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Anno formativo 2014/2015 Corsi OSS L’operatore socio-sanitario (OSS) Docente: prof. Elio Cocciardi

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Anno formativo 2014/2015

Corsi OSS

L’operatore socio-sanitario (OSS)

Docente: prof. Elio Cocciardi

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INDICE

(A) Saper elencare e riconoscere le emozioni, le reazioni, i bisogni psicologici e le risorse della persona assistita.

1) Gli aspetti psicologici legati ai bisogni primari……………………………………pag….32) Le emozioni……………………………………………………………………………….43) Psicologia dell’invecchiamento………………………………………………………….104) L’istituzionalizzazione…………………………………………………………………...145) La psicologia del malato……………………………………………………………………6) La morte e il morire……………………………………………………………………...16

(B) Saper individuare le modalità relazionali che facilitano un miglior adattamento alla situazione che la persona assistita sta vivendo.

1) Le varie modalità in riferimento alle varie situazioni………………………………181.1) Lo Stile Assertivo………………………………………………………………..….181.2) PPO: aspetti Personali, riferiti alla Professione, nell’ottica dell’Organizzazione…..191.3) Analisi di un Caso Clinico secondo la teoria RDA…………………………………20

(C) Saper individuare gli elementi principali per poter instaurare una comunicazione efficace con la persona assistita.

1) La comunicazione verbale e non verbale……………………………………..………….261.1) La Comunicazione Non Verbale (CNV)…………………………………..…………..261.2) Gli Stili Comunicativi………………………………………………………………….291.3) Le Funzioni della Comunicazione………………………………………….…………..311.4) Regole della Comunicazione…………………………………………………………...33

• SCHEMI RIASSUNTIVI……………………………………….…..36…37…38

(D) Saper descrivere ed individuare gli elementi che caratterizzano la relazione d’aiuto quelli che caratterizzano altri tipi di relazione (di potere, inesistente,…) .

I diversi tipi di relazione tra operatore e persona assistita:

1) la relazione d’aiuto…………………………………………………………………..392) la relazione di potere………………………………………………………………...393) le relazione inesistente……………………………………………………………....40

(E) Saper applicare le conoscenze teoriche inerenti la relazione d’aiuto in contesti specifici.

1) Osservare…………………………………………………………………….402) Rispondere al contenuto, ai sentimenti………………………………………413) Proporre……………………………………………………………………...424) Meccanismi di difesa………………………………………………………...45

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(F) Saper descrivere e riconoscere i pregiudizi e gli stereotipi che possono influenzare la relazione con la persona assistita.

1) Categorizzazione…………………………………………………….………….482) Generalizzazione……………………………………………………….……….493) I pregiudizi sociali………………………………………………………………504) I pregiudizi personali……………………………………………………………5) Gli stereotipi…………………………………………………………………….51

(G) Saper descrivere le dinamiche psicologiche del gruppo di lavoro.

1) Le dinamiche psicologiche del gruppo di lavoro……………………………….52

(H) Saper descrivere le dinamiche relazionali della famiglia dell’assistito.

1)Psicologia delle dinamiche familiari…………………………………………….55

(I) Saper descrivere , secondo le indicazioni del docente, alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono favorire la relazione assistenziale con la persona che manifesta un disagio psichico.

Alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono favorire la relazione con la persona che manifesta un disagio psichico (ansia, depressione, delirio, confusione):

1) Maternage……………………………………………………………….572) Direttività……………………………………………………………….583) Contenimento…………………………………………………………...59

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(A) Saper elencare e riconoscere le emozioni, le reazioni, i bisogni psicologici e le risorse della persona assistita.

(A1) Gli aspetti psicologici legati ai bisogni primari

Il bisogno può essere definito come uno stato di insoddisfazione che un essere umano avverte in determinati momenti e in particolari circostanze. I bisogni quindi sono direttamente connessi con l'individuo che li avverte in relazione dell'ambiente che lo circonda, e pertanto nel corso dei secoli hanno subito significative trasformazioni sia quantitative che qualificative in relazione alla propria nel soddisfarli.I bisogni si distinguono in: Bisogni primari e bisogni secondari.

Bisogni primari: Sono tutti quelli la cui soddisfazione è indispensabile per la sopravvivenza come mangiare,bere,dormire sono bisogni avvertiti da tutti gli esseri viventi.

Bisogni secondari: Sono tutti quelli la cui soddisfazione non è indispensabile per la sopravvivenza per l'uomo come andare al cinema,ballare,leggere sono bisogni che avvertono dopo aver soddisfatto i bisogni primari.

Abraham Ma slow elabora una teoria del comportamento umano fondata sui bisogni, cioè di uno stato di carenza psicofisica dell’organismo che spinge un soggetto ad un comportamento di compensazione.

Egli individua la seguente gerarchia dei bisogni:

1. fisiologici (fame, sete, )2. di sicurezza e protezione3. di appartenenza (affetto, accettazione, identificazione)4. di stima, prestigio, successo5. di realizzazione di sé

Si può intuire che il bisogno di autostima è strettamente correlato a quello di affetto, accettazione e identificazione.Si può capire come nell’assistenza a persone non autosufficienti o parzialmente autosufficienti i bisogni sopraelencati siano incrinati, o perlomeno fortemente se non del tutto compromessi: in certe situazioni i bisogni fisiologici possono non essere soddisfatti o perché l’anziano non è in grado di parlare o si esprime in modo poco chiaro o ancora perché l’assistenza è lacunosa, superficiale.

I bisogni primari sono fisiologici e sono quelli che garantiscono la sopravvivenza come l'aria da respirare, l'acqua da bere, cibi da mangiare e il sesso per riprodursi.

Una volta che l'individuo si è assicurato i bisogni primari e si sente protetto e al sicuro, può concentrarsi su altri bisogni legati all'amore e al possesso, seguiti dal bisogno del rispetto per se stessi e per gli altri.

Tuttavia, Maslow vide che una volta soddisfatti questi bisogni, non c'erano altri "bisogni" e quindi altra motivazione ad agire.

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Quindi l'ultimo livello di bisogno era diverso dagli altri perché legato all'auto-realizzazione dell'individuo. Gli individui potrebbero avere sufficiente cibo, sicurezza, possedimenti e rispetto, ma insufficiente auto-realizzazione! Questo è difficile da ottenere.

Sembra che l'auto-realizzazione crei dipendenza, perché una volta che il processo è stato innescato, gli individui ne vogliono sempre di più. Inoltre gli individui possono occuparsi dell'auto-realizzazione solo nel momento in cui i bisogni primari sono stati soddisfatti.

Secondo Abraham Maslow solo poche persone vivono, entrano nel "regno" dell'auto-realizzazione, nella maggior parte dei casi perché i bisogni primari sono già stati realizzati.

Diverse cose sono associabili alla "auto-realizzazione" - essere sicuri di riuscire a superare le sfide della vita, scegliere tra quello che vale di più e di meno, sentire che il proprio tempo è stato utilizzato in modo creativo e inventivo.

Successivamente la gerarchia dei bisogni di Maslow è stata adattata per includere una complessità maggiore di elementi nell'area dell'auto-realizzazione.

I bisogni umani includono quindi la sete di conoscenza e il bisogno per l'ordine estetico e la bellezza, oltre a un bisogno "trascendentale" oltre il quale l'auto-realizzazione porta al bisogno di aiutare gli altri per trovare degli scopi nella vita.

Come possiamo vedere il bisogno di auto-realizzazione è intrinseco in noi, e, in generale ci serve per migliorarci sempre. È una sorta di competizione con noi stessi che ci permette di aumentare le nostre ricchezze, fisiche e spirituali.

Lo schema qui proposto, anche se è un classico della Psicologia, come tutti gli schemi ha un limite; in questo caso noi sappiamo – ad esempio – che possiamo rinunciare a mangiare per fare un ‘attività che ci interessa o ancora questo schema non spiega il perché i kamikaze rinuncino alla propria vita o forse sì – lo spiega – nel senso che, pensando ai campi profughi palestinesi, il proprio senso di sicurezza e protezione negati, così come la propria stima ed il proprio bisogno di autorealizzazione, producono una negazione della vita stessa.

(A2) Le emozioni

Lo sviluppo delle emozioni

Il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite "innate": paura, amore, ira.Entro i primi cinque anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia, gelosia, invidia.Dopo il sesto anno di età, il bambino è capace di mascherare le sue emozioni e di manifestare quelle che si aspettano gli altri da lui.A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattutto quelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre condizioni di disagio psicofisico.

Tutti sanno che cos'è un'emozione fino a quando non si prova a definirla. Diciamo che, nella migliore delle ipotesi, ciascuno sa cosa è per lui una certa emozione ma non é detto che un'altra persona intenda esattamente la stessa cosa anche se usa la stessa parola...”

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Esistono ancora importanti differenze concettuali e metodologiche, tali da non aver reso ancora possibile l'elaborazione di una teoria unificata delle emozioni.

Secondo alcuni studiosi, le emozioni sono processi di tipo cognitivo (o comunque tali che la cognizione svolga un ruolo centrale).

L'emozione consisterebbe in un processo in cui, alla percezione di un certo insieme di stimoli, seguirebbe una valutazione cognitiva che consentirebbe all'individuo di etichettarli e di individuare un determinato stato emotivo. A questo punto, seguirebbe la risposta emotiva, sia di tipo fisiologico che comportamentale e espressivo. La sequenza è illustrata nello schema seguente e nel successivo esempio:

Dinamica di un generico processo emotivo.

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Esempio di processo emotivo.

Questo è quanto affermato nelle teorie valutative, nelle quali la valutazione cognitiva è la vera causa delle emozioni. Attualmente, non c'è accordo su quali e quante siano le emozioni.

Le emozioni fondamentali sarebbero quelle universalmente espresse ed identificate, indipendentemente dal contesto individuale e culturale, in contrapposizione con le emozioni complesse.

Le emozioni fondamentali sono state inizialmente proposte a partire dallo studio delle espressioni emotive (ad esempio, le espressioni facciali, o il lessico emotivo) e dell'invarianza di queste rispetto ai diversi individui e alle differenti culture. Diversi studi presentano variazioni più o meno grandi, ma pressocché tutte contengono: paura, gioia, tristezza, rabbia, disgusto. Queste si presentano dunque come le candidate più verosimili al ruolo di emozioni fondamentali.La tabella seguente affianca ognuna di tali emozioni alle situazioni tipiche a cui fanno riferimento, permettendo di attivare le reazioni di risposta:

EMOZIONE SITUAZIONE

paura presenza di un pericolo

disgustoreazione nei confronti di sostanze o oggetti potenzialmente nocivi

gioia affettività, raggiungimento di scopi

tristezza affettività, scopi non (ancora) raggiunti

rabbia aggressività

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Per fare un esempio, si consideri nuovamente l'emozione di paura: in questo caso, i sistemi di valutazione cognitiva permettono di individuare un numero maggiore di situazioni potenzialmente pericolose, o le variazioni della pericolosità di un evento al variare del tempo. Per quanto riguarda le risposte comportamentali, alle tre di tipo innato (paralizzarsi, fuggire o lottare), si affiancheranno comportamenti che, in caso di successo, verranno associati alla specifica situazione che ha generato la paura.

Si parla in questo caso di paura appresa, che sarà un'emozione più complessa rispetto alla paura intesa come emozione fondamentale.

Alcune emozioni, quelle più complesse, sono i sentimenti quali l'invidia, l'amore o il senso di colpa. È bene precisare che per alcuni ricercatori questa categoria non viene inclusa tra le emozioni.

Infine, le emozioni sono sempre caratterizzate dalla presenza di piacere e dolore, i quali non sono considerati emozioni ma semplici sensazioni, segnali che servono a connotare l'insieme delle percezioni e la susseguente emozione. Tali segnali permettono di distinguere tra emozioni positive ed emozioni negative. "Le emozioni possono interrompere le elaborazioni cognitive in corso" Una importante relazione tra cognizione ed emozione si esplica nell'influenza che quest'ultima ha sulla prima, in relazione ai meccanismi di risposta propri dei sistemi emotivi. L'aspetto più interessante, ai fini del presente lavoro, è il fatto che tale influenza agisce indirettamente sulla capacità di eseguire compiti complessi.

Le abilità cognitive sono influenzate direttamente dallo stato emotivo: le emozioni incidono sulle intenzioni e, ad un livello più complesso, sul senso di autostima.

Il riconoscimento emotivo.

Per il riconoscimento emotivo esistono diverse strategie, dipendenti dal tipo di risposta emotiva utilizzata come fonte di informazione, come viene evidenziato dallo schema seguente:

A2/2

Quante sono le emozioni?

Quante sono le emozioni? Se ci si prova ci si renderà conto che non è facile determinarlo.

Quale potrebbe essere un parametro efficace per l’identificazione e la conta delle emozioni di base? La conclusione dei molti che hanno affrontato scientificamente questo tema è l’espressione del viso.

L’espressione del volto non è l’unico elemento che è stato preso in considerazione. Ma non c’è dubbio che l’espressione del viso è l’indicatore più evidente delle emozioni provate da un’individuo.

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Guardando l’immagine qui sotto provate a etichettare ciascuna foto con un’emozione.

Ora potete andare alla fine del paragrafo e controllare le tue risposte.

Siete stati capace di collegare correttamente l’emozione all’immagine che la rappresenta? Avete notato un particolare importante e cioè che le immagini riproducono visi di persone appartenenti a etnie diverse.

Conclusione: le emozioni, quelle fondamentali, sono indipendenti dalla cultura, sono innate o così antiche da discendere dai nostri progenitori comuni.

D’altronde, come è stato osservato, anche i neonati o i bimbi non vedenti dalla nascita, mostrano espressioni tipiche riconducibili a queste emozioni.

Ma torniamo alla domanda di partenza. Quante sono le emozioni?

Robert Plutchik e Nico Frijda, basandosi, oltre alle espressioni del volto, anche su azioni più ampie e segnali del corpo arrivarono a identificare otto emozioni fondamentali:

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Queste sono quelle presenti anche agli scalini più piani bassi della scala evolutiva.

La classificazione di Plutchik è quella che ha avuto più successo, anche perchè non si basa solo sull’elenco delle emozioni fondamentali ma su un vero e proprio modello che rappresenta bene le osservazioni della realtà e quindi ha resistito a molte verifiche sul piano empirico.

Soluzioni

Espressioni e Emozioni

• Sylvan Tomkins ha proposto otto emozioni fondamentali: la sorpresa, l'interesse, la

gioia, l'ira, la paura, il disgusto, la vergogna e l'angoscia.

• Paul Ekman distingue sei emozioni collegate ad espressionni facciali caratteristiche:

sorpresa, gioia, ira, paura, disgusto/disprezzo, tristezza.

• Plutchik aggiunge: accettazione, anticipazione alle precedenti sorpresa, gioia, ira,

paura, disgusto, tristezza.

Secondo questa teoria le otto emozioni fondamentali sono contigue su un cerchio diviso in

otto spicchi e, come dei colori, nel mescolarsi ne provocano di nuove. Due spicchi contigui

provocano una diade.

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Le emozioni una volta che sono state sperimentate, se si cristallizzano nel sistema energetico,

possono condizionare i comportamenti successivi dell'individuo e possono anche deviare

patologicamente, così la paura può trasformarsi in ansia, il fastidio in rabbia, la rabbia in odio, il

desiderio in avidità. Le emozioni possono essere utili ma anche patologiche; così spesso i

disturbi mentali rivelano un ordine emotivo sovvertito.

(A3/1) Psicologia dell’invecchiamento

La psicologia dell'invecchiamento è una branca della psicologia che si occupa sia dei problemi psicologici dell'anziano, sia del processo di invecchiamento da un punto di vista psicologico e neuropsicologico.

La persona anziana (già di per sé oggigiorno difficile da definire) può presentare problematiche - che esplodono nella terza età, ma che prima erano latenti - oppure disagi peculiari di questo periodo della vita, dovuti a vari motivi:

1. mancata o parziale elaborazione del lutto per la morte del compagno/a,2. conseguente solitudine, 3. mancanza di motivazioni per andare avanti, 4. decadimento fisico, 5. allontanamento dalla vita sociale, esclusione, etc.,6. oltre ad una serie di caratteristiche psicopatologiche che possono acuirsi a questa età:

avarizia, sospettosità, puntigliosità, etc.

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- Ricerche psicosociali

Le ricerche psicosociali vertono essenzialmente in ambito psicofisico, sociale, psichico.

• Nell'ambiente psicofisico si sottolineano le modificazioni dell'aspetto e le ripercussioni sulla psiche.

• Nell'area sociale, viene curata maggiormente il fatto che la società stessa in cui l'anziano vive tende a relegarlo in altri ambiti fino ad allora non conosciuti, in primis l'allontanamento dal luogo di lavoro mediante il pensionamento.

• Ed infine, per quel che concerne la modificazione della psiche dell'anziano, si è soliti sottolineare la depressione senile come effetto dell'età sulla mente.

I risultati di queste tre fonti di informazioni, portano ad indicare che in breve tempo l'adulto si vede in una fase di trasformazione assai rapida ed alla quale egli non è preparato.

In essa vi sono fattori assai soliti, quali:

1. il disgregarsi del gruppo sociale al quale aveva investito la sua affettività, 2. figli che ormai hanno una vita propria,3. perdita di congiunti ed amici, 4. diminuzione del salario, 5. notevole aumento del tempo libero senza una rete di riferimento che precedentemente vi era

nel luogo lavorativo.

A questo va aggiunto che nella cultura occidentale, sono valori assai radicati, l'esteriorità corporea, la salute che a volte arriva a dei veri eccessi (salutismo), tutto questo non prepara l'adulto all'anziano che sarà. Difatti le reazioni tipiche sono o la prevaricazione o la rassegnazione. La prima soluzione è sempre meno praticabile per l'avanzare dell'età e il frantumarsi dei luoghi socio-affettivi, la seconda porta all'attesa della morte o a rifugiarsi in fantasie che talvolta sfociano in stati deliranti.

Ricerche psichiatriche

Le ricerche psichiatriche si occupano dei disturbi psichici nell'anziano e, in quanto finalizzate ad un oggetto di studio così specifico, si formano autonomamente in psichiatria geriatrica. Di fatto negli anziani le cause organiche portano assai spesso alla demenza. .

Nella vecchiaia si riscontrano:

• riduzione della memoria a breve termine, il numero delle informazioni immagazzinate diminuisce (normalmente sono 7 ± 2);

• tempi di reazioni allungati, riconoscere uno stimolo, selezionare una risposta da mettere in atto ed eseguirla risulta un compito sempre più gravoso;

• irrigidimento delle membra e della psiche, ove vi è sempre più difficoltà a disimparare vecchie abitudini e a impararne delle nuove;

• declino dell'intelligenza, è da imputarsi non tanto al progredire dell'età di per sè quanto ad un non allenamento.

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(A3/2) L’anziano come peculiare rappresentante di una condizione di elevato impatto sociale. Un vecchio necessita sempre piu di medicinali, ha la salute sempre piu fragile, e non sa badare a se stesso. Ma, in effetti, quanto stiamo invecchiando? Ma, soprattuto, cosa è un anziano? In cosa differisce una persona anziana da una giovane?Quali sono i fattori che portano all'invecchiamento, e cosa comporta l'essere vecchi in confronto all'essere giovani? Esistono differenti gradi o diversi tipi di vecchiaia? La risposta a questi quesiti non è semplice, e da molti anni si cerca di dare loro una risposta. Dewey, nel 1939, parla del paradosso che si viene a formare fra l'invecchiamento fisico, che porta alla morte, e la maturazione psicologica, che porta ad una maggiore “pienezza” dei processi psichici.

È utile, infatti, distinguere tra almeno tre tipi di vecchiaia,come si diceva precedentemente:

• una vecchiaia fisico-biologica, che comporta il deterioramento dei processi fisiologici immunitari, con la conseguente predisposizione a incidenti e malattie;

• una vecchiaia psicologica, che comporta una maturazione dei processi psichici e un incremento dell'esperienza, con in alcuni casi una perdita di facoltà intellettive;

• una vecchiaia sociale, che comporta un evolversi di ruoli durante tutta la vita: da studente, a lavoratore, a pensionato, da figlio a padre a nonno.

Ognuna di queste tre “vecchiaie” ha la sua particolarità.

L’invecchiamento fisico-biologico ha un decorso più o meno standard, che può variare nei tempi ma non nei modi. Si può perdere la prestanza fisica in tempi differenti, ad una età cronologica più o meno avanzata, ma il procedere della decadimento fisico avanza più o meno allo stesso modo per tutti. La stessa cosa riguarda le malattie, che tendono ad essere tipiche di una certa età, dalla giovinezza alla vecchiaia. Inoltre il tempo biologico ha le sue misure che cambiano durante l'arco della vita. Le due principali misure sono il ritmo circadiano (che scandisce il tempo fra il sonno e la veglia) e il ritmo metabolico. Secondo Birren [Birren e Cunningham 1985] con l'avanzare dell'età può avvenire una desincronizzazione tra i vari “orologi biologici”. L'invecchiamento biologico si può quindi definire come una progressiva destrutturazione delle regolazioni ritmiche del nostro organismo.

- L’invecchiamento sociale ha la proprietà di non essere per forza lineare. La sequenza figlio–padre-nonno non deve per forza essere attuata, o non deve essere attuata per intero. La stessa cosa riguarda l’aspetto sociale del lavoro: la sequenza studio-lavoro-pensione può essere distorta o spezzata a seconda della vita della vita del soggetto. Poco studio, molto lavoro e assenza di pensione caratterizza una frangia di lavoratori autonomi di basso livello, mentre all’opposto molto studio, lavoro e pensione caratterizzava, fino a qualche anno fa il tipico lavoro pubblico.

- L’invecchiamento psicologico è spesso suddiviso in due aspetti differenti: l’esperienza e i processi mentali. Questa suddivisione sottintende che queste due differenti funzioni siano almeno parzialmente indipendenti, e che questi aspetti possano, l’uno indipendentemente dall’altro, restare attivi, aumentare o diminuire di prestazione. Il tempo psicologico, come quello biologico, non è in funzione lineare con il tempo obiettivo, anche se vi è una certa correlazione. È possibile definirlo come il tempo necessario a completare una funzione biologica.

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“L'invecchiamento psicologico si commisura sul tempo percepito che si dipana da un presente consapevole, vissuto come un hic et nunc privilegiato. Attraverso il passare del tempo, l'individuo legge il suo passato, e quindi l'inizio di questo “ora”, e un futuro che costituirà anche la fine della sua storia. Se tale lettura sia più incentrata sul passato o sul futuro, tenendo conto del presente, dipende non solo da come uno si rappresenta il proprio invecchiamento attuale, e, quindi, le proprie potenzialità funzionali, ma da come percepisce anche gli eventi di vita che hanno contrassegnato il suo passato e definiscono il suo presente”.

Bisogna dire, inoltre, che non tutte questi aspetti dell’invecchiamento evolvono di pari passo; spesso una persona cronologicamente anziana ma ancora attiva socialmente avverte disagio a seguito del pensionamento, o ancora una persona può non essere autonoma psichicamente pur non essendo cronologicamente avanti con gli anni.

Questa suddivisione dell’invecchiamento in tre componenti porta a dei vantaggi e degli svantaggi. Tra i vantaggi possiamo annoverare la maggiore semplicità nello studio della vecchiaia, potendo concentrarsi in uno solo dei tre aspetti. Uno degli svantaggi è invece la complicazione della definizione globale di vecchiaia, che viene data dall’integrazione dei tre aspetti sopra espressi. . Una delle prime immagini dell’invecchiamento ci viene da Stanley Hall, che nel 1922 [Hall, 1922] ha paragonato l’avanzare dell’età come la china della collina, e la vecchiaia in particolare come la parte discendente della collina stessa.

È una metafora ancora usata per spiegare i tassi di mortalità e morbilità (frequenza di una malatti) nella popolazione: alti agli estremi della vita, calano intorno all’età adulta.

Nel 1988 Schroots propone una visione della vita molto più complessa rispetto a quella di Hall. Schroots vede la vita come un albero, o più dinamicamente come un fiume. Questo fiume ha una nascita, e una morte (nel mare), ma tra questi due estremi compie un percorso complesso, rafforzato da affluenti o indebolito da rami collaterali. Rispetto a quella della collina, la metafora del fiume è adatta per sottolineare la non linearità della vita, la complessità biologica e psicologica, e la diversità di ogni vita.

Ma esistono due domande, alle quali è ancora difficile dare una risposta certa: in cosa differisce un vecchio da un giovane? Quando si è vecchi?

E, soprattutto, è male invecchiare?

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(A/4/1) L’istituzionalizzazione

L’Anziano e l’Istituzionalizzazione

Troppo spesso si dà per scontata la quotidianità, il noioso tran-tran che ogni mattina ci permette di aprire gli occhi sapendo di essere in un luogo “amico”, circondati dai nostri oggetti, dalla nostra sveglia, il nostro tappeto e tutti quegli oggetti e soprammobili, che costituiscono il nostro mondo casalingo e quindi familiare. Citiamo da un racconto:“Ricordo che fin da piccolo, per punirmi, mi mettevano in un angolo vuoto, oppure mi privavano di qualcosa che ingenuamente consideravo prezioso e se penso alla mia vecchiaia, a questa seconda infanzia, penso proprio che avrei timore delle stesse cose…”Il desiderio comune di abitare la stessa casa si rafforza con l’invecchiamento. E’ riconosciuta a tutti i livelli, in presenza o in assenza di patologie specifiche, l’importanza della tranquillità psicologica che deriva da poter rimanere nel proprio ambiente domestico, gli anziani vivono, guariscono, reagiscono meglio alla malattia e all'invalidità, se possono rimanere nelle loro case. Viceversa negli istituti si muore quattro volte di più che a casa. Anche per affrontare demenze gravi come l’Alzheimer, il tema fondamentale è quello di evitare il ricovero che impone costi altissimi ed una specie di ghettizzazione. Si sta investendo invece nell’adattamento delle abitazioni per consentire all’anziano un’esistenza priva di rischi e praticabile a casa propria.Ma quali sono le basi necessarie per permettere un’esistenza di questo genere per il maggior tempo possibile?• Secondo le statistiche, gli anziani che hanno alle spalle un nucleo familiare forte, formato da

molti figli e con una moglie, tendono a non essere istituzionalizzati. Importante anche il grado di istruzione, il lavoro e il relativo benessere.

• La stessa ricerca ha dimostrato che gli anziani ritengono che la casa di riposo sia la miglior sistemazione secondo le loro disponibilità, anche se una gran maggioranza preferirebbe una casa propria, indipendente dai figli.

Non si tratta di demonizzare l’Istituzione Casa di Riposo, spesso vittima di pregiudizi e luoghi comuni, quanto di fornire una riflessione su quanto in realtà si sta facendo nel locale per promuovere un’alternativa a grandi strutture spersonalizzanti in cui tempo e spazio non sono più scanditi da una sveglia guasta ma da pranzo e cena.Un’ulteriore riflessione a proposito di una componente della vita da anziano di preminente importanza è quella inerente la solitudine.

Secondo un’analisi del Centro Maderna, che si occupa di studiare la condizione degli anziani in Italia la solitudine, un momento che per l’anziano può anche significare ricerca e ritrovamento di sé stessi, momento di quiete benefica lontani dal caos della società.

• In sintesi è risultato che la solitudine di una casa di riposo è più legata alla malinconia, al rimpianto del tempo passato e alla nostalgia

• Mentre per gli anziani che vivono da soli, ma nella propria casa, è divenuta un’abitudine, un momento di fuga dal caos. La grande possibilità di gestire i propri tempi e i propri spazi consente loro di decidere quando stare in mezzo agli altri e quando ritirarsi dagli occhi del mondo.

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• Sembrerebbe non ci siano punti a favore della Casa di Riposo nel giudicare l’istituzionalizzazione dell’anziano, ma non è così.

• Innanzitutto va considerata anche la cosiddetta “seconda vittima” della debilitazione dell’anziano: il caregiver che si occupa di lui a domicilio. Da una ricerca in regione risulta che nel 54% dei casi questa persona è il figlio e solo il 2% una badante di professione. L’89% dei caregivers ritiene che la propria vita sia peggiorata (52%) o molto peggiorata (37%), soprattutto perché sono costretti a rimanere sempre a casa. Ben il 46% dei soggetti dello studio ha dovuto rinunciare al lavoro e il 38% è dovuto andare in pensione anticipata.

• Dai dati risulta che la motivazione principale per l’istituzionalizzazione è la complessità assistenziale, cui non viene data risposta da parte dei Servizi Sanitari.

• Le famiglie si sentono sole nel gestire questa situazione molto stressante, malgrado vi sia senso di colpa nella consapevolezza che non vi era un’altra scelta praticabile.

In conclusione sia l’istituzione, sia l’assistenza domiciliare dovrebbero continuare a sviluppare percorsi di miglioramento, abbandonando l’ottica di stasi degli ultimi anni, che vuole trasformare l’assistenza in una ripetizione predeterminata di azioni quotidiane.Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare è necessario creare attorno all’anziano il tessuto sociale che nel suo percorso di vita è venuto a mancare per un motivo o per l’altro. Questa è la direzione verso la quale si devono muovere i finanziamenti regionali e statali. In quest’ottica gli educatori hanno la possibilità di svolgere un ruolo decisivo nel mantenimento delle facoltà dell’anziano.

La riabilitazione non diviene fine all’anziano stesso, ma è importante anche per i familiari, perché consente loro di mantenere, nei limiti del possibile, un rapporto umano con il parente, senza contare il minor carico di lavoro.Nei riguardi delle case di riposo e nei centri d’assistenza in genere occorre far di tutto perché l’anziano si senta a casa, incentivandolo ad arredare la sua camera, a renderla viva.

La CDR è insomma una struttura che va “colorata” in tutti i sensi, dai pavimenti (da una ricerca risulta che una tinta scura aiuta gli anziani a camminarvi meglio) ai soffitti (per anziani impossibilitati alla deambulazione osservare un soffitto scuro può deprimere).

(A/5/1) La psicologia del malato

NADA

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(A/6/1) La morte e il morire

Quando muori non c’è più vita, è la fine di tutto e questo ci spaventa; la morte è assenza, mancanza, la si concepisce dal punto di vista della persona che la subisce come un allontanamento, mentre dal punto di vista di chi rimane è un dolore immenso, da affrontare con coraggio giorno per giorno. In realtà esiste anche l’altra faccia della medaglia, ovvero il morire.Ci sono situazioni in cui la morte non è così “semplice”, niente di improvviso e inaspettato, ma un lento e dolorosissimo cammino verso di essa; può sembrare un paradosso, ma la maggior parte delle volte occorre riuscire a “vivere” la morte. Montaigne affermava che la morte è solo il momento in cui il morire ha termine.

Medici, cappellani di ospedale e personale infermieristico si preoccupano se il malato sia in grado di tollerare “la verità” [...] la questione non dovrebbe essere “dovremmo parlare...?” ma piuttosto “come posso condividere questo col mio malato...?”. Si dice spesso che la gente equipara il tumore maligno a una malattia mortale e li considera sinonimi; ciò è fondamentalmente vero e può essere una benedizione o una maledizione, a seconda del modo con cui il malato e la famiglia sono trattati in questa situazione critica.

E’importante che il medico parli francamente ma allo stesso tempo lasci una porta aperta alla speranza, comunicando che non tutto è perduto, che egli non abbandonerà il malato perché si è fatta una certa diagnosi, rassicurando allo stesso tempo anche la famiglia che di solito si sente terribilmente impotente. Per il dottore questo è un compito estremamente delicato, infatti molte volte costui preferisce non parlare direttamente dell’argomento col malato, ma magari si limita ad informarne la famiglia demandando poi ad altri il confronto diretto.

Partendo da questa prospettiva la Kübler Ross ha inteso raccogliere testimonianze per ricavarne quello che lei chiama “l’insegnamento dei morenti”: è vero che i diversi malati reagiscono in maniera differente a tali notizie a seconda della loro personalità, dello stile e del modo in cui erano vissuti precedentemente, ma ciascuno di loro con i racconti, le domande, le perplessità o le richieste più o meno esplicite di aiuto ha però contribuito negli anni a individuare delle reazioni tipiche, descritte nel libro, che occorre conoscere e riconoscere per poter offrire un supporto concreto.

Le persone che usano il rifiuto come difesa principale useranno il rifiuto molto più ampiamente di altri, mentre i malati che in passato hanno affrontato situazioni gravi con coraggio avranno lo stesso atteggiamento nella situazione presente. Resta comunque importante imparare a conoscere un nuovo malato per poter intuire le sue forze e debolezze.

• (1) La prima fase che un malato terminale attraversa è quella di rifiuto e isolamento . “No, io no, non può essere vero” .

Questa avviene sia che il paziente conosca la sua reale condizione sia nel caso in cui non sia informato esplicitamente ed arrivi solo più tardi a questa conclusione. Possono considerare la possibilità della morte per un po’ di tempo ma poi devono accantonare questa ipotesi per poter continuare a vivere e questo è positivo, in un primo momento, anche perché il rifiuto viene spesso sostituito a breve da una parziale accettazione, per poi riapparire di tanto in tanto come

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forma di difesa dal dolore, che va rispettata. L’isolamento avviene più tardi, quando ormai il malato si sente prossimo alla fine e preferisce stare da solo con se stesso.

• (2) La seconda fase è quella della collera : “Perché io?”

Molto difficile affrontarla, sia dal punto di vista del personale ospedaliero che della famiglia, visto che la rabbia si rivolge a tutto e a tutti, anche senza motivi apparenti. Forse saremmo arrabbiati anche noi se tutte le attività della nostra vita fossero così prematuramente interrotte [...] che altro faremmo se non sfogare la rabbia contro la gente che pare godere di tutte queste cose? Un malato rispettato e compreso, cui si dedichi attenzione e tempo, abbasserà presto la voce e diminuirà i suoi rabbiosi reclami.

• (3) Terza fase: venire a patti. “Se Dio ha deciso di toglierci da questo mondo e non risponde alle mie arrabbiate suppliche, forse sarà meglio disposto se glielo chiedo con delicatezza”.

Il malato sa di avere una piccolissima probabilità di essere ricompensato per buona condotta e di avere concessioni per servizi speciali: il suo desiderio è quasi sempre il prolungamento della vita o la liberazione per alcuni giorni dal dolore e dal disagio fisico.

• (4) La quarta fase: è la depressione: è quella più difficile da affrontare dal punto di vista psicologico.

Ci sono due modalità di manifestare questo vissuto; la prima avviene come reazione alle cure prolungate, ai ricoveri, cui non segue nessun miglioramento, oppure alla perdita del lavoro conseguente alle assenze ripetute e quindi al peso economico di tutta la vicenda sulla famiglia. Ecco che allora si aggiungono anche vergogna e senso di colpa che subito vanno affrontati, magari proponendo soluzioni alternative o aiutando la famiglia anche semplicemente a livello organizzativo. Il secondo tipo di depressione è invece preparatoria alle perdite che stanno per accadere: in questo caso non vale molto rassicurare e far vedere le cose sotto una luce ottimistica, quanto piuttosto accogliere il dolore ed essere disposti a contenerlo insieme al malato, rispettando anche il suo silenzio.

• (5) Quinta fase : L’ accettazione . Questa non è una fase felice, come può sembrare, è quasi un vuoto di sentimenti, è come se il dolore se ne sia andato, la lotta sia finita e venga il tempo per il riposo finale prima del lungo viaggio.

In questo momento occorre dare più appoggio verbale alla famiglia, che si sentirà rifiutata e messa da parte, mentre al malato si potrà dare un appoggio anche più fisico, come il tenere la mano in silenzio, garantendo comunque una presenza costante fino alla fine.

È in questo momento che il paziente può chiedere esplicitamente aiuto per far accettare la situazione anche ai familiari, i quali magari si accaniscono nel rifiuto o insistendo per effettuare terapie al fine della guarigione. La famiglia del malato affronta alla stessa maniera le varie fasi del rifiuto, collera, senso di colpa fino ad arrivare all’accettazione e preparazione all’evento. Più questo dolore è espresso prima della morte quanto meno

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insopportabile sarà dopo.

A tal proposito viene sottolineata l’estrema importanza di mantenere un supporto proprio subito dopo il tragico evento, sia al coniuge o parenti ma soprattutto agli eventuali figli.

Il sentimento che permane in tutte queste fasi è la speranza, soprattutto in situazioni difficili o particolarmente dolorose. Dall’esperienza clinica, la Ross ha notato che quando questo viene meno si tratta allora di un segno di morte imminente: anche nel caso di un paziente che invocava al miracolo, alla fine, nella fase di accettazione affermava “io penso che il miracolo sia questo: adesso sono pronto e non ho neanche più paura”.

Così espresso, il contenuto di questo libro sembra quasi un vademecum sul come affrontare le persone che si avvicinano alla morte, ma in realtà è molto di più...l’insegnamento lo si può trarre non tanto dal conoscere le fasi o come queste si manifestano, ma invece lo si apprende leggendo le numerose testimonianze dirette coi pazienti, espresse sotto forma di discorso diretto, con le parole usate dalle persone stesse, intensi dialoghi dove si percepisce la paura, la preoccupazione, la rabbia,ma anche il sollievo e la soddisfazione per i brevi momenti in cui si condivide con qualcuno il proprio stato e il venir meno del senso di rifiuto e di abbandono.

La Ross ammonisce però che dobbiamo considerare molto seriamente il nostro atteggiamento verso la morte e il morire prima di poter sedere tranquillamente e senza angoscia vicino a un malato inguaribile: la lettura di questo testo può essere l’inizio di un processo di consapevolezza e di presa di coscienza di questa realtà, perché “la morte come la nascita fa parte della vita, camminare consiste sia nell’alzare il piede sia nel posarlo” Elisabeth Kùbler-Ross: “Impara a vivere - impara a morire”, 2001, Armenia; Elisabeth Kùbler-Ross: “La morte è di vitale importanza”, 1999, Armenia; ed altri suoi di altrettanto interesse.

(B) Saper individuare le modalità relazionali che facilitano un miglior adattamento alla situazione che la persona assistita sta vivendo.

B.1) Le varie modalità in riferimento alle varie situazioni

In questo capitolo guarderemo le caratteristiche che l’OSS dovrebbe avere , per far sì che il paziente possa “vivere il meglio possibile, nelle varie situazioni”, compatibilmente con la sua situazione bio-psico-sociale.

A tal proposito ricordiamo che le regole comunicative sono le stesse per tutte le persone – o meglio la teoria della comunicazione che sottende alle varie situazioni è la medesima – quello che cambia è il peso che ognuno dà ad ogni elemento di essa.

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B.1.1) Stile Assertivo

(1) Lo Stile Assertivo si caratterizza per il fatto che la persona è in grado ed esprime i propri pensieri ed emozioni nel rispetto dell’interlocutore; vi è rispetto per l’individualità dell’Altro, disponibilità a vedere il suo punto di vista e vi è la volontà di raggiungere un accordo. (vedasi schema alla fine del capitolo C)

B.1.2) PPO

Aspetti Personali, riferiti alla Professione , nell’ottica dell’Organizzazione

Un altro aspetto – del quale è importante/fondamentale tener sempre conto – riguarda ciò che segue: è fuorviante pensare che la RDA si risolva unicamente nel rapporto, nella relazione operatore/paziente, operatore/ospite.

E’ senza dubbio importante/fondamentale acquisire competenze e conoscenze riguardanti la relazione, sia dal punto di vista psicologico-emozionale che dal punto di vista strettamente “tecnico” – ad esempio come fare un posizionamento, uno spostamento, come fare il letto con il paziente allettato, come fare un’igiene intima, come fare una piccola medicazione, ecc.

Bisogna però considerare un altro aspetto: se ad esempio, dobbiamo fare un’igiene intima e ci accorgiamo che mancano i pannoloni e che il magazzino a quell’ora è chiuso…forse il problema non fa capo solo a voi stesse/i, ma probabilmente è legato ad aspetti organizzativi o di altra natura.

Lo schema potrebbe essere il seguente.

(C) Nell’ottica dell’ organizzazione

(B) Riferiti alla professione

(A) Aspetti personali

• (A) Può essere ad esempio successo che il/la collega che doveva occuparsene se ne sia dimenticato oppure abbia pensato “…che si arrangino gli altri” e quindi la sua azione riguarda unicamente una sua decisione personale,

• (B) che però ricade e si riferisce ad un ambito professionale e quindi la correttezza che quest’ambito richiede. Non riguarda solo colui o colei che fa quest’azione ma può causare danno o disagio, come in questo caso, ad uno o più pazienti che rimarranno senza pannolone, con tutto ciò che ne consegue.

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• (C) D’altronde la ricaduta avviene anche nell’organizzazione, nel personale di quel turno che dovrà organizzarsi in maniera differente e nell’immagine che quell’organizzazione (ospedale, casa di riposo,…) avrà all’esterno: di efficienza o viceversa di malfunzionamento e scarsa attenzione all’utente.

Potrebbe anche essere successo che in quella struttura non è mai stata decisa la procedura da attuare e chi la attua: ad esempio quale figura si deve occupare del controllo e quindi della presenza sufficiente di pannoloni, quante volte deve essere fatta, chi deve essere avvisato, ecc.

L’esempio dei pannoloni potrebbe ovviamente valere per altre situazioni del tipo: chi controlla che i farmaci vengano effettivamente somministrati; chi si occupa che differenti pazienti possano assumere liquidi in modo appropriato e differenziato in base alle loro capacità: ad esempio con la cannuccia piuttosto che con il bicchiere; con il bicchiere a beccuccio piuttosto che con un bicchiere semplice; con una cannuccia phieghevole piuttosto che con una rigida; che vi sia un mortaio schiacciacompresse nel caso di un paziente con difficoltà di deglutizione o comunque uno strumento similare, abbinato alla sostanza per inghiottirle, che può essere uno yogurt naturale piuttosto che uno alla frutta o viceversa, in base anche ai gusti del paziente e tenendo conto della patologia, ad esempio un eventuale diabete.

In altre parole un sistema di procedure standardizzate – ove possibile – perlomeno riguardanti le situazioni più comuni da affrontare, unito alla definizione di chi se ne deve occupare.

In altre parole, quindi, è necessario che l’operatore/trice abbia una visione d’insieme del lavoro, unita alla consapevolezza delle relazioni ed interconnessioni che vi sono, unita alla capacità di comunicare ai vari responsabili e nelle sedi appropriate miglioramento dell’organizzazione complessiva e quindi della professionalità richiesta: ciò può comportare un miglioramento riguardante anche gli aspetti personali.

Possiamo inoltre aggiungere che gli aspetti personali dell’operatore riguardano non solamente aspetti negativi di esso, ma anche caratteristiche personali che incidono positivamente nell’organizzazione, quali: la puntualità, la precisione, l’ascolto, la pazienza, ecc.

Concludendo, è fondamentale per l’operatrice/tore la estrema consapevolezza che gli aspetti personali con le relative decisioni ed azioni che ne conseguono hanno un risvolto e sono necessariamente riferiti alla professione, nell’ottica dell’organizzazione.

B.1.3) Un Caso clinico.

In questo capitolo prenderemo in esame un caso tra gli infiniti che vi sono: il caso scelto riguarda l’ambito anziani per il semplice motivo che esso può interessare ad una molteplicità di operatori che si troveranno ad affrontare nei tirocini e/o nella professione tematiche simili.

Da aggiungere che ciò che ci interessa è puntare l’attenzione sul metodo utilizzato in modo da coglierne l’applicabilità (si spera) anche in altri ambiti operativi (handicap, minori, alcolisti, ecc.).

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Il caso della signora Annamaria.

Lavorate da alcuni mesi in un SAD, dove tra l’altro seguite la sig.ra Annamaria, che in seguito ad una grave caduta non riesce più a svolgere le consuete mansioni.La sig.ra che ha 85 anni, vive col figlio Giorgio, che, nell’ultimo anno per motivi professionali è fuori casa dalla mattina alla sera e talvolta per più giorni consecutivamente.

Un’altra figlia, Enrica passa una volta al dì e così pure un secondo figlio, Marco.Annamaria si lamenta solo raramente, però di recente è diventata più svogliata ed ha attenuato i suoi interessi. Fino a poco tempo fa si faceva da mangiare da sola, anche se i figli a turno le facevano la spesa.Inoltre, pur se accompagnata, usciva a fare delle brevi passeggiate.

Si chiede:

• (1) Che idea vi siete fatti/e della situazione complessiva unicamente in base ai dati forniti dal testo? (Interpretazione)

• (2) Quali informazioni vorreste avere, in quali ambiti, perché e come fareste per ottenerle? (Raccolta informazioni)

• (3) Eventualmente cosa vorreste osservare, per quali motivi ed in quali ambiti? (Osservazione)

• (4) Descrivete il vostro intervento motivando le priorità. (Azione/Intervento)

Proviamo ad affrontare questo caso, anche se non in modo totalmente esaustivo, ma cercando di individuare perlomeno gli aspetti principali richiesti dalle domande.

• (1) Quello che possiamo immaginare è che per la sig.ra Annamaria la caduta con la conseguente riduzione nel numero delle “consuete mansioni” - e, possiamo sospettare anche nella loro qualità - possa avere delle conseguenze nell’area emotiva, nella sua immagine di donna autosufficiente e quindi nella sua identità di persona “tout court”, che a questo punto della sua vita potrebbe aver bisogno dell’aiuto altrui e quindi può venir minata l’area dell’autonomia.

Un altro fatto che può incidere negativamente è l’assenza del figlio Giorgio da un anno a questa parte, per quanto riguarda l’arco della giornata e non solo; possiamo ipotizzare che la presenza del figlio abbia svolto un ruolo tranquillizzante nei suoi confronti, di presenza anche invisibile e che ora, in un momento di particolare difficoltà questa riduzione della presenza possa costituire una sicurezza interiore ridotta.

Possiamo sempre ipotizzare, in base ai dati e comunque da verificare in seguito che, il fatto che gli altri due figli passino a trovarla, possa costituire un ulteriore momento di sicurezza, tutela da parte dei familiari: essi, in questo modo possono trasmetterle il sentimento di essere amata, che

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in fondo costituisce il nocciolo del vivere: cioè il fatto di essere importanti per qualcuno di significativo per noi.

Dai dati emerge un rallentamento/caduta di interessi: “è diventata più svogliata…ha attenuato i suoi interessi” ed attività “…si faceva da mangiare da sola”.

Anche dal punto di vista motorio vi è un calo/riduzione “…usciva a fare brevi passeggiate, pur se accompagnata”, nel testo si parla ora utilizzando il passato: “si faceva da mangiare…usciva…”. Pur in presenza di aiuto (“usciva”) ora ha ridotto le attività.

Emerge quindi un quadro complessivo sia dal punto di vista delle capacità motorie, fisiche che rispetto all’area psicologica, nei suoi aspetti sia cognitivi che emotivi, una riduzione dell’area di vita e movimento.

Uno psicologo e non solo esso può senz’altro intravvedere un quadro con elementi depressivi, che sono senza dubbio da approfondire ma che già molto dicono…

• (2) Nell’area della raccolta informazioni potremmo partire elencando in modo casuale le informazioni che riteniamo sia importante avere, per meglio progettare l’intervento, così come ci vengono alla mente. Questo modo di procedere ha il pregio di non mettere censure alla nostra creatività operativa, in una sorta di brain-storming, ma ha anche il suo limite nella possibilità di trascurare delle aree d’indagine, senza avere la consapevolezza d’averlo fatto.

Una modalità complementare alla precedente è quella di individuare in anticipo una serie di aree d’indagine all’interno delle quali porre le domande o le informazioni che vorremmo avere. Le aree dovrebbero avere la caratteristica di essere comprensive ed esaustive ed il titolo di ogni area dovrebbe rispecchiare questa necessità: i nomi che vi diamo poco sotto vogliono avere questa peculiarità. Nel caso o nel momento in cui ciò non dovesse accadere è nostro compito individuare altre aree i cui singoli titoli ci siano comodi operativamente. I titoli delle aree, che altro non sono che sintetici modelli teorici hanno l’unico scopo di orientarci nella prassi, di essere comodi e pratici, come delle scarpe: finche ci sono utili e ci servono le utilizziamo, altrimenti le gettiamo o le mettiamo da parte. Proviamo ora ad elencare le principali aree ribadendo quanto già detto prima e cioè che anche le definizioni linguistiche vengono utilizzate finchè esse ci sembrano chiare e utili: se ciò non accade possono essere tralasciate per altre.

Un area che teniamo in considerazione è quella che possiamo definire MEDICA (M):

(a) in riferiimento a questo caso potremo voler sapere quali sono attualmente per la sig.ra Annamaria le conseguenze fisiche della caduta, se vi sono state delle conseguenze in termini di fratture o comunque se vi sono state delle conseguenze funzionali in termini di ridotte capacità deambulatorie; quale sia la qualità delle stesse; se è avvenuta una riduzione nei tempi di movimento (per quanto tempo si muove), ecc.; (b) se la sig.ra soffre di altre patologie, con quali conseguenze; (c) se assume farmaci, quali, quando, se è autonoma nella somministrazione; se rispetta i tempi della somministrazione; (d) potremmo chiederci, data la presenza di elementi depressivi, se è in cura per questo motivo, da chi ed eventualmente da quanto tempo; (e) inoltre potrebbe essere importante saper se le conseguenze della caduta si ritiene che possano essere permanenti oppure no.

Un’altra area è quella che si può definire PSICOLOGICA (P): in essa vi possono stare una serie di valutazioni inerenti (a) le capacità cognitive (memoria a lungo e breve termine, tempi di attenzione suddivisi per compiti svolti, ecc.); (b) gli aspetti emotivi e di autopercezione della

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paziente: sarebbe opportuno che queste valutazioni fossero formulate da professionisti o quantomeno che chi compila la scheda lo faccia formulando valutazioni su base descrittiva e comportamentale; (c) come mai la sig.ra Annamaria si lamenta raramente?: per suo carattere o perché ne ravvisa l’inutilità e/o per mancanza di risposte pertinenti da parte di familiari e/o altre persone?

Un’altra area può essere quella delle RELAZIONI FAMILIARI (Area famiglia) (RF): dove ci possono interessare le seguenti informazioni: (a) la figlia Enrica quando viene a trovare la madre lo fa per “dovere filiale” o vi è effettivamente un interesse – facendo un gioco di parole – affettivo, profondo verso di essa, una vera attenzione filiale.

Quest’informazione ci è utile per valutare la qualità della relazione madre/figlia e “quanto” la madre riceve in termini di attenzione/affetto, ciò vale ovviamente anche per il rapporto con il figlio Marco; (b) i figli quando vengono a trovare la madre svolgono qualche mansione domestica per lei o assieme a lei?; (c) quanto tempo rimangono?; (d) fanno qualche attività con lei, tipo guardare la TV, leggere e/o commentare i giornali, escono assieme, parlano?: se sì di quali argomenti; (e) vi è collaborazione tra figli o in altri termini vi è tra loro ripartizione dei compiti o comunque fattiva ed efficace collaborazione? (f) vi sono altri parenti che vengono a trovarla o le telefonano o è lei stessa che lo fa; (g) eventuali parenti sono di linea diretta o da parte del marito? (h) come sono i rapporti con questi parenti, qual è la loro qualità e frequenza?; (i) ultimo e non per importanza: nel testo non si parla del marito: è ancora vivente e se sì quali sono i loro rapporti, dove vive,ecc.; (l) se dovesse essere deceduto, da quanto tempo, se vi sono ancora effetti significativi di tipo negativo sul suo comportamento; (m) inoltre, stavamo dimenticando, è opportuno sapere come sono i rapporti col figlio convivente, Giorgio, anche nei termini di aiuto concreto che questi eventualmente dà alla madre.

Un'altra area che può rivestire una notevole importanza nella vita di un utente è quella delle RELAZIONI SOCIALI (Area sociale) (RS): in quest’area possono starci ad esempio le seguenti richieste di notizie: (a) la sig.ra Annamaria ha delle amicizie?; (b) si vedono, con quale frequenza, dove , cosa fanno, si sentono solo al telefono, ecc.: queste informazioni ci sono utili per avere una reale valutazione della vita sociale della sig.ra Annamaria:sappiamo quanto importante sia una vita di relazione e la qualità della medesima; il sapere inoltre dove si vedono può darci indicazioni rispetto alle capacità motorie della sig.ra: se essa può percorrere o meno tale tragitto,ecc.; (c) può essere importante sapere se all’interno del condominio vi siano delle persone con le quali abbia stabilito un particolare rapporto, se vi è la disponibilità da parte di esse all’aiuto ed eventualmente attraverso quali modalità e tempi e, comunque, a prescindere dall’aiuto se vi sono interessi comuni, consuetudini,ecc.

Un’altra area che riveste un importante ruolo è quella che possiamo definire AMBIENTE (A):

la si può ulteriormente suddividere in ambiente interno (AI) ed esterno (AE): (a) nel primo è opportuno sapere se vi sono all’interno dell’ambiente domestico oggetti che possano ostacolare la deambulazione come tappeti, scalini tra una stanza e l’altra ed anche ad esempio (b) se vi è una vasca da bagno piuttosto che la doccia, se la prima possiede una sedia d’appoggio, se la seconda ha un tappeto antisdrucciolo, ecc. Nel secondo (AE) può essere importante sapere se (c) l’abitazione è in periferia piuttosto che in centro, (d) se vi sono negozi nelle vicinanze, (e) se questi ultimi possono essere raggiunti dall’utente compatibilmente con le sue condizioni fisiche, (f) se lei lo desidera?; (g) se vi sono dei centri di ritrovo, se vi è qualche luogo che la sig.ra Annamaria prima frequentava abitualmente, ad esempio bar o altro, (h) se in questi luoghi vi erano delle persone con le quali aveva stretto particolari rapporti, (i) se vi sono dei giardini che frequentava?

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Un’altra area riguarda gli INTERESSI – HOBBY - ABITUDINI - PASSATEMPI (IHAP):

è ovviamente importante/fondamentale non trascurare questo aspetto. La persona anziana ha molto “tempo libero” che spesso può diventare “tempo vuoto”, privo di significati o meglio con significati di vuoto, depressivi, di mancanza di senso o di riduzione di senso; il “coltivare interessi” o da parte dell’operatore essere stimolatore è un compito non trascurabile. Quindi il sapere ad esempio se (a) guarda la TV, quali programmi; (b) se legge, che cosa, quando,ecc. forse non è il caso della sig.ra Annamaria o forse sì, ma può succedere che un paziente trascuri, perda delle abitudini e, solo attraverso una consapevole ed amorevole stimolazione da parte dell’operatore esse possano essere riprese e far sì che possano dare nuovamente senso alla sua vita: ciò è particolarmente vero nel caso di pazienti ad esempio che hanno ridotte capacità visive o di concentrazione: in questi casi l’operatore, conoscendo orari di programmi televisivi o letture preferite può svolgere un importante ruolo sostitutivo e/o stimolativo; (c) perché ad esempio la sig.ra Annamaria ha attenuato i suoi interessi?; (d) perché non esce, neppure accompagnata, a fare brevi passeggiate?

Certe volte si può considerare, optare per la scelta di un’area che possiamo definire dell’AUTONOMIA (A):

In quest’area - che in parte ne sostituisce in qualche aspetto altre già enumerate – si possono inserire:

(a) la capacità di alimentarsi, scomposta nell’uso di quali posate, con quale velocità, precisione;

(b) la capacità di lavarsi, suddivisa in quali parti del corpo, come, in quanto tempo;

(c) la capacità di vestirsi, scomposta in tempi, precisione, quali indumenti, quali parti del corpo;

(d) la capacità di camminare: come, per quanto tempo; (e) la capacità di comunicare: il grado di precisione/accuratezza/chiarezza, i tempi.

Come si può vedere, il conoscere queste informazioni e forse altre ancora può contribuire ad avere un quadro a tutto tondo dell’utente e ci può facilitare nell’intervento: le modalità di raccolta dipenderanno e varieranno da caso a caso.

Sarebbe preferibile avere già in fase pre-intervento un quadro complessivo e, comunque, la precedente suddivisione per aree e relative domande/risposte è da tener presente durante l’intervento medesimo, per completare in itinere, se necessario, i dati mancanti.

• (3) Molto succintamente e senza ripeterci – dato che abbiamo sviluppato abbastanza ampiamente il punto (2), in questa parte è opportuno osservare in dettaglio, in sequenza ed “in vivo” quanto richiesto nella raccolta informazioni: cioè negli ambiti dove è possibile: ad esempio può essere opportuno e pertinente osservare le modalità relazionali dei figli con Annamaria, mentre è ovviamente più difficile, se non impossibile osservare la collaborazione o le interazioni tra figli se queste non avvengono in casa di fronte all’operatore e quindi risultano non osservabili.

In concreto l’osservazione ci permette di confermare o meno i dati raccolti precedentemente, di raccogliere le informazioni di prima mano nel caso non ve ne fossero e comunque di unire idee

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e realtà. In genere un’accurata osservazione ha un grado di precisione nell’analisi dei dettagli che una descrizione scritta non ha.

• (4) Come traccia di intervento - fermo restando quanto affermato sull’importanza del conoscere la situazione inerente l’area medica – se come operatori ci troviamo catapultati in una situazione domiciliare, con in possesso unicamente le informazioni del testo, è importante - fatta la presentazione di sé, del proprio ruolo – poter instaurare una relazione di fiducia con la sig.ra Annamaria in modo da poter affrontare il tema inerente i motivi, secondo lei, della svogliatezza e dell’attenuazione rispetto ai suoi interessi.

•Vi è da dire che rispetto ad uno svolgimento scritto non è così facile in questo caso descrivere un intervento basato sulla Relazione, che per sua natura è impregnata di aspetti non-verbali e paraverbali (vedi) senza dubbio “indagare” o meglio esplorare con l’utente stessa i motivi che hanno richiesto l’intervento del SAD può configurarsi non solo come una semplice “raccolta informazioni” - bensì, se sostenuto da effettivo interesse per la persona, da accettazione della stessa, da comprensione empatica e disponibilità – come intervento a tutti gli effetti.

E’ ovvio che se nella descrizione del caso fossero state indicate informazioni di maggior dettaglio, sia in Area medica che psicologica come nelle altre aree, l’intervento e le relative priorità sarebbero state più evidenti ed immediate.

Una nota da aggiungere è la seguente: il caso sopra analizzato è un caso scritto, analizzato ”a freddo”, con una fase pre-intervento di (a) raccolta informazioni, una fase di (b) osservazione/ascolto, una fase (c) interpretativa ed infine la fase (d) dell’intervento.

Nella realtà quotidiana in cui la RDA si attua col paziente, “a caldo”, le varie fasi sono ugualmente proponibili come modello entro il quale muoversi: hanno una finalità pragmatica.

E’ come avere una bussola, la cui finalità è quella di orientare momento per momento, è cioè quella di fornire la rotta attimo per attimo: perché ci possa essere utile ci vuole però un requisito minimo fondamentale: dobbiamo guardarla; in altri termini un’efficace RDA perché sia tale richiede che il marinaio di turno, l’operatore di turno focalizzi la sua attenzione interna sugli aspetti sopradescritti, veda il modello di riferimento fornitogli e lo confronti con la realtà di quel momento/istante e dall’osservazione di quella realtà passi al modello interno.

In questo modo andiamo a toccare un altro aspetto/obiettivo fondamentale della RDA e cioè quello che riguarda l’AUTOESPLORAZIONE.

Domande di ripasso.

1) Quali sono le “aree” che è opportuno considerare nella raccolta informazioni?

2) Se ne possono aggiungere altre? Quali?

3) Saresti in grado di spiegare quali sono gli elementi, gli aspetti principali da considerare in ogni area?

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4) L’Osservazione/Ascolto in cosa eventualmente si differenzia dalla “ Raccolta Informazioni”?

Esercitazione

CASO

1) Leggi il seguente Caso e sviluppalo secondo il modello proposto in questo capitolo. (E’ ovviamente possibile integrare il modello proposto).

Il signor Carlo ha 78 anni e vive con la moglie Enrica, che è costretta, per muoversi in casa, ad utilizzare una carrozzina.

La coppia è assistita quotidianamente da due operatrici a domicilio, che provvedono a svolgere qualche lavoro di casa, a fare la spesa, ad occuparsi dell’igiene della signora. Le due operatrici si trovano però a dover affrontare il problema che le spondine della carrozzina non si riescono a togliere: quindi diventa difficile – dato il peso della signora – spostarla e metterla nella vasca da bagno.

Hanno segnalato il fatto al marito, ma quest’ultimo ha detto che sua moglie non ha diritto ad un’altra carrozzina e successivamente hanno comunicato alla propria Responsabile che non avrebbero più fatto il bagno alla signora, perché diventava estremamente difficile fare lo spostamento ed inoltre il peso della signora comportava loro grosse difficoltà e dolori alla schiena. La Responsabile ha acconsentito a questa modifica nel trattamento: vi è inoltre da considerare il fatto che il marito si era assunto l’onere del bagno della signora Enrica.

Le due operatrici però si trovano a notare, in seguito, che sul corpo della signora vi sono spesso dei lividi, segno di probabili cadute: chiedono al marito, che dice di non saperne il motivo, comunicano ciò alla propria responsabile durante le riunioni d’equipe, però non succede nulla.

Analizzate il caso secondo lo Schema della RDA.

(C )Saper individuare gli elementi principali per poter instaurare una comunicazione efficace con la persona assistita

C.1.) La comunicazione verbale e non verbale

C.1.1.) La Comunicazione Non-Verbale (CNV)

Paradossalmente cominciando a parlare di Comunicazione, intesa il più delle volte – semplicisticamente – unicamente come Comunicazione verbale, fatta di parole, dicevamo cominceremo a parlare di Comunicazione non-verbale.

Attraverso di essa passa la maggior parte dei significati di una Comunicazione e quindi di una Relazione: vari studi sostengono che almeno il 70/80 % del senso di una Comunicazione è determinato dal non-verbale: approfondiremo tra poco il tema.

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Si veda inoltre l’Allegato riassuntivo.

• Per CNV o meglio per Indicatori della CNV intendiamo:

(a) Il Contatto Visivo;(b) Le Espressioni del Viso;(c) I Gesti ed i Movimenti del Corpo;(d) La Postura;(e) Lo Spazio Prossemico;(f) L’Ecologia Comunicativa;(g) L’Apparenza Fisica;(h) Il Tatto;(i) Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali.

Per comprendere l’importanza della CNV dobbiamo tornare alle considerazioni iniziali, quando dicevamo che la prima regola della Comunicazione è che “non si può non-comunicare”: in altri termini anche il “Silenzio” è Comunicazione ed è quindi compito dell’operatore districarsi tra i possibili significati di essa; è ovvio che non è sufficiente la lettura di una dispensa per padroneggiare compiutamente tali abilità, legate ad aspetti individuali, strettamente legate al proprio desiderio di migliorarsi, alle propria capacità di autocritica ed autoriflessione, all’esperienza quotidiana in ambito personale e professionale.

Con una certa frequenza nelle verifiche scritte, diversi studenti, nel descrivere il proprio intervento con l’utente affermano: “…utilizzo la Comunicazione Verbale e la CNV…!!!”, come fosse una tecnica da imparare e della quale servirsi a comando: la CNV è impossibile non utilizzarla: usando il Verbale – comunque – filtrano sempre aspetti di CNV: diciamo che per un operatore è fondamentale essere consapevole degli effetti delle Proprie Comunicazioni – tout-court – sull’utente, come pure è fondamentale o perlomeno importante conoscere le proprie modalità comunicative: a tal proposito – dal punto di vista formativo – è importante non sottrarsi, in aula, quando vengono utilizzate modalità partecipative, quali ad esempio i role-playng, dove l’allievo ha la possibilità di sperimentare direttamente queste modalità, di ottenere il feed-back dai compagni e dal docente ed eventualmente vedersi in registrazione video.

Ritroveremo il tema degli effetti della propria Comunicazione sull’Altro/i quando parleremo delle Competenze Trasversali (CT). Passiamo ora in rassegna i dettagli della CNV.

(a) Il Contatto visivo costituisce in genere il primo contatto con l’Altro: già linguisticamente la parola CON-TATTO, scomposta indica triplici aspetti: (1) “Contatto” nel senso di Aggancio con l’Altro, (2) “Con-Tatto”, nel senso di Delicatezza, cioè rimanda ad una modalità di Relazione indice di delicatezza/fragilità, nella quale è richiesto Tatto; (3) “Contatto” rimanda inoltre alla Modalità Corporea, che costituisce senza dubbio una modalità caratterizzata dall’Intimità - in questo caso Fisica, come succede in alcune Relazioni operatore/utente: si pensi al paziente allettato – e quindi ci indica a quali territori della psiche il Primo Contatto rimanda e conseguentemente l’importanza che esso riveste per l’operatore e soprattutto per l’utente. Possiamo notare l’importanza del Contatto visivo e di come esso ci viene richiesto dai nostri interlocutori, quando, ad esempio stiamo parlando con qualcuno e improvvisamente veniamo distratti dal passaggio, di fronte a noi di una persona: anche se impercettibilmente e velocissimamente volgiamo in quella direzione lo sguardo, riportandolo immediatamente dopo sul nostro interlocutore primario,

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ciò che succederà nella quasi totalità dei casi è che il nostro interlocutore volgerà il suo sguardo nella direzione dove noi l’abbiamo distolto: è insopportabile non essere guardati: ciò equivale a non essere considerati, a non esistere per l’altra persona, a non esistere: sintomatico a tal proposito è l’accanimento con cui molti VIP e non-VIP appaiono in TV, il cosiddetto presenzialismo: anche qui il non–apparire equivale ad un non-esistere. Il Contatto visivo incoraggia il feed-back, può essere sinonimo di apertura, disponibilità verso l’Altro; serve a ridurre le distanze psicologiche ed è da tener presente che talvolta, ad esempio se prolungato, può produrre ansia;

(b) Le Espressioni del Viso: è un espressione generica per indicare quanto può manifestarsi sul viso ed essere indicatore di stati d’animo e/o pensieri interiori: a tal proposito vi è dibattito in ambito psi: cioè se ad esempio movimenti oculari, dilatazione delle narici, dilatazione e restringimento delle pupille, contrazioni dei muscoli facciali, aggrottamento delle sopracciglia, sbuffi ed altro ancora corrispondano sempre e necessariamente ad altrettanti stati d’animo: quello che per ora ci interessa è notare questi comportamenti. È come se fossimo nella fase della Raccolta informazioni tramite l’Osservazione: l’Interpretazione, come abbiamo visto in precedenza, viene dal punto di vista logico successivamente;

(c) I Gesti e Movimenti del Corpo: il gesticolare delle mani/braccia, il muovere le gambe, i piedi, il camminare ed i differenti modi nel farlo costituiscono quest’area;

(d) La Postura: cioè la/le posizioni del corpo ed i cambiamenti di posizione dello stesso sono oggetto di osservazione e considerazione;

(e) Lo Spazio Prossemico : cioè li significati che assume la distanza o le variazioni di distanza tra due o più persone;

(f) L’Ecologia Comunicativa : cioè il contesto che può favorire o meno la Comunicazione: le condizioni di illuminazione di un locale, eventuali rumori che possono interferire con un ascolto ottimale, il posto dove il soggetto è seduto (sedia, poltrona, ecc.); le condizioni fisiche e/o mentali del soggetto; in altre parole l’Ecologia Comunicativa è quella che si può percepire con i cinque sensi;

(g) L’Apparenza Fisica : è costituita sia dall’aspetto fisico, dalle condizioni fisiche, così come esse appaiono ad un osservatore esterno, sia dall’abbigliamento e di cosa quest’ultimo ci trasmette in termini di accuratezza, pulizia, appartenenza o desiderio di appartenenza sociale;

(h) Il Tatto : attraverso di esso trasmettiamo e riceviamo sensazioni, impressioni. Si configura come un’esperienza diretta, come comunicazione non falsificabile, genuina in sé che tramite azioni sul corpo trasmette emozioni al corpo, dal punto di vista professionale trasmette Attenzione, Interesse, Cura, Calma, Amore o al contrario Disattenzione, Disinteresse, Incuria, Fretta, Disamore: è quindi un potentissimo veicolo comunicazionale;

(i) Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali: sono costituiti dal tono di voce; dal volume della voce e dal suo alternarsi; dalla velocità, dal ritmo; dal timbro; dalla quantità di parole pronunciate; dal rispetto dei tempi; dalla balbuzie; dalla cessazione del parlare.

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Alcuni autori inseriscono gli Indicatori Paralinguistici direttamente nella Comunicazione Verbale, altri usano farla rientrare nella Non-Verbale: il nostro orientamento è quest’ultimo, in quanto essi – gli Indicatori - confermano o meno il contenuto linguistico della comunicazione verbale. In ogni caso essi costituiscono l’aspetto di fondo che dà significato alla comunicazione verbale: come forse abbiamo già detto, quando vi è contraddizione tra Messaggio Verbale e Messaggio Non-Verbale, vale sempre quest’ultimo.

Aggiungiamo che i vantaggi della CNV sono quelli di ben rappresentare i sentimenti, di comunicare stati emotivi, di avere una minore controllabilità ed una maggiore genuinità.

C.1.2.) Gli Stili Comunicativi.

Gli Stili Comunicativi o Modalità di Comportamento Comunicativo possono essere suddivisi in tre tipi.

(1) Stile Passivo

(2) Stile Aggressivo

(3) Stile Assertivo o Affermativo o Espressivo

• (1) Lo Stile Passivo si caratterizza per fatto che la persona rinuncia all’espressione di pensieri ed emozioni, pareri, opinioni, punti di vista sensazioni, sentimenti, desideri, bisogni. Usare questo stile coincide col sottomettersi al volere altrui;

• (2) Nello Stile Aggressivo la persona esprime i propri pensieri ed opinioni, tenendo però presente solo il proprio punto di vista; vi è la lotta per il potere e l’attacco diretto o indiretto nei confronti dell’interlocutore;

• (3) Lo Stile Assertivo si caratterizza per il fatto che la persona è in grado ed esprime i propri pensieri ed emozioni nel rispetto dell’interlocutore; vi è rispetto per l’individualità

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dell’Altro, disponibilità a vedere il suo punto di vista e vi è la volontà di raggiungere un accordo.

Dobbiamo dire che gli “Stili comunicativi” non sono un a sé stante teorico, cioè, sebbene si possano studiare come un aspetto della “comunicazione”, in realtà gli “stili” sono sempre presenti nella “Relazione comunicativa”, in ogni istante, nelle nostre comunicazioni ed in quelle altrui.

Solamente che non sempre vi facciamo caso.

Per sapere, quindi, ciò che sta succedendo in una comunicazione, proprio in quegli istanti, momenti, in quelle sequenze di parole e/o gesti è importante rivolgere la nostra attenzione consapevolezza, oltre a ciò che osserviamo/ascoltiamo esternamente, anche – lateralmente – allo schema riassuntivo presentato alla fine del capittolo.

C.1.3) Le Funzioni della Comunicazione.

Anche qui come altrove ripetiamo lo stesso concetto: cioè quello di più aspetti presenti contemporaneamente in una Comunicazione e quindi della necessità da parte nostra di spostare l’attenzione da un elemento all’altro per poterne cogliere il significato complessivo: è come seguire una partita di pallone dal vivo: lo spettatore osserva i movimenti del giocatore che ha la palla, guarda a chi la passa.

Lo spettatore attento però, guarda non solo queste cose, ma anche i movimenti e gli spostamenti degli altri componenti la squadra. In questo modo riesce a vedere chi si smarca, a chi sarebbe preferibile passare la palla perché meglio piazzato; riesce cioè ad avere una visione complessiva della squadra e della visione e tattica di gioco di quest’ultima.

Oltre a ciò uno spettatore ancora più attento osserverà anche la squadra avversaria, i movimenti ed azioni dei singoli componenti e della squadra nel suo complesso: in altre parole cercherà di avere una visione complessiva il più precisa possibile e corrispondente al vero.

Allo stesso modo nella RDA l’Ascoltatore, oltre ad osservare ciò che viene detto e fatto dall’Altro, essendo un osservatore che partecipa alla Comunicazione, osserverà anche se stesso e di come ciò che fa e dice incida nella Comunicazione medesima.

In presenza di più persone, in un gruppo o anche in èquipe, il tutto si complica per la presenza di più persone, dove aumenta il numero delle Comunicazioni, che possono pure accavallarsi, come aumentano oltre agli aspetti verbali quelli non-verbali: allo “Spettatore” vengono richieste abilità percettive di dettaglio oltre ad uno schema interpretativo efficace per districarsi dall’”insalata di parole”.

Operativamente le Funzioni della Comunicazione

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stanno ad indicare come ogni comunicazione assolva a delle funzioni, cioè serve ad esprimere qualcosa che può essere esplicito, visibile e comprensibile immediatamente o che viceversa deve essere interpretato: inoltre che ad esempio una singola frase o parola può voler dire più cose contemporaneamente;

Cioè che in una comunicazione le varie funzioni possono intrecciarsi e che quindi è compito dell’interlocutore districarsi tra esse.

Passiamo ora ai dettagli.

a. FUNZIONE STRUMENTALE: si utilizza quando si vuol far compiere, eseguire qualcosa a qualcuno;

b. F. DI CONTROLLO: corrisponde ad un comando, ad un ordine in termini verbali o /e paraverbali;

c. F. INFORMATIVA: quando si informa, si spiega qlc.;

d. F. ESPRESSIVA: esprime sentimenti, stati d’animo;

e. F .VALUTATIVA: esprimere valutazioni;

f. CONTATTO SOCIALE: ha la funzione di instaurare o cercare di instaurare un rapporto/relazione comunicativa con qlc.;

g. ALLEVIAMENTO DELL’ANSIA: quando si parla di un problema che causa tensione;

h. STIMOLAZIONE: ha la funzione di sollecitare lo scambio comunicativo con qualcuno;

i. RUOLO: quando si comunica in funzione della situazione o del ruolo sociale o professionale che si ricopre.

Proviamo ora a fare qualche esempio che possa meglio illustrare le singole funzioni.

- (a) Ad esempio la moglie che dice al marito “Mi vai a svuotare la spazzatura, per favore?” con un tono leggero e tranquillo svolge una F. strumentale,

- (b) mentre la frase “Vai a svuotare la spazzatura!!!!!”, detto con volume alto e tono secco, oltre ad avere una F. di controllo,

- (d) può avere anche una F. espressiva: ad esempio la moglie esprime rabbia e/o risentimento perché, poniamo, il marito non esegue mai o raramente questa mansione oppure che lo fa, ma solo dopo che gli è stato detto ripetutamente.

- (c) La frase “Hai visto che il bidone della spazzatura è pieno?”, ha un’apparente o superficiale - F. informativa

- (b-a) ma di fatto svolge una F. di controllo o strumentale, a seconda dal tono con il quale viene detta.

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- (f) Cambiando esempio: un viaggiatore all’interno di uno scompartimento ferroviario che rivolto al suo dirimpettaio dice “Bella giornata, oggi, non trova?”, non è probabilmente interessato ad una discussione metereologica, ma probabilmente a scambiare due chiacchere con l’ altro viaggiatore, al fine di per rompere la noia o la monotonia del viaggio: svolge, quindi, una F. di contatto sociale, al fine di sollecitare uno scambio comunicativo,

- (h) cioè svolge anche una F. di stimolazione; come del resto fa il ragazzo che “abborda” la ragazza chiedendole l’ora o una sigaretta:

- (c) la FUNZIONE è apparentemente informativa, l’ora,

- (a) o strumentale, la sigaretta,

- (f) bensì l’aspetto principale, come si è detto prima, si riferisce però alla F. di contatto sociale

- (h) e di stimolazione.

- (i) La Funzione comunicativa di ruolo si ha ad esempio quando uno studente ascolta con interesse l’insegnante che spiega, ma allorché suona la campanella, in genere interrompe il processo attentivo – salvo brevi code, per permettere all’insegnante, rapidamente di finire il ragionamento – per fare una breve pausa o per rivolgere l’attenzione al successivo insegnante; oppure lo stesso insegnante, magari ascoltato con interesse in aula, non lo sarebbe ovviamente in una discoteca, dove questi parlasse di matematica, anzi: in questo caso cambia il ruolo che entrambi svolgono in differenti momenti della giornata: ad esempio il bambino che è stato attento e immobile in classe tutta la mattinata, arrivato a casa và in cortile correndo a lungo e facendo giochi in cui urla.

Faremo ora degli esempi un po’ più professionalizzanti, in modo da rendere più chiare le FUNZIONI medesime.

- (a) L’anziano allettato, degente ad esempio in una struttura di lungodegenza, che dice all’operatrice “Ho sete” svolge una F. strumentale,

- (c) oltre che informativa;

- (b) se però è da diverso tempo che è da solo e che percepisce lo stimolo della sete senza che nessuno si sia avvicinato a lui, può darsi che, appena vede l’operatrice dica a voce alta e con rabbia “Ho sete” svolge molto probabilmente una F. di controllo

- (d) così come anche una F. espressiva (rabbia);

- (i) va da sé che vi è pure una F. di ruolo.

Il medesimo paziente, i cui parenti hanno progressivamente diradato le visite e che è in grado di percepire la progressività della malattia, anche se non necessariamente: in parole povere che passa molto tempo da solo, che percepisce la sua solitudine, magari è quasi totalmente o totalmente immobile può esprimere con la frase “Ho sete” - espressa magari più volte, magari soddisfatta ripetutamente – un bisogno di CONTATTO SOCIALE ed anche una FUNZIONE di STIMOLAZIONE: ovviamente non è assolutamente da trascurare che abbia solo, unicamente e terribilmente SETE!!!!

Come abbiamo visto, quindi l’operatore si trova di fronte continuamente il compito di discriminare, distinguere e valutare COMUNICAZIONI: in base a questa sua abilità attuale, alla voglia e volontà di migliorarla e affinarla – che detto per inciso sono tutti processi interiori che gli altri non

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necessariamente percepiscono (colleghi o supervisori di tirocinio) – dipenderà la qualità delle sue Relazioni, cioè se effettivamente siano Relazioni d’aiuto (RDA) oppure Relazioni puramente incidentali.

C.1.4) Le Regole della Comunicazione

Togliamo subito ogni dubbio: occuparsi di RDA, sia nella teoria sia come operatori della RDA è occuparsi carnalmente di Comunicazione: è come la persona e l’aria che respira, il pesce e l’acqua in cui nuota o forse ancora, ma viceversa quando una persona non comunica verbalmente possiamo essere tentati di pensare che essa per noi non esiste.

Sappiamo, secondo quanto dice il “vangelo” della teoria della Comunicazione (Watzlawick) che:

• “non si può non comunicare ” : ( prima regola della Comunicazione)

Quindi d’ora in poi ci occuperemo di alcuni aspetti teorici inerenti la Comunicazione dai quali riteniamo non si possa prescindere: anticipiamo i titoli degli aspetti salienti: parleremo di (1) Comunicazione non-verbale; (2) Stili comunicativi; (3) Funzioni della comunicazione.

Non abbiamo nominato finora gli aspetti emotivi che intervengono nella Comunicazione. Essi permeano ogni istante della stessa: occupandoci di Comunicazione non-verbale (CNV) li toccheremo.

Possiamo così accennare ad un'altra regola:

(seconda regola della comunicazione)

la quale afferma che:

• “se c’è contraddizione tra messaggio verbale e messaggio non-verbale, vale quello non-verbale”:

Si dovrà prima trattare il prossimo capitolo per meglio comprendere questo punto, che è però importante tener presente già da ora.

La teoria della Comunicazione di cui tratteremo tra poco e che ovviamente può essere meglio approfondita, ma che da qui parte, ha prima di tutto lo scopo etico di migliorare le Relazioni interpersonali, di essere d’Aiuto a…, non al servizio di…

Aggiungiamo per inciso alcuni assiomi della Teoria della Comunicazione, così come sono stati formulati da Watzlawick:

(1) Non si può non-comunicare ;

(2) Ogni comunicazione ha un livello di Contenuto ed uno di Relazione;

(3) Ogni Interazione può essere Complementare o Simmetrica ;

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(4) Nella Complementare una posizione si definisce One-up e l’altra One-down;

(5) Conferma – Negazione - Disconferma;

(6) La Metacomunicazione .

(1) Questa prima affermazione sta ad indicare che, anche se non vi è Comunicazione verbale, l’altra persona comunque esprime qualcosa in modo non-verbale: quindi sta a noi come operatori cercare di comprendere il significato di gesti, movimenti, cenni o silenzi. Anche nel caso di comunicazioni verbali “strane” o contraddittorie il “vero” significato non è immediato: è ovviamente una sfida continua e non sempre se ne uscirà vittoriosi; ma è questa per definizione, per ruolo, per compito, per l’etica che ne sottende la direzione che vorremmo mantenere.

(2) “Una comunicazione non soltanto trasmette un’informazione evidente,…”, un contenuto verbale, ad esempio “ho fame”, ma ci dice qualcosa sulla relazione che c’è – perlomeno in quell’istante – tra chi sta parlando e chi sta ascoltando: ad esempio la frase “ho fame”, urlata può esprimere rabbia, magari è stata detta da un paziente più volte allo stesso operatore, e quindi può esprimere risentimento o altro ancora.

(3) Nel caso del maestro e dell’allievo, del negoziante e del cliente, dell’operatore e del paziente, nei casi – cioè – in cui le Relazioni si integrano tra loro, si completano, si può parlare di Relazioni Complementari, senza volervi dare alcun giudizio di valore. Nei casi in cui entrambi i membri in una Relazione tendano ad assumere il medesimo ruolo o comportamento, si parla di Relazione Simmetrica: è il caso di due persone che si ritengono entrambe competenti sul medesimo argomento e quindi si sentono in diritto di aver ragione:

(4) spesso si può sviluppare quella che si definisce una “escalation”, cioè una serie di azioni “a salire”, dove l’uno cerca di mettere in posizioni di “inferiorità” l’altro (one-down), per essere a sua volta “superiore”, in condizioni di superiorità (one-up). Si ha cioè il rischio di un forte conflitto, senza fine. Le posizioni one-up e one-down, sono invece accettate dai membri delle Relazioni Complementari, salvo i casi di violenza, sadismo, aggressività,ecc., dove un membro della Relazione cerca di spingere l’altro in una posizione di inferiorità. Non sono poi fenomeni così distanti da noi.

(5) Conferma, Negazione e Disconferma hanno a che vedere con il bisogno che ogni essere umano ha di essere riconosciuto dagli altri in quello che dice e fa, nel bisogno di essere amato, visto, considerato e riconosciuto nelle proprie capacità e qualità personali. Ad esempio la bambina che, passando davanti alla vetrina di un negozio chiede alla mamma: “Mi compri quel paio di scarpe rosse” si sente rispondere: (a) “Va bene, te le compro” invece che (b) “ No, te ne ho comperato un paio di rosse l’altra settimana”, piuttosto che sentirsi rispondere. (c) “ Queste scarpe rosse non ti piacciono”, dove queste tre differenti risposte corrispondono quindi alla Conferma (a) di ciò e quindi tutto fila liscio; viceversa (b) la Negazione, il rifiuto costituiscono un’esperienza in qualche modo dolorosa. Dal punto di vista dei disturbi di Relazione, la terza possibilità (c) – la Disconferma – è come dire all’Altro che non esiste, come se nessuno si accorgesse di lui: mentre in pratica nella

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Negazione è come se si dicesse all’altra persona “hai torto”, nella “disconferma” è come se si dicesse “tu non esisti”:

proviamo ad immaginare in una struttura o comunque una relazione dove i pazienti non vengono considerati o meglio non viene considerato ciò che essi dicono o “pensano”; è superfluo dire che questo meccanismo si può definire tale anche se avviene una volta sola: quanto può essere doloroso lo abbiamo sperimentato tutti: è come essere una persona invisibile, è come nei sogni dove si vuol parlare ma non escono suoni dalla nostra bocca, è come abitare un mondo dove noi camminiamo e nessuno ci vede, magari non soffriamo fisicamente, ma il dolore dell’anima può essere molto peggio.

(6) La Metacomunicazione è una Comunicazione sulla Comunicazione: facendo un esempio si può dire che due persone che stanno litigando, stanno Comunicando, magari in modo aggressivo, magari in modo Simmetrico, in Escalation, ma stanno Comunicando: nel momento in cui – per ipotesi – una delle due dovesse dire “smettiamola di litigare e cerchiamo una soluzione”, quest’ultima sta attuando un processo Metacomunicativo, cioè è come se uscisse dalla Comunicazione per vedere la loro Relazione dall’alto, da un gradino superiore; si dice infatti, anche nel senso comune che bisogna vedere le cose dal di fuori, dall’alto, per poter avere un giudizio più sereno ed oggettivo.

Da quanto fin qui detto – pur senza avere la pretesa dell’esaustività, in quanto la teoria è vasta e complessa e qui abbiamo fatto una specie di Bignami di Teoria della Comunicazione – si intravedono alcuni meccanismi che intervengono nelle Comunicazioni quotidiane, personali e professionali.

La nostra abilità a vederli mentre siamo impegnati a Comunicare ed a farne tesoro per migliorare la Comunicazione stessa costituisce poi lo scopo di questo lavoro.

Quando si parla di COMUNICAZIONE – praticamente sempre in questa dispensa – abbiamo bisogno di considerare tutti questi elementi, ognuno è importante ed ognuno può essere utilizzato per meglio capire l’Altra persona ed il ruolo nostro nella Comunicazione: dobbiamo al tempo stesso essere dentro la Comunicazione e vederci dall’esterno.

Esercitazione e domande di verifica

Per ognuno dei sei aspetti trattati in questo capitolo, oltre ai dialoghi che avvengono nella quotidianità delle relazioni interpersonali, potrebbe essere interessante analizzare i dialoghi di film o di alcune parti di essi.

Non vi è che l’imbarazzo della scelta.

SCHEMA RIASSUNTIVO DI

CNV – STILI – FUNZIONI

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(alle pagine seguenti)

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STILI COMUNICATIVI

( Modalità di comportamento comunicativo)

PASSIVO AFFERMATIVO

(ASSERTIVO)

(ESPRESSIVO)

AGGRESSIVO

- La persona rinuncia all’espressione di pensieri, emozioni ed azioni (***)

- Si sottomette al volere dell’Altro

- Non rispetta se stesso

- La persona esprime i propri pensieri, emozioni ed azioni nel rispetto dell’Altro e di se stesso

- Disponibilità a vedere il suo punto di vista ed a raggiungere un accordo

- La persona esprime i propri pensieri, emozioni ed azioni tenendo in considerazione solo il proprio punto di vista

- Lotta per il potere

- Non rispetta l’Altro

- Attacco diretto o indiretto nei confronti dell’Altro

Nota

(***) pareri, opinioni, bisogni, punti di vista, sensazioni, sentimenti, desideri, ecc.

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Funzioni della Comunicazione

Noi comunichiamo per qualche motivo: (1) perché vogliamo farci portare del cibo al ristorante, (3) perché vogliamo informare qualcuno di qualcosa, (4) perché siamo arrabbiati – ad esempio – oppure per tutte e tre le cose contemporaneamente.

(3) Informiamo il cameriere che stiamo aspettando da parecchio tempo; (4) allo stesso tempo stiamo usando un tono di voce che esprime la nostra rabbia e (1) vogliamo che il cameriere ci porti al più presto quanto abbiamo ordinato.

Cioè nella nostra comunicazione di prima facciamo tre cose contemporaneamente.

Il problema è proprio questo: quando qualcuno (amico, amante, paziente) comunica con noi, qual è la cosa più importante che vuole comunicarci?

O quali sono le cose che vuole dirci?

La comunicazione, in fondo, è tutta qui!!!

1. STRUMENTALE serve per Far Compiere/eseguire qualcosa a qualcuno

2. CONTROLLO Comandare/ordinare3. INFORMATIVA Informare/spiegare4. ESPRESSIVA Esprimere sentimenti5. VALUTATIVA Esprimere valutazioni6. CONTATTO SOCIALE Instaurare un rapporto7. RIDUZIONE DELL’ANSIA Parlare di un problema che causa

tensione

8.STIMOLAZIONE Sollecitare lo scambio comunicativo con qualcuno

9. RUOLO Comunicare in funzione del ruolo/della situazione

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(D) Saper descrivere ed individuare gli elementi che caratterizzano la relazione d’aiuto quelli che caratterizzano altri tipi di relazione (di potere, inesistente,…) .

I diversi tipi di relazione tra operatore e persona assistita:

D.1) La relazione d’aiutoD.2.) La relazione di potereD.2.) La relazione inesistente

D.1.) La relazione d’aiuto

Ne abbiamo già parlato nei paragrafi precedenti:

• Stile Assertivo• Comunicazione Non Verbale rispettosa• Uso della Conferma• Alternarsi di modalità One Up/One Down• Metacomunicare Assertiva• Consapevolezza di far parte di un’Organizzazione/Sistema: PPO

Ed altro ancora, che costituisce il nocciolo di questa dispensa, costituiscono gli elementi della RDA.

D.2.) La relazione di potere

In questo caso abbiamo l’utilizzo delle seguenti modalità relazionali:

• Stile aggressivo• Comunicazione Non Verbale (CNV) non rispettosa (modalità)• Uso della Negazione, rispetto a desideri, richieste, bisogni, punti di vista, opinioni,

sensazioni, sentimenti• Modalità prevalente dell’operatore: One Up• Metacomunicazione Aggressiva• Prevalenza del Ruolo Personale nel Sistema PPO, rispetto a quello Professionale e fuori

dall’ottica dell’Organizzazione

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D.3.) La relazione inesistente

• Stile Aggressivo• CNV non rispettosa• Uso della Disconferma: bisogni, desideri, pareri, sensazioni, sentimenti non vengono

considerati importanti, degni di attenzione• Operatore One Up • Metacomunicazione Aggressiva• Prevalenza del Ruolo Personale

Gli esempi che potremmo fare sono molteplici e potrebbero costituire un trattato; valga per informazione, chiarezza di esposizione e contenuti la visione del DVD di Giorgio Bissolo e Maria Vittoria Granelli “ Sono buono, quindi ti danneggio” (2007), come non meno l’opuscolo all’interno del DVD, sempre degli stessi autori “Prendersi cura – lo sguardo condiviso”, inerenti le tematiche di quegli operatori che hanno modalità operative “maligne”.

(E) Saper applicare le conoscenze teoriche inerenti la relazione d’aiuto in contestispecifici.

1)Osservare2)Rispondere al contenuto, ai sentimenti3)Proporre4) Meccanismi di difesa

E.1.) Osservare

Nell’osservazione è importante:• distinguere i dati dalle deduzioni; è quindi importante allenarsi ad osservare, ad esempio • le incongruenze del comportamento, cioè se una persona”dice di sentirsi bene, ma è

accasciata sulla sedia”.Cioè è importante osservare il comportamento Non-Verbale (vedi):

• i movimenti del corpo• le espressioni del viso• la cura di sé• la corporatura• la postura

• E’ importante osservare il livello di energia, cioè lo sforzo che la persona riesce a mettere in atto;

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• E’ importante inferire i sentimenti;

E’ inoltre importante osservare:

• “noi stessi”, cioè • il nostro stato d’animo del momento, • i nostri pensieri e quindi la nostra disponibilità o meno all’incontro con l’Altro,• ricordare i temi ricorrenti• concentrarsi sulla persona e sui suoi contenuti• avere un motivo per ascoltare, anche se – a onor del vero – non sempre sappiamo il

perché, il motivo del nostro interesse all’ascolto.

E’altresì opportuno:

• Evitare soluzioni premature• Sospendere le nostre opinioni personali

E.2.) Rispondere (a) al contenuto, (b) ai sentimenti, (c) al significato

(a)

- Per concentrarsi sul contenuto di ciò che l’altro dice, abbiamo da tener presenti le sei (6) domande chiave del giornalismo (Quando – Dove – Chi – Cosa – Come – Perché) o delle sei “W” (When – Where – Who – What – How – Why).

Come dicevamo nel precedente paragrafo abbiamo da Cogliere e Ricordare i temi ricorrenti.

• Una buona risposta è quella che riformula le espressioni dell’Altro, senza ripetere a pappagallo. Una formula potrebbe essere “Stai dicendo che______” oppure “In altre parole________” o anche si dice fare la parafrasi. (94).

(b)

- Rispondere al sentimento è l’abilità più critica della Relazione: per fare ciò dobbiamo cogliere il Non-Verbale dell’Altro; Ascoltare attentamente l’Altro; Riformulare a parole il sentimento che abbiamo percepito. La domanda che abbiamo da farci è: “Come mi sentirei al suo posto”?, che viene anche definita “La domanda dell’Empatia”. Un esempio potrebbe essere il seguente:

Signor Carlo:”(1)Le cose non mi stanno andando molto bene. Né a (2) casa (al lavoro), né con mia (3)moglie. (4-5)Non so più cosa fare. (6)Cerco di far finta di nulla, ma dentro (7)mi sento molto giù, perché (8-9)non sono sicuro di cosa vorrei fare”.

Gli aspetti di contenuto sono i punti 1,2,3,3,6,8; quelli legati al sentimento sono 5 (disorientamento), 7 (tristezza/depressione), 9 (insicurezza).

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• Una risposta al sentimento può prevedere una riformulazione che potrebbe essere “Ti senti triste”;

• Si nota un basso livello di energia• Dato che non si sente capace di reagire (4-5) e non sa cosa fare (8-9) una risposta

potrebbe essere. “Ti senti scoraggiato”.Per quanto riguarda le risposte abbiamo anche da considerare il loro:

• livello di intensità

ed a quale • categoria di sentimento appartengono (vedi tabella sotto)

(c)

• Per rispondere al significato abbiamo da cogliere contemporaneamente contenuto e sentimento.

Ad esempio, possiamo vedere alcuni stati d’animo e le rispettive aree di contenuto:

Sentimento Contenuto

Felice perché posso tornare a casaArrabbiato con l’operatrice, perché non mi risponde quando la chiamo

Preoccupato quando ho saputo che dovevano operarmi

• Mentre la formula “Stavi dicendo che______” esprime una risposta al contenuto,

• “Sei______perchè__________” riesce a cogliere sia contenuto che sentimento

E.3.) Proporre (131)

Chiaramente, fatte le interpretazioni, occorre anche “fare”, “agire”, quindi serve aver presente una serie di condizioni operative e cioè:

1. Definire gli obiettivi2. Elaborare i programmi3. Fissare le scadenze e individuare i rinforzi4. Individualizzare i passi5. Preparare alla individualizzazione dei passi6. Iniziare i passi di controllo

Ovviamente quanto qui schematizzato deve essere sviluppato, approfondito, dettagliato.

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E.4.) Meccanismi di difesa

Un meccanismo di difesa, nella teoria psicoanalitica di Sigmund Freud, è un sistema attraverso il quale la persona o propriamente l’Io si protegge da esperienze troppo intense, che non è in grado di fronteggiare direttamente. La teorizzazione dei meccanismi di difesa è mutuata dall'esperienza clinica, ma anche nei confronti di situazioni relazionali comuni, che però creano difficoltà nell'integrare la ciò che succede attorno alla persona con ciò che succede nel suo mondo psichico. Un meccanismo di difesa entra in azione con modalità al di fuori della sfera della coscienza: di fronte a una situazione che genera eccessiva angoscia, per esempio, l'Io ricorre a varie strategie per fronteggiare l'estrema portata ansiosa dell'evento, con lo scopo preminente di escludere dalla coscienza ciò che è ritenuto inaccettabile e pericoloso.

Nella teoria psicoanalitica i meccanismi di difesa servono a gestire le comuni richieste ambientali o interne, in rapporto alla coscienza morale Si tratta perciò di funzioni fondamentali per l'adattamento, di cui Freud si occupò a lungo nella determinazione delle cause della nevrosi. I meccanismi di difesa non dovrebbero essere intesi come "patologici", neppure se il loro impiego è disadattivo, dal momento che possono essere utilizzati in maniera troppo rigida, inflessibile e indiscriminata (per esempio, mancando un'effettiva situazione minacciosa), ma la loro funzione è sempre la stessa, quella cioè formatasi nel corso dello sviluppo infantile per affrontare la realtà. Nei casi in cui i meccanismi di difesa vengano impiegati in senso disadattivo, sono riscontrabili le più comuni forme di disturbo mentale.

I meccanismi di difesa che operano in un contesto nevrotico agiscono soprattutto nella direzione di un contenimento o gestione dell'ansia o di altre situazioni affettive intense.

Nei disturbi di personalità (organizzazione borderline ), si osservano spesso delle difficoltà nella gestione degli affetti, che possono risultare eccessivamente intensi anche in assenza di un evento che comunemente è giudicato neutro. I meccanismi di difesa tipici di questi disturbi operano soprattutto nella struttura dell'Io, tanto che il più comune di questi è la scissione. Altri meccanismi riconosciuti sono la proiezione (impiegata in maniera massiccia e incontrollabile nelle personalità paranoidi),

In un quadro psicotico i meccanismi di difesa impiegati operano soprattutto nella direzione del rapporto fra l'Io e la realtà, ed il modo in cui questa viene affrontata e gestita a livello psichico. A questo livello sono frequenti molti meccanismi di difesa tipici anche dei disturbi di personalità, ma impiegati in maniera più "drastica" e spesso talmente disadattiva, tali da compromettere l'esame di realtà (come nel caso di negazioni, allucinazioni, etc.).

E.4.1.) Meccanismi di difesa comunemente riconosciuti

• Negazione : vi è una completa scotomizzazione del dato di fatto conflittuale, senza alcuna consapevolezza di ciò. Ovviamente, l'uso massiccio della negazione produce conseguenze negative nei confronti della possibilità di risoluzione di un problema sul piano di realtà; per cui

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questo meccanismo è in genere disadattativo e disfunzionale. È disadattivo perché non permette la risoluzione di un problema, invece è disfunzionale in quanto provoca un danno all'individuo.

• Dissociazione o Scissione: separazione delle qualità contraddittorie dell'oggetto/persona (buone e cattive), e di conseguenza dei sentimenti ad esso relativi, spesso vissuti come non integrabili ("tutto o nulla"). I diversi aspetti della realtà mentale o di un evento spesso traumatico restano "relegati" in diversi settori dell'attività cosciente. Tipicamente presente, in senso disadattivo, nei Disturbi Dissociativi dell'Identità, più noti come "Personalità Multiple", o nelle esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione.

• Idealizzazione : costruzione di caratteristiche di Sé o dell'Altro onnipotenti e non rispondenti alla realtà oggettiva, al fine di proteggere i bisogni narcisistici. È il meccanismo di difesa attraverso il quale si proietta su una persona una "perfezione" che non c'è. È protettivo e si può trovare anche nell'innamoramento, specialmente quando ci si innamora di qualcuno che sembra perfetto, e che ovviamente non esiste.

• Identificazione : auto-attribuzione ed "assunzione" di caratteristiche e qualità proprie dell'oggetto stimato e amato. È fondamentale nello sviluppo del bambino, che "copierà" caratteristiche dei genitori e di altre persone significative nel corso della sua educazione.

• I dentificazione con l'aggressore : indica l'assumere il ruolo dell'aggressore e dei suoi attributi funzionali, o l'imitarne la modalità aggressiva e comportamentale. Un suo sottotipo particolare è la cosiddetta "Sindrome di Stoccolma".

• Identificazione Proiettiva : processo di proiezione delle qualità percepite come "cattive" dell'Io (di se stessi) sull'oggetto relazionale (Altro), e successiva identificazione al fine di esercitare un controllo (spesso aggressivo) su di esso. Proiettando sull'altro le proprie qualità inaccettabili l'Io può sviluppare l'illusione di poterle dominare dall'esterno. È un meccanismo di difesa complesso, che opera in seguito ad una scissione

• Razionalizzazione : tentativo di "giustificare", attraverso comportamenti, ragionamenti ed argomenti un fatto o processo relazionale che il soggetto ha trovato angoscioso. In altre parole, la razionalizzazione consiste nel costruire attribuzioni, ipotesi o ragioni esplicative "di comodo", per poter contenere e gestire l'angoscia.

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• Intellettualizzazione : controllo razionale delle pulsioni al fine di evitare una compromissione nei confronti di qualità affettive inaccettabili, o che generano difficoltà nella loro gestione. Ciò che ci causa difficoltà emotive intense fa mettere in atto questo meccanismo per fronteggiare la causa della nostra sofferenza. Si tratta di un tipo particolare di razionalizzazione, in cui non solo si producono "spiegazioni apparentemente logiche", ma tali spiegazioni vengono direttamente fondate o riferite a dati teorici, scientifici, culturali di una certa astrazione. Si manifesta anche con l'utilizzazione di temi o argomenti colti o culturalmente condivisi per nascondere l'angoscia.

• Introiezione : processo di assimilazione e "assorbimento" dell'oggetto/Persona o di sue qualità, che vengono riconosciute come proprie. Le caratteristiche introiettate dell'oggetto diventano indistinguibili dal Sé. Non si tratta di una "copiatura", ma di un vero e proprio "assorbimento" della rappresentazione dell'oggetto e delle sue qualità nella propria struttura psichica. Meccanismo essenziale nello sviluppo infantile, che consente al bambino di assimilare le figure significative, come i genitori, e di mantenere internamente e "ricorrere" alle loro qualità anche in assenza di esse.

• Formazione Reattiva : sostituzione di un desiderio inaccettabile con un suo opposto (spesso un comportamento). Può incidere anche sulla costruzione della personalità del carattere; tanto che un eccesso di Formazione reattiva può facilitare la costituzione di un cosiddetto "Falso Sé" (ovvero, una personalità non autentica).

• Rimozione : allontanamento degli effetti pulsionali dell'esperienza traumatica o più generalmente inaccettabile dalla sfera della coscienza. Consiste nell'inconsapevole cancellazione di un ricordo, di una esperienza che il soggetto ha vissuto come acutamente angosciante o traumatizzante. Un'esperienza si dice traumatizzante quando soddisfa le seguenti caratteristiche:

o Quando accade all'improvvisoo Quando produce uno spavento acutissimoo Quando fa si che il soggetto diventi impotente ed incapace di controllare situazioni.o Quando il soggetto sente di subire qualcosa di così tremendo da produrre un danno,

anche fisico, irreparabile. Dalle statistiche si è scoperto che l'evento più traumatizzante è lo stupro e le esperienze di morti improvvise di cui si sia testimoni.

• Proiezione : attribuzione (riconoscimento cosciente) dei propri sentimenti e affetti inaccettati all'esterno, su un altro oggetto o sull'intero ambiente Meccanismo alla base della Paranoia

• Spostamento : investimento di sentimenti inaccettabili su un oggetto/Persona "sostitutivo", che rappresenta l'oggetto "reale".

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• Sublimazione : soddisfazione della pulsione mediante il cambiamento dello Scopo/Attività o dell'oggetto in direzione più accettata culturalmente (per esempio: aspirazioni artistiche al posto delle pulsioni sessuali).

• Condensazione : prendere elementi di due rappresentazioni e produrne una terza che condensi in sé le caratteristiche considerate.

• Repressione : È quel meccanismo di difesa che consiste nella decisione consapevole di "reprimere" la rappresentazione interna di un'esperienza angosciosa dal campo della coscienza.

• Annullamento retroattivo : compiere un'azione al fine di annullarne "magicamente" una precedente. Ad esempio: compulsione a lavarsi necessaria per annullare un atto ritenuto come "sporco" svolto in precedente, reale o meno che sia. È un tipico meccanismo di difesa della nevrosi ossessiva.

(F) Saper descrivere e riconoscere i pregiudizi e gli stereotipi che possono influenzare la relazione con la persona assistita.

F1) Categorizzazione

Un meccanismo, che di fatto distorce la realtà dei fatti, semplificandola ed allo stesso tempo modificandone il senso è la categorizzazione.Come premessa dobbiamo anche però dire che le categorizzazioni possono essere necessarie ed anche utili; cioè noi abbiamo bisogno di schemi mentali, come pure abbiamo bisogno di comunicare con gli altri.Di fatto la realtà è composta di infiniti dettagli, da una molteplicità di azioni, che se scomposte nei dettagli, comporterebbero uno spreco di tempo ed una noia micidiale in chi ascolta: ad esempio, invece di dire “Stamattina mi sono alzato…”, frase che è costituita da quattro parole, se dicessimo “Alle 07.47 minuti e 51 secondi ho aperto gli occhi, ho spostato il lembo del lenzuolo verso la parte sinistra del letto, fino all’altezza del piede sinistro, poi ho compiuto una rotazione del tronco e successivamente dell’intero corpo verso destra, mi sono seduto sulla sponda del letto, appoggiando i piedi per terra, ho atteso otto secondi, poi mi sono alzato lentamente dal letto, non prima di aver

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infilato delle ciabatte di cotone leggero, indi con passi lenti mi sono avvicinato alla porta della stanza e…”E’ ovvio che usare una categoria concettuale e linguistica come quella appena descritta costituirebbe una paralisi del vivere sociale, mentre usare quella precedentemente descritta renderebbe più fluida l’esistenza comunicativa.

• Nell’ambito sociale , ragionare per categorie, avviene ad esempio, quando noi usiamo termini quali l’handicappato, l’anziano, il minore, il tossicodipendente, il malato terminale, il bambino, la donna, la ragazza, ecc.

• L’accento, in questo caso è posto su un particolare aspetto/caratteristica della personalità di qualcuno e, a sua volta, questa caratteristica definisce l’intera persona, privandola a sua volta di tutti quegli aspetti di dettaglio, individuali che – come dice la parola stessa – definiscono l’individuo stesso.

• In ambito sociale e, non solo qui, è opportuno ragionare riferendosi ai bisogni della persona ed ai disagi/dolori che ne caratterizzano l’esistenza: solo così è possibile un approccio individualizzato ed in ultima analisi rispettoso dell’Altro dal punto di vista etico.

• Nella categorizzazione sociale ciascuno stimolo viene collocato in una classe che, mentre lo definisce intrinsecamente, lo differenzia dai componenti delle altre classi. Essa costituisce, quindi, la via maestra per l’organizzazione e la costruzione della realtà ed in ultima analisi, per la possibilità di entrare in rapporto con la stessa.

Quindi attraverso la categorizzazione entriamo in contatto con la realtà; possiamo comunicare con gli Altri, ma non dobbiamo confondere la mappa (la categoria) col territorio; non dobbiamo confondere il dito con la luna che ce la indica.

F2) Generalizzazione

La generalizzazione è il processo attraverso il quale viene associato ad una varietà di elementi/esperienze il medesimo significato.

La generalizzazione ha la funzione di attenuatore di varietà degli elementi/esperienze allo scopo di semplificarne la gestione.

• Può essere costituita dal fatto che una persona non sia stata in grado per una volta di svolgere una certa attività – generalizzazione negativa - come ad esempio orientarsi in una città sconosciuta; tale modalità viene generalizzata – generalizzazione spaziale - cioè quella persona viene classificata come colei che si perde, magari facilmente. Un anziano ha difficoltà a muoversi per andare in bagno e…viene ritenuto come incapace di svolgere anche in futuro – generalizzazione temporale – tale attività: magari a causa di ciò gli viene messo il pannolone (sic).

• (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nell'astrarre una regola generale da un episodio o da pochi episodi isolati e applicarla in modo troppo generalizzato ovvero a situazioni non correlate.

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• Nella vita di relazione, si pone continuamente il problema di capire (interpretare) e prevedere correttamente il comportamento degli altri. Lo scopo è quello di muoversi, relazionarsi con l’ambiente sociale con una accettabile "sicurezza". Nella fase in cui si cerca di interpretare e/o prevedere il comportamento degli altri, possono intervenire degli "errori" di valutazione (interpretazione): sono errori di inferenza (ragionamento) che derivano da particolari schemi di ragionamento personale.

• In altri termini noi vediamo una persona o un gruppo di persone che compiono un certo comportamento ed inferiamo, supponiamo, generalizziamo che quelle persone si comporteranno nella o nelle medesime maniere anche in altre situazioni. Se ciò è riferito a gruppi sociali può produrre distorsioni della realtà: ad esempio “tutti i vecchi soffrono di varie malattie”; “i bambini i primi giorni di vita non riconoscono i volti umani”; “i soldi rendono felici”; “i bambini sono rumorosi”; ecc.

F3) I pregiudizi sociali

Il pregiudizio è un atteggiamento di intergruppo particolarmente studiato dalle scienze sociali.

• In psicologia si intende per pregiudizio l’opinione preconcetta concepita non per conoscenza diretta di un fatto, di una persona o di un gruppo sociale, quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci.

• G.W. Allport sostiene che un concetto errato (che è sempre possibile) si trasforma in pregiudizio quanto rimane irreversibile anche di fronte a nuovi dati conoscitivi.

L’irreversibilità è facilmente constatabile nella logica della "eccezione". Se riteniamo, pregiudizialmente, che ad un dato gruppo di persone ben si attagli l’etichetta di "ladri" (per esempio i rom), ben difficilmente cambieremo opinione di fronte a persone che in tutta evidenza si comportano in modo difforme dal nostro pregiudizio.

• E se proprio non riusciamo a reggere la dissonanza cognitiva generata da un comportamento impensato (ad esempio un ragazzo rom che ci insegue per restituirci il portafoglio perso o la borsa dimenticata) possiamo fare appunto ricorso alla logica dell’eccezione. Che, al solito, conferma la regola: i nomadi sono ladruncoli e ciò che mi è accaduto è una eccezione che conferma l’assunto di fondo.

• Propriamente, sono atteggiamenti intergruppo, cioè posizioni di favore o sfavore che hanno per oggetto un gruppo, si formano nelle relazioni intergruppo e risultano largamente condivise. In psicologia sociale ci si è interessati soprattutto dei pregiudizi negativi; ma ne esistono anche di positivi e di neutrali.

4) I pregiudizi personali………………………………………………………..

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F5) Gli Stereotipi

Fu il giornalista Lippman a suggerire il termine stereotipo per indicare quel tipo di

• semplificazione rigida che facciamo della realtà e che è ravvisabile nell'opinione pubblica. • Gli stereotipi sono rappresentazioni mentali che emergono da raggruppare gli individui

sulla base dei fattori che li accomunano, tralasciando quelli che li rendono unici. Queste valutazioni, per lo più negative, fanno si che una persona venga giudicata per la sua appartenenza ad un gruppo e non per quello che è in quanto individuo.

• Gli stereotipi implicano un processo di discriminazione il quale si articola in comportamenti contro il gruppo verso il quale si nutre pregiudizio e di discriminazioni a favore del proprio gruppo. Vi è quindi una spinta all'etnocentrismo che fa percepire i valori del proprio gruppo di appartenenza come i più validi e condivisibili.

Gli stereotipi comunque, non sono del tutto arbitrari, ma hanno alla loro base le esperienze che facciamo nella nostra vita, per cui è possibile parlare di un “nocciolo di verità”. Smith e Mackie fecero notare che gli ebrei vengono considerati scaltri e avari perché nel medioevo una delle poche occupazioni alla quale avevano accesso era prestare denaro. Cosi, con il tempo, gli ebrei hanno finito per essere visti come particolarmente adatti a questa occupazione. In ogni società, peraltro, può essere rintracciato uno stereotipo comune.

Di solito il gradino socioeconomico più basso viene considerato pigro, ignorante, sporco, immorale (negli USA è valso prima per gli irlandesi, poi per gli italiani, poi i portoricani, poi i messicani, ecc).

• I ruoli sociali spiegano, per lo meno in parte, anche gli stereotipi di genere, quelli che portano a considerare le donne sensibili, emotive, tenere, ecc... Inoltre, grande importanza è data alla situazione, per cui, i tedeschi durante la guerra venivano considerati crucchi e spietati, mentre in tempo di pace, efficienza e rigorosità.

Attraverso un meccanismo cognitivo che viene detto errore di corrispondenza, infatti, i comportamenti associati ai ruoli vengono attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli individui che appartengono a quel gruppo.

Il processo che porta alla formazione di uno stereotipo è il seguente:

• (1) fattori sociali, economici politici e storici creano i ruoli sociali; • (2) a gruppi diversi vengono assegnati ruoli diversi; • (3) I membri dei gruppi assumono comportamenti appropriati al loro ruolo; • (4) a causa dell'errore di corrispondenza, i comportamenti associati ai ruoli vengono

attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli; • (5) si forma lo stereotipo. Questo non vuol dire però che gli stereotipi non possano riflettere

anche quelle che sono le caratteristiche reali di un particolare gruppo. Ma quando si parla di propensioni a base innata, si parla di tendenze medie di una popolazione, mentre gli stereotipi diventano pericolosi perché attribuiscono a tutti i membri di quel dato gruppo, le caratteristiche medie. Pertanto, nel momento in cui le nostre valutazioni di un gruppo o di un

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individuo si basano sui due seguenti tipi di sillogismo: (1) le donne sono emotive, Federica è una donna, quindi è emotiva; oppure Federica è emotiva, Federica è una donna, quindi le donne sono emotive, siamo in entrambi i casi vittime di stereotipi distorti.

•• Quindi gli stereotipi hanno le stesse conseguenze degli schemi, ovvero, le informazioni

nuove che non siano in linea con lo stereotipo vengono con facilità rifiutate o dimenticate. Le informazioni ambigue vengono invece interpretate in modo da essere congruenti con l'immagine mentale che si ha di un certo gruppo

Peraltro, come tutti gli schemi, gli stereotipi possono spingere coloro che fanno parte del gruppo esterno a mettere in atto proprio quei comportamenti che confermano lo stereotipo. Lo stereotipo si pone quindi in termini di “profezia che si auto-avvera”.Quindi, l'auto-consapevolezza di far parte di una minoranza, di essere diversi, porta a percepire gli altri come pronti a reagire alla propria diversità, anche quando in effetti questo non sta accadendo.

Kleck e Strenta, negli anni ottanta, hanno dimostrato che la consapevolezza di essere portatori di un difetto fisico altera la percezione degli altri nei propri riguardi (disegnarono finte cicatrici sui volti di alcune “cavie”, ma prima di farle andare in giro, cancellarono di nascosto queste cicatrici. Quindi una volta andati in giro per la città, pensarono di essere osservati in maniera particolare, anche se in realtà non avevano nessuna anomalia). Gli stereotipi sono quindi il lato oscuro dei nostri processi di categorizzazione sociale. Una correlazione illusoria (se avviene un borseggio, e tra i presenti c'è un nero, si tende a pensare che sia egli il colpevole). Anche quando in un gruppo qualcuno è molto visibile e cattura la nostra attenzione (salienza), tendiamo a vederlo come responsabile di quello che succede.

(G) Saper descrivere le dinamiche psicologiche del gruppo di lavoro.

G.1.) Le dinamiche psicologiche del gruppo di lavoro

Questo capitolo nasce dalla constatazione di come – per cercare di attuare un’efficace RDA – sia indispensabile non solo che la Relazione Operatore/Paziente sia improntata alla disponibilità/interesse/attenzione/amore/sensibilità percettiva verso il paziente, ma che tutto il Sistema, la Rete dei colleghi e chi dirige l’organizzazione – dicevamo – sia improntata allo spirito di un’efficace RDA.

Come dice un’assioma della Teoria Generale dei Sistemi: un cambiamento in un’area del sistema produce un cambiamento, si ripercuoterà su tutti gli altri: come in una famiglia : se il padre arriva arrabbiato e iroso dal lavoro e lo esprime esplicitamente ed in modo aggressivo, ne risentiranno la moglie ed i figli.

Ciò che si vuole qui dire e ribadire è l’importanza del clima di lavoro tra colleghi - a cui ciascuno contribuisce – e quindi l’importanza di conoscere e riconoscere i meccanismi principali che determinano i comportamenti di gruppo.

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Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima di lavoro è pesante – parlavamo prima di un breve esempio familiare – il paziente ne respira l’aria cupa e di conseguenza i suoi pensieri, emozioni e stati d’animo ne subiranno l’influsso.

Aggiungiamo come ormai non vi sia quasi più bisogno di ribadire come vi sia un enorme influsso degli aspetti psicologici sull’organismo: recentemente vi sono stati anche degli studi di quest’influenza sul sistema immunitario, sia in termini positivi che viceversa..

Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima di lavoro è pesante, negativo, se vi sono spesso conflitti, ne può risentire la salute del paziente.

Inoltre – tornando a quanto si diceva poco sopra - vi è da dire che le “dinamiche pesanti in un gruppo ”, creano nei singoli operatori stati di disagio e stress che a loro volta possono ricadere a cascata sui pazienti; ricordiamo per inciso che le persone percepiscono emotivamente le situazioni in cui vivono nei loro aspetti positivi e negativi, a prescindere dal titolo di studio che posseggono – 2° elementare, diploma di scuola superiore o laurea – o che essi siano contadini piuttosto che impiegati o dirigenti.

Accenniamo ad alcuni meccanismi dinamici che possono verificarsi nei gruppi e deteriorarne il clima (vedasi poi gli allegati alla fine della dispensa, per una trattazione più dettagliata).

• All’interno di un gruppo di lavoro può emergere lo spiccato individualismo di qualche operatore che può manifestarsi nelle seguenti maniere:

a) con la Sindrome della Vittoria/Sconfitta , dove risulta e risalta che la sconfitta dell’idea o delle argomentazioni di un collega avviene usando toni e modi aggressivi, dove non emerge l’idea più valida ma la persona più forte: l’importante è vincere, sconfiggere l’altro e le sue idee. Chi si comporta così antepone interessi strettamente ed egoisticamente personali – il bisogno di emergere, di apparire, di essere visibile, pena il non esistere – agli interessi che la professione dovrebbe tutelare – quelli dei pazienti – e si contrappone, rovina, intacca gli scopi per i quali l’organizzazione in cui egli lavora è stata creata e dalla quale – non secondariamente– è pagato;

b) con il Massacro delle Idee, dove c’è la tendenza a demolire le idee altrui, l’obiettivo è distruggere il lavoro altrui senza domandarsi se contenga qualcosa di valido;

c) con la Sindrome dell’Uomo Nero l’obiettivo è trovare un colpevole: l’obiettivo del gruppo passa dalla ricerca della soluzione a quella del capro espiatorio;

d) con la Sindrome della Mosca Cieca, dove l’analisi puntigliosa dei dettagli finisce col far perdere di vista il reale obiettivo.

Ciò di cui abbiamo appena parlato tratta di alcuni meccanismi tipici degli incontri d’èquipe: ma ve ne sono parecchi altri che avvengono, ad esempio, nelle interazioni tra colleghi e pazienti e tra colleghi durante il lavoro.

L’operatore che dice al paziente “Ma chi né stato a fare il letto in questa modo?” oppure ancora il collega che ne critica un altro, magari in presenza di altri – colleghi o parenti – non è professionale e non sta lavorando per lo spirito che l’organizzazione prevede.

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Potremo dilungarci – ovviamente il tema si presta ad una trattazione più ampia ed esaustiva, ma non è lo scopo di questo lavoro.

Ciò che ci preme dire e sottolineare, forse mai abbastanza, è l’enorme, fondamentale importanza che il clima di lavoro del gruppo riveste per il paziente: il rispetto per il collega si traduce con l’esprimere anche critiche, suffragate però da dati di fatto, nella/e sedi più appropriate (durante le riunioni o in luoghi dove altri non sentano) o comunque lontano dagli occhi e dalle orecchie dei pazienti e dei loro parenti; ove non ci sia la possibilità di un accordo o condivisione dei punti di vista operativi ha da esserci la visione e la capacità di far riferimento al proprio diretto superiore.

In altre parole ha da esserci una grande consapevolezza del proprio ruolo professionale, disgiunto dagli aspetti personali, suffragato dalla capacità e dalla volontà di affermarlo, sempre nell’ottica del servizio al paziente.

Domande riepilogative.

1) Quali sono le maniere con le quali può manifestarsi lo spiccato individualismo di qualche operatore? Descrivile.

Esercitazione

Individua almeno due situazioni professionali in cui sia emerso come il lavoro di gruppo – d’èquipe abbia inciso in maniera positiva sul servizio ed un’altra in cui sia avvenuto l’opposto.

(H) Saper descrivere le dinamiche relazionali della famiglia dell’assistito.

1) Psicologia delle dinamiche familiari

Le dinamiche delle famiglie costituiscono un terreno molto vasto e complesso. Qui vogliamo individuare alcuni aspetti e Modalità di Osservazione e d’Intervento possibili. Per fare ciò ci concentreremo su quanto fatto dal gruppo di Palo Alto, che sostiene principalmente l’interesse ad osservare ed a far osservare ai partecipanti “quanto avviene qui ed ora”, ciò che sta svolgendosi davanti agli occhi dei partecipanti, dove le Relazioni Interpersonali patologiche sono caratterizzate da una notevole rottura della comunicazione: in queste famiglie spesso non si osa verbalizzare né piacere né dispiacere o ancora – nelle famiglie anormali – vi è un fenomeno tipico, che è il silenzio. Spesso si può avere la sensazione di parlare nel vuoto.

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Nelle Famiglie possono esserci particolari Regole :

- segrete alleanze- odi- amori - complicità.- Ruoli giocati

- il singolo membro che è sempre d’accordo con la maggioranza o con il più forte,- quello che fa sempre opposizione, - quello che cerca di mettere tutti d’accordo,- chi propone soluzioni, - membri iperprotettivi, - che richiedono affetto,- membri dominatori, - membri indulgenti, - sottomessi, - con difficoltà nelle relazioni,- persone indisciplinate, che non mantengono gli impegni presi, - che dicono un cosa e ne fanno un’altra, - persone prepotenti, - aggressive, - scostanti,- persone passive,- indifferenti, - un membro che ne rifiuta un altro in modo aperto oppure nascosto, - famiglie dove non si tollera nessuna manifestazione di ostilità,- persone iperprotettive, - inibenti, - castranti,- membri ansiosi,- persone simbiotiche,- amori eccessivi ma condizionati,- membri che fanno pressione e membri che la subiscono,- famiglie dove non si condividono sentimenti importanti,- persone che vanno d’accordo in pubblico, ma non riescono ad andare d’accordo quando sono

soli, - membri superadeguati,- chi prende le decisioni importanti (ma non è un membro capace…???), - membri che minacciano, - che fanno rappresaglie, - famiglie dove ogni divergenza è ritenuta capace di scindere l’unità e deve perciò essere evitata, - famiglie dove le divergenze vengono ignorate e quindi non c’è sviluppo dei rapporti, - famiglie dove c’è solitudine, - impotenza, - isolamento.

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Rapporti familiari e Riflessi sulle Altre Persone.

Facendo qualche riflessione a volo d’angelo sui rapporti familiari e ciò che essi comportano dal punto di vista della personalità del soggetto, si può dire – in linea generale – che “la fusione tra due persone porta sempre ad una parziale e temporanea estinzione della persona come entità dinamica distinta”, cioè più esse sono vicine, più esse hanno bisogno una dell’altro/a o ancora più una di esse – ad esempio un familiare - decide di occuparsi del partner o di un genitore, più può verificarsi questo rischio. Va da sé che l’ Operatore Socio Assistenziale (OSS) può correre e corre lo stesso rischio, anche in modo maggiore.Viceversa “più la demarcazione Sé-Altro di un individuo è consistente, più l’individuo stesso sarà protetto dall’ansia della perdita dell’oggetto e dal timore del conseguente annullamento”.

- Un altro tema da tenere presente è che i membri di una famiglia riunita possono reagire agli estranei – l’OSS in questo caso – con fantasie collettive di persecuzione e con tendenze paranoiche. Ad esempio un oggetto che non si trova, un documento, i soldi: la loro scomparsa o temporanea sparizione possono essere imputati all’OSS.

- Altro ancora è il fatto che la famiglia ha da fare i conti col tema del lutto, sia nel caso della morte effettiva del familiare, sia nel caso della “Morte possibile”, immaginata: ciò crea o comunque mette in atto dei meccanismi che quotidianamente possono stare sullo sfondo. La morte, il lutto si collega alla separazione, alla perdita dal punto di vista affettivo, con tematiche di tipo depressivo; più prosaicamente può aprire temi legati all’eredità dei beni, con la comparsa di membri, magari fino a quel momento rimasti sullo sfondo o anche lontani nello spazio.

- Il sistema familiare talvolta riduce un suo membro e talvolta più di uno al rango di “capro espiatorio” e, in modo complementare, d’idealizzarne altri attraverso la distribuzione delle parti di “diavolo” e “angelo”, di “buono” e “cattivo”. E’ da tener presente che l’assegnazione del ruolo di “capro espiatorio” richiede la presenza di almeno tre persone: una che possa tentare di proiettare la propria cattiveria su di un’altra di solito non vi riesce da sola, ma ha bisogno di una terza persona che convalidi le sue opinioni sulla “cattiveria” del capro espiatorio.

Chiaramente il sistema familiare è un sistema enormemente complesso e variegato di situazioni, temi, sviluppi, ecc.

(I) Saper descrivere , secondo le indicazioni del docente, alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono favorire la relazione assistenziale con la persona che manifesta un disagio psichico.

1) Maternage 2) Direttività 3) Contenimento

Nelle relazioni con soggetti che possono presentare forte disagio psichico si è visto l’importanza di figure professionali, che non siano solo lo psichiatra, ma ad esempio c’è la funzione terapeutica

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dell'infermiere o comunque delle nuove figure, di nuove professionalità (educatori, animatori, OSS, esperti di terapie espressive e di riabilitazione).

• La sofferenza psichica è stata sottratta all'emarginazione e riconosciuta come una tra le più dolorose, che richiede attenzioni e cure. Al tempo stesso si è trovata gettata tra le varie sezioni della medicina dominata dallo specialismo, che riduce al minimo il rapporto con il paziente come persona intera. Come realizzare tutto questo? Acquistando conoscenze sulle tecniche relazionali, imparando dall'esperienza e, comunque ed imprescindibilmente avendo un atteggiamento interiore di ascolto e disponibilità.

• Vi sono sofferenze disperate negli esseri umani e, ciò che li può tenere psichicamente in vita da parte degli operatori è legato alla riflessione teorica e a personale/operatori/operatrici che vogliano guardare la sofferenza umana più da vicino e trovare modi per rispondere alle ferite del corpo, alle domande di sessualità non realizzate, alle offese alla dignità umana, al desiderio di essere dei soggetti che parlano con un altro.

Vi sono alcune modalità relazionale, alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono favorire la relazione con la persona che manifesta un disagio psichico (ansia, depressione, delirio, confusione):

I.1) Maternage

• Insieme di cure materne, particolarmente quelle di una madre attenta e affettuosa verso il proprio bambino.

• Racamier, nel 1956, utilizzò il termine per indicare una tecnica di psicoterapia delle psicosi, volta a creare con il paziente, sia sul piano della realtà sia su quello della realizzazione simbolica, una relazione simile a quella tra una buona madre e il suo bambino. Nello stesso periodo, Séchehaye proponeva il maternale come la terapia elettiva degli schizofrenici

• Come tecnica riparatrice, il maternage mira soprattutto all'appagamento dei bisogni fondamentali insoddisfatti del paziente, che ne hanno bloccato il normale sviluppo psicologico, attraverso un sistema diverso dall'interpretazione analitica ortodossa, cioè il reale impegno affettivo del terapeuta o comunque di chi se ne occupa.

• Di fatto il maternage consiste – come fa alludere la parola stessa – prima di tutto ad un atteggiamento amorevole, materno – nel luogo comune – che di fatto assomiglia molto da vicino a quello che viene definito come amore incondizionato; cioè ad un atteggiamento interiore, fatto di pensieri e sentimenti, per il quale la persona con cui ci relazioniamo assume per noi comunque una rilevanza amorevole.

• Gli atti concreti, attraverso i quali, tale atteggiamento si manifesta possono essere sintetizzati come i seguenti: toccare, sorridere, cullare, accarezzare, abbracciare, accompagnare, guardare negli occhi, rimanere in silenzio ed altro ancora. Dette così potrebbero sembrare delle ricette relazionali da supermercato, ma ovviamente esse vanno curate, coltivate, hanno bisogno di un confronto continuo con gli altri – colleghi, pazienti, nella nostra vita relazionale quotidiana e magari nella supervisione e nell’aggiornamento.

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I.2.) Direttività

La discussione sull’essere direttivi col paziente o non direttivi, potrebbe coincidere con quanto dicevamo in un altro capitolo sugli Stili Comunicativi:

1. essere aggressivi o2. essere assertivi

o in un'altra parte ancora dove si parlava della Funzione di controllo nella Comunicazione.

• Tutto ciò implicherebbe una discussione sugli Stili Conversazionali che ci porterebbe lontano.

A noi preme sottolineare che, anche se apparentemente l’Essere Direttivi rimanda nell’immediato ad uno Stile Aggressivo, con quel che ne consegue, di fatto vi sono delle situazioni, ad esempio con persone e/o pazienti disorientate, anche se solo in qualche frangente o solo per qualche tempo, in cui una qualche forma di direttività - una Funzione della Comunicazione di Controllo - di suggerimento su cosa fare, di accompagnamento, può risultare importante per affrontare una certa situazione ed anche per risolverla, togliendo/riducendo alla persona la carica di ansia, magari forte che accompagna tale situazione.

• Tutti noi conosciamo la situazione in cui una persona - che magari viene da un’altra città – ci chiede un’informazione: ognuno di noi, se ne era a conoscenza ha cercato di fornire questa informazione, magari accompagnando la persona per un qualche tratto o addirittura fino a destinazione o viceversa è successo a noi di chiedere quell’informazione; il senso di sollievo che proviamo quando troviamo qualcuno che ci aiuta, è in quel caso molto forte e siamo riconoscenti di ciò al nostro improvviso informatore.

• Non dobbiamo dimenticare che chi manifesta disagio, ansia, angoscia come anche manie di

persecuzione non ha perso – nella maggior parte dei casi – un contatto totale della realtà, anzi nei momenti di lucidità che intervallano le allucinazioni o meglio che sono in compresenza con esse, riesce a conversare con noi con lucidità, descrivendoci ciò che sta vedendo o sentendo – pur con la carica di angoscia che contraddistingue il vissuto di quell’esperienza. La richiesta di aiuto può essere precisa del tipo “Accompagnami in Ospedale” o “Accompagnami da mia sorella” o magari, conoscendo noi la persona, possiamo suggerirne delle soluzioni, come quelle descritte.

• Lo stesso ragionamento può valere con pazienti con Alzheimer o altre patologie.

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I3) Contenimento

• Funzione eminentemente materna, volta ad offrire al neonato un ambiente emotivo rassicurante che compensi la frustrazione che questi sperimenta a causa degli stimoli sia interni sia esterni. Il prototipo fisico del suddetto contenitore è rappresentato dal tenere tra le braccia il bambino, proteggendolo e avvolgendolo.

• La madre – o chi per essa - è per il bambino l'ambiente che contribuisce al suo sviluppo attraverso il contenimento delle braccia, delle mani, del corpo, che favorisce una sensazione empatica, pervasiva, tale da divenire il sentimento fondamentale di essere compreso emozionalmente, tenuto insieme; il bambino piccolo cade a pezzi se non viene tenuto insieme e, in queste fasi, le cure fisiche sono cure psicologiche (Winnicott, I bambini e le loro madri, 1987).

• Il contatto fisico conduce perciò a quello psichico, che è portatore di comprensione psicologica a opera di una madre – o comunque di una figura simil/equivalente - sufficientemente buona, che è colei che soddisfa anche i bisogni relazionali del neonato. È essenziale quindi che la mamma trasmetta, attraverso tale azione fisica, significati affettivi profondi; attraverso il contatto vengono costituite le basi per il successivo sviluppo della capacità di esser solo (Dalla pediatria alla psicologia, 1958), che consiste nell'imparare a essere soli avendo dentro di sé una presenza consolante. Inizialmente, viene appresa in presenza della madre, ma è solo nel momento in cui si sviluppa tale capacità di contenersi dall'interno che il soggetto è in grado di opporsi alla disgregazione della personalità, sempre pronta a sopraffarlo.

• Le cure materne contengono quindi il germe vitale, indispensabile affinché si attivi nel bambino un sano sviluppo mentale. Al contrario, quando il bambino è stanco, triste, deve addormentarsi, è deluso, è stato sgridato, quando cioè il suo rapporto con la realtà va oltre le sue possibilità di sopportazione, si rivolge, secondo Winnicott, ai suoi oggetti transizionali (Gioco e realtà, 1971), che gli permettono di tornare nel suo mondo infantile interno.

• Il concetto di contatto, e nello specifico il modello di contenitore-contenuto, è fondamentale nell'opera di Bion (1962). In particolar modo, amplia il concetto di sviluppo psichico connettendolo saldamente con quello fisico dell'individuo. Bion sostiene che alla nascita il neonato vive l'importante perdita del proprio contenitore biologico (la cavità uterina) e di quello funzionale (che soddisfa ogni bisogno fisico e psichico dell'embrione), necessitando quindi immediatamente di un contenitore vicario: le braccia e, soprattutto, la mente materna.

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