Don Chisciotte 44, luglio/agosto 2011

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RICORDANDO GENOVA 2001 Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino spazio riservato all’indirizzo Il Don Chisciotte L’altra informazione a San Marino luglio/agosto 2011 numero 44

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In questo numero – Roberto Ciavatta: “Stop estivo, concorso grafico” + “Parma, San Marino e fiori”; Sara Villa: “Dillo chiaro, dillo vero, dillo subito”; Riccardo Balestrieri: “Zona rossa, zone nere”; Livio Toschi: “San marino e Roma nel 1911 uniti «nel nome sacro della madre Italia»”; Angelica Bezziccari: "Nato il 4 luglio” + “A proposito di Vietnam”; OASIVERDE: “L’oca di ieri, l’oca di oggi” + “Le penne d’oca”; Marco Canarezza: “Avanti tutta”; Fabrizio Buratto: “Massaggio da ufficio”; Stefano Palagiano: “San Marino in transizione”; Davide Tagliasacchi: “Il corpo violato”.Il Don Chisciotte è il mensile dell'Ass. Don Chisciotte di San Marino.

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ricordando genova 2001

Spedizione in abbonamento postale per l’interno.Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino

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L’anafora che dà il titolo a que-sta intervista è di Vittorio Ar-

rigoni e rappresenta il consiglio che un attivista per i diritti umani che ha fatto della penna la sua spada, dà a chi si occupa di co-municazione. “Restiamo Uma-ni” era l’adagio con il quale Arri-goni chiudeva, e chiude tuttora, i suoi reportage da Gaza, un’esor-tazione a riflettere che poi è di-ventato l’emblema della sua atti-vità nonché il titolo del suo primo libro. Ha fondato il blog Guerrilla-radio e attraverso la rete ha dato voce alle verità e ai protagonisti che non ne avevano, a quelle vi-cende che sui media mainstream difficilmente trovano spazio. La sua guerrilla è simbolica, rigorosa e implacabile e condivide con quella declinata al marketing la volontà di andare contro il siste-ma tradizionale, di fare appello a una comunicazione più libera, di sovvertire le regole “istituzionaliz-zate”. Risiedi a Gaza City e da anni vivi di persona i problemi di quest’area: perché hai scelto di stabilirti proprio qui? Per uno come me, venuto su a pane e an-tifascismo, la lotta per la libera-zione della Palestina è l’arena più

congeniale per esprimere ciò in cui più credo. L’unico, l’ultimo po-polo al mondo ancora oppresso da un’egemonia coloniale. Que-sto e molto altro. Come Mandela non si è mai stancato di dire nel corso della sua lotta, dobbiamo avere la consapevolezza che la Palestina è una delle più grandi cause morali del nostro tempo. Quando nasce Guerrillaradio e perché? Il perché del blog si fo-menta sette anni fa in una cella d’isolamento di un carcere a Tel Aviv, nella quale fui recluso e tor-turato prima di subire un ingiusto processo, la mia unica colpa es-sere un attivista incorruttibile nel campo dei diritti umani. Nel corso degli anni, l’urgenza è stata sem-pre la stessa: voler comunicare una realtà abbastanza conosciuta ma spesso e volentieri mistificata. Dar voce ai senza voce. La guerrilla è qualcosa che si fa con armi inferiori rispetto alla guerra. Quali sono le tue “armi”? Parafrasando il “Teatro della Crudeltà” Antonin Artaud, guerrilla è una guerriglia ideale, contro l’accanimento terapeutico all’informazione moribonda veico-lata dai grossi media, ormai istitu-

Rubriche

san marino in transizioneRisposte concrete per il presente e il futuroG.A.S. di stefano Palagiano

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L’autogestita

Articoli

nato il 4 luglio .meditazioni sul ViertnamL’IppogrIfo di angelica Bezziccari

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l’oca di ieri, l’oca di oggipagIna autogestIta da oasiverde

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Attualità

dillo chiaro, dillo vero, dillo suBitoIntervista a Vittorio Arrigonidi sara villa

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avanti tuttaCome reggere il confronto con numeri molto più grandi...di marco canarezza

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san marino e roma nel 1911Unite «nel nome sacro della Madre Italia»di livio toschi

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L’editoriale

massaggio da ufficiodi fabrizio Buratto

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zona rossa, zone nereRicordando Genova 2001di riccardo Balestrieri

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il corPo violatoUn’indagine sul rapporto tra dolore e sofferenzadi davide tagliasacchi

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Anche Il Don Chisciotte si riposa in vista di questo

caldo mese di Agosto.Si riposa sperando di risve-gliarsi a settembre in un paese migliore, contrariamente ad ogni lucida constatazione.Con voi tutti ci risentiremo nel mese di settembre, con il prossimo numero del nostro mensile.Nel frattempo consideriamo doveroso ringraziare i dodi-ci concorrenti del bando di concorso per la realizzazione grafica del terzo Altrementi fe-stival, che ahimé non è andata a buon fine: la giuria non è riuscita a stabilire un vincitore, rimandando la decisione ad una valutazione successiva

al rilancio di un nuovo bando. Tale rilancio avverrà a brevis-simo, quindi chiediamo a tutti coloro che siano interessati di non perdere d’occhio il nostro sito internet, in cui verranno pubblicati il nuovo bando e le nuove scadenze.Nel frattempo sul nostro sito sono stati pubblicati i lavori giunti fino al momento, che potranno concorrere anche alla seconda trance del bando semplicemente apportando le modifiche richieste dalla giuria, in vista di un’immediata utiliz-zabilità del lavoro che risulterà infine vincitore.Buona estate a tutti, dunque, e arrivederci a settembre.

Roberto Ciavatta

stop estivo, concorso grafico

Parma, san marino e fioriSu come simboli ed immagini assumano valori differenti in base...es... cogItando di roberto ciavatta

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di Sara Villa

dillo chiaro, dillo vero, dillo subitoIntervista a Vittorio Arrigoni, su gentile concessione della rivista www.subvertising.it

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zionalizzati, lobotomizzati quindi a grancassa di una politica me-diocre che non si vuole estingue-re. Guerriglia non perché io voglia intendere un moto tumultuoso di violenza, la parola guerrilla dev’essere intesa in senso lato e non nell’accezione fisica e rapace che abitualmente le si riferisce. Si può benissimo immaginare una guerriglia senza strazio carnale. Dal punto di vista del mio spirito, guerrilla significa rigore, applica-zione alla ribellione e decisione implacabile, determinazione irre-versibile, assoluta. Da questo punto di vista Gandhi a mio avvi-so è stato un implacabile guerril-lero. In questi anni hai affrontato momenti difficilissimi, prigio-nia, torture e sequestri di per-sona: ti sei mai sentito scorag-giato o hai mai pensato di in-terrompere la tua “missione”? Avendo fatto della mia vita una missione, laica e civile, dimetter-mi dalla missione significherebbe dare le dimissioni dalla vita. Un suicidio. Ci sono esistenze più spendibili di altre, e la mia è una di queste. Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà. Guerrillaradio e guerrilla mar-keting. Entrambe vogliono di-mostrare che un altro modo di fare informazione/advertising è possibile, anche senza utilizza-re i media mainstream. Entram-be richiedono la partecipazione e il coinvolgimento delle co-scienze/persone. C’è un modo tradizionale di fare advertising, e un modo non convenzionale, che sfrutta le nicchie, lascia da parte i grandi budget, cioè che va contro corrente. Conosci questo modo non convenzio-nale di fare advertising? Credo che anche le grosse testate si stanno accorgendo del tramonto dell’epoca degli strilloni. Il suc-cesso del social network dimostra la volontà di essere compartecipi degli eventi e della Storia, come narratori in prima persona piutto-sto che semplici lettori. Io non sa-

pevo com’era fatto un PC prima del 2002, poi non ho più perso tempo. In questi anni il guerrilla mar-keting è stato utilizzato per molte campagne sociali (Gre-enpeace e Amnesty Internatio-nal su tutte). Qualcuna ti ha colpito particolarmente? Beh, Greenpeace faceva guerrilla mar-keting quando ancora questo ter-mine non era stato coniato. Pen-so un guerrilla marketing all’in-contrario sia rappresentato da buona parte dei nostri politici, lo si è visto giusto questa settimana. Concentrati un attimo sull’imma-gine pubblica del nostro premier: un anziano di 75 anni, con vari acciacchi, che si pone dinnanzi alle sue telecamere solo dopo estenuanti sedute di liposuzione, lifting facciali e autotrapianti di capelli, un inferno pover’uomo. Un uomo che mente perfino sulle rughe e sui suoi capelli che im-magine vuoi che dia della politica italiana? Tutta un artificio. Sei anche uno scrittore, come promuovi i tuoi libri? Hai mai pensato di farlo attraverso il guerrilla marketing e i suoi strumenti che permettono di ottenere risultati con budget limitati e bypassare tv e giorna-li? Per il mio libro pubblicato e tradotto in sei lingue, e per il se-condo in cantiere, sempre sulla tragedia della Palestina e di Gaza che resiste, non posso certo spe-rare nell’attenzione di chi politica-mente ha scelto l’appoggio incon-dizionato dell’oppressore. Non mi resta che il porta a porta, girare lo Stivale come ho fatto per Gaza Restiamo Umani. Un viatico d’in-contri con un’Italia che non appa-re sulle prime pagine dei giornali o nei reality. Un’Italia avvinta dai problemi economici ma che cono-sce ancora la solidarietà e l’em-patia con chi lotta per la sopravvi-venza. Se puoi ci saranno occa-sioni di guerrilla marketing ben venga, come l’anno scorso quan-do durante una presentazione proiettai sulle mura della Fiera del Libro di Francoforte dei video che

mostravano cecchini israeliani fare il tiro a segno sui civili di Gaza, e io e il mio traduttore Felix fummo sul punto di essere cac-ciati fuori. Ultimamente si fa un gran par-lare della democraticità di In-ternet: in base alla tua espe-rienza, pensi che Internet sia un mezzo democratico? Può dare la possibilità di fare un giornalismo partecipativo e non uniformato? Internet è sicu-ramente ancora un mezzo demo-cratico di diffusione del sapere, e questo crea grande preoccupa-zione a quei governi poco avvez-zi alla democrazia. E non mi rife-risco esclusivamente alla Cina o alla Corea del Nord. Ritengo che gli scoop sgonfiati di WikiLeaks non siano altro che armi di distra-zione di massa che con la scusa della sicurezza daranno il via a un tentativo di imbavagliare la rete da parte dei governi occiden-tali, USA in testa. Come fa l’informazione a esse-re indipendente? Informazione libera, significa libera dal siste-ma economico che la guida? Indipendenti in Italia non sono le televisioni come è noto, ma nean-che i quotidiani a maggiore tiratu-ra come Corriere e Repubblica, con linee editoriali strettamente vincolate dai sistemi economici che ne detengono le azioni: Con-findustria e De Benedetti. L’infor-mazione realmente indipendente è rara ma va sostenuta. Penso a Radiopopolare, sostenuta prin-cipalmente con gli abbonamenti dei suoi ascoltatori, o Il Manifesto che è una cooperativa, senza pa-drini né padroni, e di fatto sono liberi. Nel tuo sito dopo le prime righe c’è scritto: “contro la corruzio-ne mediatica”. La pubblicità contribuisce alla corruzione mediatica? Potrebbe non far-lo? Proprio il mese scorso ho pa-gato di tasca mia affinché la piat-taforma web che ospita il mio sito levasse la pubblicità dalle mie pa-gine. Senza i proventi della pub-

blicità molte realtà editoriali chiu-derebbero subito, ne sono consa-pevole, è fondamentale allo stes-so tempo porsi dei limiti, in termi-ni di contenuti e in termini di spa-zio. Ricordo Libero di Feltri quan-do uscì per la prima volta nelle edicole: un terzo delle pagine era solo di pubblicità. Libero di Feltri, un ossimoro. Il nostro magazine parla di co-municazione non convenziona-le e anche la tua è comunica-zione non convenzionale. Chi va contro corrente deve avere coraggio: qual è la chiave per arrivare alle orecchie e alla mente della gente? Personal-mente percepisco il credito che mi viene conferito quando scrivo sul blog o dovunque mi sia con-cesso uno spazio, Il Manifesto, Peacereporter, Infopal o altro, di-penda dalla credibilità e dal ri-spetto che mi sono guadagnato sul campo. Quando un attivista per i diritti umani rispettato impu-gna la penna come una spada, ci si attende rispetti gli stessi canoni di veridicità e onestà che regola-no il suo attivismo. Se dovessi dare un consiglio a chi si occupa di comunicazio-ne cosa gli diresti? Niente truc-chi da quattro soldi. Dillo chiaro. Dillo vero. Dillo subito.

[N.d.R. Vittorio Arrigoni -nella foto qua sopra- è stato un reporter, scrittore e attivista italiano. È stato rapito e in seguito assassinato il 15 aprile 2011. Il suo blog è http://guerrillaradio.iobloggo.com/]

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4Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 4Ambiente

Questo contributo è stato letto il 26 marzo 2009, a

Domagnano, alla presentazio-ne del documentario sul G8 (Effettuata dal compianto Bep-pe Cremagnani, su invito della Associazione Don Chisciotte - n.d.r.). Qualcosa, in Italia, è cambiato da allora, ma è di que-sti giorni la notizia che è stato promosso questore Spartaco Mortola, un dirigente della Di-gos che ha subìto due condan-ne in appello (tre anni e 8 mesi e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, per l’irruzio-ne alla scuola Diaz, e un anno e due mesi, per induzione alla falsa testimonianza dell’allora questore di Genova Francesco Colucci) e di cui si aspetta la sentenza definitiva della Cas-sazione. http://www.ilsecolo-xix.it/p/genova/2011/06/06/AOalb2Z-condannato_questo-re_promosso.shtml

Nei giorni precedenti il G8 i media locali hanno ospitato una campagna martellante di governo, prefettura e questu-ra sui pericoli che avrebbero corso le persone e le cose nel centro di Genova. I genovesi hanno capito l’antifona, hanno chiuso gli esercizi commerciali e sono andati in vacanza. Pen-so che non ci sia mai stato, in tutta la storia della Superba, un tale spopolamento del centro

storico e dell’immediato cir-condario.

Venerdì 20 luglio è stata per me una normale giorna-ta di lavoro e solo quando sono giunto a casa ho saputo dell’uccisione di Carlo Giulia-ni. Le TV locali proiettavano ininterrottamente i loro filmati, senza commenti. Gli spezzoni non erano ordinati cronologi-camente ed era difficile capire cosa era successo, ma mi è ri-masta impressa un’immagine: due ragazzi vestiti di nero, su un motorino, che parlano con agenti in divisa.

Il giorno dopo, sabato 21 luglio, decido di vedere con i miei occhi. Scendo dal bus alla Stazione Marittima, nei pressi della Stazione FS di Principe, e inizio il periplo della zona ros-sa, da ponente a levante.Dopo gli avvertimenti sulla stampa, solo il Nemico può tro-varsi in zona gialla, vicino alle altissime grate che blindano la zona rossa. Eppure non c’è traccia di sorveglianza a terra: dai tetti del centro storico non si possono sorvegliare i carrugi e anche gli elicotteri hanno una visuale assai limitata del ter-reno. Le forze di polizia sono concentrate dietro i pochi var-chi della zona rossa e, come vedrò poi, alla Foce.Sono vicino a un varco, quan-do arriva un taxi: scende una signora con un vistoso pass. I militi socchiudono il cancello, ma vedono arrivare lenti len-ti tre ragazzi e una ragazza; richiudono in fretta e furia la barriera e urlano alla signora di andarsene; lei risale immedia-tamente e il taxi riparte sgom-mando. Un milite riprende i sedicenni con una telecamera: loro continuano a camminare, senza nemmeno guardare i mi-litari. Imbocco via del Campo dietro i ragazzi e gli dico: “ma avete visto cosa è successo? Hanno chiuso il varco per voi!”. Si girano e uno di loro mi dice, imperturbabile: “hanno paura”.

Politica e società

In ricordo della sospensione dei diritti civili durante il G8 di Genova 2001, a dieci anni esatti dal suo indelebile svolgimento.I responsabili, gli esiti, le impressioni

di Riccardo Balestrieri

zona rossa zone nere

Sangue dei pestaggi sui muri della scuola Diaz

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Quando arrivo in Campetto, una piazzetta baricentrica del centro storico, mi rendo conto all’improvviso di essere com-pletamente solo… chiusi tutti i negozi, serrati i portoni e le persiane e nessun rumore dai palazzi: non si sentono televi-sioni, voci, musica, nemmeno rumore di stoviglie, eppure è vicina l’ora di pranzo!San Matteo è a pochi passi da Palazzo Ducale, in cui si tiene il G8, ma è ancora zona gial-la: mentre mi avvicino sento finalmente qualcuno, sbuco in piazza e mi accorgo che un folto gruppo di militi sta discu-tendo a bassa voce; appena mi vedono arrivare, si zittiscono immediatamente: non li ho più sentiti parlare!Salgo verso la circonvallazione a monte: è l’unico asse viario cittadino che collega ponente e levante, ma è quasi deserta! Ridiscendo verso la Stazione FS di Brignole e vedo dall’al-to un impressionante spiega-mento di forze di polizia lungo i viali Brigata Bisagno e Brigate Partigiane. (La guerra di libera-zione e il 30 giugno 1960 sono davvero lontani).Il tempo di arrivare alla foce del Bisagno e le cariche contro la grande manifestazione, autoriz-zata e non violenta (black bloc a parte), sono già iniziate. La mia lentezza mi ha salvato. La cortina bianca dei lacrimogeni è quasi impenetrabile. L’asfalto è disseminato da un’infinità di bossoli d’alluminio di cande-lotti. Non potendo contarli, ho fatto una stima: poco più di un bossolo al metro quadro, un settore stradale di circa 15 x 250 m, ne consegue un ordine di grandezza di 4000 candelot-ti lacrimogeni... due candelotti al secondo per mezz’ora? Una ragazza giovanissima dagli oc-chi gonfi ha dichiarato a una TV, ancora in preda al panico, di aver visto cadere contem-poraneamente anche cinque candelotti! Il fumo nero sale in-vece da auto e roba di plastica: bruciano in mezzo alla strada.

D’ogni tanto la brezza che vie-ne dal mare apre dei varchi nel fumo e si vede la testa della manifestazione che cerca di retrocedere per le cariche, ma viene spinta in avanti dal resto del corteo che ancora avanza. Un inferno senza via di scam-po vicino a chi prende il sole sulla spiaggia.La manifestazione è disgrega-ta in tanti spezzoni, le forze di polizia retrocedono e attaccano in varie direzioni. Percorro in lungo e in largo i viali. La mag-gior parte dei manifestanti non è stata a contatto diretto con le forze di polizia: sarà per que-sto che i volti sembrano sereni. Tensione incredibile, invece, fra i militari: ma chi si aspetta-no di avere di fronte? Persino il passaggio di un ragazzino con quelli che sembrano, forse, i resti di una tuta bianca, ne sca-tena la furia. Nel caos incrocio più volte il cospicuo corteo di Rifondazione Comunista, che è riuscito a rimanere sul per-corso previsto senza essere attaccato da black bloc (non ne ho mai visto uno con i miei occhi!) e forze di polizia, grazie alla compattezza e al servizio d’ordine.Prima di tornare a casa, in un ponente del tutto tranquillo (grazie alle postazioni di missili terra-aria all’aeroporto?), mi fermo a guardare la Foce dalla collina dello Zerbino: molte co-lonne di fumo bianco, lacrimo-geni, e nero, cassonetti e auto in fiamme, si alzano in un cielo limpidissimo dai quartieri più signorili di Genova. Gli elicotte-ri filmano tutto dall’alto. La mia città sembra Beirut. Spero che ormai tutto stia finendo, ma ci sarà ancora la Diaz, ci sarà an-cora Bolzaneto.

Oggi [25 marzo 2009] il centro storico non è più zona rossa e merita un lungo girovagare; Ali-monda è tornata a essere una piccola piazza anonima; alla Foce si passeggia e si prende il sole sul mare……ma Berlusconi punta alla

presidenza della Repubblica. Fini, responsabile dell’ordine pubblico a Genova, è la terza carica dello Stato. Tutti i capi delle forze di polizia sono sta-ti promossi. La destra non è mai stata così forte in Italia dal ventennio fascista. D’Ale-ma, responsabile della scelta di Genova quale sede del G8 e della costituzione del gruppo di Canterini a Ponte Galéria, è il leader più influente dell’oppo-sizione. La sinistra è diventata extra-parlamentare e corre il rischio di dover lasciare anche Bruxelles. Il dramma del G8 è stato uno dei motivi per cui la mia fami-

glia si è trasferita a San Mari-no, la terra di mia mamma.

Che lezione possono trarre i sammarinesi da quanto è suc-cesso a Genova?Possono, ad esempio:

conservare l’indipendenza, l’equidistanza e la non bel-ligeranza per cui ha brillato San Marino;addestrare le forze di poli-zia in paesi che applicano i diritti dell’uomo anche in caserma e in prigione;mantenere a misura d’uo-mo il loro unico carcere, in Città.

7 giugno 2011

Il carcere di Bolzaneto in cui avvennero le torture.In basso a sinistra il carcere di San Marino. Alla stessa scala di grandezza

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6Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 6

Nell’ambito delle celebrazioni per il

50° anniversario dell’Unità d’Italia, il 28 marzo 1911 i sovrani inaugurano a Castel Sant’Angelo le mostre retrospettive, che vogliono far conoscere ai visitatori la ricchezza e la varietà delle arti a Roma attraverso i secoli. All’interno della cinta quadrata sono allestite le esposizioni dei marmorari romani e dei Cosmati, della ceramica, del costume, delle stoffe d’arte, degli strumenti musicali, delle armi, della pittura medioevale e della scultura del Rinascimento di Michelangelo, di Bernini, di Pinelli. Inoltre, si possono visitare le ricostruzioni di una farmacia del 1600 con annesso laboratorio, di una cucina romana del XVII secolo, delle botteghe di un barbiere,

di un vasaio e di un armaiolo, delle stanze di Clemente VII e di Paolo III, arredate con pezzi d’epoca, ecc.Sono restaurate e trasformate in sedi espositive le due casermette costruite dall’architetto militare Giulio Buratti per Urbano VIII, che si allungano parallele a due lati della cinta pentagonale e delimitano la vecchia piazza d’armi del castello: al primo piano, nella casermetta di sinistra si trova il Museo storico del Genio Militare (inaugurato dal re il 13 febbraio 1911), già Museo di storia dell’ingegneria militare italiana; nella casermetta di destra le mostre di Numismatica, di Sfragistica, di Epigrafia e soprattutto di Topografia romana, allestita con materiali provenienti da prestigiose raccolte nazionali

e internazionali. Vengono qui esposti plastici, planimetrie, vedute e fotografie, rilievi del Palatino e delle terme di Caracalla, gli acquerelli di Ettore Roesler Franz.Dietro le casermette sorgono un convento medievale appositamente ricostruito, con ambienti decorati da vedute panoramiche della città di quel tempo; la cella con annesso laboratorio dell’alchimista Giuseppe Francesco Borri, morto in prigione a Castel Sant’Angelo nel 1695; il padiglione per le mostre temporanee, quali l’esposizione internazionale di Fotografia e quella d’Igiene. Ai piedi del castello è allestita anche una mostra degli Stranieri a Roma, cui partecipano sedici nazioni. Si possono ammirare persino le tre carrozze del treno di Pio IX,

restaurato nel 1910.Durante le feste del Cinquantenario sui bastioni della cinta pentagonale sono sistemati: verso via Crescenzio un giardino con fontana, presso il quale si apre uno degli ingressi alle mostre (gli altri due sono sul lungotevere); verso il palazzo di Giustizia un padiglione per il ristorante; verso il Passetto di Borgo – il viadotto che collega Castel Sant’Angelo al Vaticano – un elegante edificio con pronao a quattro colonne, destinato alle sedute plenarie dei congressi.

Nel recinto del castello, all’inizio di maggio, i sovrani d’Italia inaugurano anche la mostra di San Marino, allestita presso il bastione di San Marco, dentro un piccolo edificio addossato a un pilone del “Passetto”. Sulla porta si

San Marino

san marino e roma nel 1911 unite

Il padiglione dei congressi a Castel Sant’Angelo visto dal bastione di San Marco.Sulla sinistra, addossato al “Passetto” di Borgo, s’intravede il piccolo edifi cioche ospita la mostra di San Marino..

I biglietti d’ingresso alle mostre che si tengono nel 1911 aCastel Sant’Angelo e in Piazza d’Armi

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legge: «Anche nella letizia – della solennità giubilare – e sempre – uniti nel nome sacro – della madre Italia – Dato dal Pubblico Palazzo il giorno 27 marzo 1911». Fa gli onori di casa il comm. Onofrio Fattori, già Reggente della Repubblica.Il pianterreno riproduce la sala delle guardie del Gran Consiglio, che mostra sul fondo un camino con artistici alari e altri utensili d’epoca. A sinistra, vicino alla porta, si trova la campana proveniente dalla torre Cesta, che servì a dare l’allarme quando Fabiano da Monte San Savino nel 1543 tentò di occupare di sorpresa la Repubblica.Alla rastrelliera sulla destra sono appese alabarde e spade medioevali, una balestra, uno scudo, un’armatura e il giaco del celebre architetto

militare capitano Giambattista Belluzzi, detto il San Marino, che nel 1554 cadde durante l’assedio di Siena. In alto sono riprodotti gli stemmi a colori dei castelli di Faetano, di Fiorentino, di Montegiardino e di Serravalle, annessi alla Repubblica nel 1462 dopo la sconfitta di Sigismondo Malatesta: costituiscono l’ultimo ingrandimento territoriale di San Marino.Una scaletta in legno conduce al piano superiore, composto da due sale. Nella prima sala, sul cui soffitto si legge il motto latino «Relinquo vos liberos ab utroque homine», una vetrina contiene manichini con costumi militari, fra cui quello di un Capitano Reggente con le insegne dell’ordine equestre di San Marino, di un Console, di un ufficiale superiore della guardia del Gran Consiglio, di

un ufficiale della milizia, di un trombettiere, di un soldato di Rocca, di un gendarme.Un’altra vetrina custodisce importanti cimeli e antichi pubblici sigilli della Repubblica. Notevoli anche quattro sigilli della legione garibaldina, il breviario di Ugo Bassi, le posate da campo di Garibaldi e la veste che Anita lasciò a San Marino durante la fuga dagli Austriaci.Nella seconda sala sono disposte maioliche faentine e quadri a olio del pittore sammarinese Pietro Tonnini, più volte Reggente, e di altri artisti: uno raffigura monsignor Enrico Enriquez, che il 5 febbraio 1740 liberò la Repubblica dal giogo del cardinale Giulio Alberoni; un altro ritrae Domenico Maria Belzoppi, anche lui più volte Reggente, che concesse

ospitalità a Garibaldi nel 1849.La raccolta più interessante è quella dei documenti storici contenuti nelle vetrine a destra, tra cui il Placito Feretrano, la pergamena scoperta nel 1749 da Annibale degli Abati: copia di un documento dell’885, costituisce il primo attestato dell’esistenza di San Marino e della sua indipendenza dalle diocesi di Rimini e del Montefeltro.Le decorazioni dell’edificio a Castel Sant’Angelo sono opera dell’artista sammarinese Rufo Reffi, che ha riprodotto i motivi del Palazzo del Governo, realizzato in piazza della Libertà dall’architetto romano Francesco Azzurri e inaugurato il 30 settembre 1894 con un discorso di Giosuè Carducci.

di Livio Toschi

Le celebrazioni per i 50 anni dell’unità d’Italia

«nel nome sacro della madre italia»

I biglietti d’ingresso alle mostre che si tengono nel 1911 aCastel Sant’Angelo e in Piazza d’Armi

Il padiglione dei congressi è stato rimosso, ma si nota ancora il piccolo edifi cio che ha ospitato la mostra di San Marino

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8Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 8L’ippogrifo

Se in queste sere d’estate dovesse ricapitare che

trasmettano alla tv per l’enne-sima volta “Nato il 4 luglio” vi consiglio di riguardarlo. Ancora una volta. Perché non è solo un film di guerra (o contro la guerra). Perché non c’è solo Tom Cruise o la regia di Oliver Stone. C’è molto di più. C’è la costruzione di una Co-scienza Sociale. Per chi non lo sapesse, Nato il 4 luglio è tratto dalla storia vera di Ron Kovic, e la sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Kovic e dal regista, quindi si presume abbastanza realistica.Qual è la sua storia? Come tanti, troppi giovani americani, è andato al fronte pensando di fare qualcosa di buono per il

suo paese. Come tanti giovani americani, è stato trascinato dalla propaganda militare in cerca di nuove leve e dal carisma delle figure in divisa: simbolo di forza, rispetto e potere. Così Ron nel 1967 de-cide di arruolarsi nel corpo dei marines, nel pieno dello svolgi-mento della guerra in Vietnam, dove lo spediranno. In Vietnam scopre la realtà di una guerra che è quella di tutte le guerre: non è una battaglia contro i presunti “cattivi” per salvare il mondo dei “buoni”. È una violenza cieca e irrazio-nale che colpisce chiunque, compresi neonati, donne, contadini. Di più, le violente carneficine spesso avvengono anche per errore (sic). È facile

purtroppo, quando si maneggia una mitragliatrice e si spara alla cieca, in preda a una pau-ra folle. Succede così che Ron uccide per errore il soldato Wilson. In seguito, nel gennaio del 1968, viene ferito alla spina dorsale diventando per sempre paralizzato dalla vita in giù.Da quel momento, anche se nel film non viene subito mo-strato, Ron Kovic cambia. Dopo una dolorosa riabilita-zione e cure in un ospedale (sporco e infestato dai topi, poiché il governo americano ha investito tutto il denaro pub-blico in armi) torna a casa dalla famiglia.Tutto apparentemente sem-bra come prima, ma niente è come prima. Ron finge che nulla sia cambiato, finge con se stesso di credere ancora alla religione, alla famiglia, alla patria.I cosiddetti “valori”. Fin-ché, dopo una serata passata a ubriacarsi, esplode, contro i genitori, contro le ipocrisie morali e contro tutte le falsità che gli sono state raccontate. Ed è qui che si inizia a raccon-tare davvero la nascita di una coscienza sociale. E, cosa più importante, si narra implicita-mente che la coscienza sociale può nascere soprattutto attra-verso il dolore sperimentato, diretto e indiretto.È questo uno dei problemi di oggi: finché non si prova sul-la propria pelle la sofferenza, provocata dalle decisioni scellerate di un governo incompetente e arrogante, difficilmente una persona ac-quisirà quella consapevolez-za necessaria ad agire. E an-che se la acquisisse, sarebbe comunque difficile tramutare la semplice indignazione in azio-ni concrete. Ron Kovic - uno come noi, direbbero i Nomadi - l’ha fatto. Ha deciso di dare un senso al suo immenso dolore, portando la sua esperienza a conoscenza di tutti, e bat-tendosi come attivista contro la guerra in Vietnam e contro tutte le guerre, diventando uno

degli attivisti americani più de-terminati. Nella nuova introduzione al suo libro (dal quale è stato tratto il film) scritta nel 2005, scrive: “volevo che la gente capisse. Volevo condividere con loro più intimamente e più apertamente possibile cosa ho dovuto attraversare, e sop-portare. Volevo che sapessero cosa davvero significa andare in guerra, non è il mito con cui siamo cresciuti […] sono stato picchiato dalla polizia e arre-stato dodici volte per aver pro-testato contro la guerra, e ho trascorso molte notti in prigione sulla mia sedia a rotelle. Sono stato chiamato comunista e traditore, semplicemente per aver provato a dire la verità.”

di Angelica Bezziccari

nato il 4 luglio

Qui non gliene frega un cazzo della guerra

Il veterano Ron Kovic. “Nato il 4 luglio” si ispira alla sua vita

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88 9www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org

“Graziosa, vero? Elegante, direi. È una pallottola dell’

M16. Una, una sola, basta ad uccidere un uomo: senza biso-gno di sparare a raffica. Perché lei viaggia a una velocità molto vicina alla velocità del suono, e mentre viaggia è sempre al limite dell’equilibrio, e quando arriva non si ferma dentro la carne come una brava pallottola, no, e neanche attraversa un braccio o una gamba, no, lei si gira e si torce e strappa e taglia e ti vuota in pochi minuti di tutto il tuo sangue. Lo sai perché fra

i vietcong ci sono così pochi feriti? Perché i vietcong restano generalmente feriti dall’M16 e perciò non restano a lungo feriti: muoiono sempre. Tieni, portala via con te, a New York, per ricor-do. E ammirandola pensa che fu studiata a lungo, non gli riusciva trovar la polvere giusta ma poi la trovarono: è la polvere Dupont, perché la Dupont non lascia re-sidui dentro il fucile...” Prendo la pallottolina e l’am-miro. È fatta proprio bene. Chi l’avrà inventata? L’ha inventata un uomo. E un giorno quest’uo-mo s’è messo lì con la sua pazienza, la sua scienza, la sua fantasia, la sua tecnologia, e ha calcolato forma peso polvere velocità traiettoria momento d’impatto, e dopo tali calcoli egli ha fatto un disegno, e ha scritto un progetto, e ha offerto il progetto a un industriale. E l’industriale lo ha esaminato con interesse, e ha chiamato i suoi tecnici, e gli ha detto di realiz-zare la pallottolina per prova, ma in gran segreto perché un altro industriale non gli rubasse l’idea. E loro l’hanno fatto. Poi tutti contenti hanno portato la pallottolina all’industriale che l’ha guardata come se fosse uno smeraldo, uno zaffiro, e ha detto: ora vediamo se funziona. E c’è stato l’esame e la pallot-tolina è stata sparata. Su chi? Su cosa? Su un cane, su un gatto, su un pezzo di lamiera? Certo non su un uomo. Io avrei scelto un uomo: l’inventore, ad esempio, o lo stesso industriale, o tutti e due. Invece sia l’invento-re che l’industriale sono rimasti intatti, e l’industriale ha riunito intorno a un tavolo di mogano il suo consiglio di amministrazio-ne, e ha mostrato la pallottolina, e ha proposto di brevettarla e produrre milioni di miliardi di pallottoline per l’esercito che le avrebbe usate in Vietnam. E

il consiglio di amministrazione ha approvato. Sicché guar-dala questa fabbrica piena di operai che costruiscono pallottoline, i bravi operai del proletariato difeso da Marx, pro-tetto dai sindacati, i bravi operai che non hanno mai colpa, la colpa è degli industriali e basta, gli operai poverini non fanno che eseguire gli ordini, devono pur guadagnare, mantenere la fa-miglia, comprarsi l’automobile a rate, no? Hanno forse il tempo e il modo di porsi problemi morali, eh? E costruiscono pallottoline. Laboriosi, compunti, attenti a scartare le pallottoline che non riescono bene, se la pallottolina è imperfetta non strappa non taglia non vuota di tutto il suo sangue l’ometto giallo che se la becca a vent’anni. O l’ometto bianco, o l’omone nero. Perché queste pallottoline ce l’hanno anche gli altri, si fanno anche a Mosca, e a Pechino, dove non le ordina un industriale, le ordina lo Stato, che è proprio lo stesso, e anche gli operai sono proprio gli stessi, magari ancor più dili-genti, ancor più obbedienti, e un giorno io voglio visitare una fab-brica di pallottoline: a Chicago o a Kiev o a Shangai. E voglio guardarli in faccia, tutti: ope-rai, direttori, industriali. E infine

voglio guardare in faccia l’inven-tore perché lui è il più bello, il più importante: suo padre inventò la ghigliottina e suo nonno in-ventò la garrotta. Suo padre era un brav’uomo e suo nonno era un brav’uomo e anche lui è un brav’uomo, ne sono certa: è un buon cittadino e un marito fedele e un papà affettuoso. E se vive a Chicago o a New York o a Los Angeles è anche un cristiano molto devoto. E se è cattolico, la domenica mattina va a Messa e il venerdì mangia pesce. E se è iscritto alla Società Protettrice degli Animali scrive lettere per protestare contro la strage delle foche a Bergen e Halifax. “Egre-gio signor sindaco, con profondo orrore ho letto la strage che ogni stagione avviene nella sua città dove piccole foche inermi, foche neonate, vengono sotto-poste all’atroce supplizio della scuoiatura quando sono ancora vive, sotto gli occhi inorriditi delle madri che vengono accecate e poi usate per giocare a palla...” E sua moglie dirà che non in-dosserà mai più una pelliccia di foca. Voglio conoscere anche lei, perché voglio regalarle una collana fatta con le pallottoli-ne inventate da suo marito, e chiederle di portarla con la pel-liccia di foca: ci va bene insieme.

a proposito di vietnam......dal romanzo-reportage sulla guerra in Vietnam “Niente e così sia” di Oriana Fallaci

Il veterano Ron Kovic. “Nato il 4 luglio” si ispira alla sua vita

La Fallaci in Vietnam

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10Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 10L’autogestita: Oasiverde

Fra i tre volatili-fratelli che più spesso ricorrono nel

folklore e nelle leggende (l’oca, l’anatra, il cigno), l’oca è senza dubbio la più addomesticabile, la più vicina all’uomo: forse anche la più simpatica. Nel folklore questo candido uccello migratore ha occupato indifferentemente le tre aree cosmiche del cielo, della terra e dell’acqua, in quanto è volatore, nuotatore e camminatore robusto. Il suo è il carattere di animale cosmico e uranico, che si può avvicinare al cielo. È un migratore, il cui arrivo segna a sud l’inizio della stagione temperata e a nord quello della stagione più clemente. Sempre, comunque, un buon auspicio. Questo misto di arcano e quotidianità ha circondato l’immagine dell’oca di un’attenzione quasi timorosa. Grande guardiano, dotato di poteri profetici, l’oca sa vedere anche le sventure invisibili che si avvicinano alla casa. Si dice che, qualora essa si metta senza ragione a correre

attorno all’edificio starnazzando, segnali un pericolo mortale. E del resto sono note la sua attenzione e il suo coraggio, specie all’appressarsi di predatori – ladri, faine, volpi, magari anche lupi – o in coincidenza con un principio di incendio.Ciononostante, gli furono tributate credenze popolari che la definiscono sciocca tra le sciocche! Pare che il detto “stupida come un’oca” derivi dal forte schiamazzo che ai più sembra insensato! Ma quei più evidentemente hanno dimenticato la vicenda del Campidoglio e la proverbiale attitudine alla guardia che ne è derivata, quando lo schiamazzo delle oche sacre a Giunone raccolte nel recinto del tempio di Giove con il loro gridare, destarono (mentre i cani dormivano) le sentinelle romane preannunciando l’assalto notturno delle truppe galliche di Brenno.Anche tra i popoli centroasiatici non stupisce imbattersi nell’oca selvatica o nel cigno, questa volta quali veicoli sciamanici: aiutano lo sciamano nella sua ascesa al cielo o lo soccorrono nel suo ritorno dagli inferi, insomma prestano in un modo o nell’ altro le loro ampie e forti

ali al viaggiatore dei mondi extraterreni.

In Egitto, quando

un nuovo faraone saliva al trono, si usava lanciare delle oche selvatiche verso i quattro punti cardinali: poiché l’oca annunzia con il suo arrivo una nuova stagione, il suo volo in relazione al nuovo sovrano veniva ad assumere il carattere d’una magica rifondazione del regno e del cosmo stesso. Anche nel mondo celtico e germanico l’oca ha un significato di tipo veggente e profetico, associato al rapporto fra ricomparsa del volatile e della buona stagione al complesso uranico della sua immagine, come annunciatore degli dèi del cielo. La cultura cristiana, rielaborando il folklore celtogermanico europeo, ne farà qualcosa di diverso. L’ oca è uno degli attributi di uno dei più grandi santi dell’Occidente: Martino di Tours, il patrono della gente franca dopo la sua conversione. Cavaliere, poi eremita, più tardi vescovo di Tours, Martino teneva presso di sé, nel suo romitorio, un’oca: nel suo caso, la sua brava compagna lo “tradì”, quando gli abitanti di Tours lo cercavano per elevarlo alla cattedra episcopale della loro città ed egli si nascondeva. L’oca rivelò alla gente di Tours, stridendo, dove si nascondeva il santo. Oggi San Martino si festeggia l’11 novembre, il medesimo mese della migrazione delle oche verso sud. A smentire il modo di dire che vuole l’oca simbolo di stupidità, ci sono inoltre le testimonianze di chi ha allevato oche... e chi non ha amato l’oca Martina di Konrad Lorenz? Plutarco narra della scaltrezza con la quale le oche sfuggirono ai numerosi attacchi delle aquile sui monti Tauri. Ludwig Büchner racconta le gesta di un’oca che aveva uno spiccato senso militare da montare regolarmente di sentinella e da gridare i diversi

segnali presso il reggimento nel quale si era “arruolata”. Mentre il dott. Franklin scrive che un’oca intenta nella cova da 15 giorni, sentì approssimarsi la fine e lasciò il nido alla ricerca di un’altra oca che la sostituisse nella cova... La nuova oca seguì la moribonda sino al nido e vi si adagiò per continuare la cova fino alla schiusa e alla successiva cura dei piccoli nati; mentre la povera oca vecchia moriva. Forse non a caso in Romagna si dice che quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti furono assorbite dalle oche, il resto venne assimilato dagli uomini! Per noi di Oasiverde l’oca è un animale capace di affetto e comprensione. Giulio, nuovo compagno palmipede del laghetto, è stato capace di abituarsi velocemente al nuovo

l’oca di ieri

Presso i Greci incarnava l’amore idealeAphrodite Urania, divinità trasportata da un’oca.

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1010 11www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.orgwww.oasiverdersm.orginfo@oasiverdersm.org

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ambiente e ai suoi compagni umani, riconoscendone la voce, la figura, e al nostro apparire ci saluta con acuti allegri e chiassosi! Ben diversi i suoi allarmi, e mai inutili: la

sua presenza ha reso più sicure anche le anatre, con le quali convive e che prima del suo arrivo erano terrorizzate dagli attacchi dei corvidi e dei rapaci. Se lo si osserva appare quasi buffa la sua testolina inclinata e intenta a scrutare il cielo, in realtà Giulio è diventato in breve

tempo col suo portamento fiero il Guardiano del Lago.

L’origine della nostra oca domestica deriva dall’oca

selvatica o oca cinerina. L’oca comune si è mantenuta pressoché simile alla sua capostipite, ma l’intervento dell’uomo ha fatto sì che si sviluppassero diversità di mole e di piumaggio; si sono via via venuti a creare degli esemplari con caratteristiche stabili: le razze, ognuna nata per uno scopo ed una produzione ben distinta. Le produzioni ricavabili dall’oca sono la carne, il fegato, ma anche la piuma e il piumino è molto ricercato per la confezione di piumoni

copriletto, cuscini, giacconi, ecc. Questa soffice e calda imbottitura viene ricavata dallo spennamento di oche vive e senza anestesia. La prima spennatura avviene a due mesi di vita, quando le piume sono molto morbide. La piuma è una produzione cornea dell’epidermide di tutti gli uccelli: costituisce il rivestimento contro il freddo ed ha finalità di termoregolazione per cui assolve a funzioni fisiologiche fondamentali. Per questo oltre al momento, terribile, dello spiumaggio, questi animali risentono del fatto di rimanere sprovvisti del loro manto per il periodo successivo. Questo trattamento infatti può anche comportare la morte dell’animale per lo stress cui viene sottoposto o per il freddo che deve poi sopportare. Le piume d’oca possono oggi essere facilmente sostituite con imbottiture sintetiche, come ad esempio l’ovatta di poliestere, già largamente utilizzata nei divani, ma anche nei giacconi e nei piumoni da letto.Basta verificare l’etichetta per capire quello che si sta acquistando, in questo caso la verifica è semplice in quanto il piumino è considerato fattore di pregio, il suo prezzo è molto più alto e viene sempre indicato. I principali paesi che adottano questo procedimento crudele sono la Polonia, l’Ungheria e la Romania, dove circa il 60%

della piuma prodotta viene ottenuta con la spiumatura dell’oca viva. Il maggior produttore rimane l’Est Asiatico, specie per il piumino d’anatra, e in particolare la Cina.In Svizzera la spiumatura delle oche vive è vietata dalla legge, ma comunque è ammessa l’importazione delle piume ottenute in quel modo. Le oche vengono anche sottoposte a ingrassamento forzato per la produzione del fegato grasso: poste in gabbia senza possibilità di movimento per circa tre-quattro settimane e sottoposte a ingozzamento forzato per la produzione

di fegato grasso d’oca. Per settimane le oche verranno iperalimentate forzatamente, con un imbuto infilato nel becco fin giù nello stomaco, affinché il loro fegato si ammali e diventi enorme, fino a dieci volte la dimensione normale; poi saranno ‘pronte’ e quindi uccise. Pronto il Foie Gras. La scelta di Oasiverde non è tra l’oca di ieri e quella di oggi: la nostra scelta è costruire un rapporto con animali che hanno una storia, un’esigenza, ma anche una forte personalità capace di andare oltre a quei muri che il folklore e la zootecnia hanno innalzato.

l’oca di oggi

Alle penne d’oca è legato un profondo significato culturale:

furono infatti usate per scrivere almeno mille anni prima d’essere

sostituite dalla penna in metallo brevettata per la prima volta in America nel 1810. Gli amanuensi, calligrafi esperti, sapevano riconoscere le penne più resistenti, utilizzando le remiganti primarie scartate dagli uccelli durante la muta, che venivano prima solidificate, tagliate e affilate con l’apposito tagliapenna. Il fusto cavo della penna (calamo) agisce come un serbatoio d’inchiostro e quest’ultimo giunge alla punta tramite azione capillare. Generalmente l’ala sinistra è quella preferita dalla maggior parte dei destrimani, poichè la piuma curva verso destra, lontano dalla mano che regge la penna. Le barbe venivano sempre tolte parzialmente o completamente, in quanto sono una distrazione inutile oltre che appesantire inutilmente uno strumento che veniva utilizzato per ore.

le penne d’oca

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12Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 12Società

L’Uomo è diventato una forza geologica. L’impronta

del genere umano sulla Terra ha acquisito il potere di altera-re le forze della Natura; lo ha ottenuto negli ultimi 200 anni, sfruttando l’energia che deriva dal petrolio. Per le nostre attività bruciamo un miliardo di barili di petrolio ogni 12 giorni, e in un solo gior-no tutto il petrolio che la Natura produce in 3 milioni di anni.Il petrolio spinge i motori della nostra agricoltura industriale. Gli ultimi 200 anni di sfrutta-mento intensivo e dissenna-to del suolo hanno causato la distruzione del 25% dei terreni fertili del Pianeta. A volte la causa di distruzione è la semplice aratura, tecnica considerata fondamentale da

quasi tutti gli agricoltori, ma che in realtà produce danni se-rissimi alla fertilità del terreno. L’aratura può essere conside-rata al pari delle ferite, le cui ci-catrici riprodotte una sull’altra, strato su strato, rendono infine la pelle incapace di traspirare. La Natura, per creare due centimetri di suolo fertile, im-piega 500 anni. L’uomo ara i propri campi due volte all’anno, tutti gli anni, da secoli.Dopo il petrolio l’Uomo ha bi-sogno di acqua. Le nostre città sono luoghi talmente artificiali che devono essere approvvi-gionate con sistemi forzati che non tengono conto del ciclo naturale dell’acqua. Si stima che nei sistemi idrici artificiali è immagazzinata 5 volte la porta-ta che è nei fiumi mondiali.

Il bisogno di energia costa energia. La maniera classica di estrarre petrolio consiste nello scavare un pozzo. I macchinari per scavare ed estrarre petrolio sono in rapporto 1\25, un ba-rile di petrolio consumato per estrarne 25. Poiché i giacimenti classici si stanno esaurendo si ritiene di aver superato il picco di produzione, motivo per il quale il costo del greggio è destinato ad alzarsi sempre di più. Ci sono tuttavia società petro-lifere che hanno individuato petrolio in altre forme: nelle sabbie bituminose del Canada per esempio. Per estrarre petrolio dalla sabbia si deve distruggere completamente l’habitat naturale, ovvero di-sboscare il territorio, scavare e drenare il petrolio dalla sabbia. Un’operazione che comporta un rapporto di 1\5, un barile di petrolio per estrarne 5. Bruciare petrolio significa libe-rare i gas che erano stati in-trappolati milioni di anni fa dalle foreste. I gas sono il diossido di carbonio e il metano, e sono i responsabili dell’effetto serra.L’attuale quantità di diossido di carbonio e di metano che abbiamo immesso in atmosfera è il più alto valore degli ultimi 5 milioni di anni.La presenza di tutto questo gas serra sta riscaldando e inacidendo gli oceani. I coralli muoiono, ma quel che è peg-gio è che sono le temperature oceaniche a produrre fenomeni climatici estremi. Le stagioni degli uragani registrano un’impennata della loro at-tività 10 volte superiori alla norma.Gli scienziati stanno inoltre osservando eruzioni di metano direttamente dai fondali marini: gli oceani stanno letteralmente ribollendo. Il metano produce un effetto serra 10 volte più po-tente del diossido di carbonio. L’ultima volta che gli oceani hanno rilasciato metano dal fondale, la Terra ha affrontato i drammatici effetti dell’effetto

serra.Attualmen-te il 60% delle isole Svalbard è coperto dal ghiaccio. 55 milioni di anni fa queste isole erano coperte da foreste di tipo tropicale. All’epoca, a seguito del rilascio di metano oceanico, la temperatura me-dia della Terra aumentò di 10 gradi centigradi.Oggi, a causa dello scioglimen-to dei ghiacci polari, le compa-gnie di navigazione esultano perché si sono aperte nuove e più economiche rotte di navi-gazione polare. Probabilmente esulteranno meno i paesi sulla fascia equatoriale, se un innal-zamento di 10°C renderà ostile alla vita i loro territori.In passato a fronte di un ra-pido innalzamento naturale delle temperature seguì un raffreddamento. Motore del raf-freddamento che fece ritornare il ghiaccio artico fu la catena Himalayana. L’arma di raffreddamento globale è l’erosione. Il dios-sido presente nell’aria si con-densa in prossimità delle cime montuose e ricade al suolo sotto forma di neve. Diventa acqua, scorre al mare e porta i sedimenti sul fondale ove di-venta roccia. L’Himalaya espo-ne roccia in atmosfera, che si

Come reggere il confronto con numeri molto più grandi della nostra comprensione

avanti tutta

di Marco Canarezza

Molte persone si stanno iniziando ad attivare per la tutela di uno dei beni più pre-ziosi del pianeta, anzi il pianeta stesso: la terra. Per chi volesse saperne di più, è attivo il sito www.stopalcon-sumoditerritorio.it Approfondimenti, forum, informazioni, petizioni online e tanto altro per iniziare a fare qualcosa di concreto per salvare la Terra.

stop al consumodi territorio

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1212 13www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org

erode e pro-voca piogge in

atmosfera, riducendo le temperature. Questo è

il sistema di autoregolazione termica del Pianeta.A fronte dell’impennata delle attività umane odierne non abbiamo un Himalaya da innal-zare, per cui si sta sperimen-tando di intrappolare il diossido di carbonio nel sottosuolo. Altri metodi di controllo del diossido di carbonio sono la coltivazione di alghe e piante. Tuttavia la pratica di seppellirlo alla fuoriu-scita dalle ciminiere industriali sembra essere il metodo più rapido ed efficace.Lo stanno sperimentando alle Svalbard. Pomperanno il carbonio in buchi scavati nel terreno e lo intrappoleranno nei pori della roccia. Interrare il diossido di carbonio è un processo che la Natura fa da milioni di anni; l’Uomo sta ini-ziando a farlo artificiosamente ora, e non ha molto tempo per imparare a farlo meglio se vuole continuare a sviluppare i suoi sistemi industriali.L’umanità sta imparando a con-trollare i suoi errori tecnologici e poiché è diventata una forza geologica, abbiamo l’occasio-ne adesso, di dimostrare se siamo locuste o davvero esseri speciali.

Fabrizio Buratto, un vecchio amico ospite dell’Asso-

ciazione Don chisciotte il 9 febbraio 2008, a Domagnano, in occasione del seminario sul precariato lavorativo dal titolo “Tempi Precari”, ci ha scritto questo breve articolo per lancia-re il suo nuovo libro, che segue il bel libro d’esordio “Curriculum atipico”. Lo facciamo con grande entu-siasmo.Per i più curiosi, e per coloro che non avessero seguito il seminario “Tempi precari”, è possibile visualizzare l’inter-vento video di Fabrizio Buratto alla pagina online: www.asso-ciazionedonchisciotte.org/even-ti_2008/tempi_precari.htm

n.d.r.

Mal di schiena, alla cervicale, lombosciatalgie, sindrome del tunnel carpale, insonnia e cattiva circolazione alle gambe sono alcune delle patologie più diffuse fra chi lavora in ufficio. Così pure, tutti coloro che sul la-voro sono costretti in posture coatte davanti ad un terminale, ad uno sportello, alla cassa di un supermercato, ad un micro-scopio o alla guida di un mezzo, possono accusare disturbi da stress lavoro-correlato. Lo stress fisico si fa mentale, andando ad influenzare l’umore e la produttività del lavoratori. In “Massaggio da ufficio – Pre-venzione e cura dello stress da lavoro” (Urra-Apogeo),

offriamo un aiuto concreto per i problemi legati allo stress lavo-ro-correlato. Nella prima parte raccontiamo l’evoluzione del Massaggio da ufficio, nato negli Stati Uniti, e ne spieghiamo i benefici da un punto di vista mentale e fisico. Attraverso le classificazioni delle figure professionali più inclini a stress e depressione, ciascuno può misurare il suo grado di espo-sizione allo stress sul lavoro. Nella seconda parte del libro abbiamo illustrato le principali manualità del Massaggio da ufficio attraverso cento foto-grafie dei tre ambiti in cui si declina: massaggio sull’apposita sedia da massaggio, massag-gio alla postazione di lavoro e automassaggio. Dettagliate didascalie esplicative spiegano i movimenti da compiere. “Massaggio da ufficio” è rivolto ai lavoratori e alle aziende ita-liane grandi e piccole, pubbliche e private, che dal 31 dicembre 2010 sono obbligate dalla Normativa sulla valutazione del rischio stress lavoro-correlato (D.Lgs 81/2008 contenuto nel c.d. Testo Unico Salute e Si-curezza sul Lavoro) a fare la rilevazione del rischio stress lavoro-correlato e ad inter-venire in presenza di stress. Il Massaggio da ufficio è un potente strumento low cost per prevenire e curare lo stress da lavoro: dura poco (10-15 minuti), si può fare e ricevere ovunque da vestiti. La rivo-

luzione da fare con le mani, che abbiamo in mente Giovanni Leanti La Rosa ed io, consi-ste nel fare corsi in azienda per insegnare ai dipendenti a scambiarsi il massaggio da ufficio, instaurando una nuova etica del lavoro fra le scrivanie. L’azienda che offre un corso di Massaggio da ufficio ai suoi dipendenti, realizza un nuovo e valido modo di fare team building. Con il Massaggio da ufficio possiamo mettere la salute nelle nostre mani, prima che le patologie si cronicizzino, e spandere il virus benefico del massaggio, pratica in cui cia-scuno rappresenta una risorsa per l’altro, invece che un proble-ma o una minaccia. Per approfondire l’argomento abbiamo creato il sito www.stresslavorocorrelato.eu all’in-terno del quale discutere sul mio blog “Iononmifacciostressare”

Breve presentazione del nuovo libro di Fabrizio Buratto scritto a quattro mani con Giovanni Leanti La Rosa

massaggio da ufficio

di Fabrizio Buratto

Fabrizio Buratto

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14Il Don Chisciottenumero 44, luglio/agosto 2011 14

Nel contesto delle realtà ed esperienze che stan-

no fronteggiando con solidità teorica ma soprattutto con grande senso pratico il delicato e drammatico momento che stiamo vivendo, il Movimento della Transizione merita certa-mente una menzione speciale. Nato in Irlanda e in Inghilterra tra il 2005 e il 2006 per inizia-tiva di Rob Hopkins, il movi-mento delle Transition Towns (Città di Transizione) si è presto diffuso anche in Italia.L’ultimo AltreMenti Festival ha visto tra i relatori Cristiano Bottone, uno dei principali

rappresentanti del movimento italiano, che nel poco tempo disponibile è riuscito ad accen-dere la curiosità e l’interesse del pubblico. Ci piace ricordare quell’occasione come una delle tappe significative per l’inizio della Transizione a San Marino, anche perché il riscontro che abbiamo ricevuto in termini di interesse, al Festival e nei gior-ni a seguire, è stato importante.Già al Festival, consci di aver tirato il sasso, non potevamo più nascondere la mano: ab-biamo così pensato di orga-nizzare, per il prossimo 8 set-tembre, un Transition Talk,

guidato proprio da Cristiano. Si tratterà di una serata in cui ap-profondire insieme i temi princi-pali relativi al Movimento della Transizione, con un coinvolgi-mento attivo dei partecipanti. L’incontro si terrà presso l’An-fiteatro di Chiesanuova dalle 19: vi forniremo nei prossimi numeri maggiori informazioni sulla logistica dell’evento.Stiamo contestualmente avviando un percorso di coinvolgimento dell’intera comunità sammarinese sulla necessità e l’utilità di attivarsi per un’iniziativa di transizione nazionale. Un’esperienza come questa può significare un pro-getto di rinascita sociale e civile per un Paese che accusa e de-nuncia un disagio diffuso, che non si riesce più a nascondere.Il Movimento della Transizione concentra la propria riflessione e azione su due elementi: il picco del petrolio e i cam-biamenti climatici. Si pone l’obiettivo di prepararci a ge-stire il passaggio a un mondo ed una vita senza petrolio. L’accento viene correttamen-te posto non sul momento di esaurimento dell’ultima goccia, ma sul picco petrolifero globale, cioè il punto raggiunto il quale la quantità di petrolio diminuirà ed i prezzi aumenteranno inevi-tabilmente. Il picco petrolifero viene fatto risalire, in base a diverse inter-pretazioni, a momenti diversi: c’è già stato, ci siamo, ci sare-mo a brevissimo. Queste valu-tazioni risultano sconvolgenti se si pensa che la costruzione, lo sviluppo, il mantenimento dello stile di vita in particolare dell’ultimo mezzo secolo, con-cordemente riconosciuto come benessere e consacrato sull’al-tare della crescita, è dovuto alla disponibilità di petrolio abbon-dante e a buon mercato. Tanto petrolio e a basso costo: sono i cardini del cosiddetto be-nessere (sareste stupiti di cosa si fa con petrolio e derivati, pra-ticamente tutto), le condizioni su cui abbiamo scelto di basare

e basato la nostra vita.Senza contare che quello del petrolio non è l’unico picco, anche solo limitandoci al greg-gio, considerare che il petrolio è una risorsa finita e in rapido corso di esaurimento potreb-be sembrare perfino banale. Ma non lo è. Tant’è vero che di fronte ad un avvenimento inevitabile e che ci costringerà a significativi cambiamenti, finora le risposte comuni sono riconducibili a due tipologie, entrambe inquietanti: la nega-zione o il rifugio nelle energie alternative come soluzione per mantenere inalterato il nostro stile di vita assurdo (cosa irrazionale e peraltro tecnicamente impossibile).Il Movimento della Transizione propone una riflessione basata essenzialmente su due fattori: 1) questo cambiamento è ine-vitabile; 2) questo cambiamen-to è positivo. Non è seconda-rio, in effetti, che la Transizione si caratterizzi per un approccio positivo, lontano da un certo pessimismo esclusivo che ani-ma (e talvolta condanna) certe esperienze ecologiste.Riflettere sui cambiamenti di stile di vita individuale, ridare senso alla vita comunitaria, riprogettare la vita in chiave locale e ricostruire il tessuto sociale distrutto (quanto cono-scete la vicina di casa o il ne-goziante della via?): sono altri elementi e finalità della Transi-zione. Non da ultimo, la Tran-sizione può rappresentare una buona cornice di riferimento per altre esperienze orientate a riflettere sui nostri stili di vita e sul loro impatto.I tempi sono maturi per una riflessione più profonda ma soprattutto per una mobili-tazione che coinvolga in una trasformazione posi-tiva e inevitabile tutta la comunità sammarinese. La situazione è grave, è in atto una vera e propria emergenza sociale. Quasi tutti concordano sulla

Gruppi di Acquisto Solidale

di Stefano Palagiano

san marino in transizioneRisposte concrete per il presente e il futuro

Un significativo esempio del collasso della produzione petrolifera è Cantarell, in Messico, attualmente il più grande campo di estrazione petrolifera dell’emisfero ovest del mondo. A fronte di oltre due milioni di barili al giorno nel 2004-2005, a Cantarell se ne stanno ora producendo molto meno della metà. (fonte: www.oilcrisis.com)

Per approfondimenti: transitionitalia.wordpress.com/L’esperienza della Transizione è stata protagonista anche allo sbarcogas convegno nazionale gas/des del 24-26 giugno a L’Aquila: www.sbarcogaslaquila.it

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1414 15www.associazionedonchisciotte.orginfo@associazionedonchisciotte.org Il punto

necessità di far qualcosa. Qua-si tutti hanno paura di quello che sarà.Qualcuno rimanda, qualcuno prova a muoversi. Aggregarsi intorno a progetti concreti e capaci di ricostruire senso del-la comunità, preparandosi al mondo che verrà, riqualificando (per usare un termine spesso abusato) attività e obiettivi di un intero Paese, facendone emer-gere finalmente potenzialità soffocate. Recuperare saperi e abilità perdute, riportarli al cen-tro della vita. Rinnovare le isti-tuzioni, con il contributo di tutti. Recuperare relazioni, anche per evitare tante tragedie della solitudine e del pregiudizio. Lasciare ai nostri figli un mondo realmente migliore. Soluzioni e supporto. Un sorriso anche se c’è poco da ridere. Tutto questo è Transizione. È un progetto che può davvero rilanciare, nel caso di San Marino, un intero Paese. È un progetto inclusivo, intorno a cui si può pensare di riunire finalmente una comunità in grave crisi d’identità.

La Guardia di Finanza di Par-ma, a seguito dell’indagine

“Green Money”, ha arrestato a fine giugno 11 persone per corruzione, peculato e reati contro la pubblica amministra-zione. Tra loro il comandante della polizia municipale e due dirigenti comunali (dell’ambiente e del marketing).500 parmigiani hanno subito assediato il Palazzo Comunale pretendendo le dimissioni dell’in-tera giunta e regalando rose ai passanti. Una delle voci di spese gonfiate, infatti, era quella di €180.000 per la sistemazione di rose lungo il fiume, gonfiata ad arte per intascare soldi.Il sindaco, per le solite motivazio-ni trite (sarebbe irresponsabile e bla bla bla), non si dimetterà ma almeno non si ricandiderà alle prossime elezioni comunali.Dunque c’è un reato, la pronta indagine della GdF, arresti, im-mediata risposta della popolazio-ne e risultati tangibili.Del resto Parma è città della resistenza, fatta di gente che ha pochi timori a sfidare il potere, generazione per generazione.A San Marino è un po’ più com-

plesso. Da noi non c’è la GdF, e il tribunale non ha mai con-

dannato nessun “potente”. Da noi l’ex comandante della gendarmeria Biagioli e suo figlio Carlo, l’Avvo-cato, non dico che non

siano stati condan-nati (non ho elementi per sostenerne la colpevolezza), ma

nemmeno sono stati processati. E mai lo saranno finché ce ne dimenticheremo!Da noi nessuno scende in piazza, perché il nostro non è popolo di resistenza ma di “af-filiazione”; da noi il potere non è un elemento da guardare con sospetto, frenare, ostacolare, ribaltare: al contrario, da noi si fa a gare per vendersi al po-tente di turno in cambio di un piatto di lenticchie, e non c’è peggior popolo di quello che non ha dignità! Da noi nessuno può indagare, incarcerare, sfidare il potere, perché ogni ruolo in tribu-nale, polizia, gendarmeria, viene favorito o deciso dalla politica, perché ogni dirigente della P.A. è espressione di un potente, e gli stessi politici sono pedine di uno o dell’altro potentato economico, perché l’interesse dei politici non è mai (o quasi) quello del paese, ma quello del padrino che li ha nominati, scambiato voti in loro favore, che li ha messi in una commissione...Da noi non importa nemmeno se ti dichiari nullatenente e giri in ferrari, o se lasci che la tua Segreteria di Stato sia luogo di contrattazione privata di gente priva di scrupoli, perché da noi controlli non ce n’è, e se ce n’è non succede certo verso chi siede alla destra del potente che con una telefonata blocca indagi-ni, sospetti, pene. Da noi vige la più assoluta libertà di delinquere e nuocere al prossimo impunemente!Se è vero che anche San Marino

ha avuto resistenti e partigiani, e che anche da noi uomini e donne che facevano politica col cuore sono stati costretti all’esilio e alla fuga, è anche vero che la resi-stenza sammarinese ha sempre perso, chi ha fatto nomi e detto verità scomode ha perso tutto, da noi l’associazione dei partigia-ni ha dovuto chiudere i battenti sotto i colpi di una burocrazia fagocitante, e lo Stato ha perso l’opportunità di fare dei nostri partigiani dei maestri di vita da cui apprendere come contrastare il potere, perché è solo da un continuo contrasto, da una continua limitazione del potere che può prendere vita una de-mocrazia. San Marino non è né Repubblica né Democrazia!E se anche da noi come a Par-ma si parla di fiori, non è certo per protestare contro tangenti che pure ci sono eccome, ma solo per discutere -fuori tempo massimo e risibilmente- di obso-lescenti garofani socialisti, con una costituente composta di volti e nomi che farebbero rabbrividire ogni popolazione dignitosa, ma che da noi proliferano e godono di eterna fiducia, di eterna gra-titudine: gente come Fiorenzo Stolfi, Paride Andreoli, Germano De Biagi, Augusto Casali, Clau-dio Felici e i giovani vecchi del codazzo!Questo stato di cose è sufficiente a decretare il fallimento civico di San Marino. Quello economico, con buona pace delle sigle, non è che una conseguenza che hanno contribuito a creare!

di Roberto Ciavatta

parma, san marino e fioriSu come simboli ed immagini assumano valori differenti in base allo spirito resistente od accomodante che anima diversi popoli

La folla di fronte al palazzo comunale di Parma

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Redazionedirettore: roberto ciavattaediting: angelica Bezziccariindirizzo: via ca’ giannino 24 - 47895 - domagnano (rsm)tel: 0549. 878270 / mail: [email protected] WeB: www.associazionedonchisciotte.orgcollaBoratori: riccardo Balestrieri, fabrizio Buratto, marco canarezza, oasi-verde, stefano Palagiano, davide tagliasacchi, livio toschi, sara villa copia depositata presso il tribunale della repubblica di san marino

Appunti di psicologia

L’idea di farsi del male, di ferirsi, di provocarsi una lesione non appartiene

certamente solo al regno della psicopato-logia. Esistono molte forme di autolesioni-smo culturalmente e socialmente ricono-sciute o addirittura incoraggiate, inserite nel contesto di un insieme di credenze o di valori che attribuiscono loro un significato. Molte pratiche di iniziazione religiosa han-no carattere autolesionistico: la circonci-sione, la fustigazione, la flagellazione, non sono anch’esse forme di autolesionismo? Anche nelle pratiche sessuali più estreme, come il sadomasochismo, vi sono aspetti che possono rimandare direttamente a fe-nomeni autolesivi.Siamo da sempre abituati a considerare il corpo come un oggetto, come qualcosa che ci appartiene nel profondo ma che, proprio perché nostro, viene inserito tra le varie “cose” del mondo. Siamo soliti vederlo e usarlo esclusivamente nella sua dimensione anatomica e fisiologica: un semplice meccanismo governato da leggi fisiche e da rapporti di tipo determi-nistico. In realtà bisognerebbe prendere coscienza anche di un’altra dimensione del corpo: la corporeità. Merleau-ponty così scrive: “il corpo che vivo in prima per-sona è soggettività che non è mai piena-mente oggettivabile e visualizzabile”. Oltre ad essere una “cosa”, infatti, esso è anche “Corpo vissuto” o “vivente”.Il corpo è dotato di un proprio linguag-gio, una propria forma di comunicazione con il mondo e con gli altri. Possiede in-trinsecamente in sé un’infinità di significati

che cambiano di continuo, a seconda delle situazioni, delle emozioni provate, comu-nicando talvolta in modi apparentemente indecifrabili. Questo è soprattutto il caso di quello che viene chiamato “il corpo della psicopatologia”, dall’apparenza incom-prensibile, ma in realtà significante e che sovente, nelle sue metamorfosi, si rivela attraverso la “voce dell’impulsività”. Essa dà conto di varie, possibili declinazioni della psicopatologia: condotte suicidarie e parasuicidarie. Uno dei primi comportamenti autolesio-nistici a carattere impulsivo studiati in psichiatria è costituito dalla pratica del “taglio dei polsi”. Nel manuale psichiatrico DSM IV non si parla di autolesionismo, ma di automutilazione, di lesioni auto inferte dirette all’ablazione di una parte del corpo o di un organo, come ad esempio un orec-chio.Favazza è probabilmente il clinico che maggiormente si è dedicato all’argo-mento. A lui si deve la descrizione del primo caso di automutilazione: una donna che nel 1846 si cavò entrambi gli occhi per punirsi dei suoi terribili peccati. Il pri-mo caso documentato di mutilazione dei genitali fu invece descritto da Warrington in un giovane uomo. Tali fenomeni, in ogni caso, sono piuttosto rari e solitamente in letteratura strettamente connessi a patolo-gie di carattere psicotico, in special modo schizofrenico: nelle persone affette da tale patologia, la mutilazione viene associata all’idea di potersi liberare di una parte del corpo sentita come persecutoria.

L’autolesionismo invece è un fenomeno ampiamente diffuso, soprattutto negli ultimi anni tra gli adolescenti, e consi-ste nell’autoprovocarsi ferite e lesioni di qualsivoglia genere. In tale pratica, il corpo viene utilizzato per dar forma ad uno stato mentale intollerabile. Non tanto liberandosi definitivamente di una parte di esso, quan-to piuttosto utilizzandolo come superficie sulla quale “scrivere” il proprio dolore.Favazza nel suo libro “Corpi sotto assedio: l’automutilazione nella cultura e in psi-chiatria” pone una prima classificazione, suddividendo il comportamento autolesio-nistico in varie sottocategorie; innanzitutto la differenziazione tra autolesionismo “cul-turalmente accettato” come le pratiche del piercing e del tatuaggio, e quello deviante. Quest’ultimo, a sua volta comprende:1) L’Autolesionismo maggiore, che ri-guarda soprattutto le mutilazioni. Si tratta di atti improvvisi, spesso confusi e caotici che procurano gravi danni alla persona. Alcuni di codesti pazienti appaiono total-mente indifferenti rispetto al proprio com-portamento e non riescono a darne una spiegazione. Altri invece ne danno anche più di una, spesso incomprensibili, che chiamano in causa tematiche religiose o sessuali.2) L’autolesionismo stereotipato com-prende una serie di azioni: battere la testa, percuotersi, mordersi, graffiarsi. Sono gesti ripetitivi e occasionalmente ritmici. Sembra che codeste persone siano spinte a farsi del male per obbedire ad un impe-rativo interno, senza provare alcuna colpa o vergogna per il loro atteggiamento.3) L’autolesionismo superficiale è la for-ma auto lesiva più diffusa. Vi sono tre tipi di condotte: quelle compulsive (mangiarsi le unghie fino alla carne viva o strapparsi i capelli); condotte episodiche e ripetitive, in cui le pratiche più diffuse sono il lesionarsi con lame o con il fuoco. Tali gesti, dappri-ma occasionali, diventano ripetitivi fino al punto da assurgersi a una vera e propria dipendenza: nascono così i cutters o bur-ners, persone che fanno del tagliarsi o del bruciarsi un tratto stabile del loro modo di essere, per far fronte a determinate situa-zioni emotive o come processo d’identifi-cazione a un gruppo di appartenenza.

il corpo violato

di Davide Tagliasacchi

Un’indagine sul rapporto tra dolore e sofferenza

Armando Favazza