Don Chisciotte 50, febbraio 2012

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LA DIVERSITÀ DISEGNA IL MONDO AltreTele, l’esposizione di AltreMenti Il Don Chisciotte L’altra informazione a San Marino febbraio 2012 numero 50 Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino spazio riservato all’indirizzo VISITATE, DIVULGATE E VOTATE SUI SOCIAL NETWORK IL SITO WWW.ALTREMENTIFESTIVAL.ORG

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In questo numero – Roberto Ciavatta: “Ancora senza soldi… vi chiediamo aiuto!” Davide Tagliasacchi: “Dentro la psichiatria”; Pietro Masiello: “Sviluppo economico e democrazia”; Oasiverde: “L’anno internazionale dell’energia sostenibile”; Angelica Bezziccari: "Il mondo dei ragazzi normali”; ACDC: “La diversità disegna il mondo”; Stefano Palagiano: “Favorisca i documenti”; Elena Guidi: “Nella trappola del giudizio”; Aforisma di Vladimir Il’ič Ul’janov (Lenin).Il Don Chisciotte è il mensile dell'Ass. Don Chisciotte di San Marino.

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Spedizione in abbonamento postale per l’interno.Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino

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2Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 2Attualità

La crisi c’è eccome, e con un poco di presunzione Altre-

Menti festival è stato il primo, se non l’unico evento culturale a parlarne a San Marino quan-do tutti minimizzavano.Molti non intuiscono l’entità di questa crisi: se ne accorgeran-no, forse tardi, e noi saremo cassandre, e le cassandre rice-vono solo insulti.Nonostante questa crisi vedo sprechi immani. Direttori di PA (ne parlerò a breve) spendac-cioni ed incapaci proprio ora, che ci sarebbe bisogno di gen-te oculata e con le palle.Paraculi politici che come sem-pre, né più né meno, vengono spostati da un posto all’altro della P.A. (parlerò, anche di questo, a breve) mantenendo livelli da nababbi: incapaci, fan-nulloni ma ricchi sfondati.E vedo lo Stato finanziare a piene mani eventi di dubbio interesse, spesso ad impre-se lucrative o associazioni di facciata, meglio se con gestori inseriti ad arte in politica: i finanziatori finanziano i finan-ziati, in un cortocircuito che in periodi come questi, in cui alla gente si chiedono sacrifici, addizionale IGR, decurtazioni sulle pensioni a 1500 euro al mese (uno schiaffo confrontato agli stipendi pubblici da €5000 a gente che meriterebbe solo calci in culo)... tutto questo scialacquare ascia esterrefat-ti, perché pare che chi nulla comprende di questa crisi sia proprio chi sarebbe chiamato a risolverla.

In questo paese, in cui la mag-gioranza crede di superare ogni crisi paraculandosi un po-litico, a cui far scopare anche la moglie se serve a frodare al prossimo posti in graduatoria, assunzioni pubbliche, edifica-bilità di lotti... in questo paese è passata l’idea che in cambio di un favore si può e deve la-sciar sperperare i nostri soldi a quegli stessi politicanti, zitti e attenti a non denunciare nulla.Perché questo è il paese in cui, al di là dei proclama pubblici di lotta alla mafia, la mentalità mafiosa ed omertosa sono impressi nei geni della citta-dinanza e soprattutto della classe dirigente, politica, della pubblica amministrazione, di buona parte dell’imprenditoria parassitaria vissuta e prospera-ta di furti al pubblico interesse; questo è il paese della cor-ruzione, altro che palle, e noi gente corrotta!Di conseguenza non importano merito e capacità, ma racco-mandazioni e parentele; non il valore di un evento, ma se chi lo organizza sta al gioco o denuncia.In una Segreteria di Stato di questo paese comanda un costruttore; il Segretario è solo una ridicola comparsa.Scagnozzi e parenti del co-struttore siedono in diversi consigli d’amministrazione, gestendo montagne di soldi.Compito di qualsiasi associa-zione che voglia dirsi culturale dev’essere denunciare queste situazioni, ma come scritto sia-

mo nella situazione per cui, se si fa uno sgambetto a questo “imprenditore”, neppure più la politica sostiene le tue iniziati-ve, per quanto meritevoli; nep-pure più gli sponsor privati, che non vogliono mettersi contro chi pilota in tal modo appalti e denari a fiumi.In queste condizioni, AltreMenti festival, l’evento culturale più importante che San Marino ab-bia mai avuto, si trova a poco più di un mese dalla sua inau-gurazione, a non poter contare su nulla. Decine di migliaia di euro gettate a mare per caz-zate vergognose e AltreMenti, dopo 5 mesi, neppure riesce a comunicare con le Segreterie di Stato, e quelle che ci ave-vano ricevuto sono scomparse nel nulla, nessuno si interessa di perdere un’occasione di ri-lancio dell’immagine del paese di cui in questo periodo ci sa-rebbe così grande bisogno.AltreMenti festival, che quest’anno ospiterà i più impor-tanti nomi internazionali come Serge Latouche, Marc Augé, Farian Sabahi, Giulio Giorel-lo, David Riondino, Ignazio Marino, Mariano Loiacono, Francesco Gesualdi, Daniele Garrone, Delia Vaccarello, David Anzalone... AltreMenti festival al momento, dopo aver incontratro, tra agosto e settembre, le Segreterie per il Lavoro, l’Industria, il Turismo e l’Istruzione, e nonostante abbia provato a richiamarle più e più volte in seguito (e solo la Segreteria per l’Istruzione

si è fatta trovare) ad oggi è finanziata dallo Stato con €0! Un solo finanziatore in tutto, la Fondazione San Marino - Cas-sa di Risparmio, per comples-sivi 2500 euro!E siamo ancora una volta, l’ul-tima, a chiedere sostegno a voi lettori per sopravvivere, a voi gente perbene che questi politicanti che vivono di ripic-che e colpi bassi non vorrebbe più vederli tra i piedi, nella certezza che dal 2013 Altre-Menti non sarà più in questa San Marino che getta badilate di soldi nel nulla più totale, affinché se li spartisca qualche coglione che ingoia ogni nefan-dezza, piuttosto che iniziative economiche ma prestigiose che, facendo bene al paese, rischierebbero però anche di dar ragione a chi, maledicendo questo stato di cose, continua a denunciare i colpevoli che condurranno il paese alla malo-ra, chi col sorriso sulle labbra, chi con ancora sulla lingua il sapore dei culi leccati per rice-vere favori irrisori in mezzo al nulla creato.Ciò che più lascia perplessi è il fatalismo con cui la popola-zione di questo paese ha finito per credere normale accettare ogni schifezza. Fosse stata scritta una riga da chi ci segue per condannare l’ostruzionismo politico nei nostri confronti.Ma forse il paese è questo, noi solo pecore nere. Se questo è il prezzo, lo paghiamo e toglia-mo il disturbo.

R.C.

ancora senza soldi... vi chiediamo aiuto!

L’editoriaLe

AltreMenti festival paga la franchezza verso la politica. Vi chiediamo di sostenerlo per l’ultima volta, poi lo trasferiremo completamente a Rimini.

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2 3www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org2 Appunti di psicologia

Ritengo opportuno, per approfondire le origini

dello studio dell’uomo dal punto di vista psicologico, analizzare anche come siano nate le case che l’uomo stesso ha creato per separare e dividere gli “elementi” che riteneva disturbati e di cui non ne comprendeva gli atteggiamenti.La psichiatria ha origine proprio con l’istituzione dei manicomi, fra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘800, nel periodo in cui prendevano forma gli stati moderni: in quel momento la follia, sotto la cui denominazione erano raggruppate problematiche sanitarie e sociali molto diverse tra loro, inizia a ricadere dentro la competenza di una nuova specializzazione medica che prenderà appunto il nome di psichiatria. La sua costituzione e il conseguente sviluppo è strettamente legato alla storia degli istituti preposti a contenere la “non ragione”. Nel 1676 in Francia, un editto prescrisse di organizzare in tutte le città, attività analoghe a quelle svolte nel grande Hopital General di Parigi, che a partire dal 1657, al suo interno, ammassava “disoccupati, individui politicamente sospetti, eretici, alcolisti, pazzi, idioti, stravaganti”; in sostanza tutti quei soggetti che turbavano l’ordine sociale perché incapaci di entrare nei nuovi meccanismi di produzione alla base del nascente sviluppo economico. Ad un certo punto si pensò di separare i cosiddetti “folli” da tutti coloro i quali venivano ritenuti “scarti della società”: l’astro più visibile della psichiatria nascente era Philippe Pinel, che rimarrà noto in particolare per “aver liberato i folli dalle catene”, inaugurando la stagione del trattamento medico della follia.Pinel, persona dai molteplici interessi, nel 1793 venne incaricato di dirigere l’asilo

di Bicetre di Parigi: qui si trovavano rinchiuse persone trattate come bestie, esposte a individui disposti anche a pagare per guardare quel tragico spettacolo. Appena arrivato, Pinel decise di liberare gli alienati dalle catene: questa nomina cambierà radicalmente la storia della psichiatria e soprattutto di coloro che da quel momento in poi vivranno la tragedia dei manicomi.La figura dell’infermiere psichiatrico: il padre di codesta professione si chiama Jean-Baptiste Pussin, un conciatore di pelli che, ammalatosi di tubercolosi, venne internato a Bicetre; dopo la guarigione vi rimase per assistere i folli, senza avere alcuna preparazione specifica. All’arrivo di Pinel, questi rimase impressionato dai metodi di Pussin, tanto da divenirne il principale collaboratore e sottoposto.Pinel stabilì così le principali linee guida dei comportamenti, atteggiamenti nonché ruoli, che

perdureranno all’interno dei manicomi: ripeteva di continuo ai suoi allievi di scrivere tutto quello che vedevano al letto del malato e di registrare l’intero decorso della malattia.I risultati del suo imponente lavoro furono raccolti nel testo del 1798 “Nosografie Philosophique”: da essi ne trasse la conseguenza che l’origine delle malattie mentali è da ricercarsi nella sfera emotiva: di fronte a situazioni che possono mettere alla prova l’emotività e l’immaginazione, come lutti, separazioni o abbandoni, alcuni esseri dotati di sensibilità abnorme, si smarriscono, per produrre reazioni incontrollabili e comportamenti esagerati. Così egli scrisse a riguardo:“… il trattamento morale deve consistere nell’arte di soggiogare e per così dire di domare l’alienato ponendolo nella stretta dipendenza di un uomo che attraverso le sue qualità fisiche e morali e l’applicazione continua

dei principi della più pura filantropia, sia in grado di esercitare su di lui un impero irresistibile e di cambiare la catena delle sue idee”.Da una parte c’è dunque il malato colpevole della sua follia, dall’altra lo psichiatra che lo deve soggiogare e domare: la scena dove questo intervento terapeutico si può applicare è il manicomio, in cui si definisce l’iniquo rapporto tra medico e paziente e si può attuare con efficacia il trattamento morale perché è possibile isolare i folli.Come una vera e propria epidemia, la diffusione degli ospedali psichiatrici ha la caratteristica e la prepotenza della colonizzazione: la psichiatria impone ovunque la stessa lingua, reiterando i propri modelli conoscitivi a chiunque passi sotto le sue regole. La macchina dell’internamento non fece ovviamente eccezione nemmeno in Italia, che fra gli ultimi decenni del ‘800 ed i primi del ‘900, vide incrementare la popolazione manicomiale italiana da circa 12000 persone nel 1874, a 54000 nel 1914.La motivazione con la quale il malato mentale entrava in manicomio si basava sul principio della tutela e della difesa del sano di fronte alla follia e dove il malato aveva un ruolo puramente negativo, il rapporto con le istituzioni si svolgeva secondo il criterio “pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo”.Al giorno d’oggi la situazione è un po’ cambiata: grazie alla legge Basaglia, i manicomi sono stati chiusi e la concezione di malattia mentale è stata rivista secondo criteri neuronali. Vien da domandarsi però se quel po’ di cambiamento sia stato sufficiente per considerare il malato mentale semplicemente per come dovrebbe: una persona che soffre.

di Davide Tagliasacchi

dentro la psichiatriaBreve storia dei manicomi

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4Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 4

Nel 1992 usciva il libro di Francis Fukuyama1, nel

quale il docente universitario di Washington profetizzava la fine della Storia, dato che dopo la caduta dei nazifasci-smi e più recentemente del sistema comunista, la demo-crazia ed il libero mercato avevano praticamente strada libera per affermarsi ovunque e come nelle migliori favole

avrebbero fatto vivere l’umani-tà “felice e contenta” negli anni a venire.Ma aldilà delle favole utopi-stiche sappiamo che in ge-nere lo sviluppo economico si accompagna a regimi che possiamo definire democratici. Accanto a questa interrelazio-ne fin troppo evidente occorre tenere presente che questa idea viene sconfessata da una

realtà economica oramai am-piamente globalizzata, nella quale si delineano scenari dal-le caratteristiche singolari non facilmente etichettabili nella relazione sopra enunciata.È stato giustamente rimarcato come “essere democratici non sembra così importante nell’assicurare successo economico”2

Nel 2010 dai dati pubblicati

dal sito Freedom House su 35 paesi marcatamente autoritari ben 11 hanno tassi di crescita superiori al 7% e 2 (Etiopia e Birmania) hanno raggiunto percentuali superiori al 10 %. Crescono anche i paesi a de-mocrazia non proprio estesa come la Cina che conserva tassi di crescita a due cifre oramai da vari anni.Ma che cosa definiamo esatta-mente con la dizione “demo-crazia”?Usiamo la definizione del professor Sartori: “sistema politico caratterizzato dalla esistenza di partiti politici che competono, in cui la mag-gioranza rispetta i diritti delle minoranze ed esistono isti-tuzioni che limitano il potere del governo e ne accertano le responsabilità”.Alla luce di questa sintesi è palese però come si abbia sviluppo sia nei paesi demo-cratici sia in paesi autoritari a vario titolo, e che spesso nei paesi sottosviluppati lo sviluppo a tassi sostenuti è dovuto quasi sempre al bas-sissimo livello di partenza.Esemplare è lo Zimbabwe, paese africano sotto dit-tatura ma con un tasso di crescita nel 2010 pari al 9%. È un paese in piena crisi sociale e umanitaria, ove folle di persone muoiono per de-nutrizione o scarse cure sani-tarie, con un dittatore che tra-scorre il suo tempo a sedare tutti i tentavivi di insurrezioni delle opposizioni e dove la

maggior parte della ricchezza prodotta alimenta quasi esclu-sivamente l’élite che appoggia il dittatore al potere. Aristotele sosteneva come lo sviluppo economico fosse la condizione necessaria per una democrazia stabile; e ciò viene ribadito dal sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti secondo cui “the economic development ma-kes democracy possible”; ma discutendo dell’assunto insito in questa frase vediamo come

sviluppo economico e democrazia

di Pietro Masiello

Società

Un’analisi economico-politica, tra vecchie teorie e realtà globali in veloce cambiamento

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4 5www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org4anche questo concetto del “prima viene lo sviluppo, la democrazia arriva dopo” sia fortemente opinabile: basta guardare all’India, paese sicu-ramente democratico anche prima dell’accelerato sviluppo che ha subìto la sua economia negli ultimi anni.Fatte queste precisazioni pos-siamo abbozzare un’evidenza empirica tra i due elementi considerati, non assoluta e non generale dato che sia lo sviluppo economico che quello democratico sono il risultato di interazioni di numerosi fattori di carattere storico, culturale, religioso, economico, sociale e ambientale con esiti spesso originali ed inaspettati.È pacifico che eseguita questa operazione di demistificazione altri sono gli urgenti problemi che si pongono, tra questi:

parlare di sviluppo •economico non chiarisce in quale direzione questo avvenga: ci sono paesi in for-te ascesa economica perché producono e vendono armi, altri perché inquinano e degra-dano massicciamente il loro territorio, altri paesi favorisco-no la globalizzazione facendo transitare sul proprio sistema

finanziario proventi di attività non sempre lecite;

chiediamoci se ab-•bia ancora senso parlare di rapporto tra democrazia e sviluppo quando il cosiddetto Prodotto Interno Lordo (nel 2000 il PIL planetario è stato di 42 miliardi di dollari, ben sette volte maggiore di quello prodotto nel 1950) ha come contraltare l’aumento della forbice tra paesi ricchi e paesi poveri, un aumento su scala quasi globale delle diseguaglianze sociali con accentuata perdita dei diritti, specie in ambito lavorativo ma non solo, dato che nei paesi più industrializzati è in atto una veloce e sostenuta riduzione delle assistenze nei suoi vari aspetti (sanità, istruzione, lavoro, pensioni). Gli stati nazionali e i loro par-lamenti sono così deboli che subiscono passivamente il volere dei mercati e come ben espresso3 “la politica dovrebbe dare ai mercati quello che for-se potrebbero volere in futuro, anche se ora non sembrano chiederlo”. Siamo di fronte a un sistema ormai consolidato dove più che gli stati sono le corporation internazionali a

dettare legge in assenza di un efficiente diritto internazionale. Tali élite sono definite “nuova classe capitalistica transnazio-nale”4 ;

in questa era di tur-•bocapitalismo anche la Chiesa cattolica ha espresso forti riserve ed incisive critiche sul-le finalità ultime e sui risultati prodotti dal sistema capitali-stico, chiedendo che lo scopo ultimo della produzione econo-mica non sia il profitto privato ma il bene della società, ma appare fin troppo evidente come con tale esortazione si chieda allo sviluppo econo-mico di non fare lo sviluppo economico togliendogli il suo principale motore, ossia il pro-fitto come ci ha ben spiegato Adam Smith. Va detto che un tratto incisivo delle democrazie dovrebbe essere quello di at-tuare politiche regolatorie del mercato, ma la realtà eviden-zia come tali politiche siano sempre meno incisive, né è un esempio l’ultimo accordo sull’inquinamento e sul clima di Durban dello scorso anno boicottato dai paesi industriali;

va detto che • il pen-siero unico neoliberista scricchiola un po’ dapper-

tutto, mentre fioriscono nuove teorie come la teoria della “de-crescita economica” nella qua-le si enuncia come il futuro del pianeta passi per una drastica riduzione della produzione, sia per la limitatezza delle risorse non rinnovabili, sia per le con-seguenze negative derivanti dal massivo inquinamento, oltre all’evidente collasso delle aree urbane. Vedremo l’esito e gli sviluppi futuri, e vedremo quale risultati raggiungeranno i diffusi ed internazionali mo-vimenti di protesta, anche se i messaggi pubblicizzati non sono sempre univoci e chiari. Alla fine avevano ragione gli uomini d’affari inglesi che di-cevano “business is business” e tutto questo fa poco rima con la parola democrazia con buona pace delle idee del sig. Francis Fukuyama.____________________note1 La fine della Storia, Milano Riz-zoli 1996;2 La democrazia viene dopo su www.lavoce.info ;3 Martin Wolf citato da Paul Krugman su Internazionale del 4 giugno 2010 pag. 304 Danilo Zolo Tramonto della democrazia nell’era della Globa-lizzazione su www.juragentium.unifi.it

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6Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 6

Questo mese, dato che siamo entrati da poco

nell’anno nuovo, lo staff Oasiverde intende incentrare particolare attenzione sullo sviluppo delle energie sostenibili, essendo appunto questo l’anno in cui l’interesse collettivo sarà rivolto proprio alla sensibilizzazione del globo per un utilizzo di risorse più consapevole. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite infatti, riconoscendo l’importanza dell’energia per lo sviluppo sostenibile, ha designato il 2012 come Anno Internazionale dell’energia sostenibile per tutti. Tale fatto costituisce una preziosa opportunità di sensibilizzazione riguardo l’importanza di aumentare le opportunità relative ad un accesso all’energia sostenibile, all’efficienza energetica, e alle fonti di energia rinnovabile a livello locale, nazionale, regionale e internazionale. I servizi energetici hanno grande impatto sulla produttività, salute, cambiamento climatico, sicurezza alimentare e dell’acqua e sui sistemi di comunicazione. L’impossibilità di usufruire di un’energia pulita, accessibile e affidabile impedisce lo sviluppo umano, sociale ed economico, rappresentando il maggior ostacolo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del

Millennio. Oggi 1,4 miliardi di persone non hanno ancora la possibilità di accedere alle fonti di energia più moderne e tre miliardi di individui fanno utilizzo di “biomasse tradizionali” e di carbone come principali combustibili.

[fonte: www.onuitalia.it ]

L’autogestita: Oasiverde

È nata a Firenze Na-vdanya Internatio-

nal, l’importante e storica ONG ambientalista india-na con sede a Delhi, cre-ata da Vandana Shiva. Navdanya International è nata con l’obiettivo di continuare a promuovere i principi sui quali si è ba-sata l’attività della Com-missione internazionale per il futuro dell’ alimen-tazione e dell’agricoltura, che per quasi dieci anni, attraverso una rete inter-nazionale di esponenti di movimenti, scienziati ed esperti di sistemi ali-mentari sostenibili, ha lavorato in Toscana sotto la guida lungimirante di Vandana Shiva. Lo sco-po di Navdanya Interna-tional è quello di elabo-

rare, sostenere e diffon-dere idee e proposte per riconciliare economia e ecologia a partire dall’ agricoltura, promuoven-do la biodiversità, il cibo locale, le conoscenze

tradizionali; difendendo i beni comuni e le comu-nità dei piccoli agricoltori e sostenendo il lavoro di Vandana Shiva che ha fatto di tutto questo una ragione di vita.

l’anno internazionale dell’energia sostenibile

è nata navdanya italia

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6 7www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org6 [email protected]

Agrizoo - Allianz/Lloyd Adriatico - Artemisia - Babette - Babylab - Blu notte - Ciquadro - Cobafer - Estetique Michelle - Fior di Verbena - Food & Science - Legatoria Incipit - Harmoniæ - India World - La rondine - Layak - Legno Design - Phisicol - Piletas - Salmoiraghi & Viganò - San Marino Vernici - Scrigno delle Fate - Titan Gomme - Tutta Natura - Vivaio Zanotti - Zaffbike

attivita’ convenzionateassociazione oasiverde

è supportata da

Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b47892 - Acquaviva (Rep. San Marino)

Telefono: 335.7340580Fax: 0549.944242 mail: [email protected]: www.oasiverdersm.org

IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885COE: SM21783

Ringraziamo la Se-greteria per il Territo-rio per il contributo economico e l’impe-gno dimostrati a so-stegno delle iniziative di Oasiverde nell’an-no 2011

Noi Popoli Indi-geni Originari

pratichiamo e pro-poniamo: l’unità tra

la Madre Terra, la società e la cultura. Sostenere la Madre Terra e lasciarsi so-stenere da lei. Riconosce-re l’acqua come un diritto umano fondamentale e non permettere la sua mer-cificazione. Decolonizza-zione del potere con il “co-mandare obbedendo”, auto governo comunitario, Stati Plurinazionali, Autodeter-minazione dei Popoli, unità nella diversità come altre forme di autorità collettiva. L’unità, la dualità, l’ugua-glianza e la complementa-rità di genere. Spiritualità a partire dalla vita quotidiana e dal diverso. Liberazione da ogni tipo di dominazio-ne e discriminazione razzi-sta / etnica / sessista. De-cisioni collettive in materia di produzione, di mercati e dell’economia. Decolo-nizzazione della scienza e

della tecnologia. Amplia-mento della reciprocità nel-la distribuzione del lavoro, dei prodotti, dei servizi. Da tutto questo produrre una nuova alternativa a quella del mercato e del profitto coloniale/capitalista. Noi apparteniamo alla Madre Terra, non siamo proprie-tari, saccheggiatori, né i suoi venditori e oggi siamo arrivati un punto di svolta: il capitalismo imperialista

ha dimostrato di essere non solo pericoloso per la dominazione, lo sfrutta-mento, la violenza strut-turale, ma anche perché uccide la Terra Madre e ci porta verso il suicidio planetario, che non è né utile, né ne-cessario.

Tratto dalla “Dichiarazione dei popoli indigeni”, Forum mondia-

le, Brasile 02/2009

Per il raggiungimento e la realizzazione del Progetto Oasiverde, ricordiamo ai nostri iscritti l’importanza di rinnovare l’iscrizione.

Oasiverde cerca ragazzi intenzionati a collaborare per il ricevimento delle visite scolastiche in occasione di percorsi didattici all’interno dell’area. Si prega di contattare il prima possibile lo staff al 335-5719652

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8Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 8L’Ippogrifo

“Da Jerome D. Salinger ho imparato a dar voce a

personaggi adolescenti, da James Baldwin a costruire storie emozionanti, da Edmund White a trovare le parole giuste per dire la verità”. Queste sono le parole tratte da un’ intervista a Karl M. Soehnlein, scrittore americano autore di “II mondo dei ragazzi normali”. Sono capitata su questo libro per caso, in libreria, e come spesso succede, non era un acquisto premeditato. È sempre così che si scoprono i libri migliori, ed è così che ho iniziato a conoscere Robin, ragazzo adolescente che vive nel New Jersey, nell’anno 1978, nell’anno de La febbre del Sabato Sera, nell’anno in cui debuttarono i Blues Brothers. È l’anno in cui in Italia viene approvata la legge a favore dell’aborto e la legge Basaglia. Sono anni, in molte parti del mondo, in cui i diritti civili fanno a spallate per emergere, anche se in alcuni luoghi con più difficoltà di altri. Sono anni, specie nelle periferie americane, in cui è ancora difficile attribuire all’american dream - questa bella chimera - il vanto di poter dire che dà occasioni a tutti… per i neri e gli omosessuali queste occasioni sono sempre state

un po’ meno. È proprio così il posto dove vive Robin, che velocemente inizio a conoscere. Pagina dopo pagina, vengo catapultata in questo mondo fatto di desideri, pensieri, paure adolescenziali, esattamente ciò che io e tanti altri a quell’età abbiamo vissuto. Qualsiasi adolescente sa cosa vuol dire “essere normale”: nel caso di Robin, significava interessarsi di sport, di motori, di ragazze e musica rock. Lui invece preferisce ascoltare Take a chance on me degli Abba, uscire con la sua migliore amica Victoria. Lui odia l’ora di ginnastica e preferisce andare nella city, New York, in compagnia della madre, dove può visitare musei e respire un’aria più libera. A Robin piacciono i ragazzi. Robin conosce Todd e Scott. I tre vivono in un contesto in cui non si poteva esprimere appieno la propria personalità, non era così facile capire e ammettere la propria identità sessuale, ed è proprio da qui che prendono avvio i turbamenti interiori, le delusioni, i dubbi e il dolore. Ma non è tutta qui la vicenda di Robin… nella sua vita c’è una famiglia della middle-class americana,

dove il padre non capisce gli interessi artistici del figlio e il suo carattere, dove la madre rimpiange le occasioni perse della giovinezza e si consola con l’alcol. Ci sono poi tanti altri personaggi con una forte caratterizzazione, ed è proprio questa la forza del romanzo, ognuno sembra di conoscerlo già: tra questi c’è la sorella e la nonna che si affidano alla religione, il fratello Jackson che poi ha un grave incidente, e che con questo fatto sconvolgerà la vita di Robin. Potrebbe sembrare un romanzo di formazione, e in un certo senso lo è, ma sarebbe riduttivo ingabbiarlo in simile definizione. Un mondo per ragazzi normali riesce ad essere un libro per tutti, e

nonostante il linguaggio crudo e diretto, non si può certo etichettare in modo banale come “letteratura gay”, perché non sono solo quelle le tematiche che affronta, ma soprattutto sono i sentimenti, le paure, le vicende che ogni persona sperimenta prima dei 20 anni, proprio quelle che fanno parte della vita di ognuno, e che influenzano la vita e il carattere per gli anni a venire, universalmente. Alcuni potrebbero pensare che ormai i diritti per le persone LGBT siano cosa scontata, che ormai non c’è più traccia di razzismo, che ormai siamo tutti uguali e nessuno fa più distinzioni. Niente di più lontano dalla realtà. Per capire perché

il mondo dei ragazzi normali

di Angelica Bezziccari

Nessuno era diverso. L’unico a essere diverso eri Tu.

(tratto da “Il giovane Holden” di J.D.Salinger)

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8 9www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org8

siamo ancora molto distanti da questa logica, facciamo un esempio.Nella nostra “terra della libertà”, San Marino, solo nel 2004 è stato abrogato l’art. 274 del codice penale, che recitava “chiunque abitualmente compie atti di libidine con persone del medesimo sesso è punito, se dal fatto deriva pubblico scandalo, con il carcere fino a due anni e l’interdizione dai pubblici uffici”. Qualcuno potrà pensare che sia una di quelle tante leggi repressive promulgate centinaia di anni fa, ormai inapplicate e desuete. Be’, sorpresa, la suddetta legge è stata approvata nel 1974, e non era rivolta a punire gli atti “osceni”, ma gli “atti

di libidine”, intesi come manifestazione di affettività in senso lato con persone dello stesso sesso, e prendeva dunque di mira il vissuto omosessuale in generale, qualora provocasse “pubblico scandalo”, nel caso cioè diventasse semplicemente noto. Dal 1974 la legge non era stata mai applicata, ma aveva una forte valenza repressiva e di minaccia sociale. L’articolo di legge in questione ha creato nelle persone gay, lesbiche e bisessuali sammarinesi, un profondo timore nel rivelare liberamente il proprio orientamento sessuale e nel far valere la propria opinione. In più, questa legge ha influito anche in campo educativo, in quanto

la tematica del modello familiare non convenzionale non è praticamente mai stata trattata nelle scuole né nelle istituzioni sammarinesi. Ma riportiamo un altro caso di cronaca forse messo nel dimenticatoio. Nel 2009 il console onorario di San Marino in Galles, Federico Podeschi, viene sollevato dall’incarico. Perché? Nel dicembre 2008, per via della sua capacità di attivista per i diritti umani (direttore di LGBT Excellence Centre del Galles, ente di tutela e promozione per le persone LGBT) Podeschi aveva dichiarato che le parole del Papa nel suo messaggio di fine anno ai membri della Curia Romana1 erano discriminatorie e potevano essere causa di incitamento all’odio contro le persone LGBT, e quindi ha ritenuto di esprimere alcune considerazioni, tese a raccomandare che tutti i governi prendessero posizione riguardo a questo affronto, in base alle leggi internazionali sui diritti umani. Dopo aver chiarito la situazione, il Segretario agli Esteri A.Mularoni aveva chiesto al Console di non rilasciare alcuna futura dichiarazione di pubblico dominio, sia come cittadino, attivista, che naturalmente come console, andando così a ledere anche il diritto alla libertà d’espressione.Successivamente Federico Podeschi era stato invitato in merito al suo lavoro ad un ricevimento con Gordon Brown a Downing Street, quindi per evitare equivoci e per cortesia, aveva contattato la Segreteria per ribadire che l’invito non aveva niente a che fare con la sua carica diplomatica.Invece, dopo una serie di telefonate ed e-mail sbrigate dalla sua Segretaria

Particolare, il messaggio del Segretario Mularoni era ben chiaro: non partecipare e non rilasciare nessuna dichiarazione alla stampa. È stato così che Federico Podeschi ha dato l’opportunità - partecipando al ricevimento in via personale e come cittadino della Repubblica - al Congresso di Stato di giustificare la revoca di un incarico non troppo gradito. Il Segretario Mularoni si descrive da sempre una convinta sostenitrice del dialogo, della condivisione delle scelte più importanti per il paese e della collegialità delle relative decisioni. Eppure sembra che il Segretario A.Mularoni si sia rimangiata le sue stesse parole dopo aver ripetutamente scelto di non dare spiegazioni a riguardo della revoca di Federico Podeschi né a lui stesso né alle richieste fatte da esponenti dell’ Opposizione. Federico Podeschi ha commentato all’epoca: “non posso far altro che dichiarare il mio sgomento per quanto riguarda le azioni di un Segretario di Stato che sembra essere solamente portavoce di una carriera legale presso la Corte Europea dei Diritti Umani, che fa dubitare il suo contributo dinnanzi a queste azioni e quelle di un Governo complice e colpevole di continuare ad ignorare i bisogni di qualsiasi minoranza, ed i diritti umani di ogni cittadino sammarinese ad essere trattato con dignità e rispetto.”2

_______________note1) “l’umanità deve essere salvata dal comportamento omosessuale e transessuale esattamente come è importante salvare la terra dalla deforestazione”2) fonte: http://lgbtsanmarino.splinder.com/

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10Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 10

Dal 4 al 18 marzo prossimi, nel locale in Piazza di Sopra n.21, a

Borgo Maggiore (di fronte al museo naturalistico), prenderà vita la mostra dal titolo “La diversità disegna il mondo”.Prenderanno parte a questa mostra, con le loro opere, la scultrice Stefania Bizzocchi e le pittrici Erika Ceccaroli, Vanessa Macina e Hadassa Shimon.La mostra è curata da Vanessa Macina, e verterà sul tema della diversità nella pittura, inserendosi a pieno titolo all’interno delle attività svolte da AltreMenti festival, il festival culturale dell’Associazione Don Chisciotte.Quale migliore formula se non quella di un’esposizione collettiva composta di sole artiste donne?La mostra sarà visitabile ogni giorno dalle ore 9.00 alle ore 17.00, con una breve pausa pranzo dalle 12.00 alle 13.00.L’ingresso alla mostra è gratuito.Come avrete già notato le date di apertura della mostra non coincidono con quelle del festival, essendo aperta la mostra una settimana in più del festival.Questo perché ci pareva un peccato limitare a soli sette giorni una mostra così interessante, che ha certamente una sua ragion d’essere al di là della contingenza del festival AltreMenti.Domenica quattro marzo, dunque, vi aspettiamo tutti all’inaugurazione della mostra, alla presenza delle quattro artiste e allietati da un piccolo buffet di benvenuto.La diversità... disegna il mondo!

Cultura

la diversità disegna il mondoLa mostra di 4 artiste che si colloca all’interno di AltreMenti festival

di ACDC 1

4

32

6

8

57

1) Opera di Erika Ceccaroli2) Vanessa Macina, curatrice della mostra ed spositrice 3) Opera di Hadassa Shimon 4) Stefania Bizzocchi5) Opera di Vanessa Macina6) Erika Ceccaroli7) opera di Stefania Bizzocchi8) Hadassa Shimon

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10 11www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org10

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12Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 12Gruppi d’Acquisto Solidale

Gli ultimi anni hanno visto accendersi il dibattito

intorno alla questione della certificazione del biologico, un dibattito che naturalmente coinvolge il mondo dei Gruppi di Acquisto Solidale in quanto sog-getti promotori dell’agricoltura naturale e biologica.Questo caposaldo valoriale ga-sista conosce infatti una sorta di revisione critica, che implica un più complesso ragionamento sulle trasformazioni in corso nell’economia e nella società, nonché sul tipo di mondo che i GAS desiderano costruire.Le visioni non sono concordi. D’altronde, il biologico è un va-lore fondante che sta lentamen-te sdoganandosi nella società tutta, conoscendo una diffusione senza precedenti, positiva in sé ma che rischia di recare traccia

delle aggressioni del mercato e della logica del profitto. Il mec-canismo della certificazione si basa largamente sulla routine un po’ soporifera della burocra-zia, un metodo che fornisce al consumatore finale del prodotto uno strumento di tutela spesso poco più che teorica: chiunque abbia girato e frequentato i GAS sa perfettamente che molti pro-duttori sono ad ogni titolo bio-logici senza essere riconosciuti dagli appositi enti certificatori, mentre molti dei soggetti uffi-cialmente censiti meriterebbero analisi più approfondite, anche rispetto ai controlli a volte super-ficiali che vengono effettuati.La certificazione del biologico aveva certamente più senso in un momento che potrem-mo definire “pre – GAS”, un momento in cui la promozione

dell’agricoltura biologica forse lo richiedeva di più.La grande provocazione cultura-le dei GAS consiste in fondo in questo: la volontà di giocarsi tutto sul rapporto di cono-scenza e fiducia reciproca fra produttore e consumatore. Questo, almeno in linea teorica, marginalizza e potrebbe persino escludere un rapporto basato semplicemente sull’esposizione e la contemplazione di un bolli-no di certificazione. Come dire, se si vuole consumare in modo etico, diretto e privo di interme-diazioni, bisognerebbe trarne le debite conseguenze sotto ogni profilo, incluso quello degli adempimenti burocratici. Questi, infatti, quando anche finalizzati ad un buono scopo, rischiano di essere la longa manus del mer-cato. Il risultato è spesso che

chi vuole dedicarsi al biologico per profitto e fronteggia meglio la giungla di adempimenti ha più vantaggi dei molti, moltis-simi soggetti che già praticano l’agricoltura biologica, rispettosa dell’ambiente e dei lavoratori, su scala piccola e a livello locale. Sono, questi ultimi, gli interlo-cutori naturali e preferiti dei GAS. A questo bisogna aggiun-gere che molti produttori lamen-tano tentativi di strangolamento da parte delle leggi, dello Stato, della burocrazia e sono a volte costretti a gettare la spugna. Ecco, a questi soggetti i GAS dovrebbero forse dedicare più vicinanza. I sistemi di garanzia partecipata, che coinvolgono in un unico percorso produttori, consumatori e tecnici, costitui-scono la mediazione forse più efficace per far fronte da un lato ad un sistema che viene vissuto come imposto dall’alto e dall’al-tro per consentire una parteci-pazione dal basso nei processi di produzione, di consumo, di autotutela, di conoscenza reci-proca.La percezione degli aderenti ai GAS, anche in questo caso, può fare la differenza: la mia personale sensazione è che al rapporto diretto e quindi responsabile con i produttori, fatto di conoscenza reciproca, di fiducia, ma anche di interes-se e di studio, si preferisca ancora una soluzione cauta ai limiti dell’impaurito, in cui la certificazione costituisce uno dei totem inviolabili, in questo caso della sacralità del biologi-co. Il percorso del GAS come comunità di persone dovrebbe invece essere più orientato alla crescita personale, attraverso l’informazione e l’azione diretta. L’utilizzo esclusivo dei tecnici per discutere ed eventualmente risolvere aspetti fondamentali della gestione del gruppo è tan-to pericoloso quanto l’abdicare totale e incondizionato della politica ai cosiddetti governi tecnici. Come dire: la presen-za di un tecnico agronomo in un GAS aiuta, ma ai fini della

favorisca i documenti

di Stefano Palagiano

Come l’economia solidale rischia di creare i suoi clandestini

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12 13www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org12missione non è un elemento de-terminante. Un conto è l’apporto delle competenze di ognuno nella propria comunità, altro conto è stabilire le modalità co-muni di scambio e condivisione dei saperi.Rispetto poi alla loro condotta all’interno dei GAS, alcuni aderenti sono in chiaro con-flitto di interessi. Non credo che l’obiettivo di incrementare il proprio lavoro possa essere ritenuto particolarmente nobile in un simile contesto.Il problema va a collocarsi an-che nel più complesso rapporto tra i GAS e le istituzioni: quale mediazione è possibile tra esi-genze dall’alto e dal basso che sono spesso, di fatto, inconci-liabili?La questione è aperta ma è certo che se i GAS perdono una certa vocazione “anarchica” potrebbero, semplicemente, scomparire.Ecco perché la proposta dei gas deve essere, anche in questo, diversa da quelle eterodirette ed ispirate dal profitto. Alcune esperienze, come la Campagna per l’Agricoltura Contadina, cercano di rap-presentare questo bisogno di un’agricoltura diffusa e non imprenditoriale, un bisogno che cerca di dar voce al futuro del pianeta, che non è costituito da un’oligarchia (anche se verde) ma vede il paesaggio punteg-giato da piccole realtà locali.Il gas, nel suo rapporto privi-legiato con l’agricoltura, deve dunque porre estrema attenzio-ne a non marginalizzare proprio i soggetti che più dovrebbe salvaguardare e includere: il rapporto con pochi giganti è una visione fallimentare ed un tradi-mento della filosofia di base.Quanto alla certificazione, che sia la benvenuta, ma al mas-simo come punto di partenza per ripensare il rapporto tra produttori e consumatori che finalmente liberi dall’idolatria del pezzo di carta possano tornare ad una società ed economia di prossimità.

La più grande parte dell’Europa potrebbe assumere l’aspetto e

il carattere ora posseduti soltanto da alcuni luoghi, cioè l’Inghilterra

meridionale, la riviera e le località dell’Italia e della Svizzera visitate dai turisti e abitate da gente ricca. Si avrebbe un piccolo gruppo di ricchi aristocratici traenti le loro rendite e i loro dividendi dal lontano oriente; accanto un gruppo alquanto più numeroso di impiegati e di commercianti e un gruppo ancora maggiore di domestici, lavoratori dei trasporti e operai occupati nel processo finale della lavorazione dei prodotti più avariabili. Allora scomparirebbero i più importanti rami di industria, e gli alimenti e i prodotti base affluirebbero come tributo dall’Asia o dall’Africa.

Vladimir Il’ič Ul’janov (Lenin)“L’imperialismo, fase suprema del capitalismo” (1916)

l’aforisma del mese

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14Il Don Chisciottenumero 50, febbraio 2012 14Spiritualità

Oltre a quello sulla non-lamentela, l’altro lavoro

fondamentale lungo il percorso del risveglio è quello sul non-giudizio. Per parlarne voglio partire da una considerazione di un mio alunno quindicenne che, in modo semplice ma efficace, ha tracciato un bel parallelismo tra giudizio e libertà. “Non riusciremo mai – mi ha detto – a sentirci davvero liberi di essere, di parlare e di fare, perché la società con le sue convenzioni e

giudizi ce lo impedisce.” È vero, il più delle volte non agiamo come vorremmo, o non diciamo le cose che vorremmo dire, per paura di essere giudicati non consoni o non all’altezza. Mi viene sempre in mente il classico momento in cui dopo una conferenza viene aperto il dibattito e nessuno ha il coraggio di fare il primo intervento. Prendere il microfono significa, per i più, sottoporsi al giudizio di una terribile platea e rischiare una figuraccia. Ma questo è solo un piccolo esempio, cui se ne possono aggiungere altri mille. Nel vestire, nel modo di comportarsi, nell’esprimere le proprie opinioni, nel fare determinate scelte: quanti di noi possono dire di sentirsi VERAMENTE liberi? Magari così d’impulso, e sull’onda

nella trappola del giudizio

…se ci sentiamo giudicati è perché giudichiamo. Giudichiamo gli altri, ma in primis noi stessi. Perché, per la “legge dello

specchio”, il dito che puntiamo contro gli altri di rimando punta impietosamente contro di noi.

di Elena Guidi

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14 15www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org14dell’orgoglio personale, molti risponderebbero che loro no, non si fanno condizionare, che fanno e dicono sempre ciò che vogliono; ma basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che non è così. Andremmo al supermercato in pantofole? O a cena fuori con i capelli in disordine? Diremmo ad una persona che ci mostra orgogliosa il suo borsello firmato che ci sembra una ridicola assurdità aver speso tanti soldi per una schifezza simile? Improbabile. Molto più probabile che la critichiamo due ore dopo parlandone con qualcun altro. Ci sono allora due aspetti in gioco: da una parte non ci sentiamo liberi di essere noi stessi perché temiamo il giudizio degli altri, dall’altra non perdiamo occasione per criticarli. Libertà e giudizio: correlati in che modo?E’ presto detto: se ci sentiamo giudicati è perché giudichiamo. Giudichiamo gli altri ma in primis giudichiamo noi stessi. Perché per la legge dello specchio (di cui non mancherò di parlare in una prossima occasione) il dito che puntiamo contro gli altri – cioè contro il nostro specchio – di rimando punta impietosamente contro di noi. Come dire che il cane si morde la coda e che la nostra “mancanza di libertà” è auto-creata.Come si esce allora dalla trappola? L’insegnamento è semplice: smetti di giudicare e non ti sentirai più giudicato, poiché tutto quello che si realizza all’interno di te si realizza fuori. Se dal TUO mondo estirpi il giudizio, semplicemente la sensazione di essere giudicato dall’esterno non esisterà più. E l’inevitabile e non trascurabile conseguenza è che sarai libero. Di solito a questo punto la domanda è: “ma come si può non giudicare?”. Quello che l’interrogativo (legittimo) sottintende è: non giudicare

significherebbe vivere pensando che tutto è uguale, che non ci sono differenze, non c’è bianco e non c’è nero, nulla può piacerci o dispiacerci, non c’è nemmeno motivo per fare una scelta anziché un’altra, insomma, sarebbe come se l’uomo rinunciasse a ciò che più lo caratterizza, la sua capacità di giudizio, appunto, che lo distingue dagli altri esseri, e in questo caso tanto varrebbe essere un animale o un vegetale. Questa obiezione sorge spontanea per il fatto che normalmente confondiamo il Giudizio con il Discernimento, considerandoli erroneamente termini intercambiabili.Ma mentre il discernimento è puro, cioè consiste nella semplice capacità della nostra mente di notare delle differenze o di fare una descrizione di qualcosa, il giudizio è come un parassita che immediatamente si impossessa di tale descrizione connotandola positivamente o negativamente a seconda delle emozioni che suscita in noi. Guardo passare la mia vicina e noto che è tirata a lucido. Questo è discernimento. Ma se il fatto che sia così ben vestita mi accende un sentimento del tipo “quante arie si dà”, o “sarebbe meglio spendesse i suoi soldi per altro”, questo è giudizio. Il giudizio scaturisce laddove il corpo mentale si interseca con quello emotivo, in particolare quando sono coinvolte le categorie “morali”, quelle che dividono tra bene e male, buono e cattivo, giusto e sbagliato. Ed è un meccanismo a cui siamo talmente abituati che ci sembra inevitabile, normale. Persino irrinunciabile: chi saremmo se non avessimo opinioni? O emozioni? Ma non è giudicando che ci assicuriamo un’identità, anzi… ci assicuriamo solo una vita da marionette, dato che – sorpresa! - i criteri su cui basiamo

i nostri giudizi sono interamente indotti dal contesto culturale in cui viviamo. Infine, l’aspetto più interessante della faccenda è che solo e unicamente noi siamo in grado di dire se stiamo o no “giudicando” qualcuno o qualcosa, in quanto l’elemento discriminante non è la frase (o il pensiero) che pronunciamo, bensì la sensazione di fastidio che proviamo o non proviamo in concomitanza. Posso infatti dire: “quell’alunno non studia abbastanza”, “quel politico è disonesto”, “quella persona è incompetente”. Sono giudizi o no? Soltanto il diretto interessato è in grado di sapere se nel pronunciare quella frase ha semplicemente constatato un dato di fatto in maniera neutra, o se ha provato un’emozione negativa al riguardo, che può essere rabbia, disprezzo, senso di superiorità, e così via. E qui allora occorre, per chi fosse interessato a lavorarci su veramente, una buona dose di onestà con sé stessi. Per tornare alla domanda “come si fa a non-giudicare?” certamente non lo si fa da un giorno all’altro, inizialmente richiede uno sforzo, però è possibile. Se è vero, infatti, che la mente – essendo per sua natura “duale” - non può prescindere dal suo lavoro di divisione (discernere), è altrettanto vero che ci si può allenare a fermarla un attimo prima che al discernimento si attacchi il giudizio, o almeno ad accorgersi di averlo emesso, in modo da disidentificarci da esso. Certo, smettere di giudicare è difficile quanto smettere di lamentarsi, ma sono due strade principali, benché poco frequentate, verso l’autocoscienza e la libertà. Praticare quotidianamente il NON-GIUDIZIO guarisce e libera. Non dovete crederci, ma solo provarci, per rendervene conto.

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redazioneDIRETTORE: Roberto CiavattaEDITING: Angelica BezziccariINDIRIZZO: Via Ca’ Giannino 24 - 47895 - Domagnano (RSM)TEL: 0549. 878270 / MAIL: [email protected] WEB: www.associazionedonchisciotte.orgCOLLABORATORI: Angelica Bezziccari, Roberto Ciavatta, Elena Guidi, Pietro Masiello, Oasiverde, Stefano Palagiano, Davide Tagliasacchi Copia depositata presso il tribunale della Repubblica di San Marino

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