Cantine Di Venosa

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vini

Transcript of Cantine Di Venosa

  • Volume realizzato dalla Cantina di Venosa con il contributo di:

    Testi: Angela De Sario

    Fotograe: Pino DigrisoloFotograe piatti tipici e interni Cantina: Massimo LoviscoPer le fotograe si ringraziano inoltre: APT Basilicata [282, 291, 351-2, 36, 461-2]; Ottavio Chiaradia [23, 27, 442, 60];Maria Antonietta Chieppa [40, 863, 882-4]; Gianfranco Botte [311-2, 321-2];Palmarosa Fuccella [281, 292, 441, 47, 48, 51]; Pescuma; Archivio Cantina di Venosa.

    Progetto graco e impaginazione: Palmarosa Fuccella

    Stampa: Grache Zaccara

    Un ringraziamento particolare va al dott. Ettore Santangelo, al rag. Rocco Iurino, allenologo Giuseppe Palladino e al rag. Francesco Sivilia.

    Basilicata

  • PRESENTAZIONE

    La Cantina di Venosa, in occasione dei cinquantanni dalla sua na-

    scita, ha ritenuto pubblicare in questo volume la sua storia e gli

    elementi distintivi che hanno contribuito sia alla nascita che allo

    sviluppo dellazienda vinicola venosina.

    Il comparto vitivinicolo costituisce una realt complessa ed eterogenea, in

    cui numerose forze e meccanismi inuenzano e determinano comportamenti

    e risultati.

    La nascita della Cantina di Venosa da attribuire alle strategie di intervento

    attuate negli anni del dopoguerra da parte dei soggetti pubblici chiamati a so-

    stenere lo sviluppo delle imprese vitivinicole, tenendo conto delle loro singole

    specicit dimensionali e di mercato.

    I successi che la Cantina di Venosa ha registrato in questi anni sono il frut-

    to di una politica strategica, programmata e attuata dai soci, che riuscita a

    portare loro rosso del Vulture sui mercati di tutto il mondo come ricchezza e

    patrimonio di una terra.

    Il Volume evidenzia le peculiarit della viticoltura lucana: una tradizione sto-

    rica dalle radici millenarie e la presenza di un patrimonio straordinario costitui-

    to da un vitigno dalle potenzialit produttive spesso inesplorate.

    Attraverso il sapiente ricorso a strumenti multidisciplinari, la ricostruzione

    storica ripercorre un itinerario riconducibile di volta in volta a fonti documenta-

    rie e storiche ma anche letterarie e archeologiche. Ne emerge, cos, una visione

    dinsieme delle ricchezze regionali, dispiegata attraverso anni di storia in una

    complessa straticazione di popoli e di culture materiali, il cui succedersi ha

    lasciato tracce durevoli sullo stesso paesaggio agrario locale.

  • 4Il primo capitolo intende fare una panoramica sulle bellezze della Basilicata,

    ponendo laccento sui paesi caratterizzati dalla produzione dellAglianico.

    Il secondo capitolo pu essere denito il cuore del libro perch riferisce,

    oltre la storia dellAglianico e della sua presenza nella terra lucana, il passato

    della Cantina di Venosa.

    Con la pubblicazione di questo volume si intende offrire un contributo,

    certamente non esaustivo, alla conoscenza della realt vitivinicola regionale

    e locale. Il volume destinato a tutti coloro che intendono disporre di uno

    strumento conoscitivo che aiuti a leggere levoluzione della viticoltura in Basi-

    licata, contribuendo a denire una comune identit culturale ed evidenziando,

    inne, le potenzialit e le peculiarit di un patrimonio certamente di grande

    interesse.

    Il Presidente Teodoro Palermo

  • 51957~2007

    Storia e cultura della Basilicata

  • 7Storia e cultura della Basilicata

    1.1. Storia e Cultura della Basilicata

    La Basilicata lunica regione dItalia a doppia denominazione: Lucania e Basilicata. Questultima la denominazione ufcialmente riconosciuta.

    Anticamente denominata Lucania, dal latino lucus, perch terra di boschi o perch popolata dai Liky, antico popolo proveniente dallAnatolia, o ancora perch fu abitata da un popolo guerriero che seguiva la luce del sole, antica-mente luc.

    Il nome Basilicata compare per la prima volta in un documento del 1175 traendo probabilmente il nome da Basiliskos, amministratore bizantino.

    Nel periodo fascista fu ripristinato il nome Lucania no al 27 dicembre 1947, data in cui la Costituzione sanciva ufcialmente il toponimo Basilicata.

    Bagnata da due mari, lo Jonio a sudest e il Tirreno a sudovest, montuosa allinterno con vette che superano i 2000 m di quota, collinare a est e pianeg-giante per un breve tratto a sudest, la Basilicata regala il fascino della scoperta delle sue bellezze naturali, della preistoria e della storia, delle tradizioni che in alcune zone hanno conservato ancestrali ricordi delle origini delluomo, di una gastronomia semplice e genuina.

    Terra antichissima, la Basilicata fu abitata gi in epoca preistorica. Al Paleolitico risalgono gli insediamenti di Venosa e della Valle del Brada-

    no, mentre nel Neolitico sorsero i villaggi agricoli organizzati nel Materano e nel Melfese.

    Tracce di Homo Abilis e della sua cultura materiale (civilt della Pietra) sono state scoperte nellimportante giacimento di fossili risalente al Paleoli-tico inferiore presso Venosa, dove uno studio stratigraco ha evidenziato, re-sti di rinoceronti, orsi, cervi, elefanti, bovidi ed equidi, industrie litiche del tipo clactoniano evoluto del tipo di Venosa. Altre testimonianze del Paleolitico in-feriore sono presenti in Basilicata, come i bifacciali della Valle del Bradano e della Grotta dei Pipistrelli presso Matera, quelli delle Valli di Vitalba e di Atella e ancora presso Accettura, Tricarico e Muro Lucano.

    La Grotta dei Pipistrelli e quelle di Fiumicello lungo la costa tirrenica han-no fornito tracce del Paleolitico medio presenti anche nel Metapontino. Indu-strie litiche del Paleolitico superiore sono presenti nella Grotta Funeraria e in

  • 8quella dei Pipistrelli a Matera, nonch lungo il Bradano e negli stessi dintorni di Matera, con ciottoli incisi a motivi geometrici. Si tratta di preistoria recente, quando i neandertaliani si sono estinti (35 000 anni fa) e dal Medio Oriente ar-riva in Europa luomo di Cro-Magnon che aggiunge alla cultura materiale del tagliare la pietra quella dellespressione artistica, come nel caso della grotta di Tuppo Li Sassi a Filiano.

    Qui, nel 1965, fu individuato un riparo sotto roccia con industrie mesoliti-che e importanti pitture rupestri rafguranti scene di cattura o semplici cervi tra la vegetazione in stretta analogia con quelle iberiche. Dopo le glaciazioni le condizioni climatiche pi stabili hanno reso favorevole unorganizzazione collettiva basata sullallevamento e sullagricoltura. Nel Neolitico nascono la tessitura e la ceramica, soprattutto quella dipinta a 2 o 3 colori e quella incisa a crudo, punzonata e dipinta nemente con bande a spirale di Serra dAlto.

    Nel Neolitico, inoltre, si avuto il massimo sviluppo dei villaggi trincerati a Serra dAlto, Tirlecchia, Murgecchia e Murgia Timone sulla Murgia materana, nel Melfese a Rendina. Sono insediamenti di capanne protette da profondi fossati, scavati nella roccia e prossimi a sorgenti dacqua; altri insediamenti neolitici sono a Toppo dAguzzo, Gaudiano di Lavello e nel Metapontino.

    Nel periodo dellEneolitico si riscontrano segni di civilt nel Gaudo nella Grotta di Latronico dove si svilupparono nuove tecniche metallurgiche ad ope-ra di gruppi egeo-anatolici.

    DallEneolitico allEt del Bronzo la Basilicata divenne un importante cen-tro di collegamento tra le popolazioni dello Jonio e del Tirreno.

    La civilt appenninica nellEt del Bronzo caratterizzata dallagricoltura e dalla pastorizia transumante; la regione presenta due aree culturali distinte secondo i rituali funerari di inumazione supina (sepolture di Aliano e Chiaro-monte) o rannicchiata (necropoli di Incoronata di Pisticci e S. Maria di Anglona). Al tardo Bronzo risalgono i ritrovamenti di Timmari relativi a campi di urne cine-rarie tipici di una cultura protovillanoviana pi nota al centro-nord dellItalia.

    NellEt del Ferro arrivarono in Basilicata nuove popolazioni, tra le quali i Liky che, intorno al 1300-1200 a.C., si spostarono dalle regioni anatoliche per stanziarsi a sud dellOfanto, tra il Bradano e il Basento. , infatti, questo il momen-to in cui si assiste alla formazione di veri centri abitati su alture a dominio delle valli come sul monte Torretta di Pietragalla, sul monte Croccia o a Serra di Vaglio.

  • 9Storia e cultura della Basilicata

    Con lavvento di questa popolazione si denisce, in questarea, unorganizza-zione di tipo democratico, dove non esiste divario sociale, costituita da liberi individui dediti allartigianato, allallevamento, allagricoltura, che dividono equamente la terra e la difesa della comunit.

    Lungo le foci dei umi e nella pianura fertile i Greci, a partire dallVIII secolo a.C., fondarono le polis coloniali della rafnata civilt della Magna Grecia. Spic-cano per prestigio le colonie di Metaponto, Siris, Heraclea e Pandosia.

    Vico SantAnna, Venosa

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    La loro economia agricola a prevalenza di frumento ricca e orente, tanto che la spiga sulla moneta di Metaponto. La capacit di organizzazione del-le attivit agricole testimoniata dalle Tavole di Heraclea, esposte nel Museo archeologico nazionale di Napoli. Limportanza dei reperti custoditi nei musei di Metaponto e Policoro confermata dai relativi Parchi Archeologici. Nel Me-taponto possibile visitare le quindici colonne superstiti dellantico tempio di Mera a guardia sul Bradano, mentre si distinguono, oltre limpianto urbano, larea sacra ad Apollo Licio e la cavea del Teatro.

    Il fenomeno di ellenizzazione dei centri interni della Lucania avviene lungo le naturali vie dacqua: Bradano, Basento, Gavone, Agri e Sinni. Molti centri do-minano le valli, ma sopra tutti vanno citati Mel quale punto di incontro delle civilt daune ed enotrie (candelabro di Mel), Serra di Vaglio, acropoli in posi-zione strategica lungo le valli dei umi Basento, Ofanto, e Sele, tra lo Jonio e il Tirreno. La sua importanza confermata dalla presenza del vicino Santuario Italico dedicato alla dea Mephitis (IV sec. a.C.) rinvenuto a Macchia di Possano. Sul monte Moltone di Tolve si trovano i resti della pi antica villa rustica, con impianto a corte centrale diffuso nel Mediterraneo e presso i Romani, risa-lente al periodo ellenistico (IV-III sec. a.C.).

    Lassetto di questi centri ellenizzati sconvolto dallarrivo degli Osco-San-niti di ceppo Sabellico. Questi popoli guerrieri erano alla ricerca di pascoli e terre fertili e avanzano dove era minore linuenza politico-culturale e militare degli stati italioti. La nuova entit territoriale che si determina dal Sele al Lao, sul Tirreno, e dal Grati al Bradano, sullo Jonio, denominata Lucania.

    Tra il VI e il V secolo a.C. dallIrpinia scendono alcune trib osco sabelliche. I Lucani intanto si insediano nelle zone pi interne e, nel V e IV secolo a.C., spinti dalla ricerca di nuove terre da coltivare, attaccano le colonie greche della costa ionica.

    Nel frattempo tra il IV e III secolo a.C., i Romani in continua espansione si spingono in Lucania. Dapprima alleati dei Romani contro i Sanniti, i Lucani non volendosi sottomettere al dominio romano si alleano con i Sanniti e la colonia greca di Taranto contro i Romani. Intanto nel 291 a.C. Venusia (oggi Venosa) di-venta la prima colonia romana in terra lucana. I Romani si battono contro Pirro accorso in aiuto delle colonie greche e perdono una battaglia divenuta famosa per le ingenti perdite riportate da entrambe le parti, tra Metaponto ed Heraclea

  • 11Storia e cultura della Basilicata

    (oggi Policoro). Intanto a nordest il dominio di Roma aumenta. Nasce Grumen-tum (oggi Grumento) e si costruisce la via Herculia che congiunge Grumentum a Venusia. Il 280 a.C. vede la ne storica della civilt della Magna Grecia. Nel II se-colo a.C. la Lucania sotto il dominio di Roma. Il popolo Lucano, ero e guerriero, si ribell a Roma che impose il latifondo. A questo periodo (II sec. a.C.) risalgono i resti di mosaici e il meraviglioso sarcofago di Rapolla che pu essere eletto sim-bolo del fenomeno di arte importata, in quanto proveniente dallAsia Minore.

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    Dal 27 a.C. al 14 d.C., sotto lImpero di Augusto, la Lucania viene divisa in due e accorpata allApulia, Regio II, e al Brutium, Regio III. Alla ne del III secolo Diocleziano la riunisce accorpandola al solo Brutium. Con la decadenza dellIm-pero Romano dOccidente la regione torna nel pi profondo isolamento.

    Tra il VI e il IX secolo i Longobardi annettono la Lucania al Ducato di Be-nevento, escludendo i possedimenti bizantini del Materano. I Bizantini, giunti in Lucania per sfuggire alle persecuzioni della religione iconoclasta in Oriente, diedero vita al fenomeno delle chiese rupestri che sulla Murgia di Matera trova-rono la loro massima espressione.

    Le incursioni dei Saraceni costrinsero le popolazioni lucane ad arroccarsi sulle montagne e sulle colline.

    Con il diffondersi del monachesimo greco-orientale, dal VII sec. e nel cor-so di tutto il Medioevo, la Lucania vive momenti di nuovi impulsi culturali. In questo periodo, infatti, arrivano nel territorio i monaci che seguono la rego-la di S. Basilio che, in fuga dalle persecuzioni Iconoclaste e dal dilagare delle popolazioni arabe, animati dal bisogno di vita contemplativa, costruiscono nu-merosi eremi, laure e cenobi soprattutto sulla Murgia di Matera e allinterno della stessa citt. Larchitettura scolpita in negativo e la pittura parietale a fresco inuiscono non poco sulle vicende artistiche del Materano, in cui vi la pi alta concentrazione di chiese rupestri (155 a oggi accertate), del Pollino, della Valle dellAgri e del Sinni, dove ancora rimangono i ruderi affrescati del monastero di S. Angelo al monte Raparo fondato da S. Vitale. dagli affreschi della Cripta del Peccato Originale a Matera che si soliti fare iniziare la storia dellarte in Basilicata.

    Nel corso degli anni approdarono in Lucania altri ordini religiosi, lasciando segni tangibili di vivacit artistica.

    Ricordiamo gli insediamenti benedettini, quelli ascrivibili al romani-co, con inussi di diverse regioni italiane nonch di gotico cluniacense, come labbazia della SS. Trinit di Venosa, la Cattedrale di Acerenza, il campanile del-la Cattedrale di Mel, S. Maria di Anglona, la Cattedrale di Matera e quella di Rapolla, il Santuario di S. Maria di Pierno, lAbbazia di S. Michele Arcangelo a Montescaglioso, S. Michele a Potenza, la chiesetta di S. Maria delle Grazie in Capodigiano a Muro Lucano, S. Giovanni Battista e S. Domenico a Matera e il Duomo di Atella.

  • 13Storia e cultura della Basilicata

    Risalgono allEt angioina gli affreschi della Trinit di Venosa e delle chiese rupestri di S. Maria della Valle a Matera, di S. Antuono a Oppido Lucano, di S. Lucia a Rapolla e di S. Margherita a Mel. Si continua a dipingere nelle chiese rupestri, ma la diffusione, verso la ne del XIII sec., dei francescani e degli affreschi delle loro chiese rappresenta una vena innovativa nella pittura lucana.

    In Basilicata vi anche una forte testimonianza dellarte cinquecentesca e delleco rinascimentale adriatica, riscontrabile nella Cattedrale di Matera con il

    Chiesa di S. Nicola, Via Roma, Venosa

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    Presepe in pietra di Altobello Persio (1534) e con la cappella dellAnnunciazione del glio Giulio, anche essa in pietra.

    Al Rinascimento risalgono lAbbazia di S. Michele Arcangelo a Montesca-glioso e i pilastri affrescati di S. Donato a Ripacandida.

    Rappresentativo il Polittico di Cima da Conegliano conservato nella chiesa di S. Francesco a Miglionico che evidenzia il fenomeno dellarte di importazione e di imitazione.

    Tra lVIII e il IX secolo Matera viene annessa al Ducato di Benevento mentre il resto della regione passa sotto il dominio bizantino.

    Tra lXI e il XII secolo i Normanni conquistano la Lucania facendone il cen-tro della vita politica italiana. Mel nel 1059 capitale del Regno normanno. Con il Medioevo normanno-svevo si hanno imponenti opere di forticazione soprattutto in Basilicata. Conti e baroni ampliano fortilizi longobardi e bizantini preesistenti o edicano nuove roccaforti e castelli. Fondamentali sono quelli federiciani di Mel, Lagopesole e Palazzo S. Gervasio.

    Finito il dominio normanno, Svevi e Angioini si contendono la Lucania e lItalia meridionale. Nel 1231 Federico II di Svevia emana, a Mel, le Constitutio-nes Utriusque Regni Siciliae. Alla ne del XIII secolo gli Angioini hanno potere sul Regno di Napoli e sulle Due Sicilie.

    Durante il federalismo nascono in Lucania molte signorie che gli Aragonesi cercano di contrastare. Nel 1441 nel castello di Miglionico si ordisce la Congiura dei baroni nella quale gli Angioini tentavano di rovesciare il Regno aragonese.

    Tra il XVI e il XVIII secolo si consolida il potere borbonico. In questo stesso periodo nella regione entrano alcune comunit albanesi che si insediano alle pendici del Vulture e nel massiccio del Pollino.

    Nel 1663 Matera capitale della Provincia Lucana del Regno di Napoli. I dominatori sfruttarono le terre costringendo alla fame il popolo e fu questo il motivo per il quale i contadini si ribellarono contro i borboni.

    Nel 1707 lesercito austrosabaudo occupa la Lucania che, con i trattati di Utrecht e Rastadt, passa a Carlo VI di Austria. Con la pace di Aquisgrana il potere ritorna ai Borboni.

    Durante i moti del 1799 le numerose rivolte che agitarono la regione furo-no sedate dalla violenta repressione delle truppe borboniche.

    Dal 1806 al 1815 il governo passa ai Francesi che, prima del ritorno dei Bor-

  • 15Storia e cultura della Basilicata

    boni determinato dal Congresso di Vienna, avviarono il processo di erosione della feudalit e trasferirono, inoltre, a Potenza il centro delle attivit ammini-strative.

    Tra il 1861 e il 1868 tutta la regione interessata al fenomeno del brigan-taggio. La popolazione versava in una estrema indigenza e fra spinte reazionarie e pene non amnistiate dal neonato governo italiano, molti scelsero la via della macchia, rifugiandosi in montagna in segno di ribellione.

    Largo Masaniello, Venosa

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    Nel 1902 si ebbe a Potenza la prima riunione dei Socialisti lucani, evento che d inizio al XX secolo. La gente, in questo periodo, vive in uno stato di po-vert ed inizia a lasciare la propria terra di origine per trovare fortuna altrove.

    Incomincia cos il fenomeno dellemigrazione, che nel 1913 tocca la sua punta massima.

    Nel 1943 Matera la prima provincia del meridione a ribellarsi alloccupa-zione nazifascista. Finita la guerra diventa necessario affrontare il problema dei Sassi di Matera che, a causa del sovrappopolamento, sono divenuti malsani. Nel 1952 una legge dello Stato decreta lo sfollamento dei rioni Sassi che dal 1994 lUNESCO denisce patrimonio dellumanit da tramandare alle generazioni future e li annovera tra i territori posti sotto la sua tutela.

    Agli inizi degli anni Cinquanta la Riforma Fondiaria trasforma il volto della regione, mentre lemigrazione danneggia i comuni della regione provocando un progressivo impoverimento demograco.

    La Basilicata una terra che possiede un passato storico-artistico e una natura generosa e stupefacente. Il suo territorio impreziosito da ambienti e testimonianze che gli conferiscono unatmosfera ricca di memoria1.

    Note

    1 Cfr. www.aptbasilicata.it./Basilicata-o-Lucania.53.0.html

  • 17Storia e cultura della Basilicata

    Viaggio tra i luoghi dellAglianico

  • 19Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    1.2. Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    La Basilicata una vasta regione che si distingue per le sue naturali caratte-ristiche. Ancora oggi risulta essere una terra in gran parte sorprendentemente da riscoprire.

    In questa terra possibile ammirare tracce dei templi ellenici e di antiche vie romane.

    Regione di contadini, regione dagli aspetti magici. Lespressione pi autentica della civilt contadina e pastorale si manifesta

    nella celebrazione delle feste e delle sagre che ancora scandiscono i cicli sta-gionali, secondo rituali che si ripetono nei secoli e che alternano momenti di intensa religiosit a sentite rappresentazioni di riti propiziatori.

    La Basilicata la terra di un antico popolo italico. Linsediamento di questo popolo favorito dalla ricchezza delle acque e dai luoghi ben difendibili.

    Gli stanziamenti umani sono presenti sin dal Paleolitico. La scoperta di stru-menti in pietra risalenti a 350 mila anni a.C. testimonia la presenza di comunit umane in Basilicata n dagli albori della civilt.

    Uno dei punti di riferimento della parte nord della Basilicata il monte Vul-ture ( vultur in latino signica avvoltoio).

    Alla sommit delle sue pendici interamente ricoperto di boschi. Il Vulture, grazie alla sua lava, ha dato origine a terreni di primo ordine,

    abbastanza profondi, di medio impasto e fertilissimi, sui quali prosperano ec-cellentemente la vite, lolio, gli ortaggi, che contribuiscono con largo peso alla composizione del valore della produzione agricola.

    La natura dei terreni di origine vulcanica e la loro esposizione fanno di que-sta zona certamente la pi favorita e favorevole allo sviluppo della viticoltura.

    I vini prodotti e pi rinomati sono lAglianico e la Malvasia.LAglianico, che il vitigno pi diffuso della Lucania, corrisponde precisa-

    mente a quello che i Romani denominavano Hellenico appunto per la sua ori-gine greca, la cui pianta, coltivata da tempi remotissimi, pass dallAsia Minore, attraverso la Tracia e le Isole dellArcipelago, in Grecia e da questa, sette secoli avanti Cristo, in Italia sulle colline del subappennino Lucano ove si stabilirono alcune colonie greche.

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    LAglianico del Vulture un superbo vino rosso che va annoverato sicura-mente tra i migliori prodotti dItalia.

    Ai sensi della legge sulla Denominazione di Origine Controllata (DPR 25 maggio 1971) lo si produce nel territorio dei comuni di Rionero in Vulture, Ba-rile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Mel, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo S. Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania. Tutti in provincia di Potenza.

    Percorrendo la strada dellAglianico del Vulture come se scorressimo le pagine di un libro ricco di storia e cultura. In un unico quadro possiamo notare un paesaggio dai tratti simili ma con sfumature che determinano la singolarit di ogni localit.

    Transitando per i percorsi dellAglianico scorgiamo Rionero in Vulture, una ridente cittadina posta ai piedi del Vulture, antico vulcano spento.

    Labitato originario si sviluppa su due collinette a 656 metri slm, con i rioni Costa e Piano delle Cantine o Calvario, insieme al primo nucleo abitato del rione dei Morti. Il suo paesaggio vario e accogliente con una ricca vegetazione di vigneti, oliveti e folti boschi.

    Le prime notizie storiche sul casale medioevale di Santa Maria di Rivonigro come feudo del Vescovo di Rapolla appaiono in uno scritto del 1152 di mons. Alberto Mercanti. La citt, per, ha radici ancora pi antiche testimoniate dai re-perti rinvenuti in localit S. Francesco, Cappella del Priore e Padulo. Trattasi di tombe risalenti al IV secolo a. C., di una villa romana in localit Torre degli Em-brici e di resti di un acquedotto romano sulla umara di Ripacandida nei pressi dellabitato.

    Abbandonata nel 1316 per effetto del bando angioino che accordava im-munit scale a chi si trasferiva nella vicina citt di Atella, si ripopol solo due secoli pi tardi, quando, nel 1533, arrivarono da Mel contadini Albanesi che introdussero nel paese il rito greco ortodosso abolito, poi, nel 1627 dal vescovo di Mel, Diodato Scaglia, che obblig losservanza del rito latino. Il paese grave-mente danneggiato dal terremoto del 1694 venne ricostruito successivamente dalla famiglia Caracciolo di Torella.

    Nel 1811, per decreto di Gioacchino Murat, Rionero fu elevata a Comune autonomo. Rionero in Vulture noto per essere stato il paese natio di Giustino Fortunato, scrittore e parlamentare che si occup della questione meridionale e

  • 21Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    si prodig per la costruzione del tronco ferroviario Rocchetta-Rionero. Il 20 luglio 1888, infatti, in seguito a numerose discussioni promosse n dal 1876 dal deputa-to Floriano Del Zio, il disegno di legge per la costruzione delle Ferrovie Ofantine divenne nalmente esecutivo. Tra le linee da costruire c anche il tronco Rocchet-ta-Potenza, passante per Rionero, grazie alla tenacia di Giustino Fortunato, che della strada ferrante dellOfanto ne ha fatto una questione di giustizia distribuita e di decoro nazionale. Il 9 agosto del 1892 viene inaugurato il tronco da Rocchet-ta a Rionero, cui segue, il 21 settembre 1897, quello da Rionero a Potenza.

    La citt nota anche per la presenza di Carmine Donatelli, detto Crocco, che dopo aver disertato la leva borbonico, ricercato dal governo, divenne il capo di un esercito di briganti1.

    Il torrente la Levata (la Forra dAtella), che discende dal Vulture e termina nellOfanto, e il torrente la Forra lArcidiaconata, bagnano il territorio di Rionero. In questa zona, infatti, sono presenti sorgenti di acqua minerale.

    Chiesa di S. Giovanni, Venosa

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    A ovest di Rionero in Vulture si estende la Riserva naturale orientata delle Grotticelle, dove vive il primo, e per ora lunico, esempio, in tutta Europa di una specie di insetto diffuso in Asia Minore, la Acanthobrahmaea europea o Bramea Europea, una farfalla notturna ( 7 cm di apertura alare).

    Inoltrandoci nel paradiso naturale di questi luoghi giungiamo nellincante-vole zona turistica su cui si trovano i Laghi di Monticchio.

    I due laghi sono le bocche dellantico vulcano, esploso 500mila anni fa, del monte Vulture. I due bacini sono il lago Grande ed il lago Piccolo, comunicanti fra loro per mezzo di un ruscello, circondati da una tta vegetazione di faggi, abete bianco, castagni, cerri e pini. Sul lago Piccolo si specchia labbazia di San Michele, sorta intorno ad alcune grotte abitate dai Basiliani del X secolo. Nel se-colo successivo labbazia fu gestita dai benedettini. Dopo un abbandono pro-trattosi dalla ne del 500 no alla ne del 700, arrivarono i cappuccini, ai quali si deve la congurazione attuale del complesso. Nel 1782 labbazia fu afdata allordine militare Costantiniano no al 1866. Oltrepassato lingresso si sale per la Scala Santa e superati gli ambienti scavati dai monaci del X secolo e le loro tombe, si accede alla chiesa, risalente a ne XVIII secolo dove possibile ammi-rare lambiente rupestre sul quale fu costruito il complesso monastico e dove presente lEdicola di San Michele.

    La statua di San Michele risale al XVII secolo. Poco rimane delle decorazioni dei gradini che portano alledicola, opera di maestranze campane dellXI secolo, mentre pi consistenti sono, allinterno delle stessa gli affreschi del 1059 che ritraggono Cristo tra la Vergine e San Giovanni, due gruppi di apostoli e laquila nimbata.

    Presso il lago Grande, invece, sono situati i ruderi della Badia di SantIppoli-to dell XI secolo, dietro cui situata la grotta dove il brigante Carmine Donatelli detto Crocco, e la sua banda spesso si rifugiavano. Nei pressi del laghi di Mon-ticchio sorge la localit di Monticchio Bagni, piccolo borgo sviluppatosi attorno al palazzo Lanari, una famiglia di origine marchigiana, che tra ne dell800 e gli inizi del 900, sfruttando le acque produssero lenergia elettrica per illuminare linsediamento rurale di Monticchio e la vicina Mel2.

    Su di un lembo del Monte Vulture, in posizione dominante sulla valle di Vitalba, situata Atella. Le origini del centro risalgono, probabilmente, al III se-colo a.C. quando labitato di Vitalba, alleato di Annibale, fu distrutto dai romani

  • 23Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    e gli abitanti trovarono riparo presso il territorio su cui attualmente sorge Atella. Lantico centro fu abbandonato a seguito delle guerre scoppiate dopo il 1268 e ripopolato, nel 1330, da contadini rioneresi guidati dalla famiglia Durazzo.

    La nuova cittadina di Atella presentava un insediamento cinto da mura-glia, presidiato da un castello (parte di esso fu distrutto dal terremoto del 1964. Oggi possibile ammirare solo la Torre Angioina) e articolato su un percorso principale le cui testate erano munite di due porte e sul quale convergevano a pettine percorsi minori.

    Nel 1423 il territorio fu dominio di Giovanni Caracciolo, mentre nel 1496 la cittadina fu occupata dalle armate francesi di Gilbert De Montepensier e con-quistata, dopo un assedio durato 32 giorni, da Consalvo Cordova. La cittadina resta per lungo tempo sotto il governo del Demanio.

    Nella piazza del paese presente il Duomo di Santa Maria risalente al XVI secolo, caratterizzato da un particolare portale sul quale sono impressi il sole e la luna, gure che richiamano motivi islamici.

    Laghi di Monticchio

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    Nella chiesa di Santa Lucia, costruita nel 1389, si pu ammirare un affresco rafgurante la Madonna delle Grazie, detta anche Madonna Riparatrice, ese-guito probabilmente dopo il terremoto del 1156 da un pittore ignoto, di ispi-razione napoletana, con esperienze veneto-marchigiane ltrate dalla bottega pugliese di Giovanni Di Francia3.

    Nel versante nord-orientale del monte Vulture sorge Rapolla il cui nome discende dallappellativo lucano rappa, localit coltivata a vigneto, molto usa-to nelleconomia del territorio. Alcuni studiosi assegnano allo stesso termine un signicato diverso, proponendo laccezione di luogo pieno di spine. Altri derivano la forma dal latino rapula, ravanello. Lorigine di rappa, tuttavia, da confrontarsi con litaliano rappa, che vuol dire raspo, ciocca.

    La sua origine dovrebbe risalire al tempo delle guerre di Roma e di Anniba-le. Si narra, infatti, che il condottiero africano si sarebbe accampato sulla collina chiamata, appunto, Cerz dAnnibal (quercia di Annibale), prima della battaglia contro il console Marcello, nel 210 a.C.

    Nel 984 giunge nel territorio del monte Vulture il monaco siciliano Vitale da Castronuovo importante personaggio della comunit monastica di rito greco che avrebbe edicato, tra la data del suo arrivo e quella della sua morte (994), un monastero di rito greco.

    La citt conobbe il suo massimo splendore nel Medioevo, dapprima come caposaldo del ducato longobardo di Benevento e poi, verso la ne del X secolo, come sede di una orente comunit basiliana.

    Dal 1025-35 fu sede episcopale e dal 1042 un centro normanno-svevo. Nel-la parte alta della citt sorge la cattedrale, iniziata nel 1206 da Maestro Sarolo e terminata nel 1253 da Melchiorre di Montalbano. La Chiesa era il segno del po-tere religioso che govern in parte le sorti dellabitato a partire dal 1225 quan-do la citt si schier con il pontece e contro lo svevo. Rapolla fu saccheggiata dalle truppe di Lotario III, distrutta nel 1187 dai Meltani e ricostruita subito dopo da Guglielmo Buono4.

    NellXI secolo i Normanni edicarono la chiesa di Santa Lucia, la prima chiesa Madre di Rapolla. Nella chiesa di San Biagio custodita una statua lignea della Madonna del XIII secolo. Rapolla caratteristica per le Tre Croci piantate su Tre Colonne di pietra. Queste Croci ricordano tre episodi diversi. La prima La Croce del Convento ricorda lanno in cui furono inaugurati il Convento di San Francesco

  • 25Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    e la chiesa di Santa Maria della Provvidenza. La Croce sotto la Tiglia ricorda la visita a Rapolla di re Roberto dAngi di Napoli, nellanno 1315, in occasione della Dedizione della Chiesa e del convento di San Francesco, che avvenne nella Dome-nica dopo Pasqua. La terza, la Croce di San Biagio, stata innalzata a ricordo di un miracolo avvenuto nel 1321 durante la processione di penitenza. Rapolla anche conosciuta per le sorgenti di acque minerali acidulo-ferruginose sfruttate per cure termali, fanghi e bagni nelle terme che sorgono nel pieno centro della citt5.

    Via S. Biagio, Venosa

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    Costeggiando il Vulture, si scorge la citt di Mel. Un centro di grande inte-resse per la sua ricca storia e per i monumenti che testimoniano il suo illustre passato.

    Fu abitata un tempo da Dauni e Lucani, i cui insediamenti sono testimoniati dai reperti archeologici ritrovati nella zona e custoditi oggi nel Museo Nazio-nale.

    Sub linuenza longobarda e bizantina e divenne un importante centro e nodo commerciale in epoca medioevale.

    Mel fu abitata sin dal neolitico e sub linuenza romana, come confer-mato dallesistenza di alcuni ruderi di una villa romana con mosaici. Successiva-mente al dominio di Roma, sub linuenza longobarda, poi quella bizantina, e nel 1041 divenne la prima contea dei Normanni in Italia. Guglielmo dAltavilla vi fece costruire un Castello, ampliato successivamente dagli Svevi e poi dagli An-gioini, oggi sede del Museo Nazionale del Melfese, dove sono conservati nume-rosi reperti archeologici riguardanti le popolazioni indigene della preistoria, dei periodi romano, bizantino e normanno. Nella torre ubicato il Sarcofago di Ra-polla, meraviglioso lavoro creato da artisti dellAsia Minore.

    Nel 1231 Federico II vi promulg le Costitutiones Augustales, il primo testo organico di leggi scritte dellet medioevale e di contenuto sia penale che civile. Il Castello dal XVI secolo divenne dimora della famiglia Doria no alla riforma agraria e fu sede anche di vari Concilii.

    Il primo Concilio, nel 1059, venne convocato dal Papa Nicol II, il secondo, nel 1067, dal Papa Alessandro II, il terzo Concilio venne convocato dal Papa Urbano II nel 1089, e in tale occasione il pontece band la prima crociata in Terra Santa contro gli infedeli, istituendo lobbligo del celibato ai religiosi. Di grande interesse artistico la Cattedrale, a tre navate con pianta a croce latina, fatta edicare, nel 1076, da Roberto il Guiscardo. Ledicio fu quasi in-teramente rifatto dopo il terremoto del 1694. Al suo interno sono conservati un crocisso ligneo del XV secolo, numerosi dipinti e una tavola del XII secolo rafgurante la Madonna in trono.

    Il campanile fu costruito da Ruggiero II per sostituire la torre campanaria. Una leggenda racconta che, terminata la costruzione, re Ruggiero II (nonno per parte materna di Federico II) fece precipitare dalla cima il costruttore perch non potesse raccontare del tesoro nascosto nelle fondamenta.

  • 27Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    Accanto al Duomo sorge il Palazzo Vescovile al cui interno si trova una fon-tana in stile barocco.

    Dalla Porta Venosina, unica delle quattro porte di Mel ancora esistenti, possibile ammirare una piccola parte delle mura della citt6.

    Unaltra citt di grande interesse storico Venosa. Situata sull appennino lucano, fondata probabilmente dai Peuceti, divenuta Sannita, la citt, fu conqui-stata dai Romani guidati dal Console Lucio Postumi nel 292 a.C..

    La citt, dal 268 a.C., grazie al prolungamento della via Appia da Benevento a Venosa no a Taranto, conobbe un notevole sviluppo come centro commer-ciale e amministrativo. Venosa nota soprattutto per aver dato i natali a Quinto Orazio Flacco nel 65 a.C..

    Fu conquistata dai Longobardi nel 662 d.C. e nel 976 d.C. dai Bizantini e, successivamente, dai Saraceni, che vi costruirono opere di difesa. Nel 1041 fu occupata dai Normanni e contesa da Svevi e Angioini. Nel 1501 fu conquistata dagli Aragonesi per poi divenire feudo dei Gesualdo, principi di Venosa, che ne

    Castello di Mel

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    fecero un centro culturale. La citt prese parte ai Moti Carbonari del 1820/21. Dopo lUnit dItalia, nel 1861, appoggi come quasi tutta la Basilicata il brigan-taggio del bandito Crocco, aderendo allinsurrezione lo-borbonica.

    Nel 1298 il re Carlo I dAngi fece costruire la Fontana Angioina di cui an-cora oggi si pu ammirare la bellezza artistica. I romani nella Valle edicarono la fontana detta la Romanesca, ai cui lati sono presenti due bassorilievi rafgu-ranti la testa di un leone e due gure umane. Di interesse anche la Fontana di Messer Oto costruita nel 1313/14 su cui domina la mole di un leone in pietra di stampo romano

    Nel 1470 il duca Pirro del Balzo Orsini, sul luogo in cui preesisteva lantica cattedrale, edic il castello mentre la cattedrale venne costruita dove sorgeva la Chiesa di San Basilio. La facciata, molto semplice stata rifatta, insieme al portale marmoreo, allinizio del 1500, dal maestro Cola da Conza.

    Percorrendo le strade cittadine possibile ammirare i sontuosi palazzi come Palazzo Calvini, oggi sede municipale, costruito nel Seicento e rifatto pi volte nel corso del Settecento ed Ottocento. Interessanti sono anche il Palazzo Bal, co-struito nel XV secolo e restaurato dal Bal dei Cavalieri di Malta, Palazzo Dardes del XVIII secolo che conserva al suo interno lelemento architettonico del Telamo-ne e Palazzo Veltri, di origine settecentesca, situato in piazza Ninni.

    Castello di Venosa, cortile Parco Archeologico, Venosa

  • 29Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    In citt sono, inoltre, ubicati Palazzo Frusci, sede natale di Francesco Frusci medico chirurgo, e Palazzo Rapolla, del XIX secolo, dove venne ospitato il bri-gante Crocco. Allingresso della citt sorge lAbbazia della SS. Trinit, costruita nel 1406 dal conte Dragone DAltavilla. Accanto si pu ammirare lIncompiuta. Il complesso fu iniziato tra lultimo quarto dellXI secolo e linizio del XII con lintento di creare ununica immensa basilica con lantistante chiesa vecchia. Il progetto non fu portato a termine perch il monastero decadde a seguito del declino delle fortune della dinastia normanna degli Altavilla. Nello stesso sito possibile ammirare il complesso termale e lanteatro.

    Fuori dal centro abitato sono ubicate le Catacombe ebraiche che docu-mentano la presenza, tra il III e il IV secolo, di una consistente comunit ebraica. Le pareti conservano numerosi grafti ed epigra funerarie con iscrizione in ebraico, in greco e in latino e incisioni di candelabri a sette braccia, corni, palme e anfore. Vicino ad esse sorgono le Catacombe cristiane risalenti al IV secolo e costruite da diversi ipogei. Nella localit Notarchirico situato il Parco Paleoli-tico nel quale possibile notare i vari periodi dellesistenza umana risalenti al Paleolitico Inferiore-Acheuleiano Medi7.

    Poco distante da Venosa sorge lantichissima Lavello. In latino labellum indica abbeveratoio. La zona fu abitata gi nel periodo Neolitico ed ebbe il suo

    Parco Archeologico, Venosa Piazza Orazio, Venosa

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    periodo di massimo splendore sotto i normanni, che vi edicarono la loro for-tezza. Dopo la rivolta ghibellina, nel 1268, Lavello fu assegnata da Carlo I dAn-gi ai Galard dIvry. Nel 1298 venne quasi completamente distrutta da un vio-lento incendio provocato da Carlo I dAngi. Levento ricordato dallo stemma comunale, in cui rafgurata una torre a due piani invasa dalle amme. Nella seconda met del XV secolo arrivarono i profughi albanesi.

    Nel centro storico ubicato il Castello, di epoca Sveva, ricostruito nel 1600, attualmente sede del Municipio8.

    Di grande interesse la Chiesa di santAnna che conserva un dipinto su tela del XVI secolo, attribuito al pittore lucano Antonio Stabile, rafgurante lAnnun-ciazione.

    Nei dintorni del paese possibile vedere i resti di un antico stabilimento termale di epoca romana facenti parte di una villa patrizia probabilmente del-la famiglia Seppia. Al rudere venne dato il nome di Casa del diavolo perch, specie al tramonto, d limpressione di un volto diabolico. In contrada Pozzo dAvila sono stati rinvenuti resti di un sepolcro paleocristiano.

    Nei pressi della stazione di Rapolla- Lavello ubicata una lapide che ricorda cinque soldati piemontesi che in questa localit furono trucidati dai briganti9.

    La parte Nord della Basilicata rinomata per lesistenza di comunit al-banofone che popolano, da oltre cinque secoli, i comuni di Barile, Maschito e Ginestra. Ancora oggi la popolazione di albanesi conserva nelluso corrente la lingua originaria e assieme la consapevolezza critica della propria identit et-nica e culturale.

    Barile una ridente cittadina che si eleva alle falde del Vulture sorto, pro-babilmente, ad opera di una colonia greca, che in seguito abbandon il luogo. Il centro fu ripopolato, nel 1464, da una colonia di Albanesi di Scutari e di Croya, che sfuggendo alle invasioni dei turchi, si stabil in questo territorio.

    Barrale, barellium barragium: cos si chiamavano un tempo i dazi im-posti sui greggi che da levante si dirigevano ai laghi di Monticchio e le sbarre che venivano messe alle porte, ai ponti, alle vie per farli pagare. Da loro deriva il nome di questo centro che intorno al 1300 fu casale di Rapolla.

    Nellabitato, ancora oggi, si conservano tradizioni etniche e dialetto albane-se, mentre il rito religioso greco-albanese venne usato no al 1627, anno in cui il vescovo di Mel ne impose la soppressione e obblig quello latino.

  • 31Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    Nella chiesa Madre conservato un dipinto bizantino del XV secolo rafgu-rante la Madonna di Costantinopoli. Alla seconda met del XVII secolo risalireb-be il Santuario Madonna SS. di Costantinopoli nel cui interno conservato un affresco murale in stile bizantino della Madonna.

    Nel centro storico possibile ammirare i portali di antichi palazzi come Palaz-zo De Rosa e Palazzo Caracciolo, feudatario, antecedente a Caraffa, della citt. Di particolare interesse risulta essere anche la Fontana dello Steccato, costruita nel 1713 in pietra, comprendente tre teste rafguranti immagini apotropaiche10.

    Nel 1478 anche Ripacandida ospit una cinquantina di famiglie albanesi, capeggiate da un loro cittadino Francesco Jura, provenienti dalla citt di Scu-tari famiglie che, durante linvasione turco musulmana diretta da Maometto II, furono costrette a fuggire davanti alla furia musulmana.

    La citt, situata su di un colle roccioso, sembra sia sorta in seguito allinva-sione gotica di Candida Latinotum i cui abitanti, sfuggiti agli invasori, si rifu-giarono sul territorio su cui sorge Ripacandida, il cui nome si suppone derivi dal colore biancastro del colle su cui situato il paese. Il centro fu occupato dai Longobardi che ne fecero una fortezza e nel 1268 fu incorporato dagli Angioini nello stato di Mel. Il paese fu feudo alla famiglia Caracciolo e, successivamente, pass ai Grimaldi11.

    Fontana dello Steccato, Barile Le cantine dello Scescio, Barile

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    Allingresso del paese ubicata la Chiesa di San Donato, dedicata al giova-ne martire. Nellinterno della chiesa possibile ammirare, sul pilastro trionfale risalente al XVI secolo, la gura del giovane martire. Inoltre, si possono apprez-zare affreschi del XIV secolo rafguranti episodi del Vecchio Testamento, alcuni pregevoli altari e un dipinto rafgurante la Madonna degli Angeli del XVIII seco-lo del pittore Giovanni De Gragorio detto il Pietrafesa. Accanto alla chiesa sorge il monastero, del 1300, con un chiostro circondato da un deambulatorio. Del 1560 la Chiesa madre dedicata a Santa Maria del Sepolcro, di cui si apprezza il maestoso portale del 1602 di gusto rinascimentale12.

    Fino al 1965 il Comune di Ripacandida amministrava la comunit di Ginestra, un paese che sorge nel bacino superiore della Forra di Arcidiaconata il cui nome legato alla pianta della ginestra, che possibile trovare in tutta la zona.

    Il paese fu ripopolato dai coloni albanesi immigrati in pi fasi dal 1482 al 1515. Le sue origini risalgono ai Longobardi a cui seguirono i Normanni. Gine-stra conserva ancora oggi costumi e lingua albanese. Anche qui il rito greco-ortodosso fu abolito nel 1627 dal vescovo di Mel. Nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, risalente al 1588, sono conservati un coro ligneo del XVIII secolo ed un affresco del 1500 rafgurante la Madonna. Nella Chiesa di San Nicola, co-struita nel 1500, conservata una tela rafgurante la Piet13.

    Ripacandida Chiesa di S. Donato, part. affrschi, Ripacandida

  • 33Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    A partire dal 1467 una comunit albanese si stabilizz nel territorio di Ma-schito. Il nome sembra aver avuto origini dal latino Masculus termine riferito alla popolazione di prevalenza maschile. Antico castrum romano, il paese fu ab-bandonato nella met del XVI secolo, per cause ignote, e ripopolato nel 1534 da coronei e maidesi, e a partire dal 1647 da albanesi. Feudo dei Carafa di Andria, il centro conserva, ancora oggi, usi, riti e costumi albanesi.

    Nel centro cittadino ubicata la Chiesa del Caroseino. Al suo interno pos-sibile ammirare un affresco del 1558 rafgurante la Madonna col Bambino di autore ignoto e due tele settecentesche di Nicola Federici di Forenza rafgu-ranti la Pentecoste e la Presentazione di Ges al tempio. Nella Chiesa di San-tElia sono conservate due tele del 1500, un coro ligneo intagliato del 1508, un quadro rafgurante la Sacra Famiglia del Barberis ed un dipinto rafgurante la Madonna dei Sette Veli ritenuto miracoloso dalla popolazione.

    La chiesa di San Nicola risulta essere apprezzata soprattutto per le riprodu-zioni della Grande Cena di G. Tiepolo e per la Trasgurazione di Ges al Monte Tabar di Raffaello Sanzio. Nel Palazzo Comunale, inoltre, custodita una colle-

    Via Garibaldi, Venosa

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    zione di quadri del pittore locale Mario Cangianelli. Al XVI secolo risale la fonta-na monumentale in pietra bianca dedicata alleroe albanese Scanderberg14.

    Nel comprensorio del Vulture, a nord dellAppennino Lucano, incontriamo Forenza, un piccolo borgo appartente alla Valle del Bradano.

    Nel IX secolo Forenza fu congiunta alla Puglia. Durante la dominazione lon-gobarda la citt fece parte del Gastaldato di Acerenza. Sotto la dominazione Normanna fu feudo della famiglia dei Pagani. Successivamente gli Angioini la afdarono ai Caracciolo, mentre gli Asburgo la concedettero alla famiglia Doria, che hanno governato lo Stato di Mel sino alla caduta della feudalit. Lattuale sito di Forenza non quello cui si riferiscono Livio, Diodoro Siculo, Plinio e so-prattutto Orazio nei versi: arvum pingue tenent humilis Ferenti.

    Il paese, quindi, ha ereditato il nome dellantica Forentum romana, ma non il sito. La citt antica si pu dividere in tre parti: il pianoro, corrispondente longitu-dinalmente allattuale via San Nicola, con la supercie sommitale che delimita il primo insediamento, risalente al periodo alto-medievale; la prima parte della costa del colle sottostante il pianoro, sul versante ovest-sud-est, su cui si disten-de la citt medievale delimitata dalle mura; la mezzacosta, con gli insediamenti sei-settecenteschi, fuori le mura. La trama urbana si compone di strade e rampe irregolari ed anguste, spazi a scala ridotta, che testimoniano lorigine medioe-vale della citt.

    possibile ammirare, inoltre, le mura angioine del XIII secolo15. Allontanan-dosi dal centro storico e scendendo pi a valle, si possono apprezzare le struttu-re religiose pi rappresentative del panorama storico di Forenza quali il rudere suggestivo della Chiesa e i resti di quello che fu il Monastero di Santa Maria de Armeniis, situato alle falde del monte che porta il suo nome, risalenti allinsedia-mento di nuclei armeni in Italia Meridionale tra lXI ed il XII secolo ed assunta alle dipendenze dei Verginiani di Montevergine nel XIII secolo.

    Proseguendo possiamo apprezzare il complesso conventuale di Santa Maria della Stella edicato nel XVII secolo per ospitare i Frati Francescani Riformati di Basilicata, sostituendo il vecchio convento di S. Caterina. Allinterno della Chie-sa troviamo un quadro rafgurante la Vergine S. Maria della Stella, attribuito a Nicola Federici da Forenza, incastonato in un prezioso altare di legno intagliato e dorato. Nella parete della navata centrale, in pregevole barocco, racchiuso, in una nicchia posta sullaltare maggiore tra le statue in legno policromo del-

  • 35Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    lAddolorata e di S. Francesco, un prezioso Crocisso in rovere attribuito a Fra Angelo da Pietratta, lopera forse pi bella ed intensamente espressiva della produzione lignea, caratterizzata da un toccante verismo dei Crocissisti fran-cescani di scuola calabro-sicula del Seicento16.

    Sul versante settentrionale della valle del Fiume Bradano ubicata Ace-renza. La citt fu conquistata dai romani nel 318 a.C.. Nel 280 a.C. vi si rifugi il console Publio Valerio Levino, in seguito alla scontta subita da questultimo ad opera di Pirro ad Eraclea.

    Nel periodo della guerra gotica la citt sub attacchi da parte dei Bizantini, che la contesero ai Longobardi. Carlo Magno, imprigionato Desiderio, impose di raderla al suolo.

    Dopo la sua distruzione Acerenza fu ricostruita e fu al servizio dei Gastaldi. Nel 1041 la citt cadde sotto il dominio dei Normanni e Roberto il Guiscardo la fortic con nuove costruzioni. Sul nire del XIV secolo hanno termine i privile-gi di citt demaniale e fu legata alle famiglie feudatarie. A partire dal 1477, per un secolo, fu sotto il regno dei Ferrillo, i mecenati dellomonima cappella nella Cattedrale.

    Acerenza fu sede vescovile sin dal IV secolo. Allepoca dei Bizantini il suo vescovo fu suffraganeo della metropoli della pugliese Otranto divenendo dio-cesi metropolitana nellXI secolo per volere di papa Niccol II.

    Cattedrale di Acerenza Cripta, Cattedrale di Acerenza

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    Durante il Concilio, tenutosi a Mel nel 1059, il vescovo di Acerenza Godano, monaco Clunyacense, ottenne il titolo di Arcivescovo con giurisdizione ecclesia-stica sulle sedi vescovili di Potenza, Tricarico, Tursi, Venosa e Gravina.

    Fu allora che lArcivescovo, con i generosi nanziamenti di Roberto inizi la costruzione di una nuova ed imponente Cattedrale a forma di croce latina.

    Nella parte alta della facciata si pu ammirare un enorme rosone. Allinterno sono conservate opere di grande valore come un trittico, del XV secolo, rafgu-rante Cristo in trono, una Piet del 1500 ed un busto marmoreo identicato, da

    Cattedrale di Acerenza, Cripta, part. affreschi

  • 37Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    alcuni studiosi, in Giuliano lApostata e da altri in Federico II. Nel 1203 Acerenza fu unita alla Diocesi di Matera, dalla quale fu separata nel 1954.

    Durante la dominazione degli Svevi, Acerenza si schier con i nuovi sovra-ni contro il papato, divenendo una roccaforte ghibellina alla cui testa fu posto Galvano Lancia, zio del principe Manfredi.

    Con il tramonto della potenza sveva, Acerenza fu tenuta in grande consi-derazione dagli Angioni che sognavano la costruzione di una nuova e pi bella cattedrale, da erigersi fuori le mura. Il progetto, ideato dal Re Carlo dAngi, non trov attuazione.

    Dagli Angioini pass sotto il dominio degli Aragonesi e, successivamente agli acheruntini che ricorsero direttamente al sovrano Ferdinando per liberarla dal dominio baronale.

    Nel XVII secolo Acerenza segu la sorte comune delle altre citt feudali del regno, un continuo passaggio da una famiglia allaltra: dagli Orsini ai Pinelli, dai Pignatelli-Belmonte ai Lancillotti, inne ai Panni che lacquistarono per 21.500 ducati. Nel periodo napoleonico sede del Giudicato di pace e capoluogo di circondario. Dallunicazione dellItalia Acerenza fu sede degli ufci del Regi-stro e delle Imposte dirette e del collegio elettorale.

    Nel centro storico possibile ammirare Palazzi settecenteschi con portali decorati, come Palazzo Ducale, risalente al XV secolo. In citt sono presenti an-tiche fontane come quella detta di San Marco, e la fontana La Pila, nota per le propriet delle sue acque, indicate per le cure epatiche e gastroenteriche17.

    Ci dirigiamo, ora, verso la citt di Banzi, centro di antichissime origini. Scavi archeologici testimoniano lesistenza sul luogo di un insediamento sorto tra il VI e IV secolo a.C. I romani, qui, fondarono la famosa Bantia ricordata anche da Livio.

    Lantica tradizione storica di Banzi testimoniata dalla Tavola Bantina, im-portante documento risalente al I sec. a.C. che riporta lo statuto del paese in lingua osca, oggi conservato nel Museo Nazionale di Napoli.

    Sul territorio sono stati inoltre ritrovati resti di una necropoli del VII-IV sec. a.C. e di un antico nucleo abitativo romano.

    Nel Medioevo il centro fu noto per la Badia benedettina di Santa Maria, edi-cata, nell806, da Grimaldo IV di Benevento e consacrata nel 1089 da Papa Ur-bano II. La Badia raggiunse il suo massimo splendore nellet normanna-sveva.

    Nel 1301 la comunit monastica venne soppressa ed il monastero pass ai

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    francescani. Allarrivo dei francescani connessa la costruzione della nuova chie-sa, iniziata nel 1773 sulla precedente. Nel 1807 il patrimonio dellabbazia pass sotto il dominio di Genzano. Successivamente il feudo venne smantellato a fa-vore dei ricchi che conquistarono i lotti derivanti dalla suddivisione del latifondo ecclesiastico. La stessa Badia venne in parte venduta a privati e trasformata in abitazione. Il centro di Banzi si svilupp attorno al monastero e divenne comune autonomo nel 1904. A circa 2 chilometri dal centro situata Fonte Nocella, iden-ticata con la Fons Bandusiale citata da Orazio nel III libro delle Odi18.

    Ci spostiamo nella zona dellAlto Bradano dove sorge Palatium Sancti Gervasii, il cui nome deriva dal palazzo fatto costruire da Federico II. Il Palazzo dal 1507 appartenne a molte famiglie tra cui i Caracciolo, i Grimaldi, i De Marinis di Genzano. un edicio a tre piani con cortile centrale; la facciata con torri quadrangolari caratterizzata da quattro bifore e una trifora centrale.

    Visitando il paese grande interesse suscita il Palazzo DErrico del 1800 che ospitava la ricca Quadreria DErrico19.

    Concludiamo il nostro viaggio nella citt di Genzano.Le sue origini risalgono al VII-VI sec. a.C., quando gli abitanti del Pagus Gen-

    tianum, insediamento romano, stanchi delle continue invasioni e per scong-gere la malaria, si trasferirono nellattuale territorio.

    NellXI sec., il centro fu sotto il controllo normanno di Roberto il Guiscardo e in seguito fu assegnato come feudo a diverse famiglie no al 1806, anno in cui il re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, eman la legge sulla abrogazione della feudalit.

    Nella parte antica del paese possibile ammirare la chiesa di Santa Maria della Platea, che conserva unimmagine dipinta su pietra del XVII sec..

    In citt ubicato lantico Convento delle Clarisse, fondato dai Sancia nel 1300 ed abitato dalle suore no al 1905.

    possibile ammirare, fuori dal centro abitato, il complesso architettonico Fontana Cavallina di stile neoclassico e a forma di anteatro20.

  • 39Viaggio tra i luoghi dellAglianico

    Note

    1 Cfr. www.comune.rioneroinvulture.pz.it/articles.asp?id=602 Cfr. www.comune.rioneroinvulture.pz.it/articles.asp?id=1083 Cfr.www.aptbasilicata.it/Atella.306.0.html4 Cfr.www.comune.rapolla.pz.it/articles.asp?id=605 Cfr. www.comune.rapolla.pz.it/articles.asp?id=1406 www.aptbasilicata.it/Mel.273.0.html7 Cfr. www.comune.venosa.pz.it//struttura_ita/storia/cenni.htm8 Cfr. www.comune.lavello.pz.it/Lavello.268.0.html9 Cfr.www.comune.lavello.pz.it/phpws/index.php?module=pagemaster&PAGE_user_

    op=view_page&PAGE_id=56&MMN_position=50:410Cfr. www.comune.barile.pz.it/ReadContents.do?id_root=18&command=111 Cfr.www.comune.ripacandida.pz.it/articles.asp?id=6012 Cfr. www.comune.ripacandida.pz.it/articles.asp?id=8613 Cfr. www.aptbasilicata.it /Ginestra.276.0.html14 Cfr.www. aptbasilicata.it/Maschito.272.0.html15 Cfr.www.comune.forenza.pz.it/Storia.php16 Cfr. www.comune.forenza.pz.it/Culto.php17 Cfr.www. acerenza.com18 Cfr. www.comune.banzi.pz.it /Storia.php19 Cfr.www.aptbasilicata.it/Palazzo-San-Gervasio.328.0.html20 Cfr.www.aptbasilicta.it/Genzano-di-Lucania.277.0.html

  • 411957~2007

    In principio fu Venusia

  • 43In principio fu Venusia

    1.3. In principio fu Venusia

    Diverse sono le teorie legate al nome dellantica Venusia. La pi accredita-ta quella che ritiene la citt fondata in onore della dea dellamore, Venere. Se-condo alcuni, Venus deriverebbe da Benoth, il nome fenicio di Venere.

    Per altri, lorigine del nome legato allabbondanza e bont dei suoi vini (vino-sa), oppure alle vene dacqua di cui ricca o, ancora, al clima ventilato (ventosa).

    Il nome glielo diedero i Romani nel 291 a.C., quando, strappata ai Sanniti, ne fecero una colonia1.

    Dionigi di Alicarnasso riferisce che Venosa aveva un proprio Senato, proprie leggi, cinta muraria, proprio esercito, propria moneta. La sua importanza strate-gica tale da imporre a Roma non solo la semplice occupazione, ma il trasferi-mento in questo sito di ben 20.000 coloni.

    Divenuta colonia romana la citt consolida i suoi conni geograci, aumen-ta la sua popolazione, partecipa alla guerra civile (90-88 a.C. Roma le conferisce il titolo di Municipium, ossia citt romana, estendendo il diritto di voto e di cit-tadinanza ai suoi abitanti).

    Dall89 a.C. al 43 a.C. Venosa rafforza la sua condizione di appartenenza a Roma. Nel 65 a.C., nasce in Venosa Quinto Orazio Flacco, glio di un esat-tore di vendite allasta. Il grande poeta latino vive a Venosa la sua fanciullez-za e inizia gli studi di grammatica nella scuola locale. Porter il ricordo della sua fanciullezza trascorsa tra la Fons Bandusiae ed il Monte Vulture in tutte le sue opere.

    Ragazzo, sar mandato a Roma per completare il proprio cursus studiorum. La fortuna di Venosa proviene in larga parte dalla sua posizione geograca. Fu, infatti, una delle principali stazioni della Via Appia, la pi importante arteria di comunicazione dellantichit, strada che congiungeva Roma con Brindisi, vetto-re e canale obbligato degli scambi tra il Mondo Occidentale e quello Orientale.

    Dal 70 d.C. la citt si popola di una colonia Ebraica, probabilmente la pi antica dItalia.

    La citt, ancora oggi, testimone di una convivenza pacica tra etnie mai realizzata. Fuori dal centro abitato, sulla collina della Maddalena, possibile am-mirare le catacombe ebree e quelle cristiane.

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    In seguito Federico II stupor mun-di la rende importante mercato ce-realicolo.

    I Goti prima di porre denitiva-mente il proprio centro amministrati-vo, economico e politico nella vicina Acerenza , nel 493 d.C. lo avevano in-fatti spostato dalla Val dAgri a Venosa.

    Odoacre nel 476 d.C. e nel 570-590 d.C. i Longobardi la eleggono Ga-staldato. Nell842 e nel 985 i Sarace-ni la saccheggiano. Seguono i Bizanti-ni che, succeduti ai Longobardi, dopo la epica battaglia del ume Olivento, scontti dalle truppe Normanne di Ar-duino nel 1041, sono costretti ad ab-bandonarla in favore dei nuovi signori dellItalia Meridionale.

    Nella spartizione normanna Ve-nosa viene assegnata a Drogone di Altavilla. Federico II (1194-1250) la infeuder nei possessi demania-li, appannaggio esclusivo della coro-na. di questo periodo ledicazio-ne di un Castello , sorto in luogo di un preesistente fortilizio Longobar-do dellXI secolo, a cui lo stesso Fede-rico assegner la funzione di Tesoro del Regno (Ministero delle Finanze). Dal 1200 tale costruzione diverr con-vento dei Frati Agostiniani e poi passe-r ai Salesiani ed inne ai Padri Trini-tari, che ancora oggi operano in que-sta struttura.

  • 45In principio fu Venusia

    Contemporanea alla venuta dellOrdine Agostiniano attestata la presen-za di monache del monastero di San Benedetto, in localit Montalbo dal 1177. In questo periodo fu eretto il complesso della S.S. Trinit.

    Sorta su di un insediamento paleocristiano del V - VI secolo d. C., a sua vol-ta edicato sulle rovine di un tempio pagano dedicato ad Imene, divinit delle Nozze, di cui lattuale impianto porta ricordo nella colonna popolarmente detta della Sposa o dellAmicizia.

    Il Tempio fu ampliato a partire dallultimo quarto dellXI secolo con la chie-sa nuova, restata poi incompiuta.

    Lattuale facciata, la quarta che nel corso dei secoli stata anteposta luna allaltra, consente laccesso alla chiesa mediante una porta di stile romanico, con ai lati due sculture rafguranti leoni2.

    Sulla destra del prospetto sporge il corpo di fabbrica parallelepipedo del monastero, collegato con latrio della chiesa.

    Al piano terra situata la foresteria, luogo un tempo riservato ad accoglie-re i pellegrini. Sotto le volte e gli arconi sostenuti da pilastri cruciformi di epoca

    LIncompiuta, Venosa

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    longobarda sono stati collocati due pannelli affrescati (S. Vito e S. Anto-nio) del XV secolo. La chiesa incom-piuta, annessa alla chiesa vecchia, costituita da un corpo longitudina-le, previsto a tre navate, con un am-pio transetto sporgente ed absidato ed un coro molto profondo, circonda-to da un deambulatorio con cappelle radiali. In corrispondenza dellattac-co del transetto con il deambulato-rio sono inserite due torrette scalari. Il corpo longitudinale presenta cinque colonne con grandi capitelli corin-zi ed un pilastro polistilo allincrocio con il transetto solo sul lato destro, mentre sul sinistro non furono realiz-zate neppure le fondazioni del colon-nato settentrionale. Non fu mai realiz-zata la copertura. LIncompiuta resta lunico caso visibile di un fenomeno che normalmente si vericava, ossia, quando si costruiva una chiesa nuova su una pi antica. Questultima veni-va lasciata in piedi no al momento in cui la nuova non fosse in grado di funzionare pienamente3.

    La sua origine ancora oggi og-getto di dibattito e di confronto. Al-cuni studiosi, tra cui Tommaso Pedo, affermano che sia stato edicato dai Longobardi nel 942 a seguito della conversione e della scelta di vita be-nedettina fatta da Iudulfo, altri , tra cui

  • 47In principio fu Venusia

    Giustino Fortunato, annoverano il complesso tra le costruzioni volute da Dro-gone dAltavilla.

    Il conte Dragone ha fatto costruire il monastero venosino dallabate Ingel-berto (1046/51- 1066), per lanima di suo fratello Guglielmo Braccio-di-ferro. Sotto il governo di Dragone le funzioni di Cattedrale vennero trasferite ad una altra chiesa dedicata a San Felice ed ubicata dove attualmente sorge il Castello di Pirro del Balzo.

    Successivamente, durante il sinodo di Mel (agosto 1059), il papa Nicol II legittimava, con il riconoscimento del titolo ducale a Roberto il Guiscardo, le conquiste normanne nel Meridione, mentre i normanni giuravano fedelt al papa. Lalleanza con i normanni permetteva ai ponteci di avviare il recupero delle Chiese dellItalia meridionale cadute in gran parte nellepoca del dominio bizantino sotto linusso della Chiesa greca. In questo contesto storico si collo-ca la consacrazione della chiesa della SS. Trinit per la quale il papa Niccol II si rec il 17 agosto 1059 personalmente a Venosa.

    Sotto labate normanno Berengario (dopo il 1066- dicembre 1094 quando venne consacrato dal papa Urbano II vescovo di Venosa) il monastero della SS. Trinit di Venosa raggiunse un ruolo di primo piano nellItalia normanna. Per la prima generazione normanna nel Mezzogiorno dItalia, infatti, la citt di Mel divent, a causa della sua posizione strategica, il centro politico, mentre il vicino

    Lavatoio pubblico, part., Largo Piazzetta, Venosa

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    monastero della SS. Trinit di Venosa divent, anche per essere stato prescelto come sepolcro della famiglia degli Altavilla, un centro religioso di grande rile-vanza.

    Il monastero perse di importanza quando il centro del potere normanno nel Mezzogiorno si trasfer, alla ne del sec. XI e nella prima met del sec. XII, dal Mezzogiorno continentale alla Sicilia.

    Nel 1096 perde la sua autonomia, passando prima alle dipendenze del-lAbate di Cava, e poi al Cenobio di Montecassino. Tra le molte donazioni spicca

    Castello, cortile interno, Venosa

  • 49In principio fu Venusia

    quella di Roberto il Guiscardo del 1074, che concede alla Trinit medietatem civitatis Venusii.

    Alla ne del 1200 comincia la decadenza economica dellAbbazia. Papa Bonifacio VIII, nel 1297, dopo aver soppresso il monastero nel 1292, assegna il complesso e la chiesa al Sovrano Ordine Militare Gerosolimitano dei Templari, poi Cavalieri di Malta, i quali si stabilirono allinterno della citt (Palazzo Bal), non curandosi dellimpianto monastico della nuova chiesa.

    Con labbandono della citt da parte dei Benedettini la costruzione del-la nuova chiesa fu interrotta. Gli Angioini reinfeuderanno Venosa agli Orsini, e con il matrimonio di Maria Donata, essa diverr dote per Pirro del Balzo nel 1443. Questi dar nuovo impulso allurbanistica di Venosa, edicher il Castello ove si ergeva la cattedrale di San Felice.

    Dal 1460 al 1470 vengono costruiti il Castello e la Nuova Cattedrale che sar intitolata a SantAndrea , terminata nel 1502 e consacrata nel 1531.

    Nel Regno delle Due Sicilie seguono agli Angioini gli Aragonesi, ed a Veno-sa ai Del Balzo i Gesualdo, signori dei paesi dellIrpinia che nel 1561 vennero no-minati feudatari e Principi di Venosa.

    Dal 1582 al 1612 nascono, grazie al mecenatismo, lAccademia dei Piacevoli e dei Soavi, la Scuola di Diritto, e lAccademia dei Rinascenti. Figli di questo cli-ma culturale sono il poeta Luigi Tansillo (1510 - 1580), il giurista Giovanni Batti-sta De Luca (1614 1683) e la controversa gura di Carlo Gesualdo principe di Venosa, (1560-1613) eccelso musicologo et prencipe de musicii, come lo den lamico Torquato Tasso, madrigalista sommo. Una leggenda vuole che Carlo Ge-sualdo abbia ucciso, nel castello di Venosa, la propria sposa, Maria dAvalos, sua cugina, colpevole di tradimento consumato con Fabrizio Carafa duca di Andria, omicidio che le fonti storiche riportano sia stato compiuto a Napoli, nel Palaz-zo S. Severo.

    In questo periodo Venosa vive momenti di grandi fermenti culturali.Dopo la morte di Gesualdo la citt passa di mano in mano come feudo, dai

    Ludovisi ai Caracciolo, i quali la tengono no alleversione della feudalit. Nel 1700 i Rapolla, insieme ad altri galantuomini venosini, promuovono la

    costituzione della municipalit repubblicana, della quale poi perdono il con-trollo ad opera di rivolte capeggiate da popolani. Nel 1808 Venosa la terza cit-t della provincia di Basilicata dopo Mel e Matera, per il numero di possedi-

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    menti, ad avere diritto attivo e passivo nel Parlamento Nazionale Napoleonico. Nel 1820 anche Venosa esprime una cospicua rappresentanza nella carboneria, tanto che nel 1848 uno studente venosino, Luigi La Vista, rimane ucciso a Napoli dalla guardia svizzera durante i moti rivoluzionari.

    La citt di Venosa, in seguito, pur avendo partecipato al fenomeno del bri-gantaggio, ne risulta appena coinvolta tuttavia nel 1861 si ha testimonianza di una rivolta tra liberali e reazionari cui presero parte bande legate al brigante Crocco che ebbero il sostegno di alcune famiglie venosine.4

    Nellesplorazione dellantica Venosa non si pu non restare affascinati dal sito nei pressi del Tempio della Trinit che rappresenta unaltra interessante tappa nel viaggio attraverso larea archeologica di Venosa. Vero e proprio cen-tro di benessere, le terme erano il luogo in cui ci si poteva dedicare alla cura del corpo con la possibilit di scegliere tra esercizi ginnici e bagni rilassanti. La struttura era infatti dotata di una palestra e di vari ambienti diversamente ri-scaldati che consentivano di optare per diverse tipologie di bagno: il frigida-rium per il bagno freddo, il tepidarium per il bagno caldo e il laconicum, picco-la stanza in cui era possibile fare la sauna.

    II complesso costituito da una serie di ambienti allineati lungo la stra-da basolata. Dallingresso a sud-ovest si accede attraverso lambiente probabil-mente adibito a spogliatoio, al vano per i bagni freddi decorato con mosaico ad animali marini e provvisto di vasca semicircolare. Un passaggio (oggi non pi visibile) metteva in comunicazione con i vani riscaldati.

    Il primo era originariamente pavimentato in marmo. Ancora oggi possibile ammirare le parete in terracotta per il riscaldamento mediante aria calda, che vi afuiva da unintercapedine sottostante il pavimento e comunicante con i forni.

    Nei due vani seguenti, realizzati con lo stesso sistema, si trovavano il Tepida-rium o ambiente per la sauna (Laconicum) e la stanza per i bagni caldi provvista di vasca in muratura. Il complesso comprendeva ambienti di servizio alle spalle del Calidarium e un cortile porticato sul lato sud-ovest , forse adibito a palestra. Alcuni ambienti realizzati in blocchi di tufo, nellarea sottostante il mosaico del Frigidarium, oggi ricoperti, sembrerebbero relativi ad un edifcio pubblico di notevole mole di et repubblicana (II-I sec.a.C.).

    Al I sec. d.C. riconducibile la prima realizzazione sicuramente termale. Dal-lingresso sulla via basolata un breve corridoio immette nellatrio con Implu-

  • 51In principio fu Venusia

    vium o vasca al centro e pavimento a mosaico a motivi vegetali con tessere bianche e azzurre. Dei due vani laterali, forse aperti sulla strada, quello orientale conservava tracce dellalloggiamento di grossi contenitori per derrate alimen-tari (Dolia). Affacciano sullatrio quattro stanze o Cubicula, mentre sul lato di fondo si apre il vano principale, anchesso mosaicato, da identicare con il Tabli-num ancheggiato dalle Alae.

    Gli ambienti adiacenti alla strada meridionale sembrerebbero adibiti, alme-no in parte, a funzione commerciale come Tabernae.

    Sulla stessa via ubicata una domus, con pavimento a mosaici attribuibi-li al II sec. d.C., estesa no al limite opposto dellisolato. Latrio era provvisto di una vasca con cornice modanata per la raccolta dellacqua piovana, poi conser-vata in una cisterna sottostante di cui visibile limboccatura del pozzo. Ai lati si aprivano alcune stanze, mentre sul fondo cera la sala principale, uno stretto corridoio immetteva in un cortile porticato o Peristiylium.

    Castello, ingresso su Piazza Umberto I, Venosa

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    Il settore orientale dellisolato era occupato da un altro complesso, anches-so di uso abitativo, la cui prima fase da collocarsi in et tardo-repubblicana. Lultimo momento di utilizzo, che comport una riorganizzazione degli spazi, con linserimento di una fornace e di alcuni focolari, inquadrabile tra il IV e il VI sec. d.C. Larea, dopo un completo abbandono, fu adibita a necropoli in et al-tomedievale, anche con la realizzazione di fosse comuni, di cui visibile il taglio operato nelle murature sottostanti5.

    Dal Parco Archeologico si ha accesso alle terme romane, alle domus private e allanteatro. II monumento fu realizzato in parte su terrapieno articiale, in parte adagiato sul pendio collinare. Lellisse, scavata solo parzialmente, era co-stituita da un anello esterno pilastrato e da un corpo centrale su tre livelli, occu-pati dalle gradinate della Ima, Media e Summa Cavea. I settori erano sostenuti da tre corridoi anulari e da ambienti delimitati da muri. Il passaggio alle gradi-nate avveniva attraverso lambulacro.

    Al centro dellarena alcuni ambienti sotterranei con funzione di servizio (magazzino per le attrezzature, ricoveri per le bestie da combattimento, ecc.) sono scavati nella roccia e foderati in opera mista. Lanteatro, costruito in ope-ra reticolata nel corso del I sec. d.C., ebbe grossi interventi di consolidamento strutturale durante il II sec. d.C., mediante muri di rinforzo in opera mista, fase in cui sono da ricondursi anche i sotterranei. Ledicio venne realizzato in unare-na (cos chiamata poich ricoperta da un sottile strato di rena che impediva ai gladiatori di scivolare) gi edicata, saldando e perimetrando, con un muro in opera reticolata, due isolati dellestrema periferia cittadina ed una strada6.

    Al centro di Venosa sorge il grandioso castello fatto costruire dagli Arago-nesi nel 1470. La costruzione, che ricorda il Maschio Angioino di Napoli, ha un aspetto regolare, con pianta quadrata, torri cilindriche angolari e circondato da un ampio fossato.

    Nella prima met del secolo XV, Pirro del Balzo, a causa delle disastrose e frequenti incursioni dei nemici, fu costretto a costruire, per la sicurezza dei cit-tadini, una roccaforte. Per fare ci ebbe necessit di demolire la vecchia Catte-drale di San Felice.

    Le caratteristiche torri angolari, che presentano la tradizionale merlatura superiore, custodiscono le armerie mentre nei sotterranei, quasi a segnare il di-stacco dalla vita e dalla luce, sono ubicate le prigioni7.

  • 53In principio fu Venusia

    Nelle segrete della torre Ovest del Castello possibile, ancora oggi, leggere i grafti incisi dai prigionieri che vi erano rinchiusi. Uno di questi, datato 8 aprile 1543, riporta queste testuali parole: Io che gi mai in prigione era stato/ ognun di voi ascolta il mio consiglio/ e ne ricordi come il patre al glio/ che mai di don-na non vi date./ Questo lo diquo e sode in gran spavento/ perch nce so in-cappato a tradimento8.

    Pirro del Balzo promise, al vescovo Nicola Pordo, che avrebbe costruito una nuova Cattedrale allinterno della citt.

    Il Tempio, infatti, sorge sul luogo dellantica parrocchia di San Basilio e fu consacrato il 12 marzo del 1531 da Monsignor Ferdinando Serone.

    La chiesa divisa in tre navate, con cappelle laterali. Tra le navate e il pre-sbiterio si erge un maestoso arco gotico. La Chiesa conserva la tomba di Maria Donata Orsini, reliquie e dipinti. annesso il campanile di 42 metri la cui costru-zione dur 125 anni9.

    Proseguendo per via Frusci si giunge in un violetto tra il n. 12 e il n. 14 dove da tempo in tempo-scriveva un cronista del 500- e dalli nostri avi e bisavis detto e si dice che sono le case dOrazio Venosano. Pare che qui sia nato il poe-ta Quinto Orazio Flacco.

    Si tratta di un edicio romano, nel quale in realt sono stati individuati am-bienti termali di una casa patrizia, composti da una sala rotonda che costituiva il calidario (la stanza per i bagni dacqua calda) e di un attiguo vano rettangolare.

    La facciata mostra visibili tratti di strutture romane rivestite di mattoni a le-gatura reticolata, mentre a sinistra dellingresso murato un bassorilievo10 .

    Fuori dal centro abitato nella zona di Notarchirico situato il Sito del Paleo-litico inferiore, datato a circa 359.000 anni fa e situato nelle vicinanze di Venosa. Limportanza del parco data dal fatto che uno tra i siti europei sul Pleistoce-ne Medio meglio conservati e ricchi di materiali.

    Nel giacimento, scoperto nel 1979 in seguito ad una ricognizione effettuata dallIstituto Italiano di Paleontologia Umana, sono stati effettuati numerosi sca-vi, condotti dal 1980 al 1985 e diretti dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata, che hanno portato alla luce diversi strati abitativi molto estesi con la presenza di manufatti associati a resti di elefanti, bovidi e cervidi. Un cranio di Elefante stato rinvenuto in posizione capovolta, con entrambe le zanne in connessione anatomica e con la mandibola, priva di entrambi i rami ascendenti,

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    dislocata in prossimit dellestremit anteriore della zanna destra. Oltre a que-sto ritrovamento, di notevole interesse anche la presenza nel sito di Palaeolo-xodon antiquus, di Bovidi (Bos primigenius e Bison schoetensacki) e di Cervidi (Dama clactoniana, Cervus elaphus e Megaceros solilhacus) insieme a pi rari resti di rinoceronte, lepre, tartaruga e qualche uccello11.

    Visitare Venosa, ha scritto un poeta locale, come incontrare una bella, ric-ca signora avvolta nel suo scialle di ricordi.

    Peregrinare nei suoi incantati viuzzoli, tra le sue architetture memorabili, come compiere un viaggio a ritroso nei secoli antichi.

    Un viaggiatore inglese (Edeard Lear, Viaggio in Basilicata, 1847) ricorda: Ve-nosa, paesaggio pittoresco e suggestivo quantaltri mai, malinconicamente in-cantevole. Tante delicate bellezze, e antiche vestigia in uno spazio cos limitato, non si vedono spesso.

    Note

    1 Cfr. I Borghi pi belli dItalia, Il fascino dellItalia nascosta, Guida 2004, Club di produzione

    art.23 Statuto ANCI, SER (Societ Editrice Romana), pag. 3492 Cfr. Antonio Vaccaro, Venosa ieri oggi,Venosa, Edizione Osanna, 1983, pp. 38-403 Cfr. Hubert Houben, Il Libro del Capitolo del monastero della S.S. Trinit di Venosa, (Cod.,

    Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno Normanno, Galatina, Congedo, 1994,

    pp. 21-524 Cfr. www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/storia/cenni.htm5 Cfr. www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/monumenti/parco_archeo.htm6 Cfr. www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/monumenti/anteatro.htm7 Cfr. www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/monumenti/castello.htm8 Cfr. I Borghi pi belli dItalia, Il fascino dellItalia nascosta, Guida 2004, Club di produzione

    art.23 Statuto ANCI, SER (Societ Editrice Romana), pag. 3509 Cfr.www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/monumenti/cattedrale.htm10 Cfr. Antonio Vaccaro, Venosa ieri oggi,Venosa, Edizione Osanna, 1983, pag.3411 Cfr. www.comune.venosa.pz.it/struttura_ita/monumenti/sito.htm

  • 55In principio fu Venusia

    Il vino di Orazio

  • 57Il vino di Orazio

    2.1. Il Vino di Orazio

    Il poeta Orazio, nativo di Venosa (Pz), lod le uve, i vini, le olive e i cereali del-la sua terra. Oltre al poeta latino anche limperatore Federico II non era immune allessenza profumata, alla rafnatezza e al sapore dellAglianico.

    Plinio ricorda la fama dei vini di Thurium (Colli di Sibari) e Buxentum (Poli-castro). Il Lagaria serv per far guarire Messala, uomo politico fra i sostenitori di Augusto. Queste alcune informazioni sul vino della Basilicata dellepoca romana.

    Probabilmente i primi magliuoli di vite furono portati in questarea dai co-loni greci sbarcati a Eraclea (Policoro), come testimoniano epigra ritrovate sui resti archeologici del Tempio di Dionisio. Il vitigno principale della regione lAglianico, noto come Gesualdo, ma comunemente chiamato Ellenico per il riferimento alla sua antichissima origine. Si pensa, infatti, che sia stato introdot-to, in Italia, dai Greci intorno al VII-VI secolo a.C. allepoca della fondazione di Cuma.

    Alcuni storici fanno risalire la sua coltivazione ad una data ancora prece-dente e cio addirittura al V-VI secolo avanti Cristo.

    I Romani ne diffusero la coltivazione soprattutto in Campania, ribattezzan-dolo Vitis Ellenica e concessero alla colonia di Venosa di coniare una moneta in bronzo rafgurante Dioniso, divinit fortemente legata alla terra e alla vite, poi assorbita dal culto di Bacco.

    Il nome Aglianico ha origini incerte. Potrebbe derivare dal nome dellantica citt di Elea, sulla spiaggia lucana del Tirreno. Oppure da progenitori greci che presero il nome di Hellenici e che potrebbero essere sbarcati sullo Jonio lucano addirittura 17 generazioni prima che cominciasse la guerra di Troia o essere pi semplicemente una storpiatura della parola Ellenico. A sostegno di questa tesi si ipotizza che, in origine, il nome dellAglianico fosse Hellenico, oppure Eleani-co, o ancora Ellanico.

    Il nome originario (Elleanico o Ellenico) divenne Aglianico durante la domi-nazione aragonese nel corso del XV secolo, a causa della doppia pronunciata gli nelluso fonetico spagnolo.

    Da Ellenico o Ellanico ad Aglianico il passo potrebbe essere stato abbastanza breve, visto che la doppia L di tali denominazioni in lingua spagnola ha lo stesso

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    suono del gruppo GLI di Aglianico, in quella italiana. Proprio in questo periodo lAglianico avrebbe conosciuto grandissima fortuna presso le corti dellepoca. Sante Lancerio ne tramanda un giudizio lusinghiero: et dicevali bevanda delle vecchi, rispetto alla pienezza. Carlo dAngi ordinava per la mensa propria e dei dignitari di corte quattrocento some del buon vino del Vulture, mentre Andrea Bacci cita lAglianico pi volte dicendo che era tratto da uve non tanto nere, piene di succo rubicondo, e duna sostanza mediocremente grassa, densa, pin-gue; e alcolico quando le vendemmie corrono asciutte.

  • 59Il vino di Orazio

    Nel 1629 Prospero Rendella, nel suo TRACTATUS DE VINEA VINDEMIA ET VINO, descrivendo i vini delle Due Sicilie accenna anche al Melaco (Mel) come vino fragrante, dorato e dolcissimo, per nulla inferiore ai vini di Cipro e Creta. A ne 800 in una monograa di Bianchi sui vini della Basilicata, la mi-gliore area per produrre vini di qualit venne giudicata quella del Vulture (Pz), tuttoggi zona deccellente produzione, identicata nel vulcano spento ubicato sul versante adriatico dellAppennino con allinterno due splendidi laghi1.

    Nel 1909 il Carlucci affermava che nella Basilicata era degna di menzione la zona del Vulture, ove i fertili versanti, orientale e di Mezzogiorno, erano coperti da orenti vigneti costituiti quasi esclusivamente da Aglianico. Questo vitigno non era solo coltivato sui declivi di questo vulcano spento, ma pure in tutta la provincia: su 124 Comuni, costituenti la Basilicata, veniva coltivato in 104, ed in 40 di questi gli erano destinate rilevanti estensioni. Nel 1971 lAglianco otten-ne la denominazione di origine controllata (DOC) e si avvia splendidamente a conseguire la DOCG e che rappresenta un sicuro riferimento per i prodotti tipici lucani e per la Dieta Mediterranea.

    LAglianico vitigno di buona produttivit. Il grappolo, di media grandezza ed abbastanza compatto, conico o cilindrico, presenta acini con buccia molto resistente dal colore blu intenso e ricoperta di pruina. La vendemmia dellAglia-nico avviene solitamente tra la seconda met di ottobre e la prima met di no-vembre.

    un vino coltivato in tutto il meridione ma ha trovato la sua zona ideale ai piedi del vulcano Vulture. Questo terreno fertile d vita ad un vino meraviglio-so, dal colore rosso rubino vivo, a volte impenetrabile. Tali qualit hanno valso allAglianico il soprannome di barolo del sud2.

    Note

    1 Cfr.www.taccuini.storici.it2 Cfr. www.consorzioaglianicodelvulture.it

  • 61Il vino di Orazio

    La Cantina di Venosa

  • 63La Cantina di Venosa

    2.2. La Cantina di Venosa

    Dalle terre vulcaniche del Vulture nasce il primo e pi famoso vino Doc lu-cano, lAglianico.

    Ottenuto dal vitigno omonimo, uno dei vitigni autoctoni italiani pi im-portanti, lAglianico del Vulture un nobile vino rosso che ha avuto negli ultimi anni una grande crescita qualitativa.

    Secondo il disciplinare, questo vino nasce dalla vinicazione in purezza di uve Aglianico.

    Le viti erano coltivate soprattutto nella tradizionale forma ad alberello.LAglianico del Vulture non pu essere messo in commercio senza alme-

    no un anno di invecchiamento, per essere qualicato Vecchio necessita di tre anni di afnamento, mentre ci vogliono cinque anni per fregiarsi della qualica di Riserva. La gradazione minima deve essere di 11,5 gradi. un grande rosso, dal colore rubino che tende con il tempo al granato: il profumo ampio e delica-to migliora con linvecchiamento. In bocca equilibrato e giustamente tannico: tende al vellutato con let.

    LAglianico occupa un posto di rilievo nella viticoltura lucana1.Attorno a questo vino nata nel 1957 la Cooperativa a responsabilit li-

    mitata per azioni denominata Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Venosa, costituita da 29 soci promotori.

    Nel cuore della Basilicata, tra le colline vulcaniche del Monte Vulture, tra ter-re di origine molto antiche, si trova, infatti, la Cantina di Venosa, che si estende su una supercie di 900 ettari di terreni coltivati a vigneti ad una altitudine di 400/600 metri sul livello del mare.

    La volont, la costanza, la capacit di aggregazione di questo gruppo di viticoltori hanno fatto s che oggi la Cantina annoveri 500 soci che con pas-sione e grande impegno ottengono il massimo rendimento producendo uve di grande qualit.

    Lobiettivo della Cantina quello di ottenere dalla antica cultura e tradizio-ne vitivinicola, che i Greci e Romani diffusero in Basilicata, un vino dalle caratte-ristiche inconfondibili come lAglianico del Vulture DOC, uno dei vini rossi pi prestigiosi del panorama enologico italiano.

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    La sua istituzione fu sostenuta dallEnte della Riforma Fondiaria. Allindo-mani dell 8 settembre del 1943, nel cuore del Marchesato di Crotone, i braccianti agricoli, spinti dalla fame e in agitazione per le terre comuni usurpate dai grandi proprietari terrieri, invasero e occuparono spontaneamente le terre dei latifondi. La rivolta si estese subito dalla Calabria a tutto il Mezzogiorno, soprattutto nelle tradizionali aree latifondistiche di Lazio, Puglia, Lucania e Sicilia.

    Questi movimenti per la rivendicazione delle terre, portati avanti dai con-tadini meridionali nella primavera e nellautunno del 44, portarono il ministro

  • 65La Cantina di Venosa

    dellAgricoltura e Foreste, il comunista Fausto Gullo, ad emanare il 19 ottobre del 1944, per legittimare le avvenute occupazioni, un decreto per la conces-sione a cooperative di contadini delle terre incolte o mal coltivate, di propriet privata o di Enti pubblici.

    Nellottobre 1949 si veric un grande movimento di occupazione delle terre, guidato dal partito comunista.

    Lotte, occupazioni e ripartizioni delle terre nei territori latifondisti si impose-ro allattenzione di tutta Italia, forzando cos il Governo italiano a riprendere il

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    progetto di Riforma agraria propagandato dai democristiani e a promulgare dei provvedimenti legislativi straordinari.

    Lobiettivo principale della Riforma, era quello di distribuire la terra ai con-tadini, che si trovavano ad essere scarsamente occupati dopo la guerra.

    Si pens di dar vita ad ampi poderi. Dopo vennero, invece, create tante pic-cole aziende date in propriet alla singola persona, in modo che fosse il singolo uomo a poterle gestire, a poter decidere quello che doveva fare e crescere in maniera individuale ed espansiva.

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    Lobiettivo era quello di fare in modo che gli individui potessero liberarsi dallo stato di servit, e che potessero crescere come persone che lavoravano per s e per la propria famiglia in maniera collettiva, non come fatto dimpegno diretto, ma come solidariet tra le persone.

    Un altro compito della Riforma era quello di dare non solo la propriet delle terre, ma anche una casa decente ai contadini.

    La Riforma agraria (fondiaria nella fase applicativa) si articol, perci, in unopera di espropriazione, trasformazione ed assegnazione delle terre (con

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    Fase di costruzione della sala stoccaggio, 1981

  • 69La Cantina di Venosa

    riservato dominio da parte degli istituendi Enti di Riforma zonali e di territorio: Ente Sila, Ente Delta, Ente Fucino etc.) al ne di ridistribuire la propriet, pro-muovere lo sviluppo, superare larretratezza, sollevare la pressione sul braccian-tato agricolo.

    Alla fase di espropriazione seguirono il compimento delle opere di bonica e di trasformazione fondiaria pi urgenti ed inne lassegnazione, da parte degli Enti di Riforma regionali, delle terre espropriate alle famiglie contadine, mediante un contratto di vendita, con clausola di pagamento rateale del prezzo in 30 an-nualit, con la riserva del dominio dellEnte no al completo pagamento2.

    Le leggi di riforma miravano a costruire imprese contadine autosufcienti, considerando la cooperazione quale strumento indispensabile per agevolare e garantire il processo produttivo delle terre. Essa, infatti, puntava alla riduzione dei costi di produzione e ad una maggiore remunerazione del lavoro attraverso un pi conveniente collocamento dei prodotti sui mercati.

    La legge del 12 maggio del 1950 obbliga gli assegnatari, per la durata di 20 anni dalla stipula del contratto di vendita, di far parte delle cooperative e con-sorzi che saranno creati dagli Enti di Riforma per garantire alle nuove propriet coltivatrici la necessaria assistenza tecnica ed economica-nanziaria ed assicu-rare cos il migliore consolidamento dellimpresa agricola3.

    Le unit produttive costituite erano di due tipi: Poderi e Quote.Il primo era riferito alla costituzione di aziende famigliari agricole autono-

    me, cio in s capaci di assicurare quel complesso di redditi che necessario alla famiglia coltivatrice.

    Il secondo tipo, vale a dire la quota, riferito alla creazione di unit produt-tive in s non autonome, ma capaci di reddito tale da integrare gi accertati esi-stenti redditi, prima dellintegrazione in s insufcienti allautonomia familiare.

    I terreni, espropriati dallEnte Riforma ai latifondisti, vennero distribuiti ai braccianti. Non tutti furono soddisfatti, da un punto di vista economico, della ripartizione delle terre fatta dallEnte. Questultimo, allora, o