Dall'Unità - luglio agosto 2013

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«CAROGIULIANO,«COME VA IL TUO CERVELLINO? LA TUA LETTERA MI ÈPIACIUTAMOLTO.ILTUOMODODISCRIVEREÈPIÙFER-MODIPRIMA,CIÒCHEMOSTRACHETUSTAIDIVENTAN-DOUNA PERSONAGRANDE. Mi domandi ciò che miinteressa di più. Devo rispondere che non esisteniente che “mi interessi di più”, cioè che moltecose mi interessano molto nello stesso tempo.Per esempio, per ciò che ti riguarda, mi interessache tu studi bene e con profitto, ma anche che tusia forte e robusto e moralmente pieno di corag-gio e di risolutezza; ecco quindi che m’interessache tu riposi bene, mangi con appetito ecc.: tuttoè collegato e intessuto strettamente; se un ele-mento del tutto viene a mancare o fa difetto, l’in-tero si spappola. Per ciò mi è dispiaciuto che tuabbia scritto di non poter rispondere alla questio-ne se vai con risolutezza verso la tua mèta, che inquesto caso significa studiar bene, esser forteecc. Perché non puoi rispondere, se dipende date il disciplinarti, il resistere agli impulsi negati-vi, ecc.? Ti scrivo seriamente, perché ormai vedoche non sei più un ragazzino, e anche perché tustesso una volta mi hai scritto che vuoi esseretrattato con serietà. A me pare che tu abbia mol-te forze latenti nel cervello; la tua stessa espres-sione che non puoi rispondere alla domanda, si-gnifica che rifletti e sei responsabile di ciò che faie scrivi. Eppoi, si vede anche dalla fotografia cheho ricevuto che c’è molta energia in te. EvvivaGiuliano! Ti voglio molto bene. Antonio».

È questa già di suo una lettera estremamentecommovente e ancora di più considerando che èstata scritta da Antonio Gramsci, dalla prigionianel carcere barese di Turi al figlio Giuliano. So-prattutto se si pensa che Gramsci per vent’anni èstato padre senza vedere i suoi figli, senza potervivere con loro. Che già la condizione di padre ècondizione difficile di per sé, e vale le sue fatiche

per la meraviglia che i bambini e i figli sanno ren-derti. Farlo in loro assenza dev’essere, oltre chedifficile, straziante.

Gramsci farà da padre ai due figli Delio e Giu-liano scrivendo loro un gran numero di lettere euna serie di fiabe, alcune tratte dal corpus fiabe-sco popolare, alcune da quello propriamente sar-do, altre inventandosele. Storie di piccoli anima-li, di creature viventi, di fatti, di persone: storieperlopiù esemplari allo stesso tempo della com-plessità e della bellezza del mondo. È da pocouscita una nuova e bella edizione che le raccoglietutte unitamente a buona parte delle lettere (An-tonio Gramsci, Fiabe, 320 pagine per 8 euro, Cli-chy). Vale la pena leggerle, per chi non lo avessegià fatto, tanto le fiabe quanto le lettere, ritrovar-le, farci stimolare nelle nostre riflessioni quoti-diane. Il coraggio e la risolutezza, ad esempio, dicui parla al piccolo Giuliano. Basta questo, comesuole dirsi: il coraggio e la risolutezza varrebbe-ro da sole il prezzo del volume. Cos’altro ci man-ca, oggi, a noi (e in alla nostra classe dirigente) senon il coraggio e la risolutezza? Per quanto luistesso, Antonio Gramsci, si è mostrato testimonenella sua vita, ai suoi figli e a l’intero paese, dicosa siano il coraggio e la risolutezza.

Negli ultimi anni Massimo Recalcati ha pubbli-cato almeno cinque libri in cui parla, elabora eapprofondisce da più punti di vista quello che La-can aveva già definito come l’evaporazione delpadre. Senza volersi spingere troppo in là in undiscorso abbastanza complesso, la necessità direcuperare il ruolo del padre come testimone eattore del sodalizio, dell’equilibrio, tra Legge eDesiderio, è quanto mai attuale, urgente. Quelloche invece manca nel suo, che è un discorso distampo psicoanalitico, e che come tale si muove,è invece la dimensione politica e sociale (perquanto sia esplicitamente affrontata nell’ultimopubblicato da minimum fax, Patria senza padri).Come dire: la quota delle leggi e dei valori di cui ilpadre deve farsi testimone. Sembra un discorsoovvio, ma per una generazione come quella dichi si trova oggi ad affrontare la paternità e cre-sciuta all’ombra di padri completamente evapo-rati, perlopiù sottratti al loro ruolo, non è ovvioneanche un po’.

Ecco, mi sembra che queste fiabe di Gramscipossano essere, ancora prima che tutto il resto,un ottimo esempio per i padri che vogliano ridefi-nire il loro ruolo.

Lasuastoriainduegraphicnovel

BAMBINI

Unpadre lontanoRaccolte inunvolumelemissivee lestoriescritte incarcereperDelioeGiuliano

Tutte le favolecheraccontòviaposta

UNO DEI CLASSICI PER L’INFANZIA È L’AMATISSIMO RI-CHARD SCARRY, AUTORE DELLE STORIE DIVERTENTI ECOLORATE AMBIENTATE A FELICITTÀ, LA CITTÀ ABITA-TADA MAIALINI,VOLPI, TOPINI, ORSETTI,LEPRI, EALTRIANIMALI.Tanti i suoi personaggi amati dai bambi-ni, dal verme Zigo Zago al gatto Sandrino e la suafamiglia, dal porcellino Sansovino l’imbianchino,golosissimo di cetrioli (da cui gli deriva la passio-ne per il colore verde) al sergente Multa, semprein giro su una motocicletta rossa. Scarry è uno deigrandi autori per bambini diventato un «classico»in più di cinquanta Paesi di tutto il mondo, ed èstato definito l’autore che non scrive i suoi libri,ma li disegna. Le sue vignette sono infatti dei rac-conti, le sue fitte pagine delle storie quasi inesau-ribili. Il prolifico autore è morto nel 199, ma sem-pre verdi sono i suoi numerosissimi libri, da quelligrandi e alti come un bambino ai più maneggevo-li in formato «quadernetto», propongono non so-lo storie ma anche giochi, abbecedari e testi didat-tici per i piccolissimi. In Italia tutte le sue storiesono edite da Mondadori.

ILLUSTRAZIONI

Lastoriadi Gramscièstata raccontataattraversobendue fumetti. L’uno,edito daFeltrinelli, s’intitola«Ninomi chiamo»eporta lafirmadel pronipotedel fondatoredel partitocomunista,Luca Paulesu.Si trattadi unaversione inchiave fanciullesca incui Gramscièmostratocoi trattidi un bambino.L’altrographicnovel ispirato daunapièceteatrale è: «AcenaconGramsci» editodaBecco Gialloe firmatodallapoetessae saggistaElettra Stamboulis incoppiacol disegnatore GianlucaCostantini. Illibroèstato unodei successidel 2012.

PapàGramsciLeletteree le fiabescritteper iduefigli

GIOVANNI [email protected]

ILLIBRO

In«Fiabe» (edizioni Clichy), introdottodaunbreveexcursusstorico-politico, vienepropostal’integraleproduzionedi Gramsciper l’infanzia, einparticolare le raccoltepubblicatepostume coni titoli «L’alberodel riccio» e «Favoledi libertà»,checontengono le traduzioniche Gramsci feceper i figli delle fiabe dei fratelli Grimm, eancora gli«Apologhie Raccontini torinesi» e i «RaccontinidiGhilarza edel carcere».Un Gramsci diverso,conuna lucidae fermissimacapacità pedagogicadi trasmettere i valori incui credeva eper i qualiavevacombattuto tutta la vita.

Inquestpagina alcunideipersonaggi creatida RichardScarry

Felicittà: Richard Scarrye isuoianimalettichemimanogliumani

U:lunedì 29 luglio 2013 21

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«ORMAI SI SENTIVA SOPRAFFATTO DALLA VITA E DAQUEL SUO MONDO DIDENARO E VANITÀ. Desiderare ecercare nuove ricchezze, stoffe ancora più splen-denti e altri banchetti con gli amici non bastavapiù. Perché il desiderio poteva appagarlo e dargliun po’ di senso solo per la durata dell’attesa: manon appena dalla Francia arrivavano le nuove stof-fe, o l’ultimo banchetto volgeva al termine, di nuo-vo il vuoto si impossessava della sua anima».

C’è una similitudine molto forte, o almeno cosìmi sembra, una similitudine molto profonda tra lacondizione personale, psicologica, in cui si trova-va Francesco d’Assisi ad un certo punto della suavita di ragazzo e la condizione dell’Occidente neinostri tempi. Quello che oggi viene chiamato ildisagio della civiltà, mi sembra si possa paragona-re al disagio di Francesco nella sua giovinezza.

Credo che questo disagio si possa definire co-me una condizione di attesa e di insoddisfazione.Qualcosa di diverso, di deviato, rispetto al deside-rio: perché è un desiderio che non ha impedimen-ti e che quindi non offre appagamento, ma se maiun’illusione di appagamento. E che per continua-re ad esistere ha bisogno di generare costante-mente un nuovo desiderio, ossia una nuova atte-sa, finendo per esserne sottomesso; perché è l’uni-ca cosa che lo tiene in vita, che gli da modo diandare avanti. Aspettiamo: aspettiamo delle cose,oggetti sempre nuovi, lucidi, puliti e lucenti, avan-zati. Ma che già porteranno in sé una nuova atte-

sa, perché non devono consumarsi, né devono ar-retrare, o essere superati dalla modernità.

Non è importante di quale oggetti si tratti, senuove stoffe in arrivo dalla Francia o una motoci-cletta cromata o la nuova versione di un telefonomobile: quello che importa è l’attesa. Il prossimoautunno arriverà finalmente la versione 6 e poi,tempo una settimana, già potremo cominciare adattendere l’arrivo della versione numero 7 che civiene promessa con la prossima primavera. Ed èproprio quella, già lo sappiamo, che ci darà la feli-cità.

Scrive Massimo Recalcati in Cosa resta del pa-dre?: «La merce si anima di un valore che prescin-de dal suo uso per investire la dimensione più este-sa dell’apparizione e del prestigio sociale (...)Lafede nell’oggetto che il discorso del capitalista ali-menta astutamente definisce il carattere artificio-samente salvifico dell’iperconsumo. La salvezzadall’angoscia dell’esistenza e dalla fatica del desi-derare viene perseguita non per la via classica-mente religiosa dell’abbandono delle cose terre-ne, ma per quella (ipermoderna) di una consuma-zione che sembra non conoscere limiti. Questa sal-vezza è artefatta perché installa una forma dischiavitù del soggetto dal potere totalizzantedell’oggetto, (...)un luogo di salvezza che però, in-vece di salvare, riproduce quella stessa circolaritàche prometteva di spezzare. L’oggetto di godimen-to si profila come consistente, solido, non riducibi-le alle parole, affidabile, non sottoposto all’aleato-rietà contingente dell’incontro con l’Altro».

Così se il fine è l’apparire, o l’apparizione, dato

che ogni apparizione è di per sé volatile, quindiincapace di portare a soddisfare il bisogno di iden-tità, diventa difficile stabilire se l’attesa è datadall’insoddisfazione oppure se è l’insoddisfazioneche genera l’attesa: si alimentano l’una con l’altraallontanando la salvezza che stanno prometten-do. E quello che rimane è un’attesa inappagata.

Tutto sembrerebbe esser mosso da un meccani-smo meccanico, che non governiamo ma che cimuove, e che funziona solamente se continua adavanzare, anche senza portare da nessuna parte.E avanza soltanto se noi cambiamo i vecchi ogget-ti con quelli nuovi. Il meccanismo non dice nulla,non ha alcun significato, né senso, né direzione. Simuove di un suo moto inutile; ma è fondamentaleche si muova con l’unico scopo di aumentare lapropria velocità almeno un poco per ogni trime-stre fiscale. Pena il collasso. Non è previsto alcunpunto di equilibrio. Non è contemplata la possibili-tà che si arresti. Eppure siamo noi a farlo muove-re, nello stesso momento in cui è di lì che prendia-mo le risorse per poterlo fare: ed è difatti di lì chescaturisce ogni nostra nuova attesa. Non possia-mo fermarci, darci pace, trovare quel minimo disoddisfazione al nostro cammino data dalla possi-bilità di contemplare il panorama alla fine dellasalita.

Così non appena il meccanismo rallenta, ogniprospettiva comincia ad offuscarsi, il futuro si sfo-ca perdendo gradualmente di nitidezza. È comese l’eventualità del futuro, la sua visione, sia possi-bile soltanto nel momento in cui stiamo sopra ilmeccanismo e questo è in funzione. Perché il mec-canismo permette l’eventualità del futuro solo dalmomento in cui si muove: è la sua accelerazione agarantirci la salvezza. Illusoria e costantementeposticipata, ma pur sempre salvezza: e che perlo-meno ci tiene vivi nell’attesa. Se il meccanismocomincia a rallentare, si ferma o arretra, il futurocomincia a offuscarsi, annebbiandosi. A quel pun-to l’attesa sarà totalmente privata di ogni motiva-zione d’essere, perché a meccanismo fermo, nonc’è niente da attendere: non c’è prospettiva, nonc’è futuro. Il velo dell’inganno si distoglie. E nien-te ha nessun senso.

Ma sembrerebbe che ormai questa idea dell’at-tesa travalichi il movimento compulsivo del consu-mo: è diffusa, appartiene a tutti. Anche chi non ècatturato della meccanica degli acquisti e va ingiro in sandali invece che con costose scarpe allamoda, fatica a tenersi fuori dall’attesa che ci staattanagliando: questa è ormai antropologica, poli-tica. La più rispettosa accusa che si può muovereai fantasmi che incarnano la nostra classe dirigen-te è che da vent’anni aspettano di poter agire, rea-gire, fare qualcosa. C’è sempre l’idea che la prossi-ma occasione, elezioni o ripresa economica, saràquella giusta: così l’elettorato continua a reiterareil proprio voto ad una classe politica nell’attesache questa faccia qualcosa che puntualmente nonfa. Ciò vale a sinistra come a destra: quello checambia è la potenziale direzione di azioni politi-che che comunque vengono disattese. Dopo averpagato dei prezzi umani ed economici altissimi aun meccanismo che evidentemente non funziona,aspettiamo che si rimetta in moto da solo, senzache nessuno si prenda la briga di andare a vedereperché non funziona.

Aspettiamo. È il sol dell’avvenire o l’attesa diuna restaurazione. L’attesa di una giustizia chenon non verrà fatta, o di una rivincita che nessunointende prendersi, di una salvezza che rimandia-mo ad altri ma di cui non pensiamo essere noi stes-si gli artefici. Che il futuro si avvicini, il cielo sischiarisca, la nostra esistenza ci dia il permesso diesser vissuta. L’attesa di una vita eterna in vistadella quale accumuliamo il nostro bene, tenendo-lo da parte e senza poterlo vivere, mentre conti-nuiamo ad inghiottire umiliazioni ed ingiustizieperché è per via delle umiliazioni che quel beneaccantonato ci garantirà la pace a venire. Ovvero,per adesso, l’attesa.

In Assisi, alla fine del 1100, Giovanni, figlio diPietro Bernardone e chiamato da tutti Francesco,viveva una simile condizione di attesa e di insoddi-sfazione. Molto ricco, opulento almeno quanto ilnostro Occidente e, almeno quanto il nostro Occi-dente pieno di buone intenzioni e dotato dell’intel-ligenza per metterle in pratica. Ma non riesce adarsi pace.

Partecipando alla guerra tra Perugia ed Assisiviene fatto prigioniero e durante la prigionia hacome un distacco. Quest’evento traumatico lo for-za facendolo uscire dal meccanismo, costringen-dolo a vederlo da fuori. Di lì aumentano la suaangoscia e inquietudine. Così comincia a cercarealtrove. Prima nel potere, la cavalleria, poi nellaChiesa, che però era del tutto assimilata al potere,né era un’altra faccia.

«Durante la prigionia a Perugia gli era capitatodi leggere alcuni passi del Vangelo, e adesso eratornato da lui: c’era qualcosa lì che lo attirava, manon riusciva a capire che cosa. Andava spesso atrovare il vescovo Guido: si ritirava in preghiera inqualche eremo nei boschi, leggeva il libro. Era lì lapace che cercava? Forse sì, ma non riusciva a ve-derla. Anche la Chiesa non sembrava dargli le ri-sposte chiare e decise di cui aveva bisogno. Comese la Chiesa non riuscisse più a raccontare agliuomini la verità del Vangelo.

«Finché non incontrò il lebbroso».

CULTURE

! Ibrani sullavitadi Francescod’Assisi sono trattidal librodiGiovanniNucciFrancesco,Rizzoli.MassimoRecalcati, Cosa resta delpadre? èpubblicato da RaffaelloCortinaEditore

IndaginesuFrancescoUnragazzoriccochenonsidàpacefinchénon incontra il lebbroso...

Unracconto inseipuntateallaricercadei trattipiùcomuni,universalieumanidelpoverodiAssisi.Laricostruzionediunpercorsospiritualealdi làdellesueconnotazioni religioseneisuoiaspettidicalzanteattualità. 1/L’attesa

GIOVANNI NUCCI

ILIBRI

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Unracconto inseipuntateallaricercadei trattipiùcomuni,universalieumanidelpoverodiAssisi.Laricostruzionediunpercorsochevaaldi làdelleconnotazioni religioseecioffreaspettidigrandeattualità.2/L’amore

LacarezzadiSanFrancescoLamanosulvoltodiun lebbrosoe lascopertadellamisericordia

«FRANCESCO SENTÌ NELLA SUA MANO LA BELLEZZADELL’UMANITÀ QUANDO LA SI VUOLE AMARE. E D’IM-PROVVISOILCUOREGLISIRIEMPÌDIPACE.Ecco, gli sta-va dicendo: è questa la misericordia di Dio. È que-sta la verità».

Tutto si risolve in questo gesto. Francesco cam-mina, si scontra per strada con un lebbroso, sispaventa, si allontana da lui. Poi qualcosa lo spin-ge a tornare sui suoi passi e a fargli una carezza:gli mette la mano sul volto.

E questa è la prima e la più importante dellecose che lui stesso si sente di dover raccontare nelsuo testamento. È un passaggio di straordinariaforza e bellezza: «Il Signore ha dato a me, frateFrancesco, di incominciare a fare penitenza inquesto modo: quando ero nel peccato mi sembra-va ripugnante sopportare la vista dei lebbrosi, e ilSignore stesso mi portò da loro e sperimentai conloro la misericordia, e mentre mi allontanavo daloro, ciò che mi sembrava ripugnante si è mutatoin me in dolcezza dell’anima e della carne. Poi mitrattenni ancora per poco e uscii dal mondo».

Dunque prima c’era il vuoto, la mancanza disenso, un meccanismo inutile che lo impantana-va nell’attesa e nell'insoddisfazione. Poi la carez-za e il cielo si era schiarito, il futuro era diventatoterso, l’esistenza si era riempita di senso e la pacesi era impossessata della sua anima, e del suo cor-po. La pace: non la felicità, l’esaltazione, la sazie-tà, la convinzione, il coraggio o il proselitismo: lapace.

Quello che aveva cercato nella ricchezza e nel-la nobiltà, nel cavalierato, ma che il potere e ildenaro non gli potevano dare, adesso lo aveva tro-vato andando verso l’altro, in un rapporto. Nellamisericordia di Dio da portare nel mondo. Nessu-no, né suo padre, i nobili o i potenti di Assisi o ilVescovo, nessuno aveva saputo dirgli la forza cheavrebbe potuto trovare in quella carezza.

Non deve sembrare che qui la cosa importantesia il ribrezzo che Francesco prova nei confrontidel lebbroso. Questo è significativo, ma non deter-minante. Non occorre provare ribrezzo per poteresprimere un atto d’amore e trovare in questo unmezzo per la misericordia di Dio. Dovrebbe esse-re sufficiente andare verso l’altro anche senzaprovarne ribrezzo. È abbastanza importante per-ché c’è una lettura piuttosto comune in un certotipo di cattolicesimo che vuole l’atto d’amore co-me più vero se provoca sofferenza in chi lo offre.Che vede necessario un aspetto sacrificale, ad imi-tazione di Cristo, che ne suggelli la sacralità. Unvero cristiano deve amare, sì, ma deve amarequalcosa che di per sé gli provocherebbe ribrezzoe non godimento, come di solito gli atti d’amorefanno, altrimenti non vale. E di lì, come conse-guenza morale, una lettura depressiva e probabil-mente masochistica di qualsiasi tipo di piacere.

L’immagine che invece sembra offrirci France-sco va in tutt’altra direzione: quella della pace edella letizia, del piacere e dell’ilarità. Matteo (12,7) ci dice che «Il Signore ama la misericordia piùche il sacrificio»: Francesco sposa perfettamentequesta convinzione. Non solo, ritiene che per vale-re, un atto d’amore deve farti perlomeno sorride-re: e non si intende un sorriso di circostanza. D’al-tronde come potrebbe esserci letizia e misericor-dia se c’è privazione, frustrazione o depressione,cioè se non c’è compimento? La negazione delgodimento insito nell’atto d’amore, riporterebbeinevitabilmente all’aspettativa di un compimentodi là da venire: quindi all’attesa.

L’appagamento nella carezza di Francesco èinvece immediato e totale: «dolcezza per l’anima,e per la carne». E ciò sembra, piuttosto, dirci chel’amore è così potente da superare il ribrezzo etrasformarlo in dolcezza, in un piacere che riem-pie l’anima, ma dà anche piacere fisico, godimen-to.

Non ha importanza chi tu stia amando, a chivai offrendo la misericordia di Dio. Il vero punto èl’attenzione verso l’Altro, verso il mondo. Quellache propone Francesco sembra essere più che al-tro una risorsa: riuscire a mangiare trovando buo-no un cibo che ci sembrava ributtante, andare in-contro a qualcuno che fino a pochi istanti primaci sembrava lontanissimo da noi. Solo questo, so-stiene Francesco, distoglie da un meccanismo, ildenaro e il potere, che altrimenti annichilisce. Ildesiderio che dà appagamento nel suo compimen-to, è quello che ti spinge verso l’altro, anche senzaandarlo a cercare troppo lontano. L’attesadell’amico che ritorna col bicchiere di vino e leparole giuste per te. L’attesa che arrivi la notte, lelenzuola e le tende mosse dal vento e un amore dapoter consumare. L’attesa di un bambino che ri-torni da scuola. Sono convinto che il punto di par-tenza di Francesco, anche su di un piano spiritua-le sia decisamente laico: «Ama il prossimo tuo co-

me te stesso». Questo è decisamente laico.«Fu come se il tempo per un momento si fosse

contratto, e la normalità della sua esistenza vuo-ta, misera e priva di senso, si fosse fermata. Unpiccolo varco si era aperto nell’eternità: e la lucedi Dio si era dischiusa ai suoi occhi. Cos’era quelbene che gli stava riempiendo l’anima? Da doveveniva tutto quell’amore?».

Nella terza parte della sua opera su Gesù diNazaret (pag. 97 e segg.) Joseph Ratzinger spiegamolto chiaramente che: «l’espressione “vita eter-na” non significa – come pensa forse immediata-mente il lettore moderno – la vita che viene dopola morte, mentre la vita attuale è appunto passeg-

gera e non una vita eterna. “Vita eterna” significala vita stessa, la vita vera, che può essere vissutaanche nel tempo e che poi non viene più contesta-ta dalla morte fisica (...)“Vita eterna” è quindi unavvenimento relazionale. L’uomo non l’ha acqui-sita in sé, per sé soltanto. Mediante la relazionecon Colui che è Egli stesso la vita, anche l’uomodiventa un vivente». E poi cita il vangelo di Gio-vanni, (11,25): «Chi crede in me, anche se muore,vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà ineterno».

LAVITA ETERNAQUAL ÈUgualmente nella sua prima enciclica come Bene-detto XVI scrive (pagg. 24 e segg.): «Ma allorasorge la domanda: Vogliamo noi davvero questo –vivere eternamente? (...)Continuare a vivere ineterno – senza fine – appare più una condannache un dono. La morte, certamente, si vorrebberimandare il più possibile. Ma vivere sempre, sen-za un termine – questo, tutto sommato, può esse-re solo noioso e alla fine insopportabile». E pocopiù avanti: «Possiamo soltanto cercare di uscirecol nostro pensiero dalla temporalità della qualesiamo prigionieri e in qualche modo presagireche l’eternità non sia un continuo susseguirsi digiorni del calendario, ma qualcosa come il mo-mento colmo di appagamento, in cui la totalità ciabbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbeil momento dell’immergersi nell’oceano dell’infi-nito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo– non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pen-sare che questo momento è la vita in senso pieno,un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’es-sere, mentre siamo semplicemente sopraffattidalla gioia». E di nuovo cita il Vangelo di Giovan-ni (16,22) «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore sirallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostragioia».

Qui si pone un problema escatologico: cioèsull’interrogazione riguardo alla fine dei tempi, ealla salvezza, ovvero al giudizio, che con essa do-vrebbe arrivare. Perché se la salvezza arriva conla fine dei tempi, l'unica possibilità è nell’attesa.Mi sembra che Benedetto XVI voglia distogliercida questa lettura: la vita eterna, la salvezza, nonsono avanti nel tempo, proiettate in quel momen-to futuro che dovrà venire quando il tempo paga-no sarà finito. La salvezza è qui, a portata di ma-no, nel nostro quotidiano vivere di tutti i giorni: èil momento in cui l’eternità lo squarcia.

«Un avvenimento relazionale», dice Ratzinger,ma questa «relazione con Colui che è egli stesso lavita», questo «incontro con Gesù», detto così suo-na ormai come una formula vuota, priva di ognipossibile consistenza pratica. Ricorda un po’ i cat-tolici di Comunione e Liberazione nella parodiache ne fa Nanni Moretti in Palombella rossa. La ve-rità è che Gesù, lui, di persona, non gira per lestrade. Per quanto grande possa essere la fede oconsistenza religiosa, non si finisce mai per andar-gli a sbattere contro.

Cosa che invece può accadere abbastanza facil-mente con un lebbroso.

CULTURE

[email protected]

...Il suopuntodipartenzaanchequandosi trattadiunpianospiritualeèdecisamente laico

BIBLIOGRAFIA

! Ibrani sullavitadi Francescod’Assisi sono trattidal librodiGiovanniNucci,Francesco,Rizzoli,98pp., 13 !.–Francesco d’Assisi e Chiarad’Assisi. Tutti gli scrittiPorziuncola,224pp., 10!.–JosephRatzinger, Gesù diNazaret dall’ingresso inGerusalemme fino allaresurrezione. Libreria EditriceVaticana,352pp., 20!.–Benedetto XVI,Spe Salvi,LibreriaEditrice Vaticana,104pp., 2!.

U:domenica 4 agosto 2013 19

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IndaginesuFrancesco/3Lasuadecisioneènonaspettare ildomaniFaamenodelpadreesceglie iderelitti, la follaluridaecenciosadegliaccattoni

«QUELLO CHE STAVA CERCANDO FRANCESCO NONERALAPOVERTÀ,MALALIBERTÀDELCUORECHELAPOVERTÀ PUÒ DARE. L’AMORE E LA PACE E LA DOL-CEZZA DELLO SGUARDO CHE RENDONO I PENSIERISANTI E MERAVIGLIOSI. Aveva capito che per po-ter essere felice, per sentire la misericordia diDio e portarla nel mondo, era molto meglio nonavere niente. E la ricchezza e il potere non tiaiutano ad avvicinarti agli altri, a ogni creatura,qualunque essa sia, per offrirle il tuo amore.Che invece era esattamente quello che lui vole-va fare».

Giorgio Agamben più volte è tornato sullalettura messianica del tempo nelle letteredell’apostolo Paolo: cioè riguardo alla questio-ne escatologica della fine dei tempi, alla pauros-sia. «Il ritorno del messia - scrive in LaChiesaeilRegno (pag. 7 e segg.) - non disegna, infatti, unadurata cronologica ma, innanzitutto una tra-sformazione qualitativa del tempo vissuto(...)come l’esperienza del tempo messianico im-plica che sia impossibile abitarlo stabilmente,allo stesso modo in esso non c’è posto per unritardo. È quanto Paolo ricorda ai Tessalonice-si (1 Tess 5, 1-2) “Del tempo e dei momenti, diquesto non occorre che io vi scriva, il giorno delSignore viene come un ladro nella notte”.“Viene” è al presente, così come il messia è chia-mato nei Vangeli ho echomenos, “colui che vie-ne”, che non cessa di venire. Walter Benjamin,che aveva inteso perfettamente la lezione diPaolo la ripete a suo modo: “ogni giorno, ogniistante è la piccola porta da cui entra il mes-sia”».

Dunque, se nel tempo del messia non c’è tem-po per il ritardo, non c’è tempo neanche perl’attesa. Il momento è adesso, non deve essererimandato nel futuro, e tantomeno ad una futu-ra fine dei tempi. Mi sembra una lettura del cri-stianesimo più corretta: in grado di spazzarevia l’idea di un attesa che implica il rimandarel’azione ad un futuro di salvezza che non arrive-rà. Il momento è adesso, e il resto è un avanzo.

Tornando a Benedetto XVI, la cui raffinatez-za teologica sembra essere inversamente pro-porzionale all’inadeguatezza politica del suo pa-pato, la rivoluzionaria interpretazione dell’ideadi vita eterna che ci offre, affiancata alla letturamessianica che Agamben fa dei testi di Paolo, ci

spingono ad immaginare la carezza al lebbrosoda parte di Francesco proprio come qualcosadel genere: il ritorno del messia, la paurossia.L’eternità che infrange il tempo profano e dà lapercezione di un senso e di una profondità chela vita nella sua normalità non riesce a dare.Una contrazione del tempo che arriva come unladro all’improvviso in quello scorrere e norma-le fluire, e lo stravolge.

Sempre Agamben (pag. 18): «Secondo la teo-logia cristiana vi è una sola istituzione legaleche non conosce interruzione né fine: l’infer-no». E poi aggiunge: «il modello della politicaodierna che pretende a un’economia infinitadel mondo, è dunque propriamente infernale».

È questo l’inferno, in un’immagine dantescae mitologica quanto mai appropriata: restareintrappolati in un vortice che si consuma nell’at-tesa di una risoluzione, ma che reitera costante-mente quest’attesa, spostando indefinitivamen-te in avanti la liberazione da essa.

Ecco, l’incontro con il lebbroso per France-sco è la rottura di questo vortice, del meccani-smo meccanico che ci intrappola all’interno diun tempo che deve scorrere scandito dalle no-stre attese insoddisfatte. È l’eternità che arrivaall’improvviso e frantuma l’idea del domani, econ essa l’idea del potere e l’idea del denaro,rendendo la vita capace di un senso. «L’idea delpotere non ci sarebbe», scrive Pier Paolo Pasoli-ni in Preghiera su commissione, «se non ci fossel’idea del domani non solo, ma senza il domani,la coscienza non avrebbe giustificazioni».

Quello che capisce Francesco, dopo l’incon-tro con il lebbroso, è che il denaro e il poteresono un impedimento all’andare verso l’altro.E che ti costringono a cercare il loro compimen-to sempre e soltanto nel domani. Il denaro e ilpotere hanno senso nella facoltà di essere accu-mulati, quindi di poter aumentare nel tempo edi venir esercitati nel futuro. Nel momento incui vengono spesi, consumati, tanto il denaroquanto il potere semplicemente svaniscono, fi-niscono. Un rapporto, al contrario, nel momen-to in cui viene consumato, cioè vissuto, comin-cia a costituirsi.

Dunque Francesco è alla ricerca di un sensoper la sua esistenza che vada oltre il restare ri-piegati su se stessi: e lo spendere il proprio de-naro e il proprio potere in attesa del domani.Sta cercando di liberarsi dell’idea del domani,dunque il suo scopo non è la privazione del de-naro o del potere: questi sono il mezzo.

«Prese i suoi vestiti, si spogliò e lì portò a suopadre insieme ai soldi che gli erano rimasti.“Ascoltate tutti” disse a quanti si erano raduna-ti per vedere cosa stesse facendo il figlio di Pie-tro da Bernardone tutto nudo sul sagrato delDuomo di Assisi. “Ascoltate” disse, “questi so-no i vestiti di mio padre, e questi i soldi per cui sista dando tanta pena. È per questo che glielirendo, perché possa essere di nuovo tranquillo.Io non ne ho più bisogno”. Poi alzò lo sguardocercando gli occhi di suo padre, ma lui li tenevalontani, pieni di rabbia e dolore. “E perché” glivenne da aggiungere “da adesso potrò dire sola-mente Padre nostro che sei nei cieli, e non piùpadre Pietro da Bernardone”».

Naturalmente il padre di Francesco non capi-sce, soffre terribilmente e non riesce a intende-re cosa voglia suo figlio, cosa stia cercando. Se,riprendendo Massimo Recalcati, occorre anda-re alla ricerca del padre, nel tentativo di recupe-

rarne la funzione nell’epoca della sua evapora-zione, ecco: il padre di Francesco è esattamen-te evaporato. Spiega Recalcati in Cosa resta delpadre (pag. 27), «Un padre, sembra dirci Freud,è colui che sa far valere la Legge dell’interdizio-ne dell’incesto, facilitando il processo di separa-zione del figlio dalle sue origini. Lacan mostre-rà il carattere virtuosamente traumatico di que-sta operazione: l’esercizio simbolico della pater-nità assicura al figlio la possibilità di sganciarsidalla palude indifferenziata del godimento e diavventurarsi verso l’assunzione singolare delproprio desiderio». Pietro da Bernardone è deltutto incapace di mostrare alcuna legge chenon sia quella del commercio. Incapace di por-re un limite a suo figlio, di contenerlo: anzi loistiga a un’ascesa sociale ed economica, fa ditutto perché ottenga quello che lui non è anco-ra riuscito ad ottenere.

Ma «per servirsi del padre» dice Recalcati ci-tando Freud (pag. 18), «bisogna farne a meno.(...)Farne a meno è solo per potersene servire,non per annullarne l’esistenza». Abituato aprendere un po’ tutto quanto alla lettera, sem-bra che Francesco abbia, appunto, voluto pren-dere alla lettera anche Freud: si serve del padrefacendone a meno, accettando tutta la sua ere-dità che però, almeno dal suo punto di vista,non è nulla, o almeno nulla di materiale.

Se c’è qualcosa di cui si può accusare le gene-razioni cresciute negli anni Ottanta, quelle chehanno subìto per primi l’evaporazione del pa-dre e che sono stati i primi a sentirne la mancan-za, è di non aver cercato altrove quella funzio-ne. Né hanno rifiutato quei padri che si stavanoevaporando davanti ai loro occhi, del tutto inca-paci della loro funzione. Si sono invece messi incoda, in attesa che almeno qualcosa accadesse.Ottenendo non solo l’esclusione dal governodel mondo, ma che i loro padri, governandolosenza accettare alcun confronto con le genera-zioni a seguire, hanno finito per portarlo allapiù imponente crisi strutturale e sistematicache l’Occidente abbia visto da almeno settecen-to anni.

Sempre Recalcati (pag. 15): «l’umanizzazio-ne della vita esige l’incontro con “almeno unpadre”. Nell’epoca della sua evaporazione,“qualunque cosa”, affermerà l’ultimo Lacan,potrà esercitarne la funzione». Ma il vero pro-blema, su di un piano politico e spirituale, pri-ma che psicoanalitico, è quale Legge, il padreche ci stiamo andando a trovare, ci testimonie-rà. Quindi quale padre potremo sceglierci. Nonsembra essercene molti in giro.

Ecco, Francesco sceglie i lebbrosi: i derelitti,«la folla cenciosa e lurida degli accattoni» comedice Chiara Frugoni, perché gli insegnano cheprima di tutto il resto, vengono gli altri: l’amo-re.

@giovanninucci

Francescorestituisce i suoivestiti alpadre:dagli affreschi diBenozzoGozzoliaMontefalco

CULTURE

Addio babbo, scelgo i poveri

Megliononavereniente:gliabitie ildenarovengonorestituitialpadre

! Ibrani sulla vitadi SanFrancesco sonotrattidaFrancesco di GiovanniNucci, Rizzoli! Giorgio Agamben,La Chiesa e il Regno,Nottetempo,pp. 24,euro3! Pier PaoloPasolini,Trasumanar eorganizzar, GarzantiLibri, pp.224, euro9,50! MassimoRecalcati, Cosa resta delpadre?, RaffaelloCortina,pp. 192,euro 14! Chiara Frugoni,Vita di un uomo:Francesco d’Assisi, Einaudi,pp. 172, euro 11

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U:domenica 11 agosto 2013 21

Page 11: Dall'Unità - luglio agosto 2013

«“VEDETE” DICEVA FRANCESCO, “QUANDO IL MIO SI-GNOREPARLAVADEIGIGLIDEICAMPIDICEVACHEÈCO-SÌ FACILE TROVARE LA MISERICORDIA DI DIO. Dicevache sta lì, vicino a noi, nella cosa più bella e sem-plice che possiamo incontrare per strada lungo ilnostro cammino. E che non dobbiamo farci con-fondere dalle dottrine complicate, o dalle questio-ni della politica: l’amore di Dio è come i gigli deicampi, l’amore di Dio è nei gigli dei campi”. I suoicompagni non capivano, Francesco non si stavarivolgendo a loro, parlava guardando da un’altraparte. “Che dici, Francesco?” gli domandò frateLeone. “Con chi stai parlando?” E allora France-sco lo guardò sorridendo. “Ho avuto l’impressio-ne che sia più facile dire il Vangelo agli uccelliche farsi capire dai cardinali della Chiesa di Ro-ma”».

Visto che la Chiesa non riesce a mostrargli lavia d’uscita dalla morsa di attesa e insoddisfazio-ne che lo avvolge, Francesco la risposta la trovada solo, gli va addosso quasi per caso, o è il Signo-re che lo porta a sbatterci contro. Difatti nel testa-mento Francesco rivendicherà l’autonomia diquesta rivelazione, cioè l’autonomia dalla Chie-sa. Per quanto dunque lui rispetti la Chiesa e ilsuo potere attraverso «una fede così grande neisacerdoti che vivono nella forma della santa Chie-sa di Roma», è il Signore che gli ha mostrato lavia della salvezza: «ma l’Altissimo stesso me lorivelò, che io dovessi vivere secondo la forma delsanto Vangelo»; visto, verrebbe da aggiungere,che la Chiesa non era stata capace di farlo. Comeche sia Francesco ci tiene a tenere distinta la for-ma di vita della Chiesa di Roma dalla forma divita del Vangelo.

ILFILOSOFOGiorgio Agamben in La chiesa e il regno, riguardoall’esperienza salvifica che comporta il ritornodel messia dice: «una presenza che dis-tende iltempo, un già che è anche un non ancora, unadilazione che non è un rimandare a più tardi, mauno scarto e una sconnessione interna al presen-te, che ci permette di afferrare il tempo. L’espe-rienza di questo tempo non è, dunque, qualcosache la Chiesa potrebbe scegliere di fare o nonfare. Non vi è Chiesa se non in questo tempo, at-traverso questo tempo». Ma poi si domanda:«Che ne è di questa esperienza nella Chiesa dioggi? (...)L’evocazione delle cose ultime sembraa tal punto scomparsa dalle parole della Chiesa,che si è potuto affermare non senza ironia che laChiesa di Roma ha chiuso il suo sportello escato-logico».

Ora lo sportello escatologico sembra esserechiuso anche perché è probabilmente più faciletenerne aperto soltanto uno politico. Se non èrimandata al domani, in un futuro il più possibilelontano, la prospettiva di una salvezza in un «tem-po di adesso» entra inevitabilmente in conflittocon l’esercizio del potere, quello che Agambenchiama «la Legge, lo Stato, ciò che è volto all’eco-nomia». La Chiesa, insomma, sembra aver ripie-gato la sua funzione escatologica su quella politi-ca. Non credo che la mancanza di sacralità cheormai ci circonda dipenda da un’effettiva assen-za del sacro, ma dalla nostra incapacità di ricono-scerlo come tale. Dio non è morto, ha solo smes-so di farsi vedere in giro. E soprattutto la Chiesasi ostina a volercelo mostrare attraverso immagi-ni che non dicono granché e che difatti non rie-scono a scovarlo.

Dovremo immaginare un padre che veglia ilsuo bambino in un letto d’ospedale, senza avereidea di una possibile diagnosi, se non del rischioche questi sta correndo. Potendo darebbe la vitaper lui: ma adesso ai suoi piedi c’è solo un abisso:il male. O piuttosto il male e il bene indistinti elungo una profondità sconfinata: lui è impotente,incapace di qualsiasi azione, terribilmente inuti-le. Per quanto la scienza e la tecnica non riescanoa dirgli nulla, l’abisso rimane lì e lui resta solo esenza nessuna intelligenza o forza da poter op-porre a questa trascendenza sconfinata.

ILBENEE ILMALEOppure dobbiamo immaginare una giovane cop-pia di genitori che deve decidere se fare delle ana-lisi che permetteranno loro di sapere se il bambi-no che aspettano è sano o effettivamente affettoda una malformazione, come sembrerebbe esse-re, e nel caso interrompere la gravidanza. Che siinterrogano, quindi, sul dover decidere di ferma-re o meno la vita che sta per arrivare a riempirele loro esistenze. Ma ugualmente si interroganose sapranno sopportare, e governare, e dargli lagiusta dignità, un bambino che già nasce con deigravi problemi. Di nuovo la sconfinata distesa in-distinta del bene e del male che si spalanca sulleloro anime impreparate e impotenti davanti atanta incontrollabile vastità. La vita e la morte,nella loro indefinibile trascendenza, e la propriainadeguatezza ad affrontarle, contenerle, custo-dirle.

Applicato a queste situazioni proporre comesoluzione l’«incontro con Gesù», appare obietti-vamente ridicolo. Quell’abisso è il sacro. C’è, sta

lì. Dio non è affatto morto, ma continua ad abitar-lo come ha sempre fatto, ed è per altro del tuttoindifferente alla nostra incapacità di riconoscer-lo: ha solo perso il volto rassicurante dell’«incon-tro con Gesù».

Così mi sembra che la Chiesa di Roma, nonsapendo dare alcuna risposta sensata alle doman-de di quei genitori, non sapendo accompagnarele loro coscienze nell’addentrarsi in quell’abisso,preferisce favorire i partiti che le offre una leggeche giuridicamente impedisca loro di abortire. In-vece di andare da quel padre a suggerirgli l’unicacosa che, ormai, lo potrebbe rendere veramenteumano di fronte alla sacralità che si è spalancataai suoi piedi, pensa a legiferare. Così l’unica possi-bilità, per quell’uomo, sarà che il Signore per suoconto lo illumini nella sua solitudine: dicendoglidi non guardare alla propria inadeguatezza, e dinon cercare di farsi una ragione del male, perchéla sua intelligenza non ne sarà comunque capace.Ma che l’unica cosa che può veramente fare è dipassare la notte riempiendo del suo bene l’abissosconfinato che si è aperto ai suoi piedi: cercare dicolmare quell’eternità con l’amore per suo figlio.Non è forse questo che ci spiega il Vangelo?L’amore di un uomo può essere così vasto e po-tente da colmare l’eternità. Perché è di per sétrascendente, viene da Dio.

L’UDIENZAIN VATICANO«“Prendi tutte le tue cose, dalle ai poveri e segui-mi” rispose Francesco, “è questa la regola chevoglio avere. È già scritta nel Vangelo”. “Tu scri-vila di nuovo e va’ dal Papa” gli disse il Vescovo.“Fattela approvare, così a chi verrà a chiedereconto di ciò che fai potrai dire che hai la benedi-zione del Santo Padre”. Francesco obbedì. E conundici dei suoi compagni partì per Roma».

Nello scorso aprile Giacomo Costa scriveva suAggiornamentisocialicome «l’accostamento del ter-mine “papa” al nome del poverello di Assisi ètutt’altro che scontato: non a caso è la prima vol-ta che viene osato nella storia della Chiesa. Puòaddirittura apparire come un ossimoro». Un ossi-moro che porta ad emergere un conflitto che nonsi è mai consumato realmente, ma che ha inizionel 1210 quando Francesco va in udienza da Inno-cenzo III per chiedergli l’approvazione della rego-la. Quella regola non ci è pervenuta, ma sembrafosse fatta più che altro di brani del Vangelo: laforma di vita del Vangelo, e non quella della Chie-sa di Roma. Senza arrivare a dire che la Chiesaaveva difficoltà ad approvare dei brani del Vange-lo, di certo Francesco era in difficoltà nel doverliscrivere sotto forma di regola. Ma non era unaquestione politica, di contrattazione tra la posi-zione dell’ordine che Francesco stava costituen-do e la Curia. Il problema, per Francesco, sembra-va essere ben al di là, riguardava «le cose ultime»e non quelle penultime, cioè a che ora si dovessemangiare o che tipo di scarpe indossare.

Il problema di Francesco di fronte alla regolanon si risolve. Per fare in modo che l’ordine rie-sca ad essere tale e che si dia, quindi, una regola,cioè potere, Francesco di fatto preferirà tenerse-ne ai margini. E per quanto la Chiesa abbia cerca-to più volte di assimilarlo a sé, di normalizzare lasua visione del vivere cristiano, la distanza, pernon dire il conflitto, tra Francesco e il Papa è so-pravvissuto quasi perfettamente integro fino anoi. Perché è un conflitto interno alla Chiesa. Dif-ficilmente la Chiesa riesce ad essere così ipocritariguardo a se stessa, difatti nessun Papa ha maipreso il nome del Santo di Assisi nonostante lasua universale popolarità. Almeno fino ad oggi.Ed è stato possibile solo nel momento in cui unaltro capo della Chiesa ha deciso di dimettere l’uf-ficio politico.

! Ibrani sullavitadi Francescod’Assisi (travirgolettenel testo) sonotratti dal libro diGiovanniNucci,«Francesco», Rizzoli, pagine 98,euro 13,00! Giorgio Agamben,«La Chiesae ilRegno»,Nottetempo,pagine 24, euro3,00! GiacomoCosta,«Papa Francesco:carismaeistituzione» lo si trova suwww.aggiornamentisociali.it

CULTURE

Laregolaèsempliceseguire ilVangeloIlviaggioaRomadaPapaInnocenzoIIIIndaginesuFrancesco/4Il rapportocon laChiesaèproblematico:«Hol’impressionechesiapiù facilespiegare i testi sacriagliuccelli chefarsicapiredaicardinali»

[email protected]/@giovanninucci

I LIBRI

U:domenica 18 agosto 2013 21

Page 12: Dall'Unità - luglio agosto 2013

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Prima se la prende con il Parlamento«letamaio» definendolo un covo di«servi». Poi la giravolta sulla Costitu-zione «non è intoccabile, non è il Van-gelo, il Corano o il Talmud». Il cambiodi marcia avviene non appena la com-missione Affari costituzionali della Ca-mera inizia a discutere la modifica del-la Carta e non perde tempo ad urlareal «colpo di Stato di agosto». Ora toccaal presidente della Repubblica, Gior-gio Napolitano, cadere nel radar deglistrali di Beppe Grillo. Il leader del Mo-vimento 5 Stelle prende di mira l’at-tuale inquilino del Quirinale invitan-dolo a farsi da parte.

Quello dell’ex comico genovesesembra un déjà vu. Non è la prima vol-ta che alza i toni della polemica. Que-sta volta punta al bersaglio grosso.«Gli chiedo un passo indietro, il pas-saggio del testimone a un altro presi-dente che deciderà se sciogliere le Ca-mere o proporre scenari di governo di-versi da quello attuale che è insosteni-bile come Napolitano stesso probabil-mente ammetterebbe in privato» scri-ve Grillo in un tweet che riprende unpost apparso sul suo blog.

L’attacco al Capo dello Stato è sen-za freni «Lui è oggi, che lo voglia o me-no, il garante di una situazione politi-ca destinata al fallimento che ha con-sentito e avallato» per il capo dei grilli-ni «ci sono sempre alternative, signorPresidente, e oggi è necessario voltarepagina». L’uscita di Grillo è anche unmessaggio molto chiaro a quella partedei parlamentari del suo Movimento,che avevano aperto all’ipotesi di un av-vicinamento al Pd nel caso dovesseprecipitare l’alleanza delle larghe inte-se con il Pdl sul Governo Letta. Sullosfondo c’è anche la vicenda di Berlu-sconi e la conferma della sua condan-na, decisa dalla Cassazione sul casoMediaset, con il Pdl all’affanosa ricer-ca di una sorta di salvacondotto perl’ex Cavaliere per garantirgli «l’agibili-tà politica».

Nella sua sfuriata, Grillo, attacca ilCapo dello Stato perché «lui voleva,

vuole, lo status quo, la stabilità politi-ca. Ha creduto che un governo dellelarghe intese potesse impedire il crol-lo del Paese. Invece ha ottenuto l'effet-to contrario». «È stato un doppio az-zardo voler rimanere per un altro set-tennato e accettare un governo condi-zionato da Berlusconi imputato in piùprocessi che, fosse solo per la statisti-ca, poteva diventare un pregiudicatoin breve tempo» dice l’ex comico. «Na-politano deve prendere atto che in en-trambi i casi queste sue decisioni si so-no rivelate un rischio maldestramen-te calcolato. Non voglio, né mi interes-sa, mettere in discussione la buona fe-de del presidente della Repubblica,ma le sue decisioni hanno consegnatoil Paese all'immobilità per mesi men-tre l'economia franava».

Naturalmente lo sproloquio del fon-datore del Movimento pentastellatonon potevano che fare rumore. Imme-diate le reazioni del mondo politicoall’ennesimo attacco di Grillo. Il Pd inuna nota ritiene le sue frasi «incom-prensibili e inaccettabili» e per i demo-cratici «è evidente il tentativo di gioca-re allo sfascio del Paese. Grillo non si èmai assunto alcuna responsabilità difronte ai problemi degli italiani e conti-nua a scaricare sempre tutto sugli al-tri. Per fortuna il Paese sa e saprà giu-dicare. Al presidente Napolitano riba-diamo tutta la nostra stima e fiducia».«Grillo sbaglia, Napolitano è impecca-bile» afferma il presidente dei senato-ri del Pd Luigi Zanda. «Sono parolesemplicemente irricevibili» commen-ta il capogruppo del Pd alla CameraRoberto Speranza. «Inqualificabili» èl’espressione usata da Anna Finoc-chiaro, presidente della commissioneAffari costituzionali del Senato. «Setutti facessero un passo indietro, allafine rimarrebbe solo lui» chiosa la vice-presidente del Senato, Valeria Fedeli.«Povero Grillo, perde consensi e lapresa sui suoi e crede, per recuperarli,di dover alzare quotidianamente il ti-ro» è la lettura che dà Paola De Miche-li, vicepresidente vicario del gruppoPd alla Camera.La solidarietà è bipartisan «Dovrebbevergognarsi!» rincara l’ex ministroMariastella Gelmini. Nell’occasione ri-trova un po’ di sobrietà anche SandroBondi, dopo aver paventato guerre ci-vili per la condanna di Berlusconi, ilcoordinatore del Pdl definisce «dissen-nati» gli attacchi di Grillo a Napolita-no «l'unico presidio che in questo mo-mento può garantire un'ordinata usci-ta dalla crisi politica, istituzionale edeconomica in cui ci troviamo».

Un’assemblea l’8 settembre e una grande ma-nifestazione a Roma il 5 ottobre. Sono due lemosse d’autunno con cui le associazioni in

difesa della Costituzione - capitanate da Stefano Ro-dotà, Maurizio Landini, Lorenza Carlassare e Gusta-vo Zagrebelsky - intendono «svegliare il Paese», gri-dando un forte «no» alla riforma della Carta allo stu-dio del Parlamento. Smentita l’ipotesi di voler crea-re «l’ennesimo partito», questo gruppo punta a col-mare quel «vuoto» creato da «una politica autorefe-renziale, con un orizzonte limitato al giorno dopo»,spiega Rodotà, e che lascia la società in balìa di «unaprecarietà costituzionale». Il tutto aggravato dallavera anomalia, l’ex premier Silvio Berlusconi, con-dannato in via definitiva per frode fiscale: «La gra-zia? - sgrana gli occhi il costituzionalista - Tecnica-mente non penso sia percorribile. Non credo che lapolitica debba trovare altre soluzioni, figuriamoci.C’è una sentenza e va rispettata, non si possono ma-nipolare le istituzioni». E se il governo dovesse cade-re? «Non auspichiamo lo scioglimento delle Came-re, ma crediamo che sia necessario che il presidentedella Repubblica cerchi soluzioni alternative - diceRodotà, che non sembra dare eccessivo peso all’ulti-mo diktat anti-Pd di Beppe Grillo -. Nelle democra-zie rappresentative c’è sempre qualcuno che si inge-gna per uscire da costrizioni che sono quasi sempreil risultato di una visione di corto respiro».

Primo bersaglio di questo ensemble di associazioni- che esordì lo scorso 2 giugno riunendo migliaia dipersone in piazza Santo Stefano a Bologna - resta lamodifica dell’articolo 138 e il rischio di presidenziali-smo. È stata avviata anche una raccolta firme - tragli aderenti Crozza, Celentano, Ingroia, Caselli - chepunta a raggiungere quota 500mila sottoscrizioni.«La nostra contrarietà a spinte di questo tipo è netta- ribadisce Rodotà -, potrebbero rivelarsi distruttiveper il nostro Paese».

Più che parlare di modelli («I trapianti istituziona-li dall’estero non funzionano»), il costituzionalistagià indicato dal M5S come candidato preferito alColle, non chiude a manutenzioni della Carta («Sipotrebbe tagliare un ramo del Parlamento e ridurreil numero degli eletti») e individua nella propostaGiacchetti-Migliore, che cancella il Porcellum («unalegge fatta per produrre ingovernabilità») e ripristi-na il Mattarellum, il primo passo per tornare un Pae-se normale. Non l’unico, certo. Un altro tassello è lalegge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro. Te-ma caro al leader delle tute blu Cgil. «L’articolo 8della Finanziaria bis 2011 che permette di derogareall’applicazione delle leggi è un ricatto ai lavoratorisenza precedenti - attacca Landini -. Così viene cal-pestata la libertà di scelta sindacale e il fondamentostesso dell’articolo 1 della Costituzione». Il segreta-rio generale della Fiom spiega perché questa batta-glia è molto concreta. «Solo in luglio - elenca Landi-ni - la Corte costituzionale ha dato torto al Lingottobocciando l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori,la Cassazione ha reintegrato i lavoratori Fiat di Mel-fi ma l’azienda non ha ottemperato, e un condanna-to manifesta nella Capitale chiedendo di mettere indiscussione la Costituzione. Ditemi se questa nonrappresenta una violenza a democrazia e coesionesociale». Per Landini «la Carta non va cambiata, maapplicata». Ed ecco perché la Fiom è pronta a scen-dere in piazza.

Il “movente” è anche politico, come spiega Zagre-belsky, presidente onorario di Libertà e Giustizia.«L’astensionismo elettorale ha raggiunto livelli diguardia - spiega in collegamento telefonico -. Ci sibalocca con sondaggi che danno lo 0,5% in più o inmeno, ma le fila dei disillusi e degli insoddisfatti siingrossano. La politica rischia di sparire, e continua-re a ripetete che “non c’è alternativa” a questo go-verno e ad andare avanti sulle riforme, finisce perrafforzare il connubio tra potere e denaro». Eccoquindi la mobilitazione «non per difendere un pezzodi carta, ma per rianimare la politica e la democra-zia», chiude Zagrebelsky. In autunno, però, ci si po-trebbe ritrovare in clima già elettorale, se il Cavalie-re e i suoi dovessero far saltare il banco. Ma gli orga-nizzatori della manifestazione giurano che non saràil banco di prova di una nuova formazione politica.«Non vogliamo creare l’ennesimo partito», tagliacorto Rodotà. Tra le prime adesioni quelle di Sel,con il coordinatore Ciccio Ferrara, e di Articolo 21,con Giuseppe Giulietti e Vincenzo Vita: «La tutelaattiva della Carta è diventato il discrimine della poli-tica italiana. O di qua, o di là. Di fronte all'ondataautoritaria del berlusconismo in rotta, è doverosoresistere. Non ci sono "larghe intese" che tengono».

ILCONVEGNO

ANDREABONZItwitter@andreabonzi74

Rodotà: a ottobrein piazza perla Costituzione

! Il capo dei 5 Stelle:«Ha fallito, ha sbagliatoa ricandidarsi»! Il Pd: «Irricevibile»! Anche il Pdl protesta

«Napolitano lasci». Tutti contro Grillo

PAROLEPOVERE

Missili abbronzati dalla SardegnaTONIJOP

! Smettiamo di pensare che non si possa chiedere alpresidente di togliersi di torno: non c'è niente dianti-democratico in questa aspra richiesta.Quindi, non se ne faccia un dramma istituzionale«indicibile», si può dire eccome. Irrita, semmai, che l'offertasia stata espressa da un soggetto politico che ha fatto unbivacco della platea e che sembra seguire gli sviluppi dellavicenda nazionale così come si segue un dramma a teatro.Perché, ora è chiaro, Beppe Grillo ha scelto di fare entrare ilM5S in Parlamento per smettere finalmente i pannidell'interprete e per calarsi in poltrona; da qui, come unCyrano nervosamente anti-conformista, spara i suoi fischi,grida «vai a casa» quando e come meglio gli pare.Ha fatto sapere a Napolitano che lo spettacolo fin qui lo hadeluso molto, che lo ritiene responsabile dello show e perquesto gli suggerisce di cambiare aria.Quasi un complimento: è come se riconoscesse il fatto che ilpresidente è l'unico, sulla scena, in grado di disturbarlo, dibatterlo irresistibilmente ai punti, capace di una visionepolitica delle cose e in grado di pilotarla. Napolitano lodisturba perché sveglia in lui la voglia di palcoscenico, lafebbre del primattore mentre sta seduto dall'altra partedella barricata. Così, lo vorrebbe intanto «fora dai bal».Ma siccome è chiaro che oggi Napolitano non dirà: «Siccomeho tanto rispetto di Grillo e dei suoi desideri, informo l'Italiache da domani il Quirinale è affittabile, ho già fatto ibagagli», e Grillo lo sa, allora vuol dire che al padrone deiCinque Stelle andava solo di far sapere al presidente che èlui il suo primo bersaglio e che i suoi missili abbronzati sonoin grado di colpire dalle rampe di lancio della CostaSmeralda.

mercoledì 7 agosto 2013 7

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TendenzeSimpatia,paura,speranza,compassione:c’èundiffuso interessetra i filosofiperunpensierodelpresentechetoccalaquotidianaesperienzae ladiffusapassionalità

Nell’intimitàdellepassioniLafilosofiasi interrogasuisentimentiumani

Fotogrammada«AscendingAngel»diBillViola

LAFILOSOFIADELLEPASSIONIGODEINITALIADIUNRIN-NOVATO INTERESSE EDITORIALE, NELL’INTRECCIO TRACOMPETENZESTORICHEETEORETICHE,e impegno perun pensiero del presente che tocca la quotidianaesperienza e la diffusa passionalità, pubblica e pri-vata. Essa possiede un archetipo recente nella Geo-metriadelle passioni.Paura,speranza, felicità: filosofiaeuso politico pubblicata da Remo Bodei (Feltrinelli,2003).

Nella collana «Moralia» di Raffaello Cortina, di-retta da Roberto Mordacci e Andrea Tagliapietra,sono ora usciti in immediata successione Simpatiadi Eugenio Lecaldano e Passione di Umberto Curi,entrambi professori emeriti, di Filosofia moralepresso «la Sapienza» di Roma il primo e di Storiadella filosofia presso l’Università di Padova il se-condo. Contemporaneamente Bollati Boringhieripubblica Compassione. Storia di un sentimento di An-tonio Prete, ordinario di Letterature comparatepresso l’Università di Siena. Libri diversi che peròpresentano un focus sulla passione come oggettoprivilegiato del pensare nel mondo di oggi, nellafilosofia, nella scienza e nelle arti.

Curi è convinto che la passione sia «fondamen-to dell’interrogazione propriamente filosofica,senza la quale non sarebbero possibili né la com-prensione né il discorso». Passione è un libro, chenon segue i tradizionali trattati sulle passioni, mache va al nocciolo teoretico del problema postodalla «passione», utilizzando filologia e filosofia,storicità e argomentazione. «Passione» nel signifi-cato moderno descrive «una delle forme più inten-se di attività» e non la passività iscritta nel suoetimo latino. Ma l’ambivalenza tra passività e atti-vità rimane al fondo del concetto, e Curi ne seguealcuni percorsi teoretici, interrogandosi sulla mo-tivazione, «almeno parzialmente inspiegabile»,che ha prodotto il rovesciamento del concettomantenendone l’ambiguità. La lettura si dispiegadalle origini (Inprincipioerailpathos), alla tragicitàgreca, toccando la figura moderna del Don Gio-vanni e il nodo originario del Cristianesimo nellapassione di Cristo. Nel denso Epilogo Curi ci ricor-da come «ogni autentico percorso conoscitivo èconnotato (…) sul piano del paschein», muove dallo«sgomento» (non, come si traduce comunemente,«meraviglia»), dal thauma, indicato da Platone eda Aristotele all’origine della filosofia. Egli forni-sce così una definizione del filosofare come charis,«discorso che - pur dimostrando - genera anchequel piacere che si sottrae a ogni calcolo, a ognilogos» e, unendo la dimostrazione e l’affettività,produce «un intenso piacere».

In Simpatia Lecaldano caratterizza una passio-ne universalmente provata e gradita, la «simpa-tia», in una forma analitica che intreccia saperefilosofico e scientifico. Lecaldano demarca le acce-zioni più generali e più proprie del concetto di«simpatia» nel quadro storico e teoretico del pen-siero morale, richiamando esempi letterari e filmi-ci, e delineando una netta distinzione tra «simpa-tia» e «compassione», che pure sul piano linguisti-co sono sinonimi: «compassione» è calco latinodel greco sympatheia. Eppure, a ragione, Lecalda-no segna la distanza oggi presente tra i due concet-ti: il primo designa «un’attitudine conoscitiva me-diante la quale riusciamo a cogliere le condizionimentali altrui, oppure una reazione affettiva edemotiva nei confronti delle emozioni o dei senti-menti altrui», mentre il secondo rinvia alla pietàper l’altro suscitata dalle sue sofferenze. Più sfu-mata la distinzione tra simpatia ed empatia, termi-ne oggi molto diffuso, anche grazie ai risultati otte-nuti dalle neuroscienze nella comprensione dellaneurologia delle emozioni (la teoria dei neuronispecchio è richiamata anche nel libro). Ma Lecal-dano non pone soltanto un problema descrittivo;affronta la questione «se la simpatia sia da ritener-si necessaria o meno per la moralità», «come basepsicologica della vita morale» e come «centro nor-mativo di un’“etica della simpatia”». Nel dirimeretale questione Lecaldano si serve della sua compe-tenza di studioso tra i maggiori del pensiero diDavid Hume e di Adam Smith per descrivere ilruolo morale e «politico» della simpatia, concepi-ta da Hume come un «principio psicologico chepermette la comunicazione e la partecipazionetra gli esseri umani». La naturalità della simpatia,attestata dalle neuroscienze e presente in formepiù «istintive» anche tra gli animali sociali (comevidero già Hume e, con maggiore cognizione,Charles Darwin), se intesa nella sua forma più ele-vata, come riflessione cosciente legata all’immagi-nazione, rende possibile una socialità produttiva ecollaborativa, favorendo il riconoscimento di vir-

tù pubbliche, e, in definitiva, «aiuta a elaborareuna società più democratica e più libera». L’allar-gamento progressivo dei «cerchi della simpatia»più incidere sui diritti individuali e sulla giustiziasociale: Lecaldano lo auspica, richiamando Amar-tya Sen, che vede la soluzione dei problemi socialie politici di un mondo globalizzato nell’«allarga-mento dei sentimenti di simpatia» favorito dallaformazione di cittadini che siano spettatori educa-ti a «una concezione aperta dell’imparzialità». Esappiamo quanto avremmo bisogno in Italia diuna politica che valorizzi il ruolo costruttivo dellasimpatia sociale.

Nel libro dedicato alla compassione, «sentimen-to raro», Prete ci conduce, con la raffinatezza delletterato di rango, frequentatore assiduo dellagrande letteratura europea moderna, e di due poe-

ti sublimi come Charles Baudelaire e GiacomoLeopardi. Prete è consapevole della «debolezza»di un sentimento soggetto alla «storica diffidenzadei filosofi», oggi ben distinto - lo si è visto sopra -dalla simpatia, affidato all’afflato delle religioni econgiunto alla pietà e al dolore. Prete si rivolgesoprattutto al «pensiero poetante», a una lungatrama di riflessioni emerse nella tradizione lette-raria e artistica, dalle tragedie di Eschilo e Sofoclealla figura di Don Chisciotte, dal mito di Filemonee Bauci in Ovidio alle Rime di Dante, dalle meta-morfosi kafkiane di Gregor Samsa alla voce delleUpanishadvediche, alla misericordia cristiana, alletragedie shakespeariane. Tre capitoli assumonoun particolare rilievo: quello leopardiano sul «sa-pere della compassione», che percorre magistral-mente l’essai sulla compassione raccolto in quel

Trattato delle passioni ricostruibile negli Indici delloZibaldone; quello sul «dolore animale» e il Margineconclusivo che descrive «una storia della Pietànell’arte». La partecipazione compassionevole aldolore animale, segno forse dell’estensione del«cerchio della simpatia», richiama anche un ricor-do leopardiano: un atto comune di crudeltà (unragazzo uccide una lucciola), che «si disegna co-me una figura del pensiero stesso e della poetica:l’attenzione a tutto quel che è vivente, un sentirecreaturale esteso fino alla percezione di ogni pati-re». Prete ci racconta di chi ha vissuto intensamen-te la compassione trasfigurandola in sublime«poesia pensante», come Leopardi nella Ginestra.La compassione sarà pure una passione «debole»,ma senza di essa non disporremmo dell’umanitàdiffusa in tanta parte dell’arte e della religione.

CULTURE

SIMPATIAEugenioLecaldanopagine 192euro 13,00RaffaelloCortinaEditore

PASSIONEUmbertoCuripagine230euro 13,00RaffaelloCortinaEditore

COMPASSIONEStoriadi unsentimentoAntonioPretepagine 189euro 16,00BollatiBoringhieri

GEOMETRIA DELLEPASSIONIPaura, speranza,felicità: filosofiae usopoliticoRemoBodeipagine530euro 15,00Feltrinelli(2003)

GASPARE POLIZZI

U:sabato 17 agosto 2013 19

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SEGUEDALLAPRIMAIl primo passaggio recita che «di qualsiasisentenza definitiva, e del conseguente obbli-go di applicarla, non può che prendersi at-to»: ci si può girare intorno quanto si vuole -criticando, commentando e persino prote-stando - ma quando una sentenza arriva alterzo grado (definitiva, appunto) si passadal mondo delle parole a quello dei fatti. E lecondanne da eseguire sono tra questi.

Il secondo passaggio, legato al primo, ri-guarda il «principio della divisione dei pote-ri e della funzione essenziale di controllo del-la legalità che spetta alla magistratura nellasua indipendenza». Un paragrafo forse ov-vio, come ha detto l’ex ministro della Giusti-zia, il pidiellino Nitto Palma, se non fosseper due ingombranti precisazioni che lo ren-dono assai meno scontato. Perché questoprincipio, scrive Napolitano, non solo nonva «mai violato»: va anche «riconosciuto».Nel senso che va pubblicamente riconosciu-to: il contrario dell’attacco permanente allamagistratura e alla sua dignità.

Il terzo passaggio è più politico ma nonmeno insidioso, perché chiede di abbando-nare la «filosofia politica» che ha guidato fi-nora non solo Berlusconi, ma l’intero centro-destra: «Procedere in un clima di comuneconsapevolezza degli imperativi della giusti-zia e degli interessi complessivi del Paese».Accettare la condanna, riconoscere la magi-stratura, anteporre gli interessi della giusti-zia e del Paese a quelli personali: eccoli i trepaletti, le tre prove che Napolitano chiede eche Berlusconi deve superare se davverovuole incamminarsi lungo la strada della ri-chiesta della grazia.

Tre richieste che il Cavaliere non può cer-to ignorare, perché la condizione di condan-nato lo pone, per la prima volta da quando è«sceso» in politica, dentro le regole del gio-co, senza poterle dettare o cambiare a piaci-mento. E questo spiega l’aria di incertezza edi indecisione che si respira nei corridoi diVilla San Martino, dove Berlusconi è rinchiu-so da mercoledì a rileggere la nota di Napoli-tano in compagnia degli avvocati e dei consi-glieri più fidati.

Nella situation room di Arcore, gli scenarisul tavolo sono solamente due, e già questa èuna novità per un leader abituato a crearedal nulla scorciatoie invisibili e vie di fuga adpersonam. Il primo è accettare senza riserve

le condizioni poste da Napolitano che, giovaricordarlo, non è solo il Capo dello Stato maanche il presidente del Consiglio superioredi quella magistratura che per due decenniè stata, assieme al comunismo dietro l’ango-lo, il cavallo di battaglia delle sue campagneelettorali. In questo scenario Berlusconi do-vrebbe, non solo accettare la condanna, mariconoscere che la sua «guerra dei vent’an-ni» era sbagliata. E che il rispetto della divi-sione dei poteri è un principio democraticofondamentale.

Ma più che una resa delle armi, Napolita-no si aspetta un vero e proprio atto di pacifi-cazione, questa volta sì, tanto che assiemeagli «imperativi della giustizia» da riconosce-re, pone gli «interessi del Paese» da perse-guire. Starà a Berlusconi scegliere come ri-spondere alle richieste del Quirinale. Ma èevidente che i tempi e i modi diventerannoparte integrante della risposta. Perché quel-lo che il Capo dello Stato chiede a Berlusco-ni, in fondo, è di non fare della sua condannaun caso politico. E un silenzio prolungato, ol’attesa del voto dell’aula per lasciare la pol-

trona da senatore, sarebbe già un modo pervestire politicamente la sua situazione dicondannato. Altra cosa sarebbe se il Cavalie-re, come è stato scritto, ci «facesse la grazia»di prendere la parola in Senato e rassegnarein anticipo le sue dimissioni, accettando finoin fondo il suo status di cittadino condanna-to.

Il secondo scenario, allo studio in questeore ad Arcore, è diametralmente opposto:iniziare una vera e propria guerriglia controil Paese e le sue istituzioni. Da Unto del Si-gnore a santo martire, insomma, torcendo asuo favore, ironia della sorte, quel «resiste-re, resistere, resistere» pronunciato da unmagistrato come Saverio Borrelli. Nessunaammissione, nessun riconoscimento e nes-sun discorso di dimissioni al Senato: al loroposto un muro contro muro (o piccole astu-zie tattiche, il che fa lo stesso) che ovviamen-te escluderebbe la grazia ma comprendereb-be una crisi di governo (Napolitano nella no-ta l’ha definita «fatale»).

In ogni caso, Berlusconi ha capito che alprincipio della legge uguale per tutti non c’èderoga possibile o negoziabile. Purtroppoper lui, la «vocazione maggioritaria» del Pdlè svanita da tempo e l’obiettivo a cui ambi-sce oggi il Cavaliere è una partecipazione,pur minoritaria, al potere. Ma, prima o poi,anche il suo partito dovrà dire cosa pensadel futuro dell’Italia, e non solo di quello delfondatore.

Voced’autoreUna vita, la vitadi un ragazzino gay

MoniOvadiaMusicista e scrittore

! IL TALMUD EBRAICO DICE: «CHI SALVA UNAVITA SALVA IL MONDO INTERO». QUESTA

FRASEÈDIVENTATACELEBERRIMAGRAZIEALFILMDISTEVENSPIELBERG«SCHINDLER’SLIST».Il regi-sta l’ha scelta come epigrafe per raccontarela storia di Oscar Schindler, un giusto fra lenazioni e ormai la sentiamo citare in conti-nuazione ad ogni celebrazione del Giorno del-la Memoria. E come si stingono in ridondan-za e in falsa coscienza la forza e la maestà diqueste parole! La natura ambigua e insidiosadel linguaggio, in bocca ai commis della reto-rica, ha il potere di trasformare il grandiosoin insulso.

Facciamo però lo sforzo di metterci a nuo-tare contro corrente, riprendiamoci il sensopregnante di quel detto. La notte fra il 7 e l’8agosto scorso, abbiamo perso una vita, unica,preziosa, sensibilissima, capace di contenereun immenso dolore. Immaginiamo un titolosulla stampa: «Un giovane gay, un adolescen-te di 14 anni, si toglie la vita lanciandosi nelvuoto». Poi le spiegazioni. Non sopportavapiù le umiliazioni, lo scherno, l’emarginazio-ne. Per questo lui ha scelto il suicidio.

Chi lo ha assassinato? È stata la logica dichi, per supponenza maggioritaria, si ritienein diritto di abusare di un essere umano soloperché non corrisponde al suo stereotipomarcio, gonfiato dalla violenza di chi ha de-cretato che uniformità, è valore in sé e la di-versità, l’alterità, sono disvalori in quanto ta-li. Questa sottocultura da cloaca, occupa sen-za costrutto, i cervelli di altri giovani, compa-gni di classe, vicini di quartiere, che invece di

trarre profitto da una relazione di conoscen-za, di rispetto, di amore con la ricchezza delloro compagno, si degradano nella stupidità enel pregiudizio. Questi ragazzi sono «istruiti»da adulti balordi il cui cervello andrebbe mes-so sotto sequestro in attesa che imparino afarne l’uso proprio.

Alcuni di questi imbecilli, sono disinvolta-mente tollerati nel Parlamento repubblicanocon una nonchalance decisamente poco de-mocratica. Quanto ai politici, con poche ecce-zioni, da anni si perdono in oziosi cavilli nomi-nalistici e in dilazioni strumentali per interes-si elettorali invece di colmare il vergognosoritardo con cui l’Italia, come al solito, negadiritti inviolabili ai nostri cittadini lesbiche egay, mentre coccola l’ideologia machista.

Come giustificazione, adducono la cosid-detta «sensibilità» dei temi «etici» e così pos-sono mettere in campo tutte le tecniche dila-torie per perpetuare lo schifo sine die. Que-sto sconcio lo chiamano moderazione. Nonmi stanco di ripeterlo, la moderazione chepuò essere virtù altrove, in Italia si legge fero-cia. Un ferocia bianca persino peggiore diquella nera. Ma cosa c’è di più «sensibile» diuna vita, della vita? Non dimentichiamolo,questo ragazzo è anche figlio di tutti noi. Ri-vendichiamone il sacrificio.

! IL RUOLO DELLA DONNA E LA SUA «DIGNITÀ»,NELLACHIESA, VANNOCOMPRESE ED ESALTA-

TE. Papa Francesco ha parlato così ai fedeli inpiazza a Castel Gandolfo, prima di recitare l’An-gelus nella solennità dell’Assunzione. «Compre-se ed esaltate», già nel viaggio in Brasile avevaparlato della necessità di una vera e propria«teologia della donna»: cenni, passaggi, ma im-portantissimi.

Il fatto di riprenderli il giorno di Ferragostoha un significato tutto particolare. Nell’antichi-tà le Feriae erano una celebrazione della fertili-tà e della maternità, di derivazione orientale, ladea madre Sira, patrona del lavoro dei campi,prerogative che nel corso dei secoli la tradizio-ne popolare attribuì alla Vergine Maria.

Ma a Ferragosto non si celebra una delle tan-te feste dedicate alla Madonna, bensì quella spe-cialissima dell’Assunta, l’ultimo dogma maria-no dichiarato da Pio XII nel 1950. E perché sa-rebbe così speciale? Carl Gustav Jung lo spiegòmolto bene in uno scritto, divenuto importanteper la storia delle donne in Occidente. Il fonda-tore della psicologia del profondo, basata suisimboli e gli archetipi di origine protestante nellibro Risposta a Giobbe, scriveva: «Il dogmadell’Assunzione di Maria al cielo costituisce l’av-venimento religioso più importante dell’età mo-derna dopo la Riforma». Perché era, secondoJung, l’evento simbolicamente più importanteper la storia delle donne moderne, per la loroemancipazione e il loro riconoscimento. PerJung, il fatto che l’unico essere umano già as-sunto in cielo, prima della fine dei tempi, oltreal figlio di Dio, fosse una donna rappresentavauna rivoluzione nell’immaginario collettivo eun riconoscimento di potenza enorme. Al limi-te dell’onnipotenza, e dunque dell’eresia, per-ché rischiava di equiparare troppo pericolosa-mente la madre, solo donna e del tutto umana,al figlio, uomo sì ma anche figlio di Dio.

Un bel intrico teologico e storico. Tanto chenella storia della Chiesa i movimenti assunzioni-sti ebbero vita assai difficile, perché, tra le tanteragioni, rischiavano di dilatare troppo le prero-gative della Madonna, e quindi delle donne. Cre-do dunque sia di grande rilevanza che PapaFrancesco, scelga una circostanza così significa-tiva per parlare del nuovo ruolo della donna eper celebrare il 25/esimo anniversario della Let-tera apostolica Mulieris Dignitatem, di GiovanniPaolo II, sulla dignità e vocazione della donna.Il significato dell’Assunta non riguarda solo ledonne nella Chiesa ma illumina, e non solo sim-bolicamente, l’ambivalente figura della donnamediterranea: onnipotente - per Jung l’Assun-ta era il ritorno ad un dio femmina -, e peròanche sottomessa. Potentissima in quanto ma-dre ma anche subalterna all’uomo-marito. Unanatura fragilissima e fortissima quella delladonna mediterranea, diversa dall’emancipatadonna protestante.

È importante tornare a queste radici profon-de dell’identità femminile contemporanea difronte al crescere della violenza contro le don-ne. È da lì che dobbiamo ripartite tutti e tutte.La sensibilità verso il femminicidio cresce ognigiorno, e ne siamo contente. I movimenti delledonne sono in allerta permanente, le deputatee le senatrici, tutte, hanno lavorato con un impe-gno straordinario, da ultimo il decreto governa-tivo sancirà provvedimenti urgenti.

Tutto questo ci rende giustamente orgoglio-se. Il «ma» che segue d’obbligo a queste osserva-zioni parla giustamente di prevenzione. E perònessuna prevenzione è più efficace che riparti-re dalla forza delle donne mediterranee, e nonsolo dalla loro debolezza. Perché è oggi la loroforza a spaventare, quando vengono meno i con-trappesi che la cultura occidentale maschileaveva messo in piedi, per venirne a patti e perfarne il frutto di un rapporto amoroso. In que-sto senso, le culture religiose possono esserepreziose alleate delle donne e della loro capaci-tà di costruire relazioni buone.

Questo giornale è statochiuso in tipografia alleore 21.30

COMUNITÀ

La tiratura del 15 agosto 2013è stata di 79.045 copie

Maramotti

L’editoriale

La scelta di Silvio: dimissioni o scontro

. . .Berlusconi, per la prima voltada quando è «sceso»in politica, non può dettare ocambiare le regole come vuole

LucaLandò

. . .Omofobia: i politici, con pocheeccezioni, da anni si perdonoin cavilli nominalisticie strumentali dilazioni

Il commentoLa rivoluzione di unavera teologia della donna

EmmaFattoriniSenatrice Pd

16 sabato 17 agosto 2013

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NUTRIMENTI : Rizzanteeglialtri: comesalvarsigrazieallapoesia P.18

PERSONAGGI : I sessant’annidiNanniMoretti P.19 RITRATTI : Ivolti femminilidiunregista:Cittoe ledonne P.21 LIBRI : Com’ècambiato il sognoamericano! P.21

IVALORICHELASOCIETÀIPERINDIVIDUALISTASIÈIN-CARICATADIPROPAGANDAREHANNOAVUTOEFFET-TIDELETERI, dal punto di vista del carico di uma-nizzazione e della dimensione empatica. Comese fosse condizione necessaria all’iperindividua-lismo un addestramento nell’indifferenza come«patologia sociale». Ma, oggi non è illecito soste-nerlo, siamo dinanzi non solo al successo di unmodello ideologico, ma anche e contemporanea-mente al suo evidente fallimento, alla sua fine.

In analogia, non a caso, con quanto sta avvenen-do con il capitalismo, questa è l’epoca del trion-fo dell’individualismo e del suo irreversibile tra-monto. Vorrei sottolineare tre questioni all’ap-parenza marginali. La prima riempie, un po’provocatoriamente, i puntini sospensivi: se l’in-dividualismo giunge al capolinea… non sarà cosìsemplice ripensarsi, sia individualmente sia so-cialmente. Chi più chi meno, ciascuno di noi de-ve fare i conti con una lotta interiore per nonaderire quotidianamente a quell’ordine di sensoche rende questa società affollata di «edonistisenza cuore», per citare un autore insospettabi-

le come Weber. La seconda questione proverà amettere in discussione una generale e indetermi-nata apologia della comunità come possibile ri-fugio dall’individualismo. Il mio intento è mo-strare come l’individualismo non è una strate-gia di esclusione del mondo ma piuttosto funzio-na come strategia strumentale nei confrontidell’alterità. Di nuovo, l’individualismo è innan-zitutto una teoria della società nonostante che,come scrive bene Leo Strauss, «non vi è ragioneperché l’egoismo collettivo si pretenda più ri-spettabile dell’egoismo individuale». La terzaquestione fornisce invece degli elementi di novi-tà radicali a partire da cui rigenerare il tessutosociale e configurare comunità dis-identificati-ve. La scommessa non è tanto di “uscire dall’in-dividualismo” poiché è l’individualismo stesso(nella sua versione sociale che definiamo capita-lismo) che non ha più interesse a stare dentro ilprecedente ordine (quello in cui la riproduzionedel capitale era possibile attraverso lo scambiocon il benessere sociale fondato sui diritti univer-sali). Si tratta allora di scegliere tra un’uscitaregressiva e un’uscita progressiva. L’uscita re-gressiva non è soltanto mossa dalla nostalgia deitempi passati ma anche da un’assoluta abiuradelle conquiste della modernità. Al contrario,l’uscita progressiva è in grado di ripensare criti-camente alcune categorie moderne - riconoscen-done lo statuto dialettico - per evitare che la finedell’individualismo coincida con la fine della so-cietà, invenzione liberatrice del moderno.Edonistisenza cuore. Tre sfumature, a mio avvi-so, descrivono bene «il capolinea dell’individua-lismo» e il disorientamento esistenziale che neconsegue per ciascuna/o. Cercherò di sottolinea-re come il trionfo dell’individualismo si fonda suuna incessante strategia di depersonalizzazionee il suo fondamento emotivo è l’angoscia. Dietrol’individualismo non c’è insomma alcuna libertàindividuale, ma ogni progresso è stato alla fineun «fenomeno repressivo».Comunitarismi. Una delle reazioni più evidenti

del fallimento dell’individualismo è un ambiguoritorno alla comunità. Questo ritorno non è af-fatto positivo di per sé. A partire, per esempio,da un dato sociale inoppugnabile: che la parabo-la dell’individualismo non è che la parabola diuna società costretta ad un modello ideologicoegemonico e totalitario. L’«individuo individua-lista» non potrebbe esistere se non all’internodelle differenti versioni di «società iperindivi-dualista». L’individualismo è stato un dispositi-vo sociale che ha sequestrato un’intera porzionedi mondo attraverso le armi di distrazione dimassa, nient’altro. Ora, il suo ritiro può essereanche una scelta volontaria: una imposizione re-gressiva dei Pochi che non hanno più bisogno diorganizzare la vita dei Molti (il tramonto/trion-fo della società capitalistica).

Ecco perché ci sono segnali di un «comunita-rismo disperato», che bisogna ben interpretare.Segnalo alcuni fenomeni di questo comunitari-smo che contengono in sé l’ambiguità della dia-lettica tra individuo e comunità e che si diffondo-no sempre più: la nascita della società in rete, ladimensione tribale delle appartenenze e i model-li identitari come schema delle costruzioni co-munitarie, l’uso «moralista» delle tradizioni,l’uso perverso della comunità-mondo. Dinanzi aqueste forme di comunitarismi tribali c’è forseun solo modo per ripensare i modelli comunita-ri, ed è quello di recuperare uno specifico porta-to dell’età moderna, e cioè l’invenzione della so-cietà. Contrariamente a quanto crede la mag-gior parte delle persone, non sono affatto con-vinto che la malattia di questa epoca sia la man-canza di comunità e che, dunque, bisogna au-mentare gli spazi comunitari. Credo piuttostoche la nostra epoca sia segnata da una pericolo-sa tentazione di un eccesso di comunità e di unarimozione strutturale e pianificata della società.Fare i conti con la mancanza. Per certi versi, lasocietà individualista è stata la prova del falli-mento stesso dell’idea di società, così come è sta-ta inventata nell’età moderna. Ma dinanzi al ca-polinea dell’individualismo le possibilità sonoappunto almeno due: o provare a fare i conti informa progressiva con questo fallimento o rece-dere attraverso una ingenerosa nostalgia di ciòche era prima. È l’opzione a mio avviso determi-nante tra una critica moderna alla modernità eun definitivo ingresso nelle tenebre del postmo-dernismo. Il mio ultimo tentativo è dunque quel-lo di segnalare alcuni indizi di un concetto pro-gressivo di comunità, dentro cui vi siano conser-vati e non tolti tutti quegli elementi essenzialiche l’invenzione della società ha portato in dote.Per fare questo proverò a rispondere ad una do-manda un po’ particolare e, di sicuro, provocato-ria: le relazioni intersoggettive che si innescanoall’interno di quella sfera sociale egemonica cheoggi definiamo «mercato» sono relazioni di ordi-ne sociale o di ordine prevalentemente comuni-tario? A partire dalla risposta a questa doman-da, proverò a segnalare alcuni caratteri dell’in-venzione moderna della società che, a mio avvi-so, permettono all’idea di comunità di schivareogni rischio di comunitarismo: la società come illuogo di una possibile identità pubblica univer-salistica; la società come il luogo in cui il princi-pio comunità si invera nella sussidiarietà (cioènell’incontro tra le comunità).

Basta tutto questo a uscire dal capolinea den-tro cui stiamo tutti ad aspettare il prossimo bus?Ovviamente no. Non credo sia solo questo a per-metterci una riconfigurazione delle nostre rela-zioni. Credo che, da questo punto di vista, serva-no almeno tre ordini d’investimento culturale:una ridefinizione dell’immaginario e dell’imma-ginazione; un lavoro sull’identità di ciascuno co-me mancanza e una definitiva battaglia a favoredell’inconscio (come un carattere essenziale deldivenire persone); un recupero della dimensio-ne materialmente trasformatrice della virtù del-la speranza e della forza dell’utopia.

U:

L’immaginazioneènecessariapersuperare l’indifferenzacome«patologiasociale»:nonostantequestomodellosiaincrisi, comeilcapitalismo,bisogneràaffidarsiall’utopia

SERGIOLABATEFILOSOFODEI DIRITTI UMANI

IL CONVEGNO

DomaniadAssisi siparladel«mondoplurale»Inquestapaginaun estrattodalla relazioneche il filosofo Sergio Labate terrà mercoledì adAssisi al convegno«Comunità: trauma e sognonelmondo plurale» organizzatodallaCittadelladi Assisinell’ambitodel 71° Corso distudicristiani inprogramma dal20 al 25agosto.Alconvegnoci sarannotragli altri:ErmesRonchi, Paolo Ricca, RanieroLa Valle,CarloGubitosa, EnzoBianchi, l’urbanista PaoloBerdini,loscrittore Eraldo Affinatie CristinaSimonelli.

SOCIETÀ

AddioindividualismoÈilmomentodicostruireunanuovacomunità

lunedì 19 agosto 2013 17

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ILPERDONOFABENE.SOPRATTUTTOACHILOCONCE-DE.MIGLIORALASUASALUTEPSICHICAEPUÒESSEREANCHE UNA TERAPIA PER CACCIARE VIA, QUANDO SIPRESENTANO,molti fantasmi della mente. È pro-vato: perdonare conviene.

Barbara Barcaccia, psicologa dell’universitàdell’Aquila, e Francesco Mancini, neuropsichia-tra infantile, già presidente della Società italia-na di Terapia Comportamentale e Cognitiva,hanno curato un libro, Teoria e clinica del perdo-no (pagine 230; euro 24,50) appena uscito perRaffaello Cortina Editore. È il primo libro italia-no in cui il perdono è affrontato dal punto divista della psicologia scientifica. E il risultatonon giunge del tutto inatteso. Il perdono fa be-ne. Più a chi lo porta che a chi lo riceve. Puòdiventare persino una cura. Anche se non man-cano i rischi.

Diciamo subito che la psicologia del perdonoè scienza recente. Fino agli anni ’90 del secoloscorso l’atto del perdonare era preso in conside-razione solo dai filosofi e dai religiosi. Soprattut-to, ma non solo, cristiani. «Dio, perdona loro per-ché non sanno quel che fanno», chiede Gesù dal-la croce. Non è forse quella cristiana la religionedel perdono, che ha nella confessione il suo prin-cipale rituale?

È forse in virtù di questo pregiudizio che glipsicologi non se ne sono, di fatto, mai occupati.Fino al 1990 gli articoli scientifici sull’argomen-to in tutto il mondo non superavano la ventina.Sono stati appena 81 nel quinquennio1996/2000; sono saliti a quasi 250 nel quinquen-nio successivo per poi balzare a 445 nel2006/2010. Un vero boom, favorito dal fatto chenel 1998 la Templeton Foundation ha deciso difinanziare studi sull’argomento e che nel 2003si è tenuta la prima conferenza internazionalesulla psicologia del perdono.

UNLIBROAQUATTRO MANIGli studi non sono stati e non sono affatto sem-plici. Perché, in primo luogo, occorre definirecos’è il perdono. Impresa a tutt’oggi non piena-mente riuscita. In primo luogo bisogna distin-guere tra il perdono interpersonale, su cui si sof-ferma il libro di Barcaccia e Mancini; il perdonotra collettività; il perdono a livello giuridico. Ilperdono tra singole persone, in prima battuta,può essere definito in negativo. Perdonare nonè semplicemente scusare o giustificare o dimen-ticare un torto subito. Perdonare non è neppurericonciliarsi con la persona che ha offeso. Il per-dono è un processo. Che prevede, in uno dei mo-delli più accettati, quattro fasi.

La prima delle quali è riconoscere l’offesa. Ericonoscerla per tale, non importa se sia grave omeno. Molte donne, per esempio, hanno difficol-tà a riconoscere nella violenza del marito un’of-fesa. Spesso queste donne scusano, giustificanoo preferiscono dimenticare le offese. Ma in man-canza di un esplicito riconoscimento, in primoluogo con se stesse, del torto inaudito subito,non possono perdonare.

La seconda fase è decidere di perdonare. Nonè un processo istantaneo. Una volta riconosciu-

ta l’offesa, bisogna superare il desiderio di ven-detta, la rabbia e anche la giustificazione o latentazione di dimenticare. Di metterci una pie-tra sopra. No, che decide di perdonare deve tene-re sempre ben presente l’offesa. La sua gravità.Solo così può rendersi disponibile a perdonare epoi impegnarsi a farlo.

La terza fase è lavorare per raggiungere il per-dono. Sempre tenendo a mente l’offesa, si iniziaad assumere la prospettiva di chi ha offeso. Sicerca di entrare nei suoi panni. Di ripercorre ilprocesso che ha portato a offendere. Si diventacosì empatici con l’offensore. Se ne prova since-ra ma consapevole compassione. Si accetta la sof-ferenza. Si comprende che il perdono è un attounilaterale, che non coinvolge chi ha offeso. Io tiperdono, qualsiasi cosa tu faccia. Anche se nonme ne fai richiesta. Anche se non chiedi scusa.

La quarta fase è perdonare e approfondire ilsenso del perdono e le sue conseguenze. In que-sta quarta fase, dunque, non ci si limita a perdo-nare chi ha offeso, ma si ridisegna la propriavita.

Naturalmente il processo del perdono non siesaurisce in questo schema (in cui neppure tuttigli esperti si riconoscono). Non fosse altro per-ché ogni percorso che porta al perdono è perso-nale.

In questi dieci o quindici anni di studi scientifi-ci si sono raccolti sufficienti dati empirici perpoter sostenere che il perdono non è solo un no-bile gesto morale che viene compiuto, in genere,più dalle donne che dagli uomini e indipendente-mente dal credo religioso. Quella cristiana saràpure la religione che più di ogni altra si fonda sulperdono, ma i cristiani perdonano, in media,quanto gli ebrei, i musulmani o gli atei.

AIUTAI DEPRESSIQuasi tutti coloro che perdonano ne hanno unbeneficio: un maggiore benessere, non solo psi-cologico, ma anche fisico. Già, perché chi è incli-ne al perdono evita di rimuginare in continuazio-ne sull’offesa, di vivere per la vendetta, di schiu-mare rabbia. Cosicché non solo vive con un ani-mo più leggero, ma ha una pressione arteriosain media più bassa, un sistema immunitario piùrobusto, una minore propensione alla stanchez-za, allo stress, alla depressione. Perdonare dun-que fa bene, a chi perdona. Non necessariamen-te a chi è perdonato. Che anzi, vede spesso acuir-si il proprio senso di colpa. Tuttavia perdonarenon deve significare abbassare la guardia. Seuna donna perdona il suo compagno violento etorna a vivere con lui, per esempio, è più espostaal rischio di una recidiva. Quindi le conseguenzedel perdono vanno valutate, caso per caso.

Il perdono, tuttavia, non ha solo effetti fisiolo-gici. Può essere una terapia per alcune tipologiedi disturbi. Viviana Balestrini, per esempio, mo-stra come il processo del perdono possa essereefficace nella cura della depressione. E lo stessoFrancesco Mancini insieme ad Angelo Maria Sa-liani dimostrano che molti disturbi ossessi-vo-compulsivi causati da un senso di colpa deon-tologico e, dunque, strettamente morale, posso-no essere curati con la terapia del perdono. An-che se in questo caso viene evocato il più difficiledei perdoni. Il perdono di sé.

TEATRO : «RitornoaHaifa»direttodaCastaldiapre ilTodiFestival P.18 LESIGNORE

DELGIALLO : DaGerritsenduedetectivediculto P.19 GLOBALIZZAZIONE : Lelingueperdutedell’India P.20 L’INTERVISTA : BruceWillis, ledonnee«Red2» P.21

U: PSICOLOGIA

PerdonareconvieneUnostudiodimostrachemigliora lasalutepsichica

Particolarediun disegnodiOmarGalliani per ilprogetto«Ilcodice degliangeli»

Chiè inclinealperdonoevitadi rimuginareincontinuazionesull’offesa,divivereper lavendettadischiumarerabbia... e ilbeneficioèanchefisico

PIETROGRECO

martedì 20 agosto 2013 17

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È UNA STORIA INTENSA, STRAZIANTE QUELLA CHEGHASSAN KANAFANI TESSE NEL SUO ROMANZO Ritor-no a Haifa, e che Patrick Rossi Gastaldi mette inscena come spettacolo inaugurale al Todi Festi-val, il prossimo 23 agosto. Una storia che ben illu-stra lo sguardo inquieto del festival - tornato aessere diretto da Silvano Spada - sulle vulnerabili-tà e le contraddizioni profonde del mondo moder-no. Qui, infatti, si racconta di una coppia palesti-nese che torna a Haifa vent’anni dopo avere dovu-to lasciare la loro città per l’occupazione dell’eser-cito israeliano nel 1948. Ritrovano così il figliosmarrito nella fuga, che è stato cresciuto daun’ebrea sopravvissuta ai campi di concentra-mento tedeschi e che ora vive nella loro casa .Scrittore, giornalista e attivista, Ghassan Kanafa-ni è stato una delle voci più importanti dell’intelli-ghenzia palestinese, prima di essere ucciso nel1972 a Beirut in un attentato attribuito al Mossad.Patrick Rossi Gastaldi, l’aspetto più incredibile èche parliamo di un testo che risale al 1969, in cui èestremamente ardito e lucido il collegamento cheKanafanifratralaShoaheladiasporadeipalestine-si, sottolineando una stessa sofferenza dei popoli.Mapocoonullasembraesserecambiatodaallora...«Leggendolo e impostandolo in scena mi capitadi piangere su quanto l’uomo sia terribile su sestesso, come crei meccanismi inarrestabili e unastoria basata sui massacri. Quest’opera di Kanafa-ni, in particolare, appartiene alla sua seconda on-data di scrittura, quando era più lucido, meno intrincea, ed è riuscito a smussare tutte le sueasprezze sugli ebrei, regalando battute molto bel-le all’israeliana Miriam. La ricerca di giustiziadell’autore, che ha vissuto in prima persona ilmassacro del vilaggio arabo di Deir Yassin, qui sifa complessa, ogni personaggio racconta la suaverità e tutti mostrano una terribile sofferenza».Forse è la «censura» sulla questione palestinese alungomantenutadalsensodicolpadell’Occidenteall’indomani dell’Olocausto, ma oggi al cinemaemergonotematichecheKanafanihaanticipatodimolti anni come «Private» di Saverio Costanzosull’occupazione di una casa palestinese da parte

deisoldati israelianio«Ilfigliodell’altra»-peraltro,diunaregista israeliana,LorraineLevy.Nehatenu-toconto nel suo allestimento?«Sì, mi sono attenuto al linguaggio etico-dramma-tico di Kanafani. All’epicità di scansione delle fra-si dove l’emotività ha mille sfumature e tutti glistati d’animo devono essere chiari. Un affrescocorale ma assolutamente non cinematografico.Per esempio, nel finale uso un’allocuzione in cuila donna ebrea si rivolge verso lo spettatore e dice“questa è una storia dolorosa per tutti”. Anche lascenografia è rigorosamente teatrale: uno spaziodelineato sulla destra della scena - l’ho volutoasimmetrico per sottolineare lo stato di squilibriodei personaggi. È un interno spoglio di cucina,circondata da un altro spazio con luci diverse, cheallude al deserto, al caldo opprimente che stringed’assedio la casa e i suoi occupanti. Inoltre, l’adat-tamento teatrale del romanzo, a cura di Valenti-na Palazzari, ha ampliato la prospettiva, renden-dola più corale. C’è anche un finale in parte diver-so: il romanzo resta sospeso, a teatro, invece,chiudo con altre parole di Kanafani su cos’è lapatria e cos’è un figlio».Un figlio. E due madri: quella palestinese che lo hasmarritonellafugaequellaebreachelohacresciu-to. Comesiconfrontano leattrici?«Amanda Sandrelli, nel ruolo di Safiya, attinge aferite del suo privato. Ha maturato una tecnicache l’ha resa più solida, il suo pianto è toccante.Anche la Miriam di Barbara Chiesa è intensa,mentre Danilo Nigrelli che fa Said è irruento. Ilfiglio, Khaldum, è un mio allievo, Davide De ange-lis, alla sua prima esperienza».A proposito di allievi, lei ha una lunghissima espe-rienzacomeinsegnante-perottoanniancheall’in-ternodi«Amici»diMariaDeFilippi-,dalsuoosser-vatorioprivilegiato trova diverse lenuove genera-zioniedè cambiato il metododi insegnamento?«Amici è stata un’esperienza per me scioccante,un meccanismo televisivo a cui non era abituatoper il quale la notorietà arriva non per te ma attra-verso gli altri e questo mi dava un po’ fastidio. Maall’interno ho affinato un modo di insegnare, unmetodo che definirei basato sull’ascolto. Tantiesercizi messi insieme per abituare l’allievo adavere coscienza di sé, ad ascoltare e non monolo-gare. Rispetto ad altre generazioni, su questa in-combe un’ignoranza su cui devi agire, fargli cono-scere la nostra storia, ma senza colpevolizzare iragazzi. Non conoscono Gassman? E tu glielo faivedere. Non sanno chi è Carmelo Bene? E tu glie-lo fai sentire. E poi uso il verso poetico per farglientrare dentro il rimo musicale. Ne restano affa-scinati, quanto alla bravura c’è sempre chi lo è echi meno. Come è sempre successo».

Oggipiùchemai,sostieneRobertoEspositonel suonuovosaggio,andrebberivendicato

CULTURE

Haifae il figlioperdutoUntestodiKanafani inaguravenerdì ilTodiFestivalPatrickRossiGastaldicurala regiadelladrammaticastoria incuiunacoppiapalestinesetornaacasadopol’occupazionedel 1948

[email protected] Ilbenecomune

più importante?È ilpensiero

GIUSEPPECANTARANO

AmandaSandrelli, ospitedelTodi Festival

NON SOLO GRAN PARTE DEL SUO LESSICO,MAICONCETTIPIÙIMPORTANTIDELLAPOLI-TICAHANNOUNAEVIDENTE-EACCERTATA-ORIGINETEOLOGICA.Come ci ha spiega-to Carl Schmitt. Ma c’è anche chi ha mo-strato - come l’egittologo Jean As-smann, nel suo libro Potereesalvezza.Teo-logia politica nell’antico Egitto, in Israele e inEuropa, Einaudi 2002 - esattamente ilcontrario. E cioè, che sarebbero invecele categorie teologiche - e il suo vocabola-rio - ad avere una derivazione politica.Due tesi contrapposte. Ma che convergo-no su un punto decisivo. Ovvero, che trateologia e politica vi sia una stringenterelazione. Un rapporto, a dir poco, bimil-lenario. Risalente a san Paolo. Deposita-to non solo in quello che si può conside-rare il primo documento cristiano sullapolitica, La Lettera ai Romani. Ma anchenella Seconda Lettera ai Tessalonicesi.Nella quale l’apostolo evoca il misterodel katechon. Quel potere - non sappiamose incarnato nella Chiesa, cioè nella teo-logia, oppure nell’Impero, cioè nella po-litica - che frena il dilagare del male nelmondo. Ma che, trattenendo l’irrompe-re del male, non fa altro - paradossal-mente - che ritardare la vittoria finale,escatologica del bene. L’avvento, insom-ma, della parousia.

Se, dunque, il rapporto tra teologia epolitica può apparire anche contraddit-torio, ciò non toglie che esso sia consoli-dato. Di «lunga durata», diciamo purecosì. E necessario. Ineludibile. Come haricordato Massimo Cacciari nel suo li-bro Il potere che frena. Saggio sulla teolo-gia politica ( Adelphi 2013 ). È invece tut-to teso a smontare genealogicamentequesto dispositivo teologico-politico, ilnuovo libro di Roberto Esposito (Due.Lamacchina della teologia politica e il posto delpensiero, Einaudi 2013, pp. 233, euro21,00 ). Il filosofo napoletano non è pernulla convinto che il nostro agire storico- perlomeno in Occidente – sia destinatoa oscillare tra «Scilla e Cariddi». Tra ilpolo teologico e quello politico. Coloroche ritengono vi sia un originario conte-nuto teologico nella politica o, vicever-sa, un originario contenuto politico nel-la teologia, pensano già all’interno della«macchina» teologico-politica. La pre-

suppongono. È questa «dogmatica» pre-supposizione - secondo Esposito - che haimpedito di darne una definizione condi-visa. Giacché si presuppone ciò che inve-ce si dovrebbe spiegare. Criticare. Cioèla relazione tra teologia e politica. Non èforse questo il compito della filosofia?Soprattutto della filosofia contempora-nea?

Si dovrebbe spiegare - filosoficamen-te criticare - la «presunta» vocazione po-litica della dimensione religiosa e, vice-versa. Spiegare - filosoficamente critica-re - il «presunto» radicamento religiosodell’agire politico. Invece nella «relazio-ne fra teologia e politica - osserva Esposi-to - nessuna delle due ha una preceden-za assoluta». Una medesima dinamica -quella della teologia politica - che tendead una sintesi unitaria. Facendo ricorsoa quella che Esposito definisce «inclusio-ne escludente». Teologia politica - preci-sa Esposito - è la parte subalterna che,nel corso della storia, è stata inclusa me-diante la sua esclusione, è stata quelladel corpo rispetto all’anima, quella dellanatura, degli animali, delle donne rispet-to all’uomo, quella dei bambini rispettoagli adulti, quella dei malati rispetto aisani, quella dei folli rispetto ai normali,quella degli schiavi rispetto ai liberi,quella dei neri rispetto ai bianchi, quelladegli ebrei rispetto agli ariani, quella deigay rispetto agli eterosessuali e così via.

È da questo dispositivo gerarchizzan-te e autoritario che tende a ridurre ilDue - la molteplicità differenziata e im-manente dell’essere vivente - all’Uno -l’astrazione indifferenziata e trascen-dente della Norma - che dovremmo libe-rarci. È da questa infernale «macchinaescludente» della teologia politica den-tro cui sono imprigionati i nostri corpi ei nostri pensieri, che dovremmo uscire,dice Esposito. Ma non è facile. Perché èuna «macchina» - quella teologico-politi-ca - che ha «messo in forma» l’intera civi-lizzazione occidentale. Facendo leva so-prattutto sulla nozione «proprietaria» dipersona. Ciò che ci è dato fare - concludeEsposito - è sottrarre il pensiero alla vo-cazione appropriante, individualisticaed escludente della persona. E restituir-lo - sulla scia di una tradizione di pensie-ro «maledetta», che va da Averroè, Dan-te, Bruno, Spinoza a Nietzsche e Deleu-ze - all’intero genere umano. Poiché ilpensiero non è - come si crede - una pro-prietà dell’individuo, ma un «bene comu-ne». È forse il primo e più importante«bene comune» che dovremmo, oggi piùche mai, rivendicare. Per rendere final-mente la democrazia non più una istitu-zione teologico-politica «verticale» dei fi-gli assoggettati ad un Padre, ma una rela-zione «orizzontale» di semplici fratelli.

JanFabre,«Angel Brain»

U:18 martedì 20 agosto 2013

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SEGUEDALLAPRIMALa ragione è duplice, sia perché nell’origine del-la Repubblica l’impronta di Togliatti fu prepon-derante sia perché il Pci, essendo stato per qua-rantacinque anni il secondo partito italiano, hacostituito anche un problema storico-politico ir-risolvibile.

Fra le più lucide intuizioni di Aldo Moro restala definizione della democrazia italiana una «de-mocrazia difficile» (1975). Riaffrontare il temadella democrazia in Italia dopo il fascismo e riu-scire a porlo serenamente all’attenzione dei me-dia sarebbe la via migliore per favorire la forma-zione di un giudizio consapevole dei cittadini ita-liani sulla propria storia. Qualcosa di analogo aquanto si è fatto per De Gasperi, sulla cui operapolitica il giudizio degli italiani - tanto dei di-scendenti di chi ne condivise il pensiero e l’azio-ne quanto dei discendenti dei suoi avversari -ormai converge. Ma non si tratta solo di rende-re quel che spetta alla memoria di Togliattiquanto piuttosto di costruire un racconto dellademocrazia repubblicana su cui i cittadini possa-no riflettere anche per districarsi fra le vicendepolitiche del presente. Questa consapevolezzanon potrà svilupparsi se nel discorso pubblico lafigura di Togliatti continuerà a non essere per-cepita per quel che fu effettivamente. Parlo, na-turalmente, del Togliatti protagonista della sto-ria d’Italia e non della storia del comunismo in-ternazionale di cui pure egli fu una figura emi-nente. Sebbene i due aspetti siano stati interdi-pendenti e intrecciati, l’opera di Togliatti come«padre costituente» e, per certi aspetti, primodei padri costituenti ha un’impronta squisita-mente nazionale che continua a operare profi-cuamente tra le generazioni più avvertite dell’in-telligenza italiana.

PRIMOPASSO CONLA SVOLTADISALERNOL’opera costituente di Togliatti cominciò con la«svolta di Salerno» e si concluse con Il memoria-le di Yalta, scritto nei giorni precedenti l’ictusdel 13 agosto che ne causò la morte. La svolta diSalerno non fu solo l’avvio di una politica cheunificò i partiti antifascisti intorno all’obiettivodella guerra di liberazione. Essa consentì ancheagli italiani di contribuire a liberare il Norddall’occupazione hitleriana e all’Italia quindi diricevere un trattamento meno duro al tavolo del-la pace di quello che fu riservato alle altre duepotenze dell’Asse, la Germania e il Giapponeche insieme a noi avevano scatenato la Secondaguerra mondiale. Inoltre fu una politica chesgombrò il terreno dalla questione istituzionaleaffidando la decisione, su monarchia o repubbli-ca, a un referendum popolare da tenersi dopo lafine della guerra. Tolse di mezzo lo Statuto Al-bertino, spianando il cammino alla nascita di

una Repubblica fondata sul suffragio dei cittadi-ni. In altre parole fu l’atto di nascita della nazio-ne democratica che segnò una discontinuità nel-la storia d’Italia ben più profonda di quella rap-presentata dal fascismo rispetto all’Italia mo-narchica e liberale.

Fondare la nazione democratica volle dire im-primere alla storia d’Italia un corso in cui gliitaliani potessero finalmente affrontare con leproprie forze le fratture territoriali, religiose,culturali e sociali ereditate dal Risorgimento,dall’età liberale e dal fascismo. Questo fu il com-pito sostanzialmente assolto dai partiti popolarinel primo trentennio della Repubblica. Ma lecondizionalità della guerra fredda generaronoinsuperabili asimmetrie. Richiamerei l’attenzio-ne, ad esempio, sul fatto che il Pci, unico partito

comunista protagonista della fondazione di unarepubblica democratica, facendo della Costitu-zione il suo «programma fondamentale» nonagevolò il formarsi di un patriottismo costituzio-nale condiviso. In effetti le condizioni maturaro-no solo negli anni Settanta, grazie alla europeiz-zazione del Pci e alla condivisione della politicaestera dell’Italia da parte di tutti i partiti antifa-scisti realizzatasi alla fine del 1977. Ma anchequesto traguardo non sarebbe stato possibile senel Memoriale di Yalta non fosse stata formula-ta una lucida istruttoria della crisi internaziona-le del comunismo e gettato il seme del riorienta-mento del Pci verso l’integrazione europea. Svi-luppandone l’ispirazione Luigi Longo e EnricoBerlinguer introdussero quel complesso di inno-vazioni politiche che, con il compromesso stori-

co e l’eurocomuni-smo, spinsero il Pci

oltre i confini dellasua storia.

Tuttavia, collocareserenamente Togliatti

nella storia d’Italia non è so-lo un doveroso compito cultura-

le è anche un’operazione politica,non facile ma decisiva per ricostruire un’idea del-la politica di cui il Paese ha estremo bisogno. In-tendo dire quell’idea della politica secondo cuinulla si costruisce senza avere ben chiari i proble-mi che il Paese eredita dalla propria storia recen-te e remota. Essa costituisce un paradigma per lafigura del leader che Togliatti impersonò in ma-niera eminente. Mi riferisco alle caratteristicheper cui un vero leader politico dovrebbe essereconsapevole degli effetti di lunga durata dell’azio-ne che sviluppa, inevitabilmente condizionatodalle situazioni e dai rapporti di forza. Vale la pe-na di riflettere sul modo in cui Togliatti riassunseil proprio operato dopo la fine dei governi di uni-tà antifascista e di come si preoccupò di trasmet-terne il significato al mondo popolare che avevariposto in lui speranze e fiducia.

UNARTICOLO SU«VIE NUOVE»All’indomani della estromissione dei comunisti esocialisti dal governo, il 27 luglio 1947 egli scrisse-non su l’Unità o Rinascita, ma su VieNuove, il roto-calco popolare del Pci -: «Di tutta questa lottaestenuante durata più di due anni, credo che ilpunto fondamentale sia questo: siamo usciti dal-la guerra con una minaccia all’unità del nostroPaese, e cioè all’esistenza stessa dello stato italia-no come tale ed abbiamo evitato che questa mi-naccia divenisse realtà…Se avessimo accettato lasfida della guerra civile in certi momenti, soprat-tutto quando la sfida poteva essereaccettata…forse l’Italia non sarebbe oggi un Pae-se unito, libero e indipendente. Grazie alla no-stra politica siamo riusciti ad ottenere che la lot-ta per la democratizzazione del nostro Paese sisvolga in quel quadro dell’unità nazionale che fuconquistato nel secolo scorso, oltre che per glisforzi dei gruppi più avanzati della borghesia an-che per gli sforzi della classe operaia». È solo unodei molti brani che si potrebbero citare dai suoiscritti su quel periodo, ma ha il merito di esserescritto in tempo reale e in forma accessibile a tut-ti. È una lezione esemplare sullo stile della leader-ship poiché la consapevolezza del valore storicodel proprio operato si coniuga alla chiarificazio-ne dei suoi limiti, in un equilibrio fecondo e utileper continuare ad assolvere un ruolo politico nel-la vicenda nazionale che comunque procede e cisopravanza.

1957 Comizio alla Festa de l’Unità. . .

Va approfonditoil suo ruolo nella nascita

della democraziadopo gli annidel fascismo

L’ANALISISTORICA

Togliatti, un padre costituenteGIUSEPPEVACCA

L’ANNIVERSARIO

IL LEADER DEL PCI MORÌ 49 ANNI FA. È OGGIPOSSIBILE UNA RIFLESSIONE AFFRANCATA DAGLISTILEMI DELLA «GUERRA FREDDA CULTURALE»

. . .All’origine della costruzionedella Repubblica l’improntadel segretario del Partitocomunista fu preponderante

. . .È stato un protagonistadella storia d’Italia,anche se fu eminente figuradel comunismo internazionale

1955 Insieme a Pietro Nenni

1948 In ospedale dopo l’attentato 1964 I funerali

14 mercoledì 21 agosto 2013

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