Diritto Fallimentare Guglielmucci

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1 L’esigenza di regolazione della crisi dell’impresa Le procedure concorsuali sono strumenti di regolazione della crisi dell‟impresa. La crisi dell‟impresa è ordinariamente legata aduna perdita di capacità reddituale: Tuttavia, anche quando si viene a determinare una situazione di squilibrio non momentaneo fra costi e ricavi, l‟imprenditore può essere egualmente in grado di far fronte alle proprie obbligazioni: con il ricorso, ad esempio, a risorse extra aziendali o se ad esercitare l‟impresa sia una società reperendo i necessari mezzi finanziari con apporti dei soci od operazioni di aumento di capitale: Non vi è la necessità di regolare la crisi in procedura concorsuale. Questa necessità insorge, invece, quando la crisi esplode all‟e sterno, sfociando in una carenza dei mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni, cioè in uno stato di insolvenza. La prosecuzione incontrollata dell‟attività da parte dell‟imprenditore si ripercuote su color che hanno instaurato o possono instaurare rapporti con lui: determinando un aggravamento del dissesto con un crescente coinvolgimento di altri soggetti. Perciò al debitore può essere imposta la regolazione della crisi ad iniziativa dei creditori o. nel nostro ordinamento, anche ad iniziativa pubblica attraverso una procedura concorsuale liquidativi, ferma restando la possibilità per il debitore di prevenirla attraverso un accordo con i creditori . Prima di sfociare nell‟insolvenza vera e propria la crisi si estrinseca però in un rischio di insolvenza, situazione nella quali si trova l‟imprenditore quando, pur essendo in grado di adempiere le obbligazioni scadute, è prevedibile che non sarà in grado di adempiere le obbligazioni di prossima scadenza. La denuncia tempestiva della crisi può favorirne una migliore regolazione, ma questa regolazione preventiva non può essere imposta al debitore, che vi si può soltanto sottoporre spontaneamente. Un accordo con i creditori può quindi essere ricercato anche quando non sussistono ancora i presupposti per l‟apertura della procedura concorsuale liquidativi di fallimento. 2 I percorsi per la regolazione della crisi Le alternative per la regolazione della crisi sono sostanzialmente, due: l‟accordo con i creditori o una procedura che può essere imposta al debitore dai creditori o ad iniziativa pubblica. Quando la crisi investe imprese di dimensioni significative, solitamente articolati in “gruppi”, l‟accordo con i creditori viene spesso ricercato stragiudizialmente: La preferenza per la soluzione privatistica è legata da un lato agli elevati costi del ricorso alla via pubblica e alla maggior perdita di credibilità dell‟impresa dall‟altro e soprattutto alla maggiore snellezza di un iter affidato esclusivamente all‟imprenditore ed ai suoi naturali i nterlocutori. Tuttavia essendo la regolazione completamente rimessa all‟autonomia privata e quindi vincolante unicamente per i creditoriche via aderiscono. a) vi è la necessità di una massiccia adesione di creditori, assai superiore a quella richiesta in caso di ricorso alla via pubblica b) la mancanza di una struttura pubblica di controllo e la correlativa mancanza di protezione contro iniziative individuali (costituzione di ipoteche giudiziali ) impone di fronteggiare le azioni dei free riders, per lo più reperendo con immediatezza le risorse per il loro soddisfacimento integrale. All‟esigenza di favorire le composizioni stragiudiziali risponde ora la previsione dell‟esenzione da revocatoria di atti, pagamenti e garanzie concesse sui beni del debitore in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell‟impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili . Nell‟esperienza statunitense è stata escogitata una via ibrida tra la via privatista e quella pubblica, rappresentata dalla ristrutturazione del passivo negoziata con i creditori , via preferenziale per l‟accesso alla procedura di reorganisation ed ai vantaggi che essa offre (protezione contro le azioni esecutive,. A questa esperienza si ricollega in qualche misura l‟accordo di ristrutturazione dei debiti (art.182 bis, 1 fall.) prenegoziato con creditori rappresentanti una maggioranza di rilievo. L‟accordo che può essere depositato nelle forme e con la documentazione prevista per la domanda di ammissione a concordato preventivo è soggetto ad omologazione del tribunale. Se l‟accordo con la maggioranza - che deve essere di almeno il 60% dei crediti- si forma stragiudizialmente, il percorso successivo segue la via pubblica della sottoposizione al tribunale, chiamato a valutare l‟opportunità

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1 L’esigenza di regolazione della crisi dell’impresa

Le procedure concorsuali sono strumenti di regolazione della crisi dell‟impresa.

La crisi dell‟impresa è ordinariamente legata aduna perdita di capacità reddituale: Tuttavia, anche

quando si viene a determinare una situazione di squilibrio non momentaneo fra costi e ricavi,

l‟imprenditore può essere egualmente in grado di far fronte alle proprie obbligazioni: con il ricorso,

ad esempio, a risorse extra aziendali o – se ad esercitare l‟impresa sia una società reperendo i

necessari mezzi finanziari con apporti dei soci od operazioni di aumento di capitale: Non vi è la

necessità di regolare la crisi in procedura concorsuale.

Questa necessità insorge, invece, quando la crisi esplode all‟esterno, sfociando in una carenza dei

mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni, cioè in uno stato di insolvenza. La prosecuzione

incontrollata dell‟attività da parte dell‟imprenditore si ripercuote su color che hanno instaurato o

possono instaurare rapporti con lui: determinando un aggravamento del dissesto con un crescente

coinvolgimento di altri soggetti. Perciò al debitore può essere imposta la regolazione della crisi –

ad iniziativa dei creditori o. nel nostro ordinamento, anche ad iniziativa pubblica – attraverso una

procedura concorsuale liquidativi, ferma restando la possibilità per il debitore di prevenirla

attraverso un accordo con i creditori . Prima di sfociare nell‟insolvenza vera e propria la crisi si

estrinseca però in un rischio di insolvenza, situazione nella quali si trova l‟imprenditore quando, pur

essendo in grado di adempiere le obbligazioni scadute, è prevedibile che non sarà in grado di

adempiere le obbligazioni di prossima scadenza. La denuncia tempestiva della crisi può favorirne

una migliore regolazione, ma questa regolazione preventiva non può essere imposta al debitore, che

vi si può soltanto sottoporre spontaneamente. Un accordo con i creditori può quindi essere ricercato

anche quando non sussistono ancora i presupposti per l‟apertura della procedura concorsuale

liquidativi di fallimento.

2 I percorsi per la regolazione della crisi

Le alternative per la regolazione della crisi sono sostanzialmente, due: l‟accordo con i creditori o

una procedura che può essere imposta al debitore dai creditori o ad iniziativa pubblica.

Quando la crisi investe imprese di dimensioni significative, solitamente articolati in “gruppi”,

l‟accordo con i creditori viene spesso ricercato stragiudizialmente: La preferenza per la soluzione

privatistica è legata da un lato agli elevati costi del ricorso alla via pubblica e alla maggior perdita di

credibilità dell‟impresa dall‟altro e soprattutto alla maggiore snellezza di un iter affidato

esclusivamente all‟imprenditore ed ai suoi naturali interlocutori. Tuttavia essendo la regolazione

completamente rimessa all‟autonomia privata e quindi vincolante unicamente per i creditoriche via

aderiscono. a) vi è la necessità di una massiccia adesione di creditori, assai superiore a quella

richiesta in caso di ricorso alla via pubblica b) la mancanza di una struttura pubblica di controllo e

la correlativa mancanza di protezione contro iniziative individuali (costituzione di ipoteche

giudiziali ) impone di fronteggiare le azioni dei free riders, per lo più reperendo con immediatezza

le risorse per il loro soddisfacimento integrale.

All‟esigenza di favorire le composizioni stragiudiziali risponde ora la previsione dell‟esenzione da

revocatoria di atti, pagamenti e garanzie concesse sui beni del debitore in esecuzione di un piano

che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell‟impresa e ad

assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui ragionevolezza sia attestata da un

professionista iscritto nel registro dei revisori contabili .

Nell‟esperienza statunitense è stata escogitata una via ibrida tra la via privatista e quella pubblica,

rappresentata dalla ristrutturazione del passivo negoziata con i creditori , via preferenziale per

l‟accesso alla procedura di reorganisation ed ai vantaggi che essa offre (protezione contro le azioni

esecutive,. A questa esperienza si ricollega in qualche misura l‟accordo di ristrutturazione dei debiti

(art.182 bis, 1 fall.) prenegoziato con creditori rappresentanti una maggioranza di rilievo. L‟accordo

che può essere depositato nelle forme e con la documentazione prevista per la domanda di

ammissione a concordato preventivo è soggetto ad omologazione del tribunale. Se l‟accordo con la

maggioranza - che deve essere di almeno il 60% dei crediti- si forma stragiudizialmente, il percorso

successivo segue la via pubblica della sottoposizione al tribunale, chiamato a valutare l‟opportunità

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di proteggere per un breve periodo il patrimonio del debitore da azioni dei terzi estranei all‟accordo

ad emanare quel provvedimento di omologazione, cui è subordinata l‟esenzione da revocatoria di

atti, pagamenti e garanzie concesse sui beni del debitore in esecuzione dell‟accordo.

La via (interamente) pubblica della regolazione della crisi attraverso un accordo con i creditori è

rappresentata dal concordato preventivo. La regolazione della crisi è destinata a realizzarsi

conl‟accettazione da parte dei creditori, a maggioranza, di sacrifici. La valorizzazione

dell‟autonomia privata con la attribuzione ai soli creditori della valutazione , a maggioranza, della

convenienza della proposta del debitore e della fattibilità del piano di regolazione della crisi ad essi

sottoposto, implica un ridimensionamento del ruolo degli organi della procedura, chiamati ad un

controllo di mera legittimità, salva l‟esigenza di una valutazione anche di merito quando risulti una

disparità di valutazione fra la maggioranza delle classi di creditori e classi di creditori dissenzienti.

Nella legge fallimentare del 1942 era preveduta la procedura di amministrazione controllata – ora

abolita con il d.lgs. 9 gennaio 200, n.5- alla scadenza della quale il debitore doveva essere in gradi

di adempiere regolarmente le obbligazioni corrispondendo addirittura anche li interessi maturati nel

corso della procedura medesima.

Quando un accordo con i creditori- stragiudiziale o giudiziale – non viene ricercato o non si

raggiunge o non viene eseguito, la regolazione della crisi può essere imposta ad debitore (od anche

da lui richiesta) in una procedura di fallimento, che pure nel nuovo sistema conserva la struttura di

procedimento esecutivo. E‟ ordinariamente affidata all‟autorità giudiziaria, nel nostro ordinamento,

tuttavia, la gestione della crisi è non di rado rimessa all‟autorità amministrativa. Ciò avviene:

a) per le imprese soggette a controllo pubblico (banche, assicurazioni, S.I.M), che sono

assoggettabili a liquidazione coatta amministrativa: procedura modellata su quella di fallimento

b) per le imprese di dimensioni di un certo rilievo, in particolare per il numero dei dipendenti: per

queste imprese il fallimento non è aprioristicamente escluso, ma può essere dichiarato soltanto dopo

un periodo di osservazione sotto il controllo dell‟autorità giudiziaria, diretto a verificare se

sussistono concrete prospettive di recupero dell‟equilibrio economico delle attività imprenditoriali,

in presenza delle quai viene aperta non una procedura giudiziaria di fallimento, ma una procedura

amministrativa di amministrazione straordinaria, volta alla conservazione del patrimonio

produttivo, nella quale la gestione della crisi è affidata al Ministero delle attività produttive.

Per le imprese di dimensioni ancor maggiori l‟amministrazione straordinaria può, pi, essere

richiesta dal debitore direttamente al Ministero senza passare per la fase di osservazione,

Ne consegue che la procedura di fallimento rimane per lo più riservata alle imprese che, da un punto

di vista economico, devono essere considerate piccole o medio piccole

3) la regolazione della crisi fra liquidazione e conservazione del patrimonio produttivo

Qualunque si ail percorso seguito, gli esiti della regolazione della crisi dell‟impresa, sono, in

alternativa, il risanamento, la cessione dell‟azienda o dei complessi aziendali, la liquidazione

atomistica del patrimonio del debitore. La liquidazione atomistica costituisce l‟alternativa peggiore .

L „estrema difficoltà ese non la assoluta impossibilità di monetizza, nell‟ambito di una liquidazione

atomistica, i valori immateriali dell‟impresa , danno ragione della affermazione, corrente da temp

immemorabile, secondo la quale il fallimento rappresenta uno strumento di distruzione di ricchessa

e si traduce nello scaricare sui creditori le perdite subite dall‟insolvente.

La cessione dell‟azienda costituisce un modo alternativo di liquidazione che con la conservazione

dell‟organismo produttivo, consente nel contempo un più fruttuoso realizzo del patrimonio

dell‟insolvente e la tutela anche di altri interessi coinvolti nel dissesto: quello dei dipendenti alla

conservazione del posto di lavoro, quello dei fornitori alla prosecuzione dei rapporti di fornitura,

ecc.

Perché si possa addivenire alla cessione dell‟azienda devono sussistere ovviamente gli

imprescindibili presupposti economici: occorre cioè che, passando in altre mani, il complesso

aziendale possa riacquistare la capacità di produrre reddito .

L‟alternativa del risanamento è quella la cui realizzazione presenta le maggiori e non di rado

insormontabili difficoltà: non solo n risanamento che non comporti sacrifici per i creditori ma anche

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quello che passi attraverso sacrifici concordati con i creditori.

Infatti, nonostante i ripetuti incitamenti ad una tempestiva denuncia della crisi, assai spesso

l‟imprenditore tende ad occultare la situazione.

4) Imprenditore e impresa nella regolazione della crisi

A questo punto occorre chiedersi qual è la sorte dell‟imprenditore, In proposito va tenuta distinta la

nozione di imprenditore in senso giuridico formale e di imprenditore in senso economico. Al di là

del caso, del tutto marginale, dell‟impresa individuale, la qualifica di imprenditore in senso

giuridico-formale spetta alla società in nome della quale vengono compiuti gli atti di impresa, Ma in

senso economico imprenditore è il “socio di riferimento” o il “gruppo di soci” che controlla la

società e ne influenza gli indirizzi o, ancora, nelle società di modeste dimensioni, anche l‟intera

compagine sociale.

Orbene il risanamento dell‟imprenditore in senso giuridico-formale(la società)passa, spesso,

attraverso quello che nel d.lgs. 8 luglio 1999, n.270 sull‟amministrazione straordinaria, viene

chiamato il “mutamento degli assetti imprenditoriali”, cioè la sostituzione di un nuovo imprenditore

a quello coinvolto nella crisi.

La regolazione della crisi si attua, quindi, spesso con l‟espulsione dal mercato dell‟imprenditore

anche quando dal mercato conviene espulsa l‟impresa.

Fenomeno speculare è quello che viene denominato della “sindrome della Fenice” quello cioè del

risorgere dalle sue ceneri del vecchio imprenditore ( in senso economico); fenomeno che si verifica

quando la società che assume un concordato o che acquista l‟azienda o rami d‟azienda nella

liquidazione fallimentare, è costituita, in tutto o in parte, dai vecchi soci.

La regolazione della crisi si attua, in tal caso, non con l‟espulsione dell‟imprenditore dal mercato,

ma con l‟espulsione dall‟impresa dei debiti.

5) Il soddisfacimento dei creditori il ruolo del giudici ed il declino della par condicio

Secondo una affermazione ormai tralaticia il fallimento e le altre procedure concorsuali sono dirette

ad assicurare il soddisfacimento dei creditori e per soddisfacimento si intende tradizionalmente un

pagamento almeno parziale. In realtà la funzione delle procedure concorsuali è essenzialmente

quella di regolare la crisi dell‟impresa e questa regolazione passa anche attraverso il riconoscimento

ai creditori di un qualche soddisfacimento. La soluzione tradizionale dell‟attribuzione ai creditori,

secondo le regole della cosiddetta par condicio, di una somma di denaro correlata al ricavato della

liquidazione del patrimonio del debitore o nella misura dell‟offerta fatta nell‟ambito di un accordo

concordatario è però in parte superata. Nelle soluzioni concordatarie, giudiziali e pure in quelle

inserite in un procedimento di amministrazione straordinaria è dato di proporre ai creditori forme di

soddisfacimento fra le più varie: dalla cessione di beni all‟attribuzione di azioni, quote,

obbligazioni.

Certo la disponibilità dei creditori ad accettare anche proposte di soddisfacimento che, sono in

realtà soltanto aspettative di soddisfacimento, è spesso influenzata dalla preoccupazione ingenerata

dal timore o dalla consapevolezza dell‟assenza di valide alternative.

Si è scelto di riservare ai creditori soltanto la valutazione dei propri interessi, senza che il tribunale

possa sovrapporre d‟ufficio una propria valutazione a quella espressa dalla maggioranza.

il ruolo del giudici si sta, dunque, riducendo a quello di garante della legalità.

L‟ampia valorizzazione dell‟autonomia privata implica poi un ridimensionamento del principio

della par condicio creditorum.

Per la verità l‟espressione par condicio è impropria. L‟espressione , infatti, è colta a descrivere il

principio, sancito dall‟art.2741, 1°comma, c.c., per il quale “i creditori hanno uguale diritto di

essere soddisfatti sui beni del debitore”. Tuttavia la riserva (“salve le cause legittime di prelazione”)

vale ad evidenziare che il principio della par condicio creditorum ha, in realtà, valore residuale: si

applica cioè all‟interno di ciascuna categoria omogenea di creditori (creditori privilegiati aventi lo

stesso grado, creditori chirografari). Nel rapporto fra le varie categorie di creditori, per contro, vige

quello di preferenza: così il creditore pignoratizio è preferito ai creditori aventi privilegio speciale

sui beni mobili dati in pegno.

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Nel soddisfacimento dei creditori, quindi, vanno rispettate le regole sulla graduazione dei crediti e

solo in via residuale il principio della par condicio.

L‟ambito di applicazione del principio della par condicio, finisce con il caratterizzare

essenzialmente la sola procedura di fallimento e quella di liquidazione coatta amministrativa.

PARTE PRIMA

IL FALLIMENTO SEZIONE I

1) origine storica e ragioni della limitazione del fallimento agli imprenditori commerciali

L‟art. 1 l.fll. statuisce che “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che

esercitano un‟attività commerciale”; Ne sono , quindi, esclusi gli imprenditori agricoli coloro che

esercitano professioni intellettuali ed ogni altro debitore.

Ciò risponde alla nostra tradizione storica. L‟origine del fallimento va, infatti, individuata nelle

legislazioni del Basso Medioevo, nelle quali il fallimento fu istituto applicabile essenzialmente ai

mercanti. Anche se nelle legislazioni più tarde non mancano esempi di assoggettabilità anche di chi

non esercitava la mercatura.

Nel passaggi alle moderne codificazioni la legislazione italiana, si è ispirata però in via immediata

alla legislazione napoleonica, che disciplinava il fallimento nel code de commerce del 1807 e ne

limitava l‟applicazione ai commercianti: Così, sia nel codice di commercio del 1865, che in quello,

di pco successivo, del 1882, entrambi modellati sul code de commerce, il fallimento viene

disciplinato come istituto applicabile solo ai commercianti.

Si procede , nel 1942, alla unificazione, concentrando in n unico testo normativo - per l‟appunto il

codice civile - sia la materia civile che quella commerciale.

La legge fallimentare del 1942 statuiva che sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli

imprenditori che esercitano un‟attività commerciale e nella Relazione del Guardasigilli si ricordava

che “sono fin troppo note, le ragioni che hanno determinato il sorgere del fallimento come istituto

proprio dei commercianti: conviene solo ricordare che in questo senso è sempre stata la tradizione

italiana.

La riforma del 2006 ha lasciato immutata la limitazione, che si giustifica ove si consideri che il

fallimento attivabile anche ad iniziativa pubblica, risponde all‟esigenza di regolazione della crisi

delle imprese per quelle “ripercussioni che il dissesto produce nell‟economia generale”, esigenza

non ravvisabile invece quando a non essere in grado di far fronte ai proprio impegni sia il debitore

civile.

La limitazione, si giustifica anche per l‟inadeguatezza delle nostre strutture giudiziarie.

2. L’imprenditore e l’impresa

Nel nostro ordinamento il fallimento si applica, dunque, solo agli imprenditori commerciali;

Occorre chiedersi innanzitutto chi è imprenditore. L‟imprenditore, secondo quanto dispone

l‟art.2082 c.c., è colui che esercita professionalmente un‟attività economica organizzata al fine della

produzione e dello scambio di beni o di servizi. Ci si chiede, allora, cosa si debba intendere per

attività di produzione o scambio di beni o di servizi ; se il carattere economico dell‟attività implichi

il perseguimento di un fine di lucro o sia sufficiente l‟astratta economicità, cioè l‟astratta idoneità a

coprire i costi con i ricavi; se il requisito della professionalità sia configurabile nel caso del

compimento di un solo affare .

A questo punto occorre però considerare che ad essere assoggettabile a fallimento è l‟imprenditore

in senso giuridico formale, non l‟imprenditore in senso economico. In origine questa distinzione

non era configurabile. Il soggetto giuridico che esercitava professionalmente l‟attività economica si

identificava nella persona fisica del mercante, ed anche quando la mercatura veniva esercitata da

compagnie di mercanti, l‟attività veniva riferita alle persone fisiche.

Solo più tardi, quando emerge la necessita di disporre di ingenti capitali, fa la sua comparsa il

modello della società caratterizzata dalla limitazione della responsabilità dei soci, il cui prototipo

viene individuato nella Compagnia Olandese delle Indie Orientali, costituita nel 1602.

Il soggetto cui viene riferita l‟attività economica e che risponde delle obbligazioni assunte per la

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realizzazione dell‟impresa, cessa di essere una persona o una pluralità di persone fisiche e diventa la

persona giuridica società.

L‟identificazione dell‟imprenditore nella persona giuridica società, rimane tuttavia a lungo una

eccezione.

Ad un certo momento, però, la limitazione di responsabilità cessa di essere un beneficio accordato

sulla base di una valutazione di merito e viene riconosciuta in base alla semplice verifica della

ricorrenza delle condizioni stabilite dalla legge per la legale costituzione della società di capitali. nel

nostro ordinamento ciò avviene con il codice di commercio del 1882.

A questo punto la società di capitali, imprenditore in senso giuridico formale diventa lo strumento

per limitare la responsabilità da parte di coloro che sono gli imprenditori in senso economico. Si

assiste, così, al fenomeno della corsa alla limitazione della responsabilità attraverso la costituzione

di una società di capitali per un determinato affare seguita dallo scioglimento della società ad affare

concluso e dalla costituzione di un‟altra società di capitali per un nuovo affare delle stesso tipo.

Di recente movendo dal convincimento della idoneità della limitazione di responsabilità a favorire

lo sviluppo delle iniziative economiche, è stata preveduta l‟ammissibilità di società unipersonali a

responsabilità limitata. La distinzione tra imprenditore in senso giuridico formale e imprenditore in

senso economico si manifesta, anche qui .

Il fallimento investe non l‟imprenditore, ma l‟impresa, attraverso la finzione dell‟attribuzione della

personalità giuridica ad una struttura appartenente nella sua interezza ad una persona fisica.

Una responsabilità illimitata per i debiti della società e l‟assoggettabilità a fallimento è stata invece

prospettata a carico di quello che è stato significativamente denominato il socio tiranno, di colui

cioè che no rispetta le regole del giuoco e si serve della società come cosa propria, La tesi

dell‟assoggettabilità a fallimento del socio tiranno, emersa in Francia nella giurisprudenza degli

anni ‟30 del secolo scorso e successivamente ivi recepita legislativamente e mai accolta dalla nostra

giurisprudenza è stata rispolverata nel corso dei lavori della Commissione ministeriale per la

riforma delle procedure concorsuali costituita con d.m. 28 novembre 2001: e mentre nell‟articolato

approvato dalla maggioranza era stata prevista l‟estensione della procedura anche a chi ancorché

socio limitatamente responsabile, avesse fraudolentemente disposto della società come cosa propria

ovvero, nell‟interesse proprio o di terzi, avesse dolorosamente attuato una gestione idonea a

determinare l‟insolvenza, nell‟articolato predisposto dalla minoranza l‟estensione della procedura

non era stata preveduta, osservandosi tanto il problema del socio tiranno debbano essere affrontati

in termini di accertamento di responsabilità e di risarcimento danni che ne conseguono

.

on la riforma del 2006 la proposta formulata dalla maggioranza della Commissione non è stata

accolta.

L‟unico strumento di possibile coinvolgimento nel fallimento di persone fisiche cui possa essere

riconosciuta la veste di imprenditore in senso economico è allora quella della configurazione di una

impresa o di una società collaterale di finanziamento, quando una persona fisica o un gruppo di

persone gestisca partecipazioni di un pluralià di società di capitali ad esse facente capo.

3) Imprenditore, lavoratore autonomo, professionista intellettuale

Nel capitolo II del codice civile, intitolato “Del lavoro nell‟impresa”, è contenuta la disciplina

dell‟imprenditore. Nel successivo titolo III è disciplinato il lavoro autonomo. Si disputa se al

lavoratore autonomo possa essere attribuita la qualifica di imprenditore. Trattasi peraltro di

questione che non assume rilievo: Il lavoratore autonomo, infatti, in ragione delle dimensioni

dell‟attività non sarebbe comunque assoggettabile a fallimento.

A differenza del lavoratore autonomo il professionista intellettuale si avvale spesso di una struttura

organizzativa, per lo più di modeste dimensioni, ma che può anche assumere dimensioni tutt‟altro

che trascurabili. In nessun caso, tuttavia, l‟esercizio di una professine intellettuale implica

l‟applicazione delle norme sull‟impresa.

L0inapplicabilità delle norme sul fallimento si giustifica obiettivamente sotto n duplice profilo:

quello della prevalenza, da un punto di vista qualitativo, dell‟attività personale del professionista; e

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quello del minor allarme sociale della insolvenza del professionista rispetto a quella

dell‟imprenditore.

L‟art.2238, 1° comma, c.c., in forza del quale “se l‟esercizio della professione costituisce elemento

di una attività organizzata in forma d‟impresa, si applicano anche le disposizioni del rtitolo II” ed il

professionista intellettuale diventa, quindi , imprenditore. Si fanno, comunemente, gli esempi del

medico che gestisce la casa di cura nella quale presta la propria opera professionale, dell‟insegnante

che gestisce una scuola privata. In questi casi l‟insolvenza del professionista intellettuale

imprenditore può destare allarme sociale in misura non diversa quella riscontrabile in presenza

del‟esercizio di una qualsivoglia altra attività d‟impresa.

4) L’esenzione dal fallimento dell’imprenditore agricolo

L‟esenzione dal fallimento dell‟imprenditore agricolo viene da tempo messa in discussione; I

massicci investimenti e l‟ampiezza del ricorso al credito, che caratterizzano la moderna economia

agricola e riducono sensibilmente la differenza rispetto all‟attività commerciale non giustificano

più la limitazione del fallimento ai soli imprenditori commerciali. La nozione di imprenditore

agricolo risultante dalla orma dell‟art. 2135 c.c. nella formulazione vigente sino all‟entrata in vigore

del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, poteva giustificare l‟esenzione dal fallimento dell‟imprenditore

agricolo: Lo stretto collegamento con lo sfruttamento del fondo, la limitazione della attività agricole

per connessine a quelle di trasformazione o alienazione dei prodotti agricoli poteva giustificare

l‟affermazione che il pericolo di dilatazione dell‟insolvenza e del coinvolgimento di un numero

crescente di soggetti, che caratterizza la crisi dell‟impresa commerciale, era avvertibile in misura

assai minore nella crisi delle imprese agricole.

L‟art. 2135 c.c. è stato però radicalmente riscritto ed è stato superato il criterio della limitazione

delle attività connesse a quelle di alienazione e trasformazione dei prodotti del fondo. A fronte di

questo ampliamento della nozione di imprenditore agricolo l‟esenzione dal fallimento non sembra

allora più giustificata.

5 L’esenzione dal fallimento in ragione delle dimensioni dell’impresa

In ragione delle dimensioni dell‟impresa la legge fallimentare del 1942 prevedeva l‟esenzione dal

fallimento del piccolo imprenditore. Per l‟individuazione del piccolo imprenditore, non

assoggettabile a fallimento, l‟art.1, 2° comma, prevedeva in origine due criteri, di immediata

applicazione: quello del reddito accertato, che, essendo riferito alla allora vigente imposta di

ricchezza mobile, era divenuto inutilizzabile a seguito della sostituzione di detta imposta con quella,

oggi vigente, sul reddito delle persone fisiche (IRPEF); e quello del capitale investito, che essendo

riferito ad un importo determinato (lire 900.000), era divenuto palesemente inadeguato ed aveva

indotto il giudice delle leggi ad una pronuncia di incostituzionalità. Nel traciare le linee direttive per

un intervento legislativo si era allora precisato che “i limiti devono essere stabiliti in relazione

all‟attività svolta, all‟organizzazione dei mezzi impiegati, all‟entità dell‟impresa ed alle

ripercussioni che il dissesto produce nell‟economia generale”

La sopravvenuta inapplicabilità dei criteri originariamente preveduti nel 1942 aveva comportato la

necessità di utilizzare il criterio generale fissato dall‟art. 2083 c.c. relativo alla prevalenza del

lavoro dell‟imprenditore e dei componenti la sua famiglia sugli altri fattori della produzine: criterio

certamente non “ assolutamente idoneo e sicuro”, come auspicato dalla corte costituzionale:

Occorre, poi, aggiungere che l‟art. 1,2° comma statuiva che in nessun altro caso sono considerati

piccoli imprenditori le società commerciali.

Con la riforma, per l‟identificazione del piccolo imprenditore si sono adottati criteri riferiti a

parametri numerici - applicabili alle imprese individuali ed alle società, sia commerciali che

artigianali – apparsi “certi e sicuri”, come suggerito dal giudice delle leggi: parametri che, salvo che

per l‟entità degli importi, rappresentano una sorta di ritorno al passato, essendo costituiti dagli

investimenti e dal risultato dell‟attività d‟impresa, anche se quest‟ultimo non più riferito al reddito

imponibile, ma ricavato lordi.

Ne è derivato una restrizione dell‟area di fallibilità forse superiore a quella preventivata ed è

emersa così la tentazione dei rispolverare la norma dell‟art. 2083 c.c. per assoggettare a fallimento

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le imprese che avessero effettuato investimenti nell‟azienda ed avessero realizzato ricavi lordi in

misura inferiore a quella preveduta dal novellato art. 1,2° comma, ma nelle quali fosse ravvisabile

una prevalenza del capitale investito sugli alti fattori della produzione. Perciò con il decreto

correttivo del 2007 si è abbandonata nell‟art. 1 (ri) l‟etichetta di “piccolo imprenditore” per i

soggetti esentati dal fallimento e si è incentrata la previsione dell‟esenzione esclusivamente sulle

dimensioni dell‟impresa.

In forza della nuova formulazione dell‟art. 1,2° comma, l‟esenzione da fallimento è prevista quando

non venga superato nessuno dei seguenti parametri :

1 Attivo patrimoniale superiore ad € 300.000 . Si era però osservato che nel corso del tempo le

dimensioni dell‟impresa possono mutare e, occorreva porre dei limiti alla retroattività dell‟indagine;

si era perciò prospettata la possibilità , in via interpretativa, di considerare per questo parametro lo

stesso arco temporale espressamente preveduto per l‟altro parametro, quello dei ricavi lordi. Si è

statuito doversi tener conto dell‟ammontare complessivo annuo dell‟attivo patrimoniale nei tre

esercizi precedenti.

“ Ricavi lordi superiori ad € 200.000

Nella precedente formulazione della norma si faceva riferimento ai ricavi lordi “calcolati sulla

media degli ultimi tre anni” . Con il decreto correttivo il riferimento è stato fatto espressamente ai

tre esercizi precedenti. E‟ stato però escluso il computo sulla media…”, statuendosi che anche il

superamento in uno solo dei tre esercizi precedenti della soglia degli €200.000 vale a consentire

l‟assoggettamento a fallimento, Strumento di verifica dei ricavi sono ordinariamente i bilanci di

esercizio o le dichiarazioni dei redditi. Tuttavia “per evitare qualsiasi tipo di interferenza tra

l‟accertamento de ricavi compiuto in sede fallimentare e quello eventualmente compiuto in sede

tributaria, si è reso necessario precisare che tale presupposto può risultare in qualunque modo”. Si è

così inteso valorizzare le “informative richieste di prassi alla Guardia di finanza”con la prospettiva

che si possa rendere necessario, per la decisione sull‟istanza di fallimento, verificare i rilievi della

Guardia di finanza.

3 Esposizione debitoria superiore ad € 500.000

Questo ulteriore parametrom introdotto con il decreto correttivo, si giustifica alla luce dell‟esigenza

di assoggettare a fallimento anche le imprese che, per investimenti e ricavi, risultino di dimensioni

modeste e siano riuscite, tuttavia, ad accumulare una rilevante esposizione debitoria. E‟ certamente

vero che in tali casi la liquidazione concorsuale difficilmente può condurre a risultati apprezzabili:

Ma ci si è ricordati che il dissesto non sempre è un incidente di percorso nel quale può incappare

qualunque imprenditore e può essere anche opera di professionisti del dissesto, che possono essere

perseguiti penalmente con la normativa fallimentare solo se il fallimento viene dichiarato: ed infatti

nella Relazione al decreto correttivo si scrive che “l‟eccessiva riduzione dell‟aerea di fallibilità”

aveva “impedito di assoggettare al fallimento e alle conseguenti sanzioni penali imprenditori di

rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento.

Il parametro dell‟esposizione debitoria è riferito all‟ammontare complessivo dei debiti anche non

scaduti.

Con il decreto correttivo è stato poi risolto il problema dell‟onere della prova delle dimensioni

dell‟impresa. Quando a richiedere la dichiarazione di fallimento è un creditore, mentre può senza

eccessiva difficoltà provare la qualità di imprenditore commerciale del debitore e l‟esistenza di

significativi indici di insolvenza, può trovarsi in difficoltà a dimostrare le dimensioni dell‟impresa,

specie quando il debitore non si presenti all‟udienza prefallimentare o addirittura risulti irreperibile:

Si è q, quindi, fatta strada la tentazione di addossare al debitore l‟onere di provare la sua non

assoggettabilità a fallimento in ragione delle dimensioni della sua impresa.

Con il decreto correttivo, statuendosi che “non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento…gli

imprenditori..i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti…”, è stato posta a

carico del debitore l‟onere della prova dell‟ammontare dell‟attivo patrimoniale, dei ricavi lordi e

dell‟esposizione debitoria.

6) Acquisto e perdita della qualità di imprenditore

Page 8: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Se ad esercitare l‟impresa è una persona fisica la qualità d‟imprenditore si acquista nel momento in

cui inizia l‟attività di impresa. Ci si chiede, tuttavia, se l‟attività l‟impresa si posa considerare

iniziata già con il compimento di atti preparatori, cioè di atti di organizzazione o se, invece, occorra

il compimento di atti esterni di gestione. E‟ certamente condivisibile l‟affermazione che “la persona

fisica diventa imprenditore commerciale se ed in quanto abbia intrapreso professionalmente

l‟esercizio effettivo di quella attività commerciale.

Occorre, peraltro, considerare che alcuni atti di organizzazione (stipula di contratti di lavoro,

allestimento dei locali, contati coni fornitori ) sono intrinsecamente uguali a quelli inerenti

l‟esercizio dell‟impresa trattandosi sostanzialmente di atti di impresa par difficile contestare che la

persona fisica che li compie non debba essere qualificata imprenditore.

Dopo la cessazione dell‟attività l‟imprenditore rimane assoggettabile a fallimento entro un anno.

Il dies a quo viene presuntivamente fatto coincidere con quello della cancellazione dal registro delle

imprese, ma secondo quanto dispone l‟art. 10,2° comma, novellato, è fatta salva la facoltà di

dimostrare il momento della effettiva cessazione dell‟attività. Con il decreto correttivo, tuttavia,

questa facoltà è riconosciuta soltanto al creditore ed al pubblico ministero, sicchè il debitore che

abbiam proseguito l‟attività dopo la cancellazione può essere dichiarato fallito anche dopo il

decorso dell‟anno.

Se ad esercitare l‟impresa è una società - un imprenditore collettivo - il termine di un anno decorre

dalla cancellazione dal registro delle imprese, salva la facoltà per il creditore e il pubblico ministero

di dimostrare la data di effettiva cessazione.

Per l‟acquisto della qualità di imprenditore e la conseguente assoggettabilità a fallimento deve

ritenersi rimarrà confermato l‟orientamento consolidatosi prima della riforma, secondo il quale le

società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un‟attività commerciale

acquistano la qualità di imprenditore dal momento della loro costituzione ed in relazione all‟oggetto

sociale .

L‟assoggetabilità a fallimento delle società di fatto o irregolari senza limiti di tempo.

SEZIONE II

L’INSOLVENZA E L’ENTITA’ DEGLI INADEMPIMENTI

1)L’emersione del presupposta oggettivo del fallimento. dalla fuga all’insolvenza.

In origine il presupposto del fallimento veniva identificato in quella che, all‟epoca, era la più tipica

manifestazione del dissesto: Nella legislazione statutaria medievale, infatti, poiché a quel tempo i

mercanti usavano sfuggire ai creditori dandosi alla fuga, presupposto del fallimento veniva

considerato per l‟appunto la fuga. Era la fuga propter debita. Non di rado , poi si considerata

fugitivus il mercante non solo quando non compariva, ma anche si comparuerit et non satisdederit

de solvendo. Altre volte, poi, si faceva espresso riferimento al cessare in solutione e quest‟ultima

espressione compare ancora nel codice di commerci del 1882,. nel quale presupposto del fallimento

veniva considerato la cessazione dei pagamenti.

Nella legge fallimentare del 1942, il presupposto oggettivo del fallimento è stato direttamente

indicato nello stato di insolvenza.

2) Insolvenza ed inadempimenti

L‟attenzione è rimasta incentrata sulle manifestazioni esteriori dello stato di insolenza, L‟art, 5,2°

comma, statuisce infatti che lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti

esteriori i quali si dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie

obbligazioni.

L‟insolvenza, dunque, può manifestarsi anche con fatti diversi da inadempimenti: ad esempio

mediante la vendita di beni strumentali, che consenta di pagare i debiti esigibili, ma pregiudichi la

prosecuzione dell‟attività d‟impresa.

Con la riforma, all‟ultimo comma dell‟art.15, “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se

l‟ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell‟istruttoria prefallimetar è

complessivamente inferiore a 30.000”

3) Nozione di insolvenza

Page 9: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Lo stato di insolvenza, come si desume dall‟art. 5,2° comma, è la situazione patrimoniale del

debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Già nella Relazione del Guardasigilli alla legge fallimentare del 1942 si specificava che “l‟avverbio

regolarmente indica non solo alle debite scadenze, ma anche con mezzi normali in relazione

all‟ordinario esercizio dell‟impresa”.

Nella successiva interpretazione dottrinale e giurisprudenziale la formula è divenuta tralaticia: il

debitore è insolvente – si afferma comunemente- quando “non è in grado di adempiere regolarmente

e con mezzi normali le proprie obbligazioni alle scadenze pattuite”. Sotto il profilo della

tempestività dell‟adempimento si distingue fra difficoltà momentanea e difficoltà temporanea:

Sussiste difficoltà meramente momentanea quando l0imprenditore comunque in grado di reperire “

in un ragionevole lasso di tempo” quei “mezzi normali di pagamento” In tal caso non è ravvisabile

uno stato di insolvenza. Quando la difficoltà è temporanea, nel senso che il debitore è in grado di

reperire i mezzi necessari a far fronte alle proprie obbligazioni, non in un “lasso ragionevole di

tempo” egli è insolvente. La reversibilità della crisi non esclude dunque la configurabilità

dell‟insolvenza.

Talora il debitore, non essendo in grado di adempiere alle scadenze pattuite, chiede ed ottiene dai

propri creditori la concessione di dilazioni di pagamento. la giurisprudenza ha avuto occasione di

affrontare ripetutamente i problema della idoneità ad escludere lo stato di insolvenza, del pactum de

non petendo intervenuto con la generalità dei creditori: ed ha affermato che va scusa l‟insolvenza,

quando all‟accordo, aderisce la totalità dei creditori, od anche la maggior parte di essi, sicchè il

debitore venga a disporre dei mezzi liquidi necessari a far fronte alle obbligazioni verso i creditori

non aderenti all‟accordo. Con la riforma del marzo 2005 questi accordi possono essere omologati

dal tribunale ricevendo un riconoscimento formale che consente di escludere la revocabilità di atti,

pagamenti e garanzie concesse sul patrimonio del debitore in esecuzione dell‟accordo.

Il debitore è, altresì, insolvente se non è in grado di soddisfare i propri creditori con mezzi normali:

Così, ad esempio, il debitore che restituisce al fornitore la merce che non è in grado di pagare o che

estingue i debiti pecuniari cedendo crediti, può non essere inadempiente e , tuttavia , è insolvente.

Anche quando estingue con danaro o con mezzi normali di pagamento i propri debiti pecuniari, egli

può essere egualmente considerato insolvente, con riferimento all‟anormalità non dei mezzi di

pagamento, ma del modi procurarseli. alienando beni strumentali necessari all‟esercizio

dell‟impresa.

Il pactum de non petendo è la pattuizione con la quale il creditore si obbliga nei confronti del

debitore a non richiedere l‟adempimento. Non determina l‟estinzione del debito e costituisce una

semplice rinunzia all‟azione, La rinunzia può essere anche solo temporanea e finalizzata alla

dilazione del pagamento

4 ) Insolvenza, stato patrimoniale, conto economico

Movendo dalla premessa che l‟insolvenza è l‟incapacita di far fronte regolarmente alle obbligazioni

e si sostanzia quindi nella il liquidità, risulta coerente l‟affermazione che non vale ad escludere

l‟insolvenza l‟eccedenza del‟attivo sul passivo. L‟insolvenza, in altre parlo, non implica

necessariamente uno sbilancio patrimoniale, Se si prendono in esame le norme sul contenuto del

bilancio e, in particolare quelle relative allo stato patrimoniale, si può agevolmente constatare che il

patrimonio netto risulta anche dal computo di cespiti dell‟attivo (come li immobili, gli impianti e

macchinari) che costituiscono immobilizzazioni e non consentono in via immediata, di trarre

liquidità.

Correlativamente un‟eccedenza del passivo sull‟attivo non implica automaticamente insolvenza.

Il problema del rapporto fra attivo e passivo viene di regola considerato con riguardo allo stato

patrimoniale. Ma, a ben vedere, analoghe considerazioni possono essere fatte anche con riguardo al

conto economico (o conto profitti e perdite) che fotografa i risultati di esercizio. Il conto economico

può, infatti, chiudersi con una perdita senza che ciò implichi necessariamente che l‟imprenditore

non isponga di liquidità o credito per soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;

Correlativamente può chiudersi con un utile, anche in più esercizi successivi, senza che ciò implichi

Page 10: Diritto Fallimentare Guglielmucci

necessariamente la disponibilità di mezzi liquidi per far fronte regolarmente ai propri debiti. I ricavi

che influenzano i risultati di esercizio sono, infatti, costituiti, tra l‟altro, dalle variazioni delle

rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti, dalla difficoltà di collocare i

prodotti sul mercato.

5) Manifestazioni dell’insolvenza

Manifestazioni tipiche dell‟insolvenza sono gli inadempimenti. Gli inadempienti possono risultare

da protesti di titoli che incorporano un‟obbligazione (assegni bancari, dalla pendenza di

procedimenti esecutivi (che possono essere promossi da chi disponga di un titolo esecutivo),

dall‟iscrizione di ipoteche giudiziali (che il creditore può conseguire quando abbia ottenuto un

decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo), dall‟iscrizione di ipoteche giudiziali ( che il

creditore può conseguire quando abbia ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo),

da sequestri conservanti (che possono essere accordati dopo una valutazione sommaria delle

pretese creditorie e del periculum in mora).

Gli inadempimenti non sempre costituiscono manifestazioni dell‟insolvenza,. Il debitore può,

infatti, essere inadempiente, perché ritiene che determinate pretese creditore siano infondate: anche

in presenza di protesti, di esecuzioni, di ipoteche giudiziali, la pretesa creditoria può non essere

definitivamente accertata, pendendo, ad esempio appello contro una sentenza di primo grado che

costituisce titolo esecutivo, opposizione ad ingiunzione; in presenza di sequestri conservativi, poi, la

pretesa creditoria risulta accertata solo sommariamente, sino all‟esito del giudizio di merito.

Il debitore può anche essere insolvente senza essere inadempiente, potendo l‟insolvenza

manifestarsi con altri fatti esteriori, vendite di beni non strategici ma a prezzo inferiore a quello

giusto possono anche consentire di far fronte ai crediti esigibili,ma costituiscono egualmente

manifestazioni dello stato di insolvenza .

6) Insolvenza e gruppo di imprese

Non sempre le imprese –e, in particolare, le società di capitali – sono isole felice: Più spesso fanno

parte di “ gruppo “, nel quale assumono, di volta in volta, il ruolo di controllante , di controllata di

collegata, ecc.

L‟articolazione in “gruppo” risponde ad una strategia imprenditoriale, volta alla limitazione del

rischio di impresa. Possono appartenere allo stesso gruppo la società che produce le componenti di

un prodotto e quella che procede all‟assemblaggio; oppure la società che produce e quella che

commercializza i prodotti; oppure società che svolgono lo stesso tipo di attività ma in differenti aree

geografiche; società che operano in comparti completamente differenti.

I rapporti fra le società del gruppo sono di regola tali che la crisi di una di esser spesso di ripercuote

sulle altre.

Accade spesso che una o più società del gruppo finanziano le altre e, a fronte della crisi di una

società, altre società del gruppo possono avere rilevanti crediti per finanziamenti che la crisi

dell‟impresa finanziata rende praticamente inesigibili; e di frequente il sistema bancario,

nell‟accordare credito ad alcune società del gruppo, chiede garanzie alle altre e considera comunque

il gruppo come un “unico esponente economico”.

Qualunque sia la strategia seguita non sempre si riesce ad evitare che la crisi coinvolga le altre o

alcune delle altre società del gruppo e – spesso - la crisi le investe contemporaneamente tutte.

Al fine dell‟assoggettamento a fallimento ( o ad amministrazione straordinaria) l‟accertamento dello

stato di insolvenza va condotto, ovviamente, considerando la situazione economica e finanziaria di

ogni singola società ”anche quando sia inserita in un gruppo di società collegate o controllate,

considerato che ciascun ente conserva distinta personalità ed autonoma qualità di imprenditore,

rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti”

Affrontando il problema sotto il diverso profili e non dell‟accertamento dell‟insolvenza, bensì della

conoscenza dello stato di insolvenza si è però osservato che l‟insolvenza di una o di una consistente

parte del gruppo costituisce un indizio, sia pure di per sé sufficiente, dell‟insolvenza delle altre

società del gruppo.

7) l’entità degli inadempimenti

Page 11: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Con la riforma si è statuito che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se “l‟ammontare dei

debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell‟istruttoria prefallimentare è complessivamente

inferiore ad euro 30.000”

CAPITOLO SECONDO

L’APERTURA DEL PROCEDIMENTO FALLIMENTARE SEZIONE I

1) legittimazione a richiedere il fallimento

Nei differenti sistemi giuridici l‟iniziativa per l‟apertura della procedura concorsuale sul patrimonio

del debitore, da noi denominata fallimento, è rimessa esclusivamente all‟iniziativa privata o da

anche ad iniziativa pubblica. Nel nostro ordinamento – che nelle sue origini è di derivazione

francese – accanto all‟iniziativa privata è preveduta anche un‟iniziativa pubblica, rimanendo in tal

modo sottolineato che il fallimento è strumento di tutela dell‟interesse generale .

L‟iniziativa privata è attribuita innanzitutto ai creditori. Essi sono legittimati a richiedere il

fallimento del loro debitore anche se il credito non è scaduto. La sopravvenuta insolvenza del

debitore, infatti, determina la decadenza dal beneficio del termine(art. 116 c.c.) e, quindi.

l‟immediata esigibilità del credito. In ogni caso, poi, il fallimento assolve non solo ad una funzione

esecutiva, ma anche ad una funzione cautelare: si deve, quindi, riconoscere la legittimazione a

richiedere il fallimento a tutela di un credito sottoposto a condizione sospensiva.

E‟ poi attribuita al debitore: Dalla lettura della norma dell‟art. 6 non emerge con chiarezza se il

debitore abbia una semplice facoltà od un vero e proprio obbligo di richiedere il proprio fallimento:

Occorre, peraltro, ricordar che l‟art. 217, 1° comma, n. 4 , prevede come fattispecie delittuosa

(bancarotta semplice) il comportamento del debitore che “ha aggravato iil proprio dissesto

astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento” Nella legislazione del 1942

l‟iniziativa pubblica poteva estrinsecarsi nella richiesta del pubblico ministero o, in deroga al

principio ne procedat iudez de officio, nella dichiarazione d‟ufficio del fallimento. I dubbi sulla

legittimità costituzionale dell‟iniziativa officiosa per contrasto con il principio di tersietà del giudice

hanno indotto il legislatore del 2006 ad escludere la dichiarazione di fallimento d‟ufficio, limitando

l‟iniziativa pubblica a quella del pubblico ministero. La richiesta di fallimento del pubblico

ministero può essere presentata quando l‟insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale.

L‟art. 7 novellato, al 2° comma, prevede altresì l‟iniziativa del pubblico ministero quando

l‟insolvenza risulti dalla segnalazione del giudice che l‟abbia rilevata nel corso di un procedimento

civile. La segnalazione può prevenire in un procedimento monitorio nel quale venga emanato un

decreto ingiuntivo in un procedimento per sequestro conservativo, in un procedimento esecutivo.

Anche nel caso di incidenti di percorso in un procedimento volto a regolare la crisi attraverso un

accordo con i creditori, si è preveduto con il decreto correttivo che il fallimento va dichiarato “su

istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero”: così in caso di declaratoria di

inammissibilità della proposta di concordato preventivo in caso di diniego di omologazione.

La dizione dell‟art. 7 novellato sembra limitare l‟iniziativa del pubblico ministero – al di fuori del

caso in cui l‟insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale – alle segnalazione che gli

pervenga da giudice civile.

L‟art. 7 sembra poi vincolare l‟iniziativa del pubblico ministero anche sotto altro profilo, quello,

della sua doverosità; quando, invece dovrebbe essere subordinata ad una valutazione, da parte

dell‟organo cui è attribuita dall‟allarme sociale.

2) Competenza e giurisdizione

Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo dove l‟imprenditore ha la sede

principale dell‟impresa: Trattasi di competenza funzionale, prevedutaq non solo e non tanto per la

pronuncia ( dichiarazione di fallimento ), quanto per il procedimento che con essa si apre . Il

carattere funzione della competenza implica che essa ha carattere esclusivo ed inderogabile e che

l‟incompetenza può essere rilevata d‟ufficio.

La sede legale dell‟impresa risulta dal registro delle imprese e si presume coincidere con quella

effettiva. Può, tuttavia, accadere che la sede legale sia fissata in un determinato luogo , ma la sede

Page 12: Diritto Fallimentare Guglielmucci

effettiva sia altrove. In caso di divergenza tra sede legale e sede effettiva, la competenza va

determinata con riguardo a quast‟ultima. Per sede dell‟impresa si intende quella in cui si svolge

l‟attività amministrativa e direttiva e non rileva invece, il luogo in cui si trovano gli stabilimenti e,

in genere, ove viene esercitata l‟attività produttiva: Il riferimento alla sede amministrativa si

giustifica perché il curatore subentra al fallito nell‟amministrazione del suo patrimonio e deve

esercitare quindi le sue funzioni nel luogo in cui sin‟allora l‟imprenditore provvedeva

all‟amministrazione. Se però vengono esercitate dallo stesso soggetto più attività imprenditoriali

autonome, aventi ciascuna la propria sede amministrativa, non è più possibile individuare una sede

principale dell‟impresa. In tal caso competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo in

cui viene esercitata ciascuna delle autonome attività imprenditoriali e trova applicazione il principio

della prevenzione: la dichiarazione di fallimento da parte di uno dei tribunali competenti preclude la

dichiarazione di fallimento da parte degli altri .

Il trasferimento della sede influisce sulla competenza purchè sia effettivo e tempestivo. Il criterio

per stabilire se il trasferimento è tempestivo era, prima della riforma, quello dell‟art.5 c.p.c. ,

secondo il quale la competenza si determina con riguardo alla situazione di fatto esistente alla data

della domanda: sicchè il trasferimento si sarebbe dovuto considerare tempestivo se effettuata prima

della presentazione del ricorso; Tuttavia, potendo il trasferimento preordinato a ritardare la

dichiarazione di fallimento od a sfuggire ad un tribunale più rigoroso, la giurisprudenza considerava

irrilevante il trasferimento di sede attuato all‟imminenza del fallimento. Ne derivava una situazione

di incertezza che determinava con una certa frequenza la sottoposizione al vaglio della Suprema

Corte di ricorsi per regolamento di competenza. Con la riforma si è inteso ovviare a questo

inconveniente statuendo che il trasferimento della sede intervenuto nell‟anno antecedente

all‟esercizio dell‟iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza. Il

criterio dell‟art. 5 c.p.c, trova applicazione per la giurisdizione, statuendo il 5° comma dell‟art. 9

che il trasferimento della sede all‟estero non esclude la giurisdizione italiana“ se è avvenuto dopo il

deposito del ricorso o la presentazione della richiesta”

La giurisdizione italiana sussiste anche quando la sede principale dell‟impresa si trovi all‟estero,

essendo peraltro necessaria secondo la giurisprudenza , la presenza in Italia di una sede secondaria e

non sufficiente lo svolgimento dei una mera attività contrattuale. Sono fatte salve le concezioni

internazionali e la normativa dell‟Unione Europea: il Regolamento CE prevede la competenza dei

giudici delle Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore,

nonché la competenza dei giudici dello Stato membro nei quali il debitore possiede una dipendenza.

3) Il procedimento e l’istruttoria prefallimentare

La domanda di fallimento va proposta nelle forme del ricorso. Preveduto che l'istante possa indicare

nel ricorso il recapito di telefax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui ricevere le

comunicazioni e gli avvisi nel corso della procedura.

Come in precedenza il tribunale deve provvedere in composizione collegiale ed in esito ad un

procedimento camerale.

L‟art. 15 novellato disciplina l'istruttoria prefallimentare

Viene disposta la convocazione del debitore - nonché dei creditori e del pubblico ministero che

abbiano presentato il ricorso per dichiarazione di fallimento - avanti al tribunale in composizione

collegiale oppure, ove vi sia delega avanti al giudice delegato all'istruttoria. Fra la data della

notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e la data dell'udienza deve

intercorrere un termine non inferiore a 15 giorni, salva la facoltà di abbreviazione con decreto

motivato ove sussistano particolari ragioni di urgenza.

Nel sistema previgente, se sussistevano particolari ragioni d'urgenza era ritenuta idonea ad

assicurare l'esercizio del diritto alla difesa anche la con- vocazione ad horas. Nel nuovo sistema al

rischio di compimento di atti di disposizione si può in qualche misura ovviare con l'adozione dei

provvedimenti cautelari o conservativi preveduti dall'8° comma dell'art. 15.

L‟abbreviazione dei termini previsti per l‟esercizio da parte del debitore del diritto alla difesa, può

essere disposta nella misura in cui le particolari ragioni d‟urgenza lo richiedano, ma una

Page 13: Diritto Fallimentare Guglielmucci

convocazione ad horas non sembra più ammissibile:

I ritmi dell‟istruttoria prefallimentare sono poi scanditi dalla previsione di un termine non inferiore

a 7 giorni prima dell‟udienza – anche in tal caso salva abbreviazione ove sussistano particolari

ragionidi urgenza – per la presentazione di memorie, nonché per il deposito di documenti e relazioni

tecniche. Trattasi di facoltà che può essere esercitata dal debitore per l‟esercizio del diritto alla

difesa, ma anche dal ricorente per l‟onere di provare l‟esistenza dei presupposti per la dichiarazione

di fallineto. Il sistema previdente era interamente dominato dal principio inquisitorio: alla

convocazione del debitore avrebbe dovuto provvedere d‟ufficio il tribunale e parimenti d‟ufficio

avrebbe dovuto provvedere all‟assunzione delle prove necessarie a verificare la sussistenza o meno

dei presupposti del fallinento, giungendo sino alla dichiarazione d‟ufficio dello stesso fallimento.

Con la riforma l'onere dell' istante di notificare al debitore il ricorso e il decreto i fissazione

dell‟udienza di comparizione è stato espressamente sancito in ordine all'accertamento dei

presupposti del fallimento si è inteso valorizzare essenzialmente l'iniziativa del ricorrente, pur

senza escludere il potere del tribunale di disporre d'ufficio mezzi istruttori. Infatti nel decreto di

fissazione di udienza, il tribunale oltre a disporre il deposito da parte del debitore di una situazione

patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata non è più preveduto che disponga "gli

accertamenti necessari" ma soltanto che ossa "richiedere eventuali informazioni urgenti”

La possibilità di adozione “provvedimenti cautelari o conservativi del patrimonio o dell‟impresa”

Nell‟ambito del nuovo sistema è richiesta l‟istanza di parte, nella quale dovranno essere esposte le

ragioni dell‟esigenza cautelare ed i mezzi istruttori proposti, ferma la facoltà del giudice di acquisire

prove d‟ufficio in conformità, facoltà che deve intendersi riferita ad ogni provvedimento richiesto

dal ricorrente. I provvedimenti possono consistere in limitazione al potere di disposizione del

debitore, ma anche in limitazioni dell‟esercizio di poteri dei creditori non può nemmeno eludersi ,

nei casi più gravi, la nomina di un amministrazione di effetti del fallimento l‟esigenza di

opponibilità ai terzi, si deve ritenere siano assoggettabili alla stessa pubblicità preveduta per la

sentenza di fallimento.

Le misure cautelari possono ridurre, ma non eliminare l‟urgenza di provvedere sulle istanze di

fallimento.

4) La decisione

La legge fallimentare prevede che in esito all'istruttoria prefallimentare venga dichiarato, con

sentenza, il fallimento o rigettato, con decreto, il ricorso per la dichiarazione di fallimento.

L‟istruttoria si può peraltro concludere anche in a altro modo e cioè con un "decreto di

archiviazione o con provvedimento che dichiara l'incompetenza. Il decreto di archiviazione - che

costituisce il modo prevalente di chiusura dell‟istruttoria prefallimentare - viene emanato quando il

creditore ricorrente, avendo ottenuto il soddisfacimento totale o parziale del proprio credito od

essendo stato altrimenti convinto a non insistere, ritira il ricorso per dichiarazione di fallimento: con

un atte che, nella prassi forense, viene denominato "istanza di desistenza". Ritirato il ricorso il

tribunale, che non può più dichiarare d'ufficio il fallimento, può soltanto indirizzare una

segnalazione al pubblico ministero, affinché assuma l‟iniziativa di richiedere il fallimento. Può farlo

se l‟istruttoria è stata già espletata o altrimenti risultino l'insolvenza e la qualità del debitore di

soggetto fallibile

L'istruttoria si può chiudere, poi, con un provvedimento che dichiara l'incompetenza. Prima di

scendere all‟esame del merito il giudice, in ogni procedimento deve verificare la propria

competenza, su eccezione di parte od anche s‟ufficio.

Poichè, ove si ritenga incompetente, il tribunale chiude il procedimento avanti se, provvede con

sentenza. Nell' ordinario giudizio contenzioso a seguito de11a declaratoria di incompetenza spetta

alla parte riassumere il procedimento avanti al giudice dichiarato competente,nel procedimento per

dichiarazione di fallimento il tribunale dichiarato competente, rimane investito del procedimento

attraverso la trasmissione degli atti da parte del tribunale dichiaratosi incompetente.

Se il tribunale ritiene non sussistere i presupposti per la dichiarazione di fallimento emana un

decreto di rigetto, provvedimento non suscettibile di passare in giudicato e non ostativo alla

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proposizione di un nuovo ricorso da parte dello stesso cred1tore.

Il tribunale deve rigettare il ricorso anche quando il ricorrente non provi la sua legittimazione, cioè

non provi il suo credito.

Se, infine, il tribunale ritiene fondato il ricorso emana sentenza dichiarativa di fallimento. Trattasi di

provvedimento complesso, contenente una statuizione (pronuncia di fallimento) suscettibile di

passare in giudicato ed una serie di statuizioni di natura ordinatoria, dirette a regolare lo

svolgimento della procedura liquidativa (nomina del giudice delegato e del curatore, fissazione

dell‟adunanza di verifica dello stato passivo, ecc.)

L'art. 16 novellato si segnala per due rilevanti novità: la fissazione di un termine perentorio per la

presentazione di domande di accertamento dello stato passivo e dei diritti reali e personali; la

disciplina del dies a quo degli effetti, che sono differenziati "nei riguardi dei terzi".

Poiché gli effetti del fallimento si producono nei confronti di un numero indeterminato di soggetti

va non soltanto notificata al debitore fall1to e comunicata al pubb1ico ministero, al ricorrente e al

curatore, ma è soggetta ad una particolare forma di pubblicità, l'annotazione nel registro delle

imprese del luogo in cui la procedura è stata aperta e d1 quello in cui 1'1mprenditore ha la sede

legale. Se nel fallimento sono compresi beni immobili o beni mobili registrati va altresì annotata

nei pubblici registri.

SEZIONE II

I GRAVAMI E LA REVOCA DEL FALLIMENTO

1)Regolamento di competenza e di giurisdizione

L‟istruttoria prefallimentare si può chiudere, con un provvedimento che dichiara l‟incompetenza.

Trova allora applicazione la norma dell‟art. 42 c.p.c. ed il provvedimento può essere impugnato

soltanto con istanza di regolamento di competenza, che va proposta alla corte di cassazione nei

termini e nelle forme prevedute dall‟art. 47 c.p.c. (regolamento necessario di competenza). Se il

ricorrente non intende proporre istanza di regolamento di competenza, può riassumere la causa

davanti al giudice del quale è stata affermata la competenza, Il tribunale dichiaratosi incompetente

deve ordinare la trasmissione degli atti al giudice dichiarato competente. Se quest‟ultimo si ritiene

incompetente, secondo quanto dispone ora l‟art. 9bis, 2°comma, si viene a determinarsi un conflitto

virtuale di competenza ed il giudice ad quem deve richiedere d‟ufficio il regolamento di

competenza nel termine di 20 gironi dal ricevimento degli atti.

Se l‟istruttoria prefallimentare si chiude con una sentenza di fallimento, contenente una espressa o

implicita dichiarazione della propria competenza, la sentenza può essere impugnata con reclamo

alla corte d‟appello ex art. 18, se assieme alla pronuncia sulla competenza si impugna anche quella

sul merito, ovvero con istanza di regolamento facoltativo di competenza.

In ordine alla competenza può venirsi a determinare un conflitto positivo quando più tribunali

dichiarano il fallimento dello stesso soggetto.

L‟esigenza di salvaguardare l‟unitarietà della procedura concorsuale e di evitare la coesistenza di

più procedure nei confronti dello stesso soggetto l‟art.9 ter prevede la prosecuzione della procedura

avanti al tribumale competente che si è pronunciato per primo. Ove il giudice successivamente

adito conteti la competenza del tribunale che si è pronunciato per primo, deve richiedere d‟ufficio

regolamento di competenza ai sensi dell‟art.45 c.p.c.

Il difetto di giurisdizione nel giudizio di impugnazione della sentenza di fallimento o della sentenza

di accertamento giudiziale dello stato di insolvenza – può essere proposto regolamento di

giurisdizione dalle parti finchè la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado o dalla

pubblica amministrazione che non sia parte in causa sino a quando la giurisdizione non sia stata

affermata con sentenza passata in giudicato.

2) l’impugnazione della sentenza di fallimento

Secondo la disciplina introdotta nel 1942 la sentenza di fallimento doveva essere impugnata con

opposizione davanti allo stesso tribunale che l‟aveva emanata, il procedimento, promosso con atto

di citazione, si svolgeva nelle forme del giudizio contenzioso ordinario e la decisione del tribunale

poteva essere impugnata prima davanti alla corte d‟appello nel termine dimidiato di 15 giorni e,

Page 15: Diritto Fallimentare Guglielmucci

successivamente, avanti alla corta di cassazione. Stante l‟esecutorietà della sentenza di fallimento

ed i tempi spesso biblici del contenzioso ordinario, la revoca interveniva dopo che la liquidazione

concorsuale era stata in massima parte compiuta ed il debitore non più in grado di trarre qualche

giovamento dalla revoca, salvo che per gli eventuali riflessi penali dello status di fallito ., quindi

sostanzialmente un pregiudizio sul fallito.

Di questa scarsa funzionalità si è tenuto conto nel ridisegnare la disciplina dell‟impugnazione della

sentenza di fallimento, che è ora la seguente:

La legittimazione è riconosciuta, come in precedenza , al fallito ed a qualunque interessato, salvo

ovviamente a chio abbia richiesto il fallimento. Un interesse a proporre opposizione a fallimento va

riconosciuto a coloro nei confronti dei quali il fallimento produce effetti: i creditori, che abbia

acquistato diritti in forza di atti in opponibili al fallimento. anche il coniuge del fallito può avere

interesse a proporre opposizione a fallimento, in relazione ai diritti di carattere patrimoniale sui

quali il fallimento può incidere. Assai dubbio è , invece, che sia sufficiente un interesse di carattere

morale.

Considerata la “procedimentalizzazione dell‟istruttoria prefallimentare, che si svolge a cognizione

piena”, l‟impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento non va più proposta al tribunale,

bensì alla Corte d‟appello in un termine che corrisponde a quello preveduto per l‟impugnazione con

l‟appello contro qualunque sentenza: cioè nel termine breve di trenta giorni – che decorre per il

fallito dalla data della notificazione della sentenza e per gli altri interessati dalla data della

iscrizione nel registro delle imprese – e, in difetto di notifica, di iscrizione nel registro delle

imprese, ne l termine lungo di un anno dalla pubblicazione della sentenza. L‟i impugnazione si

propone non con atto di citazione indirizzato alla controparte ma con reclamo, cioè con ricorso

indirizzato al giudice.

Vengono prescritti “termini ridotti per la fissazione della udienza di comparizione della parti,

nonché per l‟espletamento delle comunicazioni e delle notifiche e per il deposito degli atti

difensivi” peraltro “garantendo il costante rispetto del principio del contraddittorio”:

Le parti sono il ricorrente – che sarà di regola il fallito – colui o color che hanno richiest6o la

dichiarazione di fallimento (creditore, pubblico ministero) curatore, che rappresenta l‟interesse

della collettività dei creditori. Fra ricorrente alla corte d‟appello, curatore e ricorrenti è

configurabile un litisconsorzio necessario.

La corte può assumere anche d‟ufficio i mezzi di prova necessari ai fini della decisione. Per

sottolineare “l‟effetto pienamente devolutivo dell‟impugnazione, la dizione “contro la sentenza che

dichiara il fallimento può essere proposto appello…” è stata poi sostituita con la dizione “contro la

sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo…”, sicchè il riesame non si può

considerare limitato alle censure specificate nell‟atto di impugnazione. Espletata l‟istruttoria la

corte d‟appello provvede con sentenza, contro la quale è proponibile ricorso per cassazione nel

termine dimidiato di trenta giorni dalla notificazione,

La sentenza di fallimento è provvisoriamente esecutiva ed i suoi effetti vengono meno soltanto con

il passaggio in giudicato della eventuale sentenza di revoca. Tuttavia, vi è una importante

innovazione, è stato attribuito alla corte d‟appello, su ricorso dell‟appellante, il potere di

sospensione della liquidazione dell‟attivo, in tutto o in parte od anche temporaneamente.

3) La decisione sull’impugnazione e la revoca del fallimento

Il giudizio di impugnazione della sentenza di fallimento si può concludere con il rigetto o con

l‟accoglimento del gravame. Se l'impugnazione viene accolta nel giudizio avanti alla corte d‟

appello - salvo il caso in cui sia stata affermata 1'incompetenza del tribunale che ha dichiarato il

fallimento - il fallimento. viene revocata, ma la procedura fallimentare cessa soltanto quando la

sentenza di revoca passa in giudicato. Se ne giudizio di cassazione i motivi di gravame vengono

considerati fondati,occorre distinguere: se la sentenza della corte viene cassata con rinvio, dovrà

provvedere il giudice di rinvio, previa riesame del fatto alla luce del principio di diritto enunciato

dalla carte di cassazione; se, viceversa, la sentenza della corte d'appello viene cassata senza rinvio

non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la cassazione della sentenza che ha rigettato il

Page 16: Diritto Fallimentare Guglielmucci

reclamo comporta la revoca del fallimento, mentre se ad essere cassata è la sentenza che ha accolto

il reclamo revocando il fallimento la procedura proseguirà.

L'impugnazione della sentenza di fallimento può essere fondata sul difetto di giurisdizione o di

competenza, sulla nullità della sentenza per violazione e diritto di difesa o, infine, sull'insussistenza

dei presupposti del fallimento.

Se viene dedotta l'incompetenza occorre stabilire,in pr1mo luogo, se la questione di competenza è

stata dedotta tempestivamente.

L'art. 38, 1° comma, c.p.c., l'incompetenza per territorio, come nella specie – inderogabile, può

essere rilevata anche d'ufficio non oltre la prima udienza di trattazione. Poichè, peraltro la

legittimazione a proporre reclamo è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse e quindi a soggetti

che non hanno partecip-ato al procedimento avanti al tribunale, l'incompetenza può essere dedotta

anche se non eccepita o rilevata d'ufficio nella precedente fase. In precedenza si disputava infatti se

l'incompetenza implicasse la revoca del fallimento e a necessità di procedere ad una nuova

dichiarazione di fallimento da parte del giudice, con efficacia ex nunc. Con l'art. 9 bis si è

statuito che l'accertamento dell'incompetenza nella fase del gravame non comporta la revoca

davanti al giudice competente, questi – salvo richiesta d‟ufficio il regolamento di competenza

dispone la prosecuzione della procedura, provvedendo alla nomina del giudice delegato e del

curatore

La scelta legislativa viene giustificata nella Relazione con la “considerazione del fatto che nel

vigente ordinamento processuale la competenza non viene considerata come un presupposto del

processo, la cui mancanza è causa di nullità dello stesso”. Detta considerazione appare, per la verità,

discutibile. In realtà la sentenza di fallimento, tuttavia, ha essenzialmente la funzione di aprire un

procedimento e lo stesso criterio di determinazione della competenza è funzionale proprio allo

svolgimento del procedimento, sicchè sotto questo profilo si giustifica la scelta legislativa.

Il fallimento va, invece, revocato in caso di nullità della sentenza per violazione del diritto alla

difesa, in particolare in caso di mancata notificazione del decreto di convocazione.

In tal aso dopo la revoca il tribunale dovrà convocare il debitore e procedere ad una nuova

dichiarazione di fallimento, sempre che sussistano ancora i presupposti per la dichiarazione di

fallimento: potrebbe, ad esempio, essere nel frattempo decorso il termine preveduto dall‟art. 10 o

essere venuto meno lo stato di insolvenza.

Se, infine, il fallimento viene revocato per mancanza dei presupposti sostanziali non si può, di

regola

procedere ad una nuova dichiarazione di fallimento. La revoca va disposta quando risulti

l‟insussistenza dei presupposti alla data in cui il fallimento è stato dichiarato , è certamente possibili

che, revocato il fallimento ad esempio per insussistenza dello stato di insolvenza, all‟atto della

revoca l‟insolvenza sussista.

La revoca del fallimento ha, in linea di principio, effetti retroattivi. Tuttavia, per un‟esigenza di

stabilità delle situazioni patrimoniali , l‟art. 18 , 2° comma, statuisce che restano fermi gli effetti

degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura. Rimangono, quindi , ferme innanzitutto

le vendite coattive e le ripartizioni ai creditori dell‟attivo realizzato. Rimangono, altresì, fermi gli

atti compiuti dal curatore in sostituzione del fallito e quelli da lui comiuti in forza di poteri

autonomamente attribuitigli dalla legge fallimentare:

Occorre peraltro distinguere se l‟atto del curatore incide definitivamente sul rapporto l arevoca del

fallimento non opera retroattivamente: così , ad esempio, lo scioglimento per scelta del curatore di

un contratto pendente sopravvive alla revoca del fallimento.

4) Reclamo contro il decreto di rigetto

Se l‟istruttoria prefallimentare si chiude con un decreto di rigetto, secondo quando dispone l‟art.22.

2°comma, il creditore ricorrente o il pubblico ministero richiedente possono proporre reclamo alla

corte d‟appello in un termine che, con il decreto correttivo, è stato portato a 30 giorni dalla

comunicazione.

Il reclamo va proposto nella forma del ricorso e si perfeziona, quindi , con il deposito presso la

Page 17: Diritto Fallimentare Guglielmucci

cancelleria della Corte, che deve essere effettuato nel termine fissato di 30 giorni dalla

comunicazione: La corte d‟appello deve convocare il debitore ed il proponente il reclamo,

quest‟ultimo deve notificare al debitore il reclamo ed il decreto di fissazione di udienza.

La corte d‟appello, sentite le parti, può disporre anche d‟ufficio l‟assunzione di nuove prove in

conformità al principio inquisitorio e consente di disporre d‟ufficio mezzi istruttori nell‟istruttoria

prefallimentare; dopo di che provvede con decreto, con il quale, in alternativa, rigetta il reclamo o

rimette gli atti al tribunale per la dichiarazione di fallimento.

Il decreto di rigetto del reclamo non ha carattere di definitività e non preclude la riproposizione al

tribunale della domanda di fallimento, anche per gli stessi motivi posti a fondamento dell‟originario

ricorso, benche, ovviamente, sarà opportuno sottoporre al vaglio della Corte nuovi elementi di

prova:

Difettando il carattere della definitività il decreto di reggo del reclamo non è impugnabile avanti

alla

corte di cassazione .

In caso di accoglimento del reclamo la corte d‟appello non dichiara il fallimento, ma rimette gli atti

al tribunale perché vi provveda. La scissione, che si viene così a determinare fra provvedimento

dichiarativo della Corte e provvedimento costitutivo del tribunale, rappresenta una deviazione dal

principio secondo il quale, nei giudizi di merito, il giudice superiore, quando accoglie il gravame,

emana provvedimento sostituiti vo. Si spiega, tuttavia, ove si consideri che la sentenza di fallimento

ha contenuto complesso e deve contenere statuizioni di carattere ordinatorio (nomina del giudice

delegato e del curatore, fissazione dell‟adunanza di verifica dello stato passivo, ecc.) che devono

essere necessariamente adottate dal tribunale organo preposto alla procedura.

Il decreto della corte d‟appello di accoglimento del reclamo vincola il tribunale, che deve dichiarare

il fallimento, senza necessità di ulteriore convocazione del debitore, essendo stato il diritto alla

difesa già assicurato dall‟originaria convocazione ex art. 15 e dalla successiva convocazione avanti

alla corte d‟appello ex art. 22.

Il tribunale però è vincolato dalla decisione della Corte d‟appello “salvo che, anche su segnalazione

di parte, accerti che sia venuto meno alcuno dei presupposti necessari”: Fra i presupposti necessari è

compreso il non internato decorso del termine preveduto dagli artt. 10e 11 in caso di cessazione

dell‟attività d‟impresa o di decesso del debitor. Al fine di evitare che la dichiarazione di fallimento

rimanga preclusa dalla scadenza del termine preveduto dalle norme sopra richiamate, è stato

opportunamente statuito che “ i termini di cui agli artt. 10 e 11 si computano con riferimento al

decreto della Corte d‟appello”

CAPITOLO TERZO

L’AMMINISTRAZIONE FALLIMENTARE SEZIONE I

ESECUZIONE CONCORSUALE E AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO

FALLIMENTARE

1) Esecuzione individuale ed esecuzione concorsuale

La struttura di procedimento esecutivo caratterizza il processo di fallimento:

Con la dichiarazione di fallimento viene infatti aperto un procedimento di liquidazione del

patrimonio del debitore per la distribuzione del ricavato ai creditori: liquidazione che, quando la

crisi

investe un‟impresa insolvente ma potenzialmente vitale, può essere attuata con la vendita

dell‟azienda.

Il fallimento è, quindi, essenzialmente un procedimento esecutivo per espropriazione. Si parla,

infattin comunemente di esecuzione concorsuale in contrapposizione all‟esecuzione individuale e la

sentenza di fallimento viene equiparata quoad effectum al pignoramento, con il quale si inizia

l‟esecuzione individuale: Fra esecuzione concorsuale ed esecuzione individuale vi sono profonde

differenze. Va rilevato, in primo luogo, che l‟esecuzione individuale ha ad oggetto determinati beni

e

Page 18: Diritto Fallimentare Guglielmucci

diritti cioè i beni in concreto pignorati e si svolge, nelle differenti forme dell‟espropriazione di beni

mobili presso il debitore e presso terzi, dell‟espropriazione immobiliare e dell‟espropriazione di

crediti, avanti al giudice di volta in volta competente: Anche quando il creditore agisce su tutti i

beni

e diritti del debitore l‟esecuzione individuale non ha carattere unitario e si svolge di regola avanti a

più giudici: L‟esecuzione concorsuale è, viceversa, caratterizzata dall‟unitarietà: si attua, ad opera

degli organi preposti al fallimento, su tutti i beni e diritti del debitore dichiarato fallito assoggettati

ad esecuzione con il cosiddetto pignoramento generale.

Occorre, poi, considerare che nell‟esecuzione individuale, conviene in nessun caso assoggettato ad

esecuzione il patrimonio nella sua interezza: Vengono, infatti, esclusi i diritti potestativi:

Nell‟esecuzione concorsuale, viceversa, gli organi preposti al fallimento possono esercitare tutti i

diritti del debitore, compresi i diritti potestativi e possono eseguire i contratti corrispettivi quando

appaia conveniente conseguire la controprestazione:

L‟esecuzione concorsuale non ha quindi ad oggetto una serie di beni e diritti, ma il patrimonio del

debitore nella sua interezza. Da ultimo nell‟esecuzione individuale residua spazio all‟affidamento

ad

un terzo della custodia dei benei pignorati che solo eccezionalmente può estendersi ad atti di

amministrazione. L‟esecuzione concorsuale implica necessariamente l‟attribuzione diretta agli

organi della procedura della custodia dei beni del debitore fallito ed anche dell‟amministrazione in

senso dinamico del suo patrimonio.

2) Ampiezza e limiti dell’amministrazione fallimentare: A)l’esercizio provvisorio

dell’impresa.

Poiché nel fallimento occorre procedere alla liquidazione del patrimonio del debitore ed a ripartire il

ricavato tra i creditori, l‟amministrazione fallimentare è una amministrazione liquidativa: Ciò non

significa che gli organi della procedura possano compiere soltanto atti di conservazione e di

liquidazione. E‟ sufficiente . è necessario, che gli atti siano finalizzati, sia pure indirettamente, alla

liquidazione:

L‟art.104 prevede la possibilità di disporre l‟esercizio provvisorio dell‟impresa e quindi il

compimento di un‟attività che non ha una diretta finalità liquidativi e comporta, addirittura,

la‟assunzione del rischio di impresa.

L‟esercizio provvisorio dell‟impresa, dopo la riforma, può essere disposto con la sentenza di

fallimento quando dall‟interruzione può derivare un “danno grave”- e non più, come in

precedenza,un”danno grave e irreparabile” - e successivamente dal giudice delegato con”decreto

motivato” anche a prescindere da ogni valutazione del pregiudizio al patrimonio.

Si scrive nella Relazione che l‟esercizio provvisorio dell‟impresa, a differenza di quanto previsto in

precedenza, “risponde non più al solo interesse privatistico di consentire un miglio risultato della

liquidazione concorsuale, ma è aperto a quello pubblicistico di utile conservazione dell‟impresa.

L‟esercizio provvisorio è costantemente subordinato alla sua compatibilità con l‟interesse dei

creditori ed all‟assenso di quell‟organo, il comitato dei creditori, che dell‟interesse dei creditori

costituisce l‟espressione. Infatti all‟atto della dichiarazione di fallimento l‟esercizio provvisorio può

essere disposto “purchè non arrechi e pregiudizio ai creditori”; successivamente può essere

autorizzato dal giudice delegato “previo parere favorevole del comitato dei creditori”; durante

l‟esercizio provvisorio il comitato dei creditori è chiamato a pronunciarsi almeno ogni tre mesi

sull‟opportunità di continuare l‟esercizio ed ove si esprima negativamente, mentre in precedenza era

previsto che il tribunale può ordinare la cessazione, si statuisce ora che “il giudice delegato ne

ordina

la cessazione”.

L‟esercizio provvisorio che per la disciplina odierna risulta caratterizzato da un evidente precarietà

è

finalizzato alla liquidazione.

Non sembra, invece, possibile il ricorso all‟esercizio provvisorio per conseguire un utile.

Page 19: Diritto Fallimentare Guglielmucci

3) Segue: b)l’affitto dell’azienda

La conservazione dell‟azienda, al fine di un miglior realizzo dell‟attivo fallimentare, può essere

assicurata anche dall‟affitto dell‟azienda. L‟affitto dell‟azienda comporta un minor rischio

dell‟eserizion provvisorio, venendo ilr ischio d‟impresa sopportato dall‟affittuario:Però l‟affitto

dell‟azienda impone il rispetto del diritto di godimento dell‟affittuario sino alla scadenza del

termine

convenuto e, sino a tale momento, costituisce ostacolo alla vendita del complesso aziendale essendo

quantomeno improbabile reperire un acquirente dell‟azienda se non gliene venga assicurata la

consegna immediata.

In difetto di un‟espressa disciplina dell‟affitto dell‟azienda nel fallimento, prima della riforma si

poneva tutta una serie di problemi: da quello delle modalità di scelta dell‟affittuario e di

stipulazione

del contratto, a quello dell‟individuazione delle clausole contrattuali per rendere l‟affitto

compatibile

con le esigenze liquidative della procedura.

Con la riforma è stata introdotta una disciplina dettagliata dell‟affitto dell‟azienda o di rami

dell‟azienda, con la quale si è innanzitutto sottolineata la sua funzione di strumento per il

perseguimento della finalità liquidativa della procedura fallimentare: si è infatti, preveduto che

l‟affitto possa essere autorizzato “quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell‟azienda

o di parti della stessa “

Si è poi statuito che:

- l‟affitto può essere autorizzato dal giudice delegato su proposta del curatore e previo parere

favorevole del comitato dei creditori.

- la scelta dell‟affittuario deve essere effettuata secondo l‟iter previsto per le vendite fallimentari,

sulla base di una stima e con adeguate forme di pubblicità e tenuto conto “oltre che dell‟ammontare

del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle

attività

imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”

- il contratto deve avere un contenuto minimo obbligatorio: deve prevedere il diritto del curatore di

procedere all‟ispezione dell‟azienda, la prestazione di idonee garanzie per le obbligazioni

dell‟affittuario alla conservazione dell‟integrità dell‟azienda alla restituzione all‟atto della

cessazione

del rapporto, il diritto di recesso del curatore; la durata dell‟affitto deve essere inoltre determinata in

modo da risultare compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni .

- all‟affittuario può essere attribuito un dirittodi prelazione

- in caso di retrocessione dell‟azienda l‟amministrazione fallimentare non risponde dei debiti

contratti dall‟affittuario nemmeno nei confronti nei confronti dei prestatori di lavoro.

L‟affitto di azienda può essere stipulato nell‟imminenza dell‟apertura di una procedura concorsuale

di fallimento o anche di concordato preventivo. In tal caso non è applicabile la disciplina preveduta

dall‟art. 104 bis,. che riguarda il caso in cui il contratto venga stipulato dopo la dichiarazione di

fallimento, Laddove la disciplina del rapporto contrattuale può essere regolata dall‟ autonomia

privata, l‟imprenditore in crisi può essere opportuno informi previamente il giudici competente ad

aprire successivamente la procedura concorsuale o , quanto meno , nel concordare il contenuto del

contratto, adotti quelle cautele cui si ispira la disciplina prevista dall‟art. 104 bis .

Facoltà di recesso dal contratto di affitto di azienda stipulato prima del fallimento (art.79). Il

curatore

ritenga di non avvalersi di questo strumento di tutela deve rispettare integralmente il

contratto,quindi anche riconoscere il diritto di prelazione che fosse stato pattuito a favore

dell‟affittuario.

Rispetto all‟affitto stipulato in corso di fallimento, l‟affitto stipulato anteriormente non sembra poter

beneficiare, in caso di retrocessione dell‟azienda, dell‟esenzione dalla disposizione relativa ai debiti

Page 20: Diritto Fallimentare Guglielmucci

contratti dall‟affittuario con i dipendenti.

4) Segue: c) altri atti indirettamente finalizzati alla liquidazione

La limitazione ad un breve periodo della concessione in godimento dell‟azienda può rendre talora

antieconomica la previsione di un corrispettivo, specie quando si debbano affrontare rilevanti costi

per la rimessa in funzione e la manutenzione dei macchinari o degli impianti aziendali

Ergo: in molti casi (pag, 73)

Deve ritenersi ammissibile anche la stipulazione di un comodato: Agli organi della procedura non è

dunque precluso il compimento di qualsivoglia tipo di atto – anche a titolo gratuito – con il solo

vincolo della sua finalizzazione alla conservazione e liquidazione del patrimonio del debitore.

In quest‟ottica vanno considerati gli atti che sono finalizzati alla vendita di partecipazioni sociali o

alla riscossione di crediti verso società controllate o partecipate: Assai di frequente la società fallita

appartenente ad un gruppo è titolare di partecipazioni in altre società e ha nel contempo crediti

verso

le stesse. Anche un atto abdicativi come la rinuncia ai crediti, può, allora, essere finalizzato alla

liquidazione fallimentare.

SEZIONE II

GLI ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO

1)Le funzioni degli organi preposti al fallimento

L‟amministrazione del patrimonio fallimentare è affidata agli organi della procedura: tribunale

fallimentare, giudice delegato, curatore, comitato dei creditori.

Tribunale fallimentare e giudici e delegato esercitano le loro attribuzioni attraverso provvedimenti

giurisdizionali: La giurisdizione può essere contenziosa e nel suo esercizio il giudice è chiamato a

risolvere imparzialmente controversie fra due o più soggetti con provvedimenti destinati ad

acquistare l‟autorità sostanzialmente amministrativa per la tutela dell‟interesse di un soggetto o di

un

interesse di carattere generale.

Tribunale fallimentare e giudici delegato devono svolgere le loro funzioni per assicurare una

corretta

amministrazione del patrimonio fallimentare, nell‟interesse dei creditori concorsuali e dello stesso

fallito, ed esercitano quindi prevalentemente attribuzioni di giurisdizione volontaria.

il comitato dei creditori è organo rappresentativo degli interessi della collettività dei creditori, cui

sono state trasferite importanti attribuzioni gestorie in precedenza affidate al giudice delegato.

Il curatore è per lo più un libero professionista che viene investito di pubbliche funzioni ed esplica

la

sua attività attraverso atti sostanziali e processuali. E‟ organo esterno della procedura e la

rappresenta anche in giudizio. Occorre poi considerare anche l‟assemblea dei creditori, alla quale

con la riforma è stato attribuito un ruolo nella designazione del curatore e dei componenti del

comitato dei creditori.

2) Rapporti fra gli organi preposti al fallimento

CAPITOLO QUINTO

LA REINTEGRAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE Sezione I

DISCIPLINA GENERALE

1) Disciplina ordinaria e disciplina fallimentare

Il patrimonio fallimentare comprende i beni e diritti del debitore, ma anche beni e diritti usciti dal

sua patrimonio in forza di “atti pregiudizievoli ai creditori”: Questi bene i diritti possono essere

recuperati non al patrimonio del debitore, ma alla garanzia patrimoniale dei creditori:sono quindi

assoggettabili all‟esecuzione concorsuale pur rimanendo ad es. in proprietà dei terzi acquirenti.

Le norme relative agli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori consentono di

recuperare beni e diritti alla garanzia patrimoniale, incrementando l‟attivo fallimentare; ma

consentono anche di incidere sul passivo, attraverso l‟esclusione di diritti di prelazione su beni

Page 21: Diritto Fallimentare Guglielmucci

compresi nel fallimento o, addirittura, attraverso l‟esclusione di crediti dal concorso. Strumento di

reintegrazione della garanzia è l‟inefficacia dell‟atto nei confronti dei creditori, che opera talora

automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento, altre volte a seguito di pronuncia

giudiziale di revoca. L‟inefficacia ha carattere relativo.I rimedi in asame si applicano, quindi, agli

atti anteriori al fallimento, ad esso opponibili. Si estendono, altresì, agli atti successivi al fallimento,

ma anteriori all‟iscrizione della sentenza nel registro delle imprese che siano opponibili al

fallimento.

Anche al di fuori del fallimento è accordato ai creditori uno strumento di reintegrazione della

garanzia patrimoniale: l‟azione revocatoria ordinaria, disciplinata dagli artt. 2901ss. c.c. La tutela

offerta dalle norme del codice civile è, però, più limitata. Infatti ai sensi dell‟art. 2901 c.c. possono

essere impugnati conl‟azione revocatoria gli “ atti di disposizione del debitore”: Deve quindi

trattarsi

di:

a) atti di disposizione: non vi rientrano, perciò, gli atti dovuti e gli atti di amministrazione

b) compiuti dal debitore

2) Il presupposto oggettivo: a) atto pregiudizievole e danno

La revoca ez art. 2901 c.c. suppone la ricorrenza, oltre che di un presupposto soggettivo di limala

fede, variamente configurato (conoscenza del pregiudizio, dolosa preordinazione), anche di un

presupposto oggettivo: il pregiudizio alle ragioni dei creditori, comunemente denominato danno:

Gli

artt. 64 ss. ricollegano, invece, l‟inefficacia dell‟atto al suo compimento nel cosiddetto periodo

sospetto legale, (di regola sei mesi o l‟anno anteriore al fallimento) e , a differenza dell‟art.2901

c.c.,

non prvedono il danno come presupposto dell‟inefficacia.

L‟azione revocatori, sia ordinaria che fallimentare, è volta a tutelare i creditori contro il pregiudizio

alla garanzia patrimoniale: la disciplina dell‟azione revocatoria ordinaria è infatti, ricompressa nel

capo del codice civile relativo ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e prevede che

il

creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del

patrimonio, con il quale il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni; l‟azione revocatoria

fallimentare, è disciplinata nella sezione della legge fallimentare relativa ali effetti del fallimento

sugli atti pregiudizievoli ai creditori.

Si devono, peraltro, tener distinti due differenti profili del pregiudizio: l‟astratta idoneità dell‟atto a

pregiudicare i creditori ed il pregiudizio in concreto arrecato ai creditori medesimi

Gli atti compiuti dal debitore – enella revocatoria fallimentare anche quelli incidenti sul suo

patrimonio ancorché non da lui compiuti, - sono astrattametne pregiudizievoli ai creditori quando:

- comportano una diminuzione del patrimonio del debitore, come gli atti a titolo gratuito e gli atti a

titolo oneroso a corrispettivo inadeguato:

- pur lasciando inalterata la consistenza quantitativa del patrimonio del debitore, determinano una

varia<ione qualitativa, con la sostituzione di beni che possono agevolmente costituire oggetto di

vendita coattiva con beni facilmente occultabili o di difficile realizzo

- pur rimanendo inalterata la consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio del debitore

determinati beni vengono destinati al soddisfacimento preferenziale od esclusivo di determinati

creditori o determinati creditori o determinate categorie di creditori: come gli atti costitutivi di

ipoteca o pegno.

Il carattere astrattamente pregiudizievole dell‟atto non è però sufficiente per l‟azione revocatoria

ordinaria perché, essendo preveduto come strumento idi tutela contro atti del debitore in bonis, dopo

il compimento dell‟atto di disposizione il patrimonio residuo del debitore potrebbe essere

sufficiente

al soddisfacimento dei suoi creditori; e quando l‟atto di disposizione abbia, ad oggetto beni di un

patrimonio separato, il residue patrimonio separato potrebbe essere sufficiente al soddisfacimento

Page 22: Diritto Fallimentare Guglielmucci

dei creditori del patrimonio medesimo,. Perciò l‟art. 2901 c.c. richiede che l‟atto di disposizione sia

concretamente pregiudizievole, cioè che il patrimonio residuo sia insufficiente al soddisfacimento

dei creditori.

Il danno inteso come pregiudizio in concreto non è invece richiesto per l‟azione revocatoria

fallimentare perché proponibile quando il debitore non è più in bonis ed il suo patrimonio non più

sufficiente. Perciò il presupposto del danno non è compreso fra i presupposti dell‟azione

revocatoria.

Occorre, tuttavia, che l‟atto sia astrattamente pregiudizievole ed è questo il significato del principio

di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale nella revocatoria

fallimentare

il danno consiste nella lesione della par condicio creditorum

1) occorre innanzitutto chiarire che l‟espressione par condicio creeditorum viene adoperata

impropriamente per indicare le regole sulla collocazione dei crediti

2) occorre poi precisare che il patrimonio del debitore solo in via di approssimazione costituisce la

garanzia comune dei creditori e che vi possono essere beni sottratti definitivamente alla garanzia

comune degli stessi.

In quest‟ottica va considerata la fattispecie alla quale si riferiscono le prime decisioni della

giurisprudenza di legittimità che hanno enunciato il principio della par condicio: quello della

vendita

di immobile gravato da ipoteca consolidata, con destinazione del prezzo al pagamento del creditore

ipotecario. Infatti l‟immobile ipotecato, ove l‟ipoteca non sia più revocabile, è definitivamente

destinato al soddisfacimento prioritario del creditore ipotecario e sottratto alla garanzia patrimoniale

degli altri creditori. L‟atto di disposizione costituito dalla vendita del bene non è nemmeno

astrattamente idoneo a pregiudicare gli altri creditori, salvo quelli anteposti al creditore ipotecario,

quelli il cui credito sia assistito da privilegio speciale sull‟immobile medesimo: peraltro, proprio per

l‟idoneità dell‟atto a pregiudicare i creditori anteposti al creditore ipotecario, di recente le sezioni

unite della corte di cassazione hanno affermato la revocabilità della vendita.

Il principio, lucidamente espresso da Cass 11 novembre 2003, n. 16195 ,secondo il quale

nell‟azione

revocatoria ordinaria il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei

beni del debitori ad offrire la garanzia patrimoniale, mentre nell‟azione revocatoria fallimentare il

carattere pregiudizievole dell‟atto può consistere nella lesione della par conditio creditorum, ossia

nella violazione delle regole sulla collocazione dei crediti.

Tale impostazione giurisprudenziale semplifica il problema del danno nei pagamenti di debiti

liquidi

ed esigibili, che non a caso non sono impugnabili con l‟azione revocatoria ordinaria: infatti, a ben

vedere, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili più che pregiudicare la garanzia patrimoniale

ledono

piuttosto la par condicio: e perciò sono impugnabili solo con l‟azione revocatoria fallimentare: In

questa prospettiva dovrebbe essere esclusa la revocabilità del pagamento del credito assistito da

garanzia reale consolidata ove non vi fossero crediti insoddisfatti aventi una collocazione poziore.

3) Segue: B) il compimento dell’atto nel periodo sospetto legale

Con riforma è stata ridotta sensibilmente l‟applicabilità dell‟azione revocatoria fallimentare in

primo

luogo attraverso la dimidiazione del periodo sospetto legale, che si giustifica non tanto con

l‟esigenza di adeguamento della nostra legislazione a quella di altri Paesi, quanto piuttosto quale

reazione ad un uso disinvolto dello strumento revocatorio.

E‟ rimasta, tuttavia, inalterata la dilatazione del periodo sospetto legale per gli atti fra coniugi –

laddove si estende all‟intero periodo in cui il fallito esercitava l‟impresa – e per gli atti infragruppo

nella procedura di amministrazione straordinaria – in cui il periodo sospetto legale è di cinque anni

Page 23: Diritto Fallimentare Guglielmucci

per gli atti preveduti dall‟art.67, 1° comma, e di tre anni per quelli al 2° comma dello stesso

articolo.

E‟ certamente vero che una differenziazione di disciplina è giustificata.

Ma occorre considerare che: 1) l‟estensione del periodo sospetto legale per gli atti fra i coniugi

all‟intero periodo in cui il fallito esercitava l‟impresa è abnorme;

2) la differenza di disciplina per gli atti infragruppo fra liquidazione fallimentare e liquidazione

nella

procedura di amministrazione straordinaria non sembra giustificabile razionalmente;

3) in ogni caso no si giustifica la scelta di prevedere una disciplina differenziata per gli atti compiuti

con altre società del gruppo e non anche per quelli compiuti con altri soggetti aventi con il debitore

rapporti particolari quali, ad esempio, i componenti degli organi di amministrazione e di controllo

della società.

La nuova normativa introdotta con la riforma del 2005 potrebbe poi assumere rilievo per la

soluzione del problema del dies a quo del periodo sospetto legale in caso di consecuzione di

procedure concorsuali. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato prima della riforma,

il periodo sospetto legale si doveva far decorrere, in caso di consecuzione di procedure concorsuali,

dalla prima delle procedure consecutive sulla base della considerazione che: 1) ‟art. 67 fa

riferimento alla sentenza dichiarativa di fallimento non come a provvedimento giudiziale che apre

la

procedura, ma come provvedimento giudiziale che accerta l‟insolvenza; 2 ) alla sentenza di

fallimento va perciò equiparato il precedente provvedimento giudiziale che abbia accertato

quell‟insolvenza 3) alla sentenza di fallimento va quindi equiparato il decreto di apertura della

procedura di concordato preventivo, il cui presupposto è l‟insolvenza. Peraltro secondo la nuova

formulazione dell‟art.160 il presupposto per l‟ammissione alla procedura di concordato preventivo

viene indicato non più nello stato di insolvenza, ma nello stato di crisi e manca una definizione

legislativa dello stato di crisi . Pertanto il fondamento della tesi della retrodatazione del periodo

sospetto legale in caso di consecuzione del fallimento a concordato preventivo si potrebbe

considerare venuto meno.

Occorre, tuttavia, considerare che secondo l‟art.112, 2° comma, “sono considerati debiti

prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione

o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”:quindi non soltanto della

procedura di fallimento, ma anche di quella di concordato preventivo. Sì è, quindi, preso atto

legislativamente della continuità delle procedure consecutive: continuità che non si traduce nella

configurazione di un‟unica procedura, ma che, essendo le procedure consecutive volte ad affrontare

la medesima crisi – impone di valutare unitamente determinati aspetti della disciplina. Movendo da

questa premessa sembra potersi sostenere che il decreto di ammissione alla procedura di concordato

preventivo contiene l‟accertamento giudiziale di uno stato di crisi che, per effetto del mancato

superamento con il piano sottoposto dal debitore ai suoi creditori, risulta a posteriori essere stato un

vero e proprio stato di insolvenza. In altre parole ai fini della individuazione del dies a quo del

periodo sospetto legale in caso di consecuzione di procedure concorsuali, all‟accertamento

giudiziale

contenuto nel decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che aveva in

precedenza il rilievo di accertamento dello stato di insolvenza, sembra potersi equiparare la verifica

a posteriori risultante dalla dichiarazione di fallimento consecutiva.

4) Il presupposto soggettivo: a) la conoscenza dello stato di insolvenza

Lo stato soggettivo del debitore- a differenza di quanto preveduto per la revocatoria ordinaria – è

sempre irrilevante.

Lo stato soggettivo del terzo è irrilevante nel atti a titolo gratuito (art.64) e nei pagamenti anticipati

(art. 65): La malafede del terzo, intesa come conoscenza dello stato di insolvenza, costituisce,

invece

presupposto dell‟azione revocatoria fallimentare. L‟onere della prova di questo fatto costitutivo

Page 24: Diritto Fallimentare Guglielmucci

dell‟azione non è tuttavia sempre posto a carico del curatore, essendo talora presunta la conoscenza

dello stato di insolvenza in considerazione della normalità dell‟atto (art. 6,!° comma) o dei rapporti

esistenti tra le parti.

Di fronte alla chiara dizione letterale della legge che fa riferimento alla conoscenza non ha ragione

di

porsi il problema se presupposto dell‟azione revocatoria fallimentare si ala conoscenza o la

conoscibilità dello stato di insolvenza. Tuttavia solo eccezionalmente la conoscenza dello stato di

insolvenza può risultare da una ammissione del terzo o da una affermazione del debitore.

Ordinariamente la conoscenza dello stato di insolvenza può essere provato soltanto per presunzioni;

Quando l‟onere della prova è a carico del curatore egli può assolvervi provando la conoscibilità e,

su questa base, presuntivamente la conoscenza dello stato di insolvenza. rischia, peraltro, di

introdurre una equiparazione fra conoscenza e conoscibilità.

Tuttavia, è agevole constatare che vengono valorizzate l‟attività professionale esercitata dal terso, la

natura dell‟atto, la contiguità territoriale con il luogo in cui si manifestano i sintomi di insolvenza.

La

prova per presunzioni della scientia decoctionis non risulta dunque ancorata al parametro astratto

del

soggetto di ordinaria prudenza e d avvedutezza. Il rilievo indiziario dei sintomi di insolvenza può

essere , poi, contrastato dal convenuto, attraverso la prova di non essere concretamente venuto a

conoscenza dei sintomi di insolvenza di avere tenuto un comportamento atto ad escludere la scientia

decoctionis

I sintomi obiettivi di insolvenza sono costituiti dai potesti, dai procedimenti esecutivi immobiliari,

da

iscrizioni di ipoteche giudiziali, ecc., ma anche da notizie di stampa sulla crisi dell‟impresa o dalle

risultanze dei bilanci.

Altre volte la conoscenza dello stato di insolvenza è desumibile dal comportamento del convenuto

in

revocatoria: come nel caso del mutamento delle condizioni di pagamento.

Quando la conoscenza dello stato di insolvenza è presunta per legge e incombe, quindi, al

convenuto

l‟onere di provar la in scientia decoctionis è frequente l‟affermazione in giurisprudenza che non è

sufficiente la mancanza di protesti ed esecuzioni in quanto non è inconciliabile con uno stato di

insolvenza e la sua conoscenza.

In linea di trincio, si afferma che il convenuto in revocatoria “può vincere la presunzione di

conoscenza dello stato di insolvenza…dimostrando che al momento del compimento dell‟atto

impugnato non esistevano elementi rivelatori dell‟insolvenza e che le circostanze erano tali da far

ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l‟imprenditore poi fallito si

trovava

in una situazione normale di esercizio dell‟impresa” In definitiva si afferma che la prova della

inscientia decoctionis ha ad oggetto la insussistenza di quegli stessi sintomi, la cui sussistenza il

curatore deve provare quando l‟onere della prova è a suo carico.

Con riguardo alla prova della inscinetia decoctionis occorre, peraltro, distinguere, Se la presunzione

legale di conoscenza dello stato di insolvenza è fondata sull‟anormalità dell‟atto difficilmente potrà

essere vinta senza dar ragione dell‟anormalità.

Quando , invece, la presunzione legale è legata esclusivamente ai rapporti fra le parti la prova non

potrà avere ad oggetto se non l‟assenza di sintomi obiettivi di insolvenza e la situazione normale di

esercizio dell‟impresa.

5) Segue: b) la conoscenza delle condizionidi fallibilità.

Poiché l‟azione revocatoria fallimentare è esperibile solo nel fallimento e sono assoggettabili a

fallimento solo gli imprenditori commerciali ed i soci illimitatamente responsabili di società

commerciali, c si è chiesto se il convenuto in revocatoria posa difendersi deducendo e provando la

Page 25: Diritto Fallimentare Guglielmucci

non conoscenza di quella qualità della sua controparte, che la rendeva assoggettabile a fallimento.

La mancata previsione legislativa della conoscenza della qualità di imprenditore commerciale quale

presupposto della revoca è stata superata in un primo momento dalla giurisprudenza , riconducendo

detto stato soggettivo a quello della conoscenza dello stato di insolvenza. Successivamente, tuttavia,

si è affermato che non è “rilevante accertare se di tale qualità fosse consapevole la parte convenuta

al

temp dell‟atto impugnato, trattandosi di atteggiamento soggettivo non compreso fra i requisiti

occorrenti per l‟accoglimento della domanda”

Viene, invece, comunemente affermata in giurisprudenza la rilevanza dell‟ignoranza della qualità

socio illimitatamente responsabile quando ad essere impugnati sono gli atti compiuti da

quest‟ultimo.

6) Il sistema delle esenzioni: A) le esenzioni e il loro fondamento.

Il ridimensionamento dell‟applicabilità dell‟azione revocatoria fallimentare, oltre che attraverso la

già illustrata dimidiazione del periodo sospetto legale (supra, S3), è stato attuato anche e soprattutto

con la previsione di una serie di esenzioni – ulteriori rispetto a quelle in precedenza introdotte per la

tutela di interessi particolari – le più significative delle quali evidenziano il mutato atteggiamento di

fronte alla crisi dell‟impresa: essendo dirette a favorire la conservazione dell‟attività produttiva o ad

incentivare la regolazione della crisi attraverso accordi con i creditori.

Sono state ovviamente mantenute le esenzioni previste dall‟art. 67. ult. comma. anche se, nella sua

nuova dizione, l‟ultimo comma dell‟art, 67 novellato, oltre a richiamare le disposizioni delle leggi

speciali , fa riferimento, accanto all‟istituto di emissione, non più agli “istituti autorizzati a

compiere

operazioni di credito su pegno limitatamente a queste operazioni e agli istituti di credito fondiario”

Per le altre esenzioni previste da leggi speciali la norma si limita ad un semplice rinvio.

Per favorire la conservazione di complessi produttivi, anche soltanto a fini liquidativi, è necessario

evitare che la revocabilità dei pagamenti possa ostacolare la prosecuzione dell‟ordinaria attività di

impresa.: Perciò sono stati esonerati da revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati

nell‟esercizio dell‟attività di impresa nei termini d‟uso.

Va subito etto che il disegno di favorire la prosecuzione dell‟ordinaria attività d‟impresa appare

incompiuto, perché sono esonerati da revocatoria i pagamenti, non invece gli altri atti relativi

all‟ordinaria attività d‟impresa, come ad esempio le vendite dei beni prodotti o commercializzati:

sicchè, ad esempio, i pagamenti effettuati per ottenere la fornitura di materie prime non sono

revocabili e l sono, invece le vendite di prodotti finiti.

Si deve ritenere che l‟espressione “nei termini d‟uso” debba essere riferita ai pagamenti ( e non ai

beni e servizi)tali debbono essere considerati i pagamenti effettuati nei termini abitualmente

preveduti dagli operatori del settore o da quel determinato operatore. Non si possono quindi

considerare effettuati nei termini d‟uso – e si devono conseguentemente considerare revocabili – i

pagamenti mano contro mano” (salvo siano preveduti abitualmente da quel determinato operatore),

i

pagamenti effettuati con ritardo, anche se non può certo assumere rilievo il ritardo di un giorno e si

deve piuttosto pensare ad un ritardo sensibile e sistematico. Fra i pagamenti revocabili devono

essere

compresi anche quelli effettuati con mezzi anormali, posto che l‟espressione termini d‟uso suppone

comunque l‟esecuzione di un pagamento con le modalità pattuite.

Alla finalità di favorire l‟ordinaria attività d‟impresa può essere ricondotto anche l‟esonero da

revocatoria dei pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti o altri

collaboratori, non subordinati, del fallito. L‟esenzione da revocatoria dei pagamenti di debiti liquidi

ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all‟accesso alle

procedure concorsuali di…concordato preventivo.

E‟ preveduta, poi, l‟esenzione da revocatoria del atti, pagamenti e garanzie concesse sui beni del

Page 26: Diritto Fallimentare Guglielmucci

debitore in esecuzione di un piano di risanamento stragiudiziale, di un accordo di ristrutturazione

dei

debiti, di un concordato preventivo.

Raccogliendo le istanze delle associazioni di categoria, è stata poi preveduta l‟esenzione da

revocatoria delle vendite –e, con il decreto correttivo, anche dei preliminari di vendita trascritti

conclusi al giusto prezzo d‟immobili uso abitativo, destinati a costituire l‟abitazione principale

dell‟acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado.

Raccogliendo le istanze del sistema bancario è stata introdotta una disciplina apposita della

revocatoria delle rimesse in conto corrente.

Il termine “rimesse in conto corrente” era del tutto sconosciuto alla legge fallimentare del 1942, che

regolava più genericamente la revoca dei pagamenti.

Si fronteggiavano due orientamenti: quello del massimo scoperto, seguito da una risalente

giurisprudenza di merito, secondo il quale le rimesse costituiscono pagamenti solo nella misura in

cui hanno contribuito alla definitiva riduzione dell‟esposizione e la revoca doveva essere quindi

limitata alla differenza fra la punta massima dell‟esposizione e l‟esposizione residua alla data del

fallimento; e quello della sommatoria, recepito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale

se non costituiscono pagamenti le rimesse che confluiscono su conto passivo, costituisce viceversa

pagamento ogni singola rimessa che confluisce su conto scoperto, cioè in quando diretta a ridurre

od

estinguere il debito. Il primo orientamento, in quanto consente di colpire il rientro effettivo della

banca, era certo più rispondente all‟esigenza di ripristino della par condicio, al cui soddisfacimento

è

preordinata la revoca dei pagamenti.

Con la riforma è stato recepito il criterio del massimo scoperto, ma si è altresì preveduta una

esenzione da revoca delle rimesse quando non abbiano ridotto “ in maniera consistente e durevole

l‟esposizione debitoria del fallito verso la banca”.

7) Segue: b) esenzioni dalla revocatoria fallimentare e revocatoria ordinaria

La prima categoria : l‟esenzione riguarda soltanto la revocatoria ex art. 67, 2° comma, ferma

restando la revocabilità ex art 67, 1°comma, in presenza di atti anormali: La normalità delle

operazioni si accompagna alla non configurabilità di un danno diretto.

L‟irrilevanza del danno giustifica l‟esenzione da revocatoria fallimentare, non può non giustificare

nel contempo anche l‟esenzione da revocatoria ordinaria.

L‟esenzione dalla revocatoria fallimentare degli acquisti di immobili ad uso abitativo essendo

preveduta soltanto per le vendite “ al giusto presso”, è limitata anch‟essa agli “ atti normali”, che

non

cagionano un danno diretto.

Per le stesse ragioni illustrate a proposito della esenzione da revoca delle operazioni di credito

speciale va esclusa l‟assoggettabilità degli acquisti al giusto prezzo a revocatoria ordinaria,

rimanendo assoggettati a revocatoria –sia fallimentare che ordinaria – gli acquisti a prezzo inferiore

a quello giusto, oltre che gli acquisti, anche al giusto prezzo , di immobili destinati ad uso diverso

da

quello previsto dalla norma che disciplina l‟esenzione.

Più complesso è il problema dell‟estensione all‟azione revocatoria ordinaria dell‟esenzione da

revocatoria fallimentare degli atti posti in essere e delle garanzie concesse sui beni del debitore in

esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell‟esposizione debitoria

dell‟impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, ovvero di un concordato

preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Il fondamento dell‟esenzione è quello di favorire la regolazione della crisi attraverso accordi con i

creditori. La giustificazione razionale risiede nella strumentalità di atti e garanzie alla regolazione

della crisi, che si riflette sull‟elemento soggettivo caratterizzato dal convincimento del superamento

o della superabilità della crisi.

Page 27: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Se, allora, per l‟esenzione si è inteso valorizzare l‟elemento soggettivo del superamento o della

superabilità della crisi e del conseguente risanamento dell‟esposizione debitoria, rimane esclusa la

rilevanza della scientia decoctionis ai fini della revocatoria fallimentare, ma anche nel contempo

quella della conoscenza del pregiudizio ai fini della revocatoria ordinaria.

Quando atti, pagamenti e garanzie vengono posti in essere allorché la prospettiva di risanamento è

tramontata l‟esenzione viene meno.

8) L’inefficacia ex lege e la revocabilità

Secondo quanto comunemente si ritiene l‟inefficacia ex artt. 64 e 65 opera automaticamente all‟atto

della dichiarazione di fallimento, senza necessita di pronuncia giudiziale: La sentenza che riconosce

tale inefficacia ha carattere dichiarativo è può essere roposta senza limiti di tempo. Poiché

l‟inefficacia opera ex lege il bene alienato gratuitamente a terzi si deve considerare a assoggettato

all‟esecuzione concorsuale per effetto della dichiarazione di fallimento, esattamente come i beni

ancora compresi nel patrimonio del debitore: Ciò comporta l‟obbligo del terzo di consegna del bene

o – nel caso preveduto dall‟art.65 – di restituzione della somma ricevuta. L‟inefficacia ex art. 67 (od

anche ex artt. 68,69 1 fall consente invece ad una pronuncia di revoca che carattere costituito.

La competenza a conoscere dell‟azione revocatoria – ma anche di quella volta a far accertare

l‟inefficacia ex art 64 e 65 – spetta al tribunale fallimentare ex art 24, trattandosi di controversia che

deriva dal fallimento. Anche l‟azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore, pur trattandosi di

controversia che non deriva dal fallimento, è attribuita alla competenza del tribunale fallimentare.

Mentre l‟inefficacia ex lege può essere fatta valere senza limiti di tempo, sono preveduti limiti

cronologici all‟esercizio dell‟azione revocatoria, L?art, 2903 c.c. prevede per l‟azione revocatoria

ordinaria un termine di prescrizione di cinque anni, decorrente dalla data del compimento dell‟atto.

Con la riforma del 2006 è stato introdotto nella legge fallimentare un art. 69 bis, il quale – sotto la

rubrica “decadenza dall‟azione” – statuisce che le “ azioni revocatorie possono essere promosse

decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento

dell‟atto”: Il decorso dalla data del compimento dell‟atto si giustifica per altro solo per l‟azione

revocatoria ordinaria, non invece per l‟azione revocatoria fallimentare, il cui momento genetico è

individuabile in quello della dichiarazione di fallimento.

In ogni caso il decorso del termine non preclude la possibilità di opporre la revocabilità in via di

eccezione. il principio di diritto riassunto nel brocardo temporalia ad agendum, perpetua ad

excipiendum ha carattere generale.

La revocabilità viene di regola opposta in sede di verifica dello stato passivo . La pretes revocatoria

può essere opposta in via di eccezione anche in sede di verificazione delle domande di

rivendicazione. Diverse sono le ipostesi di revocatoria prevedute dall‟art. 67 ed il curatore può

proporre anche l‟azione revocatoria ordinaria, se del caso in subordine a quella fallimentare. Poichè

al momento della domanda va specificata la causa pretendi. è affermazione corrente in

giurisprudenza che il passaggio dalla revocatoria fallimentare a quella ordinaria costituisce

mutamento della domanda, essendo differenti i presupposti e le condizioni delle due azioni e che

parimenti mutamento della domanda costituisce il passaggio dalle ipotesi prevedute dal 1° comma a

quelle precedute dal 2 comma dell‟art. 67 1.fall.

9) L’opponibilità dell’inefficacia e della revoca al terzo subacquirente.

L‟art. 2901 c.c. statuisce che l‟inefficacia dell‟atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso

dei tezi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione. La norma si

applica pacificamente anche all‟inefficacia ex art.64 ed a quella conseguente a revoca ex art. 67 e

69.

Il subacquirente a titolo gratuito non è dunque, protetto. E‟, invece, protetto il subacquirente a titolo

oneroso se di buona fede, salvo che non abbia trascritto il proprio acquisto anteriormente alla

trascrizione, della domanda di revoca o di quella volta a far accertare l‟inefficacia ex art. 64.

La malafede del terzo subacquirente viene comunemente intesa come consapevolezza

dell‟instabilità

dell‟acquisto del suo dante causa, cioè della revocabilità o inefficacia se questi venga dichiarato

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fallito. La conoscenza, da parte del subacquirente, dell‟instabilità dell‟acquisto del suo dante causa

si

atteggia poi in modo differente a seconda che detto acquisto sia inefficace ex art. 64 o revocabile ex

art. 67, 69, 1 fall.,.

10) Effetti dell’inefficacia e della revoca

Gli effetti dell‟inefficacia ex lege e della revoca sono differenti a seconda degli atti che ne sono

colpiti. Infatti: a) se si tratta di atti di assunzione di obbligazioni o di costituzione di diritti di

prelazione, ne consegue l‟esclusione del credito dal concorso rispettivamente la collocazione del

credito in chirografo; b) se l‟inefficacia o la revoca ha ad oggetto atti traslativi di beni o diritti

rimangono assoggettati all‟esecuzione concorsuale di beni o diritti acquistati dal terzo, c) se si tratta

di atti costitutivi di diritti di godimento è assoggettata all‟esecuzione concorsuale la proprietà piena

del bene del fallito in caso di inefficacia o revoca di atto costitutivo di diritto reale di godimento, il

bene viene coattivamente alienato libero se la revoca riguarda atti costitutivi di diritti personali di

godimento; d) se, infine, si tratta di pagamenti, ne deriva l‟obbligo di restituire la somma percetta in

violazione della par condicio e la reviviscenza del credito.

Complessi sono il meccanismo di tutela dei creditori medesimi e la problematica degli effetti

dell‟inefficacia e della revoca degli atti traslativi di beni o diritti. L‟inefficacia e la revoca

pacificamente non incidono sulla validità dell‟atto traslativo inter partes e non implicano, quindi,

ritrasferimento al patrimonio del debitore dei beni e diritti acquistati dal terzo, ma solo la loro

soggezione all‟azione esecutiva.

In caso di impossibilità di restituire il bene, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale

il

terzo deve corrispondere il valore che il bene aveva al momento del compimento dell‟atto

impugnato. In caso di revoca di atti costituitivi di diritti reali o personali di godimento il terzo ha

pertanto diritto di ripetere la prestazione da lui eseguita.

In caso di revoca di pagamenti si determina la reviviscenza del credito,

Sotto la rubrica “effetti della revocazione” l‟art. 70 novellato oltre a introdurre la norma già

previdente e dianzi illustrata secondo la quale colui che per effetto della revoca ha restituito quanto

aveva ricevuto è ammesso al passivo per il suo eventuale credito, ha introdotto il principio del

massimo scoperto quale limite alla revocabilità degli “atti astintivi di posizioni passive derivanti da

rapporti di conto corrente bancario o comunque da rapporti continuativi o reiterati”. La regola si

applica dunque ache ai pagamenti di forniture di beni o di servizi, caratterizzate dal carattere

periodico o continuativo delle prestazioni alle quali i pagamenti si riferiscono.

SEZIONE II

ATTI INEFFICACI EZ LEGE ED ATTI REVOCABILI

1) Atti inefficaci ex lege.

L‟art. 64 statuisce che “sono privi di effetti rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni

anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito”.

Sono atti a titolo gratuito quelli che importano una attribuzione patrimoniale senza corrispettivo: Vi

rientrano le donazioni, le cessioni di credito senza corrispettivo, le remissioni di debito, le rinunce.

Non è necessario che l‟atto importi trasferimento a terzi di beni o diritti, essendone sufficiente la

sottrazione, senza contropartita, alla garanzia dei creditori: quindi, atto a titolo gratuito la

costituzione di un fondo patrimoniale quando si stabilisce che la proprietà rimane al coniuge che ha

destinato il bene al fondo.

Il caso delle garanzie per debiti altrui che, secondo quanto dispone l‟art.2901, 2° comma, c.c. “sono

considerate a titolo oneroso quando sono contestuali al credito garantito”: L‟art. 67 novellato ha

espressamente compreso fra gli atti revocabili ai sensi del 2° comma quelli costituitivi di diritti di

prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati.

La norma dell‟art.64 l.faa. si apllica agli atti a titolo gratuito “esclusi i regali d‟uso e gli atti

compiuti

in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubbica utilità”

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I regali d‟uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale od a scopo di pubblica utilità

sono nondimeno pregiudizievoli ai creditori e se ne deve ritenere la revocabilità ex artt. 67, 2°

comma .

E‟ certamente vero che l‟art. 67 prevede la revoca degli atti a titolo oneroso e dei pagamenti di

debiti liquidi ed esigibili. Tuttavia la loro esclusione dall‟ambito di applicazione dell‟art. 64 non

può

avere altro significato che quello delle loro equiparazione agli atti a titolo oneroso e al pagamento di

debiti esigibili: essendo palesemente assurdo considerare revocabile un atto senza corrispettivo.

L‟art65 statuisce, poi, che “sono privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che

scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente”, se eseguiti nel biennio

anteriore al fallimento. L‟inefficacia ex lege è prevista perché il pagamento anticipato è valso a

sottrarre il credito a regolazione concorsuale.

Con la riforma della disciplina della società di capitali, introdotto con il d.lgs. n 6, è stato preveduto

un ulteriore caso di inefficacia ex lege, quello del pagamento ai soci nell‟anno anteriore alla

dichiarazione di fallimento, del credito, al rimborso dei finanziamenti sostitutivi di apporti di

capitale. La statuizione che il rimborso, “se avvenuto nell‟anno precedente la dichiarazione di

fallimento, deve essere restituito” evidenzia l‟automaticità dell‟inefficacia del rimborso.

2) Atti revocabili: a) atti a titolo oneroso

Sono atti a titolo oneroso quelli che importano una attribuzione patrimoniale verso corrispettivo: atti

con i quali l‟imprenditore ha trasferito a terzi beni o diritti (vendita), ha costituito su propri beni

diritti di godimento reali o personali (costituzione di usufrutto) ; anche la transazione è revocabile

come atto a titolo oneroso in relazione alla reciprocità delle concessioni. Sono revocabili anche gli

atti che non diminuiscono la consistenza dell‟attivo patrimoniale, ma incrementano il passivo: così

ad esempio, una fideiussione può essere revocata. conseguente esclusione dal concorso del creditore

garantito; ancora, un mutuo può essere revocato.

Quando il corrispettivo che determina l‟onerosità ha carattere pecuniario di regola ad essere

impugnato è l‟atto con il quali l‟imprenditore ha alienato beni o diritti corrispondendo danaro: ad

esempio, verrà impugnata la vendita per recuperare alla garanzia patrimoniale il bene o diritto

uscito

dal patrimonio del debitore.

Nulla vieta, tuttavia, che vengano impugnati atti con i quali il fallito ha disposto del proprio danaro,

può essere impugnato l‟acquisto di un bene, per recuperare il danaro restituendo il bene acquistato a

prezzo eccessivo e non agevolmente collocabile sul mercato.

L‟art. 67 disciplina in modo differenziato gli atti a titolo oneroso in relazione al corrispettivo.

Se fra le prestazioni vi è squilibrio in danno del debitore poi fallito il carattere pregiudizievole

dell‟atto è maggiormente accentuato e l‟atto è revocabile se compiuto nell‟anno anteriore;

l‟anormalità dell‟atto fonda una presunzione legale di conoscenza dello stato di insolvenza e

incombe quindi al terzo l‟onere di provare l‟inscientia decoctionis. Se viceversa, tra le prestazioni

non vi è squilibrio in danno del fallito, l‟atto è revocabile se compiuto nei sei mesi anteriori e

incombe al curatore l‟onere della prova della scientia decoctionis. Prima della riforma per stabilire

in

quale misura lo squilibrio assumesse rilevanza per l‟applicazione della disciplina del 1° anziché del

2° comma, si faceva riferimento alla “notevole sproporzione. Per ovviare a disparità di valutazioni

si

è preferito utilizzare un parametro numerico “sorpassano di oltre un quarto”: Resta, comunque,

l0inognita dell‟accertamento del “giusto prezzo” ordinariamente affidato ad un consulente tecnico

d‟ufficio, accertamento che presenta spesso, in particolare per i beni che no hanno un ampio

mercato, margini di opinabilità.

Con riguardo alla sproporzione il problema che più frequente è stato sottoposto al vaglio della

giurisprudenza è quello della simulazione del prezzo. In particolare nelle vendite immobiliari spesso

il prezzo dichiarato e inferiore a quello realmente pattuito e corrisposto, perché l‟acquirente subisce

Page 30: Diritto Fallimentare Guglielmucci

la pretesa del venditore di ottenere parte del prezzo “in nero” o la recepisce di buon grado per il

minor onere fiscale a suo carico. E‟ evidente, in tal caso, l‟interesse dell‟acquirente convenuto in

revocatoria a far constare il prezzo realmente pattuito: al fine di escludere la revocabilità

fallimentare

della vendita, se stipulata nell‟anno ma non nel semestre anteriore , ovvero al fine di porre a carico

del curatore l‟onere della prova della scientia decoctionis se la vendita è stata stipulata nel semestre.

In un primo tempo si era esclusa l‟opponibilità della simulazione al fallimento. Poichè, peraltro, la

disciplina positiva della inopponibilità della simulazione è volta a tutelare che acquista dal titolare

apparente. la giurisprudenza è pervenuta alla conclusione che la simulazione del prezzo è

opponibile

al curatore, la simulazione del prezzo può essere provata solo documentalmente:

3) Segue : b) atti costitutivi di diritti di prelazione.

Gli atti costituiti di diritti di prelazione per debiti altrui se non contestuali sono inefficaci ex lege ai

sensi dell‟art. 64, se contestuali sono revocabili ex art. 67 , 2°comma.

Gli atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti propri non sono mai considerate atti a titolo

gratuito o sono, invece, solo revocabili: la contestualità o meno rileva per la qualificazione dell‟atto

non come oneroso o gratuito, ma come norma o anormale. La anormalità delle garanzie non

contestuali è evidente. Se è normale la costituzione di una garanzia all‟atto della concessione del

credito, non è normale che solo successivamente venga costituita una garanzia: La necessita,

avvertita dal creditore, di tutelarsi con una garanzia induce a ritenere che egli si sia reso conto della

sopravvenuta insolvenza del debitore e vale a fondare una presunzione legale di scientia

decoctionis:

La garanzia non contestuale può essere stata costituita alla scadenza dell‟obbligazione o

anteriormente. Nel primo caso la costituzione della garanzia da parte del debitore costituisce

sostanzialmente la contropartita della concessione di una dilazione da parte del creditore: l‟atto è

perciò valutato con minor rigore ed è revocabile se intervenuto nel semestre anteriore al fallimento.

Se l‟obbligazione non è ancora scaduta l‟atto è valutato con maggior rigore ed è revocabile se

intervenuto nell‟anno. La con testualità va intesa non in senso rigidamente cronologico, ma in senso

funzionale. Nella prassi vengono spesso escogitati espedienti per occultare la sostanziale non con

testualità della garanzia. Il caso più frequente è quello del mutuo ipotecario accordato per estinguere

esposizioni pregresse: trattasi di procedimento indiretto per sostituire esposizioni a breve con

esposizioni a medio o lungo termine e, quindi per attuare sostanzialmente una sostituzione

all‟obbligazione originaria di una nuova obbligazione diversa per titolo per attuare cioè una

novazione. Altro espediente è quello di costituire una garanzia contestualmente all‟aumento di fido.

Fra i diritti di prelazione il più importante è certamente l‟ipoteca, che può essere volontaria,

giudiziale o legale. l?ipoteca giudiziale costituita sulla base di una sentenza di condanna o piùà

spesso, di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo è necessariamente non contestuale e

relativa a debiti scaduti: menzionata al n. 4 del 1° comma dell‟art. 67

L‟ipoteca volontaria può essere non contestuale o contestuale. L‟ipoteca legale invece non è

revocabile.

I diritti di prelazione sono, come è noto, l‟ipoteca ( che può avere ad oggetto beni immobili o beni

mobili registrati) ed il pegno ( che può avere ad oggetto mobili o crediti) L‟art. 67, 1° comma,

menziona inoltre le anticresi (art.1960 c.c.), sulle quali non è il caso di soffermarsi, trattandosi di

istituto ormai pressoché scomparso nella pratica, Sembra, invece, opportuno ricordare che sono

configurabili anche garanzie atipiche, colte a destinare determinati diritti al soddisfacimento, in via

prioritaria, del creditore garantito: come alla cessione di credito ed il mandato in rem propriam

a fini di garanzia.

Benché non menzionate espressamente, a queste garanzie si deve ritenere applicabile la disciplina

preveduta dall‟art. 67 per gli atti costitutivi di diritti di prelazione; con conseguente differenziazione

della disciplina a seconda che siano volti a garantire debiti preesistenti o debiti contestualmente

creati.

Page 31: Diritto Fallimentare Guglielmucci

4) Segue: c) pagamenti

Ad essere revocabili sono tutti i pagamenti sia eseguiti spontaneamente che conseguito

coattivamente. La revoca dei pagamenti coattivi è conforme al sistema revocatorio fallimentare, nel

quale sono soggetti a revoca non tanto gli atti compiuti dal debitore, quanto gli atti che incidono sul

patrimonio e trova riscontro, nell‟espressa previsione della revocabilità dell‟ipoteca giudiziale.

Movendo dalla premessa che sono revocabili gli atti che incidono sul patrimonio del debitore deve

essere esclusa la revocabilità del pagamento del terzo.

Il patrimonio del debitore non subisce infatti variazioni. Il pagamento del terzo può riguardare

il patrimonio del debitore solo in due casi: a) se eseguito con danaro del fallito ed in tal caso

secondo la giurisprudenza è revocabile, indipendentemente dalla consapevolezza, da parte

dell‟accipiens , della provenienza del danaro dal patrimonio del debitore se il terzo, dopo aver

eseguito il pagamento, si sia rivalso per intero nei confronti del debitore prima del fallimento, ad

esempio compensando il credito con un suo debito verso l‟imprenditore poi fallito: ed anche in tal

caso, secondo la giurisprudenza, il pagamento è revocabile.

Vengono considerati revocabili anche i pagamenti contestuali, cioè i pagamenti eseguiti all‟atto di

ricevimento della controprestazione (pagamenti “mano contro mano”). La distinzione fra atti

normali

e anormali già considerato per gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di diritti di prelazione è

riproposta per i pagamenti. La conoscenza dello stato di insolvenza si presume ed il periodo

sospetto

legale è esteso all‟anno per gli “atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigilibi non effettuati con

danaro o con altri mezzi normali di pagamento”.

L‟onere di provare la scientia decoctionis incombe al curatore ed il periodo sospetto legale è

limitato

al semestre per i “ pagamenti di debiti liquidi ed esigibili”. Quest‟ultima disposizione si estende poi

ai pagamenti anticipati di debiti scaduti anteriormente al fallimento. Il tipico atto estintivo di debiti

con mezzi anormali è la datio insolutum. In giurisprudenza viene spesso considerata come dario

insolutium la restituzione al venditore di merce acquistata o non pagata.

In realtà la restituzione della merce si ricollega ad una risoluzione consensuale della vendita ed

occorre allora distinguere: se il motivo è l‟incapacità del compratore di pagare il prezzo ed il fine

perseguito è quello di estinguere il debito, l‟art. 67, 1° comma, può trovare applicazione per effetto

di una qualificazione dell‟atto di relazione al fine; se, invece, l‟accordo è intervenuto perché la

merce era viziata o non aveva le qualità promesse, la risoluzione consensuale non è uno strumento

per estinguere il debito al prezzo,. ma un normalissimo atto a titolo oneroso, revocabile ex art. 67,

comma.

Per la qualificazione del mezzo di pagamento come anormale non rileva quanto consegue il

creditore, ma il mezzo attraverso il quale lo consegue. vengono così considerati pagamento con

mezzi anormali quelli conseguiti con un mandato in rem propriam all‟incasso o con una cessione di

credito, di recente è poi stato considerato pagamento con mezzo anormale quello conseguito

attraverso l‟utilizzo di mutuo ipotecario accordato dal creditore. Sono mezzi normali quelli

considerati equivalenti dal danaro (assegni circolari, assegni bancari, bonifici, ecc) o comunemente

accettati nella pratica commerciale.

5) Atti fra coniugi

La disciplini preveduta dall‟art. 67 è derogata dagli atti compiuti fra coniugi secondo quando

dispone l‟art.69. sotto un duplice profilo:a) il periodo sospetto legale è abnormemente dilatato e si

estende all‟intero periodo in cui il coniuge esercitava l‟impresa; b) la conoscenza dello stato di

insolvenza è sempre presunta.

La norma non richiama, invece, l‟art. 64 relativa agli atti a titolo gratuito forse perché all‟epoca

della

sua emanazione vigeva l divieto di donazione fra coniugi.

Page 32: Diritto Fallimentare Guglielmucci

La corte costituzionale, con sent. 19 marzo 1993, numero 100, ha dichiarato l‟illegittimità della

norma dell‟art. 69 “nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di applicazione anche gli

atti

a titolo gratuito compiuti fra coniugi piùà di due anni prima della dichiarazione di fallimento. Ma

nel

tempo in cui il fallito esercitava un‟impresa commerciale”: Pertanto gli atti compiuti fra coniugi

oltre

al biennio anteriore al fallimento sono revocabili ex art. 69. ma il coniuge del fallito può difendersi

deducendo e provando la propria inscientia decoctionis .

6) Azione revocatori ordinaria.

L‟inefficacia ex lege e la revocabilità riguardano gli atti che pregiudicano la garanzia patrimoniale,

qualunque sia il tipo cui appartengono e anche se non compiuti dal debitore: ma soltanto se

risalgono

all‟anno o al semestre anteriore al fallimento.

Gli atti compiuti in precedenza possono essere impugnati con l‟azione revocatoria ordinaria, purchè

proposta nel termine quinquennale che decorre dalla data dell‟atto impugnato e comunque entro i

tre

anni dalla dichiarazione del fallimento ( art. 69 bis).

L‟ambito di applicazione della revocatoria ordinaria è più ristretto, potendo essere impugnati solo

gli

atti di disposizione compiuti dal debitore. Non sono quindi revocabili ex art. 2901 c.c.

a) gli atti dovuti che no possono essere considerati atti di disposizione: quindi l‟adempimento di un

debito scaduto, ma anche la stipulazione di un contratto definitivo inadempimento di un

preliminare.

Atto dovuto è l‟adempimento in senso tecnico ed è perciò revocabile la datio in solutum.

Si disputa se sia revocabile la costituzione di garanzia per debiti scaduti:

b) gli atti di amministrazione, che non possono essere considerati atti di disposizione: non è perciò

revocabile la locazione immobiliare, salvo che sia di lunga durata (viene infatti affermata la

revocabilità ex art. 2901 c.c. della locazione ultra novennale )

c) gli atti posti in essere da terzi ed incidenti sul patrimonio del debitore, che non sono, per

l‟appunto, “atti di disposizione compiuti dal debitore” : non sono quindi revocabili le ipoteche

giudiziali, gli atti di esercizio, di un diritto di prelazione o di opzione, ecc. L‟esercizio nel

fallimento

dell‟azione revocatoria ordinaria import una deviazione della disciplina prevista dall‟art. 29°1

ss.c.c.

sotto un duplice profilo quello della legittimazione e quello degli effetti.

Da un lato si sostiene che la garanzia è qualcosa di meno dell‟adempimento e quindi a fortiori non è

revocabile; dall‟altro che la costituzione della garanzia è frutto di una libera determinazione.

La legittimazione all‟esercizio dell‟azione revocatori ordinaria come all‟esercizio di ogni altra

“azione della massa” spetta al curatore. Se prima del fallimento è stata proposta da un creditore si

discute se il curatore possa sostituirsi a lui o debba promuovere ex novo l‟azione a tutela della

collettività dei creditori: sembra preferibile ritenere che il curatore debba promuovere

autonomamente l‟azione. La pronuncia di inefficacia nei confronti della collettività dei creditori

concorsuali è incompatibile con la disciplina preveduta dall‟art. 2902 c.c., in forza della quale il

soccombente in revocatoria “non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto

dell‟atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto”.

I presupposti dell‟azione sono invece disciplinati dall‟art. 2901 c.c. l‟art. 66, 1° comma, statuisce

che

“ il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci agli atti compiuti dal debitore in

pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”.

Il presupposto oggettivo è il pregiudizio o eventus damni il danno va inteso come insufficienza del

Page 33: Diritto Fallimentare Guglielmucci

residuo patrimonio del debitore a soddisfare i creditori. è richiesta la conoscenza del pregiudizio da

parte del debitore a differenza di quanto avviene nella revocatoria fallimentare, nella quale lo stato

soggettivo del debitore è irrilevante e da parte del terzo acquirente se la l‟acquisto è a titolo

oneroso;

se l‟acquisto è a titolo gratuito l‟acquirente di buona fede è sacrificato. Se viene impugnato un atto

del debitore non fallito e l‟atto di disposizione è anteriore al credito che si assume pregiudicato,

presupposto soggettivo non può essere la conoscenza del pregiudizio che non si è ancora verificato

ed è allora richiesta la dolosa preordinazione.

Se però l‟azione revocatoria viene esercitata nel fallimento e , quindi, secondo la giurisprudenza è

sufficiente la prova della conoscenza del pregiudizio e non è richiesta la prova della dolosa

preordinazione, ma della reintegrazione della garanzia patrimoniale si giovano in egual misura tutti

i

creditori sia anteriori che posteriori all‟atto revocato.

Questa interpretazione finisce con l‟accordare ad una categoria di creditori una tutela che fuori dal

fallimento non avrebbero potuto conseguire, con correlativa riduzione della tutela per l‟altra

categoria (quella dei creditori anteriori): che pertanto è maggiormente tutelata fuori del fallimento

che nel fallimento.

CAPITOLO STESTO

L’ATTUAZIONE COATTIVA DELLE PRETESE CREDITORIE E REALI E LA

REGOLAZIONE CONCORSUALE DEI CREDITI

1) Attuazione coattiva del credito: profili coglitori e profili esecutivi.

Il codice di procedura civile regola nel libro II il processo di cognizione e nel libro III il processo di

esecuzione; e nell‟esecuzione individuale la fase cognitoria precede, di regola, quella esecutiva.

l‟esecuzione può infatti, essere promossa soltanto sulla base di un titolo esecutivo e questo è, per lo

più costituita da una sentenza od altro provvedimento emanato nel processo di cognizione.

Tuttavia, anche dopo il promuovimento del cedimento esecutivo possono su di esso innestarsi fasi

congnitorie per la risoluzione di conflitti fra creditore e debitore, fra creditore e tersi e fra creditori

concorrenti. Il debitore può proporre opposizione all‟esecuzione quando contesta il diritto della

parte

istante procedere ad esecuzione forzata: Il terzo può proporre opposizione all‟esecuzione quando

vanti sui beni pignorati un diritto incompatibile con il loro assoggettamento ad esecuzione. I

creditori correnti, infine, possono sollevare controversie sulla distribuzione della somma ricavata

nell‟esecuzione.

Fasi cognitorie e fasi esecutive caratterizzano anche l‟esecuzione concorsuale, ma , rispetto

all‟esecuzione individuale, vanno sottolineate se seguenti differenze:

a) la fase cognitoria si inserisce necessariamente nell‟ambito del processo esecutivo concorsuale:

anche coloro il cui credito risulti da provvedimento giudiziale di condanna passato in giudicato

devono chiedere l‟ammissione a stato passivo e chiedere quindi l‟accertamento del loro diritto a

partecipare al riparto.

b) il fallito non è parte nel giudizio di accertamento dei crediti e le contestazioni sulla sussistenza e

sull‟ammontare dei crediti vengono vagliate nel contraddittorio con il curatore

c) l‟accertamento dei crediti viene svolto nei confronti dei creditori concorsuali, che in tale sede

possono proporre le contestazioni sulla sussistenza e l‟ammontare degli altri crediti e sulla

sussistenza di diritti di prelazione

d) il terzo che vanti su determinati beni un diritto incompatibile con il loro assoggettamento ed

esecuzione, deve far valere la sua pretesa nei confronti del curatore in una fase contestuale e

parallela a quella dell‟accertamento dei crediti

e) tute le fasi cognitorie sono soggette al rito speciale preveduto dagli artt. 93 ss.

2) Unitarietà dell’esecuzione concorsuale e divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive

individuali

Nei confronti del debitore non assoggettato a fallimento l‟esecuzione, si svolge attraverso

Page 34: Diritto Fallimentare Guglielmucci

procedimenti soggetti a differenti forme processuali ed attribuiti, a seconda dei casi , alla

competenza di giudici diversi: Nell‟esecuzione concorsuale l‟attuazione coattiva di tutte le pretese

si

svolge invece nell‟ambito dell‟unitario procedimento fallimentare e ad opera del organi preposti al

fallimento.

La concentrazione nell‟ambito del procedimento fallimentare dell‟attuazione coattiva di tutte le

pretese sta a fondamento del divieto, sancito dall‟art. 51, di iniziare o proseguire azioni esecutive

individuali. Il divieto riguarda le azioni esecutive sui beni compresi nel fallimento e si estende a

tutte

le azioni esecutive: da quelle per espropriazione, a quelle per esecuzione degli obbligh di far e di

non

fare e per esecuzione degli obblighi di consegna o rilascio.

Ne rimane, invece, esclusa la cosiddetta esecuzione in forma specifica dell‟obbligo di concludere un

contratto, preveduta dall‟art. 2932 c.c., che si svolge nelle forme dell‟ordinario giudizio di

cognizione: Nell‟ipotesi di maggio rilievo pratico, che è quella dell‟esecuzione in forma specifica

dell‟obbligo di concludere un contratto avente ad oggetto l‟alienazione o la costituzione di diritti

reali su beni immobili, il conflitto è risolto secondale regole sulla pubblicità immobiliare,

attribuendo la prevalenza al promissorio acquirente che abbia trascritto la domanda giudiziale

anteriormente al pignoramento.

Nel fallimento si affermava in giurisprudenza che, nonostante la trascrizione della domanda

giudiziale anteriormente al fallimento, la pretesa del promissorio acquirente potesse essere

paralizzata dall‟esercizio, da parte del curatore, della facoltà di sciogliersi dal contratto ex art.72; ,a

con una recente decisione le sezioni unite hanno ritenuto applicabile anche all‟esecuzione

concorsuale la stessa regola dettata per l‟esecuzione individuale.

La disputa sull‟estensibilità del divieto alle azioni cautelari è stata risolta con la riforma, che ha

espressamente sancito il divieto di azioni esecutive o cautelari: Nel contempo si è chiarito che il

divieto riguarda sia i crediti concorsuali che i crediti verso la massa, statuendosi che esseo vale

anche per i creiti maturati durante il fallimento.

IL divieto di azioni esecutive individuali importa l‟improcedibilità di quelle precedenti alla data del

fallimento. L‟azione esecutiva individuale viene assorbita nell‟esecuzione concorsuale e gli effetti

prodotti permangono a favore dei creditori concorsuali.

3) Deroghe al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali

Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali non è assoluto ed è, infatti, prevista

una

serie di deroghe. Occorre, però ricordare che il divieto è volto non tanto come pure spesso si

afferma, ad assicurare la par condicio creditorum – che infatti rimane salvaguardata, anche nei casi

in cui sono eccezionalmente consentite azioni esecutive individuali – quanto piuttosto a consentire

agli organi del fallimento di sceglier tempi e modi della liquidazione del patrimonio del debitore.

Il fondamento delle deroghe al divieto di azioni esecutive individuali va correlativamente

individuato nell‟intendimento di assicurare a determinare categorie di creditori il pronto realizzo di

beni sui quali essi vantano un diritto di prelazione.

Scendendo all‟esame deI casi in cui è consentito l‟esercizio di azioni esecutive individuali occorre

ricordare in primo luogo quello previsto dall‟art.53; i crediti garantiti da pegno o assistiti da

privilegio con diritto di ritenzione dopo l‟ammissione allo stato passivo possono essere realizzati

anche durante il fallimento: In questo caso l‟esercizio dell‟azione esecutiva individuale deve essere

autorizzato dal giudice delegato, chiamato nel contempo a determinarne le modalità a norma

dell‟art.

107, come si è avuto cura di precisare con il decreto correttivo: Il giudice delegato può quindi

negando l‟autorizzazione impedire l‟esercizio dell‟azione esecutiva individuale, quando contrasti

con le esigenze dell‟amministrazione fallimentare: deve, però, autorizzare il curatore a riprendere le

cose in possesso del creditore pignoratizio o privilegiato ed a pagare il creditore; oppure disporne la

Page 35: Diritto Fallimentare Guglielmucci

vendita immediata nel fallimento: Rimane così confermato che l‟interesse del creditore è quello al

pronto realizzo. L‟art. 41 della legge bancaria attribuisce, poi, il diritto di iniziare o proseguire

azioni

esecutive individuali sugli immobili ipotecati a garanzia di operazioni di credito fondiario: E‟ stata

riconosciuta costituzionalmente legittima.

La disciplina è in sintesi, la seguente: il curatore non può impedire l‟azione esecutiva: il creditore

no

ha diritto di ritenere le somme conseguite nell‟esecuzione individuale quando vi sia l‟esigenza di

soddisfare creditori aventi collocazione poziore anche se sui crediti ipotecari prevalgono solo quelli

assistiti da privilegio speciale sull‟immobile.

4) Regolazione concorsuale dei crediti.

Anche nel sistema dei procedimenti esecutivi individuali le pretese creditorie non pecuniarie sono

ordinariamente destinate ad essere soddisfatte in denaro. L‟esecuzione precede, tuttavia, la

quantificazione pecuniaria . Nel fallimento, essendo le pretese creditorie, destinate a rimanere

parzialmente insoddisfatte i crediti non pecuniari vanno sin dall‟origine quantificati in danaro e

ammessi a stato passivo secondo il loro valore (conversione in danaro dei crediti non pecuniari):

La regola non è espressamente enunciata, ma è presupposta dall‟art. 59, che fissa il momento cui va

riferita la quantificazione per i crediti non scaduti sia non pecuniari, sia aventiad oggetto una

prestazione di denaro.

L‟art. rr, 2° comma,anche i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del

concorso, alla data della dichiarazione di fallimento (scadenza anticipata dei crediti): Costituisce

applicazione del principio della decadenza dal beneficio del termine per insolvenza del debitore.

La partecipazione al concorso è, poi, preveduta non solo per i crediti non scaduti, ma anche per i

crediti condizionale, ai quali vengono equiparati “quelli che no possono farsi valere contro il fallito,

se non previa escussione di un obbligato principare”. Di questi crediti è prevista l‟ammissione al

passivo “con riserva”: con la conseguenza che le quote di riparto ad essi spettanti vengono loro

attribuite solo dopo il verificarsi della condizione, mentre durante la pendenza rimangono

accantonate.

L‟aspetto di maggior rilievo della regolazione concorsuale dei crediti è quello della sospensione,

agli

effetti del concorso, del decorso degli interessi sui cr4editi chirografari: i creditori chirografari

partecipano quindi al concorso per il capitale e gli interessi, convenzionali o legali, maturati sino

alla

data del fallimento. L‟affermazione che il computo degli interessi successivi sarebbe inutile, perché

i

creditori chirografari sono destinati ad essere solo parzialmente soddisfatti, non sembra costituire

una spiegazione sufficiente: non solo perché, sia pure eccezionalmente, nel fallimento i creditori

chirografi possono essere integralmente soddisfatti, quanto piuttosto perché, potendo gli interessi

essere legali o convenzionali, il computo degli interessi successivi implicherebbe all‟attribuzione di

quote di riparto maggiori o minori a seconda della loro misura: La sospensione del decorso degli

interessi sembra collegarsi piuttosto a quel principio di cristallizzazione del patrimonio del debitore

alla data del fallimento, del quale costituisce espressione, come si è già ricordato, la norma dell‟art.

59, che prevede, per i crediti non pecuniari non scaduti, l‟ammissione al concorso per il loro valore

alla data del fallimento:

Gli interessi continuano tuttavia a decorrere, anche agli effetti del concorso, sui crediti “garantiti da

ipoteca, da pegno o privilegio”. Sui crediti pignoratizi la prelazione si estendo agli interessi

convenzionali dell‟”anno in corso”

Unitamente al problema degli interessi è stato affrontato quello della rivalutazione: L‟ammissione al

concorso della rivalutazione è esclusa - per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento –

ove trattisi di debiti di valore. Questa regola era considerata applicabile anche ai crediti di lavoro:

La

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corte costituzionale tuttavia ha dichiarato costituzionalmente illegittima la normativa nella parte in

cui, per i crediti di lavoro è esclusa la rivalutazione, prevedendola, tuttavia, solo “sino al momento

in

cui lo stato passivo diviene definitivo”.

5)Regolazione concorsuale dei crediti solidali

Nel rapporto esterno con il creditore ciascuno dei coobbligati solidali”può essere costretto

all‟adempimento per la totalità”. Nel rapporto interno fra coobbligati, invece, l‟obbligazione può

gravare i cooblbligati nella stessa misura o in differente misura. Il ccobbligato che paga l‟intero – o

paga più della quota a suo carico – ha azione di regresso contro gli altri coobbligati, ma “soltanto

per

la parte di ciascuno di essi”:

Nel fallimento il rapporto esterno dei coobbligati con il creditore è regolato in conformità alla

disciplina generale, attribuendosi al creditore il diritto di concorrere nel fallimento di ciascuno di

quei coobbligati che sono falliti per l‟intero credito e sino al totale pagamento.

Il rapporto interno fra i coobbligati è, invece, influenzato dalle peculiarità della procedura

fallimentare: poiché si deve ritenere che l‟azione di regresso nasca con il pagamento, occorre perciò

distinguere il caso del pagamento , da parte del coobbligato del fallito, anteriore al fallimento, da

quello del pagamento successivo. In caso di pagamento parziale anteriore al fallimento, il creditore

è ammesso al concorso per il residuo ed il coobbligato che ha eseguito il pagamento ha diritto di

concorrere per la somma pagata. Si disputa se il coobbligato abbia diritto all‟ammissione a stato

passivo per l‟intera somma pagata o se solo nei limiti dell‟eccedenza rispetto alla quota che è a suo

carico. Poiché l‟art. 62, 2° comma,a statuisce che ha diritto di concorrere nel fallimento per la

somma pagata “il coobbligato che ha diritto di regresso”, sembra preferibile ritenere che il solvens,

possa insinuarsi solon nei limiti in cui ha azione di regresso:

In caso di pagamento parziale successivo al fallimento il regresso “ può essere esercitato solo dopo

che il creditore sia stato soddisfatto per l‟intero credito”. Questa regola è riferita testualmente al

regresso fra coobbligati falliti, ma è applicabile anche al regresso del coobbligato non fallito.

Il coobbligato concorre in ogni caso nel fallimento “per la somma per la quale ha ipoteca o pegno”:

6) Una deroga alla regolazione concorsuale dei crediti: la compensazione

Secondo quanto prevede l‟art. 1241 c.c. “quando due soggetti sono obbligati l‟uno verso l‟altro, i

due debiti si estinguono per la quantità corrispondente secondo le norme degli articoli che

seguono”:

Secondo la normativa civilistica la compensazione è legale se i crediti reciproci sono omogenei,

liquidi ed esigilibi; in tal caso opera ex lege, anche se dev‟essere eccepita; giudiziale se il credito

eccepito in compensazione non è liquido: in tal caso il giudice, effettata la liquidazione, dichiara la

compensazione, che opera quindi per effetto di pronuncia giudiziale; volontaria quando non

sussistono i presupposti per la compensazione legale o giudiziale e, tuttavia, le parti si accordato per

la compensazione.

Se prima del fallimento si sono verificati i presupposti della compensazione legale essendosi il

credito verso il fallito anteriormente estinto ex lege per compensazione, non è configurabile alcuna

deroga alla regolazione concorsuale dei crediti; che riguarda i crediti ancora esistenti alla data del

fallimento.

Se, viceversa, alla data del fallimento non sussistono i presupposti per la compensazione legale ed il

credito verso il fallito è ancora esistente, la compensazione – se ammessa –ò comporta invece una

deroga alla regolazione concorsuale dei crediti.

La legge fallimentare – statuendo che “ i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso

il

fallito i crediti che si vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di

fallimento”, si limita a considerare il caso in cui manchi uno dei presupposti della compensazione

legate: l‟esigibilità del credito verso il fallito.

Page 37: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Se però alla data del fallimento il crdito del fallito non è scaduto, il problema della compensazione

si

pone , tuttavia, quando, scaduto il credito, il curatore ne reclama il pagamento: Movendo dalla

premessa dell‟equiparazione del fallimento al pignoramento, la possibilità per la parte in bonis di

eccepire la compensazione è sembrata però in contrasto con la norma dell‟art.2917, in forza della

quale “se oggetto del pignoramento è un credito, l‟estinzione di esso per causa verificatasi in epoca

successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che

intervengono nell‟esecuzione”: il sopravvenire dei presupposti della compensazione legale dopo il

fallimento non potrebbe essere invocato

Sul punto sono di recente intervenute le sezioni unite della corte di cassazione, affermando che il

riferimento alla “causa”, contenuto nell‟art.2917 c.c. “ben si presta ad essere inteso come

iriferimento al momento genetico, onde per la compensazione bisogna avere riguardo alla radice

causale del credito opposto ai fini compensativi, con la conseguenza che, se tale radice è anteriore al

pignoramento, la compensazione medesima non trova ostacolo nella norma in esame”:

Secondo questa impostazione rilegante è soltanto l‟anteriorità al fallimento della radice causale del

credito e non ostano alla compensazione né la circostanza che alla data del fallimento il credito del

fallito non sia ancora esigibile, né la circostanza che alla data del fallimento difetti il requisito della

liquidità:

Questa conclusione appare però dubbia alla luce di quanto dispone il 2° comma (“per i crediti non

scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra

vivi

dopo al dichiarazione di fallimento o nell‟anno anteriore”)

Va rilevato che la norma del 2°comma dell‟art. 56 l:fall., come si legge nella Relazione del

Guardasigilli, è volta ad “evitare possibili abusi”.

7) Crediti non concorsuali: crediti verso il fallito e crediti verso la massa.

Poichè il fallito è privato del potere di disposizione dalla data della dichiarazione di fallimento non

soltanto non può disporre efficacemente dei beni e diritti compresi nel fallimento, ma non può

nemmeno vincolare il patrimonio separato fallimentare al soddisfacimento di debiti derivanti da atti

da lui compiuti: Non sono quindi ammissibili al concorso e sono confinati nel patrimonio personale

del fallito i debiti che derivano da atti successivi di qualunque tipo, siano essi atti negoziali, altri atti

leciti od anche atti illeciti. Così se il fallito cagiona ad altri un danno ingiusto, il debito che ne

deriva

rimane personale al fallito e potrà essere fatto valere sul patrimonio del fallito dopo il ritorno in

bonis o eventualmente, sui beni non compresi nel fallimento.

Non sempre, tuttavia, anche i crediti anteriori sono ammissibili al concorso; Così se il credito risulta

da documento privo di data erta o da titolo inefficace o revocabile nonostante l‟anteriorità il credito

è

escluso dal concorso e il debito relativo è compreso nel patrimonio personale del fallito. Sono, poi,

di regola esclusi dal concorso i crediti che, pur derivando da titolo anteriore, maturano tuttavia dopo

il fallimento.

Nel patrimonio personale del fallito sono dunque compresi beni e diritti e sono compresi anche i

debiti.

Poiché con il fallimento il potere di disposizione è attribuito agli organi preposti al fallimento e , in

particolare, al curatore che è l‟organo esterno della procedura, i debiti successivi vanno soddisfatti

nel fallimento se derivano da atti del curatore, siano essi atti negoziali od atti illeciti.

Questi debiti – comunemente denominati debiti della massa – non sono però concorsuali e vanno

soddisfatti in prededuzione cioè con precedenza rispetto ai debiti anteriori ammessi al concorso.

CAPITOLO SETTIMO

IL PROCEDIMENTO FALLIMENTARE Sezione I

ACCERTAMENTO DELLO STATO PASSIVO E DEI DIRITTI REALI E PERSONALI DI

Page 38: Diritto Fallimentare Guglielmucci

TERZI

1) Le operazioni preliminari e la previsione di insufficiente realizzo

Il procedimento fallimentare si articola in tre fasi:

1) accertamento dello stato passivo e dei diritti reali e personali di terzi;

2) liquidazione dell‟attivo.

La prima fase ha una duplice funzione, quella di verificare, sotto il controllo della collettività dei

creditori:

a) il diritto dell‟attuazione coattiva delle pretese creditorie attraverso la partecipazione alla

ripartizione del ricavato della liquidazione dell‟attivo e delle pretese alla consegna di beni monili o

al rilascio di beni immobili.

Quando non vi sono prospettive di realizza un attivo “da distribuire ad alcuno dei creditori che

abbiano chiesto l‟ammissione al passivo” è previsto che, su istanza del creditore, il tribunale

disponga “non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo relativamente ai crediti

concorsuali” La riserva “salva la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese di procedura”

significa che la procedura tuttavia prosegue; ed infatti la chiusura del fallimento per mancanza di

attivo è prevista quando non vi è la possibilità di soddisfare, neppure in parte, “i creditori

concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura”(art. 118, 1° comma, n. 4).

Il decreto di “non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo relativamente ai crediti

concorsuali”non elimina perciò nemmeno la fase di verifica dei crediti in presenza di crediti

prededucibili soggetti a verifica

b) il diritto all‟esclusione dal patrimonio fallimentare di determinati beni mobili rinvenuti in luoghi

appartenenti al fallito o immobili dei quali figuri titolare.

Quando si deve procedere all‟accertamento del passivo i creditori concorsuali hanno l‟onere di

presentare domanda e lo stesso onere incombe ai titolari di diritti reali o personali . Il termine per la

presentazione delle domande e la data dell‟udienza di verifica risultano dalla sentenza di fallimento

che con l‟annotazione nel registro delle imprese, è legalmente nota a tutti.

E‟ preveduto tuttavia uno strumento integrativo di questa forma di pubblicità, volto a favorire la

tempestiva presentazione delle domande:l‟avviso che va indirizzato individualmente ai creditori ed

ai titoli di diritti reali e personali . A tal fine il curatore deve compilare, “in base alle scritture

contabili e delle altre notizie che può raccoglier”, l‟elenco dei creditori con l‟indicazione dei

rispettivi crediti e diritti di prelazione e l‟elenco di coloro che vantano diritti reali e personali,

mobiliari o immobiliari, su cose in possesso o nella dispoinilità del fallito.

Dopo ver compilato gli elenchi e averli depositati in cancelleria il curatore deve dare avviso ai

creditori ed ai titolari di diritti reali e personali della data dell‟udienza e del termine entro il quale

vanno presentate le domande.

Con la riforma, si è statuito che l‟avviso deve contenere “ogni utili informazione per agevolare la

presentazione della domanda”:

2) La domanda

La domanda di ammissione di un credito allo stato passivo quella di restituzione o rivendicazione di

beni mobili e immobili vanno presentate nella foerma del ricorso al giudice delegato. Possono

essere

sottoscritte personalmente dalla parte senza necessità del patrocinio di un difensore.

Ad ovviare all‟inconveniente della presentazione di domande all‟ulitmo momento che rendeva non

agevole la verifica (prila della riforma le domande potevano essere presentate sino alla data

dell‟udienza), si è statuito che vanno presentate nel termine perentorio di trenta giorni prima

dell‟udienza considerandosi tardive quelle presentate successivamente.

La struttura e gli effetti della domanda giudiziale deve contenere l‟indicazione della procedura cui

intende partecipare, le generalità del ricorrente, il petitum (per la domanda di ammissione a stato

passivo) , la causa pretendi (“succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che

costituiscono la ragione della domanda”)

La domanda di ammissione essendo volta a regolare il concorso dei creditori, deve contenere altresì

Page 39: Diritto Fallimentare Guglielmucci

l‟indicazione dell‟eventuale titolo di prelazione.

La mancanza o assoluta incertezza degli elementi essenziali della domanda, che nel procedimento

ordinario ne determina la nullità, emendabile in caso di vizio della editio actionis con la

rinnovazione o l‟integrazione determina l‟inammissibilità della domanda.

Il giudizio di verificazione è essenzialmente documentale e perciò è richiesta non l‟indicazione dei

mezzi di prova come nel giudizio ordinario ma dei documenti dimostrativi. L‟indicazione peraltro

non è prescritta a pena di inammissibilità, essendo preveduta anche la possibilità di presentare

documenti integrativi fino all‟udienza.

3) La verificazione: a) le parti e il ruolo del giudice delegato

L‟accertamento dei crediti e dei diritti di restituzione e rivendicazione di beni in possesso o nella

disponibilità del fallito vede contrapposti e potenzialmente confliggenti l‟interesse del ricorrente e

quello della collettività dei creditori concorsuali. Quando non sussistono i presupposti per il

riconoscimento di un credito o di una prelazione – ad esempio per non essere il credito certamente

anteriore al fallimento o per essere il credito o la prelazione fondati su titolo revocabile –

l‟attribuzione del diritto di partecipare al riparto pregiudica i creditori concorrenti che vedono

ridotte

le prospettive di soddisfacimento del loro credito, quando non sussistono i presupposti per

l‟esclusione dal patrimonio fallimentare di un bene in possesso o nella disponibilità del fallito.

L‟accoglimento della domanda di restituzione o di rivendicazione parimenti pregiudica i creditori

concorrenti, che vedono sottratto un bene la cui liquidazione è destinata al loro soddisfacimento.

Nel sistema previdente la tutela di questo interesse – che non è individuale, ma della collettività dei

creditori – era affidata al giudice delegato. Non era strutturata come procedimento in contraddittorio

fra i singoli ricorrenti e l‟organo rappresentativo dell‟interesse della collettività dei creditori cioè il

curatore, cui veniva attribuito non il ruolo di parte ma di semplice ausiliario del giudice; né un ruolo

formale di parte veniva riconosciuto ai creditori concorrenti. Il giudice delegato poteva ammettere i

crediti nei limiti della domanda perché chiamato unicamente a verificare che quanto richiesto dal

singoli ricorrenti fosse compatibile con l‟interesse della collettività dei creditori. Ma nell‟interesse

di

questa collettività era chiamato a rilevare d‟ufficio quei fatti modificativi, impeditivi ed estintivi che

ordinario procedimento possono essere rilevati solo su eccezione di parte.

L‟attribuzione di questo ruolo al giudice delegato si giustificava sotto un profilo sostanziale in

considerazione del possesso, da parte sua, di cognizioni tecnico- giuridiche delle quali il curatore è

spesso sprovvisto. Sotto un profilo formale, poi, l‟attribuzione di poteri officiosi, in quanto poteva

essere considerata compatibile con il principio di terzietà del giudice, soprattutto se fosse

considerata

la fase di verificazione come volta non a risolvere, ma a prevenire controversie sulla ripartizione

dell‟attivo.

Il carattere “nettamente giurisdizionale” della fase di verificazione – affermata già nella Relazione

del Guardasigilli alla legge del 1942 e- ha indotto il legislatore del 2006 ad attribuire al curatore il

ruolo di parte ed a sottolineare la terzietà del giudice delegato, che è ora chiamato a statuire sulle

domande presentate dai creditori e dai titolari di diritti reali e personali nei limiti delle conclusioni

formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quello rilevabili d‟ufficio ed a quelle

formulate dagli altri interessati: Il giudice delegato non può quindi rilevare d‟ufficio fatti

modificativi, impeditivi ed estintivi; può farlo soltanto se il curatore od un creditore concorrente lo

ecce4pisce. La fase di verificazione è quindi strutturata come procedimento contenzioso, sia pure di

carattere sommario, avanti ad un giudice terzo ed imparziale, nel quale assumono il ruolo di parte

da

un lato i singoli ricorrenti, dall‟altro il curatore ed i creditori concorrenti, non invece al fallito che

può soltanto chiedere di essere sentito.

La scelta legislativa, se da un lato rende più gravoso il compito del curatore, non vale nemmeno ad

eliminare del tutto la contaminazione fra attribuzioni di giurisdizione contenziosa e ruolo di organo

Page 40: Diritto Fallimentare Guglielmucci

del fallimento che continua ad essere riservato al giudice delegato.

4) Segue: b)il procedimento

La verificazione si svolge in un‟udienza alla quale possono partecipare tutti i creditori concorsuali,

che hanno diritto di interloquire su tutte le domande, sia di ammissione a stato passivo, che di

restituzione e rivendicazione di beni.

Per meglio assicurare l‟esercizio del diritto alla difesa nell‟ambito di questo procedimento con

pluralità di parti caratterizzato dalla sommarietà, è preveduta la formazione, da parte del curatore, di

un progetto ed il suo deposito in cancelleria almeno quindici giorni prima dell‟udienza e la facoltà

degli interessati, ivi compreso il fallito, di presentare osservazioni scritte e documenti integrativi

fino

all‟udienza.

La redazione del progetto suppone l‟esame da parte del curatore, di ciascuna domanda e la

formulazione su ciascuna di esser delle “sue motivate conclusioni”, eccependo “i fatti estintivi,

modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l‟inefficacia del titolo su cui sono fondati il

credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione” Tuttavia poiché ai creditori è

riconosciuto sino all‟udienza il diritto di presentare documenti integrativi, risulta chiaro “che il

contraddittori si cristallizzerà soltanto all‟udienza e che in quella sede il curatore avrà la possibilità

di prendere definitivamente posizione sulla domanda di cui sia stata integrata la documentazione

probatoria”:

Si deve altresì ritenere che in ogni caso il curatore possa, sino all‟udienza, modificare le conclusioni

precedenza formulate.

Il carattere essenzialmente documentale della fase di verifica già prima della riforma era

compatibile

con l‟assunzione di sommarie informazioni. Nell‟art. 95 novellato, al 3° comma, è ora

espressamente previsto che il giudice delegato “può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle

parti compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento”. Per la richiesta di atti di

istruzione non sono preveduti termini di decadenza e, deve ritenersene l‟ammissibilità nelle

osservazioni al progetto ed anche all‟udienza. Il riferimento alla comparibilità con le esigenze di

speditezza del procedimento deve ritenersi non consenta non soltanto l‟assunzione di prove di lunga

indagine, ma anche la formale assunzione di prova testimoniale secondale regole previste per il

procedimento ordinario , e consenta invece l‟audizione di persone informate dei fatti nella forma

delle sommarie informazioni.

Dopo il peraltro solo eventuale compimento di atti di istruzione il giudice delegato decide su

ciascuna domanda “nei limiti delle conclusioni formulate e d avuto riguardo alle eccezioni del

curatore, a quelle rilevabilid‟ufficio ed a quelle formulate d altri interessati”

5) Segue: c) la prova del credito e della prelazione e l‟opponibilità dell‟accertamento giudiziale

anteriore al fallimento

occorre soffermare l‟attenzione sulla prova del credito e della prelazione:

L‟accertamento dello stato passivo è volto a regolare il diritto dei singoli creditori di partecipare al

riparto e quindi a risolvere un conflitto di interessi, fra i singoli creditori e la collettività dei

creditori.

Poiché il diritto di partecipare a riparto spetta soltanto ai creditori anteriori al fallimento, se il

credito

è fondato su prova scritta la data della scrittura deve essere certa e computabili nei riguardi dei terzi

secondale regole stabilite dall‟art. 2704 c.c.

Le sezioni unite della corte di cassazione hanno riaffermato il principio della necessità della data

certa

Hanno data certa gli atti pubblici e le scritture private autenticate. La data delle scritture private non

autenticate è certa, secondo quanto dispone l‟art. 2704 c.c., dal giorno della registrazione (presso

l‟ufficio atti civili dell‟amministrazione finanziaria dello Stato, al quale determinati atti vanno

presentati per il pagamento dell‟imposta di registro), dal giorno in cui il contenuto della scrittura è

Page 41: Diritto Fallimentare Guglielmucci

riprodotto in atti pubblici, da quello della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica del

sottoscrittore da quello “in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo

l‟anteriorità della formazione del documento”.

Per la prova del credito, peraltro, non sempre è necessaria la scrittura. Se la scrittura non è richiesta

ad substantiam (ad esempio cambiale) o ad probationem (ad esempio transazione), la prova può

essere data ordinariamente con uno qualunque dei mezzi di prova previsti negli artt. 2699 ss. c.c..

Tuttavia non sono ammissibili i mezzi di prova che suppongono la capacità di disporre

(confessione,

giuramento) ed il carattere sommario della fase di verificazione limita l‟espletamento in questa fase

di atti di istruzione. Il giudice delegato può, peraltro, trarre elementi di convincimento dalle

dichiarazioni del fallito, dagli accertamenti svolti al curatore e da informazioni acquisite presso

terzi.

Il credito può essere stato accertato giudizialmente già prima della dichiarazione di fallimento e in

tal caso si pone il problema non più dell‟anteriorità del credito al fallimento, la dell‟idoneità

dell‟accertamento giudiziale a fondare il diritto di partecipare al riparto. Occorre, allora ,

distinguere:

1. Se il credito risulta da una sentenza o un decreto ingiuntivo passati in giudicato è comunque

necessario il suo assoggettamento a verifica in sede concorsuale: Infatti il giudicato riguarda il

rapporto creditore/debitore e copre il debito e il deducibile, come ad esempio, la nullità,

annullabilità, ecc.

Riguarda, invece, il rapporto creditore/creditori concorrenti e non copre ciò che nel giudizio fra

creditore e debitore non poteva essere dedotto, cioè l‟inefficacia del titolo nei confronti dei creditori

ex art. 64 o la sua revocabilità.

La verifica è, poi necessaria, se la condanna da ad oggetto un credito non pecuniario, per la

necessità

di conversione, ai fini del concorso, dei crediti non pecuniari in crediti pecuniari.

2. Se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato il credito va ammesso o il diritto va

riconosciuto a meno che il curatore non proponga o prosegua il giudizio di impugnazione

L‟accertamento del credito viene assoggettato al rito in esito al quale è stata emanata la sentenza:

dovrà quindi, essere proposto o proseguito il giudizio di appello o, ove sia già intervenuta una

decisione in grado di appello, dovrà essere proposto o proseguito il giudiziosi cassazione .

Dal principio dell‟attrazione al rito ordinario delle fasi di impugnazione della sentenza emanata

prima del fallimento, discende che:

- è necessaria l‟impugnazione anche della sentenza di condanna generica, ma venga in discussione

soltanto in quantum

- se la sentenza è favorevole al debitore dichiarato fallito, il creditore che intende contestarla è

tenuto

anch‟egli a proporre impugnazione

3. Se il credito risulta da decreto ingiuntivo contro il quale sia stata proposta opposizione ancora

non

definita con sentenza, non essendo ancora intervenuta una decisione, il curatore non ha l‟onere di

proporre o proseguire il giudizio di opposizione ad ingiunzione.

6) Segue: d) le statuizioni del giudice delegato

le statuizione del giudice delegato possono essere di:

1. inammissibilità della domanda: in tal caso la domanda può essere riproposta

2. ammissione, esclusione totale o parziale del credito o della prelazione, ammissione con riserva:

in

tal caso la statuizione acquisisce carattere di definitività se conviene impugnata nei termini e nelle

forme prevedute dall‟art. 98.

L‟ammissione e l‟esclusione riguardano il credito e, ove richiesta, la prelazione,: In proposito va

rilevato che l‟accertamento della prelazione, anche quando ha ad oggetto beni determinati, implica

Page 42: Diritto Fallimentare Guglielmucci

soltanto la verifica del titolo della prelazione, non anche della esistenza dei beni nel patrimonio

fallimentare.

Le statuizioni del giudice delegato, oltre che di ammissione ed esclusione, possono essere di

ammissione con riserva, Le ammissioni con riserva vanno disposte:

1. per i crediti condizionali e quelli che non possono essere fatti valere se non previa escussione di

un obbligato principale

2. per i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al

creditore:

con il decreto correttivo, è stata riconosciuta la possibilità di presentare documenti integrativi fino

all‟udienza ; se però la produzione non è possibile nemmeno all‟udienza per fatto non imputabile al

creditore va disposta l‟ammissione con riserva di produzione.

3. per i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale con sentenza non passata in

giudicato per il quali l‟accertamento prosegua in sede extraconcorsuale avanti al giudice

dell‟impugnazione competente secondo le regole ordinari.

Prima della riforma la pendenza di accertamento in sede extraconcorsuale giustificava soltanto

l‟ammissione con riserva dei crediti di imposta esigibili mediante ruolo per i quali pende ricorso

avanti alle commissioni tributarie, mentre per i crediti accertati con sentenza non passata in

giudicato

era previsto soltanto che “è necessaria „impugnazione se non si vuole ammettere il credito”.

Poichè l‟ammissione a stato passivo si sostanzia nel riconoscimento del diritto al riparto

fallimentare, il creditore non può vedersi attribuire le quote di riparto se non sia stato

definitivamente

ammesso. Tuttavia, poiché l‟ammissione con riserva implica una valutazione positiva sul credito, a

favore del creditore ammesso con riserva è preveduto l‟accantonamento delle quote che gli

spetterebbero all‟atto delle ripartizione dell‟attivo. La funzione dell‟ammissione con riserva, è,

quindi, quella in senso lato cautelare di riservare al creditore, attraverso gli accantonamenti, le quote

che gli saranno dovute se a quando la riserva sarà positivamente sciolta.

Le modalità dei scioglimento della riserva prima della riforma erano controverse: Secondo la

giurisprudenza quando il fatto dal quale dipende lo scioglimento della riserva si doveva considerare

indipendente dalla volontà del creditore (avveramento della condizione) o, comunque , legato ad

un‟attività che non può essere svolta in sede di verifica, era pacifico che la riserva potese essere

sciolta, dopo il verificarsi del fatto che l consente, senza necessità per il creditore di proporre

opposizione a stato passivo. Si disputava soltanto se lo scioglimento della riserva dovesse essere

disposto nelle forme della dichiarazione tardiva di credito o in sede di ripartizione dell‟attivo o,

ancora, con provvedimento del giudice delegato.

Con la riforma è stato espressane disciplinato lo scioglimento della riserva, statuendosi che “quando

si verifica l‟evento che ha determinato l‟accoglimento di una domanda con riserva, su istanza del

curatore o della parte interessata, il giudice delegato modifica lo stato passivo con decreto,

disponendo che deve intendersi accolta definitivamente”.

Poiché le quote accantonate a favore dei creditori ammessi con riserva, in caso contrario, vanno

liberate a favore degli altri creditori, la citata norma dell‟art. 113 bis va intesa nel senso che il

giudice delegato quando la verificazione dell‟evento si deve considerare definitivamente conclusa

(mancamento della condizione) debba disporre che l‟ammissione deve intendersi definitivamente e

esclusa e svincolate a favore degli altri creditori le quote accantonate.

Con decreto del giudice delegato, che si dovrà considerare impugnali ex art. 26 dai creditori

concorrenti in caso di scioglimento della riserva a favore del creditore ammesso o da quest‟ultimo

in

caso di provvedimento con il quale viene escluso definitivamente: non è chiarito se detta modalità

debba trovare applicazione per qualunque tipo di riserva, invece, come affermava la giurisprudenza

prima della riforma, solo per quella il cui scioglimento fosse indipendente dalla volontà del

creditore

Page 43: Diritto Fallimentare Guglielmucci

altrimenti impugnare la statuizione con opposizione a stato passivo. Posto che la norma dell‟art. 113

bis, nel disciplinare lo scioglimento della riserva, non distingue fra riserva dell‟uno o dell‟altro tipo

.

Si deve ritenere si sia voluto disciplinare allo stesso modo lo scioglimento delle riserve di

qualunque

tipo.

7. Segue: e) il decreto di esecutività dello stato passivo e l’efficacia delle statuizioni in sede di

verifica e di impugnazione.

Esaurite le operazioni dell‟adunanza dei creditori il giudice delegato forma lo stato passivo e lo

rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria. Il giudice delegato non può più come in

precedenza, riservarsi la definitiva formazione dello stato passivo fino a quindici giorni dopo che

l‟adunanza dei creditori ha esaurito le sue operazione e deve, invece, provvedere in chiusura

dell‟adunanza – come si precisa nella Relazione – “anche al fine di consentire ai creditori ammessi

di procedere alle operazioni di voto per la richiesta di sostituzione del curatore o del comitato dei

creditori.

Il decreto del giudice delegato è un provvedimento di giurisdizione contenziosa emanato nel

contraddittorio delle parti interessate, quindi le statuizioni in esso contenute, se non impugnate ai

sensi dell‟art. 98, contengono l‟accertamento definitivo del diritto di partecipare al riparto ed

acquisiscono autorità di cosa giudicata: Il giudicato copre il dedotto ed il deducile: perciò

l‟ammissione del credito preclude ogni azione diretta a contestare il credito da cui esso deriva.

Oggetto dell‟accertamento è però il diritto di partecipare al riparto, rispetto al quale l‟accertamento

del credito costituisce oggetto di cognitio incidenter tantum. Perciò le statuizioni assumono

carattere

di definitività, efficacia di giudicato endofallimentare, lasciando aperta la possibilità, di reclamare

dopo la chiusura del fallimento il pagamento di un credito escluso dallo stato passivo.

Questa efficacia di “giudicato endofallimentare” è ora espressamente riconosciuta dall‟art. 96, non

solo per le statuizioni contenute nel decreto di esecutività dello stato passivo, bensì anche “per le

decisioni assunte dal tribunale all‟esito dei giudizi di cui all‟artt. 99” cioè di opposizione e

impugnazione.

8. Le impugnazioni: a) i tipi di impugnazioni.

Contro le statuizioni del giudice delegato possono essere proposte le stesse impugnazioni previste in

precedenza, cioè le impugnazioni ordinarie di opposizione contro i provvedimento di mancato

accoglimento e di impugnazione dei provvedimenti di accoglimento e l‟impugnazione straordinaria

di revocazione.

Le impugnazioni possono riguardare sia le statuizioni sui crediti, sia quelle sui diritti reali e

personali, ma queste ultime possono ora riguardare anche beni immobili.

L‟opposizione può essere proposta dl creditore o dal titolare di diritti su beni mobili o immobili che

contesti il mancato accoglimento, in tutto o in parte, della propria domanda, proposta nei confronti

del curatore che rappresenta l‟interesse della collettività dei creditori. A differenza di quanto

previsto

in precedenza non è più contemplata l‟opposizione dei creditori ammessi con riserva, con la

conseguenza che, in caso di ammissione con riserva, il creditore può proporre opposizione solo se

abbia richiesto l‟ammissione e lamenti l‟accoglimento parziale della sua domanda per effetto

dell‟apposizione della riserva; mentre se non contesta l‟apposizione della riserva non dovrà, ne‟

potrà proporre opposizione e dovrà chiedere lo scioglimento della riserva nelle forme previste

dall‟art. 113 bis.

L‟impugnazione, secondo quanto statuisce l‟art. 98, 3°comma, può essere proposta dal curatore e

dal

creditore o, ancora, dal titolare di diritti su beni mobili o immobile, i quali contestino “che la

domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta”.; e va proposta nei confronti del

creditore concorrente la cui domanda è stata accolta, ma al giudizio partecipa anche il curatore .

Page 44: Diritto Fallimentare Guglielmucci

In realtà deve riconoscersi ai creditori la legittimazione a proporre l‟impugnazione anche nei

confronti di chi si sia visto accogliere una domanda volta ad escludere dal patrimonio fallimentare

beni in possesso o nella disponibilità del fallito; la legittimazione in questo caso va, ovviamente,

riconosciuta anche dal curatore.

La principale novità della riforma è sostituita dal riconoscimento della legittimazione

all‟impugnazione anche al curatore, coerente con l‟attribuzione allo stesso della veste di parte e non

più di semplice ausiliario del giudice.

La revocazione può essere richiesta dal curatore e dal titolare di diritti su beni monili o immobili

quando sono decorsi i termini per l‟opposizione o l‟impugnazione contro i provvedimenti di

accoglimento ma ora anche contro i provvedimenti di rigetto. Trattasi di uno strumento

straordinario,

corrispondente a quello della revocazione delle sentenza disciplinato dal codice di procedura civile.

I motivi di revocazione sono:

a) la falsità: va riferita alle prove e può concernere sia la prova documentale, sia quella testimoniale

b)il dolo: come quello preveduto dall‟art.395, ingannando così gli organi fallimentari con danno

della massa dei creditori

c) l‟errore esenziale i fatto: la nozione di errore è la stessa che è considerata dall‟art. 395, n. 4 ,

c.p.c.

e si configura come “falsa percezione materiale, la quale abbia indotto il giudice a ritenere la

sussistenza di un fatto che non esiste o la inesistenza di un fatto” ma “ a differenza di quanto

previsto

dall‟art.395, n.4, c.p.c. , non deve necessariamente risultare dagli atti e documenti della causa”

d9 la mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per

causa non imputabile.

9) Segue: b) il procedimento

Secondo la normativa previdente il decreto di esecutorietà emanato dal giudice delegato, avuto

riguardo al carattere sommario ed all‟assenza di una disciplina del contraddittorio, veniva assimilato

al decreto ingiuntivo ed opposizione e impugnazione si articolavano in tre gradi di giudizio che si

svolgevano secondo le regole del procedimento contenzioso ordinario. Ne derivava una dilazione

dei

tempi di definizione delle controversie, che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità a

considerare compatibile la chiusura del fallimento con la pendenza di giudizi di opposizione a stato

passivo. Con la riforma, del quadro delle generali finalità acceleratorie perseguite:

a)regolato il contraddittorio , il diritto della prova nella fase di verifica avanti al giudice delegato,

opposizione ed impugnazione sono state configurate come giudizi si secondo grado;

b) come per tutte le controversie endofallimentari è stato adottato il modello camerale, utilizzabile

anche per la definizione di controversie su diritti soggettivi.

Il procedimento è disciplinato allo stesso modo nei suoi tratti essenziali qualunque sia il tipo di

impugnazione proposto, Il termine per proporre impugnazione, che è stato fissato in 30 giorni ,

decorre per le impugnazioni ordinarie dalla comunicazione che il curatore deve inviare ai sensi

dell‟art.97 a tutti i creditori e per l‟impugnazione straordinaria dalla scoperta del fatto o del

documento.

Il contraddittorio si instaura tuttavia in modo diverso a seconda che ad essere impugnata sia una

statuizione di rigetto o di accoglimento.

Nel primo caso l‟opposizione alla statuizione del giudice delegato va proposta nei confronti del

curatore. L‟inammissibilità della proposizione di nuove eccezioni nella fase di gravame, costituente

un principio del nostro sistema processuale, implica l‟esclusione della possibilità di far valere in via

d‟eccezione ragioni di infondatezza della pretesa dell‟opponente diverse da quelle rilevate nella

precedente fase. Poiché, peraltro, il curatore assume il ruolo di contraddittore necessario nella

qualità

di portatore dell‟interesse della collettività dei creditori, ma non è precluso ai singoli creditori

Page 45: Diritto Fallimentare Guglielmucci

concorrenti di tutelare direttamente il loro interesse opponendosi all‟ammissione di coloro che

vantano pretese creditorie o pretese all‟esclusione di determinati beni dal patrimonio fallimentare, si

deve ritenere che attraverso l‟intervento nel giudizio di opposizione preveduto dall‟art. 9, 7°

comma,

possano sollevare eccezioni precluse col curatore.

L‟unica preclusione per essi è quella dell‟inosservanza del termine di almeno 10 giorni prima

dell‟udienza per sollevare con la memoria di intervento le eccezioni processuali e di merito no

rilevabili d‟ufficio.

Se l‟opposizione è proposta contro un provvedimento di rigetto parziale il curatore nei limiti delle

conclusioni formulate nella fase di verifica avanti al giudice delegato e in ogni caso i creditori

concorrenti intervenienti nel giudizio di opposizione a stato passivo, possono poi – nel rispetto del

termine di decadenza preveduto dal 6° comma dall‟art. 99 – chiedere quella reformatio in peius

della

statuizione del giudice delegato che, prima della riforma, la giurisprudenza escludeva.

In caso di impugnazione di una statuizione d‟accoglimento il contraddittorio si instaura tra

l‟impugnante e la parte nei cui confronti l‟impugnazione viene proposta, ma “al procedimento

partecipa anche i curatore”. Prima della riforma, allorché il giudizio di impugnazione poteva essere

definito in limine con l‟accordo delle parti, era controverso se il curatore assumesse anch‟egli la

veste di pare o dovesse soltanto stare in giudizio. Con la riforma, riconosciuta la legittimazione

all‟impugnazione anche al curatore non pare dubbio che, anche quando non sia egli stesso

l‟impugnante, rivesta il ruolo di parte nel giudizio di impugnazione; Rimane, tuttavia, vincolato

dalle

conclusioni assunte nella fase di verifica avanti al giudice delegato, Qualunque sia il tipo di

impugnazione proposta si propone con ricorso, che deve contenere in particolare “l‟esposizione dei

fatti e degli elementi di diritto cui si basa l‟impugnazione”, cioè in sostanza i motivi

dell‟impugnazione e le “relative conclusioni” e “l‟indicazione specifica, a pena di decadenza, dei

mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti”. Il presidente del

tribunale fissa l‟udienza in camera di consiglio ed il ricorrente nel termine di 10 giorni dalla

comunicazione del provvedimento deve provvedere alla notifica del ricorso e del decreto di

fissazione di udienza al curatore, al fallito e all‟eventuale controinteressato; la parte nei cui

confronti

la domanda è proposta e gli eventuali intervenienti devono costituirsi almeno 10 giorni prima

dell‟udienza al curatore, al fallito e all‟eventuale contro interessato ; la parte nei cui confronti la

domanda è proposta e gli eventuali intervenienti devono costituirsi almeno 10 giorni prima

dell‟udienza “depositando memoria difensiva contenente, a pena di decadenza, le eccezioni

processuali e di merito non rilevabili d‟ufficio,nonché l‟indicazione dei mezzi di prova e dei

documenti prodotti”. Dopo di che, espletata l‟istruttoria in contraddittorio delle parti (con

l‟assunzione di mezzi di prova anche d‟ufficio) il tribunale in composizione collegiale – della quale

non può ovviamente fare parte il giudice al cui provvedimento è stato impugnato, cioè il giudice

delegato - decide con decreto contro il quale può essere proposto ricorso per cassazione nel termine

di 30 giorni (termine quindi dimezzato)decorrente dalla comunicazione del decreto da parte della

cancelleria .

10) Le domande tardive

Le domande di accertamento dei crediti e dei diritti reali o personali su beni mobili o immobili per

essere vagliata nell‟udienza di verifica fissata con la sentenza di fallimento devono essere presentate

almeno trenta giorni prima ; se presentate successivamente sono egualmente ammissibili, ma sono

considerate tardive. Non sono, viceversa, ammissibili se presentate dopo il dodicesimo mese (o

diciottesimo in caso di proroga disposta nella sentenza di fallimento per particolare complessità

della

procedura) dal deposito in cancelleria del decreto di esecutività dello stato passivo, salvo che il

ricorrente provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.

Page 46: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Con la riforma si è statuito che “ il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge

nelle stesse forme di cui all‟art. 95”.

Tuttavia, mentre all‟udienza di verifica fissata con la sentenza di fallimento sono messi in grado di

partecipare tutti i creditori essendo stato loro comunicato l‟avviso di cui all‟art. 92 , della fissazione

dell‟udienza per la decisione sulle domande tardive è previsto che “il curatore dà avviso a coloro

che

hanno presentato la domanda”. I provvedimenti di accoglimento delle domande tardive dovranno

comunque essere comunicati anche ai creditori tempestivamente ammessi, per consentire loro

l‟esercizio del diritto all‟impugnazione.

Con il decreto correttivo è stata regolata la tempistica dall‟esame delle domande tardive, statuendo

che il giudice delegato fissa un‟udienza ogni quattro mesi, salo che sussistano motivi d‟urgenza.

La cadenza quadrimestrale per l‟esame delle domande tardive si deve ritenere debba essere

egualmente rispettata.

Gli effetti dell‟ammissione tardiva sono differenti a seconda che il ritardo sia o meno imputabile.

Secondo quanto dispone l‟art. 112 i creditori ammessi tardivamente, se chirografari, concorrono

soltanto alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione salvo che il ritardo sia dipeso da cause ad

essi non imputabili; se assistiti da cause di prelazione hanno invece diritto in ogni caso al

soddisfacimento preferenziale.

Prima della riforma si affermava in giurisprudenza la necessità di far risultare nelle forme della

dichiarazione tardiva di credito il mutamento nella titolarità del credito ammesso per cessione e

surrogazione, con una interpretazione per la verità discutibile. Con l‟art. 115, 2° comma, novellato,

si è statuito che il curatore provveda alla rettifica formale dello stato passivo “qualora la cessione

sia

stata comunicata, unitamente alla documentazione che attesti l‟intervenuta cessione “. Con il

decreto

correttivo la statuizione è stata estesa al caso di surrogazione .

11) Le domande di restituzione e rivendicazione.

Il rito speciale del artt.93 ss. Era preveduto, prima della riforma, solo per le domande di

rivendicazione, restituzione e separazione di beni mobili, in quanto assoggettati ad esecuzione sulla

base del possesso, presumendosi di proprietà del debitore le cose rinvenute in luoghi a lui

appartenenti. Il perfetto parallelismo con l‟opposizione di terzo all‟esecuzione, aveva come

corollario l‟applicazione del regime probatorio preveduto in detto procedimento dell‟art. 621 c.p.c.

L‟esigenza di sottoporre al controllo della collettività dei creditori le pretese all‟esclusione dal

patrimonio del debitore anche dei beni immobili ha indotto il legislatore ad estendere il rito speciale

alle domande relative a beni immobili. La domanda di accertamento dell‟acquisto della proprietà di

altro diritto reale su beni immobili che risultino di proprietà del fallito dovrà quindi essere proposta

nelle forme degli artt. 93 ss. Ma il regime probatorio preveduto dall‟art. 621 c.p.c., non può

riguardare la rivendicazione di beni immobili, assumendo per contro rilievo decisivo la trascrizione

della pretesa del terzo, anteriormente al fallimento, nei registri immobiliari.

Principalmente dalle domande di rivendicazione e restituzione di beni mobili – premesso che in

linea

di principio devono avere ad oggetto cose mobili determinate- occorre ricordare che ad essere

rilevante non è tanto l‟appartenenza del bene al patrimonio del terzo, quanto piuttosto la sua

estraneità al patrimonio del debitore.

Se la domanda è di rivendicazione oggetto della prova dev‟essere la proprietà attuale del

rivendicante, non essendo sufficiente – per cingere la presunzione di appartenenza al debitore delle

cose mobili in suo possesso – la prova del fatto storico dell‟acquisto della proprietà da parte del

terzo

ed occorrendo, invece anche la prova che il terzo è tuttora proprietario.

Se però il titolo del possesso del fallito è un contratto restitutorio viene proposta una domanda di

restituzione e non di rivendicazione, si deve ritenere sufficiente la prova del contratto medesimo e

Page 47: Diritto Fallimentare Guglielmucci

non necessita la prova dell‟acquisto della proprietà. Quanto ai mezzi di prova, in forza dell‟art. 621

c.p.c “ il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella

casa o nell‟azienda del debitore, tranne che l‟esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla

professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”. La prova deve quindi essere data,

con scrittura che, per essere opponibile al fallimento, deve vere data certa anteriore. L‟eccezionale

divieto di prova testimoniale preveduta dall‟art. 621 c.p.c. , non può trovare applicazione quando il

terzo rivendica un bene mobile acquistato dal fallito.

Le domande volte ad escludere dal patrimonio fallimentare beni immobili possono essere fondate

esclusivamente su pretese reali e a essere decisive sono essenzialmente le risultanze dei registri

immobiliari.

Occorre, però, considerare che il procedimento preveduto dagli artt. 93ss. è volto non soltanto ad

escludere dal patrimonio fallimentare beni mobili o immobili non appartenenti al fallito, ma anche

all‟attuazione coattiva di pretese alla consegna o al rilascio di beni mobili o immobili.

Con riguardo all‟obbligo di consegna di beni mobili occorre considerare che la domanda può avere

ad oggetto anche cose che al momento del fallimento non sono più in possesso del fallito.

SEZIONE II

LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO

1) Le operazioni preliminari

Al curatore è affidata l‟amministrazione e la liquidazione dl patrimonio del debitore, nel quale sono

compresi, fra l‟altro, beni mobili ed eventualmente anche beni immobili.

Occorre, quindi, procedere preliminarmente alla identificazione dei beni, alla loro materiale

apprensione ed alla loro valutazione.

A differenza di quanto avviene nell‟esecuzione individuale, nella quale l‟identificazione dei beni

esecutati è contestuale all‟atto dal quale deriva il vincolo di indisponibilità, cioè il pignoramento,

nell‟esecuzione concorsuale il vincolo di indisponibilità , che investe l‟intero patrimonio del

debitore, deriva direttamente dalla sentenza di fallimento ed occorre identificare successivamente i

beni esecutati, che sono tutti i beni del fallito, tranne quelli non compresi nel fallimento ex art. 46.

Per i beni immobili l‟identificazione è semplice, in quanto valgono le risultanze dei registri

immobiliari. Per i beni immobili l‟identificazione è semplice, in quanto valgono le risultanze dei

registri immobiliari. Per i beni mobili l‟identificazione è più complessa e riguarda i beni posseduti

dal fallito, che si presumono di proprietà di lui, nonchè i beni del fallito in possesso di terzi.

All‟identificazione non sempre si accompagna la materiale apprensione. L‟art. 84 prevede infatti

che dopo la dichiarazione di fallimento si debba procedere immediatamente all‟apposizione dei

sigilli “sui beni che si trovano nella sede principale dell‟impresa e sugli altri beni del debitore”: vi

sono soggetti, oltre ai beni che si trovano nella sede principale dell‟impresa, i beni che si trovano in

altri luoghi a lui appartenenti;vi sono, inoltre, soggetti i beni che si trovano in luoghi non

appartenenti al fallito, se questi ne può direttamente disporre; vi sono soggetti, infine, i beni in

possesso di terzi che consentono di esibirli. Essi sono in possesso di terzi che non consentono di

esibirli la sigillazione non è consentita ed occorre allora distinguere. Quando il terzo non contesta il

diritto di proprietà del fallito ed invoca, tuttavia, un titolo di possesso il curatore può limitarsi a

rispettare il possesso del terzo e riprenderlo, ad esempio, alla scadenza della locazione. Se, invece, il

curatore contesta il possesso del terzo o se il terzo vanta un diritto incompatibile con

l‟assoggettamento del bene all‟esecuzione concorsuale il curatore dee far accertare giudizialmente

la pretesa, in altre parole la sigillazione – e quindi la materiale apprensione dei beni – non è

consentita quando nell‟esecuzione individuale si deve procedere nelle forme del pignoramento

presso terzi.

Secondo la normativa ante riforma all‟apposizione dei sigilli doveva provvedere il giudice delegato,

il quale poteva “emettere i provvedimenti provvisori e conservativi che riteneva necessari”. La

riforma statuendo che all‟apposizione dei sigilli procede il curatore l‟intervento del giudice delegato

può rendersi necessaria solo quando il curatore debba farsi coadiuvare da tecnici od altre persone

retribuite.

Page 48: Diritto Fallimentare Guglielmucci

La funzione conservativa della sigillazione va vista non solo nella prospettiva della conservazione

materiale dei beni, ma anche in quella della conservazione del loro valore economico: in

quest‟ottica

va considerata l‟art. 84, 4°comma, l,fall,, in forza della quale “delle cose che possono deteriorarsi, il

giudice può ordinare con decreto la vendita immediata, incaricando un commissionario “.

Dopo l‟apposizione dei sigilli e previa loro rimozione il curatore dee proceder all‟inventario,

presente avvisati il fallito ed il comitato dei creditori. Nell‟inventario vanno ricompresi i beni del

fallito e quelli che si presumono di sua proprietà in quanto rinvenuti in luoghi a lui appartenenti,

vanno inoltre ricompresi i beni del fallito in ossesso di terzi che vantano un autonomo titolo di

possesso opponibile al curatore ed anche i beni in possesso di terzi che disconoscono qualsivoglia

diritto dell‟amministrazione fallimentare.

Vanno ricompresi i beni rinvenuti in luoghi appartenenti al fallito, anche se di terzi. Nei luoghi

appartenente al fallito si possono, tuttavia, trovare cose che appaiono manifestamente di terzi ed in

dottrina si era cercata da tempo una qualche soluzione che evitasse al terzo di rimanere privato a

lungo del possesso di detti beni e di dover ricorrere al procedimento di verifica. Con la riforma il

problema è stato risolto legislativamente statuendosi che “i beni mobili su quali i terzi cantano

diritti

reali o personali chiaramente riconoscibili possono essere restituiti con decreto del giudice delegato,

su istanza della parte interessata e con il consenso del curatore e del comitato dei creditori, anche

provvisoriamente nominato”.

L‟inventario, che va redatto con l‟assistenza del cancelliere, deve contenere la descrizione analitica

dei beni e l‟indicazione del loro valore, di regola stabilito da uno stimatore, man mano che se fa

l‟inventario il curatore prende in consegna i beni ed assume la responsabilità della loro custodia .

Se nel patrimonio del debitore vi sono beni immobili o beni mobili registrati il curatore deve fra

trascrivere la sentenza di fallimento attuando così una pubblicità.

Prima di chiudere l‟inventario il curatore invita il fallito o gli amministratori della società fallita a

dichiarare se hanno notizia di altre attività da inventariare,avvertendoli delle pene per falsa od

omessa dichiarazione .

2) Il programma di liquidazione

Parallelamente all‟inventario dei beni il curatore, deve programmare le operazioni di realizzazione

dell‟attivo fallimentare. Prima della riforma era soltanto tenuto a riferire al giudice delegato, nella

relazione. La programmazione della liquidazione era vincolata soltanto alle direttive che il giudice

delegato avesse ritenuto opportuno impartirgli. Con la riforma è stata prescritta la predisposizione,

da parte del curatore, di un programma costituente l‟atto di pianificazione ed indirizzo in ordine alle

modalità ed ai termini previsti per la realizzazione dell‟attivo e la sua sottoposizione

all‟approvazione del programma anche da parte del giudice delegato, che è chiamato invece ad

autorizzare “l‟esecuzione degli atti ad esso conformi”.

Il “programma di liquidazione”, oltre ad illustrare “la sussistenza di proposte di concordato e il loro

contenuto” e quindi la prospettiva di cessazione della procedura senza attività di liquidazione.

Il curatore deve innanzitutto evidenziare l‟opportunità di disporre l‟esercizio provvisorio o l‟affitto

dell‟azienda o dei rami d‟azienda e poi illustrare “le possibilità di cessione unitaria dell‟azienda, di

singoli rami o di rapporti giuridici individuabili in blocco”. Deve, inoltre, specificare le condizioni

di

vendita dei singoli cespiti e le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare. La

disposizione dell‟esercizio provvisorio e l‟affitto possono precedere ed è anzi ipotizzabile

precedano

la predisposizione ed approvazione del programma di realizzazione dell‟attivo; ed anche alla

vendita

di singoli beni si può procedere , con l‟autorizzazione del giudice delegato quando dal ritardo può

derivare pregiudizio all‟interesse dei creditori.

Page 49: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Il programma di realizzazione dell‟attivo costituisce –atto di pianificazione ed indirizzo e

costituisce

strumento operativo.

La preoccupazione di favorire un più sollecito svolgimento dei procedimenti fallimentari ha indotto

a fissare per la predisposizione e l‟approvazione del programma termini forse troppo

ottimisticamente contenuti. È stato infatti statuito che “entro sessanta giorni dalla redazione

dell‟inventario, il curatore predispone un programma di liquidazione da sottoporre all‟approvazione

del comitato dei creditori”. Una volta intervenuta l‟approvazione il programma è vincolante per i

curatore, essendo preveduta la possibilità di un supplente del piano solo per sopravvenute esigenze.

La liquidazione è volta al realizzo di attivo da ripartire fra i creditori, perciò i beni le cui prospettive

di realizzo apparivano inferiori ai costi di custodia e amministazione la prassi aveva escogitato il

decreto di derelizione. Questa prassi è stata recepita legislativamente, statuendosi che “il curatore

previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquistare all‟attivo o rinunciare a

liquidare

uno o più beni,se l‟attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”. La derelizione

può essere disposta per il modesto valore dei beni od anche “per il carattere di oggettiva in

vendibilità come nel caso di impianti fuori norma o di terreni inquinti “

3) La monetizzazione dei diritti.

Mentre i beni – ivi compreso il complesso di beni costituito dall‟azienda – sono destinati ad essere

coattivamente venduti, i crediti del fallito e le pretese risarcitorie o revocatorie sono destinate ad

essere monetizzate. L‟esigenza di percorrere un iter giudiziale in caso di resistenza del destinatario

della pretesa dell‟uno o dell‟altro tipo costituiva la causa principale della durata, spesso abnorme

delle procedure fallimentari. Nulla ostava, per la verità, alla monetizzazione dei crediti non

attraverso la riscossione (con conseguente necessità, se del caso, del previo accertamento giudiziale

della pretesa creditoria e , successivamente, dell‟esercizio dell‟azione esecutiva contro il debitore),

ma attraverso la cessione, che era logico dovesse intervenire pro soluto. Poiché, tuttavia, alla

cessione anche in blocco di tutti crediti difficilmente poteva conseguire un accelerazione della

procedura quando vi fossero anche pretese revocatorie, nella maggior parte dei casi si preferiva non

utilizzare lo strumento della cessione e si seguiva la via della riscossione, dalla qual era ragionevole

attendersi un miglior realizzo. Alla cessione si correva perciò ordinariamente solo per i crediti

fiscali non riscuotibili nel fallimento. Con la riforma si è prevenuto che il curatore non soltanto

“può

cedere i crediti,compresi quelli di natura fiscale o futuri “ ma “può altresì cedere le azioni

revocatorie concorsuali, se i relativi giudizi sono gia pendenti”. Un suo frequente utilizzo per

ridurre

i tempi della liquidazione fallimentare. Comunque – per quanto attiene ai crediti – ove il curatore

opti per la riscossione, anziché per la cessione, con la riforma è stato messo a sua disposizione un

ulteriore strumento, costituito dalla possibilità di “ stipulare contratti di mandato per la riscossione

dei crediti” avvalendosi di un mandatario che spesso consente risultati migliori e più rapidi del

procedimento esecutivo.

4) La liquidazione dei beni: a) carattere coattivo della vendita.

L disciplina delle vendite è in parte unitaria sia per i beni mobili che per i beni immobili ed una

disciplina particolare è dettata per le vendite volte alla conservazione dei complessi produttivi e per

quelle relative a determinati beni (quote di società a responsabilità limitata; diritti sulle opere

dell‟ingegno, sui marchi). Si legge, nella Relazione che “per ciò che riguarda le forme della vendita

ed i loro effetti si è innovato molto e si è ritenuto di eliminare ogni rinvio dalla disciplina del

processo esecutivo individuale, fermo restando il fondamentale effetto purgativo delle vendite

forzate”. In realtà il rinvio alla disciplina del processo esecutivo individuale contenuto nella legge

fallimentare ante riforma riguardava soltanto la disciplina processuale, cioè le forme delle vendite,

non la disciplina sostanziale degli effetti.

Con riguardo agli effetti la Relazione si limita a richiamare l‟effetto purgativo, per il quale

Page 50: Diritto Fallimentare Guglielmucci

l‟acquirente acquista la cosa libera da ipoteche e privilegi , trasferendosi la prelazione dalla cosa

gravata al ricavato della sua alienazione.

Ciò non significa, tuttavia, che alle vendite fallimentari non si applichino le altre norme del codice

civile sugli effetti sostanziali delle vendite forzate, che si ricollegano al loro carattere coattivo.

Se è data all‟acquirente garanzia contro l‟evizione, per il loro carattere coattivo e cioè perché non

ricollegatisi alla volontà del proprietario hanno ad oggetto i beni del debitore nello stato in cui si

trovano ed è perciò esclusa la garanzia per vizi. Non tutte le vendite effettuate dal curatore sono

soggette alla disciplina delle vendite coattive. Non vi rientrano in primo luogo, le vendite effettuate

nell‟esercizio dell‟impresa. Non vi rientrano, poi le vendite stipulate in adempimento di contratti

preliminari. Queste vendite sono riconducibili ad un‟attività di amministrazione : producono quindi

gli effetti preveduti dalla disciplina civilistica del contratto di compravendita.

5) Segue: b) vendita dell’azienda e di beni e rapporti in blocco.

L‟attenzione alla conservazione dei complessi produttivi è evidenziata dall‟impostazione al curatore

di dare la preferenza, nella liquidazione dell‟attivo, alla cessione dell‟azienda o di rami dell‟azienda.

Accanto alla cessione di rami d‟azienda è stata considerata anche la cessione di beni o rapporti

giuridici individuabili in blocco, già individuata nella procedura di liquidazione coatta

amministrativa delle banche.

La conservazione dei complessi produttivi non è ordinariamente confliggente con l‟interesse dei

creditori concorsuali, i quali possono anzi attendersi un migliore soddisfacimento delle loro ragioni

dalla cessione unitaria dell‟azienda o di quei rami d‟azienda che siano vitali od anche dalla cessione

di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, non sono però previsti strumenti volti ad

assicurare la prosecuzione dell‟attività d‟impresa e la conservazione dei livelli occupazionali a

differenza di quanto stabilito nella disciplina dell‟amministrazione straordinaria delle grandi

imprese

che prevede l‟obbligo dell‟acquirente di proseguire almeno per n biennio le attività imprenditoriali

ed a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti. Nella Relazione al d,lgs, n

5/2006 di riforma della legge fallimentare, per la verità si fa riferimento ai fini della vendita

dell‟azienda o di suoi rami in esercizio, la scelta dell‟acquirente deve essere effettuata tenendo

conto

non solo dell‟ammontare in se del prezzo offerto, ma anche delle garanzie di prosecuzione delle

attività imprenditoriale i, avuto riguardo alla conservazione di livelli occupazionali” ma si tratta di

previsione non riprodotta nel novellato art. 105, il quale a differenza di quanto previstao nella

disciplina dell‟amministrazione straordinaria l‟interesse alla conservazione dei complessi produttivi

e dei livelli occupazionali non prevale sull‟interesse dei creditori al miglio realizzo.

Come già previsto per l‟amministrazione straordinaria si è statuito che “nell‟ambito delle

consultazioni sindacali relative al trasferimento d‟azienda, il curatore, l‟acquirente e i rappresentanti

dei lavoratori possono convertire il trasferimento solo parziale di lavoratori alle dipendenze

dell‟acquirente, statuisce che il pagamento mediante accollo può essere effettuato “solo se non

viene

alterata la graduazione dei crediti”.

6) Segue: c) disciplina generale delle forme delle vendite fallimentari

Nell‟intendimento di accelerare e semplificare le vendite fallimentari è stata esclusa la necessità

dell‟applicazione della disciplina del codice di procedura civile. La presenza nell‟esecuzione

concorsuale, di un organo preposto alla liquidazione, il curatore rendeva per molti versi inutile il

ricorso a macchinose procedure di vendita, quali quelle previste nell‟esecuzione individuale.

Si è così seguito per tutte le vendite il principio di libertà di forme, accompagnato dalla prescrizione

dall‟adozione di procedure competitive, salva la facoltà del curatore di prevedere nel programma di

liquidazione che “le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengono effettuate dal

giudice delegato secondo le disposizioni dl codice di procedura civile in quanto compatibili”.

In ossequio al principio di libertà di forme non è dunque più necessario procedere alla vendita degli

immobili nelle forme della vendita con incanto o della vendita senza incanto, che comportano fra

Page 51: Diritto Fallimentare Guglielmucci

l‟altro il differimento del trasferimento della proprietà al momento dell‟emanazione del decreto di

trasferimento da parte del giudice delegato, è quindi ora, possibili l‟utilizzo dello strumento

privatistico del contratto di compravendita, in precedenza precluso per l‟affermata nullità delle

vendite fallimentari effettuate in detta forma .

L‟art. 107 secondo quanto dispone detta norma, le vendite vanno effettuate secondo procedure

competitive, volte cioè a favorire la partecipazione agli esperimenti di vendita del maggior numero

possibile di interessati adeguatamente informati e al conseguimento del miglior corrispettivo

possibile. Si richiede, a tal fine, che:

1)le vendite vengano effettuate sulla base di stime di operatori esperti, salvo che per i beni di

modesto valore;

2) previo esperimento di adeguate forme di pubblicità per favorire la massi,a informazione e

partecipazione di interessati. Le stime hanno particolare importanza per i beni appetibili da una

larga

cerchia di interessati, mentre la determinazione del valore i altri beni gva affidata al concreto

interesse manifestato per essi dal mercato. L‟adozione di adeguate forme di pubblicità , che possano

andare dalla pubblicazione su quotidiani o periodici a circolari inviate ad operatori del settore che

possono apparire interessati e che dovranno comunque essere stabilite con regolamento del Ministro

della Giustizia, pubblicità che valga anche a fornire agli interessati le necessarie informazioni su

consistenza e stato dei beni, perchè i beni vengano venduti nello stato di fatto e di diritto in cui si

trovano e non è data la garanzia per vizi, ma l‟amministrazione fallimentare può essere chiamata a

rispondere dei danni subiti dall‟acquirente per effetto di false informazioni che gli siano state

fornite.

Occorre tuttavia considerare che il meccanismo più efficace, in presenza di più interessati

all‟acquisto, è quello della gara informale, che può essere programmata per il suo svolgimento, ad

esempio, nello studio del curatore ed i cui esiti possono esser consacrati in un verbale nel quale

venga indicata l‟offerta più alta.

L‟art. 107, 1° comma, prevede la possibilità per il curatore di avvalersi di “soggetti specializzati” e,

ad esempio, per la vendita di immobili potrà avvalersi anche di agenzie immobiliari .

La procedura competitiva seguita dal curatore si conclude con la determinazione del prezzo offerto

ed ove pervenga offerta irrevocabile di acquisto migliorativa per almeno il 10% del prezzo offerto il

curatore può sospendere”la vendita” cioè l‟iter ulteriore. In caso diverso il curatore non può

procedere immediatamente al perfezionamento della vendita e deve limitarsi a informare il giudice

delegato ed il comitato dei creditori degli esiti della procedura, depositando in cancelleria l relativa

documentazione. A questo punto è attribuito al giudice delegato il potere di sospendere la vendita

“qualora ricorrano gravi e giustificati motivi"ovvero impedire il perfezionamento della vendita

“quando il pezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni

di mercato. Questo potere non può essere esercitato dal giudice delegato d‟ufficio, ma solo “ su

istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati”:

vi è dunque una duplice possibilità di sospensione. Da parte del curatore, ma solo qualora gli

pervenga offerta migliorativa di almeno il 10 %; da parte del giudice delegato, ma solo su richiesta .

solo dopo il decorso del termine per la presentazione dell‟istanza al giudice delegato – che è di 10

giorni dal deposito in cancelleria della documentazione relativa agli esiti della procedura – il

curatore può procedere alla vendita.

SEZIONE III

RIIPARTIZIONE DELL’ATTIVO

1) Le somme disponibili e le somme ripartibili

Dopo il decreto di esecutività dello stato passivo vanno effettuate ripartizioni parziali e, ultimata la

liquidazione, si deve procedere alla ripartizione finale. La fase di ripartizione dell‟attivo è quindi

successiva a quella della verifica dello stato passivo e parallela a quella della liquidazione

dell‟attivo.

L‟art. 110, 1° comma, statuisce che alla predisposizione dei progetti di ripartizione (parziale)

Page 52: Diritto Fallimentare Guglielmucci

dell‟attivo si deve procedere “ogni quattro mesi… o nel diverso termine stabilito dal giudice

delegato”. La norma, fondata sulla previsione ottimistica che ogni quattro mesi sopravvenga

liquidità

sufficiente ad effettuare ripartizioni, vale a sottolineare che alla ripartizione dell‟attivo liquidato si

deve procedere con la massima sollecitudine. Se il curatore non vi provvede può essere proposto

reclamo.

La ripartizione – attraverso pagamenti o accantonamenti di quote assegnate - ha ad oggetto le

somme disponibili, ad eccezione di:

a) quelle occorrenti per la procedura

Anche nel riparto finale si devono escludere dalla ripartizione le somme necessarie a far fronte le

spese successive, in particolare quelle per la comunicazione ai creditori del deposito in cancelleria

del progetto di ripartizione.

Nei riparti parziali si devono trattenere tutte le “ somme ritenute necessarie per spese future, per

soddisfare il compenso del curatore e ogni altro debito prededucibile”.

b) quelle ricevute per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi

Se all‟esito del procedimento le somme riscosse in forza di provvedimenti provvisoriamente

esecutivi risultano non dovute, il solvens ha diritto alla restituzione e, stante l‟irripetibilità dei

pagamenti effettuati in esecuzione di piani di riparto, la ripartizione anche di dette somme potrebbe

pregiudicare il diritto alla restituzione.

Nelle ripartizioni parziali è comunque prescritto un accantonamento del 20%. Questo

accantonamento costituisce una riserva per spese future – in relazione alle quali la misura

dell‟accantonamento può essere aumentata.

La corte di cassazione – peraltro in obiter dictum – ha affermato che “la quota trattenuta in

occasione

di una ripartizione parziale non può essere distribuita in un successivo riparto parziale”.

2. Progetti di ripartizione e risultanze dello stato passivo

Nella fase di distribuzione della somma ricavata nell‟esecuzione individuale possono insorgere

controversie sui crediti e sui diritti di prelazione, che vanno risolte in giudizio, da avviare ai sensi

dell‟art. 512 c.p.c. Nella procedura concorsuale viceversa i crediti e le prelazioni devono essere stati

previamente accertati nella fase di verificazione dello stato passivo e, pertanto, all‟atto delle

ripartizioni non possono essere esaminate le questioni “concernenti l‟esistenza o l‟ammontare dei

crediti ammessi e l‟esistenza di cause di prelazione, stante l‟intangibilità dello stato passivo non

impugnato nelle forme e nei termini previsti dalla legge fallimentare”.

Determinata la somma ripartibile il progetto di ripartizione va quindi predisposto con semplici

operazioni contabili, da eseguirsi sulla base delle risultanze dello stato passivo relative

all‟ammontare dei crediti e dell‟esistenza di diritti di prelazione e tenendo conto dell‟ordine di

collocazione delle prelazioni secondo la normativa civilistica.

Occorre ricordare che hanno diritto all‟attribuzione del ricavato delle vendite coattive non soltanto i

creditori del fallito, ma anche i creditori di terzi che vantino sui beni del fallito un diritto di pegno o

di ipoteca. Prima della riforma si era affermato in giurisprudenza che “il creditore di persona

diversa

dal fallito, che vanti un diritto di prelazione su un immobile appreso al fallimento, può ove la

prelazione sia opponibile al fallimento, intervenire e partecipare alla distribuzione del ricavato, ma

non ha titolo per essere ammesso al passivo”, con ciò prospettandosi la possibilità che il progetto di

ripartizione possa prevedere attribuzioni di somme a favore di soggetti che non risultino dallo stato

passivo.

L‟estensione della verifica ai “diritti reali o personali su beni o immobili di proprietà o in possesso

del fallito” (art. 92, 1°comma), non sembra si possa considerare abbia risolto il problema, posto che

le domande relative che sono previste sono quelle di “ restituzione o rivendicazione”.

I termini del problema rimangono quindi gli stessi ed in proposito sembra preferibile ritenere che

debbano essere soggette a verificazione, nelle stesse forme, anche le pretese all‟attribuzione del

Page 53: Diritto Fallimentare Guglielmucci

ricavato delle vendite coattive dei beni sui quali il fallito ha costituito garanzie per debiti altrui ed in

questo senso si è talora espressa la giurisprudenza in merito.

Un problema può porsi poi quando all‟atto della ripartizione dell‟attivo risulti modificata la

normativa sui privilegi applicata all‟atto della verificazione. Le norme transitorie, infatti, prevedono

di regola l‟applicazione della nuova disciplina alle procedure in corso, ma rimane il problema se si

possa o meno provvedere direttamente in sede di riparto o si debba invece seguire la via della

dichiarazione tardiva ex art. 101. Se la modifica riguarda soltanto l‟ordine dei privilegi sembra si

possa provvedere direttamente in sede di riparto. Se però la nuova normativa prevede l‟attribuzione

di un privilegio a crediti in precedenza chirografari la collocazione in via privilegiata richiede

accertamenti che appartengono per loro natura alla fase della verifica ed il mutamento di qualità del

credito si deve perciò ritenere vada accertato nelle forme prevedute dall‟art. 101 per le dichiarazioni

tardive di credito.

3. Progetti di ripartizione e collocazione dei crediti: a) i crediti concorsuali

Le somme ricavate dalla liquidazione dell‟attivo vanno erogate ai creditori aventi prelazione,

secondo l‟ordine assegnato dalla legge, e successivamente ai creditori chirografari. Occorre, allora

ricordare che le prelazioni possono avere ad oggetto beni determinati (ipoteca, pegno, privilegi

speciali) oppure tutti i beni mobili (privilegi generali sui mobili)) o immobili (privilegi sussidiari

sugli immobili).

I creditori ammessi con prelazione vanno soddisfatti in via preferenziale dopo la vendita dei beni

che ne sono oggetto e nei limiti del realizzo netto dei beni medesimi (e per l‟eventuale eccedenza

degradano a chirografi). Perciò il curatore deve contabilizzare separatamente il ricavato dei beini

immobili e dei beni mobili, ivi compresi i frutti percetti prima della vendita e gli interessi sul prezzo

corrisposti dopo la vendita.

4. Segue: b) i crediti prededucibili

Nel fallimento oltre ai crediti concorsuali, anteriori al fallimento, vanno soddisfatti anche i crediti

verso la massa. L‟art. 111, 1° comma, n. 1, stabilisce anzi che le somme ricavate dalla liquidazione

dell‟attivo sono erogate, in primo luogo, per il pagamento di tali crediti, che sono perciò denominati

crediti prededucibili.

Sono prededucibili i crediti così qualificati da specifiche disposizioni di legge. Vi rientrano, in

primo

luogo, i crediti sorti dopo il fallimento per atti – leciti od anche illeciti – degli organi della

procedura

e, in particolare, del curatore. Ma il più generico riferimento alle “procedure concorsuali di cui alla

presente legge” implica l‟estensione della prededucibilità, in caso di consecuzione, ai crediti sorti

“in

occasione o in funzione” di una procedura di concordato preventivo o di ristrutturazione dei debiti.

I crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento possono essere soddisfati al di fuori e prima del

riparto, purché non contestati e sempreché l‟attivo sia presumibilmente sufficiente a soddisfo

integrale di tutti i crediti della massa, anche futuri: proprio perché occorre verificare che il

pagamento al di fuori del riparto non possa ledere la par condicio, l‟autorizzazione al pagamento –

da parte del comitato dei creditori o del giudice delegato – è richiesta anche quando il credito non

sia

contestato.

Vanno invece soddisfatti nel riparto: a) i crediti prededucibili sorti nel corso di una procedura di

concordato preventivo o di ristrutturazione dei debiti e non soddisfatti alla data della dichiarazione

del fallimento consecutivo; b) i crediti sorti nel corso del fallimento che siano contestati; c) i crediti

sorti nel corso del fallimento in caso di presumile insufficienza dell‟attivo, dovendosi allora

provvedere alla graduazione dei crediti prededucibili.

L‟art. 111 prevede l‟erogazione per il pagamento ai crediti prededucibili prima che per il pagamento

dei crediti ammessi con prelazione, già prima della riforma si affermava in giurisprudenza che ai

crediti prededucibili dovevano essere anteposti quelli assistiti da garanzie reali speciali. Questo

Page 54: Diritto Fallimentare Guglielmucci

orientamento era fondato oltre che sulla norma dell‟art. 109, 2°comma, relativa al ricavato della

vendita di beni immobili anche e, soprattutto, sulla considerazione che le spese generali

dell‟amministrazione fallimentare vengono sostenute nell‟interesse della collettività dei creditori e

non possono perciò essere fatte gravare sui creditori assistiti da garanzie reali speciali.

Da questa considerazione si sarebbe dovuto enucleare un principio generale di anteposizione ai

crediti prededucibili di tutti i crediti assistiti da prelazione su beni determinati, ma il principio

sarebbe stato messo in crisi dalla disciplina della collocazione dei privilegi speciali mobiliari: se,

infatti, come si è visto, ai privilegi speciali mobiliari sono spesso anteposti i privilegi generali sui

mobili e se a questi vanno necessariamente anteposte le spese generali di ammistrazione.

Con la riforma il problema è stato legislativamente risolto statuendosi espressamente che i crediti

prededucibili vanno soddisfatti in via prioritaria sul ricavato della liquidazione del patrimonio

mobiliare e immobiliare “con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di

pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti”. E‟ rimasta così confermata la

prevalenza dei crediti prededucibili sui crediti assistiti non da garanzie reali, ma da privilegi anche

speciali.

5. Pagamenti e accantonamenti di quote assegnate.

Le attribuzioni possono consistere in pagamenti ovvero in accantonamenti di quote assegnate. Nelle

ripartizioni parziali vanno infatti accantonate le quote assegnate:

a) ai creditori ammessi con riserva

b) ai creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari o la cui domanda

è stata accolta nel giudizio di impugnazione con provvedimento non passato in giudicato.

c) ai creditori nei cui confronti sono stati proposti i giudizi di impugnazione o revocazione.

Nel reparto finale “vengono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti”, ma “ se la

condizione non si è ancora verificata ovvero se il provvedimento non è ancora passato in giudicato,

la somma è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato.

Dopo lo scioglimento della riserva, ove risulti escluso il diritto al versamento delle quote

assegnante,

queste rientrano nell‟attivo ripartibile se non si è ancora proceduto al riparto finale; altrimenti vanno

fatte oggetto di un riparto supplementare. Dopo la chiusura del fallimento, immediatamente

successiva al riparto finale, gli organi del fallimento rivivono dunque per procedere al riparto

supplementare.

Non è previsto, invece, che costituiscano oggetto di un riparto supplementare sulla base delle

risultanze dello stato passivo le somme attribuite a creditori che non si siano presentati o risultino

irreperibili. Dette somme, infatti, decorsi cinque anni dal loro deposito, vanno attribuite, con il

rispetto delle regole sulla collocazione dei crediti, ai soli creditori che ne abbiano fatta richiesta, in

difetto di richiesta vanno versate “all‟entrata del bilancio dello stato”.

6. Disciplina processuale delle ripartizioni dell’attivo

In ossequio al principio di speditezza la disciplina processuale delle ripartizioni dell‟attivo è stata

semplificata, con la soppressione della duplice fase della presentazione di osservazioni dei creditori

al progetto depositato e della successiva emanazione del decreto dei esecutività da parte del giudice

delegato, impugnabile con reclamo al collegio ex art. 26.

E‟ preveduto ora soltanto il deposito del progetto di ripartizione e la proposizione del reclamo al

giudice delegato ex art. 36 contro il progetto, in quanto “il progetto è atto del curatore e il giudice si

limita in prima battuta a ordinare il deposito in cancelleria”.

Il reclamo può essere proposto nel più ampio termine di 15 giorni, decorrente dalla comunicazione

che va fatta a tutti i creditori compresi quelli che abbiano proposto opposizione a stato passivo e

compresi altresì i controinteressati ancorché l‟art. 36 non lo preveda espressamente. Il reclamo può

essere fondato, su “violazione di legge” e, in particolare sulla violazione delle regole sulla

collocazione dei crediti e quindi la violazione di diritti soggettivi e pertanto contro il decreto del

giudice delegato che pronuncia sul reclamo sarà poi proponibile ricorso per cassazione ex art. 111

Cost.

Page 55: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Occorre poi considerare che il progetto di ripartizione parziale può prevedere una riduzione delle

somme ripartibili in relazione ad una determinata valutazione di quanto necessario per spese future

che può apparire eccessiva e lesiva dell‟interesse dei creditori ad un tempestivo riparto. Prima della

riforma era pacifica l‟impugnazione per detto motivo. Nel nuovo sistema poiché al giudice delegato

è stato sottratto il potere di apportare modifiche al progetto censurandolo se del caso anche nel

merito, è dubbia l‟ammissibilità del reclamo per l‟anzidetto motivo.

La considerazione che il reclamo contro gli atti del curatore è consentita solo per violazione di legge

non mi sembra però decisiva, sembra doversi attribuire rilievo alla circostanza che l‟eccessività

dell‟accantonamento per spese future incide direttamente su di un interesse dei creditori, quello alla

tempestiva ripartizione.

Sembra, quindi, preferibile ritenere che il reclamo contro il progetto di ripartizione sia ammissibile

essendo anche in tal caso configurabile una violazione di legge. Il decreto di esecutività del progetto

di ripartizione secondo la nuova normativa va emanato solo dopo il decorso del termine per il

reclamo contro il progetto ed essendo rimessa al reclamo contro il progetto la risoluzione di tutte le

contestazioni, residua uno spazio estremamente risotto per l‟eventuale impugnazione del decreto di

esecutività. Poiché “se sono proposti reclami il progetto di ripartizione è dichiarato esecutivo con

accantonamento delle somme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione”, un‟impugnazione

può essere prospettabile quando non siano stati disposti i prescritti accantonamenti o lo siano stati in

misura incongrua.

La definitività del decreto di esecutività del piano di riparto ne implica la irretrattabilità, che viene

di

solito intesa some irripetibilità dei pagamenti viene desunta dalla norma dell‟art.114, che prevede

l‟obbligo di restituzione delle somme riscosse solo per i creditori la cui ammissione sia stata

revocata.

CAPITOLO OTTAVO

LA CESSAZIONE DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE E

L’ESDEBITAZIONE 1) Operazioni preliminari:rendiconto e liquidazione del compenso al curatore

Prima della cessazione della procedura il curatore, investito dal tribunale dell‟amministrazione del

patrimonio fallimentare nell‟interesse dei creditori e del fallito, deve presentare il conto della

gestione.

Il caso più comune è quello dell‟ultimazione della liquidazione, a seguito della quale il curatore

deve

presentare il rendiconto prima di richiedere la liquidazione del compenso e predisporre il riparto

finale. Ma il rendiconto va presentato anche in caso di cessazione della procedura per concordato

presentato anche in caso di cessazione della procedura per concordato e quando, anche prima della

cessazione della procedura fallimentare, cessa per qualunque causa dalle sue funzioni.

Il rendiconto va quindi presentato in tutti i casi di chiusura del fallimento, oltre che negli altri casi di

cessazione dal suo ufficio.

Anche se vi sono creditori da soddisfare in tal caso destinatari del rendiconto non sono i creditori,

ma soltanto il debitore.

Con la riforma è stata legislativamente recepita l‟affermazione giurisprudenziale che il rendiconto

del curatore non è semplice rendiconto di cassa,ma anche di gestione e le contestazioni possono investire “non soltanto i criteri di contabilità in relazione ad eventuali errori ed omissioni”, ma

anche

“la gestione del curatore medesimo e la sua adempienza ai doveri dell‟ufficio con la diligenza del

buon padre di famiglia, fermo restando il principio secondo cui la violazione di tali doveri può

implicare responsabilità risarcitoria solo quando abbia in concreto determinato un pregiudizio alla

massa o ai singoli creditori”

Il curatore presenta al giudice delegato l‟esposizione analitica delle operazioni contabili e della

attività di gestione della procedura.

Page 56: Diritto Fallimentare Guglielmucci

L‟iter è il seguente. Il curatore presenta la giudice delegato il conto della gestione, allegando o

richiamando la documentazione giustificativa. Prima della riforma si riteneva che il giudice

delegato

dovesse verificare la regolarità formale e sostanziale del rendiconto, invitando se del caso il

curatore

a presentare un nuovo conto.

Trattasi di potere che sembra rientrare nelle attribuzioni di vigilanza e controllo sulla regolarità

della

procedura e quindi compatibile con il ridimensionamento dei poteri degli organi giudiziari attuato

con la riforma. Se il giudice delegato non effettua rilievi sul conto, ne ordina il deposito in

cancelleria e fissa l‟udienza nella quale ogni interessato può presentare le sue osservazioni o

contestazioni (art.116 2°comma), disponendo la comunicazione al fallito e ai singoli creditori

ammessi a coloro che hanno proposto opposizione ed ai creditori della massa rimasti insoddisfatti.

Se all‟udienza non sorgono contestazioni o su queste viene raggiunto un accordo, il giudice

approva.

Altrimenti rimette parti al collegio per la risoluzione delle contestazioni con rito camerale.

Quando è stata ultimata la liquidazione dell‟attivo, dopo l‟approvazione del rendiconto e prima

della

ripartizioni finale si deve procedere alla liquidazione del compenso al curatore: solo dopo la

liquidazione del compenso è infatti possibile quantificare definitivamente la somma ripartibile ai

creditori. Alla liquidazione del compenso si deve provvedere anche in presenza di altre cause di

chiusura del fallimento, in particolare quella della mancanza di passivo e anche in caso di mancanza

di attivo – nonché in caso di cessazione della procedura di concordato.

Il compenso va liquidato dal tribunale in base ai criteri stabiliti da d.m.28 n.570.

Il tribunale provvede con decreto che è espressamente dichiarato non soggetto a reclamo. Il

provvedimento avendo natura decisoria, è comunque impugnabile con ricorsa per cassazione ex art.

111 Cost.

2) Chiusura e riapertura del fallimento.

I casi di chiusura elencati nell‟art.118 l.fall. sono i seguenti:

a) mancata presentazione “nel termine stabilito” dalla sentenza di fallimento di domande di

ammissione allo stato passivo. La procedura liquidativi fallimentare non ha infatti ragione di

proseguire quando non vi sono creditori da soddisfare.

Non osta invece alla chiusura del fallimento la presentazione di domande di restituzione o

rivendicazione di beni mobili o immobili. In relazione alla loro funzione di strumenti di opposizione

all‟esecuzione concorsuale su determinati beni vanno fatte valere nelle forme dell‟esecuzione

individuale.

b) pagamento od estinzione di tutti i crediti. Anche in tal caso la procedura non ha ragione di

proseguire perché non vi sono più creditori da soddisfare, prima della chiusura devono, tuttavia,

essere pagati anche il compenso del curatore e le spese di procedura.

c) compimento della ripartizione finale dell‟attivo. Così il fallimento attua la sua finalità di

procedura liquidativa concorsuale.

d) mancanza di attivo, prima della riforma era prevista la chiusura del fallimento quando la

procedura non poteva “essere utilmente continuata per insufficienza di attivo”: con la riforma si è

ritenuto opportuno chiarire che il fallimento può essere chiuso quando “la sua prosecuzione non

consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali ne‟ i crediti prededucibili e le spese

di procedura”

la mancanza di attivo può essere accertata già prima dell‟udienza di verifica, ma in tal caso, secondo

quanto dispone l‟art.102, non si fa luogo a verifica “relativamente ai crediti concorsuali” e la

procedura prosegue per l‟accertamento ed il soddisfacimento dei crediti prededucibili. Quando

l‟attivo non consente più nemmeno il soddisfacimento dei creditori prededucibili, il fallimento va

chiuso .

Page 57: Diritto Fallimentare Guglielmucci

In presenza di uno dei presupposti il tribunale, su istanza del curatore o del debitore od anche

d‟ufficio, dichiara la chiusura del fallimento con decreto. Il decreto di chiusura è impugnabile con

reclamo alla corte d‟appello ex art. 26 ed il provvedimento della corte d‟appello è impugnabile con

ricorso per cassazione nel termine di 30 giorni. Il decreto di rigetto dell‟istanza di chiusura, è

parimenti impugnabile con reclamo alla corte d„appello e successivamente con ricorsi per

cassazione.

Con la chiusura del fallimento cessano gli effetti patrimoniali per il fallito, il quale ritorna in bonis e

riacquista il diritto di amministrazione e di disposizione; “le incapacità speciali che colpiscono il

fallito non possono che cessare automaticamente con la chiusura del fallimento”. I creditori, a loro

volta – salvo che il fallito, se persona fisica, abbia beneficiato dell‟esdebitazione “per buona

condotta” e salvo, ovviamente il caso di cessazione della procedura per concordato – riacquistano il

libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti: anche in

caso di chiusura del fallimento ai sensi dell‟art. 118, n. 2, il fallito rimane esposto per i debiti non

ammissibili al concorso.

Se il credito è stato accertato nel fallimento con provvedimento definitivo, stante l‟efficacia

meramente endofallimentare il creditore deve munirsi di un titolo esecutivo: che, secondo quanto

dispone ora il 4° comma dell‟art. 120 potrà essere ottenuto utilizzando il provvedimento di

ammissione come prova scritta per la richiesta di decreto ingiuntivo.

La chiusura del fallimento determina l‟interruzione anche delle cause promosse dal curatore in

sostituzione del fallito e dei creditori e le cause potranno essere proseguite o riassunte dal fallito

ritornato in bonis, rispettivamente dai singoli creditori. Non possono ovviamente essere proseguiter

come la giurisprudenza aveva già riconosciuto e secondo quanto ora dispone l‟art. 120 , 2° comma

le azioni esercitate dal curatore in forza di un autonomo potere (in particolare l‟azione revotaria

fallimentare).

Se il fallimento è stato chiuso senza che i orditoi ammessi al passivo siano stati interamente

soddisfatti, è possibile la riapertura del fallimento – purchè venga disposta entro cinque anni dal

decreto di chiusura – quando: a) risulta che nel patrimonio del debitore esistono attività tali da

rendere utile il provvedimento; b) oppure il fallito offre garanzia di pagare almeno il dieci per cento

ai creditori vecchi e nuovi.

La riapertura del fallimento può essere disposta su richiesta del debitore o di qualunque

creditore,ma

non d‟ufficio,

il ricorso per riapertura del fallimento può essere rigettato: in tal caso il tribunale provvede con

decreto, contro il quale è proponibile reclamo alla corte d‟appello. Se il ricorso viene accolto il

tribunale provvede con sentenza in camera di consiglio: prima della riforma era previsto che la

sentenza di riapertura non fosse soggetta a gravame e secondo la giurisprudenza si doveva

considerare impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.

Con la riforma è stato soppresso l‟inciso “non soggetta a gravame” è stata aggiunta la previsione

secondo cui la sentenza può essere reclamata a norma dell‟art. 18”

Nel fallimento riaperto concorrono i vecchi ed i nuovi creditori . I vecchi creditori concorrono “per

la somma dovuta al momento della riapertura” – comprensiva quindi degli interessi medio tempore .

secondo la vecchia normativa i vecchi creditori non erano tenuti a presentare una nuova domanda.

Con la riforma si è opportunamente precisato che “i creditori già ammessi a passivo possono

chiedere la conferma del provvedimento di ammissione.

3) cessazione del fallimento per concordato: a) dal vecchio al nuovo concordato.

La disciplina del concordato fallimentare – così come quella del concordato preventivo è stata

radicalmente mutata con la riforma.

Nella disciplina previdente il concordato fallimentare:

1)era configurato come un accordo fra debitor e creditori e , nonostante il fallito fosse stato privato

Page 58: Diritto Fallimentare Guglielmucci

del potere di disporre di tutti i suoi beni era attribuita le legittimazione esclusiva a proporre il

concordato ,

2) la proposta doveva avere ad oggetto il pagamento ai creditori chirografari di una percentuale che

potesse essere considerata conveniente e dell‟intero credito ai creditori assistiti da cause di

prelazione.

3) la valutazione di convenienza del concordato e di serietà delle garanzie offerte era rimessa, oltre

che ai creditori, anche al tribunale, che avrebbe potuto d‟ufficio non omologare anche un

concordato

approvato a larghissima maggioranza e senza che nessuno avesse proposto opposizione ad omologa.

Con la riforma:

1) La legittimazione a proporre il concordato è stata attribuita anche ai terzi, sicchè il fallito non

può più condizionare la soluzione concordataria e chi fosse interessato ad acquisire il

patrimonio fallimentare non potrebbe però sfuggire alla concorrenza di altri interessati.

2) Il soddisfacimento dei creditori non deve necessariamente intervenire attraverso la

corresponsione di una somma di denatura, potendo essere preveduto “attraverso qualsiasi

forma”: ed il soddisfacimento dei creditori assisiti da cause di prelazione può non essere

integrale ed essere correlato alla misura della capienza;

3) La valutazione della convenienza della soluzione concordataria e della sicurezza del

soddisfacimento dei creditori è rimessa ai destinatari della proposta, cioè ai creditori chiamati

ad accettarla a maggioranza, essendo rimesso dal tribunale, in sede di omologa, un controllo

officioso di mera legittimità ed un limitato controllo in caso di opposizione

.

4) Segue: b) l’iniziativa e le modalità di regolazione del dissesto.

Con la riforma la legittimazione a proporre un concordato fallimentare è stata riconosciuta, oltre che

al fallito, anche a uno o più creditori o un terzo. Anzi mentre agli altri legittimati è stata riconosciuta

la proponibilità del concordato anche prima della verifica dello stato passivo “purché sia stata tenuta

la contabilità ed i dati da essa risultanti e le altre notizie disponibili consentano al curatore di

predisporre un elenco provvisorio dei creditori da sottoporre all‟approvazione del giudice delegato”,

al fallito, è stata offerta soltanto una finestra di accesso circoscritta che la domanda non può essere

presentata “se non dopo il decorso di una anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano

decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”. La limitazione è volta ad

incentivare l‟utilizzazione della procedura alternativa di concordato preventivo.

La proposta di concordato può però prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei

crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni

straordinarie, ivi compresa l‟attribuzione ai creditori, azioni, quote ovvero obbligazioni.

Il d.lgs. n. 5/2006 prevedeva il riconoscimento anche al curatore della legittimazione a proporre il

concordato, possibilità espressamente riconosciuta dalla legge occasionata dalla crisi Parmalat.

La possibilità di articolare la proposta di concordato attraverso un largo spettro di alternative è

certamente frutto di un‟apprezzabile scelta volta a favorire la massima valorizzazione

dell‟autonomia delle pattuizioni concordatarie; per le imprese di dimensioni non particolarmente

rilevanti è prevedibile che il soddisfacimento dei creditori verrà programmato con il pagamento di

somme di denaro.

5) Segue: c) il trattamento dei creditori chirografari e la suddivisione in classi

Si è preso atto della possibilità che i creditori aventi la medesima posizione giuridica possano avere

interessi economici non omogenei , sul modello della disciplina statunitense della reorganisation e

di

quella tedesca dell‟Insolvenzplan, si è preveduta la possibilità di suddividere i creditori in classi

secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei; e di trattamenti differenziati fra

creditori appartenenti a classi diverse.

Confinando casi, il principio di parità di trattamento nell‟ambito delle singole classi, la possibilità di

soddisfacimento dei creditori “attraverso qualsiasi forma” consente ora di prevedere per i creditori

Page 59: Diritto Fallimentare Guglielmucci

delle differenti classi trattamenti differenziati non soltanto per la misura del soddisfacimento, ma

anche per la forma del soddisfacimento.

6. Segue: d) il trattamento dei creditori muniti di diritto di prelazione e la suddivisione in

classi

Una delle più significative innovazioni della riforma è costituita dalla possibilità di prevedere il

soddisfacimento non integrale dei creditori muniti di diritto di prelazione.

La disciplina preveduta in proposito prima del decreto correttivo dal 4° comma dell‟art. 125

riguardava nella prima parte i creditori muniti di diritto di prelazione su beni determinati. La norma

prevedeva infatti che ai creditori muniti di prelazione potesse essere proposto un soddisfacimento

non integrale, purché “in misura non inferiore a quella realizzabile, sul ricavato in caso di vendita,

avuto riguardo al valore di mercato attribuibile al cespite o al credito oggetto della garanzia”.

Con il decreto correttivo la norma è stata formulata in termini più ampi statuendosi che la proposta

può prevedere che “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti

integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella

realizzabile, riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di

prelazione”.

Si è inteso riconoscere la possibilità di “offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori

muniti di privilegio speciale, ma anche a quelli muniti di privilegio generale.

Un soddisfacimento non integrale di creditori muniti di privilegio generale poi non può essere

aprioristicamente ritenuto incompatibile con una valutazione positiva di convenienza della

soluzione

concordataria.

Il pagamento di una percentuale certa 8ed elevata) in tempi brevi può essere considerata, da un

punto

di vista economico, una misura di soddisfacimento non inferiore al possibile, ma non certo,

pagamento integrale e nei tempi scanditi dalla liquidazione concorsuale: la proposta potrebbe allora

trovare probabilmente il consenso della maggioranza dei creditori della classe in questione.

Per quanto concerne i creditori muniti di diritto di prelazione su cespiti determinati, è evidente che

una omogeneità assoluta di intessi economici è difficilmente configurabile.

7) Segue: e) dalla proposta all’omologazione del concordato

La proposta di concordato è presentata con ricorso al giudice delegato, il quale chiede il parere del

curatore “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie

offerte”; al fine di consentire una valutazione, da parte dei creditori chiamati a votare sulla proposta,

della convenienza della soluzione concordataria rispetto alla liquidazione concorsuale.

Solo se contiene condizioni differenziate per singole classi di ceditori la proposta è rimessa

preliminarmente al vaglio del tribunale (supra, § 5) che è chiamato a verificare il corretto utilizzo

dei

criteri di su suddivisione in classi e la razionalità del proposto trattamento differenziato.

Altrimenti la sottoposizione della proposta alla votazione dei creditori è condizionata unicamente al

parere favorevole del comitato dei creditori. Secondo la formulazione introdotta con il d. lgs. n.

5/2006 la proposta di concordato poteva essere sottoposta al voto dei creditori previo “parere

favorevole del curatore”.

Ma si trattava di previsione in controtendenza rispetto ad un sistema nel quale si è inteso rimettere

le

valutazioni di merito ai creditori.

Superato il vaglio preliminare la proposta va comunicata ai creditori per l‟espressione del voto, con

l‟indicazione del termine, fissato dal giudice delegato, per far pervenire le eventuali dichiarazioni di

dissenso.

La proposta di concordato, può essere presentata anche prima della verifica dello stato passivo ed in

tal caso il diritto di voto spetta ai creditori che risultano dall‟elenco provvisorio approvato dal

giudice delegato; altrimenti il diritto di voto spetta ai creditori ammessi, ancorché solo

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provvisoriamente o con riserva.

Come prima della riforma si applica la regola del silenzio-assenso.

Essendo stata soppressa la previsione, contenuta nella precedente normativa, di un duplice

maggioranza (assoluta per capi e qualificata per quote d‟interessi), il concordato è approvato, “se

riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al

voto”

(art. 128, 1°), mentre in caso di suddivisione in classi ”se nel maggior numero di classi riporta il

voto

favorevole dei creditori che rappresentano in ciascuna di esse la maggioranza dei crediti ammessi al

voto”.

Prima del decreto correttivo per l‟approvazione del concordato era richiesto il raggiungimento della

maggioranza di tute le classi prevedendosi che, in difetto, il concordato si potesse considerare

egualmente approvato se il dissenso fosse ingiustificato o valutabile come ostruzionismo. Occorreva

a tal fine la richiesta del proponente il concordato e che: 1) fosse stata raggiunta la maggioranza

generale dei crediti ammessi al voto; 2) vi fosse l‟assenso della maggioranza delle classi; 3) i

creditori appartenenti alle classi dissenzienti potessero risultare soddisfatti nel concordato in misura

non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Con il decreto correttivo è stata ritenuta sufficiente l‟approvazione da parte della maggioranza delle

classi prevedendosi in tal caso, in difetto di opposizioni ad omologa, l‟omologazione con decreto

non soggetto a gravame.

La procedura di omologazione rimane così estremamente semplificata. Acquista una relazione del

giudice delegato sull‟esito della votazione il tribunale, se la proposta è stata approvata, dispone la

comunicazione dell‟esito della votazione all‟opponente perché richieda l‟omologazione, al fallito ed

ai creditori dissenzienti fissando un termine per la proposizione di eventuali opposizioni con

ricorso,

ed il deposito del parere definitivo del comitato dei creditori. Le alternative, a questo punto, sono

due:

a) Non vengono proposte opposizioni: in tal caso il tribunale, verificata la regolarità della

procedura e l‟esito della votazione, provvede all‟omologa con decreto non soggetto a

gravame.

b) Vengono proposte opposizioni: in tal caso il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle

parti o disposti d‟ufficio, provvede con decreto impugnabile con reclamo e successivo ricorso

per cassazione nel termine dimidiato di 30 giorni. I motivi di opposizione non possono

riguardare la convenienza del concordato, salvo che un creditore di una classe dissenziente

invochi la non convenienza per la classe.

8) Segue: f) l’esecuzione del concordato

Con la riforma si è statuito che la proposta di concordato diviene efficace quando il decreto di

omologa diviene definitivo. Eliminato l‟inconveniente della provvisoria esecutività emerge però un

altro inconveniente, quello della possibile alterazione dell‟economia del concordato, essendo

evidente che la corresponsione di una percentuale subito dopo il decreto di omologa non è

equivalente alla corresponsione della stessa percentuale dopo l‟esaurimento delle impugnazioni.

Poiché il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al fallimento all‟esecuzione si

procede provvedendo al soddisfacimento nella misura e nelle forme previste dalla proposta di

concordato: 1) dei creditori ammessi; 2) dei creditori opponenti e tardivamente insinuanti, previo

accertamento del loro credito nelle forme del giudizio ordinario; 3) dei creditori che non avevano

richiesto l‟ammissione allo stato passivo, anche in tal caso previo accertamento del loro crdfito

nelle

forme del giudizio ordinario.

Come prima della riforma alla sorveglianza dell‟esecuzione del concordato sono chiamati il giudice

delegato, il curatore ed il comitato dei creditori.

Se il concordato viene eseguito il fallito rimane sdebitato. Tuttavia i creditori conservano la loro

Page 61: Diritto Fallimentare Guglielmucci

azione per l‟intero credito contro i coobbligati, i fideiussori del fallito e gli obbligati in via di

regresso.

Se il concordato non viene eseguito, ne può essere disposta la risoluzione.

La risoluzione può essere pronunciata sul ricorso di uno o più creditori. Con il decreto correttivo è

stata esclusa l‟ammissibilità di una pronuncia d‟ufficio della risoluzione.

L‟accordo concordatario può essere travolto anche da una pronuncia di annullamento. Presupposto

dell‟annullamento è che sia “stato dolosamente esagerato il passivo ovvero sottratta o dissimulata

una parte rilevante dell‟attivo”, quindi un comportamento doloso atto ad influenzare la valutazione

di convenienza del concordato. L‟annullamento può essere pronunciato su istanza di uno o più

creditori od anche dal curatore. La soluzione non è coerente con l‟esclusione di ogni sindacato del

curatore sulla proposta di concordato.

L?esigenza di stabilità degli accordi concordati, giustifica la previsione di termini sensibilmente più

brevi di quelli cui sono soggette le azioni di risoluzione e di annullamento dei contratti. La

risoluzione deve infatti essere richiesta – non più pronunciata, com‟era stabilito in precedenza –

entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l‟ultimo adempimento previsto nel concordato

e

l‟annullamento nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e in ogni caso non oltre due anni dalla

scadenza dell‟ultimo pagamento stabilito nel concordato.

La maggiore semplicità degli accertamenti richiesti in caso di istanza di risoluzione stava a

fondamento, prima della riforma, della previsione della trattazione delle domande di risoluzione in

un procedimento camerale e di quelle di annullamento in un ordinario procedimento contenzioso.

Nel quadro della tendenza alla semplificazione, cui è ispirata la riforma, sia per la domanda di

risoluzione che per quella di annullamento è stata preveduta la trattazione nelle forme del

procedimento camerale.

Sia il decreto di risoluzione, che quello di annullamento – che sono impugnabili con reclamo alla

corte d‟appello,ma sono comunque provvisoriamente esecutivi – determinano la riapertura del

fallimento. Nel fallimento aperto trova applicazione la disciplina preveduta per gli altri casi di

riapertura. Il principio di stabilità delle riscossioni opera anche per i pagamenti effettuati ai creditori

dai garanti del concordato ed anzi “i creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora

ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato”.

La riapertura del fallimento non pregiudica la possibilità di proporre un nuovo concordato, che a

questo punto, deve essere assistito da garanzie che offrano la massima sicurezza. E‟ infatti richiesto

che prima dell‟udienza di omologa devono essere depositate “le somme occorrenti per il suo

integrale adempimento o… prestate garanzie equivalenti”.

9) L’esdebitazione “per buona condotta”

Dell‟esdebitazione per concordato – che viene accettato dai creditori in base ad una valutazione do

convenienza – possono beneficiare tutti gli imprenditori, ivi comprese le società, che possono

pertanto sopravvivere alla cessazione della procedura fallimentare.

Con la riforma è stata però preveduta un‟esdebitazione, limitatamente però alle persone fisiche,

anche in caso di cessazione del fallimento non fondata su un accordo concordatario, sulla base di un

giudizio positivo di meritevolezza.

L‟istituto dell‟esdebitazione, che affonda le sue origini nell‟esperienza statunitense del discharge, è

ormai comune alle legislazioni europee più recenti ed è volto a favorire il reinserimento

dell‟insolvente nell‟attività produttiva. Può essere preveduto a fronte di un vantaggio anche oper i

creditori – come nell‟ordinamento tedesco, nel quale il beneficio dell‟esdebitazione può essere

accordato solo se il debitore cede i suoi futuri guadagni, per un certo numero di anni, ad un

fiduciario affinché lo ripartisca fra i creditori.

Il beneficio dell‟esdebitazione può essere accordato come misura premiale di un comportamento

collaborativo con gli organi della procedura, che viene specificato ai n. 1), 2) e 3) del 1° comma

dell‟art. 142. Occorre che siano stati soddisfatti almeno in parte i creditori concorsuali: nel corso dei

lavori della Commissione Trevisanato era stata prevista una soglia minima di soddisfacimento dei

Page 62: Diritto Fallimentare Guglielmucci

creditori chirografari e si prevedeva come condizione per l‟esdebitazione il soddisfacimento almeno

al 25% dei creditori chirografari.

Con la riforma attuata con il d. lgs. N. 5/2006 si è eliminata la previsione di una percentuale

minima, ma la previsione del soddisfacimento “almeno… in parte” si deve ritenere continui ad

essere riferita ai creditori chirografari. Poiché, allora, l‟attribuzione di una sia pur minima

percentuale ai creditori chirografari presuppone il previo soddisfacimento integrale dei creditori

muniti di diritto di prelazione, il beneficio dell‟esdebitazione non potrà essere accordato nei non

infrequenti casi nei quali il fallimento si chiuda con un riparto a favore soltanto di creditori

privilegiati.

Costituiscono, poi, condizioni ostative alla concessione dell‟esdebitazione l‟averne già beneficiato

nel decennio precedente, l‟aver subito condanne penali per determinati delitti e, l‟avere cagionato o

aggravato il dissesto, ancorché per tali comportamenti non sia intervenuta condanna penale.

L‟esdebitazione può essere accordata con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso che va

presentato entro l‟anno successivo alla chiusura. Il provvedimento, che il tribunale emana sentiti il

curatore e il comitato dei creditori, può essere impugnato con reclamo alla corte d‟appello dal

debitore il cui ricorso sia stato rigettato, nonché dai creditori non integralmente soddisfatti, dal

pubblico ministero e da qualunque interessato.

Come l‟esdebitazione per concordato, anche l‟esdebitazione “per buona condotta” non determina

l‟estinzione dei debiti residui. Infatti l‟art. 143, 1° comma, specifica che il tribunale “dichiara

inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti

integralmente” e restano salvi i diritti nei confronti di coobbligati, fideiussori e obbligati in via di

regresso.

L‟esdebitazione non opera per gli obblighi di mantenimento e alimentari e per le obbligazioni

derivanti da rapporti estranei all‟esercizio dell‟impresa, nonché per i debiti da illecito

extracontrattuale e le sanzioni penali e amministrative.

CAPITOLO NONO

FALLIMENTO DELLE SOCIETA’ 1) Società di capitali: a) i soci

Nelle società di capitali la responsabilità dei soci di regola è limitata. Essi possono essere chiamati

soltanto ad eseguire versamenti ancora dovuti per le quote o azioni sottoscritte all‟atto della

costituzione della società o di successivi aumenti di capitale: il versamento può essere richiesto “ai

soci… e ai precedenti titolari delle quote o delle azioni”, che non possono quindi invocare il

beneficium excussionis, “quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento”. Ove il

socio non vi provveda si può procedere nelle forme del giudizio ordinario o, in alternativa, in quelle

d‟ingiunzione emessa dal giudice delegato, su proposta del curatore. Il decreto del giudice delegato

non è impugnabile ex art. 26, ma, essendo un vero e proprio decreto ingiuntivo, è impugnabile nelle

forme e nei termini preveduti dal codice di rito per l‟opposizione ad ingiunzione.

Solo eccezionalmente nelle società di capitali il socio può rispondere illimitatamente dei debiti della

società. La responsabilità illimitata può essere istituzionale (azionista accomandatario) od

occasionale (unico azionista).

Mentre nel primo caso è stata sempre pacifica l‟assoggettabilità a fallimento del socio

illimitatamente responsabile – quindi dell‟azionista accomandatario – nel caso in cui l‟assunzione di

responsabilità illimitata fosse occasionale era controversa l‟estensione al socio del fallimento della

società. La giurisprudenza di legittimità – in contrasto con il prevalente orientamento della

giurisprudenza di merito – aveva affermato che la previsione, contenuta nel 1° comma dell‟art. 147,

secondo la quale la sentenza che dichiara il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, si

riferisce a quelle società che sono strutturalmente conformate in modo da comportare la

responsabilità solidale e illimitata dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni

contratte: cioè la società in nome collettivo, la società accomandita semplice, la società di fatto e la

società accomandita per azioni. Con la riforma questa soluzione è stata legislativamente recepita e

si

Page 63: Diritto Fallimentare Guglielmucci

è statuito che la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi

regolati nei capitoli III (società in nome collettivo), IV (società in accomandita semplice) e VI

(società in accomandita per azioni), produce anche il fallimento dei soci illimitatamente

responsabili.

2. Segue: b)gli organi di amministrazione e controllo

Se i soci di società di capitali rispondono, di regola, soltanto nei limiti dei loro conferimenti, ben

diversa è la posizione di coloro cui è stata affidata la gestione e il controllo della società.

Secondo la disciplina vigente sino all‟entrata in vigore del d. lgs. 17 gennaio 2003, n.6, ai

liquidatori

e- dopo il verificarsi si un fatto che determinava lo scioglimento della società- agli amministratori

era fatto divieto di intraprendere nuove operazioni; ed in caso di violazione del divieto essi

assumevano responsabilità solidale ed illimitata per gli affari intrapresi.

La nuova normativa ha abbandonato il riferimento alle nuove operazioni, considerato ambiguo, ed

ha preveduto, a carico degli amministratori, l‟obbligo di provvedere senza indugio ad un

adempimento pubblicitario, nonché l‟obbligo di gestire la società ai soli fini della conservazione

dell‟integrità e del valore del patrimonio sociale. Alla violazione di questi obblighi consegue la

responsabilità solidale degli amministratori per i danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori

sociali e ai terzi. La responsabilità degli organi di amministrazione è, dunque, in ogni caso

esclusivamente una responsabilità per danni.

Scendendo ora all‟esame del problema della responsabilità degli organi di amministrazione e di

controllo, occorre preliminarmente ricordare che mentre prima della riforma la disciplina era

sostanzialmente la stessa sia per le società per azioni, cje per le società a responsabilità limitata, con

il d. lgs. n. 6/2003 è stata preveduta, nei due tipi di società, una disciplina profondamente

differenziata.

Nelle società per azioni infatti, sono prevedute un‟azione sociale di responsabilità volta ad ottenere

il

risarcimento, da parte della società, dei danni cagionati al patrimonio sociale – azione che ora può

essere esercitata anche da una minoranza qualificata- e un‟azione di responsabilità dei creditori

sociali, che può essere promossa dai creditori per violazione degli obblighi inerenti all‟integrità de

patrimonio sociale, quando risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti, cioè vi sia stata

lesione della garanzia patrimoniale generica.

Nelle società a responsabilità limitata, viceversa, è espressamente disciplinata soltanto l‟azione

sciale di responsabilità, che può essere esercitata dai singoli soci, non anche un‟azione dei creditori

sociali per lesione della garanzia patrimoniale. Nel disciplinare nell‟art. 146, 2° comma, la

legittimazione all‟esercizio delle azioni di responsabilità in caso di fallimento, attribuendola come

in

precedenza al curatore, è stata adottata “una formulazione aperta in virtù della quale lasci cioè gli

interpreti di stabilire se il curatore possa esercitare solo l‟azione di responsabilità sociale o anche

quella dei creditori sociali”.

Occorre ricordare, che accanto all‟azione sociale di responsabilità ed all‟azione di responsabilità dei

creditori sociali era in precedenza preveduta ed è tuttora preveduta un‟azione di responsabilità

spettante al singolo socio o al terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi

degli amministratori (art. 2476, 6° comma, c.c. novellato).

Orbene, mentre è sempre stata pacifica la legittimazione del curatore all‟esercizio dell‟azione

sociale

di responsabilità e dell‟azione di responsabilità dei creditori sociali altrettanto pacifica era

l‟esclusione della legittimazione del curatore all‟esercizio dell‟azione di responsabilità per danni

cagionati non al patrimonio sociale e quindi alla collettività dei creditori, ma direttamente ai soci o

ai

terzi.

Sennonché l‟art. 146, 2° comma, dopo avere preveduto alla lett. a) la legittimazione del curatore

Page 64: Diritto Fallimentare Guglielmucci

all‟esercizio delle “azioni di responsabilità” senza specificare a quali azioni intenda riferirsi,

attribuisce inoltre ala curatore, alla lett. b), la legittimazione all‟esercizio anche dell‟ “azione di

responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall‟art. 2476:

quest‟ultima norma si riferisce all‟azione prevista dal 6° comma dell‟art. 2476, del socio o del terzo

direttamente danneggiato.

La formulazione costituisce l‟eco di un dibattiti svoltosi in seno alla Commissione Trevisanato, che

aveva portato la maggioranza a proporre l‟attribuzione al curatore “il potere di esercitare tutte le

azioni di responsabilità ad eccezione di quelle che spettano ai soci, nell‟interesse proprio, nonché ai

terzi, in quanto non creditori” al fine di “privilegiare le aspettative del ceto creditorio rispetto a

quelle dei terzi; dissenziente essendo stata la minoranza la quale – come si legge, sempre, nella

Relazione generale – aveva ritenuto che le regole siano interamente ed adeguatamente contenute,

nella recente legge societaria e pertanto sia inopportuno ripeterle e ancor più modificarle a così

breve

distanza”.

La responsabilità grava, in primo luogo, su colui o coloro che abbiano posto in essere l‟atto dal

quale è derivato il danno, ma, ove si tratti di organo collegiale (consiglio di amministrazione), non

si estende a coloro che, essendo immuni da colpa, abbiano fatto annotare il loro dissenso nel libro

delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediatamente notizia per iscritto al

presidente del collegio sindacale. Se l‟atto dal quale è derivato il danno è stato compiuto da un

organo delegato sono chiamati a rispondere, in solido, i componenti dell‟organo delegante per

violazione dei doveri su di essi incombenti: la principale novità della riforma è costituita, a questo

proposito, dall‟abolizione, per l‟organo delegante, dell‟obbligo di vigilare sul generale andamento

della gestione.

Il principio della responsabilità solidale con colui e con coloro cui siano direttamente riferibili gli

atti

e le omissioni da cui sia derivato il danno, di coloro cui siano affidate funzioni di vigilanza trova,

poi, applicazione ai componenti del consiglio di sorveglianza ed ai sindaci.

Nelle società a responsabilità limitata è altresì preveduta la responsabilità solidale con gli

amministratori dei soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti

dannosi.

I danni risarcibili, in conformità alla disciplina generale dell‟illecito sono quelli che costituiscono la

conseguenza immediata e diretta della violazione. Quando l‟azione di responsabilità viene esercitata

nel fallimento emerge talora la tendenza a quantificare il danno in misura corrispondente alla

differenza tra passivo ed attivo: il ricorso a tale criterio può però essere giustificato tutt‟al più “se

per

fatto imputabile agli amministratori si sia venuto a verificare il dissesto economico della società e il

conseguente assoggettamento a fallimento”.

Ma il criterio di quantificazione del danno in misura pari alla differenza tra passivo ed attivo è

inesatto se riferito all‟azione sociale di responsabilità: dovendosi temer conto non soltanto del

pregiudizio derivato dai creditori ma anche di quello dei soci che hanno visto volatilizzarsi il loro

investimento. In ordine ai danni risarcibili occorre poi ricordare che gli organi di vigilanza

rispondono in solido con gli amministratori “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi

avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica”.

La nuova normativa introdotta con il d. lgs. n. 6/2003 prevede poi una responsabilità delle società

ed enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società ove abbiano agito

nell‟interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione

societaria

e imprenditoriale delle società medesime. Dette società ed enti sono responsabili: a) nei confronti

delle società cui si riferisce l‟attività di direzione e coordinamento; b) nei confronti dei creditori

sociale “per la lesione cagionata al patrimonio sociale”.

La responsabilità è esclusa in presenza di “vantaggi compensativi”.

Page 65: Diritto Fallimentare Guglielmucci

In caso di fallimento è prevista la sostituzione del curatore dell‟azione spettante ai creditori sociali

non a quella spettante ai soci.

Con la riforma è stata modificata la disciplina processuale dei procedimenti in materia societaria.

Resta ferma la composizione collegiale del tribunale chiamato a decidere sulle azioni di

responsabilità, ma è previsto uno snellimento del procedimento.

La legge fallimentare del 1942, al fine di favorire una più tempestiva adozione di provvedimenti

cautelari, prevedeva che “il giudice delegato, nell‟autorizzare il curatore a proporre l‟azione di

responsabilità, può disporre le opportune misure cautelari”. Nel quadro della tendenza- cui si ispira

la riforma – ad evitare la commistione nel giudice delegato di poterti gestori, èn ritenuta

incompatibile la disposizione da parte del giudice delegato. Pertanto le misure cautelari, anche

quando l‟azione di responsabilità è esercitata dal curatore, dovranno essere richieste al giudice

competente secondo le regole ordinarie.

3)Segue: c) i patrimoni destinati

Nelle società per azioni è stata preveduta la possibilità di costituire patrimoni destinati in via

esclusiva ad uno specifico affare. Trattasi – come si legge nella Relazione al d,lgs, n, 6/2003,sub

10- di uno strumento “operativamente equivalente alla costituzione di una nuova società, col

vantaggio della eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa”:

L‟elemento comune è rappresentato dalla autonomia patrimoniale che caratterizza i patrimoni

destinati e si traduce nella destinazione esclusiva del patrimonio separato al pagamento dei

debito relativi all‟affare e dall‟altro nell‟esclusione, salva diversa previsione dell‟atto costitutivo

del patrimonio separato , di una responsabilità della società per i debiti relativi all‟affare: con la

sola eccezione delle obbligazioni derivanti da fatto illecito. Può capitare che la società può venire

a trovarsi in stato di insolvenza, mentre il patrimonio separato rimane in grado di far fronte

regolarmente alle obbligazioni relative all‟affare cui è destinato. Se la società fallisce, il curatore

è investito della sua amministrazione, cui deve provvedere, “con gestione separata”. Deve poi

provvedere alla liquidazione del cespite e può farlo cedendo a terzi il patrimonio destinato

comprensivo di attività e passività o liquidando il patrimonio secondo le regole della

liquidazione della società.

I creditori concorsuali della società verranno così a beneficiare nel primo caso del corrispettivo

della cessione al netto dei debiti del patrimonio e nel secondo caso del residuo attivo della

liquidazione.

Speculare è quello dell‟insolvenza del patrimonio separato cui non si accompagni l‟insolvenza

della società. Occorre ricordare, in proposito, che la legge delega imponeva al legislatore

delegato di “consentire che la società costituisca patrimoni dedicati…; disciplinare il regime di

responsabilità per le obbligazioni riguardanti detti patrimoni e la relativa insolvenza”:

Il legislatore delegato, viceversa, non ha regolato l‟insolvenza dei patrimoni destinati,

limitandosi a prevedere che “nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le

obbligazioni contratte per lo specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori

possono chiederne la liquidazione”.

Tuttavia si riteneva ammissibile una liquidazione concorsuale, cioè l‟assoggettamento a

fallimento del patrimonio separato. A questa considerazione si aggiungeva quella, di carattere

dogmatico, dell‟inapplicabilità della disciplina fallimentare – la quale, “presuppone la

sussistenza di significativi dati soggettivi”- al patrimonio destinato che nonsi configura come

soggetto diverso dalla società.

L‟ammissibilità, anche nel nostro ordinamento, del fallimento di un patrimonio separato, aveva

peraltro trovato ampi consensi in dottrina; e nello scheda di disegno di legge di riforma delle

procedure concorsuali era espressamente preveduta una procedura di liquidazione concorsuale

del patrimonio destinato.

Senonché con l‟art. 20 si è statuito quanto segue: “In tal caso, si applicano esclusivamente le

disposizioni sulla liquidazione della società in quanto compatibili “ e la precisazione è stata

introdotta per “escludere che il patrimonio separato possa essere dichiarato insolvente e fallire

Page 66: Diritto Fallimentare Guglielmucci

autonomamente rispetto alla società che lo ha creato”.

Questa regola è stata ora ribadita dall‟art. 156.

4) Società di persone: a) fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili

Nel nostro ordinamento è preveduta la costituzione di società personali per l‟esercizio di

un‟attività commerciale nelle forme della società in nome collettivo e della società in

accomandita semplice: L‟esistenza di un rapporto sociale può tuttavia risultare anche dal

comportamento concludente di due o più persone, che consenta di individuare le componenti

essenziali della fattispecie (fondo comune, alea comune dei guadagni e delle perdite, affectio

societatis): in tal caso si è in presenza di una società di fatto, alla quale è applicabile la disciplina

preveduta per le società semplici.

Non è necessaria l‟esteriorizzazione del vincolo sociale: società occulta.

Il comportamento di due o più persone può ingenerare il convincimento che esse agiscono come

soci ed aesservi soltanto una società apparente.

Quando ad esercitare un‟attività commerciale è una società di persone in caso di insolvenza ad

essere assoggettata a fallimento è innanzitutto la società e – secondo la giurisprudenza – possono

fallire non soltanto le società regolarmente costituite e le società di fatto, ma anche le società

occulte. Per un‟esigenza di tutela dell‟affidamento, la giurisprudenza considera inoltre

assoggettabili a fallimento anche le società apparenti.

L‟art. 147, 1° comma, statuisce poi che “la sentenza che dichiara il fallimento di una società

appartenente ad uno dei tipi regolati del libro quinto del codice civile, produce anche il

fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili”.

a) Il fallimento del socio “prescinde dalla qualità di imprenditore e dall‟insolvenza del socio

medesimo. Per quanto riguarda, in particolare, lo stato di insolvenza, l‟attribuzione di rilevanza

esclusiva a quella della società è stata giustificata osservando che “da un punto di vista pratico è

evidente che se i soci lasciano giungere al fallimento la società, ciò è segno che non sono stati in

grado di di far fronte alle sue obbligazioni”: anche se ciò non è sempre vero e talora i soci

litigano fra di loro ed omettono di pagare i debiti della società pur essendo in grado di farvi

fronte.

b) L‟”estensione” al socio del fallimento della società è legata esclusivamente all‟esistenza del

vincolo sociale ed alla sua posizione di socio illimitatamente responsabile.

Con riguardo al primo profilo (esistenza del vincolo sociale) occorre ricordare che il vincolo

sociale può cessare per morte, recesso, esclusione o cessione delle quote. poiché l‟uscita dalla

società non può costituire un commodus discessus per evitare il proprio coinvolgimento nel

dissesto della società , può essere dichiarato fallito anche il socio receduto e la stessa regola vale

in ogni altro caso:a) di cessazione del vincolo sociale b) di cessazione della responsabilità

illimitata. L‟assoggettabilità a fallimento di chi ha perduto la qualità di socio o quella di socio

illimitatamente responsabile è però soggetta a limiti cronologici e con la riforma si è escluso che

il fallimento possa essere dichiarato “decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o

dalla cessazione della responsabilità illimitata.

5) Segue: b) estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili

Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili viene di regola dichiarato contestualmente al

fallimento della società con unica sentenza. Può tuttavia accadere che dopo la dichiarazione di

fallimento della società risulti l‟esistenza di altri soci illimitatamente responsabili ed è anzi

frequente che solo in un secondo momento si scopra l‟esistenza di soci occulti.

L‟istanza di estensione del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile può

essere presentata dal curatore, da un creditore o da un socio fallito.

Non è riconosciuta invece la legittimazione del pubblico ministero perchè l‟iniziativa pubblica è

preveduta per l‟assoggetamento a fallimento dell‟impresa insolvente.

Presupposto dell‟estensione è l‟accertamento del vincolo sociale o del comportamento dal quale

è derivata l‟assunzione di responsabilità.

Non sono espressamente disciplinati gli effetti dell‟estensione. Si deve considerare pacifico che

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lo spossessamento e gli effetti del fallimento si producono per il socio dalla data della sentenza

di estensione, E‟ dubbio soltanto se il dies a quo del periodo sospetto legale per l‟esercizio delle

azioni revocatorie decorra dalla data della dichiarazione di fallimento o se anche a tale effetto

rilevi la data della sentenza di estensione.

6) Segue. c) “trasformazione” del fallimento individuale in fallimento sociale

Con la riforma è stata espressamente considerato anche il caso in cui dopo la dichiarazione di

fallimento di un imprenditore individuale risulti che l‟impresa è riferibile ad una società di cui il

fallito è socio illimitatamente responsabili – si applicano le stesse norme processuali che

regolano l‟estensione al socio del fallimento già dichiarato di una società

Occorre però considerare che il tribunale è in tal caso chiamato non ed estendere ad altro

soggetto gli effetti della precedente sentenza, bensì a “rettificare” sostanzialmente quest‟ultima:

l‟accertamento della società implica infatti l‟identificazione quale imprenditore di un soggetto

diverso da quello originariamente dichiarato fallito.

Movendo dalla premessa che si tratta di una semplice correzione dell‟originaria sentenza si

afferma talora in dottrina che gli effetti retroagiscono al momento della dichiarazione di

fallimento dell‟imprenditore considerato individuale .

La “trasformazione” del fallimento individuale in fallimento sociale non sembra peraltro possa

essere considerata una semplice correzione dell‟originaria sentenza ed implica, anzi , non

soltanto l‟accertamento dell‟esistenza della società, ma anche quello della stessa insolvenza: la

società risponde anche dei debiti ad essa estranei, sicchè è almeno teoricamente possibile che,

considerando solo i debiti relativi all‟impresa, non sussista quell‟insolvenza che era stata

accertata tenendo conto anche degli altri debiti del soggetto ritenuto imprenditore individuale.

La sentenza produce pertanto effetti ex nunc. Rimangono però fermi gli effetti del fallimento del

socio dichiarato fallito come imprenditore individuale essendo assoggettabile a fallimento anche

l‟imprenditore apparente, per l‟impugnazione degli atti da lui compiuti i termini a ritroso

decorrono dalla sua dichiarazione di fallimento; e presupposto della revoca è la conoscenza del

suo stato di insolvenza e non di quello della società occulta: Per l‟impugnazione degli atti degli

altri soci i termini a ritroso decorrono dalla data della successiva dichiarazione di fallimento della

società occulta.

7) Segue: d) pluralità di fallimenti riuniti in un unico processo.

L‟autonomia patrimoniale che caratterizza le società di persone implica che il patrimonio della

società è destinato esclusivamente al soddisfacimento dei creditori sociali ed il patrimonio di

ciascun socio è destinato al soddisfacimento dei creditori sociali e dei creditori particolari del

socio medesimo. Ne consegue che, come statuisce l‟art. 148, 2° comma .l. fall, “il patrimonio

della società e quello dei singoli soci devono essere tenuti distinti”. Vi è dunque una pluralità di

fallimenti: Sono peraltro strettamente connessi, essendo volti al soddisfacimento dei creditori

d‟impresa, cioè dei creditori sociali. I fallimenti vengono perciò dichiarati, di regola,

contestualmente; vi vengono preposti lo stesso giudice delegato e lo stesso curatore; la

formazione delle masse passive va effettata in modo coordinato. Il fallimento della società ed i

fallimenti dei soi si configurano, quindi, come un processo cumulativo: Perciò – come si legge

nella Relazione del Guardasigilli alla legge fallimentare del 1942 – “si hanno più fallimenti

riuniti in un unico processo”.

Distinzione delle masse attive e delle masse passive.

L‟identificazione delle masse attive non presenta particolari problemi per le società regolarmente

costituite: l‟attivo della società è sostituito dai beni e diritti conferiti dai soci e dai beni e diritti

acquistati dalla società nell‟esercizio della sua attività; l‟attivo del fallimento di ciascun socio è

costituito dai beni e diritti non conferiti in società e se un bene fosse stato conferito in godimento

dovrebbe essere compreso nell‟attivo del fallimento del socio.

nelle società di fatto in quelle occulte, i conferimenti, vanno desunti dal comportamento

concludente dei soci ma non è agevole stabilire se vi sia stato conferimento in proprietà od in

godimento, la presunzione di appartenenza che si ricollega al possesso consente tuttavia di

Page 68: Diritto Fallimentare Guglielmucci

considerare compresi nel patrimonio sociale i beni mobili utilizzati per l‟esercizio dell‟impresa,

mentre i beni immobili si devono considerare compresi nel patrimonio del socio e conferiti

semplicemente in godimento poiché per il conferimento in proprietà è richiesta la forma scritta.

Prima della riforma si disputava se il privilegio generale spettante al credito verso la società si

estendesse anche al patrimonio personale del socio: Recependo un orientamento della

giurisprudenza di legittimità al 3à comma dell‟art. 148 novellato si è espressamente preveduta

l‟estensione del privilegio generale “anche nel fallimento dei singoli soci”.

Anche per le masse passive si pone il problema dell‟imputazione al fallimento sociale o ai

fallimenti dei socie. Nella società regolarmente costituite l‟imputazione dei debiti va fatta in

corrispondenza alla spendita del nome.

Nella società di fatto e nelle società occulte, nelle quali manca la spendita del nome, l‟unica

soluzione sembra quella di riferire alla società i debiti contratti per l‟esercizio dell‟impresa ed ai

soci i debiti ad esso estranei.

La loro connessione, non sono poi privi di rilievo per la cessazione dei fallimenti

La legge fallimentare, nel disciplinare il concordato fallimentare, statiche:

a) Ciascun socio può proporre un concordato ai creditori sociali e particolari concorrenti nel

proprio fallimento , in tal caso, cessa il fallimento di detto socio e proseguono quelli della società

e degli altri socie. l‟autonomia dei fallimenti si manifesta dunque nella possibilità della

cessazione separata, per concordato, del fallimento di uno o più soci.

b) Il concordato può essere proposto dalla società ed esso ha efficacia “anche di fronte ai soci”

ne comporta cioè la liberazione da responsabilità per i debiti della società, ferma restando

ovviamente la loro responsabilità verso i creditori particolari – “e fa cessare il loro fallimento”.

Se la norma dell‟art. 154 sul concordato del socio evidenzia l‟autonomia delle procedure, quella

dell‟art. 153 sul concordato della società ne sottolinea, invece, la connessione.

Anche nel caso di concordato della società, tuttavia, rimane aperta la possibilità che le procedure

connesse non cessino contemporaneamente:

Infatti l‟esdebitazione dei soci opera salvo patto contrario: può quindi essere proposta ai creditori

sociali la corresponsione di una percentuale conveniente rispetto a quella conseguibile nel

fallimento della società, con la conservazione del diritto alle quote di riparto destinate ad essere

attribuite dai fallimenti dei soci.

Colmando una lacuna nella previdente disciplina si è espressamente prevista la ripercussione sui

fallimenti dei soci della chiusura del fallimento della società, statuendosi che “la chiusura della

procedura di fallimento della società nei casi previsti dai numeri 1) e “9 determina anche la

chiusura della procedura estesa, salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una

procedura di fallimento come imprenditore individuale”

Se dunque vi è distinzione di masse attive e passive, l‟unitarietà del processo si manifesta nella

fase di apertura dei fallimenti connessi ed in quella di chiusura.

8) Società cooperative

le società cooperative sono ordinariamente soggette a liquidazione coatta amministrativa, ma

possono tuttavia essere dichiarate fallite se svolgono attività commerciale. In quest‟ultimo caso

vige il criterio della prevenzione, sicchè la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione

coatta amministrativa ed il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa prelude la

dichiarazione di fallimento.

Alle società cooperative si applicano le norme sulle società per azioni, salva la facoltà dell‟atto

costitutivo di prevedere l‟applicabilità, in quanto compatibili, delle norme sulle società a

responsabilità limitata quando il numero dei soci sia inferiore a venti o l‟attivo dello stato

patrimoniale non sia superiore ad un milione di euro. Pertanto in ordine alla responsabilità degli

organi di amministrazione e di controllo si richiama quanto illustrato a proposito delle società

per azioni e – quando l‟atto costitutivo prevede l‟applicazione delle norme sulle società a

responsabilità limitata – quanto illustrato a proposito di queste società.

CAPITOLO DECIMO

Page 69: Diritto Fallimentare Guglielmucci

LA COMPOSIZIONE STRAGIUDIZIALE 1) Composizione stragiudiziale e dimensioni delle imprese

La composizione stragiudiziale costituisce strumento di regolazione della crisi di imprese di

particolare rilievo per le quali è maggiormente avvertita l‟esigenza di conservazione dei complessi

produttivi: L‟esigenza di una composizione stragiudiziale si avverte principalmente quando la crisi

investe un gruppo. Infatti, anche se la crisi non investe necessariamente tutte le società del gruppo, è

abbastanza comune la ripercussione della crisi da una ad altra società in una sorta di effetto domino.

Ciò non significa, ovviamente, che un‟esigenza di composizione stragiudiziale no si possa porre

anche per società od imprese non inserite in un gruppo, anche se il percorso da seguire è. in tali casi,

assai più semplice.

2) le variabili modalità della composizione stragiudiziale

Le modalità di composizione stragiudiziale delle crisi sono differenti in primo luogo in relazione

alla

finalità perseguita, che può essere di risanamento, ma anche di liquidazione. In presenza di uno

stato

di crisi , infatti è innanzitutto essenziale “l‟accertamento dell‟opportunità di impiegare nuove risorse

per tentare di salvare quanto ancora esiste di vitale e produttivo, evitando peraltro il rischio di

sprecare tali risorse se l‟azienda è ormai irrecuperabile o di impiegare risorse sproporzionate

rispetto

ai limitati risultati attendibili”.

Le modalità sono poi influenzate da numerose variabili: cause della crisi e struttura patrimoniale

delle società operative; omogeneità o meno degli interessi dei creditori, ecc.

le cause della crisi consistono nella maggio parte dei casi in: a) errori strategici del gruppo di

comando;

b) eccessivo indebitamento;

c) crisi di mercato;

d) crescita eccessiva:

E‟ allora evidente, ad esempio, che un eccessivo indebitamento richiede quella che viene chiamata

“ristrutturazione del debito”; ma se si accompagna ad una crisi di mercato occorre pensare ad una

riconversione o alla liquidazione. La crisi, poi, può investire principalmente la holding, sicché la

soluzione può essere quella di mettere in liquidazione la holding e sostenere le società operative, per

trasferirle poi a terzi; o può investire principalmente una società operative, sicché la soluzione può

essere quella di acquisire sostenerla confidando poi di poter trasferire la società a terzi.

Gli interessi dei creditori, infine, non sono omogenei. Non è ravvisabile un‟omogeneità di interessi

fra i creditori che godono di garanzie reali o personali e gli altri creditori, fra banche e fornitori, ecc.

I creditori della holding poi, possono essere o meno anche creditori delle società operative, sicché si

possono rendere necessarie separate convenzioni.

3) La centralità della convenzione bancaria.

In ogni caso è rilevabile un‟omogeneità sotto due profili: Il primo è quello della centralità della

convenzione bancaria:

Da un lato, infatti, una composizione stragiudiziale della crisi non è pensabile senza l‟adesione al

piano della totalità o quanto meno di una significativa parte delle banche, dall‟altro può rilevarsi

sufficiente quando l‟entità dei crediti commerciali è modesta e se ne può prevedere il pagamento

integrale e senza dilazione.

Per quanto articolati e complessi siano i piani posti a fondamento delle convenzioni bancarie, gli

strumenti sono, per lo più, quelli tradizionali della moratoria e del concordato stragiudiziale.

La “ristrutturazione del debito” è uno strumento più sofisticato.

In genere i piani prevedono, anzitutto, onde risolvere la situazione di potenziale insolvenza, un

pacatum de non petendo.

Al partum de non petendo si accompagna, di regola, la riduzione e talora l‟azzeramento degli

interessi per il periodo di consolidamente, che implica, una rinuncia a parte del credito. Talora, poi,

Page 70: Diritto Fallimentare Guglielmucci

si rende necessaria anche una rinuncia a quote di capitale .

Altre volte poi è preveduta la conversione di quote di credito in capitale: Trattasi di misura adottata

nelle crisi di maggiore gravità e tuttavia più di frequente di quanto si possa pensare.

4) L‟iter della composizione stragiudiziale

L‟iter – i momenti essenziali possono così riassumersi:

a) individuazione delle cause della crisi ed evidenziazione della situazione reale, senza lasciarsi

prendere dalla tentazione di mascherarla con inopportune operazioni di manipolazione di bilanci;

b) scelta di un advisor, chiamato in primo luogo ad informare della crisi i soggetti i cui interessi

sono

coinvolti nella crisi e la cui credibilità possa costituire per essi una adeguata garanzia.

In questa fase l‟attenzione deve essere volta ed evitare comportamenti, da parte dei creditori, che

pregiudichino la prosecuzione dell‟attività d‟impresa e in definitiva, l‟attuazione del piano, come

l‟iscrizione di ipoteche giudiziali, manovre della concorrenza dirette a sottrarre clientela o il

personale più qualificato.

c) predisposizione del piano industriale e finanziario, che va elaborato con la supervisione

dell‟advisor e che è destinato a costituire la base della convenzione;

d) predisposizione della bozza di convenzione, volta a regolare il rapporto con le banche ed

eventualmente con gli altri creditori, che va inviata a cura dell‟advisor ed illustrata alle banche

creditrici ed eventualmente con gli altri creditori, che va inviata a cura dell‟advisor ed illustrata alle

banche creditrici ed eventualmente ali altri creditori ai quali viene richiesto un qualche sacrificio.

La proposta va discussa e, se del caso modificata, al fine di assicurare adesioni in misura non

inferiore al quorum.

e) dopo la sottoscrizione della convenzione occorre procedere alla attuazione del piano in

conformità

al programma, ponendo in essere gli accorgimenti necessari ad evitare manovre di distrurbo da

parte

degli altri creditori.

5) Finalità della composizione stragiudiziale

la composizione stragiudiziale delle crisi mira di regola al ripristino dell‟equilibrio finanziario ed al

salvataggio dell‟impresa non implica necessariamente il salvataggio dell‟imprenditore.

Si è già ricordato che una delle modalità del piano può essere quella della conversione di crediti in

capitale. l‟entrata delle banche nel capitale non soltanto consente un controllo dell‟impresa

“dall‟interno”, ma può preludere alla estromissione del gruppo di comando: il vecchio gruppo di

comando può, secondo i casi, mantenere la propria posizione di controllo o essere estromesso, fin

dal

principio nel corso dell‟operazione.

Non sempre la conservazione dell‟azienda o dei complessi aziendali è possibile e la composizione

stragiudiziale della crisi può essere programmata in funzione liquidativa del patrimonio.

CAPITOLO UNDICESIMO

IL CONCORDATO PREVENTIVO

1) Dalla legislazione del 1942 alla riforma del 2005

Lo strumento giudiziale di regolazione della crisi attraverso accordi con i creditori destinati ad

essere

perfezionati “sotto la protezione del tribunale” è il concordato preventivo. Prima della riforma

attuata con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35,convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80, il concordato

preventivo era concepito come strumento di prevenzione del fallimento, del quale poteva

beneficiare

l‟imprenditore “onesto e sfortunato” quando fosse in grado di assicurare ai creditori un

soddisfacimento apprezzabile. Perciò il concordato preventivo:

1) poteva essere proposta dell‟imprenditore insolvente

2) purché sussistessero determinati requisiti soggettivi, essenzialmente al fine di precludere ai

Page 71: Diritto Fallimentare Guglielmucci

professionisti del dissesto l‟accesso a quello che veniva considerato un beneficio

3) sempre che venisse assicurato ai creditori aventi prelazione del soddisfacimento integrale ed ai

creditori chirografari il pagamento di una percentuale che non soltanto fosse conveniente, ma

raggiungesse altresì almeno il 40%

Negli oltre sessant‟anni di applicazione della disciplina introdotta nel 1942 l‟interpretazione

giurisprudenziale e la prassi avevano modificato in qualche misura il quadro così risultante: Si era

infatti, gradatamente acquisita la consapevolezza:

- Della stanziale inidoneità delle limitazioni, fondate sulla richiesta di requisiti soggettivi per

l‟ammissione alla procedura, ad arginare il fenomeno dei professionisti del dissesta: Professionista

del dissesto non è infatti, di regola, l‟imprenditore individuale o l‟imprenditore in senso

giuridicoformale.

l‟imprenditore in senso economico che lascia tranquillamente fallire le società attraverso le quali

opera, per riprendere l‟attività con le altre società, alle quali magari fa acquistare dal fallimento i

beni maggiormente appetibili.

-Della possibile rispondenza all‟interesse dei creditori della conservazione dei complessi aziendali.

- Della esigenza di attenuare una rigida applicazione del principio della par condicio

Con la riforma del 2005 è stata definitivamente superata la concezione del comodato preventivo

come beneficio per l‟imprenditore e, eliminati i requisiti soggettivi di ammissibilità già preveduti

dal

1° comma dell‟art. 160 nonché il requisito della meritevolezza, è definitivamente emersa la priorità

dell‟interesse dei creditori e, in quanto ad esse collegato, di quello alla conservazione dei complessi

produttivi. In quest‟ottica è stata valorizzata al massimo l‟autonomia delle pattuizioni concordatarie.

Correlativamente è stato ridimensionato il tuolo del giudice, chiamato ad un mero controllo di

legalità, oltre a quello, di “terzo” chiamato a risolvere controversie.

2) Il presupposto oggetto del concordato

Il presupposto del concordato preventivo, secondo quanto statuisce il 1° comma dell‟art. 160, è lo

stato di crisi.

vi rientra indubbiamente lo stato di insolvenza,. E‟ un concetto più ampio che ricomprende oltre alla

temporanea difficoltà di adempiere anche:

- il rischio di insolvenza, che sussiste quando l‟imprendiator, pur essendo in grado di adempiere i

debiti scaduti è prevedibile che non sarà in grado di adempiere i debiti di prossima scadenza. Per

evitare un suo aggravamento e consentire la conservazione dei complessi produttivi, p quanto meno,

un miglio soddisfacimento dei creditori

- lo sbilancio patrimoniale o sovraindebitamento quando l‟imprenditore è una persona giuridica.

Trattasi di una situazione – espressamente prevista come presupposto di apertura della procedura

nell‟ordinamento tedesco

- diversa dall‟insolvenza (e dallo stesso rischio di insolvenza). il sovraintendimento implica, uno

squilibrio patrimoniale, cioè un‟eccedenza del passivo sull‟attivo. Tuttavia lo sbilancio patrimoniale

ove non vi si ponga riparo con operazioni di ricapitalizzazione può mettere a rischio il

soddisfacimento dei creditori;

- la riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale, che non è ancora sbilancio

patrimoniale, ma costituisce causa di scioglimento della società.

Non potendo i soci essere costretti ad optare per la ricapitalizzazione o la trasformazione della

società, l‟attività può proseguire al solo fine della conservazione del valore dell‟impresa e si deve

provvedere alla liquidazione.

Non sembra, invece, possa essere configurato uno stato di crisi in presenza di perdita di capacità

reddituale. Una procedura concorsuale non può infatti diventare strumentalmente un mezzo per far

pagare ai creditori il recupero della redditività.

3) La proposta di concordato: a) dal concordato nell’amministrazione straordinaria ai

concordati giudiziali.

La disciplina previdente era caratterizzata da notevole rigidità in quanto prevedeva il

Page 72: Diritto Fallimentare Guglielmucci

soddisfacimento dei creditori mediante pagamenti in denaro – in una percentuale per i creditori

chirografari di almeno il 40% - assicurati da serie garanzie reali o personali e con il rigoroso rispetto

del principio della par condicio.

L‟esigenza di affrontare la crisi delle imprese con strumenti più elastici aveva così indotto ad una

certa diffusione delle composizioni stragiudiziali, peraltro sottratte ad ogni controllo da parte di una

autorità giudiziaria od amministrativa.

Un salto di qualità è stato poi fatto con ò‟art.4 bis del d.l. 23 dicembre 2003 -proc di amm.straord._

occasionato dalla crisi della Parmalat, secondo il quale nel programma di ristrutturazione il

commissario straordinario può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato, di

cui deve indicare dettagliatamente le condizioni e le eventuali garanzie. In particolare, secondo

detta

normativa, il concordato può prevedere:

1) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica, o

giuridica, anche mediante accollo, fusione o altra operazione societaria; in particolare, la proposta di

concordato può prevedere l‟attribuzione ai creditori di azioni o quote, ovvero obbligazioni.

2) la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica ed interessi economici

omogenei

3) trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse.

La filosofia del risanamento mediante concordato viene in tal caso ad essere incentrata sul recupero

dell‟equilibrio gestionale nell‟esercizio di imprese regolando l‟insolvenza attraverso l‟atribuzione ai

creditori della partecipazione ai guadagni dell‟impresa risanata.

Il nesso di derivazione da questa norma dell‟art.160 novellato relativo al concordato preventivo e

poi

anche dell‟art. 124 relativo al concordato fallimentare è di tutta evidenza: L‟art. 160 statuisce infatti

che l‟imprenditore può proporre ai creditori un piano che può prevedere:

a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche

mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie.

b9 l‟attribuzione delle attività delle imprese interesste dalla proposta di concordato ad un assuntore;

possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipare o da costituire

nel

corso della procedura, le azioni delle quli siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto

del concordato. Statuisce poi la possibilità di suddivisione dei creditori in classi, con applicazione

del principio della par condicio solo nell‟ambito delle singole classi.

La disciplina del concordato preveduto per l‟amministrazione straordinaria delle imprese insolventi

nelle situazioni di crisi particolarmente rilevanti è divenuto, dunque, il modello del nuovo

concordato preventivo e poi anche del concordato fallimentare.

Ovviamente questa è soltanto una delle possibili ipotesi di soluzione concordataria della crisi ed è

forse destinata a non essere nemmeno la più frequente. Occorre, infatti, considerare in primo luogo

che l‟amministrazione straordinaria si applica ad imprese di dimensioni rilevanti nelle quali più

pressante è l‟esigenza del risanamento. Il concordato preventivo, viceversa, è preveduto per imprese

minori per le quali può apparire preferibile una soluzione liquidativa. Poi nell‟amministrazione

straordinaria la regia è affidata all‟autorità amministrativa e ad un organo, il commissario

straordinario, le cui proposte e valutazioni sono inevitabilmente destinate ad orientare la

maggioranza , e che il raggiungimento della maggioranza è agevolato dal criterio del

silenzioassenso;

mentre nel concordato preventivo la regia è affidata all‟imprenditore ed ai suoi

professionisti è presumibile che moti creditori, chiamati a dare un‟adesione espressa mostrino di

preferire soluzioni diverse da quella.

4) Segue: b) il piano di regolazione della crisi e le forme di soddisfacimento dei creditori

Mentre nella disciplina previdente l‟attenzione era incentrata essenzialmente sul soddisfacimento

dei creditori, da attuarsi mediante il pagamento garantito di una percentuale o con l‟abbandono ai

Page 73: Diritto Fallimentare Guglielmucci

creditori stessi del patrimonio del debitore, nella nuova normativa si è acquisita la consapevolezza

che il soddisfacimento dei creditori può dover passare attraverso l‟elaborazione di un piano di

regolazione della crisi.

Perciò l‟art. 160 novellato prevede che l‟imprenditore proporre ai credito un concordato preventivo

sulla base di un piano. Un piano che preveda le forme del loro soddisfacimento, ma - potendo il

soddisfacimento dei creditori dover passare attraverso una ristrutturazione aziendale - il piano può

essere diretto a consentire, unitamente alla riduzione dei crediti. Un piano che preveda abbandono

di

determinati settori di attività e potenziamento di altri, cambiamenti nel management, riduzione del

personale, apporto i danaro fresco da parte dei soci o di terzi ecc..

il piano può essere volto al risanamento dell‟impresa o alla conservazione dei complessi produttivi

attraverso il loro trasferimento a terzi o, ancora, alla liquidazione atomistica per il soddisfacimento

dei creditori.

In relazione all‟uno o all‟altra finalità possono essere prevedute differenti forme di soddisfacimento

dei creditori. Possono consistere, ad esempio, nella attribuzione di obbligazioni, ovvero nella

attribuzione di una partecipazione all‟impresa risanata.

Il soddisfacimento dei creditori può comunque essere programmato secondo gli schemi tradizionali

del concordato con garanzia , che preveda il pagamento di una determinata percentuale entro un

certo termine, con l‟avvertenza che rispetto al vecchio schema del concordato non è richiesto

nemmeno che il proponente il concordato offra “serie garanzie reali o personali”, ovvero quello del

concordato con cessione di beni ai creditori.

E‟ poi possibile proporre un concordato che preveda la cessione dei beni ad un assuntore, che potrà

essere un qualunque terzo interessato ad acquisire il complesso dei beni dell‟impresa in crisi, a

fronte

dell‟impegno a soddisfare i creditori mediante pagamenti. In tal caso il concordato con cessione dei

beni all‟assuntore diviene una variante del concordato con garanzia.

Con la riforma è stata contemplata – sul modello della disciplina statunitense e della disciplina

tedesca – la possibilità di prevedere al suddivisione dei creditori in classi secondo posizione

giuridica ed interessi economici omogenei ed un trattamento differenziato tra creditori appartenenti

a

differenti classi. La possibilità di suddivisione dei creditori in classi è preveduta anche per i crediti

muniti di privilegio, pegno od ipoteca, ai quali è possibile proporre un soddisfacimento non

integrale. Con il decreto si è provveduto ad uniformare sul punto la disciplina del concordato

preventivo a quella del concordato fallimentare.

5) Il ricorso per ammissione ed il controllo del tribunale

La proposta di concordato va presentata con ricorso al tribunale unitamente alla documentazione

elencata nell‟art. 161, 2° comma ed alla relazione di un professionista che attesti la veridicità dei

dati

aziendali e la fattibilità del piano.

La previdente norma dell‟art. 160, 1° comma, n. 1, prevedeva tra i requisiti soggettivi di

ammissibilità alla procedura di concordato la regolare tenuta della contabilità. L‟abrograzione in

toto

del 1° comma del previgente art. 160 consente ora di proporre un concordato preventivo anche a chi

abbia addirittura omesso di tenere le scritture contabili o racconti che sono andate distrutte e

addossa

ad un professionista scelto dall‟imprenditore,la responsabilità di attestare la veridicità dei dati

aziendali: Questo professionista non deve ovviamente limitarsi ad attestare la conformità dei dati

alle

risultanze delle scritture contabili, ma deve attestare che i dati sono reali.

Il professionista deve poi attestare la fattibilità del paino: il Professionista è dunque chiamato ad

effettuare valutazioni sulla concreta possibilità di esecuzione del piano sottoposto ai creditori, Se

Page 74: Diritto Fallimentare Guglielmucci

l‟imprenditore viene ammesso alla procedura di concordato preventivo sulla base di attestazioni non

corrette relative ai dati aziendali di valutazioni non corrette sulla fattibilità del piano, il

professionista, ove la non correttezza delle attestazioni e valutazioni gli siano imputabili a titolo di

dolo o di colpa, risponde dei danni.

Con il decreto correttivo è stata prevista la possibilità di concessione, da parte del tribunale di un

termine non superiore a 15 giorni “per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti”

e

si è statuito che “il tribunale, se all‟esito del procedimento verifica che nonricorrono le condizioni di

cui al primo ed al secondo comma dell‟art. 160, sentito il debitore in camera di consiglio, con

decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile al proposta di concordato”:

Un sindacato di merito è comunque preveduto per un profilo particolare quello del trattamento

differenziato dei creditori in caso di suddivisione in classi., La dizione, in proposito, dell‟art. 163,

comma, relativo al concordato preventivo, che prevede una “valutazione della correttezza dei criteri

di formazione delle diverse classi”, si differenzia da quella dell‟art. 125, 2° comma, relativa al

concordato fallimentare, che richiede la verifica del corretto utilizzo dei criteri.

Alla differente dizione non sembra doversi attribuire rilievo sostanziale.

In esito alle verifiche svolte il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta di concordato con

decreto non soggetto a reclamo: né, con ricorso per cassazione, stante la ripropobibilità di una

richiesta di ammissione a concordato:

La declaratoria di inammissibilità non implica automaticamente la dichiarazione di fallimento

perché

potrebbe non sussistere il presupposto dell‟insolvenza ( e nemmeno quella della qualità di

imprenditore fallibile) e perché comunque il tribunale non può procedere d‟ufficio., Perciò con il

decreto correttivo si è avuto cura di precisare che il fallimento viene dichiarato previo accertamento

dei presupposti di cui agli artt. l e 5 e “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico

ministero”.

Se il tribunale non ravvisa ostacoli provvede all‟ammissione alla procedura con decreto nonsoggetto

a reclamo, secondo decreto che non è nemmeno impugnabile con ricorso per cassazione sul

presupposto che anche nel nuovo sistema debba essere condivisibile l‟assunto della riesaminabilità

in sede di omologa.

Con il provvedimento di ammissione il tribunale nomina gli organi della procedura (giudice

delegato, commissario giudiziale) e convoca l‟adunanza dei creditori. Il tribunale dispone altresì il

versamento nel termine di 15 giorni di una somma che con il decreto correttivo è stata fissata nel

50% delle spese che si presumono necessarie per l‟intera procedura ovvero la mino somma, non

inferiore al 20% determinata dal giudice.

6) Gli effetti dell’ammissione ed il successivo ruolo degli organi della procedura

Per effetto dell‟ammissione ed a far data dalla presentazione del ricorso per ammissione alla

procedura è sancito il divieto di azioni esecutive e di acquisto di diritti di prelazione.

Per prevenire atti di malgoverno da parte del debitore è preveduto il cosiddetto spossessamento

attenuato – cioè l‟assoggettamento alla vigilanza del commissario giudiziale dell‟amministrazione

del patrimonio del debitore e dell‟esercizio dell‟impresa, nonché il divieto del compimento di atti

eccedenti l‟ordinaria amministrazione senza l‟autorizzazione del giudice delegato – durante la

procedura. Eliminata con il d. lgs n. 5/2006 la previsione della direzione del giudice delegato, è

rimasta la previsione della necessità dell‟autorizzazione del giudice delegato per gli atti eccedenti

l‟ordinaria amministrazione, sia pure con il temperamento della possibilità del tribunale dei stabilire

un limite della necessità dell‟autorizzazione del giudice delegato.

Lo spossessamento attenuato comporta l‟inefficacia degli atti compiuti “durante la procedura” senza

l‟autorizzazione del giudice delegato, se dovuta. Prima della riforma si escludeva l‟estensione al

concordato preventivo della norma dell‟art. 45 – relativa al fallimento – che sancisce l‟inefficacia

degli atti compiuti anteriormente per i quali non fossero state anteriormente poste in essere le

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formalità per rendergli opponibili ai terzi. Con il d.lgs. n. 5/2006 è stata espressamente preveduta

l‟inefficacia.

Nel corso della procedura e sino all‟apertura

della fase di omologa un ruolo di centralità è attribuito al commissario giudiziale: in un sistema nel

quale le valutazioni di merito sono riservate ai creditori, il commissario giudiziale costituisce lo

strumento per fornire agli interessati le necessarie informazioni, sia al fine dell‟espressione del voto

da parte dei creditori che vi siano legittimati, sia al fine dell‟eventuale opposizione ad omologa da

parte di chiunque vi abbia interesse.

Poiché, peraltro, sino al momento dell‟adunanza né ai creditori, né ad un organo che ne costituisca

l‟espressione, è consentito di interloquire.

Il commissario giudiziale conserva quindi la funzione di organo chiamato a sollecitare l‟intervento

dell‟autorità giudiziaria quando emerga il compimento da parte del debitore di atti fraudolenti volti

a

falsare la valutazione della proposta di concordato. o di atti di malgoverno durante la procedura

(compimento di atti non autorizzati)

L‟intervento del tribunale in tali casi, consiste nell‟interruzione traumatica della procedura di

concordato e nella dichiarazione di fallimento, ma non d‟ufficio, bensì “su istanza del creditore o su

richiesta del pubblico ministero”:

L‟art. 173, 3°comma prevede, inoltre, l‟intervento del tribunale “se, in qualunque momento risulta

che mancano le condizioni prescritte per l‟ammissibilità del concordato”: Su questa disposizione si

è

creduto di poter configurare un potere del tribunale di sindacare la non fattibilità del piano ma non

sembra agevole ricomprendere una verifica di merito sulla fattibilità del piano.

7) La deliberazione dei credito e l’omologa del concordato.

Sono rimaste invariate le norme che regolano la convocazione dei creditori, gli accertamenti del

commissario giudiziale e la relazione che il commissario medesimo è chiamato a depositare prima

dell‟adunanza dei creditori.

Lo svolgimento dell‟adunanza è disciplinato dalle vecchie norme e occorre richiamare l‟attenzione

su due aspetti.

Secondo quanto statuisce l‟art. 175. 1° comma, nell‟adunanza il commissario giudiziale illustra la

sua relazione e “le proposte definitive del debitore” se ne era desunto che la proposta ed il piano

sulla base del quale è formulata, potessero essere modificati sino all‟apertura dell‟adunanza.

Con il decreto correttivo si è statuito espressamente che “la proposta di concordato non può più

essere modificata dopo l‟apertura delle operazioni di voto”

E‟ rimasta immutata la disciplina dell‟ammissione al voto dei crediti contestati.

Il voto va espresso – personalmente o per delega - nell‟adunanza dei creditori.

La disciplina delle maggioranze necessarie per l‟approvazione del concordato e quella

dell‟omologazione sono state uniformate a quelle previste per il concordato fallimentare –

incisivamente modificate con il decreto corretto-

Se il concordato non viene omologato va contestualmente dichiarato il fallimento con separata

sentenza: ma, solo “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero” e previo

accertamento dei “presupposti di cui agli articoli 1 e 5”.

Se il concordato viene omologato, secondo quanto statuisce l‟art. 181, “la procedura di concordato

preventivo si chiude”: Alla norma non sembra potersi attribuire altro significato che quello della

immediata esecutorietà del provvedimento di omologo, in conformità alla previdente disciplina.

8) L’esecuzione del concordato

Dopo l‟omologazione del concordato ha inizio la fase di esecuzione, con riguardo alla quale sono

state conservate la norma dell‟art. 182 relativa ai provvedimenti in caso di cessione dei beni ai

creditori e quella dell‟art. 185 relativa alla sorveglianza dell‟esecuzione del concordato.

La cessione dei beni ai creditori, costituisce tuttora una delle possibili forme di concordato

preventivo e può riguardare anche soltanto la cessione di alcuni beni ed alcune classi di creditori. La

Page 76: Diritto Fallimentare Guglielmucci

norma dell‟art. 182, che disciplina la liquidazione giudiziale, ha carattere suppletivo ed è

presumibile

che la liquidazione o meno dei beni ceduti, le modalità di liquidazione ove la liquidazione sia

preveduta, la nomina di un comitato dei creditori ed il ruolo ad esso affidato vengano preveduti

nell‟accordo concordatario.

Occorre, invece, chiedersi se anche la sorveglianza dell‟esecuzione del concordato possa essere

disciplinata dall‟accordo concordatario, anzichè della norma dell‟ art. 185.

L‟art. 185 statuisce che il commissario giudiziale sorveglia l‟adempimento secondo le modalità

stabilite nella sentenza di omologa e riferisce al giudice ogni fatto dal quale possa derivare

pregiudizio ai creditori. Tuttavia l‟abolizione dell‟iniziativa officiosa per la risoluzione del

concordato riduce la persistente previsione della sorveglianza del commissario giudiziale a

strumento di informativa priva sostanzialmente di rilievo l‟informativa al giudice sui fatti dai quali

può derivare pregiudizio ai creditori.

la risoluzione – che può essere richiesta unicamente da uno o più creditori – suppone un

inadempimento. Con una norma preveduta per il concordato preventivo, non anche per il

concordato

fallimentare, con il decreto correttivo si è statuito che “il concordato non si può risolvere se

l‟inadempimento ha scarsa importanza”.

Chiedersi cosa accada quando emerga la non fattibilità del piano attestata all‟atto della

presentazione

della proposta e non messa in discussione nemmeno nel giudizio di omologa. A mio giudizio si

deve

ritenere la risolubilità del concordato anche quando la non fattibilità del piano dipenda da fatti

sopravvenuti non imputabili al debitore.

Con il decreto correttivo è stata poi soppressa la previsione della non risolubilità del concordato con

cessione dei beni “ se nella liquidazione dei beni si sia ricavata una percentuale inferiore al quaranta

per cento”.

La risoluzione del concordato opera retroattivamente, facendo venir meno l‟effetto esdebitatorio

dell‟accordo concordatario. L‟irripetibilità dei pagamenti conseguito in esecuzione dell‟accordo

concordatario si giustifica considerando che il carattere di atto dovuto del pagamento non può venir

meno per effetto della rimozione dell‟accordo concordatario.

Il concordato può essere altresì annullato nei termini e nelle forme previste per l‟annullamento del

concordato fallimentare.

9) Il fallimento consecutivo.

Esclusa l‟automaticità della dichiarazione di fallimento in caso di incidenti di percorso nella

procedura di concordato preventivo – ivi compresi la risoluzione o l‟annullamento del concordato

da

ultimo considerati – riamane ferma la doverosità, over risulti che la crisi in cui versava e versa il

debitore è costituita da uno stato di insolvenza, dalla segnalazione al pubblico ministero perché

presenti richiesta di fallimento.

Sussiste, quindi, la consecuzione di procedure concorsuali, non ostandovi la circostanza che

l‟accertamento dello stato di insolvenza sia contenuto soltanto nella sentenza dichiarativa di

fallimento. Residuano, quindi, due problemi:

a) quello del dies a quo del periodo sospetto legale per l‟impugnazione degli atti pregiudizievoli ai

creditori, posto che il decreto di ammissione a concordato preventivo non contiene

quell‟accertamento dello stato di insolvenza sul quale la giurisprudenza fondava la tesi della

retrodatazione.

b) quello della prededucibilità di debito contratti nel corso della procedura di concordato, che, dopo

l‟emanazione del d.lgs. n. 5/2006, si deve considerare risolto nel senso della prededucibilità, posto

che l‟art. 111 novellato, al 2° comma, statuisce che “sono considerati debiti prededucibili.. quelli

sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”.

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CAPITOLO DODICESIMO

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

1) Gli accordi di ristrutturazione omologati come terza via

La disciplina introdotta però è volta a regolare, come il concordato preventivo, non solo

l‟insolvenza, ma anche situazioni di crisi diverse dall‟insolvenza – pur valorizzando ampiamente la

regolazione stragiudiziale consacrata nell‟accordo del debitore con una maggioranza qualificata dei

creditori, poiché prevede l‟omologazione dell‟accordo da parte dei creditori costituisce una via

ibrida tra quella privatistica della composizione stragiudiziale e quella pubblica del concordato

preventivo:che però non può essere assimilata, a quella escogitata nell‟esperienza statunitense, della

ristrutturazione del passivo prenegoziata con i creditori

2) Differente struttura degli accordi di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo.

La disciplina in esame si differenzia rispetto a quella del concordato preventivo sotto alcuni

rilevanti

aspetti:

a) Come in tutti i casi di composizione stragiudiziale non è richiesto il rispetto del principio della

par

condicio, che viceversa nel concordato preventivo può essere derogato soltanto attraverso la

suddivisine in classi, fermo restano il trattamento paritario nell‟ambito di ciascuna classe.

b) L‟accordo deve essere raggiunto con la maggioranza (qualificata del 60%) ma nona

maggioranza,

i creditori non aderenti all‟accordo dovranno essere soddisfatti integralmente e non sarà quindi

richiesta nessuna votazione .

3) La “dichiarazione” e la documentazione allegata all’accordo

Secondo quanto statuisce l‟art. 182 bis. l‟accordo di ristrutturazione dei debiti va depositato “con la

dichiarazione e la documentazione di cui all‟art. 161”.

Il richiamo alla “dichiarazione di cui all‟art.161” ha indotto a chiedersi se l‟accordo di

ristrutturazione dei debiti possa essere considerato una modalità del concordato. in realtà, essendo

evidenti le differenze strutturali delle due forme di regolazione della crisi dell‟impresa, ma

trattandosi in entrambi i casi di regolazione dlella crisi attraverso un accordo con i creditori soggetto

ad omologa da parte del tribunale, ocorre pittato chiedersi se ed in quale misura la disciplin

dell‟art.182 bis possa essere integrata da quella, preveduta per il concordato preventivo.

Quanto alla “documentazione di cui all‟art. 161” è quella elencata nel “° comma e non ricomprende

la relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all‟art. 67, 3° comma, “che attesti la

veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano” considerato che l'art. 182 bis contiene in

proposito una norma apposita, prescrivendo il deposito di una relazione redatta da un professionista

che abbia i requisiti di cui all‟art. 67, 3°comma, “sull‟attuabilità dell‟accordo stesso, con particolare

riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”:

La relazione prescritta dall‟art. 182 bis si differenzia da quella prevista dall‟art. 161, 3° comma,

perché va effettuata con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento dei

creditori estranei.

4) Il contenuto dell’accordo

L‟accordo preveduto dall‟art. 182 bis è etichettato come di “ristrutturazione dei debiti” e dovrebbe

quindi contemplare riscadenziamento dei debiti, rinunce ad interessi od a quote di capitale,

conversione di crediti in capitale e in genere operazioni che incidono direttamente sull‟esposizione

debitoria.

Occorre, quindi, chiedersi se siano ammissibili operazioni di ristrutturazione aziendale, come quelle

che possono essere prevedute nel piano posto a fondamento di una proposta di concordato e cosa

debba intendersi per quella attuabilità dell‟accordo, che deve risultare dalla relazione redatta

dall‟esperto.

In proposito occorre considerare che ai creditori estranei all‟accordo deve essere assicurato il

regolare pagamento.

Page 78: Diritto Fallimentare Guglielmucci

Ora se per acquisire la necessaria liquidità può anche richiedere un ristrutturazione aziendale.

A mio giudizio una lettura non riduttiva dell‟espressione “ristrutturazione dei debiti” che consenta

di

ricomprendere anche operazioni non direttamente incidenti sull‟esposizione debitoria e si estenda a

tutte le possibili operazioni volte a ripristinare l‟equilibrio finanziario e gestionale.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti saranno di regola volti a risanare l‟impresa. Ma, essendo,

diretti a consentire il soddisfacimento dei creditori, possono anche prevedere la liquidazione

dell‟intero patrimonio del debitore e la cessazione dell‟attività d‟impresa: come gli accordi di

composizione stragiudiziale .

5) Il deposito dell’accordo

Il deposito va effettuato presso il tribunale del luogo in cui l‟impresa ha la propria sede principale.

Ma, a differenza di quanto preveduto in caso di proposta di concordato preventivo, il tribunale non è

chiamato ad emanare un provvedimento di “ammissione alla procedura”, né a nominare un

commissario giudiziale, chiamato a effettuare verifiche ed a fornire ai creditori le opportune

informazioni e valutazioni.

L‟accordo va semplicemente depositato ed un intervento del tribunale è di regola preveduto soltanto

in sede di omologa.

All‟atto del deposito sarà semmai il cancelliere a controllare che al ricorso siano allegati i

documenti

elencati nel 2° comma dell‟art. 161 e la relazione del professionista.

La situazione che si viene a determinare può apparire inquietante.

Mentre infatti, i creditori aderenti all‟accordo si deve supporre siano adeguatamente informati, i

creditori estranei all‟accordo e gli altri eventuali interessati ad opporsi all‟omologa rivedono

soltanto

notizia dell‟accordo attraverso la pubblicazione nel registro delle imprese - ma non da tutti tenuto

costantemente sotto controllo – per la verifica dell‟attuabilità dell‟accordo possono contare soltanto

sulla parola, cioè sulla relazione, del professionista.

………..Ai creditori estranei all‟accordo non è dunque preclusa, né prima, né dopo l‟omologazione

dell‟accordo, nessuna iniziativa, dal pronuovimento di azioni esecutive o cautelari alla proposizione

di ricorsi per dichiarazione di fallimento. L‟esigenza di offrire un ombrello protettivo nelle more del

procedimento di omologazione è stata, tuttavia, considerata con il decreto correttivo, che ha previsto

la possibilità per il tribunale di escludere, su ricorso del debitore, per non più di sessanta giorni, la

concessione di provvedimenti esecutivi o cautelari, ferma restando comunque in detto periodo la

possibilità di compimento di attività istruttorie.

6) L’omologazione dell’accordo

All‟omologazione dell‟accordo il tribunale provvede con decreto motivato, decise le opposizioni ,

che possono essere proposte entro trenta giorni dalla pubblicazione nel registro delle imprese.

Se non vengono proposte opposizioni il tribunale provvede senza previa fissazione di un‟udienza di

comparizione,.

Non vi è infatti né la necessità di instaurare un contraddittorio, come previsto invece nel concordato

preventivo attesa la presenza di un commissario giudiziale.

La norma nulla dice in merito al sindacato del tribunale in assenza di opposizioni. Certamente è da

escludersi una valutazione di merito sulla attuabilità dell‟accordo – valutazione che si deve ritenere

non consentita, in mancanza di opposizioni, anche nel procedimento di omologazione del

concordato

preventivo – ed occorre, invece, chiedersi se il tribunale, oltre a verificare che sia stata presentata la

documentazione prescritta dal 12°comma debba verificare che l‟accordo è stato stipulato con

creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

In proposito si deve rilevare che manca, a differenza di quanto preveduto nella disciplina del

concordato preventivo, un commissario giudiziale che abbia verificato l‟elenco dei creditori

Sembra allora doversi concludere nel senso che il tribunale deve bensì verificare che l‟accordo è

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stato stipulato con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

Se, viceversa vengono proposte opposizioni e viene quindi a configurarsi una controversia, il vaglio

del tribunale deve ritenersi si estenda anche alle censure di merito.

Nell‟opposizione ad omologa possono quindi essere mosse censure di legittimità, quale quella

dell‟insussistenza della maggioranza di almeno il 60% dei crediti, e censure di merito, quale quella

della non attuabilità dell‟accordo e della sua non idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei

creditori estranei.

Leggitimati ad opporsi ad omologa sono innanzitutto i creditori estranei all‟accordo.

A differenza di quanto preveduto per il concordato preventivo, laddove la legittimazione ad opporsi

all‟omologa è riconosciuta ai creditori dissenzienti ed a qualunque interessato, conclusione quindi

dei creditori assenzienti, la legittimazione ad opporsi all‟omologazione dell‟accordo di

ristrutturazione dei debiti è riconosciuta ai creditori ed a qualunque interessato e sembra quindi non

essere esclusa un‟opposizione da parte di creditori aderenti all‟accordo. In effetti un‟opposizione da

parte di creditori aderenti all‟accordo è ipotizzabile ove non sia stata raggiunta la maggioranza.

La possibilità che l‟accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere frutto di una serie di adesioni

successive apre il problema dell‟ammissibilità di adesioni dopo il deposito dell‟accordo e al sua

pubblicazione nel registro delle imprese:

L‟accordo depositato ai sensi del 1° comma non sembra doversi considerare come un accordo “

chiuso”, salvo che nella misura in cui ulteriori adesioni possano snaturare l‟accordo ad apparire

incompatibili con i presupposti di precedenti adesioni.

Stante la riconducibilità l‟accoro di ristrutturazione dei debiti al genus di accordi di regolazione

negoziata della crisi, si deve ritenere applicabile la disciplina dell‟art. 180 sulle modalità

dell‟opposizione (deposito di memoria difensiva contenente le eccezioni processuali e di merito non

rilevabili d‟ufficio, nonché indicazione dei mezzi istruttori e dei documenti prodotti) e

sull‟istruzione

del procedimento (assunzione anche d‟ufficio di tutte le informazioni e prove necessarie, con

eventuale delega per l‟espletamento dell‟istruttoria ad uno dei componenti del collegio).

L‟impugnazione del decreto di omologa è regolata dalla norma che disciplina l‟impugnazione del

provvedimento emanato in esito al procedimento di omologa nel concordato preventivo.

7) Esecuzione, risoluzione, annullamento

Le modalità di esecuzione dell‟accordo, sono quelle concordate, dovendosi altrimenti considerarsi

rimesse al debitore: Parimenti le eventuali modalità di controllo dell‟esecuzione sono quelle

concordate, non essendo applicabile la norma dell‟art. 185 preveduta per il concordato preventivo in

quanto accordo vincolante per la collettività dei creditori e non invece, come nella specie, soltanto

la

maggioranza.

I creditori estranei all‟accordo di ristrutturazione dei debiti non soltanto conservano il diritto al

soddisfacimento integrale alle scadenze originarie, ma possono avvalersi liberamente degli

strumenti di tutela apprestati dall‟ordinamento a favore di qualunque creditore: senza essere

minimamente vincolati dall‟accordo.

Possono, quindi, agire esecutivamente se il loro credito è scaduto e sono muniti di titolo esecutivo,

possono iscrivere ipoteche giudiziali sulla base di sentenza di condanna od anche di decreti

ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, possono instare per la dichiarazione di fallimento.

Ove risulti l‟impossibilità di adempiere regolarmente i creditori estranei all‟accordo la dichiarazione

di fallimento non passa, come nel concordato preventivo, attraverso una pronuncia di risoluzione

dell‟accordo: che il creditore, proprio perché estraneo all‟accordo, non sarebbe legittimato a

richiedere.

L‟inadempimento alla obbligazioni assunte con l‟accordo non può, in quanto tale, essere invocato

dai creditori estranei, proprio perché estranei, all‟accordo medesimo.

L‟inadempimento, in quanto tale, può essere invece invocato dai creditori aderenti all‟accordo, ma

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deve escludersi l‟estensione della disciplina preveduta dall‟art. 137 per la risoluzione del

concordato.

In presenza di un inadempimento agli obblighi assunti con l‟accordo di ristrutturazione dei debiti

devono essere quindi utilizzati gli strumentini diritto comune e può pertanto trovare applicazione la

disciplina della risoluzione per inadempimento preveduta dagli artt.1453 ss. c.c.

Occorre , a questo punto, chiedersi se siano tuttavia applicabile le regole sugli effetti della

risoluzione del concordato preventivo.

Con riguardo alle parti dell‟accordo l‟estensione della disciplina degli effetti della risoluzione del

concordato preventivo trova rispondenza nella naturale retroattività della pronuncia di risoluzione, e

nella irrevocabilità dei pagamenti eseguiti in base all‟accordo.

La risoluzione dell‟accordo tutela indirettamente anche i creditori estranei .

L‟accordo può, poi, essere impugnato con l‟azione di annullamento. L‟ipotesi tipica sembra essere

quella dell‟induzione in errore dei creditori attraverso una falsa rappresentazione della situazione

dell‟impresa, anche se, non sembrando potersi applicare la disciplina preveduta per il concordato

preventivo e dovendosi quindi ricorrere alla disciplina di diritto comune, è prospettabile la

proponibilità di un‟azione di annullamento anche per altre cause prevedute per l‟annullabilità dei

contratti: L‟ipotesi più inquietante è, comunque , quella della collusione fra debitore e maggioranza

dei creditori. L‟assenza di qualsivoglia controllo officioso, la mancanza di efficaci strumenti

rendono

certamente possibili collusioni in danno dei creditori estranei.

La tutela dei creditori estranei è allora affidata alla possibilità di dichiarazione di fallimento quando

sussista lo stato di insolvenza.

Uno strumento di tutela è poi costituito dalla responsabilità penale e, soprattutto, dalla

responsabilità

civile per i pregiudizio arrecato non soltanto attraverso il compimento di atti protetti dall‟esenzione

da revocatoria.

In questa prospettiva la circostanza che della maggioranza con la quale l‟accordo di ristrutturazione

dei debiti viene stipulato faccia parte, il sistema bancario, riduce tuttavia il rischio di collusioni.