ha caratterizzato nella storia la vita di queste famiglie e che

alimenta inevitabilmente il pregiudizio nei loro confronti.

È giusto ricordare che l'esperienza dei campi rom nasce come risposta iniziale di associazioni e istituzioni di

una realtà nuova che probabilmente abbiamo tutti mal interpretato. Sì è fatta molta confusione tra

nomadismo, cultura rom, standard socio-abitativi dei paesi di provenienza e l'insistere in Italia delle

esperienze dei Sinti Giostrai. Le stesse leggi regionali sembrano improntate a questa confusione.

Nei fatti i campi rom sono diventati l'unica soluzione abitativa.

Ne consegue la difficile giustificazione dell''esistenza nella nostra città di insediamenti fatti di uomini.

ni e donne di una sola provenienza dove solo loro possono entrare, magari con un tesserino che ne affermi

l'appartenenza a quel gruppo etnico,

Inoltre ormai per molti rom che nei campi sono nati, il campo rischia di diventare una sorta di istituzione

totale, e tutta la rete di servizi erogati corre il pericolo di modellarsi sul campo stesso funzionalizzandosi ad

esso, senza riuscire a rendere dinamico l'intervento e a favorire l'uscita.

Da questo punto di vista la parola d'ordine del superamento dei campi deve riempirsi di atti concreti che

indichino azioni e tempi di chiusura definitiva di questa esperienza: in tal senso proponiamo un ventaglio di

soluzioni da concordare con le comunità e che in modo esemplificativo comprendono le soluzioni seguenti:

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1. Edilizia Residenziale Pubblica sia a Roma che anche in altre province. Si fa esplicito riferimento alla

legge n.179 del 17 febbraio 1992 recante “Norme per l'edilizia residenziale pubblica” il cui Art. 4.

Sotto il titolo "Quota di riserva per particolari categorie sociali" asserisce che le regioni, nell'ambito

delle disponibilità loro attribuite, possono riservare una quota non superiore al 15 per cento dei

fondi per la realizzazione di interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi di particolari

categorie sociali individuale, di volta in volta, dalle regioni stesse.

Inoltre la Regione Lazio con la Legge 788 del 20 febbraio 1996, nell' Art. 4.3 sotto il titolo: “Programmi per

categorie speciali”, menziona esplicitamente i Rom e assegna una quota di ERP a loro destinata, pari all'11%

(Delibera 1105 del 1995).

2. Concessione di casali abbandonati e spesso fatiscenti che i rom si impegnano a recuperare e

riattivare a loro spese. Relativamente a questo punto e al successivo si chiede alla Regione Lazio il

rifinanziamento della Legge Regionale n. 55 dell’ 11 dicembre 1998, recante norme sull’ ”

Autorecupero del patrimonio immobiliare”.

3. Idem per quanto riguarda i numerosi magazzini e fabbriche dismesse che costellano le periferie.

4. Concessione di immobili sequestrati alla criminalità organizzata

5. Concessione di terreni edificabili. Il Comune provvederebbe all’infrastrutturazione primaria, i rom

all’edificazione a proprie spese rispettando le norme edilizie vigenti ed usufruendo ove necessario

di mutui con il sostegno dell’Agenzia di Garanzia (punto 7).

6. Contributo all’affitto. Esperienza già maturata a Pisa (Progetto Case Sottili), e altrove.

7. Agenzia di Garanzia per quelle famiglie rom titolari di un reddito congruo ma escluse dal mercato

degli affitti a causa della discriminazione.

8. Sfruttamento dei fondi europei disponibili per i progetti a favore delle minoranze rom-sinte, come

da esperienza già maturata a Padova nel 2010 (Progetto Sperimentale di AutoCostruzione “Il

villaggio della speranza” del Comune di Padova, coofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle

politiche sociali)

Una delle strade di superamento del “dispositivo campo” è quello di cancellare la logica monoculturale

dell’abitare Rom fino ad oggi data per acquisita ed immutabile, e cominciare a ragionare in termini di mixitè

sociale e culturale. Una esperienza di questo tipo è presente in una occupazione a scopo abitativo, il

Metropoliz sulla via Prenestina, dove si sta sperimentando una coabitazione di Rom Rumeni insieme ad

italiani e ad altri migranti di diversi paesi del mondo. Da questa esperienza si può desumere un modello di

“Condominio Interculturale” inclusivo dei Rom, che potrebbe essere riproposto sotto diverse forme, sia da

altri movimenti di lotta per la casa attraverso l’auto recupero di immobili sfitti o in abbandono, che da

organizzazioni laiche e religiose che intendessero offrire terreni o immobili da recuperare. (12)

L’inserimento scolastico

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Un numero crescente di bambini e di adolescenti rom frequenta la scuola pubblica. L’inserimento interessa

prevalentemente la scuola elementare, con un graduale innalzamento del tasso di abbandono in particolare

nel passaggio agli studi medi.

Dopo circa quindici anni di esperienza di integrazione i risultati non sembrano ancora nel complesso

soddisfacenti. Pur in un quadro di positiva socializzazione i livelli di apprendimento e di istruzione risultano

ancora insufficienti e sono elevati i tassi di abbandono. È anche poco significativo il numero di ragazze e di

ragazzi che completano l’obbligo scolastico, che raggiungono livelli di scuola superiore o che vengono

avviati verso servizi di formazione professionale.

Il lavoro

La diffidenza degli italiani verso i rom, è uno dei fattori che determinano la loro scarsa occupazione

lavorativa. Sopravvive, ma a fatica, la tradizionale attività di giostre e servizi ludici, anche itineranti, che dà

da vivere ad un buon numero di famiglie Sinti, come anche qualche residuale attività artigianale come la

lavorazione del rame. L'attività di raccolta di ferro, rame, copertoni e materiali vari, interessa un

significativo numero di uomini nei campi e da vivere a numerose famiglie.

Tra le donne, oltre la tradizionale attività di questua, si registrano e sono in crescita esperienze di

inserimenti in attività artigianali e domestiche, parrucchiere e collaboratrici familiari. Sono invece ancora

poche e marginali nella città esperienze di lavoro in forma cooperativa che sembrerebbero offrire altrove

buone opportunità. Vanno promosse iniziative culturali e di doposcuola, sia fuori che all’interno dei campi o

negli altri ambienti di vita, ma anche un programma di aggiornamento sulla realtà, la storia, le tradizioni e la

cultura rom rivolto al personale della scuola. Occorre anche programmare interventi mirati per una più

adeguata formazione professionale in qualifiche che offrano reali sbocchi lavorativi.

Lavoro per i giovani

Migliori e più adeguate condizioni di vita, integrazione sociale e formazione possono costituire una più

solida base per migliorare i livelli di inserimento al lavoro. Ed in questo quadro può risultare efficace una

maggiore attenzione all’economia sociale ed al ruolo che cooperative o imprese sociali possono avere nel

promuovere nuova occupazione integrata fra giovani rom e non.

Settori come la raccolta differenziata, in particolare, possono favorire un percorso di regolarizzazione di

attività già effettuate da alcuni gruppi di raccolta di metalli. Cooperative sociali potrebbero integrare

lavoratori, rom e non solo, nella gestione di isole ecologiche per rifiuti metallici, elettrodomestici ed altri

rifiuti speciali, la selezione e la commercializzazione materiali raccolti. Sembrano settori di particolare

interesse anche la lavanderia, stireria, rammendo, o anche con organizzazione punti vendita, la

collaborazione ed assistenza familiare, i servizi di pulizia.

A livello regionale va ripreso l’esame avviato nella scorsa legislatura della proposta di legge sullo spettacolo

viaggiante per il rilancio di una delle attività tradizionali delle famiglie Sinti.

Cittadinanza

Tra gli ostacoli e le difficoltà che compromettono la possibilità di inserimento al lavoro, di non poco conto la

legislazione sulla cittadinanza. Lo ius sanguinis che caratterizza la nostra normativa determina l’effetto di

centinaia di giovani nati in Italia, da famiglie presenti nel nostro Paese da almeno tre generazioni, che

magari hanno frequentato la scuola pubblica e goduto di altri servizi sociali, sanitari e formativi, che al

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compimento del diciottesimo anno di età si trovano da un giorno all’altro nella non certo facile condizione

di immigrato irregolare. Da qui la conseguente perdita di ogni diritto e la necessità di richiedere un

permesso di soggiorno non sempre facile da ottenere e, soprattutto, il rischio di finire rinchiusi in un Centro

di Identificazione ed Espulsione per un improbabile rimpatrio. Scuola, cultura, lavoro, servizi, alloggio, sono

diritti di cittadinanza che non possono che trovare conferma e sicura sponda in una legge che riconosca la

possibilità di richiedere ed ottenere la cittadinanza a persone nate in Italia e che siano vissute nel nostro

Paese con continuità fino alla maggiore età. Una nuova legge sulla cittadinanza è un atto dovuto nei

confronti di comunità che sono impegnate da anni in un difficile cammino di integrazione. E sarebbe,

soprattutto, un forte segnale positivo, un incoraggiamento, un concreto aiuto a tanti giovani che pur legati

alla storia ed alle tradizioni dei loro avi, sono ormai determinati a mettersi alle spalle secoli di

emarginazione e di esclusione sociale.

È utile ricordare che oltre alle esternazioni del presidente della Repubblica in materia di cittadinanza, è in

corso una campagna nazionale di raccolta firme su un disegno di legge di iniziativa popolare che cerca di

modificare l'attuale normativa.

Gli errori della Giunta Alemanno

La recente sentenza del Consiglio di Stato ha definitivamente chiuso lo scandalo della cosiddetta

"Emergenza Rom". Tale sentenza ha ribadito che non vi sono mai state le condizioni atte a determinare una

effettiva emergenza per quanto riguarda le popolazioni rom e sinte nel nostro paese. Si è trattato di

politiche repressive che dilapidando in questo senso milioni di euro hanno peggiorato le condizioni di vita

dei rom e contribuito ad accentuare la diffidenza dei cittadini italiani. In secondo luogo la sentenza ci pare

metta in discussione buona parte delle politiche di contenimento attuate nei confronti di queste

popolazioni negli ultimi venti anni.

Una scelta sbagliata, quella dell'emergenza, che non solo contrasta con i principi di trasparenza nella

gestione di risorse pubbliche. Oltre alla contraddittorietà dei villaggi attrezzati si aggiunge un abuso

incontrollato di azioni di sgombero, ad un improprio, inutile uso di telecamere e di vigilantes armati, che

rischia così di rafforzare la percezione già radicata in parte dell’opinione pubblica di una vera e propria

impossibilità “etnica” delle comunità rom di integrarsi con tutto il resto della popolazione.

Nel quadro confuso e contraddittorio che si è determinato pesa soprattutto un fatto: si considera la vicenda

Rom una questione di sicurezza e di ordine pubblico. Si considera sempre meno la necessità, a partire ed in

continuità con il lavoro fin qui sviluppato, di accelerare il processo e promuovere una nuova fase nel

difficile percorso di inserimento di queste comunità.

E utile ricordare che la giunta Alemanno ha fatto le sue fortune elettorali proprio sull'esasperazione e sulla

strumentalizzazione della vicenda rom. La finta emergenza allora è stata un ulteriore iniziativa per dare

fiato ad una retorica razzista e spostare l'attenzione dai problemi della città.

Il cosiddetto piano “nomadi” è fallito prima ancora della sentenza del consiglio di stato per l'inconcludenza

della sua strategia fatta di costosissime operazioni di sgombero e controllo, di molta immagine, e una

strategia che non va oltre alla, anche questa costosa, edificazione di mega campi super affollati.

Superare i campi per una nuova fase dell’integrazione

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Una nuova fase non può che partire da politiche per il superamento dei campi. Non vi è dubbio, infatti, che

la vita nei campi sia comunque caratterizzata da provvisorietà, precarietà e disagio, che questi insediamenti

per le loro stesse caratteristiche diventano nel tempo inevitabilmente luoghi di , emarginazione sociale,

non garantiscono adeguati livelli di sicurezza, alimentano il pregiudizio ed inducono alla devianza.

Nella fase attuale si tratta, allora, di avviare concrete azioni innovative, che puntino ad una nuova più

avanzata fase del processo di integrazione con percorsi di integrazione alloggiativa per tutte quelle famiglie

censite sia nei campi che negli agglomerati non autorizzati. Alcune amministrazioni locali, sia in Italia che in

altri paesi europei, hanno avviato specifici programmi. Un piano per il superamento dei campi non può che

partire dalla programmazione di una gamma di interventi che vanno dall’assistenza alloggiativa per i nuclei

familiari più disagiati ad affitti agevolati a termine, all'edilizia popolare a programmi di autocostruzione.

Servizi sociali del Comune, soggetti del terzo settore oggi impegnati nella gestione degli interventi nei

campi potrebbero concorrere a selezionare i nuclei interessati alle diverse tipologie di intervento.

I programmi di autocostruzione, in particolare, possono spaziare dal recupero e ristrutturazione di stabili di

proprietà pubblica non utilizzati al reimpiego di caselli ferroviari in disuso, case cantoniere, casali agricoli,

ex sedi militari. Possono, altresì, prevedere edificazione di villaggi in ambiente urbano, realizzati in forma

cooperativa, autofinanziati e sostenuti dall’intervento pubblico. In una prima fase il Comune potrebbe

individuare alcune aree per avviare un Programma sperimentale per un primo nucleo di alloggi, realizzati in

autocostruzione in forma cooperativa.

Occorre uno Scatto in avanti dal punto di vista della proposta istituzionale.

La chiusura definitiva dei campi deve essere un obbiettivo perseguito attraverso il dispiegamento di azioni

coordinate da parte delle istituzione, del privato sociale e del volontariato. Non si tratta di contenere un

problema, ma di risolverlo.

Risorse, competenze, esigenze dei rom, decisionalità istituzionale di assessorati e municipi, deve trovare un

punto di raccordo.

La proposta potrebbe essere quella della costituzione di una agenzia specifica dove fa incontrare e

coordinare tutti gli attori coinvolti e dove far confluire le risorse.

Il processo di autonomia dei rom dai campi deve essere accompagnato da una azione di

responsabilizzazione del territorio, si tratta di azioni integrate sul modello programma di seconda

accoglienza per richiedenti asilo (spraar).

Note

(1) Articiviche.it Una città a parte. L’apartheid dei rom in Italia,

http://articiviche.blogspot.it/2012/01/una-citta-parte.lapartheid-dei-rom-in.html

(2) In vista delle consultazioni elettorali del 2013, l’Associazione 21 Luglio ha lanciato la campagna

“Stop all’apartheid dei rom”, per chiedere ai vincitori delle elezioni – locali e nazionali – di superare

la logica dei campi, imepgnandosi in una risoluzione seria dell’emergenza abitativa, e in un

superamento effettivo dell’ottica discriminatoria che ha finora caratterizzato le politiche rivolte a

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rom e sinti. L’11 settembre 2012 l’Associazione 21 Luglio ha depositato in Campidoglio oltre 2000

firme in favore dell’appello “Il diritto all’alloggio non si sgombera”, lanciato il 4 marzo.

(3) Leggendo i rapporti su prevenzione del crimine e politiche di sicurezza del Programma delle Nazioni

Unite per gli insediamenti Umani – agenzia incaricata di favorire un’urbanizzazione sostenibile dal

punto di vista ambientale e sociale e garantire il diritto a un degno alloggio – si legge come le città

più sicure sono quelle che attuano politiche di integrazione dei gruppi vulnerabili (i cosiddetti

progetti di “slums upgrading”).

(4) L’11 marzo 2010, nella Casa del Cinema a Villa Borghese, AI presenta il rapporto La risposta

sbagliata. Italia: il “Piano Nomadi” viola il diritto all’alloggio dei rom a Roma, nel quale denuncia gli

sgomberi forzati di centinaia di rom previsti dal Piano Nomadi. La bocciatura del Piano è netta.

(5) Cfr. Stassolla, Sulla pelle dei rom. Il Piano Nomadi della giunta Alemanno, Edizioni Alegre, Roma

2012.

(6) Ivi, p. 59.

(7) www.21luglio.com/locandine/Report_Casilino900.pdf.

(8) Nel rapporto si legge che, per l’attuazione del Piano Nomadi, sono stati stanziati fino al 2010 –

quindi per soli due anni di applicazione del Piano – 34 milioni di euro (chiaramente aumentati nei

successivi due anni).

(9) Stassolla p. 85.

(10) Vedi il rapporto recentemente pubblicato “Diriti rubati” sulle inumane condizioni igienico sanitarie

nel campo rom di via della Cesarina, nel quartiere di Montesacro.

(11) Cfr N. Orlandi Posti, Il sacco di Roma. La verità sulla giunta Alemanno, Editori Riuniti, Roma 2011.

(12) Per I principi generali del diritto all’abitare vedi la Direttiva Europea 2000/43/EC; nello specifico per

l’autorecupero vedi anche: EU Parliament Resolution of 9 March 2011 on the EU Strategy on

Roma Inclusion (2010/2276(INI). Comma 62, P7_TA-PROV(2011)0092 e Commission of the

European Communities, Brussels, 2/7/2008 – SEC(2008) 2172, Commission Staff working

document accompanying the Communication from the Commission to the European Parliament,

the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions.

Non discrimination and equal opportunities: A renewed commitment. Community Instruments

and Policies for Roma Inclusion (COM(2008) 420 final), Comma 3.2.5.

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65

9.

Cultura

L’azzeramento della cultura

Nella legislatura del centrodestra un numero non indifferente di attività legate alle politiche culturali messe

in atto dalla stessa giunta sono state utilizzate per tagliare fondi e privatizzare.

Qual è il risultato? Il settore culturale, nell’intera gestione da parte della destra in carica, è diventato il

riflesso del modus operandi degli altri settori del bilancio.

Anche qui purtroppo non solo si è trattato di privatizzare, tagliare fondi e sminuire quello che viene indicato

nella vulgata politica come “il fiore all’occhiello” della Capitale, ma si è dovuto assistere anche a perdite di

spazi culturali che, per i cittadini, rappresentavano veri territori di confronto, svago, crescita,

organizzazione e dunque luoghi indispensabili e necessari di socialità attiva.

Le reazioni dei cittadini? Per loro si è rivelato privo di senso rinunciare alla cultura, intollerabile ammettere

tagli e privatizzazioni.

Il disappunto, nato proprio dalla consapevolezza di sapere che privatizzare e tagliare fondi è solo un

tentativo di “azzerare” il settore culturale, un settore che in modo indiscutibile e necessario, deve restare

pubblico, ha portato i cittadini a contrastare queste scelte scendendo in piazza e mettendosi in gioco con

azioni vere e proprie.

Per capire meglio il contrasto tra le scelte del sindaco e le necessità dei cittadini è bene dunque capire quali

siano state le scelte dei cittadini, le soluzioni adottate dagli stessi e che oggi danno la migliore risposta a

questa imposizione: giovani e meno giovani, infatti, in questi anni non hanno “subìto” queste mancanze a

cui la cultura è andata incontro, ma si sono ripresi tutti quegli spazi destinati a chiudere restituendoli, in

questo modo, alla cultura e al servizio dei cittadini stessi.

Tutto questo perché una città come Roma ha in sé gli anticorpi politici e sociali per non restare ad assistere

passivamente allo scempio di una giunta che, in nome del rigore di bilancio, si arroga il diritto di lasciare in

agonia teatri, cinema e spazi culturali, in attesa che società private e “palazzinari” possano rilevarli e

trasformarli come più gli fa comodo.

Ma vediamo come esattamente ha operato questa giunta, facendo il punto delle principali questioni che

hanno scatenato tanto malcontento.

C’era ancora Giulio Tremonti come Ministro dell’Economia quando nel 2011, per ripercorrere i momenti più

incisivi della politica culturale del sindaco in carica, è stato rintrodotto il finanziamento del Fondo Unico per

lo Spettacolo (FUS).

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66

Si è trattato di 150 milioni di euro.

Come sono stati distribuiti dalla giunta? Molte realtà sono state a rischio chiusura. Citiamo tra queste il

Macro che, nel business plan presentava un buco di 8 milioni di euro, ma anche la Casa del Jazz, entrambe

realtà che di certo non mancavano di presenza di pubblico.

La stessa azienda Palaexpo (con il Palazzo delle Esposizioni, le Scuderie dei Quirinale e la Casa del Cinema)

che nel 2010 ha ricevuto 10 milioni avrebbe ottenuto un quinto dei fondi.

Per la Casa delle Letterature dovevano arrivare la metà dei fondi, si tratta di una cifra pari a 50 mila e per il

chiostro del Bramante e il Vittoriamo, a seguire, sono stati messi a disposizione solo 40 mila euro.

La stessa Estate romana, figlia di Renato Nicolini, nata con l’obiettivo preciso negli anni settanta di portare

“i romani in strada, senza lasciarsi vincere dalla paura”, per il 2011 ha avuto a disposizione solo 2 milioni

contro i 13 concessi l’anno precedente.

Il danno tuttavia, secondo le dichiarazioni rilasciate da Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura, all’epoca

si è aggravato perché la giunta del Sindaco ha finanziato mostre tuttavia mai realizzate e ha persino

permesso concerti in piazza , come a Capodanno, mentre la condizione dei musei era in grave pericolo:

rischiavano la chiusura.

Anche la questione della Notte bianca non è stata priva di polemiche.

La giunta, infatti, ne ha minacciato l’esistenza, sostituendola, a suo modo con quella futurista spendendo

peraltro ben 200.000 euro.

Se ci soffermiamo su spese giudicate erronee non possiamo tralasciare le critiche seguite anche alla spesa

di circa 757.000 euro per la campagna “Musica contro il bullismo” affidata persino a Gigi D’Alessio. Proprio

lui, il cantante partenopeo che ha subito una condanna a 9 mesi di reclusione per lesioni gravi ai danni a

due fotografi. Ad aumentare lo sconcerto di questa manifestazione è stata la scelta di D’Alessio di non

partecipare a titolo gratuito ma di pretendere ben 150.000 euro.

Disattenzione della giunta per i monumenti della capitale: dalle mura Aureliane dove in dieci anni sono stati

registrati almeno 10 crolli, al Parco della Serenissima, la più grande necropoli scavata a Roma. Qui pare

siano stati stanziati 10 milioni di euro, ma la confederazione archeologi dichiara non siano stati mai

utilizzati.

Ricordiamo un altro punto importante legato alla questione dei monumenti: ai turisti è stato impedito

l’accesso, come è accaduto per la chiesa francescana di San Bonaventura, al Palatino: dove sono finiti i

195.000 euro stanziati nel 2009 per la sua manutenzione?

Per quanto riguarda la questione dei fondi per i restauri Alemanno si è rivolto almeno in parte agli sponsor

privati. È stato affidato a Diego Della Valle con 25.000 di euro a disposizione. I lavori, secondo quanto

dichiarato ad agosto scorso partiranno a dicembre 2012 con consegna fissata per gennaio 2015. Nel primo

appalto, già aggiudicato alla ditta romana Gherardi, il costo sarà di 6 milioni 613 mila euro con un ribasso

del 25,8% rispetto al preventivo di 8.3 milioni (il risparmio verrà investito in altri interventi). Compressione

anche dei giorni lavorativi (saranno 915 rispetto ai 1095 stimati).

La Giunta Alemanno ha dunque creduto bene di eliminare le barriere burocratiche mettendo in atto i

commissariamenti delle sovrintendenze.

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Questo ad esempio è avvenuto anche con il Teatro dell’Opera e con il Maxxi che, nonostante abbia il

bilancio attuale in attivo, è stato commissariato per la preoccupazione di un bilancio passivo nel prossimo

futuro.

Ma l’assenza di politiche è tematica fondamentale anche per il settore dello spettacolo dal vivo.

E quando si parla di spettacolo dal vivo occorre specificare che in tutta la Regione questo settore culturale

vede operare ben 1.800 imprese che dànno lavoro almeno a ventisettemila persone.

Con questi numeri il presente ambito riesce a coinvolgere un numero di spettatori pari a seimila.

In soldoni si tratta di un giro di affari che supererebbe gli oltre 140.000 di euro.

Lo stesso presidente dell’Agis, Pietro Longhi non parla di soldi in più. Quello che servirebbe è chiaro: il

budget stanziato dovrebbe essere assegnato con criteri trasparenti e la stessa Regione dovrebbe sbloccare i

pagamenti per le attività svolte in passato, in alcuni casi anche nel 2008.

Ma l’ex governatrice Polverini ha tagliato le risorse a favore della cultura per un numero pari al 60%

istituendo - e questo per la sua presidenza - un capitolo nuovo di bilancio pari a 4 milioni 650 mila euro per

le attività culturali. Attività, tuttavia, da gestire in modo autonomo e diretto, dunque sottraendo i soldi dal

portafoglio dell'assessorato competente.

Di fatto, inoltre, ad agosto 2012 è stato deciso di tagliare per oltre 9 milioni di euro le già ridotte spese per

asili nido, sociale, istruzione, sport e cultura. Sotto un cielo nero anche la questione che riguarda i teatri. È

noto che proprio il sindaco ha tagliato i fondi destinati ai bandi. Nel settore siamo scesi da 1.100.000 euro a

450.000 euro, ma soprattutto sono aumentati quelli destinati ad attività ed eventi gestiti da Zètema.

E Zètema la maggior parte delle iniziative che realizza è attraverso l’affidamento diretto. In genere,

peraltro, senza prevedere bandi pubblici, se non in casi eccezionali e solo per l’affidamento di piccolissimi

importi.

Risale ad sempre ad agosto 2012 un articolo di Francesco Merlo su la Repubblica in cui, tra le varie

tematiche, è affrontata quella sulla responsabilità della giunta Alemanno sul crollo del muro del Pincio:

“Segno di incuria ordinaria e di vandalismo amministrativo, ad anticipare il previsto, inesorabile conto alla

rovescia per il sindaco di Roma”. Il sindaco Alemanno e il sovrintendente Broccoli tuttavia hanno preferito

sbrigarsela assegnando “la colpa del crollo del Pincio è della neve, della pioggia e del caldo secco”.

Disattenzione e noncuranza anche per i luoghi sottoposti a vincoli archeologici. Di recente il sindaco, infatti,

ha finanziato un’associazione e così ha concesso anche l’autorizzazione per far sfilare gladiatori, ancelle e

pony presso la Villa di Massenzio, luogo sottoposto a vincolo archeologico. Quanto è costato? Parliamo di

100.000 euro, 30 di questi sono soldi pubblici presi dal bando per l’Estate romana. Per l’estate romana del

2012. Il budget complessivo per il bando 2012, c’è da specificare che è stato annuale, dunque non relativo

in modo esclusivo agli eventi estivi, è stato di 2 milioni e 650mila euro. Ma a questi si sono aggiunti i

430mila euro investiti dalla Camera di Commercio e i 200mila euro messi da Eni. Per l'Estate Romana si è

trattato di un fondo totale pari a 2 milioni 100mila euro. Nulla di diverso dallo scorso anno, eppure la

differenza sta nella quantità di iniziative: nel 2011 ne sono state finanziate 160; nel 2012, 178. Solo 71

progetti sono realmente finanziati, per i restanti si è parlato di una “promozione” vale a dire un contributo

da dare per le spese tecniche o, addirittura, di un patrocinio senza fondi.

Page 68: Dossier Alemanno

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L'assenza di cui si è parlato di più è quella di Villa Celimontana Jazz, annullata nonostante le erano stati

assegnati i fondi dal Comune grazie al buon posizionamento in graduatoria, con 72 punti. La manifestazione

avrebbe ricevuto solo 43 milioni di euro a fronte di un allestimento che l’anno precedente è costato intorno

ai 75 mila euro. E già l'estate scorsa il bilancio di Villa Celimontana Jazz è andato in rosso di molte decine di

migliaia di euro.

Un’attenzione specifica abbiamo deciso di dedicare ai principali luoghi della Capitale che, per ritornare alla

questione di realtà occupate e così restituite dai cittadini ai cittadini stessi e alle attività culturali, oggi sono

veri esempi ai mala gestione da parte della giunta e di impegno, invece, da parte dei cittadini.

Cinema Palazzo

Era il 15 aprile 2011 quando un gruppo di militanti dei centri sociali “Esc” e “32” occuparono l’Ex Cinema

Palazzo, nel cuore di San Lorenzo, poi ribattezzato “Sala Arrigoni”. La vicenda dello storico ex teatro ha

dell’incredibile: luogo simbolo dell’effervescenza culturale, del quartiere e dell’intera città, in cui andò in

scena, fra gli altri, anche Ettore Petrolini, dopo anni di abbandono stava improvvisamente trasformandosi in

un’enorme sala bingo. La società proprietaria dell’edificio, Paoletti Mobili, convinta dalla politica di

Tremonti (allora ministro del Tesoro) che affermò che “di cultura non si mangia”, pensa bene di metterlo in

vendita e cambiarne la destinazione d’uso in D8, ovvero servizi commerciali. Il sindaco Alemanno non

ritiene necessario intervenire economicamente per toglierlo finalmente di mano ai privati – ma si badi che

nello stesso periodo il Campidoglio spendeva 2 milioni di euro per la beatificazione di Giovanni Paolo II e 12

milioni per acquistare, e regalare ai neofascisti, la sede di Casa Pound -, così si fa avanti la Camene S.p.a.,

una società creata ad hoc per gestire casinò e macchinette quali slot-machine e video-poker. E infatti,

nonostante l’assoluta mancanza di trasparenza con cui il Palazzo sta passando di mano da un privato

all’altro, ai cittadini di San Lorenzo è subito chiaro il progetto: al posto del loggione sono previste postazioni

per slot-machine e video-poker. Palco e platea devono lasciare il posto a più remunerativi tavoli per il gioco

cash, e privé con divanetti e luci soffuse. Il tutto evidentemente facilitato dalla liberalizzazione del gioco

d’azzardo, incluso il poker cash e non a tornei, come previsto dalla legge 184 del 2008, e dall’articolo 12 del

cosiddetto “Decreto Abruzzo”, con cui l’ultimo governo Berlusconi incluse il gioco del poker online e alcuni

tipi di lotterie e scommesse tra le voci di bilancio per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 2009.

“No al Casinò”: con questo slogan i militanti di “Esc” e “32”, i residenti del quartiere, i membri dei collettivi

universitari e molti semplici cittadini affezionati allo storico edificio, iniziarono l’occupazione resistendo a

tutti i tentativi di sgombero. Presto la protesta si estese al di fuori del quartiere, e intorno all’Ex Cinema

Palazzo iniziarono a gravitare attori, registi, musicisti e artisti di ogni genere: con spettacoli e mostre,

proiezioni di film e dibattiti, assemblee e feste il Palazzo è rinato, e si è affermato con forza come un bene

comune da difendere. Da oltre un anno l’occupazione prosegue, e la sua attività culturale anche.

Teatro Valle

Il 14 giugno 2011 è la volta del Teatro Valle. Il più antico teatro romano (inaugurato nel 1727) resta vittima

dei tagli al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) e della soppressione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano) che lo

gestiva. Il 17 maggio 2011 la programmazione viene interrotta in attesa di un bando europeo per decidere a

chi spetterà la gestione. Né il sindaco Alemanno, né l’assessore alla cultura Dino Gasperini sembrano in

grado di prendere in mano la situazione. Di fatto il Valle resta di competenza del Ministero per i Beni e le

Attività Culturali, guidato da Giancarlo Galan, senza che il Campidoglio si renda conto del grave rischio

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chiusura che il Valle sta correndo. Lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, mentre la situazione inizia a

precipitare e si susseguono voci circa presunte cordate di privati pronte a rilevare il teatro, al termine di

un’assemblea decidono di occupare. Si tratta, come si legge nel loro manifesto, di “Lavoratrici e Lavoratori

dello Spettacolo, cinema/teatro/danza, artisti/tecnici/operatori, stabili, precari e intermittenti che da

tempo portano avanti lotte in modo diretto ed autorganizzato contro i ripetuti attacchi al mondo dell’arte e

del sapere, contro i tagli alla cultura e per i nostri diritti!”. Gli occupanti passano la prima notte a dormire

sulle poltrone rosse o sul palco, fuori compare uno striscione che recita “Come l'acqua, come l'aria

riprendiamoci il Valle!”. Al secondo giorno di occupazione la giunta capitolina approva una delibera

presentata dall’assessore Gasperini che prevede il passaggio di competenza del Valle dal Mibac a Roma

Capitale. Ma il protocollo d’intesa, che avrebbe anche affidato al Teatro di Roma la programmazione per la

gestione 2011/2012, non piace agli occupanti, perché non garantisce nulla sul loro futuro. L’occupazione va

avanti e la battaglia per il lavoro e per la cultura, diventa una lotta diffusa, e presa a modello in tutta Italia,

per i beni comuni. Il Valle, tuttora in stato di occupazione con le significative “Permanenze”, e

culturalmente molto attivo grazie a centinaia di artisti che si sono esibiti in questo anno di occupazione,

insegna che l’autogestione di spazi culturali e il coinvolgimento attivo, e dal basso, della collettività sono

pratiche non solo utili ma spesso, come in questo caso, necessarie. Oggi il Valle occupato, che vanta 300

serate, oltre 100mila spettatori e circa 1800 artisti che si sono esibiti, si appresta a diventare Fondazione:

ad ora ha raggiunto un capitale sociale di 120mila euro raccolti grazie alle donazioni dei cittadini che,

“investendo” una quota minima di 10 euro, possono diventare soci fondatori. Per far sì che il progetto

riesca il capitale sociale fin qui raggiunto deve almeno raddoppiare, ma il Valle occupato sta dimostrando di

potercela fare.

Cinecittà Okkupata

Dopo mesi di mobilitazione, il 4 luglio scorso, i lavoratori degli storici Studios di Cinecittà hanno occupato i

locali per protestare contro il piano di dismissione di Luigi Abete, azionista di maggioranza dal 1997, e a

capo della controllata IEG (Italian Entertainment Group), che tra i suoi soci conta anche Diego Della Valle,

Aurelio De Laurentis e la famiglia Haggiag. In assoluta coerenza con la politica liberista nazionale, e

perfettamente in linea con la gestione di storici spazi dedicati alla produzione culturale a Roma, si è

permesso che un bene pubblico come Cinecittà venisse gestito da privati con nessun interesse a mantenere

ferma la missione del sito, ma intenzionati piuttosto a specularci snaturandone la vocazione.

I terreni su cui sorge il complesso di Cinecittà, erano di proprietà del ministero del Tesoro, e dati in affitto

agli stessi Studios di Abete. Nel 2011 la proprietà viene trasferita, dall’allora ministro dei Beni culturali

Giancarlo Galan, alla società Fintecna (controllata interamente dal ministero dell’Economia), a sua volta

venduta, il 15 giugno scorso, alla Cassa Depositi e Prestiti per la dismissione del patrimonio pubblico.

Su questi terreni, le mire speculative non sono mai state un mistero: nelle intenzioni di Abete, quella che in

Italia e nel mondo è ormai nota come la “Holliwood romana” dovrebbe diventare un complesso che, se da

un lato continua a fare cultura con un teatro da posa, dall’altro è da destinarsi alla costruzione di

residences, piscine, un centro benessere, un hotel, un parco divertimenti e un parcheggio della capienza di

6mila posti auto. In totale 400mila metri cubi di cemento, che spazzerebbero via per sempre un simbolo

della cultura cinematografica mondiale (attivo dal 1937), nonché il destino dei suoi lavoratori. A far parte

dell’intera filiera produttiva, nell’intero Lazio, sono a vario titolo, e con diverse competenze e

professionalità, 250mila lavoratori. Nel 2010 Abete fa entrare gli Studios di Cinecittà nel capitale della

Filmmaster Group: viene costituito un gruppo internazionale da 126milioni di euro con lo scopo di produrre

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grandi eventi, spot e fiction. L’obiettivo è quello di dar vita al “Cinecittà World”, un parco a tema, nei

terreni in cui sorgono gli Studios di Dino De Laurentis, a Castel Romano. Per la costruzione del parco – che,

come denunciano dipendenti e sindacati, probabilmente non verrà mai utilizzato per produzioni

cinematografiche - lo scorso giugno, lo stesso Abete trasferisce 50 scenotecnici sulla Pontina; altri 90, che

facevano capo alla Digital-factory vengono trasferiti alla società americana Deluxe, e stessa sorte è toccata

ad altri 6 dipendenti professionisti, indirizzati verso la Panalight. 20 lavoratori, invece, vengono licenziati in

tronco e altri 45 rischiano di restare senza collocazione. Ecco perché, lo scorso 4 luglio, i lavoratori hanno

iniziato uno sciopero della fame e occupato gli Studios, accampandosi sul tetto e nel cortile d’ingresso di via

Tuscolana. Vogliono continuare a fare il lavoro per cui sono stati formati, e a cui hanno dedicato le proprie

vite, e non essere ceduti “in affitto” per lavorare in parchi e centri benessere; e soprattutto vogliono

continuare a lavorare in uno di quei simboli che hanno fatto grande il nome di Roma e dell’Italia, Cinecittà,

che è un bene comune e che come tale va difeso a oltranza. Per il momento i lavoratori, grazie alla loro

determinazione, sono riusciti a bloccare il progetto, ma non è detto che la proprietà non torni alla carica. Le

risorse in ballo e gli interessi che ruotano attorno non autorizzano ad essere ottimisti. Quello che può

fermare gli appetiti è sicuramente l’affermazione di una politica culturale che coinvolga a tutto tondo realtà

come gli Studios.

I casi del Cinema Palazzo e del Valle, e la battaglia dei lavoratori di Cinecittà, insegnano che i due modelli -

spesso entrambi fallimentari - di privatizzazione e statalizzazione, possono non bastare nel caso di beni e

spazi comuni. La terza via è quella della progettazione e gestione collettive e partecipate, dal basso, senza

vincoli di profitto e sganciate da mire speculative. Non si può permettere che, in nome del profitto e per

una malsana gestione privata, la vita culturale romana venga progressivamente sterilizzata. Si pensi al

Teatro del Lido di Ostia, chiuso per dei lavori di ristrutturazione mai iniziati, e in realtà semplicemente

depennato dalle voci dei teatri da finanziare da parte del comune di Roma; o al Teatro 900, nel X Municipio,

che invece si è visto de-finanziare i fondi che sarebbero serviti, e in questo caso davvero, per la

ristrutturazione. Si pensi ancora allo storico cinema multisala Metropolitan, di Via del Corso, chiuso e

trasformato in un negozio d’abbigliamento; al cinema Maestoso, nel quartiere Appio-San Giovanni, che

rischia di diventare un centro commerciale. E ancora al cinema Etoile, in piazza San Lorenzo in Lucina, che è

stato di recente venduto a una multinazionale che si occupa di moda. E poi al Paris di via Magna Grecia, di

fatto dimenticato, e abbandonato a se stesso.

L’intero modello economico a cui siamo abituati va dunque ripensato. Il “Quinto Stato”, costituitosi dopo la

pubblicazione de La Furia dei cervelli di Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri, e che è in prima linea nella

difesa degli spazi culturali come quelli appena citati, proprio su questi temi, tenendo insieme cultura e

lavoro, produzione di contenuti e lavoratori, fonda la sua ragion d’essere: gestione degli spazi comuni,

processi di co-working, pratiche alternative di mutualismo, in ambito previdenziale e fiscale, per lavoratori

indipendenti o “atipici”, che nessuna riforma del lavoro prende in considerazione, se non per renderli

ancora più precari – come nel caso dell’innalzamento al 33% dell’aliquota previdenziale per le partite Iva,

previsto dalla riforma firmata Fornero. Tematiche, queste, che potrebbero seriamente entrare nell’agenda

politica di partiti e coalizioni di sinistra e centro-sinistra. E a Roma, dove la campagna elettorale è alle porte,

il Quinto Stato sta concretamente affacciandosi alla vita politica a cominciare proprio da un “Manifesto per

un’altra idea di città”, redatto pluralmente, “che possa essere una base per le lotte sul presente e sul futuro

di Roma” e che ponga “fine a trent’anni di delega in bianco, di emarginazione e di frammentazione, che

hanno fatto perdere forza ad ogni esperienza e visione realmente liberate e attive dei beni comuni,

consentendo al pubblico e al privato di farne scempio e trarne profitto ai danni di tutte e di tutti”.

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Ripensare la città oltre Alemanno, dunque, e a partire dalle lotte per i beni e gli spazi comuni, fino a fare di

Roma una capitale realmente sostenibile e fruibile.

10.

Fascistopoli

Della superba Roma è scritto il nome…

Ella un giorno morrà; ma non per voi.

Morrà pei vizi suoi,

Qual consunta morrà.

(Dalla Norma di Vincenzo Bellini)

Fascistopoli in salsa romana

Avanguardia Nazionale, MSI, Fronte della Gioventù, Nuclei Armati Rivoluzionari, Ordine Nuovo, Forza

Nuova, Terza Posizione ed oggi Casa Pound e Blocco studentesco. L’arcipelago nero della destra romana,

con Gianni Alemanno, diventa istituzionale.

Una Fascistopoli che appare in gran parte teorizzata, una profezia che si avvera e che non si fa scrupolo di

forzare norme e codici in nome di un’antica amicizia tra camerati. Alemanno, “il picchiatore con la spranga

in mano della prima ora”4, appena sdoganato definitivamente grazie all’incarico di ministro dell’Agricoltura,

4 ARRESTATO SEGRETARIO '' FRONTE DELLA GIOVENTU'''

(ANSA) - ROMA, 20 NOV 1981 –

SERGIO MARIANI 28 ANNI SEGRETARIO DEL FRONTE DELLA GIOVENTU' DI VIA SOMMACAMPAGNA, E' STATO ARRESTATO DAI CARABINIERI PER AVER AGGREDITO, CON UNA PESANTE SPRANGA DI FERRO, UNO STUDENTE UNIVERSITARIO DI 23 ANNI, DARIO D' ANDREA. INSIEME CON LUI E' STATO ARRESTATO GIOVANNI ALEMANNO, DI 23 ANNI, NATO A BARI E RESIDENTE A GALLIPOLI, PER AVER PARTECIPATO ALL' AGGRESSIONE. LO STUDENTE E' STATO ACCOMPAGNATO AL POLICLINICO DOVE E' STATO GIUDICATO GUARIBILE IN DIECI GIORNI. GLI AGGRESSORI, UN GRUPPO DI CINQUE-SEI GIOVANI, HANNO AFFRONTATO DARIO D' ANDREA, IERI ALLE 19.30 DAVANTI AL BAR '‘LA GAZZELLA'' NEL RIONE CASTRO PRETORIO DOVE, IN QUEL MOMENTO, SI TROVAVANO TRE CARABINIERI. FORSE PREOCCUPATI DALLA PRESENZA DEI CARABINIERI I GIOVANI, RINUNCIANDO AL PESTAGGIO, HANNO LANCIATO DA LONTANO, CONTRO IL D' ANDREA, LA SPRANGA DI FERRO E SONO FUGGITI.

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una volta conquistato il Campidoglio si erge a Re di Roma e come Caligola nominò il suo cavallo, il

neosindaco si circonda di suoi famigli, di suoi ex camerati, sodali in pestaggi, molti dei quali con pesanti

procedimenti penali e non tutti di origine ideologica.

I fascisti del saluto romano, delle svastiche e delle croci celtiche lasciano le sezioni e diventano colletti

bianchi della politica capitolina. Un’occupazione in piena regola fatta a suon di delibere di incarico “intuitu

personae”, in barba ad ogni regola sulle assunzione nei pubblici uffici ma giustificate dal “rapporto

fiduciario”.

Ma non si tratta solo di un clientelismo tout court, ma di una deliberata volontà di ripagare la fitta schiera

dei “fascisti” romani di decenni di militanza nelle sezioni e nelle strade anche con servizi creati ad hoc come

quello dell’arredo urbano, additato non a caso come il braccio esecutivo di Alemanno, lo stuolo incaricato

di cacciare i rom, di sgomberare manu militari occupazioni non gradite.

Alemanno appare così l’uomo in grado non solo di ricucire le fratture tra le frange della destra romana ma

fa anche da catalizzatore di esperienze di destra che trasversalmente caratterizzano Roma, dalle tifoserie

delle Curve dell’Olimpico, dai tassisti ma anche della “Roma Bene” dei Parioli e dell’Eur. Il salto è notevole.

Alcuni di loro vanno ad occupare posti chiave dell’economia romana come Riccardo Mancini, nominato

amministratore delegato dell’Eur spa.

Il Campidoglio diviene il quartier generale dei fascisti romani. Alemanno, pur con la parentesi pidiellina, non

smette di inneggiare ai nuovi valori con un intento moralizzatore. Ma il suo fare appare tutt’altro che

morale. Gli scandali sui favoritismi si moltiplicano.

La fascistopoli romana approda anche in Parlamento. Una interrogazione parlamentare presentata al

Senato il 13 dicembre 2010 da Zanda, Gasbarra, Cosentino, Ranucci, elenca numeri e nomi del fenomeno.

Gli interroganti parlano di 854 assunzioni a chiamata fatte negli ultimi due anni dall'Atac e da Trambus,

aziende municipalizzate che si occupano del trasporto pubblico a Roma.

“Le assunzioni – dicono gli interroganti - sono state fatte senza valutare i livelli di professionalità e di

preparazione in coerenza con gli incarichi assunti, ma esclusivamente sulla base dei vincoli familiari,

MENTRE UN CARABINIERE HA SOCCORSO IL FERITO, CHE ERA STATO RAGGIUNTO ALLA TESTA, GLI ALTRI DUE HANNO INSEGUITO I FUGGIASCHI E SONO RIUSCITI A PRENDERE MARIANI E ALEMANNO. NEL RAPPORTO CHE I CARABINIERI HANNO TRASMESSO ALLA MAGISTRATURA SI AFFERMA CHE, PER LE MODALITA' DELL‘AGGRESSIONE E SOPRATTUTTO PER LE DIMENSIONI DELLA SPRANGA DI FERRO, IL COLPO POTEVA ESSERE MORTALE: IL MAGISTRATO POTREBBE QUINDI DECIDERE DI INCRIMINARE ENTRAMBI PER IL REATO DI TENTATIVO DI OMICIDIO. DARIO D' ANDREA HA DETTO AI CARABINIERI DI NON CONOSCERE I SUOI AGGRESSORI E DI NON AVER MAI MILITATO IN UNA ORGANIZZAZIONE POLITICA.

SAA/DG

20-NOV-81 13:36 NNN

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sentimentali, di amicizia e di appartenenza politica con esponenti dell'amministrazione di centro-destra che

governa il Comune di Roma”.

Non è esente da questa metodologia nemmeno l’Ama. Al riguardo l’interrogazione riferisce di un analogo

sistema di chiamata diretta per "motivi familiari" all’Ama, l'azienda della raccolta dei rifiuti di Roma, dove

negli ultimi due anni e mezzo sono state assunte oltre 1.300 persone (su un totale di 7.000), delle quali solo

544 selezionate in base a test e prove.

Ma parentopoli sfocia in fascistopoli laddove si passa a considerare i nomi dei sodali di Alemanno

beneficiati. Sempre nell’interrogazione citata si afferma che “l'elenco dei nominativi - relativo a persone

assunte a vario titolo nell'amministrazione comunale e nelle società controllate dal Comune di Roma, dà la

misura della gravità e della, a giudizio degli interroganti, "arrogante" impunità con cui i vertici del

Campidoglio hanno dato vita nel corso degli anni ad un torbido sistema clientelare”.

“Nell'elenco – dicono gli interroganti - figurano ex militanti di Terza posizione, dei Nuclei armati

rivoluzionari (NAR), di Forza Nuova, di Avanguardia nazionale, nonché naziskin vicini a Gennaro Mobkel”.

“L'ex componente dei NAR, Francesco Bianco, arrestato e processato per rapine ed omicidi – commentano

gli interroganti - lavora alla sezione "NAR" (Nucleo amministrativo rimessa) dell'Atac”. “L'ex componente di

Terza posizione, Gianluca Ponzio, arrestato negli anni '80 per rapina e possesso di armi – si precisa

nell’interrogazione - è a capo del Servizio relazioni industriali dell'Atac”. Ed ancora “Riccardo Mancini, vicino

al sindaco Alemanno, processato nel 1988 insieme al leader di Avanguardia nazionale e condannato ad un

anno e nove mesi di reclusione per violazione della legge sulle armi, è a capo di Eur spa, società controllata

dal Campidoglio e dal Ministero dell'economia e delle finanze”.

La Fascistopoli romana entra anche nel mirino di inchieste giornalistiche. Dalle colonne di alcune testate on

line5, dalle opposizioni si leva la protesta su assunzioni che richiedono l’intervento della Magistratura e

della Corte dei Conti. Ma Alemanno va, imperterrito per la sua strada. Rimpasta la sua giunta ma mantiene

fede con gli impegni presi con i suoi camerati. E la “presa di Roma” continua. Fino, addirittura, a

istituzionalizzare figure come quella di Maurizio Lattarulo, già braccio destro di “Renatino” De Pedis capo

della Banda della Magliana. E così anche la criminalità organizzata entra in Campidoglio.

Un sistema politico che si muove compatto che appoggia il “sacco di Roma” dei palazzinari e che vorrebbe

svendere il patrimonio Acea. Roma, intanto, è svilita sempre di più da episodi di intolleranza e di vero

squadrismo.

Sono centinaia gli ex fascisti che si sono sistemati grazie ad Alemanno. È andata bene anche per i loro

familiari. Tanto che l’amministrazione Alemanno è chiamata in causa anche per la diffusa parentopoli che

ha attuato con l’assunzione di “figli di”, “sorelle di”, “generi di” e quant’altro. Non solo quindi un “ripagare”

gli ex camerati di cortei e manifestazioni ma un più ampio sistema clientelare, tipico della Balena Bianca da

Prima Repubblica.

5 http://www.linkiesta.it/gianni-alemanno

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Chi non è assunto all’Atac o all’Ama può sempre trovare posto nella Fondazione Italia. “Nel caso della

Nuova Italia del sindaco – riporta un articolo di Alessandro Fioroni6 - del sindaco esiste uno schema

parallelo a quello di parentopoli: ecco allora amici influenti, parenti vicini e lontani, sodali della vecchia

militanza politica da collocare”.

Il libro nero di Alemanno

A fare un po’ di numeri è Ella Baffoni ne “Il libro nero di Alemanno”. Dal 2008 al 2010 i dipendenti capitolini

crescono di 3.500 unità. Almeno 50 i consulenti chiamati con contratto a tempo determinato, 25 gli addetti

all’ufficio stampa.

“Nel 2010 – scrive Baffoni – Atac, Ama e Acea contavano 27.479 dipendenti, 2.637 in più rispetto al 2008.

Risorse per Roma si gonfia passando a 565 unità contro le 227 del 2008. “Procura della Repubblica e Corte

dei Conti – scrive ancora Baffoni – hanno aperto le indagini a fine 2010 su 854 assunzioni a chiamata diretta

– cioè senza concorso – avvenute negli ultimi due anni”.

Una occupazione in piena regola, una “presa di Roma” di cui parla anche Daniele Autieri ne "Alemagno,

Imperatore di Roma". “Oltre tremila persone - tutti parenti e amici di politici, affaristi ed ex-fascisti hanno

trovato posto nelle società del Comune di Roma. A tirare le fila di questo esercito variegato, un ristretto

gruppo di fedelissimi, stretti a Gianni Alemanno da un legame di rispetto e fede politica, che il sindaco ha

ricompensato offrendogli la testa della città.

“Seguendo l’imperativo «Adesso tocca a noi!» - scrive Autieri - un nuovo potere si è formato, forte

dell’inatteso consenso elettorale. E si è rafforzato nel tempo fino a ottenere quello che i figli della destra

storica sognavano da anni: Roma”.

In questa Fascistopoli romana tre casi risultano emblematici:

Antonio Lucarelli (47 anni): oggi è capo della segreteria del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Nel 2000 è

stato portavoce di Forza nuova, il movimento fondato nel 1997 dai latitanti Massimo Morsello, ex

esponente dei Nuclei armati rivoluzionari, e Roberto Fiore, ex Terza posizione. È finito sulle cronache dei

giornali all’epoca dei sit in a favore del fascista austriaco Haider e dei cortei contro il “gay pride”. Più

recente il suo sgambetto ad una manifestante durante le proteste nell’aula Giulio Cesare per la svendita

Acea.

È stato additato inoltre per lo scandalo dei Punti Verdi Qualità: nel 1995 Lucarelli è consigliere al V

municipio e con i cugini costituisce la Mondo Verde sas, che sotto la giunta Rutelli otterrà due terreni: la

Torraccia e Nomentano San Basilio. La Mondo Verde sas passa poi di mano: diviene prima amministratore

6 *agenzia italiana multimediale link: http://www.agenziami.it/redazione.php

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Silvio Fanella e poi Fabrizio Moro, amico di Lucarelli. Il capo segreteria di Alemanno non si sarebbe esentato

dal partecipare a riunioni ed audizioni dando disposizioni sui progetti da far passare o meno. A puntare il

dito direttamente su di lui è stato il consigliere del Pd Enzo Foschi, che sulla vicenda Punti Verdi aveva

presentato un esposto alla Magistratura 7. Lucarelli ha sempre smentito il suo coinvolgimento. È il 19

maggio 2008 quando la giunta capitolina all’unanimità approva la deliberazione n.94 che affida a Lucarelli

l’incarico di capo della Segreteria del sindaco. “Avuto presente il carattere fiduciario delle funzioni da

svolgere all’interno dell’Ufficio di Staff, nonché la derivante responsabilità e necessaria disponibilità, la

scelta dell’interessato non può che avvenire sulla base dell’intuitu personae”. Un fedelissimo quindi. Più

vicino alle passioni giovanili di estrema destra di Alemanno che di quelle pidielline. Per il camerata Lucarelli

un incarico da euro 78.098,60 annui lordi8.

Riccardo Mancini (53 anni): tra i fedelissimi della prima ora di Alemanno va senz’altro annoverato Riccardo

Mancini, ex Avanguardia nazionale, presidente di Eur spa fino al 25 gennaio 2013 giorno in cui si è dimesso,

dopo l’arresto di Francesco Ceraudo, già amministratore delegato di Breda Menarinibus, per una presunta

tangente che sarebbe stata versata allo stesso Mancini per un appalto di acquisti di 45 bus destinati alla

linea Eur-Laurentina-Tor Pagnotta. Il 26 settembre 2012 nell’ambito della stessa inchiesta della Procura di

Roma (pubblico ministero Paolo Ielo) il suo ufficio era stato perquisito. A febbraio scorso nel corso di alcuni

interrogatori Mancini ha ammesso di aver ricevuto una “donazione” di 60mila euro, dopo l’acquisto dei

bus. Il 25 marzo 2013 Mancini è stato arrestato con l’accusa di “aver incassato – riferisce un articolo di

Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera del 26 marzo 2013 - una tangente da 500mila euro nel 2009 per

pilotare l’appalto sui filobus di Roma per assegnarlo alla Breda Menarini. E di aver gestito – prosegue

Sarzanini – una “provvista pari a un milione e 200mila euro destinata “alla corruzione dei pubblici ufficiali

nell’ambito dei rapporti sulle opere di trasporto e mobilità del Comune di Roma”.

Alemanno dopo l’arresto di Mancini ha commentato a caldo sul suo blog9: “non ho mai interloquito – scrive

Alemanno - con dirigenti e/o uomini di fiducia di Finmeccanica in merito ad alcun appalto, né mai si è svolta

alcuna cena, alla quale abbiano preso parte il dottor Ceraudo e l’ingegner Mancini con il sottoscritto,

avente per oggetto la medesima materia”. Una presa di distanza del primo cittadino da Mancini, definito

dalle cronache “il suo braccio destro”, amico della prima ora di Alemanno. Mancini è stato uno dei

principali finanziatori della campagna elettorale del 2006 e tesoriere di quella del 2008.

7 http://affaritaliani.libero.it/roma/foschi-pd-accusa-alemanno-sapeva-ma-non-ha-fatto-nulla-27032012.html 8 Così la deliberazione citata: “LA GIUNTA COMUNALE per i motivi di cui in narrativa, delibera:

di autorizzare l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell’art.90 del D.Lgs. n. 267/2000, nonché degli artt. 7 e 8 del Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e Servizi del Comune di Roma, con il Sig. Antonio Lucarelli C.F.: LCR NTN 65E04H501I – con allineamento al trattamento economico corrispondente a quello dei dipendenti comunali ascritti nella categoria D – posizione economica D1 – prevista dal vigente C.C.N.L. per il personale del comparto Regioni-Autonomie Locali pari ad Euro 22.098,60. Detto compenso, in relazione alla complessità e delicatezza dell’attività di Capo della Segreteria che lo stesso sarà chiamato a svolgere, nonché della peculiarità e gravosità del suddetto incarico, sarà integrato, ai sensi di quanto previsto dal citato art. 90 – comma 3 – del D.Lgs. n. 267/2000, da una indennità “ad personam” annua onnicomprensiva pari a Euro 56.000,00 per un importo complessivo annuo lordo quantificato in Euro 78.098,60. 9 http://duepuntozero.alemanno.it/2013/03/27/filobus-non-mi-faro-condizionare-da-illazioni.html

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Nel 1988 Mancini venne processato insieme a Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher per la ricostituzione

della prosciolta Avanguardia nazionale e condannato ad un anno e nove mesi di reclusione per violazione

della legge sulle armi. Da giovane era stato amico di Massimo Carminati, tra i fondatori dei Nar e esponente

di spicco della Banda della Magliana. Nel 2006 ai funerali di Peppe Dimitri, già di Avanguardia nazionale, poi

di Terza Posizione (nonché consulente del ministro Alemanno) Mancini organizza il corteo d’onore del

feretro portato a spalla anche dal futuro sindaco di Roma.

Mancini oltre che presidente di Eur spa è stato amministratore delegato di Eur Facility, di Eurtel, presidente

di Aquadrome, di Eur Power e consigliere della Marco Polo.

“Tra i due – scrive Autieri in “Alemagno Imperatore di Roma” (Aliberti Editore) - c’è un legame atavico che

risale ai tempi in cui Gianni Alemanno era il leader del Fronte della Gioventù e Mancini un semplice

dirigente. Un sodalizio che si è rafforzato nel tempo… una fiducia incondizionata che il sindaco ha

ricompensato consegnando nelle mani dell’imprenditore le chiavi dell’Eur, il quartiere simbolo per i fascisti

di un tempo”, Giusva Fioravanti compreso.

Maurizio Lattarulo: ex esponente dei Nuclei armati rivoluzionari e già appartenente alla Banda della

Magliana con strettissimi contatti con il capo “Renatino” De Pedis, è conosciuto anche come “Provolino”.

Ha ottenuto un incarico di consulente per l’assessorato alla Politiche Sociali che l’assessore Sveva Belviso ha

giustificato qualificandolo come reintegro lavorativo di ex detenuti. La delibera di incarico 226 del 2008

sottolinea – come già accaduto per Lucarelli – “avuto presente il carattere fiduciario delle funzioni da

svolgere all’interno dell’Ufficio di Staff dell’Assessore preposto alle Politiche Sociali e Promozione della

Salute, On.le Sveva Belviso, nonché la derivante responsabilità e necessaria disponibilità, la scelta non può

che avvenire intuitu personae”. L’ordinanza del magistrato Otello Lupacchini sulla Banda della Magliana cita

Lattarulo 90 volte anche con funzioni di autista di Renato De Pedis, di gestore di sale giochi e di usura.

“La sua presenza fu spesso attestata, insieme a quella degli stessi De Pedis e Nicoletti – ha detto Lupacchini

a Panorama - presso la sede della società Alecar in via Celimontana 38, abituale luogo di ritrovo dell'ala

testaccina della Banda, e centro, come hanno fatto emergere le indagini dei carabinieri del Ros, di una serie

di attività di riciclaggio da parte dei Nar a favore della stessa Banda della Magliana”. L’uomo era stato

arrestato in compagnia di Carminati nell'ambito dell’inchiesta sui Nar. Lattarulo era stato inoltre fermato il

28/09/1981, per gli scontri di Centocelle durante il primo anniversario della strage di Acca Larentia. Dopo le

polemiche nel 2010 Lattarulo lascia l’incarico al Comune di Roma. Al momento gestisce un ristorante.

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11.

La Roma nera di Alemanno

Il percorso della destra sociale

Lo sdoganamento delle organizzazioni di estrema destra nel tessuto sociale e politico della città di Roma ha

origini non recentissime, anche se è sotto la giunta Alemanno che il neofascismo romano compie il

definitivo salto di qualità, sia sotto il punto organizzativo che sotto quello più prettamente politico.

La riorganizzazione della galassia dell'estrema destra romana era evidente già nel periodo a cavallo tra il

2002 ed il 2004, quando si avviava un primo ciclo di inedite occupazioni di destra, sia a scopo abitativo che

politico (l'unico precedente era rappresentato dalle isolate esperienze di "Bartolo" e "Porte Aperte" negli

anni '90).

Ad inaugurare questo nuovo ciclo di "occupazioni non conformi", come amano definirle gli stessi camerati,

era "Casa Montag", prima esperienza guidata da Gianluca Iannone, ex esponente del "Fronte della

Gioventù" di Acca Larentia e poi del "Movimento Politico" (organizzazione neofascista disciolta nel 1993 in

seguito dell'entrata in vigore della Legge Mancino). L'occupazione dello stabile sito in via Tiberina, avvenuta

nel luglio 2002, da il via ad un processo di riorganizzazione del neofascismo romano che, attraverso

l'emulazione dell'esperienza dei "centri sociali", luoghi di socializzazione giovanile e lotta politica

appartenente alla tradizione della sinistra italiana, prova a sdoganare e diffondere i valori del neofascismo,

specie tra i più giovani.

Che la mutazione in atto in quegli anni non abbia lasciato indifferente l'area della "Destra Sociale" di

Alleanza Nazionale, di cui Gianni Alemanno era leader indiscusso, lo dimostra la nascita di "Foro753",

occupazione sorta nel settembre del 2003 all'interno di alcuni locali siti in via Capo d'Africa al Celio. Si tratta

della risposta della "ala dura" di AN alle occupazioni non conformi, ma è anche luogo di "riutilizzo" per

vecchi camerati degli anni '70 non più presentabili agli occhi dell'opinione pubblica, nonché luogo di dialogo

e contatto con la galassia della destra più irriducibile.

"Foro753" ha ufficialmente rivendicato in più occasioni la sua autonomia da AN, sfiorando non di rado il

ridicolo dal momento quasi tutti i dirigenti dell'organizzazione avevano la tessera del partito di Fini e

Alemanno in tasca, ricoprendo talune volte anche incarichi di rilievo in ambito istituzionale o di partito.

All'inaugurazione della sede al Celio intervengono rappresentati delle organizzazione di estrema destra

"Forza Nuova", "Fiamma Tricolore", "SPQR Skinheads", nonché alcuni esponenti della destra eversiva degli

anni di piombo come Rutillo Sermoni, uno dei fondatori di "Ordine Nuovo".

Lo sdoganamento di CasaPound

Nel dicembre del 2003 alcuni militanti di estrema destra capitanati da Gianluca Iannone occupano un intero

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palazzo in via Napoleone III, all'Esquilino. È la sede nazionale di "CasaPound Italia", luogo destinato a

diventare in breve tempo punto di riferimento per il neofascismo romano e nazionale.

Sono questi gli anni in cui si verificano una serie impressionante di episodi di "squadrismo politico" come

non se ne vedevano da decenni nella Capitale: aggressioni a studenti di sinistra, attentati a sedi di partito e

centri sociali diventano episodi quasi quotidiani, nell'indifferenza dei principali media e delle stesse forze

dell'ordine che non di rado liquidano i gravi episodi come semplici "risse" o "guerre" tra bande di

estremisti.

Che negli ambienti della Roma democratica non fosse stata pienamente compresa la gravità del fenomeno

lo dimostra l'assegnazione, da parte del Comune di Roma guidato dall'allora Sindaco Walter Veltroni, di

nuovi locali per l'associazione "Foro753", che aveva visto sgomberare la propria sede al Celio nel giugno del

2005. Il Comune di Roma assegnava ai giovani della "destra sociale" una nuova sede in via Beverino 49, in

zona Boccea nel tentativo, tutto interno alla logica della "pacificazione sociale" di stampo veltroniano, di

poter "normalizzare" parte di quella destra radicale ritenuta compatibile con una dialettica "democratica" e

con una visione "post-ideologica" della politica cittadina. I fatti gli daranno torto appena pochi anni più

tardi, quando alcuni militanti della stessa organizzazione vengono citati in giudizio, con processo tutt'ora in

corso, per aver aggredito due studenti di sinistra a suon di caschi e bastoni all'interno della Facoltà di

Scienze Politiche di Roma Tre, il 16 marzo del 2009.

Nell'aprile del 2008 Gianni Alemanno viene eletto a Sindaco della Città di Roma e CasaPound,

probabilmente rassicurata dalla presenza in Campidoglio di un primo cittadino con la croce celtica al collo,

rilancia con decisione la propria attività politica nella città: il laboratorio politico del neofascismo romano,

punta di diamante e modello da imitare per i camerati di tutto lo stivale, compie un netto salto di qualità

grazie ad una sempre negata, ma comprovata dai fatti, "intesa" con gli ambienti che contano

dell'amministrazione capitolina.

Nel 2009 CasaPound Italia occupa uno spazio dentro la stazione abbandonata Olimpico/Farnesina,

denominandolo "Area19". Lo spazio, grazie ad una spregiudicata operazione di marketing, diventa

"Stazione Nord", un locale alla moda per i giovani della Roma bene. Il nuovo "giocattolo" di Iannone e soci

riceve una pioggia di finanziamenti dal Campidoglio, che inserisce alcuni suoi eventi all'interno della

manifestazione "Estate Romana".

‘Il Popolo di Roma’ da Alemanno a Storace

Sempre nel 2009 fa la sua comparsa a Roma un nuovo movimento di estrema destra, denominato "Il

Popolo di Roma". Si tratta di una corrente giovanile completamente organica alla destra romana del Pdl,

che affida l'operazione alla new entry Giuliano Castellino: ex Forza Nuova, ex Fiamma tricolore, ex Base

Autonoma di Boccacci ed ex compare di Iannone nella primissima fase delle "occupazioni non conformi".

Castellino e la sua corrente hanno poi abbandonato recentemente Alemanno per approdare a "La Destra"

di Francesco Storace.

Il 22 ottobre del 2010 Casapound organizza un'iniziativa pubblica nella prestigiosa e centralissima cornice di

Ponte Milvio, promuovendo una giornata che si conclude con un concerto gratuito della band nazi-rock

"Zetazeroalfa". La locandina dell'evento riporta il logo di "Roma Capitale", che sembrerebbe patrocinare

l'evento, ma Alemanno non fornirà mai esaurienti spiegazioni sul perché il Comune abbia offerto il proprio

logo per il concerto di un gruppo musicale che inneggia al ventennio.

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Nel maggio del 2011 il Comune di Roma assegna alla cooperativa "Isola della tartaruga onlus", legata a

doppio filo con Casapound, la tenuta di Redicicoli, comprendente un doppio casale circondato da tre ettari

di terreno nel cuore del Parco della Marcigliana, a due passi da Porta di Roma.

L'ultimo regalo della giunta Alemanno ai "fascisti del terzo millennio" è forse il più clamoroso: nella scorsa

primavera la giunta capitolina approva il piano d'investimenti 2012-2014, dove spunta a sorpresa l'acquisto

della sede nazionale di Casapound in via Napoleone III, attualmente in stato di occupazione, per una spesa

complessiva di oltre 11 milioni di euro di denaro pubblico.

Dossier Alemanno

Indice

Prefazione 2

Nota Introduttiva 5

Bilancio 6

Sulla testa di ogni cittadino di Roma pende…

I balzelli del Campidoglio

Nelle pieghe di qualche cifra

L’odioso sistema di prelievo sulle rette per le mense scolastiche

L’Ars funambolica del sindaco: la proposta dello scorporo AMA

Urbanistica 11

Mai così in basso

Roma non ha bisogno di cemento

Le 64 delibere

Ambiti di riserva/housing sociale

Gli ambiti di riserva nei Municipi

a) Centralità Romanina

b) Acquafredda

c) Ex Velodromo (Eur)

d) Rimesse Atac

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e) Mercati rionali

Remunerazione nel breve periodo

Housing sociale

Tor Bella Monaca, il progetto folle che consuma altro territorio

La dismissione delle caserme

Decentramento 21

Si scrive Municipio, si legge colonia

I ritardi della Città metropolitana

Trasporti e viabilità 23

Poteri speciali sulla viabilità, per stare peggio di prima

Atac: esternalizzazioni, tangenti e sprechi: il bilancio in rosso lo pagano lavoratori e cittadini

Parentopoli

No Pup

Viabilità e traffico

Rifiuti 35

Quadro generale

Malagrotta l’ottavo colle di Roma

La gestione dell’AMA

Un processo per Manlio Cerroni

Sicurezza e legalità 46

La sicurezza cavallo di battaglia di Alemanno

La ricetta “mando l’esercito”

Qualche dato sul fallimento

La mafia a Roma

Roma, quinta città più pericolosa d’Italia

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Perché Alemanno non è l’uomo giusto

Servizi sociali 53

La macelleria sociale di Alemanno

Tagli indiscriminati

Duplicazioni mangia risorse

I numeri dei senza fissa dimora

Rom 56

Continuità con le amministrazioni precedenti

Quattro anni di attuazione sconsiderata

Le buone pratiche sono possibili

“L’integrazione delle comunità Rom, una sfida per la città”

I dati

L’esperienza dei Campi Rom

L’inserimento scolastico

Il lavoro

Lavoro per i giovani

Cittadinanza

Gli errori della Giunta Alemanno

Superare i campi per una nuova fase di integrazione

Cultura 65

L’azzeramento della cultura

Cinema Palazzo

Teatro Valle

“Cinecittà okkupata”

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Fascistopoli 71

Fascistopoli in salsa romana

Il libro nero di Alemanno

La Roma nera di Alemanno 77

Il percorso della destra sociale

Lo sdoganamento di CasaPound

‘Il Popolo di Roma’ da Alemanno a Storace

Lista autori

Isabella Borghese

Cultura

No Pup (in Traporti e viabilità)

Francesca Casafina

Rom

Roberta Cecili

Social Housing (in Urbanistica)

Nicola Gesualdo

Collaborazione a “Rifiuti”

Claudio Graziani

responsabile immigrazione di Arci Roma e Lazio

“L’integrazione delle comunità Rom, una sfida per la città” (Intervento in Rom)

Francesco Guido

Sicurezza

Adriano Manna

La Roma nera di Alemanno

Luigi Mazza

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Atac: esternalizzazioni, tangenti e sprechi: il bilancio in rosso … (in Trasporti e Viabilità)

Mazzette e false fatture … (in Trasporti e Viabilità)

Che ne pensano … (in Traporti e Viabilità)

Aumenti biglietti … (in Trasporti e Viabilità)

Cultura

Marco Piccinelli

Tor Bella Monaca (in Urbanistica)

Elio Romano

La dismissione delle caserme (in Urbanistica)

Fabio Sebastiani

Nota introduttiva

Urbanistica

Decentramento

Bilancio

Rifiuti (curatore)

Trasporti e viabilità (curatore)

Asili Nido (in Servizi Sociali)

Michele Trotta

Collaborazione a “Rifiuti”

Grazia Rosa Villani

Fascistopoli

Servizi Sociali

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