Cambiailmondo n.1 Febbraio 2012

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Rivista "Cambiailmondo" n.1 Febbraio 2012

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CAMBIAILMONDO

ilmondocambia

anno 1 - febbraio 2012

n°1

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In questo numero:

CAMBIAILMONDO - EDITORIALE FEBBRAIO 2012 di Rodolfo Ricci 4

DA BERLUSCONI A MONTIdi Alfiero Grandi 6

EUROPA: UN TRATTATO DA RIGETTAREdi Roberto Musacchio 14

EUROPA: IL LIBRO NERO DELLE PENSIONIR. M. 17

MERCATO E PROFITTO DEVONO REGNARER. M. 18

PROVE DI GROßE KOALITION IN GERMANIAdi Paola Giaculli 20

Il partito Die Linke sotto controllo:PERICOLOSO PER LA DEMOCRAZIAdi Massimo Demontis 22

UNA RIFLESSIONE SULLA SITUAZIONE GRECA È NECESSARIAdi Alfiero Grandi 24

Lettera aperta del compositore greco Mikis TheodorakisLA GRECIA RISCHIA DI SPARIRE 27

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cambiailmondoN° 1 FEBBRAIO 2012

Le foto che illustrano questonumero sono state tratte dallarete. Desideriamo ringraziare tutti gliautori i cui nomi non siamo statiin grado di reperire. Un ringra-ziamento par ticolare a GaiaSquarci (foto pagina 40) eall’Archivio Alighiero Boetti (fotopagina 43).

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OSKAR LAFONTAINE: LA MERKEL E IL SETTORE FINANZIARIO DISTRUGGONO LA DEMOCRAZIA di Massimo Demontis 30

LA SANTA ALLEANZA CONTRO IL RISCHIO SOCIALISTA IN FRANCIA 31

LA TURCHIA, FOCOLAIO DI CRISI IN MEDIO ORIENTE? di GZ Karl 32

IL NUOVO ELDORADO ARGENTINO: LE PROTESTE DEL FAMATINATRA SVILUPPO ECONOMICO E SOSTENIBILITÁ AMBIENTALEdi Adriana Bernardotti 34

INTERVISTA A JORGE GIORDANIdi Geraldina Colotti 46

IN VENEZUELA IL RESOCONTO ANNUALE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, HUGO CHAVEZdi Attilio Folliero 50

OPZIONE PREFERENZIALE PER I RICCHI. PRIVATIZZARE GLI UTILI, NAZIONALIZZARE LE PERDITE DELL’ELITE GLOBALISTAdi Tito Pulsinelli 52

Joa Pedro Stedile sul Forum Social di Porto Alegre ABBIAMO BISOGNO DI UNITÀ E DI MOBILITAZIONE SOCIALE A LIVELLO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 54

APPROPRIAZIONE INDEBITA DI UNA LINGUA E DISSIMULAZIONE DELLA REALTÀdi Daniela Ricci 57

SegnalazioniFrancois Morin, Un mondo senza Wall Street? 61

Paolo Ciofi, La bancarotta del capitale e la nuova società 49

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Da Berlusconi a Monti, il passaggio

sembrerebbe epocale. L’estetica di

governo cambia repentinamente,

complici i rialzi di spread e i ribassi delle

quotazioni Mediaset che hanno indotto

a più miti consigli il Cavaliere.

Ma il conte-n i t o r e ,cela sem-

pre un contenuto, ed esso, non sembra corrispon-dere alle tante aspettative, comprensibili (perché sida sempre fiducia al nuovo), ma infondate. Anzi, sipotrebbe dire che l’operazione di marketing politi-co di Monti (e Napolitano) è ineccepibile, sulpiano tecnico. Più trascorrono le settimane e igiorni, più il sapore del prodotto risulta sempre piùamaro.In Europa, intanto si approntano gli ultimi dispo-sitivi per rendere stabile e gestibile, ciò che per suanatura è instabile e difficilmente gestibile: la crisisistemica del neoliberismo e quella della prima edunica moneta (della storia) che è emessa e control-lata dai “mercati”, anziché da una Banca Centralee da un Paese: l’Euro, questa chimera.Libero Mercato, Profitto, Competitività, sono glielementi ritenuti basilari per la sostenibilitàdell’Euro e dell’Europa. Quindi, senza mercato,senza profitto, senza competitività, non può esiste-re. Può esistere però senza un Stato. E con un wel-fare ridotto all’osso. Un bel paradosso.

Assieme ai corollari di Flessibilità in ingresso e inuscita nel mondo del lavoro: tra l’ingresso e l’usci-ta, non vi è niente. Solo precarietà quotidiana,quindi permanente. L’Uomo nuovo sta per nasce-re, nella sua forma istituzionalizzata dalla nuovascolastica. Quando a 70 anni, uscirà definitivamen-te dal mondo del lavoro (ammesso che mai vi rie-sca ad entrare), all’uomo nuovo per cui stiamolavorando, resteranno solo pochi mesi per salutareamici e conoscenti e congedarsi per sempre, comenella poesia di Giorgio Caproni, “Congedo delviaggiatore cerimonioso”.Le pensioni e il Welfare, d’altra parte, costano. E sea doverli finanziare sono i mercati, bisogna pureche rendano. E come si fa a far rendere il Welfareper gli investitori ? Enigma.Oppure, diciamocelo, cancellandolo. Redditivitàmassima.Per far sì che la cosa regga, si sono approntatemisure innovative per il sud-Europa: grandi coali-zioni in Grecia e in Italia, e già si preannuncia ilrinnovo di quella tedesca, a far da bastione al prov-visorio primato teutonico della “retta via” polpot-tiana, che pare aver sostituito (geopoliticamente)quello anglosassone, molto pragmatica, ma pocolungimirante nella sua adorazione del debito diffu-so. Per evitare problemi, visto che i rompiballesono presenti anche da loro, i servizi segreti tede-schi hanno messo sotto osservazione Die Linke, ilpartito di Oscar Lafontaine, socialdemocratico exMinistro delle finanze ed ex candidato Cancelliere.Nel frattempo, come ci ricorda Mikis Teodorakis,la Grecia sta sparendo, letteralmente, sotto i dispo-sitivi della Troika (FMI, BCE e CommissioneEuropea), una supercupola, che potrebbe ancheassomigliare alla “supercazzola con scappellamen-to a destra”. Tanto sono ridicole e allo stessotempo micidiali le sue ricette di guarigione imper-niate sul salasso delle risorse del paese per salva-

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cambiailmondo febbraioRodolfo Ricci

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guardare la pancia delle banche creditrici del nordEuropa. Nessuno dice che, a seguito delle succes-sive somministrazioni di rigore, (che l’emerito exvicepresidente della Trilaterale, membro delGruppo Bildberg, consulente di Goldman Sachs edella Coca Cola, Senatore a vita e Presidente delConsiglio, Prof. Mario Monti ha definito “saluta-ri”), il debito pubblico greco è passato dal 120% al160%. Ottima dimostrazione dell’efficacia delleterapie e della qualità dei medici. Ripeta l’esame dimacroeconomia, Senatore!Ma finché l’egemonia mediatica è dalla loro parte,non serve a niente far sapere a pochi attenti checentinaia di migliaia di greci dormano sotto i pontie riempiano le strade, elemosinanti. Per evitareche insorgano problemi o qualcuno metta il basto-ne fra le ruote dell’equipe di sperimentatori, sem-bra persino che si sia consolidata una SantaAlleanza tra premier onde evitare che il candidatosocialista alla presidenza della RepubblicaFrancese, Francois Hollande (avverso al FiscalCompact), arrivi al soglio che fu di De Gaulle:Merkel, Cameron, Rajoy e Monti eviteranno diincontrarlo in campagna elettorale e ciò costituiràsegnale inequivocabile che il neoliberismo europeosa compattarsi nel momento del bisogno e puòstendere a terra chiunque pensi di metterlo con lespalle al muro. Altro che conflitti nazionali! La dottrina, la nuova scolastica, è un bene da tute-lare ovunque, diversamente, ma similmente a quan-to faceva il Patto di Varsavia con i paesi satelliticapricciosi. O come fecero le armate imperiali cen-troeuropee contro la Comune di Parigi. Questavolta l’obiettivo è un pericoloso socialista demo-cratico ! Il nuovo internazionalismo globalista è in azione ei suoi nemici sono essenzialmente nemici interni:no-tav, movimenti ecologisti, sindacalisti, socialde-mocratici, keynesiani, insomma tutta una serie di

nuove varianti eretiche. Solo la sacra follia moneta-rista deve regnare.Eppur si muove. Anzi, si è mosso. Solo che non celo fanno sapere: in America Latina, hanno subitoper lungo tempo, ma superato da un bel decennio,le imposizioni dei Chicago Boys. Con ottimi risul-tati quantitativi e qualitativi. Ma in Italia e inEuropa, non vi sono orecchie per ascoltare quelmessaggio: sarebbe troppo che quelli del sud civengono a insegnare qual è la via d’uscita.Nel prossimo numero di Cambiailmondo, AdrianaBernardotti e J. Carlos de Assis ci racconteranno daBuenos Aires e da Paraiba, come anche i conserva-tori latino-americani sogghignino per l’insipienzadell’Europa odierna. (Chi vuole se lo può leggereadesso su www.cambiailmondo.org: La crisi europeae italiana vista dall’Argentina: fine del mito europeo e Gliassassini del progetto socialdemocratico europeo)Soprattutto una bella fetta di sinistra (?) continuaad oscurare ciò che accade a sud: sarebbe comedover tirare i remi in barca e ammettere la sconfit-ta della terza via Gyddenesiana che tanti adeptiregistrò anche sul suolo patrio.E quindi nessun contrasto all’appropriazione inde-bita della lingua e del vocabolario che i media eser-citano quotidianamente per confondere le acque eper esorcizzare la possibile rivolta.Comunque i sondaggi (assieme ai forconi), ci ven-gono incontro.In Italia resta un 3% a mantenere una residua fidu-cia verso questa compagine politica che si apprestaa organizzare i nuovi comizi elettorali. Comizi perche cosa ? Quando tutto sarà deciso dalla cosiddetta Europache ci richiama al dovere e al rigore, su cosa legife-reranno i novelli deputati e senatori italici ?Sul colore dei tovaglioli nei ristoranti ? O sul con-tenuto di aria fritta nelle buste di pop-corn ?Buona lettura e buona visione.

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Qualcuno aveva gettato ilcuore oltre l’ostacolosostenendo che il pas-

saggio del testimone del gover-no da Berlusconi a Monti avreb-be risolto almeno una parte dellacrisi finanziaria del debito pub-blico italiano.Purtroppo il disastro creatodalle menzogne raccontate sulreale stato dell’economia italianadal governo Berlusconi – cheancora a luglio 2011 parlava avanvera di nuovi sgravi fiscali –ha reso molto più difficile per ilnostro paese risalire la china in

cui l’ha precipitato la caduta dicredibilità causata da oltre 3 annidi menzogne e dall’assenza dipolitiche adeguate.Il cambio di testimone tragoverni c’è stato, ma l’ereditàricevuta dal governo Berlusconiè purtroppo pessima e anche lamanovra approvata in dicembre– che è il biglietto da visita delgoverno Monti – non ha la forzanecessaria per invertire la rottaed è inadeguata sotto il profilodell’equità.Essa ha inoltre riproposto unalogica dei due tempi (prima il

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DA BERLUSCONI A MONTIDa dove nascono le difficoltà dell’economia italiana. La

crisi economica e occupazionale del nostro paese è più

grave di quanto si pensi e per superarla occorre una poli-

tica economica coraggiosa e innovativa.

Per la distinzione in due tempi della manovra il governo

non ha usato al meglio le risorse per sostenere la ripresa.

L’inflazione è un pericolo per i redditi bassi e per la ripresa

dell’economia. Lotta all’evasione e giustizia fiscale resta-

no obiettivi centrali.

di Alfiero Grandi

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risanamento, poi la ripresa e l’oc-cupazione) che ha perseguitatoin passato anche i governi dicentrosinistra con risultati nonpositivi.Il fulcro della prima manovra delprof. Monti è stato mettere inordine i conti dello Stato ma –paradossalmente – la critica dei“mercati” è centrata esattamentesull’assenza di misure credibiliper il futuro dell’economia italia-na. Come del resto segnala la dif-ferenza tra gli spread sui titoliitaliani a breve termine e quelli amedio-lungo termine. È dunqueinutile negare che la distanza trai titoli italiani a dieci anni e quel-li tedeschi non si riduce nellamisura sperata, malgrado la cre-dibilità del governo Monti siaben diversa da quella del gover-no Berlusconi.

IIll pprroobblleemmaa ddii ffoonnddooLe difficoltà per l’Italia sonoquindi concentrate sul futuro. Icosiddetti mercati non capisco-no se possono fidarsi dell’Italianel mediolungo periodo.A questo va aggiunto che il debi-to pubblico italiano è a scadenzamedio-lunga, la qual cosa è statafinora un punto di forza per iconti pubblici, rendendoli piùstabili approfittando della dispo-nibilità a sottoscriverli. Ma nel-l’attuale situazione di instabilitàfinanziaria questo fatto, che finoad ora è stato un punto di forza,espone maggiormente il nostropaese all’umore mutevole deimercati e finisce con il caricare ilpeso di interessi più gravosi per

un lungo periodo di tempo.Detto per inciso: forse ancheuna diversa gestione delle sca-denze dei titoli pubblici italianipotrebbe limitare i danni dell’au-mento degli interessi, che perora è sopportabile, ma diventapiù pesante man mano che iltempo passa. Ma questa è tatticacongiunturale.Il problema di fondo è invece ladifferenza di credibilità a medio-lungo termine tra le politiche e leeconomie nazionali. Il problemanon è stato, almeno per ora, nep-pure sfiorato dal nuovo governo.Si è ritornati nuovamente allalogica dei due tempi: prima simettono in ordine i conti pubbli-ci, poi si pensa alla ripresa.In realtà, i due argomenti sonostrettamente connessi. Ad esem-pio, la convinzione di molti con-servatori che dopo il risanamen-to finanziario verrà la ripresa,quasi come una conseguenzanaturale, è destituita di fonda-mento.Il risanamento può preparare almassimo le premesse, ma laripresa è un argomento che hatutt’altro spessore, richiedeinterventi specifici e non derivaaffatto automaticamente dallaprima scelta. Risanamento finan-ziario, liberalizzazioni e inter-venti sul mercato del lavoro nonbastano a prefigurare una ripresaeconomica, neppure dal puntodi vista neoliberale. Semmai ilvero problema è che teneredistinti gli argomenti e i tempi diattuazione fa correre un graverischio, che infatti è purtroppo

presente nella manovra volutadal governo Monti. La tassazio-ne ad esempio può avere caratte-re inflazionistico oppure no. Unprovvedimento fiscale può esse-re pro-ripresa, oppure pro-cicli-co e quindi fattore di aggrava-mento della recessione e perfinoprovocare danni sul tessutooccupazionale.

LLaa ccrriissii eeccoonnoommiiccaa ee ooccccuuppaazziioonnaalleeLa recessione è già iniziata e cisono avvisaglie preoccupantisulla sua reale portata: se larecessione andasse oltre lo 0,5 %previsto dal governo richiede-rebbe un’ulteriore manovra diaggiustamento dei conti, perchéla recessione inglobata nellamanovra di Monti è appunto diquesta portata.Tenere distinti gli interventi e lefasi non aiuta a ricomprendere inmodo coerente i provvedimenti.Un esempio: la maggiore tassa-zione a carico dei redditi più altivista come elemento di maggio-re equità è importante anchecome fattore economico. Perchépuò evitare la riduzione dei con-sumi in quanto colpisce settoridella società che presumibilmen-te non diminuiranno i loro con-sumi anche se tassati maggior-mente. Mentre la tassazione deiredditi bassi colpisce fasce dellasocietà che come conseguenzariducono immediatamente i con-sumi perché non hanno marginedi manovra sul reddito.L’equità quindi discende da unfattore etico, ma è anche una

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scelta di politica economica per-ché se ben applicata può ridurrel’impatto recessivo sottraendomeno risorse ai redditi più bassie quindi ai consumi.Oggi infattiuna delle leve più importanti è laripresa della domanda interna,fortemente depressa dalle misu-re restrittive.Inoltre il prelievo impositivo suiredditi riduce al minimo l’impat-to inflazionistico, che invece èuna conseguenza prevedibile nelcaso dell’aumento della tassazio-ne indiretta sui beni di consumo.Anche per questo riesce difficilecapire perché alcuni settori sin-dacali parlano con leggerezza diaumentare l’Iva per usarne gliintroiti per diminuire la tassazio-ne sui redditi bassi. Cosa cherischierebbe di essere una partitadi giro se non peggio.Anche in questo caso la tassazio-ne diretta è in rapporto conl’equità, ma è anche un fattore dipolitica economica, con effettiben diversi a seconda delle scel-te concrete.

PPeerr uusscciirree ddaallllaa ccrriissiiNelle prossime settimane ilgoverno dovrà esporre le sueproposte di politica economicaper la ripresa e forse per questoqualche suo fervido sostenitoreha messo le mani avanti, chie-dendo di rinviare il giudizio anon prima della fine dell’anno: laprudenza non è mai troppa.In realtà non è questione di pru-denza. La questione è che la curada cavallo del risanamentofinanziario, iniziata dal governo

Berlusconi e conclusa (per ora)con quella del governo Montirischia di gelare le possibilità diripresa se non c’è un chiaroorientamento su cosa fare.L’enfasi sulle liberalizzazioni, adesempio, sembra francamenteeccessiva. Certamente c’è biso-gno di togliere di mezzo difesecorporative, ma non è detto chequelle normalmente elencatesiano le peggiori. In ogni caso illoro peso sull’economia non ètale da mettere in sicurezza laripresa economica.Alcuni numeri che vengono for-niti sulla presunta influenza chealcune liberalizzazioni avrebberosul Pil sembrano sovradimensio-nati. Se guardiamo alla forma-zione dei redditi personali c’èqualcosa di eccessivo nel divariotra reddito di chi lavora e quellodei megamanager, in particolaredei settori finanziari.Anche la Banca d’Italia si èespressa per un contenimentodei livelli retributivi che sono400-500 volte maggiori del red-dito medio dei lavoratori.Infatti la Banca d’Italia ha auspi-cato regole più serie in materia,ma non risulta che ci siano rego-le cogenti. Si tratta di un auspi-cio, di una raccomandazione.

In materia di redditi potrebbeesserci una proposta semplicema importante: per alcuni anni(almeno quanto quelli del bloccodella rivalutazione delle pensio-ni) i redditi dei manager dellebanche, delle assicurazioni, dellegrandi imprese ecc. non devonopoter crescere e quindi sonocongelati ai livelli attuali. Se cre-scono il fisco provvede automa-ticamente a incamerare la diffe-renza. Se per 2 anni i pensionaticon un lordo poco sopra i 1400euro al mese non hanno rivaluta-zione, anche i manager di variotipo possono pazientare.Non è un discorso astratto, poi-ché appena c’è stato un accennodi ripresa alla fine del 2009 que-sti redditi hanno ripreso a cre-scere come se nulla fosse.Questo per confermare che unapolitica di sostegno alla ripresaha bisogno di una esplicita poli-tica dei redditi: quali contenere equali sostenere. Naturalmente èsolo un esempio tra i tanti possi-bili. Quindi le liberalizzazionipossono in alcuni casi essereutili, mentre in altri sono unamera scusa per privatizzare ser-vizi pubblici o cercare di riman-giarsi i risultati positivi dei recen-ti referendum abrogativi, igno-rando completamente ogniriflessione sui beni comuni.Riflessione sui beni comuni chedovrebbe essere la migliore ere-dità dei referendum del giugnoscorso.La ripresa economica e in parti-colare il sostegno all’occupazio-ne richiedono misure precise e

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mirate. Alcune di queste misurerichiedono risorse e altre no,masono anch’esse ugualmentenecessarie. La finalizzazione nonè un optional, ma una condizio-ne per adottare misure efficaci,tanto più in una fase di risorsescarse. Solo con nuove costru-zioni non si andrà molto lontano.Ancora risuona l’eco della banali-tà dell’affermazione diBerlusconi, secondo il quale“quando le costruzioni vanno,tutta l’economia va”. Non è così.Non solo perché la vicenda spa-gnola è ancora sotto i nostriocchi, ma soprattutto perché lacompetitività sui mercati inter-nazionali si misura sulla produ-zione industriale, sui servizi diqualità, sulla produzione di ideee progetti.Per questo il governo dovrebbepuntare ad avere una politicaeconomica ed industriale, impo-stando dei progetti che il paeseintero possa ritenere importantiper il suo futuro.

IIttaalliiaa eedd EEuurrooppaaÈ evidente che tutto questo nonpuò essere risolto solo a livellonazionale, ma richiede più chemai un orizzonte europeo chepurtroppo non c’è e questo inde-bolisce moltissimo la possibilitàper il nostro paese di farcela.L’ideologismo tedesco dominan-te impone manovre restrittive araffica ai paesi ritenuti meno vir-tuosi, anzi spendaccioni, fino asfiancarli, come nel caso dellaGrecia.Si possono reggere con fatica le

conseguenze del risanamentofinanziario con un’economia inripresa, ma senza questa sareb-bero guai seri se dovesse preva-lere la richiesta tedesca di ridurredi un ventesimo l’anno il debitopubblico italiano oltre il parame-tro ritenuto accettabile del 60%,senza nemmeno le attenuazionisul risparmio dei cittadini. Cosìdovremmo trovare 40 miliardil’anno per ridurre ulteriormenteil debito pubblico. La recessionediventerebbe endemica e senzasbocco. Le conseguenze socialisarebbero terribili.Quindi il problema vero è laripresa economica dell’Italia, cheperò nelle attuali condizioni nonpuò esserci senza l’introduzionedi misure adeguate, anche per-ché la contrazione presente intanti paesi e il pericolo incom-bente che l’insieme dell’Europaentri in recessione rende moltopiù difficile puntare sulle nostreesportazioni.Forse proprio per questa distin-zione in due tempi della mano-vra straordinaria il governoMonti non ha usato al meglio lerisorse rastrellate per sostenerela ripresa.Infatti le misure sulla riduzionedell’Irap sul lavoro sono tali da

non essere in sé disdicevoli, madi tale dispersione da non averela forza di incoraggiare nuoveassunzioni per i giovani e ledonne e nemmeno di mantenerequesta occupazione se le aziendedovessero decidere di ridurre gliorganici.Con la manovra sull’Irap si èarrivati all’incirca a un 2% diriduzione dei costi, che puòalleggerire le imprese ma non èin grado di muovere positiva-mente l’asticella dell’occupazio-ne. Come si dice: male non fa,ma questa misura non ha la forzadi impegnare un’impresa a tener-si i lavoratori o ad assumernealtri.In situazioni di emergenza è pre-feribile finalizzare con precisio-ne, concentrare gli interventi inmodo stringente. Ad esempio èpreferibile decidere che per uncerto periodo, diciamo tre anni,per i giovani e le donne assunte– oltre la pianta organica già esi-stente – le aziende non paghe-ranno contributi, che quindisarebbero interamente a caricodello Stato. Questa misura sareb-be tale da aiutare la crescita del-l’occupazione. Se poi – come inpassato – venisse messa la clau-sola che per godere di questafiscalizzazione per tre anni lacondizione è l’assunzione atempo indeterminato, il risultatopotrebbe essere sorprendente.È già accaduto che con unamisura analoga presa alcuni annifa, in piena epoca del “flessibileè bello”, è riemersa l’occupazio-ne a tempo indeterminato, che

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tanti blateravano non esistesseormai più.

LL’’iilllluussiioonnee ddii uunn rriittoorrnnoo aall ppaassssaattooLe misure per la ripresa econo-mica richiedono anche la capaci-tà di fare i conti con la qualitàdello sviluppo.La qualità dello sviluppo, ovverocome dicono molti un altromodello di sviluppo, non è unobiettivo per il dopo crisi.Seriamente si pensa che questacrisi sia una semplice pausa etutto il problema si riduce al tor-nare a prima di essa, come senulla fosse, solo mettendocialcuni anni per tornare al puntoprecedente?C’è anzitutto una questionefinanziaria. La finanza interna-zionale, nei suoi vari aspetti, èormai 8-9 volte il Pil mondiale.Una massa di capitali enorme,che si muove come uno tsunami,o se si preferisce una muta dicani guidati dal corno da cacciadelle agenzie di rating. Venti-trenta anni fa la situazione nonera questa.Resta il fatto che il problema dimettere sotto controllo i movi-menti della finanza e le sue atti-vità è una premessa per uno svi-

luppo equilibrato, degno di que-sto nome, mentre ora gli ele-menti distruttivi del capitalismofinanziario hanno raggiuntolivelli impressionanti. Non acaso Buffet li ha definiti armifinanziarie di distruzione dimassa.Quindi il primo problema è chedal 2008, scoppio della crisifinanziaria, ad oggi la situazionedei mercati finanziari è quella diprima, forse perfino peggiore.L’imperativo assoluto che non sipossono mettere limiti e vincoliai movimenti dei capitali finan-ziari domina più che mai e natu-ralmente ne sono parte l’usostrumentale delle resistenze diqualcuno per giustificare il nulladi fatto. Come nel caso dellaTobin tax, che sembrerebbeavere tanti consensi, salvo vinco-lare la sua introduzione al con-senso di chi non è d’accordo,con risultati che ricordanoBertoldo e l’albero a cui voleva-no impiccarlo che naturalmentenon trovava mai di suo gusto.Anche l’enorme immissione diliquidità nelle banche decisadalla Bce non sta dando i risulta-ti attesi perché è un po’ comeaumentare il metadone, in situa-zioni estreme è necessario, ma

non può essere una cura. Il pro-blema di fondo sono le regole daintrodurre nei mercati finanziari.Sarebbe interessante, ad esem-pio, sapere perché la Consobnon è intervenuta per fermare iltracollo in borsa di Unicredit.In questo quadro lo spread ècome un’altalena. Per alcuni gliinteressi sono troppo alti, comeper l’Italia, ma per la Grecia èmolto peggio. Per altri come laGermania sono molto bassi per-ché diventano il rifugio dei capi-tali che fuggono.Gli Usa per decenni hanno fattocoesistere un’economia in diffi-coltà e una bilancia commercialepassiva con una bilancia finan-ziaria in attivo perché attraevanoi capitali dall’estero. PerfinolaCina è grande detentrice (unquarto del totale) di titoli deldebito pubblico statunitense.Oggi la Germania beneficia diuna situazione simile e colloca isuoi titoli del debito pubblico acondizioni invidiabili, alcuniaddirittura sotto il livello nomi-nale dei titoli. Vi è qualcosa distrano in quanto sta accadendonei mercati finanziari.I capitali finanziari che fannoperno sugli Stati Uniti hannocertamente volontà speculative el’euro in quanto tale è entratonel mirino.Un’altra moneta forte che nelmondo affianchi il dollaro comevaluta dominante non sembraessere gradita da gruppi finan-ziari importanti con base negliStati Uniti e forse la Germania,almeno una sua parte, non è deltutto al riparo dalle sirene che laspingono in una posizione appa-rentemente più favorevole, main realtà isolata da gran parte del

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resto dell’Europa, facendo levasulle posizioni tedesche chehanno sempre guardato con dif-fidenza all’abbandono delmarco.La Germania viene spinta daqueste posizioni a fare da sola,con la compagnia di qualcheadepto, per sfruttare le condizio-ni più convenienti e in alternati-va a questa deriva altri settoritedeschi non trovano di meglioche imporre condizioni moltopesanti nelle regole della finanzapubblica degli Stati consideratispendaccioni.Da qui la pressione della Merkelper ottenere preliminarmentel’adozione nelle Costituzionidegli Stati europei di una regolasimile a quella che è nellaCostituzione tedesca, che obbli-ga al pareggio di bilancio. Inquesto vi è un salto di qualità,perché si passa da una sceltapolitica, discutibile fin che sivuole ma sempre appartenenteal rango delle scelte, che sonoquindi modificabili, a una vera epropria ideologia da imporrecome regola permanente nelleCostituzioni.

FFiinnaannzzaa ppuubbbblliiccaa iinn oorrddiinnee ee rriipprreessaa eeccoonnoommiiccaa La manovra varata a dicembredal governo Monti per rimetterein sesto i conti pubblici italianinon basta per mettere in sicurez-za il nostro paese perché l’inter-rogativo a cui occorre risponde-re è se l’Italia reggerà nel tempoe sarà in grado di riprendersi, diavere un futuro di sviluppo e dioccupazione.

OOccccoorrrree eevviittaarree ssaallttii llooggiicciiUna manovra per mettere in

ordine i conti pubblici era neces-saria per tornare ad avere unruolo in Europa e allontanare lospettro del default. Il default nonè mai stata una vera alternativa.Anche se proposto talora dasinistra in realtà questa prospet-tiva non ha mai spiegato comefare fronte al dramma di unsecco impoverimento moltomaggiore di quello creato dallemisure restrittive – degli stratisociali più deboli.Escluso il default come alternati-va possibile, resta solo da discu-tere le diverse opzioni per farefronte a questa fase turbolenta.Ed è proprio questo il punto:non è affatto vero che una voltadetto no al default e concordatosull’esigenza di uno sforzo stra-ordinario per affrontare i proble-mi posti da un debito pubblicoeccessivo (che il governoBerlusconi ha lasciato lievitarefino al 120 % del Pil, bruciandotutti gli sforzi precedenti) i con-tenuti della manovra del governoMonti, compresa la distinzionetra fase 1 e fase 2, fossero gliunici possibili.Quindi non c’è un rapportocausa effetto tra il risanamentofinanziario e questa manovra.Anche la giustificazione che que-ste misure ce le ha chiestel’Europa non regge, visto che lostesso Monti ha detto aperta-mente che qualcuno dall’Italia hasuggerito all’Unione di richiede-re queste misure.Del resto basta ricordare i detta-gli della lettera della Bce per capi-re che chi ha scritto quel testoconosceva molto bene la situa-zione italiana e in quell’ambito sischierava nettamente su un fron-te conservatore e liberista.

PPootteevvaannoo eesssseerrccii mmiissuurree ddiivveerrssee??Certamente. I contenuti dellamanovra varata dal governoMonti, anche con le correzionifatte in parlamento, resta unamanovra che poteva avere alter-native, bastava volerle, a condi-zione di non soggiacere alla Bce..Un’altra manovra poteva mag-giormente garantire un fortegrado di equità che la manovraadottata dal governo Monti pur-troppo non è riuscita a dare.Ora è palese un tentativo di dareper scontato quanto è stato giàdeciso, ma non sarà così facile,perché sono centinaia di migliaiai lavoratori intrappolati nellaterra di nessuno tra lavoro epensione, a causa dell’allunga-mento drastico di 5-6 anni del-l’età di pensionamento; e almenosu questo punto sarebberonecessarie altre correzioni.Vedremo se i partiti che sosten-gono il governo saranno coeren-ti con gli impegni a correggerealmeno alcuni aspetti dellamanovra, in particolare sullepensioni.

IInnffllaazziioonnee,, eevvaassiioonnee,,ooccccuuppaazziioonneeCosì sarebbe un errore dare perscontata la decisione di aumen-tare di 2 punti l’Iva sulle aliquotedel 10% e del 21% dal prossimoottobre 2012. Sono già forti letensioni inflazionistiche, spintedall’aumento dai prodotti petro-liferi e non basterà a frenarle laliberalizzazione della loro vendi-ta. Né basteranno altre misure diliberalizzazione.Da troppo tempo i governirinunciano a controllare seria-mente la formazione dei prezzi,

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a partire da quelli petroliferi,anche a costo di reintrodurremisure di controllo e restrittive.Non bastano le varie Autorità e iloro controlli attuali. Ad esem-pio il governo, in nome dell’inte-resse collettivo, potrebbe benis-simo richiedere direttamente alleAutorità l’avvio delle proceduredi infrazione. Questi controllipotrebbero dare risultati perfinomaggiori delle liberalizzazioninel settore. Il governo ha decisoper parte sua aumenti delleimposte che amplificano glieffetti delle speculazioni sul mer-cato dei prodotti petroliferi.L’inflazione è un problemaoppure no? L’inflazione è unproblema serio e non può diven-tare lo strumento indiretto perfare tornare i conti, sia delloStato che delle imprese.Anzitutto perché i redditi,soprattutto quelli più bassi, sonogià sotto pressione, ad esempioper il blocco dei contratti pub-blici e della rivalutazione dellepensioni sopra i 1400 euro lordi,per la riduzione dell’occupazio-ne, per la perdita di redditodovuta alla cassa integrazione ealla disoccupazione. Lo spreadsi combatte anche con il conte-nimento dell’inflazione.Del resto solo così si può chie-dere ai risparmiatori italiani diaumentare la sottoscrizione dititoli pubblici.La scelta contraria significa usare

l’inflazione per fare tornare iconti pubblici (ad esempio con ilblocco della rivalutazione dellepensioni e lasciando lievitare iprezzi), con il risultato di peg-giorare seriamente le condizionidi vita di milioni di persone e dicomprimere pesantemente ladomanda interna. L’inflazione èla tassa più iniqua e ingiusta.Per questo l’aumento dell’Iva dal1° ottobre andrebbe evitato contutti i mezzi possibili. Per questotornano utili la lotta all’evasione,l’adozione di una vera e propriapatrimoniale, l’unificazione delprelievo fiscale con le stesseregole su tutti i redditi qualun-que sia la loro provenienza, apartire dalle rendite di qualun-que tipo.Non è più tempo di trattamentidi favore. Tassare tutti allo stes-so modo per tassare meno i red-diti bassi.Tuttavia, la questione centraleresta come riconquistare fiduciasul futuro dell’Italia, anche perabbassare lo spread, per dareprospettive al nostro paese, il cuifuturo occupazionaleConfindustria per prima hadescritto in modo allarmante.Per questo obiettivo è certonecessario il lavoro che stafacendo Monti in Europa percercare di ottenere una politicaeuropea per uscire dalla crisi.Insieme è necessaria un’iniziativapolitica italiana con al centro il

problema dell’occupazione.Perché ora che si aprono spaziconcreti a livello europeo non sisviluppa un’iniziativa nel parla-mento italiano per l’adozione intempi brevi della Tobin taxcome primo passo per metteresotto controllo i movimenti spe-culativi di capitali?Adottare la Tobin tax comehanno fatto altri paesi è possibi-le, basta volerlo; altro è la suaeffettiva entrata in vigore, chepuò essere legata alla decisionedi un numero congruo di paesieuropei, senza cadere nella trap-pola dell’unanimità. Del restoquesta è esattamente l’imposta-zione della legge francese sullaTobin tax introdotta dalla gau-che e mantenuta in vigore daigollisti. Perché tutte le sinistrenon prendono un’iniziativacomune per porre il problema diun’Europa che metta al centrogli interventi per lo sviluppo edell’occupazione? Potrebbe con-tribuire a rimettere in motoun’iniziativa analoga a livelloeuropeo.Questo per confermare chesarebbe il momento di riprende-re l’iniziativa politica per ribalta-re un’attenzione troppo concen-trata sui conti anziché sullo svi-luppo.Non è il momento per ipartiti di Centrosinistra di resta-re in panchina. Del resto anchein Italia, preso atto della fasestraordinaria, il modo migliore

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per dare un contributo non èrestare in attesa delle elezioni.Occorre mettere al centro lo svi-luppo senza il quale lo spreadcontinuerà ad agire come unnodo scorsoio sull’Italia.Per questo occorre mettere l’ac-cento su interventi pubblici,pochi e ben mirati, per rimetterein moto l’economia. Disperderegli interventi servirebbe solo adisperdere le poche risorse. Adesempio, in materia di energiaoccorre puntare sulle fonti rin-novabili e sul risparmio e in que-sta direzione concentrare lerisorse per aiutare a costruiresettori produttivi, competenze,ecc. Esattamente come ha fattola Germania in questi anni.La cantieristica è in crisi mapotrebbe anche essere la base diuna conversione energeticaverso l’eolico off-shore. Nonserve pensare a come tornare aprima della crisi. Occorre pensa-re a come cambiare, dopo lacrisi, il modello di sviluppo inmondo da renderlo più forteperché rispettoso dell’ambientee socialmente più equo. Non ilcontrario. In altre parole la poli-tica di sviluppo non è dare piùrisorse senza finalità alle impre-se, risanare le banche senzaintrodurre nuove regole. Vuoldire invece invece decidere unaqualità diversa dello sviluppo edella vita. Per impostare un com-pito così arduo c’è bisogno di

più iniziativa politica. Per questoil centrosinistra dovrebbe evitaredi farsi distruggere dal peso diquesta fase politica straordinaria.La foto di Vasto andrebbe raf-forzata, semmai aggiungendoaltri soggetti, non strappata. Perquesto c’è da chiedersi se pro-prio ora non si debba costruireun programma comune, cheattraverso una sorta di patto diconsultazione permanente tra leforze del centrosinistra, siano ono sostenitrici del governo,gestisca questa complicata fasepolitica e prepari da subito ilfuturo appuntamento elettorale.C’è chi anche nel centrosinistrasi identifica con questo governo.Come sempre c’è chi è più reali-sta del re, ma il centrosinistradeve cercare di reagire all’emer-genzialismo, alla straordinarietàrecuperando errori e limiti che lohanno portato alle difficoltàattuali. Questo potrebbe perfinodare al governo Monti un mag-giore apporto nelle forme giusteRappresentanza del lavoroConcertazione vuol dire ricono-scere il ruolo del sindacato e deilavoratori e quindi risolvere, adesempio, il caso Fiat. Perché maiil centrosinistra dovrebbe oggiaccettare di regredire dalla con-certazione come perno dellerelazioni sindacali, in alternativaalla rottura settaria che ha carat-terizzato la politica del Governodi centro destra ?

La concertazione fu l’apportomigliore del governo Ciampi,che non a caso recuperò nel1993 la precedente rottura del1992. L’accordo realizzato daCiampi riuscì a tenere insieme,pur con limiti che non vannodimenticati, difesa dei redditi,occupazione, sviluppo, risana-mento finanziario. Di questo c’èpiù che mai bisogno oggi.La posizione spesso autorefe-renziale del governo è un pro-blema serio. Una posizione for-temente tecnocratica, temperatadall’esigenza di avere il consensoin parlamento, rischia di chiude-re lo spazio di intervento delleforze sociali e del sindacato inparticolare.I lavoratori, i disoccupati, i pen-sionati, i giovani hanno bisognodi fare sentire i loro problemi, diavere una rappresentanza ade-guata, altrimenti tutto diventeràpiù difficile e gli squilibri sonodestinati ad aumentare con laconseguenza, troppo spesso tra-scurata, che l’intero paese sareb-be condannato alla stagnazione ead un impoverimento.

(da «Critica marxista»)

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Bisogna avere ben chiaro di cosa si sta deci-dendo. Una modifica del TrattatoEuropeo, che poi è più precisamente un

Patto Fiscale Intergovernativo, sottoscrittoappunto dai governi, che porta a compimento laricostruzione degli architravi europei iniziata conla task force salva stati e poi continuata con lacostruzione di Europlus, l’approvazione del sixpack, e articolatasi nei vari Stati con le manovrefinanziarie dettate da Bruxelles e l’evoluzione deiquadri politici di vari Paesi, in queste ore è laSlovenia che sta per avere un banchiere a capo delgoverno, verso esecutivi funzionalizzati al proces-so in corso.Il patto fiscale intergovernativo per altro ha in sé laspudoratezza di non risultare neanche una revisio-ne del trattato europeo, ostato come è per altro dalveto inglese, ma fa si che i governi si arroghino il

potere di modificare direttamente le loroCostituzioni nazionali. Un potere che se puremagari rispetterà alcune procedure formali previ-ste, sarà talmente indiscutibile che queste modifi-che costituzionali avverranno, e anzi già avvengo-no, per imperio sostenuto dalla dichiarazione distato di emergenza che ormai vige in Europa.Allo stato attuale nessuno, o quasi, mostra di saperresistere all’incedere degli eventi. La governancetecnocratica, composta da governi del ConsiglioEuropeo, Commissione Europea, BCE e FMI,lavora a pieno regime. Le direttive di austerityimposte sono sorrette dal sixpack e contengononumeri e metodologie insindacabili. Il sostegnomassmediologico volto a creare l’impossibilità deldissenso, è impressionante. La colpevolizzazionedei cittadini è sistematica, così come la costruzio-ne dei capri espiatori, giusti o sbagliati che siano.

EUROPA: un trattato da rigettaredi Roberto Musacchio

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Ciò che è intoccabile è il sistema, quello dellafinanziarizzazione e della lex monetaria. Pocoimporta che tutto dica che le misure prese noncurano, ma aggravano la malattia, basta vedere ilpaziente greco ormai morente. Si deve cambiare ilvolto della democrazia sociale europea, aprirespazi a nuove scorrerie del capitale finanziario neisantuari di quello che fu il welfare ( basta leggere aproposito il recentissimo documento della deutchbank sulla necessità delle più vaste privatizzazionidei servizi ); piegare ogni idea di soggettività col-lettiva del lavoro; ridurre la politica a pura servadegli interessi dominanti.I distinguo sono assai flebili . Il ParlamentoEuropeo, che qualche giorno fa dichiarava, perbocca dei 4 propri membri delegati a discutere conil Consiglio la bozza di nuovo trattato, la inaccetta-bilità totale di procedure e contenuti, ora approvauna risoluzione, blindata ed inemendabile, di 4gruppi, Popolari, Socialisti e Democratici, Liberalie Verdi, che in buona sostanza riformula l’inaccet-tabilità in dissenso e lo circoscrive alla richiesta cheal rigore si accompagni, e non si sostituisca, lo svi-luppo e si assicuri un qualche ruolo delParlamento. Rispetto dunque allo stesso voto diqualche mese fa sul six pack, dove ci fu almeno inparte una qualche dialettica destra- sinistra ,si èandato assestando un quadro assai più da grande oaddirittura grandissima coalizione. Dove il distin-guo rischia appunto di essere meramente aggiunti-

vo e non contestativo di ciò che si fa. Come sequelle idee di austerità non avessero in sé una pro-pria idea della “crescita”, quella affidata allo sman-tellamento del modello sociale europeo. E come seil carattere postdemocratico non fosse intrinseca-mente connesso alla natura delle cose che si stan-no facendo e che appunto stracciano il compro-messo sociale che sorreggeva la forma propriadella democrazia europea.E’ una trama complessa che si sviluppa dall’alto edal basso, dal centro, Bruxelles, e dalle periferie.Dove si moltiplicano le spinte alla tecnicizzazionedei governi e alla costruzione di larghe convergen-ze della politica a sostegno ancillare. In Italia è unarealtà sempre più in strutturazione. Ma nella stessaGermania, cuore del nuovo ordine europeo, dalland di Berlino in poi, sono sempre più evidenti isegnali di Grosse Koalition, con la Merkel peraltro al 36% dei sondaggi, nettamente prima. Seconsideriamo, come si deve fare per serietà, l’ap-provazione del patto fiscale come vero spartiac-que, difficile dire che si collochino all’opposizione,proponendosi come alternativi al complesso diquesta impostazione, i socialisti e gli stessi verdi.Fa eccezione la Francia, dove però pesa molto lacampagna elettorale in corso e dove Holland,socialista, dice che da Presidente vorrà discutere sefirmare il trattato. E sarà interessante vedere losvolgimento concreto dei fatti dato che l’intenzio-ne è arrivare alla ratifica del patto fiscale prima del

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Il cerchio si stringe. Il processo di cam-

biamento di natura dell’ Europa nel suo

complesso, e degli stessi singoli Stati,

conosce un passo in avanti che ha un

peso enorme, una vera e propria chiu-

sura del recinto, per usare una metafo-

ra che si è andata diffondendo per indi-

care questa fase postdemocratica in

cui stiamo vivendo.

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voto francese. In Italia, il via libera al punto chiavedell’inserimento dell’obbligo al pareggio di bilan-cio, la cosiddetta regola d’oro, viene votato da unamaggioranza “ bulgara “, tale da vanificare la pos-sibilità di un passaggio confermativo per votopopolare. A proposito di voto bulgaro, scherzandoamaramente, vorrei dire che neanche Bresnevcostituzionalizzò una teoria monetaria. E quelladel pareggio è appunto una teoria, che “ uccide “ ilkeynesismo, e, concretamente significa tra l’altroche, se si deve scendere al 60% del debito inpochissimi anni, le manovre saranno durissime eprolungate.Con il rischio, o forse la certezza, di una spiralerecessiva tragica. Pensate all’Italia che deve scende-re dal 120%! E questo senza nessuna riflessionesulla genesi, la natura e la composizione di queidebiti. In Italia ad esempio il debito, guarda un po’,si impenna negli anni immediatamente seguentialla cancellazione della scala mobile e dunque conl’instaurazione di un sostegno alla crescita droga-to di denaro pubblico, al posto di quello legatoall’espansione dei salari; e lievita, come in tuttaEuropa, di nuovo in questi ultimi due anni di tra-sferimenti enormi di denaro pubblico al sistemafinanziario, ben 6400 miliardi nella UE, e di recorddi ore di cassa integrazione per la crisi sociale ; macomunque resta un debito assai più interno cheestero e assai meno legato alle famiglie, che anzirisparmiano, e con delle banche meno esposte diquelle francesi e tedesche.Eppure si prepara una mozione politica del gover-no Monti di sostegno all’austerità europea che avràgiusto qualche distinguo di “ ma anche misure per

la crescita “ e di “ i tedeschi devono…”.Chi ha contestato tutta la costruzione semanticadel debito sono stati i movimenti, i soli, o quasi,fuori dal recinto e in campo per un’altra Europa enon per uno stantio nazionalismo. Naturalmenteda soli non possono farcela a vincere. Ma la batta-glia la si può dare. E il cuore della battaglia oggi èil “ No al Trattato “ e il “ Non potete decideresenza dare la parola al popolo europeo “.Naturalmente essa poi si sostanzia anche di un’al-tra costituzionalizzazione democraticadell’Europa, quella con procedure popolari e conal centro lavoro, reddito e beni comuni. Ma chicrede che se passa il Trattato, poi si possa tornarea ripristinare la “ normale dialettica democratica ,dice una sciocchezza o una falsità. Se lor signorifiniscono il loro lavoro, poi non tornano “ i buoni“ ma saremmo tutti in una situazione più cattiva.Come sempre per saper governare bisogna primasapersi opporre.

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INrealtà si tratta di un “librobianco“ cioè quegli elaboratipubblicati dalla Commissione

Europea per dare corso a determina-te indicazioni su determinate materie.Di solito ne segue una direttiva o unaraccomandazione. Nel caso delle pen-sioni, in realtà, si dice che la compe-tenza è degli stati membri, ma non èdifficile pensare che, specie ora chec’è la governance europea sui conti,si troveranno misure assai cogentiper intervenire. Ed è la natura degliinterventi che mi fa definire il libro“nero“.Come sempre la logica europea èstringente e costruita su un’assioma.In questo caso è la constatazionelapalissiana che c’è un incrementodella vita media e un aumento dellapopolazione anziana. A dire il vero non è poi neanche cosìscontata neanche la logica demogra-fica. In realtà nel mercato del lavoroeuropeo ormai ci sono anche quoteconsistenti e crescenti di lavoratoriimmigrati che sono assai più giovani eche versano contributi significativisenza che sia neanche chiaro se edove godranno di un regime pensioni-stico. Ma lo stesso assioma demogra-fico meriterebbe almeno dei correttivisignificativi con altri parametri. Adesempio gli incrementi di produttività

che si verificano. O i tassi di occupa-zione che si devono determinare. Oanche i livelli contributivi auspicabili.Tutte cose queste che riconnettono laquestione pensioni con quella dellavoro, che è il vero cuore della que-stione sociale.È il lavoro che ha prodotto il benesse-re europeo ed è la crisi del lavoro chedetermina la situazione drammatica dioggi. Tutto questo viene ignorato e le 40pagine del libro nero, pardon, bianco,servono a sostenere i dogmi che sivogliono imporre e che sono sempregli stessi, un poco peggiorati.Il primo è naturalmente che bisognaallungare la vita lavorativa tenendoconto, appunto, degli andamentidemografici. Se si scrive, come si scrive, che ci siaspettano al 2050 6/7 anni di vitamedia in più si può cominciare a tre-mare. Non solo, si scrive poi che biso-gna disincentivare i collocamenti ariposo anticipati, il che fa molto apugni con quello che accade nellarealtà dove le espulsioni degli over 50dai luoghi di lavoro sono tantissime,incentivate dalla possibilità ampia-mente offerta di sostituire lavoratoristabili con lavoratori precari.D’altronde ai giovani si pensa perquesto e non per creare nuovo lavo-

ro. Ancora, per gli anziani bisogneràpensare a forme di reimpiego cheallunghino la loro attività lavorativaanche oltre i limiti della pensione.Per garantire i rendimenti pensionisti-ci poi serve la diffusione ancora piùlarga delle pensioni integrative cuiandranno destinate risorse in più trat-te da una maggiore disponibilità deilavoratori a investire sulla propriaassicurazione accettando di guada-gnare di meno.Da ultimo la parità tra uomini e donneva costruita in questo quadro e non,che so io, riconoscendo un indennizzoper il lavoro di cura o promuovendouna redistribuzione dello stesso perrafforzare le donne nel lavoro. Tuttebrutte cose che continuano nel pessi-mo andazzo attuale. Si impone la tirannia dei conti perchénon si vuole più partire da ciò checrea ricchezza e cioè il lavoro. È il rapporto tra lavoro e welfare cheha creato il modello sociale Europeo.Si è imposto un rapporto rovesciatotra moneta e interessi finanziari lega-ti alle privatizzazioni, che è quello cheil modello sociale europeo lo sta ucci-dendo. Il libro nero-bianco va in consultazio-ne e sarebbe bene respingerlo al mit-tente.

R.M.

EUROPA: il libro nero delle pensioni

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Mentre in Italia è apertissimo il conflitto sull’art.18, con ilgoverno Monti intenzionato ad andare fino in fondo, c’è,in Europa, un altro fronte riconducibile al Presidente del

Consiglio italiano, che concerne il nuovo regolamento sul diritto disciopero nell’ambito del mercato unico, il cosiddetto Monti 2, chel’allora Commissario Europeo, appunto Mario Monti, predispose eche ora la UE sembrerebbe intenzionata a varare in tutta fretta.D’altronde la signora Merkel ha ben detto che dopo l’aver messo aposto i conti ora bisogna occuparsi di mercato del lavoro.Ecco dunque in pista questa proposta di raccomandazione che, èbene saperlo, come tale avrebbe la caratteristica di entrare immedia-tamente in vigore.Ma di che cosa si tratta? Di un testo che figlia sostanzialmente dauna determinata lettura di due storiche sentenze della Corte di giu-stizia europea, la sentenza Viking e quella Laval, che inerivano lottesindacali, molto dure, avverse a processi di delocalizzazione e inse-diamento di attività produttive, di armamento navale ed edile, chenon rispettavano però le norme del Paese ospitante.Le sentenze furono particolarmente ambigue e perniciose, dando sìragione ai sindacati che avevano lottato contro la delocalizzazionema torto agli stessi sindacati sul punto cardine dell’obbligo delrispetto del contratto nazionale di lavoro. Il Parlamento Europeodedicò una propria risoluzione a tentare di correggere una determi-nata lettura delle sentenze.Ma ora la proposta di regolamento di Monti ne ripropone gli ele-menti peggiori. A partire dal bilanciamento tra diritto di sciopero ediritto alla libera concorrenza e al profitto nel mercato unico che fada architrave a tutta la proposta. E in tal senso si dice esplicitamen-te nel testo che non esiste primazia tra libertà economiche e dirittisindacali.La chiave è sempre nella proporzionalità, che è una delle parolemagiche che fu inserita nella famigerata direttiva Bolkestein per

Il diritto di sciopero alla luce del regolamento “Monti 2”

MERCATO E PROFITTO DEVONO REGNARE

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sostituire il contestatissimo prin-cipio del Paese d’origine.Proporzionalità, necessarietà enon discriminazione è la triadeinserita a qualificare il margine diintervento possibile per le rego-le nazionali, non a caso le agget-tivazioni usate dal WTO.Non solo.Il Monti 2 riprende appunto pie-namente dalle due sentenzeViking e Laval a partire dallaaffermazione che lo scioperocostituisce un ostacolo al fun-zionamento del mercato interno,al pari degli atti regolativi adotta-ti dagli Stati. E, continuando avalersi delle due sentenze, nediscende come conseguenzeconcrete che ci si può batterecontro delocalizzazioni (senten-za Viking) ma si deve tenereconto della sentenza Laval perquanto concerne gli scioperi perl’applicazione del contrattonazionale in quanto gli accorditra le parti sono tenuti a rispetta-re solo gli standard minimi pre-visti dalla direttiva distacchi.A seguire tutta una serie di pro-cedure, dall’allerta alla concilia-zione, per impedire che si regi-

stri un danno alla libertà di pro-fitto sancita dalla libertà diimpresa nel mercato unico santi-ficata dai trattati. Alla fine c’èpure una clausola di salvaguardiadei diritti sindacali ma suonacome pura foglia di fico.Il regolamento è un tassellopesante di uno stravolgimentocomplessivo in atto e che riguar-da le costituzioni e le giurispru-denze formali ed informali.È evidente che il “fondata sullavoro “ della Costituzione italia-na rischia di essere sempre piùresiduale rispetto all’inserimen-to, in costituzione, dell’obbligoal pareggio di bilancio e, da trat-tati europei del bilanciamento, inrealtà una primazia, del diritto alprofitto da libertà di mercato.L’unica cosa ammessa sono iminimi e i contratti sono sempremeno erga omnes. E la conflit-tualità deve stare dentro il rispet-to del principio generale delmercato e la cornice degli accor-di extracontrattuali.Ancora una volta l’intreccio travicenda italiana ed europea èstrettissimo. E la figura di Montilo simbolizza assai concreta-

mente. Fu lui da CommissarioEuropeo, che predispose quellibro bianco sulla riforma delwelfare tutto fondato sulla logicadei minimi e della sussidiarietàche sarebbe bene si leggesse percapire quanto è strutturatal’azione del Monti presidente delConsiglio. Ed è un suo provve-dimento che ora si vuole vararein tutta fretta proprio nei giorniin cui sempre Monti arriverà aStrasburgo.Non appare proprio casuale chein un sondaggio tra i cittadinitedeschi il suo apprezzamentosia al 60%, poco meno di quelloper la nuova dama di ferro, lasignora Merkel

.Roberto Musacchio

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Dalla piccola regione delSaarland al confine conla Francia, arrivano

ulteriori forti segnali in direzio-ne della Große Koalition. A ini-zio gennaio la presidente demo-cristiana Kramp-Karrrenbauerha decretato la fine del primogoverno Cdu-Liberali (Fdp) eVerdi per inaffidabilità dei libe-rali.È apparso da subito abbastanzaevidente che si è cercato un pre-testo per provocare la crisi digoverno, così come da subito siè fatto intendere di volere un’al-leanza con la Spd. In questaregione, di cui è originario OskarLafontaine e che ha a lungoamministrato per la Spd primada sindaco e poi da presidentetra gli anni ‘80 e i ‘90, la Spd harisentito del generale crollo del

2009 (dal 44 al 24, elezioni2009), in seguito all’esperienzadi governo con Merkel, e laLinke, grazie alla candidaturalocale di Lafontaine ottenne quiil 21 percento di voti.Ciononostante i Verdi non inte-sero entrare in coalizione conSpd e Linke e optarono inveceper un governo con Cdu eLiberali. Spd e Linke non aveva-no da soli i numeri sufficienti aformare un governo.Adesso il quadro è notevolmen-te cambiato: sembra non ci sianoalternative a un governo Cdu-Spd perché, come affermaHeiko Maas, presidente dellaSpd locale, pupillo di Lafontainenonché viceministro del suogoverno fino al ‘98, la Linke“non riconosce la norma dellaparità di bilancio” e quindi man-

cano le basi per una collabora-zione tra Spd e Linke, escluden-dola perciò in partenza, al con-trario del 2009. Maas e Kramp-Karrenbauer hanno conclusogiovedì sera le loro consultazio-ni, manifestando la volontà dinon allearsi subito, ma di farlodopo nuove elezioni, che sareb-bero quindi anticipate rispettoalla scadenza naturale del 2014.La dichiarazione comune deidue politici di fronte ai medialascia intendere che in nome di“un governo più stabile”, daconseguire però sulla base delconsenso elettorale, formerannocomunque una große Koalition:tra l’altro l’Spd Maas riconoscele molte “affinità” con la Cdu,mentre la collega della Cdu defi-nisce l’alleanza “l’unica combi-nazione possibile”.Certo, la premessa è il graveindebitamento della regione, peril cui superamento è necessariala massima stabilità, parola chericorre ormai come un mantranon solo in Germania, ma si èdiffusa in tutta Europa, dove si èimposto il trend tedesco. Haivoglia a dire coma fa Lafontaineche pareggio di bilancio altronon è che “ tagli alla scuola, alsociale e agli investimenti”,ormai quello è il dogma cheapre la stura a quello che inGermania è in effetti una novità:a livello nazionale, negli unici

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PROVE DI GROßE KOALITION IN GERMANIA di Paola Giaculli (Berlino)

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due precedenti storici, la GroßeKoalition, l’alleanza tra Cdu eSpd, era una soluzione di emer-genza, quando i risultati elettora-li non permettevano né ai con-servatori da una parte né allaSpd e Verdi dall’altra di formareun governo, come accadde nel2005 – oppure quando i Liberali(in passato non ancora liberisti)rifiutavano sia il governo con laCdu che con la Spd (come nel1966). Vero è che a livello regio-nale, dei Länder, c’è sempre statapiù flessibilità. Anzi, ormai, gliultimi anni lo dimostrano, ancheladdove, (quattro Länder, tra cuiin ultimo Berlino), ci sono inumeri per formare governi conla Linke, la Spd ha sempre prefe-rito ricorrere al governo con laCdu. Però mai si è dichiarata inmaniera così esplicita prima delleelezioni – sciogliendo un parla-mento per indirle addiritturaall’uopo – la volontà di formareun governo con l’altra parte poli-tica, quasi per “necessità”.È evidente che tutte le critichedella Spd nei confronti di Merkelsi smascherano e si fermanosempre di fronte all’ortodossiadella disciplina finanziaria. Delresto è stato proprio il partitosocialdemocratico al governocon la Cdu a iscrivere laSchuldenbremse, alla lettera “ilfreno ai debiti”, ossia il pareggiodi bilancio nella costituzionetedesca a fine maggio del 2009,uno degli ultimi atti della secon-da e recente gro‚e Koalition dellaRepubblica federale tedesca .Non è un caso, poi, che il riavvi-cinamento si sia palesato direcente anche nella vicenda incui era sotto accusa il presidente

della repubblica: in caso di suedimissioni il presidente della SpdSigmar Gabriel, e poi la numerodue del partito Andrea Nahles,hanno generosamente offerto aMerkel la loro collaborazionenella ricerca di un candidatocomune per la presidenza (a cuisi sarebbero aggregati anche iVerdi), togliendo, a loro dire, dal-l’impiccio la cancelliera.Ma Merkel in questo momentova fortissimo e, anche se glialleati tradizionali liberali tendo-no al dissolvimento, può sempreaspettare al varco la Spd, senza“concedersi” fino alla scadenzanaturale del Bundestag, nel set-tembre del 2013, con buone pro-babilità di rimanere cancelliera.Del resto Merkel stessa ha sem-pre mal celato le simpatie per lacollaborazione con la Spd, e nonè mai apparsa davvero convintache gli alleati ideali fossero i libe-rali, quasi rimpiangendo gli annidel suo governo con la socialde-mocrazia (2005-2009). Per ilmomento la Spd è, nei sondaggi,al di sotto del 30 percento, men-tre la Cdu va per il 35-36.Infine la vicenda dello “scanda-lo” sul presidente Wulff, chedimostra tutta l’ipocrisia dei massmedia, a partire dalla populisticaBild-Zeitung e da Der Spiegel,con pretese intellettualistiche, madalle mire altrettanto basse: acarico del presidente non vi sonoreati, ma “solo” vacanze presso leville degli amici imprenditori, un

credito agevolato per l’acquistodella sua casa, risalenti al suomandato di primo ministro inBassa Sassonia. Insomma, nonrisultano scambi di favori, anchese tutta la vicenda è tutt’altro cheesemplare ed è stata gestita dalpresidente in modo goffo e dilet-tantesco, non certo all’altezzadella prima carica istituzionaletedesca. Gli attacchi continuanoma perdono d’intensità, da unlato perché l’opinione pubblica,dopo sei settimane di martella-mento mediatico, dimostra neisondaggi di non poterne propriopiù, e, dall’altro, il presidente nonsi dimette.Eppure non si allontana ilsospetto che con le dimissioni diWulff si volessero prendere duepiccioni con una fava: inaugura-re ufficialmente la nuova stagio-ne di Große Koalition e sbaraz-zarsi di un presidente che haavuto il coraggio di affermare,sin dall’inizio, in un momento diforte rigurgito xenofobo, che“Islam è Germania”, dichiaran-dosi così presidente di tutte etutti. Non è un caso che per ilprossimo febbraio ha annuncia-to di voler ricordare in una com-memorazione ufficiale le vittimedella furia razzista di una celluladi neonazisti, che hanno godutodella copertura, se non dell’ap-poggio, dei servizi segreti tede-schi. E questo ci pare il veroscandalo.Wulff è inoltre il primo presi-dente tedesco ad avere incontra-to su suo esplicito invito merco-ledi scorso un presidente palesti-nese.E anche questo rappresenta inGermania una grande novità.

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In tutto 27 parlamentarisu 76, un terzo delgruppo parlamenta-

re, compresi il capogruppo inParlamento e leader del partitoGregor Gysi, la segretaria nazio-nale Gesine Lötzsch e Petra Pauvicepresidente del Parlamento, aiquali vanno aggiunti 11 membridei parlamenti di alcuni Laender.Costo complessivo annuale400.000 euro per sei personeaddette al controllo.“Sotto osservazione, ma nonsotto sorveglianza” ha dichiaratoil ministro dell’Interno Hans-Peter Friedrich (CSU, cristiano-sociale).Il ministro ha anche detto chenon vengono utilizzati i tipicimezzi dei servizi segreti e chel’osservazione si limita all’analisidi discorsi e scritti, sottolineandoanche che il Verfassungsschutz ha ilmandato legislativo di osservare

organizzazioni e partiti che forsesono anticostituzionali.Non così invece in BassaSassonia, dove il presidente delVerfassungsschutz del Land Hans-Werner Wagel ha ammesso l’uti-lizzo dei metodi dei servizisegreti in quanto “pezzi del par-tito sono contro la Costituzionee dunque è necessario metterlosotto controllo”.Nel mirino del Verfassungsschutz edei servizi segreti sono finiti nonsoltanto i membri dell’ala defini-ta radicale del partito (i cosiddet-ti Fundis), per lo più aderenti apiattaforme comuniste e disuperamento del sistema capita-listico, ma anche l’ala detta reali-sta (i Realos), di matrice socialde-mocratica. E con essi tutte lefigure di primo piano del partito,da Gysi alla Lötzsch, da PetraPau a Sahra Wagenknecht, leaderdella piattaforma comunista,

passando per Dietmar Bartsch,considerato in tutti i partiti il piùsocialdemocratico di tutti i diri-genti del Die Linke.Viene spontaneo chiedersi: cosafa lo stato per il controllo di par-titi e organizzazioni neonaziste,soprattutto dopo lo scandalodella cellula neraNationalsozialisticher Untergrund(NSU), un gruppo terrorista dimatrice neonazista che per oltredieci anni ha seminato morti eterrore in tutta la Germania?Per l’osservazione e il controllodel partito di estrema destraNPD (Nationaldemokratische ParteiDeutschlands – Die Volksunion),giudicato vicino al NSDAP, ven-gono spesi 590.000 euro all’annoe impiegate dieci persone.Due pesi e due misure? È possi-bile, è sensato, accomunare unpartito come Die Linke, contutta la sua storia e il suo passa-

Il partito Die Linke sotto controllo e osservazione

PERICOLOSO PER LA DEMOCRAZIAdi Massimo Demontis (Berlino)

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to, a partitie organiz-zazioni di

e s t r e m adestra che si

richiamano al nazio-nalsocialismo?E come è potuto accadere chel’NSU potesse rimanere in clan-destinità per 14 anni? C’è chiparla di fallimento da parte diorgani dello stato, ma anche chiavanza vere e proprie ipotesi dicomplicità. Insomma, da piùparti si sostiene che organi dellostato avrebbero fatto come le trescimmiette.Gregor Gysi ha criticato dura-mente il Verfassungschutz dicendo:“è uno scandalo, questi qui sonoproprio fuori di testa”.Critiche anche da parte dei libe-rali e dei verdi. Dirk Niebel(FDP), ministro per lo Sviluppoe dirigente nazionale dei liberali,

ha dichiarato: “non è possibileche deputati siano messi sottocontrollo sull’intero territorionazionale. In una democraziaquesto non va bene”.Volker Beck, figura di primopiano dei Grünen, si è chiestoche senso ha mettere Die Linkesotto osservazione e controlloper poi porre l’accento sulla“sproporzione dell’intervento selo si paragona con il dispendio dimezzi messi in campo control’NPD”.Di tutt’altro avviso il segretariogenerale della CSU AlexanderDobrindt che si è spinto a chie-dere la proibizione del partito.Secondo quanto riportato dalquotidiano online FrankfurterRundschau, un portavoce delministero dell’Interno avrebberodichiarato che i parlamentari delDie Linke “sono giustamentesotto osservazione, perché da

essi può partire un pericolo perla democrazia tedesca. Nel parti-to si concentrano forze che aspi-rano a un cambiamento dell’at-tuale modello di stato e di socie-tà”.“È lecito avere visioni politiche edi società che vadano al di là delpresente (alternative, ndr)?”, hafatto notare Jakob Augstein,columinst di Spiegel online e edito-re del settimanale politico DerFreitag (Il Venerdì).“Sì, e non solo: è necessario. Lavisione di una società giusta-equa la si ritrova nella stessaCostituzione. Ma paese non èpiù sociale da molto tempo” haaggiunto Augstein, “basti pensa-re che non di rado in Germaniail salario orario è inferiore a 5euro”.

In Germania il partito Die Linke è sotto osservazione

sia da parte del Verfassungsschutz, un organismo

che raccoglie informazioni a tutela della Costituzione

e del libero ordinamento democratico, sia da parte

dei servizi segreti.

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La Grecia ha svolto finora, nell’ambitodell’Euro, il ruolo dell’appestato. Èvero che la destra ha falsificato i conti

del bilancio pubblico greco e che da quel momen-to la Grecia è entrata nel tunnel. È altrettanto veroche era possibile all’inizio della crisi della finanzapubblica greca un sostegno europeo molto minoredi quanto è stato necessario in seguito, tanto più severranno effettivamente erogati i 130 miliardi dieuro. 130 miliardi che dovrebbero portare il debitopubblico greco a livelli più sopportabili e su cuisono in corso estenuanti trattative tra la cosiddettatroika europea e il Governo “tecnico” greco.Non va dimenticato che l’attacco della speculazio-ne alla Grecia è stato rafforzato da dichiarazionidella coppia Merkel e Sarkozy sulla possibilità didefault del paese. Dichiarazioni mai sentite primada esponenti dei Governi europei su altri paesi.Per un breve periodo anche i tecnici europei chehanno affrontato il problema greco hanno ammes-so che i provvedimenti imposti erano sbagliati eavevano finito con l’aggravare la situazione perché,prescindendo dai pesantissimi costi sociali, aveva-no innescato una pesante recessione economicache finiva con l’allontanare ancora di più il risana-mento. Subito dopo si è rapidamente tornati a per-correre la stessa strada, premendo sempre piùpesantemente sulla Grecia, al punto da ipotizzareun vero e proprio commissariamento del Governo.In sostanza la manomissione della sovranità dellaGrecia.Le condizioni poste alla Grecia per ottenere la con-cessione del prestito europeo e un forte sconto suidebiti pubblici detenuti da privati sono veramentepesanti: licenziamenti, riduzione delle pensioni,riduzione dei salari, aumento delle tasse, riduzionedell’assistenza sanitaria, ecc. La conseguenza, sealla fine ci sarà l’accordo, sarà un ulteriore avvita-mento nella crisi economica.È vero che la Grecia pesa per il 2 % sul Pil euro-peo e quindi le conseguenze della sua recessionesulle altre economie dell’Europa saranno limitate,come del resto lo sarebbe stato farsi carico dei suoi

Una riflessione

sulla situazione

greca ènecessaria

di Alfiero Grandi

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problemi fin dall’inizio. Le conseguenze delle con-dizioni imposte dall’Europa sull’assetto democrati-co e sociale della Grecia saranno pesanti e sembrafin troppo dimenticato che questo paese è rientra-to nella democrazia solo tre decenni anni fa.Come è noto lo spread sul debito pubblico è un’al-talena che vede alcuni Stati puniti – Grecia al top –e altri fortemente beneficiati come la Germania,che è arrivata a collocare titoli pubblici sotto il lorovalore reale. Si riflette poco anche sul fatto che laBce sta cercando di aiutare l’accordo con la Greciarinunciando a 11 miliardi di plusvalenze sui titoligreci. Scelta giusta ma che insieme conferma chec’è chi ha guadagnato (o potrebbe guadagnare)dalla crisi greca.La Grecia ha svolto in questo periodo il ruolo diesempio da non imitare, da cui tanti trovano natu-rale cercare di distinguersi.È comprensibile che anche in Italia di fronte alladeflagrazione del dramma sociale politico inGrecia ci sia un diffuso tentativo di dimostrare chel’Italia non è la Grecia e si comporterà in mododiverso. Comprensibile come tentativo di allonta-nare lo spettro della crisi più grave e incontrollabi-le, ma meno come visione europea che dovrebbefondarsi su un certo grado di empatia tra i suoimembri, in particolare nell’area Euro. Invece nonsolo non c’è empatia ma si arriva ad usare in modospregiudicato la gravità della situazione greca comespauracchio per portare a più miti consigli i riotto-si ancora presenti, anche in Italia.

La destra europea, oggi egemone, ha trovato nellaGrecia l’esempio negativo, lo spauracchio da usareper convincere tutti gli altri paesi ad adottare rego-le nei bilanci pubblici paragonabili a quelle tede-sche, attraverso la traduzione nelle Costituzioni ocon altri mezzi legislativi di pari valore.È del tutto chiaro che quando ci si interroga suquale sarà la conseguenza di politiche così restritti-ve in Europa spesso si finge di non sapere cheviene dato per scontato un periodo di non crescitaeconomica, o addirittura di recessione, con la con-seguenza della crescita della disoccupazione, innome della possibilità di avere in futuro (quando ?)una crescita che viene definita sana. Quindi sitorna al vecchio adagio: prima il risanamento, poila crescita, è la solita politica dei 2 tempi. Vaaggiunto che se un paese ha minore produttivitàdeve anche accettare che le retribuzioni sianominori, quindi i tagli chiesti alla Grecia non sonocasuali.Non a caso questa linea di politica economica, cheviene fatta risalire alla tradizione tedesca formatasidopo l’incubo di Weimar, è in realtà un concretomodo per recuperare consensi elettorali inGermania da parte della Cancelliera Merkel.La vittima di questa scelta è una visione solidaledell’Europa. Tanto è vero che il Ministro tedescoSchauble è stato colto in flagrante mentre cercavadi convincere il Governo del Portogallo che l’even-tuale default greco non avrebbe comportato l’ab-bandono anche di questo paese. Tipico del divide et

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impera da parte di chi ha il gioco in mano.Anche la scelta di procedere attraverso il metododei trattati bilaterali per stabilire le nuove regoleeuropee ha il chiaro significato di imporre un ridi-segno dell’Europa.La Germania con il sostegno di Sarkozy, che hagrossi problemi elettorali e bisogno dell’appoggiotedesco, di fatto straccia il metodo europeo. In par-ticolare cancella il ruolo del parlamento, per regre-dire ai trattati intergovernativi.Senza l’adozione delle nuove regole, ispirate dallaGermania, niente aiuti ai paesi che ne hanno biso-gno. Per questo anche le conseguenze sulle regoledei singoli Stati sono rilevanti, dal momento che laloro adozione è condizione per ottenere gli aiuti.Pur comprendendo le ragioni che spingono adallontanare lo spettro della crisi greca, in realtà cisarebbe bisogno di una riflessione più attenta sucosa significa procedere su questa strada, sulleconseguenze che ne derivano sotto il profilo delleregole democratiche (la democrazia non può esse-re un bene riservato ai paesi che hanno i conti inordine) sulle prospettive economiche e occupazio-nali.

Non a caso Obama ha rivolto a Monti, stando aigiornalisti presenti, una domanda precisa, di cuinon è nota la risposta.Se l’Europa sceglie una politica generalizzata ditagli come potrà esserci ripresa? La ripresa è l’assillo degli Usa da tempo. InfattiObama ha puntato tutte le carte sulla possibilità diuscire dalla crisi e ha bisogno di un partner euro-peo coprotagonista della ripresa che oggi non ha.Anche la manovra di Draghi che ha concesso 500miliardi di liquidità alle banche per 3 anni all’1%,che ricorda da vicino le scelte della FederalReserve, non può dare più di tanto perché, comeha ricordato il Presidente Mussari, l’acquisto dititoli pubblici e la concessione di credito ai privatida parte delle banche si scontra con le regole euro-pee. Regole europee che hanno posto limiti severialla leva degli impieghi bancari. La banche hannosoldi disponibili per tre anni, ma con le regoleattuali non possono utilizzarli, anzi debbono ricor-rere all’aumento dei mezzi propri come sta facen-do Unicredit, con i relativi problemi.Quindi si torna al problema posto da Obama:come pensa l’Europa di uscire dalla crisi ?

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Esiste un complotto inter-nazionale che ha l'obietti-vo di cancellare il miopaese. È iniziato nel 1975 oppo-nendosi alla civiltà neo-greca, è continuato con ladistorsione sistematicadella nostra storia con-temporanea e della nostraidentità culturale e adessosta cercando di cancellarcianche materialmente conla mancanza di lavoro, la fame e la miseria. Se il popolo greco non prende la situazione in mano perostacolarlo, il pericolo della sparizione della Grecia è reale. Io lo colloco entro i prossimi 10 anni. Di noi, resterà solo lamemoria della nostra civiltà e delle nostre battaglie per lalibertà.Fino al 2009 il problema economico non era grave. Le grandi ferite della nostra economia erano la spesa esage-rata per la difesa del paese e la corruzione di una parte deipolitici e dei giornalisti. Per queste due ferite, però, eranocorresponsabili anche dei paesi stranieri. Come la Germania,la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti che guadagnavanomiliardi di euro da noi con la vendita annuale di materialebellico. Questa emorragia continua ci metteva in ginocchio enon ci permetteva di crescere mentre offriva grandi ricchez-ze ai paesi stranieri. Lo stesso succedeva con il problema della corruzione. La società tedesca Siemens manteneva un dipartimento chesi occupava della corruzione dei nostri politici, per poterpiazzare meglio i suoi prodotti nel mercato greco. Di conse-guenza, il popolo greco è stato vittima di questo duetto diladri, Greci e Tedeschi, che si arricchivano sulle sue spalle.È evidente che queste due ferite potevano essere evitate sei due partiti al potere (filo americani) non avessero raccolto

tra le loro fila elementi cor-rotti, i quali, per coprirel'emorragia di ricchezze(prodotte dal lavoro delpopolo greco) verso lecasse di paesi stranieri,hanno sottoscritto prestitiesagerati, con il risultatoche il debito pubblico èaumentato fino a 300 miliar-di di euro, cioè il 130% delPil.Con questo sistema, le forze

straniere di cui ho detto sopra, guadagnavano il doppio.Dalla vendita di armi e dei loro prodotti, prima; dai tassi d'in-teresse dei capitali prestati ai vari governi (e non al popolo),dopo. Perché come abbiamo visto, il popolo è la vittima prin-cipale in ambedue i casi. Un esempio solo vi convincerà. I tassi d'interesse di un prestito di 1 miliardo di dollari checontrasse Andreas Papandreou nel 1986 dalla Francia, sonodiventati 54 miliardi di euro e sono stati finalmente saldatinel…2010!Il Sig. Juncker ha dichiarato un anno fa, che aveva notatoquesta grande emorragia di denaro dalla Grecia a causa dispese enormi (e obbligatorie) per l'acquisto di vari arma-menti dalla Germania e dalla Francia. Aveva capito che inostri venditori ci portavano direttamente ad una catastrofesicura ma ha confessato pubblicamente che non ha reagitominimamente, per non colpire gli interessi dei suoi paesiamici!Nel 2008 c'è stata la grande crisi economica in Europa. Era normale che ne risentisse anche l'economia greca. Illivello di vita, abbastanza alto (eravamo tra i 30 paesi più ric-chi del mondo), rimase invariato. C'è stata, però, la crescitadel debito pubblico. Ma il debito pubblico non porta obbliga-toriamente alla crisi economica. I debiti dei grandi paesicome gli USA e la Germania, si contano in tris miliardi di euro.

La Grecia rischia di sparireLettera aperta del compositore greco Mikis Theodorakis

«Il pericolo della sparizione della Grecia è reale. Io lo colloco entro i

prossimi 10 anni. Di noi, resterà solo la memoria della nostra civiltà e

delle nostre battaglie per la libertà»

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Il problema era la crescita economica e la produzione. Per questo motivo furono contratti prestiti dalle grandi ban-che con tasso fino al 5%. In questa esatta posizione ci tro-vavamo nel 2009, fino a quando in novembre è diventatoprimo ministro Georges Papandreou. Per farvi capire cosa ne pensa oggi il popolo greco della suapolitica catastrofica, bastano questi due numeri: alle elezionidel 2009 il partito socialista ha preso il 44% dei voti. Oggile proiezioni lo portano al 6%.Papandreou avrebbe potuto affrontare la crisi economica(che rispecchiava quella europea) con prestiti dalle banchestraniere con il tasso abituale, cioè sotto il 5%. Se avessefatto questo, non ci sarebbe stato alcun problema per ilnostro paese. Anzi, sarebbe successo il contrario perchéeravamo in una fase di crescita economica.Papandreou, però, aveva iniziato il suo complotto contro ilproprio popolo dall'estate del 2009, quando si è incontratosegretamente con il Sig. Strauss Kahn per portare la Greciasotto l'ombrello del FMI (Fondo Monetario Internazionale).La notizia di questo incontro è stata resa pubblica diretta-mente dal Presidente del FMI.Per passare sotto il controllo del FMI, bisognava stravolgerela situazione economica reale del nostro paese e permette-re l'innalzamento dei tassi d'interesse sui prestiti. Questaoperazione meschina è iniziata con l'aumento 'falso' deldebito interno, dal 9,2% al 15%. Per questa operazione criminale, il Pm Peponis, ha chiesto20 giorni fa, il rinvio a giudizio per Papandreou ePapakostantinou (Ministro dell'economia).Ha seguito la campagna sistematica in Europa diPapandreou e del Ministro dell'economia che è durata 5mesi, per convincere gli europei che la Grecia è un Titanicpronto per andare a fondo, che i greci sono corrotti, pigri edi conseguenza incapaci di affrontare i problemi del paese.Dopo ogni loro dichiarazione, i tassi d'interesse salivano, alpunto di non poter ottenere alcun prestito e di conseguenzail Fondo Monetario Internazionale e la Banca CentraleEuropea hanno preso la forma dei nostri salvatori, mentrenella realtà era l'inizio della nostra morte.Nel Maggio del 2010 è stato firmato da un solo Ministro ilfamoso primo accordo di salvataggio. Il diritto greco, in que-sti casi, esige, per un accordo così importante, il voto favo-revole di almeno tre quinti del parlamento. Quel primo accor-do è dunque illegale. La troika che oggi governa in Grecia, agisce in modo comple-tamente illegale. Non solo per il diritto greco ma anche perquello europeo.Dal quel momento fino ad oggi, se i gradini che portano allanostra morte sono venti, siamo già scesi più della metà.Immaginate che con questo secondo accordo, per la nostra'salvezza', offriamo a questi signori la nostra integrità nazio-nale e i nostri beni pubblici. Cioè Por ti, Aeropor ti,

Autostrade, Elettricità, Acqua, ricchezze minerali ecc. ecc.ecc. i nostri, inoltre, monumenti nazionali come l'Acropolis,Delfi, Olympia, Epidauro ecc. ecc. ecc.; perché con questiaccordi abbiamo rinunciato a eventuali ricorsi.La produzione si è fermata, la disoccupazione è salita al20%, hanno chiuso 80.000 negozi, migliaia di piccole fabbri-che e centinaia di industrie. In totale hanno chiuso 432.000imprese. Decine di migliaia di giovani laureati lasciano ilpaese che ogni giorno si immerge in un buio medioevale.Migliaia di cittadini ex benestanti, cercano nei cassonetti dellaspazzatura e dormono per strada. Intanto si dice che siamovivi grazie alla generosità dei nostri 'salvatori', dell'Europa,delle banche e del Fondo Monetario Internazionale. In realtà, ogni pacchetto di decine di miliardi di aiuti destina-to alla Grecia torna per intero indietro sotto forma di nuoviincredibili tassi d'interesse.E siccome c'è bisogno di continuare a far funzionare lo stato,gli ospedali, le scuole ecc., la troika carica di extra tasse(assolutamente nuove) gli strati più deboli della società e liporta direttamente alla fame. Un'analoga situazione di fame generalizzata l'avemmo all'ini-zio dell'occupazione nazista nel 1941, con 300.000 morti in6 mesi. Adesso rivediamo la stessa situazione. Se si pensache l'occupazione nazista ci è costata 1 milione di morti e ladistruzione totale del nostro paese, com'è possibile per noigreci accettare le minacce della sig.ra Merkel e l'intenzionedei tedeschi di installare un nuovo gaulaighter… e questavolta con la cravatta…E per dimostrare quant'è ricca la Grecia e quanto lavoratorisono i greci, che sono coscienti del Obbligo di libertà e del-l'amore verso la propria patria, c'è l'esempio di come sireagì all'occupazione nazista dal 1941 all'Ottobre del 1944. Quando le SS e la fame uccidevano 1 milione di persone e laVermacht distruggeva sistematicamente il paese, derubandola produzione agricola e l'oro dalle banche greche, i grecihanno fondato il movimento di solidarietà nazionale che hasfamato la popolazione ed hanno creato un esercito di100.000 partigiani che ha costretto i tedeschi ad esserepresenti in modo continuo con 200.000 soldati.Contemporaneamente, i greci, grazie al proprio lavoro, sonoriusciti non solo a sopravvivere ma a sviluppare, sotto con-dizioni di occupazione, l'arte neo greca, soprattutto la lette-ratura e la musica.La Grecia scelse la via del sacrificio per la libertà e la soprav-vivenza. Anche allora ci colpirono senza ragione e noirispondemmo con la Solidarietà e la Resistenza, e siamo riu-sciti a vincere. La stessa cosa che dobbiamo fare ancheadesso con la certezza che il vincitore finale sarà il popologreco. Questo messaggio mando alla Sig.ra Merkel ed al Sig.Schäuble, dichiarando che rimango sempre amico del Popolotedesco ed ammiratore del suo grande contributo alla scien-za, la filosofia, l'arte e soprattutto alla musica! E forse, la

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miglior dimostrazione di questo è che tutto il mio lavoro musi-cale a livello mondiale, l'ho affidato a due grandi editori tede-schi Schott e Breitkopf con cui ho un'ottima collaborazione.Minacciano di mandarci via dall'Europa. Ma se l'Europa nonci vuole una volta, noi, questa Europa di Merkel e Sarkozy,non la vogliamo dieci volte.Oggi è domenica 12 Febbraio. Mi sto preparando per prendere parte alla manifestazionecon Manolis Glezos, l'eroe che ha tirato giù la svasticadall'Acropolis, dando così il segnale per l'inizio non solo dellaresistenza greca ma di quella europea contro Hitler. Le strade e le nostre piazze si riempiranno di centinaia dimigliaia di cittadini che esprimeranno la propria rabbia con-tro il governo e la troika. Ho sentito ieri il nostro Primo mini-stro - banchiere, rivolgendosi al popolo greco, dire che“siamo arrivati all'ora zero”.Chi, però, ci ha portati all'ora zero in due anni? Le stesse persone che invece di trovarsi in prigione, ricatta-no i parlamentari per firmare il nuovo accordo, peggio delprimo, che sarà applicato dalle stesse persone con gli stessimetodi che ci hanno portato all'ora zero! Perché? Perchéquesto ordina l'FMI e l'Eurogroup, ricattandoci che se nonobbediremo ci sarà il fallimento…Stiamo assistendo al teatro della paranoia. Tutti questi signori, che in sostanza ci odiano (greci e stra-nieri) e che sono gli unici responsabili della situazione dram-matica alla quale hanno portato il paese, minacciano, ricatta-no, ordinano con l'unico scopo di continuare la loro operadistruttiva, cioè di portarci sotto l'ora zero, fino alla nostrasparizione definitiva. Siamo sopravvissuti nei secoli, in condizioni molto difficili edè certo che se ci porteranno con la forza, con la violenza, alpenultimo gradino prima della nostra morte, i Greci, non solosopravvivranno ma rinasceranno.

In questo momento presto tutte le mie forze all'unione dina-mica del popolo greco. Sto cercando di convincerlo che la Troika e l'FMI non sonouna strada senso unico. Che esistono anche altre soluzioni.Guardare anche verso la Russia per una collaborazione eco-nomica, per lo sfruttamento delle nostre ricchezze minerarie,con condizioni diverse, a favore dei nostri interessi.Per quanto riguarda l'Europa, propongo di interrompere l'ac-quisto di armamenti dalla Germania e dalla Francia. E dobbia-mo fare tutto il possibile per prendere i nostri soldi, che laGermania ancora non ha saldato dal periodo della guerra.Tale somma ad oggi è quasi 500 miliardi di euro!!!L'unica forza che può realizzare questi cambiamenti rivolu-zionari è il popolo greco, unito in un enorme fronte di resi-stenza e solidarietà, per mandare via la troika (FMI eBanche) dal paese. Nel frattempo devono essere considera-ti nulli tutti gli accordi illegali (prestiti, tassi d'interesse, tasse,svendita del paese ecc.). naturalmente, i loro collaboratorigreci, che sono già condannati nella coscienza popolarecome traditori, devono essere puniti.Per l'unione di tutto il popolo sto dedicando tutte le mie ener-gie e credo che alla fine ce la faremo. Ho fatto la guerra conle armi in mano contro l'occupazione nazista. Ho conosciutoi sotterranei della Gestapo. Sono stato condannato a mortedai Tedeschi e sono vivo per miracolo. Nel 1967 ho fondatoil PAM, la prima organizzazione di resistenza contro i colon-nelli. Ho agito nell'illegalità contro la dittatura. Sono statoarrestato ed imprigionato nel 'mattatoio' della dittatura. Allafine sono sopravvissuto e sono ancora qui.Oggi ho 87 anni ed è molto probabile che non riuscirò avedere la salvezza della mia amata patria. Ma morirò con lamia coscienza tranquilla, perché continuo a fare le mie batta-glie per gli ideali della libertà e del diritto, fino alla fine.

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OSKAR LAFONTAINE:LA MERKEL E IL SETTORE FINANZIARIO DISTRUGGONO LA DEMOCRAZIA

Èun attacco frontale alla cancelliera Merkelquello lanciato da Oskar Lafontaine, exsegretario nazionale del partito “Die

Linke” (dopo essere stato negli anni ’80 segretariodell’SPD e Ministro delle finanze del governoSchroeder ndr). Da Kiel, dove si trova per dareslancio alla macchina elettorale del suo partito invista delle elezioni regionali dello Schleswig-Holstein, il Napoleone del Saarland ha accusatoAngela Merkel di voler distruggere l‘Europa.Ma non è soltanto la cancelliera Markel ad averegrosse responsabilità per la situazione drammaticain cui si trova l’Europa. Secondo Lafontaine, il set-tore finanziario è colpevole di voler abolire lademocrazia in tutto il mondo.Non usa mezze misure Oskar il rosso, con la testarivolta alla campagna elettorale nel suo “regno”, ilSaarland. Per Lafontaine la “Merkel è in procintodi distruggere l’Europa, e precisamente la demo-crazia in Europa, ma anche la coesione sociale”.“I fondi salva-stati sono in realtà bombe a grappo-lo contro la giustizia sociale” ha dichiaratoLafontaine, aggiungendo che: “la guerra delle ban-

che contro i popoli dell’Europa va fermata”.Contro la crisi finanziaria Die Linke propone unauna serie di ricette. Una tassa patrimoniale per faraffluire denaro nelle casse dello stato. Gli Statidevono ricevere crediti da una banca pubblica equesta, a sua volta, dalla Banca centrale europea.Per il vecchio leader, solo con un forte interventodi spesa pubblica sarà possibile fermare la reces-sione.Lafontaine spara ad alzo zero anche contro l’SPD“per essersi spostato troppo a destra”.Di conseguenza, in vista delle elezioni politiche del2013, per Die Linke ci sarebbero ampi spazi perraggiungere un risultato a due cifre se “la smettia-mo di giocare contro noi stessi.

M.D. (Berlino)

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LA SANTA ALLEANZA CONTRO IL RISCHIO SOCIALISTA IN FRANCIA

Spiegel online, la versione web del settimanalepolitico di Amburgo, riporta oggi una notiziadestinata a suscitare molto scalpore.

E non sono in Francia. Secondo Spiegel la cancel-liera Merkel avrebbe messo insieme un “cartello”di capi di governo contro il candidato socialista allapresidenza francese François Hollande.Di questa “santa alleanza” contro Hollande e afavore di Sarkozy farebbero parte, oltre ad AngelaMerkel, anche Mario Monti, il capo del governospagnolo Mariano Rajoy e il premier britannicoJames Cameron.In un accordo riservato, i leader dei più importan-ti paesi europei avrebbero deciso di non ricevereHollande durante la campagna elettorale per le ele-zioni presidenziali francesi.Come è noto, la Merkel si era già apertamenteschierata a favore del presidente uscente, dichia-rando pubblicamente di voler sostenere Sarkozy incampagna elettorale e di confidare nella sua riele-zione. L’indiscrezione dello Spiegel, se conferma-ta, proietta la scelta della Merkel in una nuovadimensione: una conventio ad escludendum tutta

in ambito conservatore contro il “male socialista”incarnato da Hollande.I conti sono presto fatti. Hollande ha più voltefatto sapere che se vincesse le elezioni francesisarebbe pronto a rimettere in discussione il pattodi bilancio appena sottoscritto da 25 dei 27 paesidell’Unione Europea, esclusi il Regno Unito e laRepubblica Ceca.Un rischio troppo grande per la Germania, assolu-tamente da non correre per la Merkel che questopatto ha voluto a tutti i costi. Tanto da spingersi inun terreno molto accidentato e rischioso, l’intro-missione nella campagna elettorale di un altropaese. Per di più amico. Anzi il principale alleatoeuropea della Germania.È questo in fondo il timore della Merkel. E cioènon soltanto che Hollande rimetta in discussione ilpatto di bilancio e forse anche altre decisioni presenei numerosi vertici europei, ma che metta indiscussione addirittura l’asse franco-tedesco guida-to in realtà dalla cancelliera tedesca.

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Ar ticolo originale su Der Spiegel: http://www.spiegel.de/politik/deuschland/0,1518,819095,00.html

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Negli ultimi giorni si sono moltiplicate leanalisi relative alla tenuta economicadella Turchia nell’immediato futuro.

Peraltro, la Turchia è sempre più immersa nellecrisi che riguardano il Medio Oriente.Proviamo allora a delineare un quadro complessi-vo della situazione sotto i seguenti profili:- adesione all’Unione Europea;- crisi regionali;- crisi interne;- situazione economica.Quanto al primo punto, vi è veramente poco dadire al momento. La prospettiva di integrazioneeuropea è sostanzialmente ferma e l’opinione pub-blica mantiene, nei riguardi dell’idea dell’adesionealla UE, un atteggiamento particolarmente disin-cantato.In tema invece di crisi regionali, da mesi va avantila tensione col Governo Assad sulla repressione inSiria. Ciò ha prodotto uno sbilanciamento dellapolitica turca in favore dei sunniti a scapito dellapolitica di equidistanza propugnata originariamen-te da Davutoglu, il che ha irritato gli sciiti, a parti-re dall’Iraq dove sono la maggioranza e godonodel sostegno delle autorità iraniane. La tensionecon l’Iraq negli ultimi giorni si è innalzata vertigi-nosamente. Nel corso del 2011, poi, si è assistito aun aumento dell’attività internazionale dellaTurchia che ha prodotto il risultato di una parzialerottura dei rapporti con Israele, in seguito all’inci-dente della Mavi Marmara al largo delle coste diGaza nel 2010, e una minaccia di rottura dei rap-porti conla Francia per la legge attualmente in

discussione al Parlamento francese sulla negazionedel genocidio armeno. In più,la Turchia ha tentatodi accreditarsi come interlocutore privilegiato delmondo arabo in preda alle convulsioni scaturitedalla Primavera Araba. Un primo effetto di questapolitica, soprattutto dopo la rottura con Israele, èstato l’assalto all’Ambasciata d’Israele al Cairo loscorso settembre. Di certo, non si tratta di un attogestito e pilotato direttamente da Ankara. Ma, aben vedere, in una situazione perlomeno di confu-sione quale quella esistente in Egitto, la rottura conIsraele è stata il segnale, spedito dalla Turchia almondo arabo, che prima o poi i conti con gli israe-liani potessero essere regolati. È immaginabile chela notte dell’assalto all’Ambasciata, il PresidenteObama, intervenendo direttamente sulla GiuntaMilitare egiziana del Feldmaresciallo Tantawi,abbia fermato un’azione militare di salvataggio delGoverno israeliano che avrebbe, di certo, condot-to a una nuova guerra in Medio Oriente. Il che ladice lunga sulle capacità, invero non straordinarie,di analisi strategica e orientamento dell’attuale diri-genza turca.Circa le crisi interne, va osservato che le elezionipolitiche dello scorso giugno hanno stabilizzato ilpotere del Governo Erdogan (intorno al quale,forse con qualche dietrologia, iniziano a circolarevoci sul suo stato di salute, ma che appare, onesta-mente detto, vieppiù alterato sul piano psico-fisi-co), giunto ormai al terzo mandato. Tuttavia, ilquadro politico-parlamentare non si è affatto tran-quillizzato. In primo luogo, perché la magistratura,con le sue iniziative altamente politicizzate (da ulti-

LA TURCHIA, FOCOLAIO DI CRISI IN MEDIO ORIENTE?

di GZ Karl

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mo, nei confronti dei militari), attizza continua-mente focolai di crisi politica. In secondo luogo,perché l’attuale legislatura si è aperta sì con un qua-dro parlamentare saldamente in mano al Partito diErdogan, ma in una simile situazione è altrettantoevidente che i partiti di opposizione all’AKP, siapure con tutti i loro limiti in termini specialmentedi capacità gestionali che li rendono inadatti a rile-vare le responsabilità di governo, possono giocareuna partita di scontro frontale col Governo, nonavendo più nulla da perdere, e che può trasformar-si alla lunga in uno scontro mortale. Per di più, perla prima volta la rappresentanza curda è entrata inParlamento, con la delegazione del BDP chedispone all’incirca di 30 deputati. Guarda caso, apartire dallo scorso luglio, la situazione nelKurdistan turco si è incendiata, fino a giungere alrecente massacro di 35 contrabbandieri aUsundere, scambiati dall’aviazione per militanti delPKK infiltrati dal Kurdistan iracheno. In questoquadro, dunque, l’obiettivo di aprire una fase costi-tuente, benché all’AKP manchino solo 4 voti inParlamento per modificare autonomamente laCostituzione, sembra estremamente irrealistico.Oltretutto, al momento sono assenti progetti diriforma che riguardino, da un lato, una riforma delsistema giudiziario finalizzata ad assicurare unamigliore protezione dei diritti fondamentali dellapersona e, dall’altro, progetti volti a definire, unavolta per tutte, uno status di tutela delle popolazio-ni di lingua curda (si badi, però, che non è possibi-le seguire in questo campo l’approccio tradiziona-le in tema di protezione delle minoranze, poiché laminoranza curda non ha le dimensioni di una tipi-ca minoranza europea, come in Alto Adige, trat-tandosi al contrario di una popolazione di ventimilioni di persone su 70 milioni di persone)Infine, nubi si addensano sull’economia turca.Giova innanzitutto osservare che i flussi commer-ciali della Turchia sono al 90% con l’UnioneEuropea. Conseguentemente, i turchi hanno ini-ziato a temere fortemente gli effetti della recessio-ne che è tornata ad affacciarsi in Europa.In aggiunta, va rimarcato come alcuni squilibri tipi-ci dell’economia turca abbiano iniziato a ripresen-tarsi prepotentemente. L’inflazione, probabilmen-te sospinta da un’ampia bolla creditizia che perònon ha prodotto un aumento degli investimenti (èfacile sospettare allora che parte dei capitali presi aprestito sia stata trasferita all’estero) ha raggiunto

la soglia del 10%, mentre l’inflazione attesa dallaBanca Centrale turca era del 5% nel 2011. Il tassodi cambio si è così deprezzato nel corso del 2011,ma ciò, quasi paradossalmente, non ha sortito l’ef-fetto di migliorare la bilancia commerciale turca.La Turchia resta, difatti, un paese estremamentedipendente dalle importazioni, che tuttora sopra-vanzano di gran lunga le esportazioni. Peraltro,negli ultimi mesi, per tentare di mantenere basso ilvalore di cambio della lira turca,la Banca Centraleturca ha impiegato quasi tutte le proprie riserve dimoneta straniera senza però ottenere grandi risul-tati, tanto che la lira turca si è leggermente riap-prezzata, e riducendo in tal modo le proprie riser-ve in dollari a soli 96 milioni. Negli ultimi tempi,poi, hanno iniziato ad andare deserte le gare turcheper i progetti infrastrutturali. A questo riguardo, siricordi che i turchi non finanziano, di norma, i pro-getti infrastrutturali, ma assegnano la gestione equindi i ricavi delle infrastrutture così realizzatealle società che le costruiscono con propri fondi.La carenza di liquidità in Europa si riflette ancheper questa via sulla Turchia.Come si vede, la Turchia può definirsi già oggi unfocolaio di crisi, sia politica sia economica, nellaregione. Nell’ultimo anno, è stato impressionanteosservare il cambio di atteggiamento impresso allapolitica turca dall’espansione economica degli ulti-mi anni e dalla vittoria elettorale dell’AKP delloscorso giugno.Galvanizzati, i politici dell’AKP hanno portatoavanti una politica dai toni bellicosi, ma alla finedei conti alquanto inconcludente, comunque irrea-listica rispetto alle possibilità del paese e che staesponendola Turchia a un rischio di isolamentopolitico nei confronti dell’occidente e, di riflesso, auna chiusura dei rubinetti finanziari in suo favore.Lo spostamento di asse verso est della politicaturca, ribaltando l’approccio pro-occidentaleseguito in passato, sta immergendo sempre più laTurchia, da protagonista, nelle crisi mediorientaliche rischiano, presto o tardi, di combinarsi e disfociare in una nuova guerra.In conclusione, la Turchia pare aver smarrito il suoruolo di stabilizzazione nella regione e la sua posi-zione di equi-distanza riguardo alle crisi medio-rientali, il tutto in un quadro economico in peggio-ramento.Non pare, però, che il Governo Erdogan abbiaintenzione di rivedere la politica seguita fin qui.

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La ricerca dei metalli preziosi è stato il grandemovente dei conquistatori spagnoli che nelXVI si avventuravano in America attirati dalle

leggende dell’Eldorado, un luogo mitico costruito su immense quan-tità di oro e pietre preziose.Wamatinag– “la madre dei minerali” – era il nome in lingua origina-le del Cerro di Famatina, accanto al quale oggi si trova un pittorescovillaggio i cui abitanti sono riusciti a bloccare (per ora) il saccheggiodelle multinazionali dell’estrazione dell’oro.Alla resistenza popolare contro l’istallazione dell’impresa canadeseOsisko Mining Corporation nel paese di 6.000 abitanti della provin-cia della provincia di La Rioja – ai fianchi della Cordigliera e, tra l’al-tro, culla di nascita e dell’esperienza politica dell’ex presidenteMenem – ormai non partecipano soltanto i residenti; essa coinvolgenumerosi attivisti sociali, ambientalisti, figure note dello spettacolo edella cultura di tutto il paese, che hanno contribuito a portare ildibattito sui rischi dell’industria mineraria “a cielo aperto” alla ribal-ta nazionale.L’ammutinamento dei vicini è cominciato alla fine dello scorso anno,

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IL NUOVO ELDORADO ARGENTINOLe proteste del Famatina tra sviluppoeconomico e sostenibilitá ambientale

di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)

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quando si è saputo dell’accordo del governo provinciale con l’azien-da canadese per sfruttare l’oro del giacimento. Il 16 gennaio scadevail termine pattuito negli accordi per cominciare i lavori d’esplorazio-ne, ma è stato impedito ai tecnici e agli operai dell’impresa di rag-giungere la montagna a causa dal picchetto, presto diventato accam-pamento, dell’assemblea di manifestanti nella strada verso ilFamatina dall’inizio delle proteste. Il 26 una folla di cittadini che sioppongono al progetto ha partecipato della manifestazione convo-cata nella piazza della città capitale della provincia, davanti al Palazzodel Governatore, con la parola d’ordine “Il Famatina non si tocca” ealtri slogan che esprimono i contenuti della mobilitazione: “No aimega- giacimenti, sì all’acqua, alla terra, al lavoro e alla giustizia”; “Semanca acqua pura è perché avanzano miniere contaminanti”;“L’avidità di oro ci lascerà senza acqua”, ecc. Così il governatoreBeder Herrera è stato forzato a fare retromarcia. Il giorno seguentein conferenza stampa ha rassicurato la popolazione che i lavoririmarranno momentaneamente sospesi e che promuoverà una cam-pagna d’informazione e un pubblico dibattito sul progetto, convintodi trovare i consensi per avviare finalmente l’opera. Le popolazioniin ogni caso rimangono in stato di allerta e non sciolgono la mobili-tazione nell’attesa dell’evolversi degli avvenimenti.In verità questa non è la prima volta che il popolo riesce a fermare iprogetti sulla montagna. Nel 2007 era stata mandata all’aria un’altrainiziativa: l’impresa sconfitta era stata la Barrick Gold, multinaziona-le canadese leader nel settore miniero che sfrutta diversi giacimentiin Argentina e che si proponeva l’estrazione di oro e rame della mon-tagna. Paradossalmente, gli avvenimenti di allora erano serviti aBeder Herrera per arrivare alla prima carica provinciale, assumendole bandiere ambientaliste per destituire l’ex governatore con il con-

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senso dei cittadini. Di fatto,come primo atto di governo,aveva proposto una legge pervietare i giacimenti a cielo aper-to nel territorio, promulgata nel2007 e poco tempo dopo stral-ciata.La ribellione di Famatina, inogni caso, è soltanto una di unalunga serie di conflitti e rivoltepopolari insorte attorno allaquestione ambientale, un feno-meno che emerge come caratte-ristico dell’Argentina dopo lacrisi del 2001. Il caso più ecla-tante, per le sue complicanzeinternazionali, è stato quellodelle massicce proteste dei resi-denti delle città turistiche dellariviera dell’Uruguay control’istallazione dell’industria cartie-re finlandese Botnia nel paesevicino: il conflitto si è protrattotra gli anni 2005-2010, ostaco-lando la circolazione e creandodifficoltà nei rapporti diplomati-ci tra la due nazioni sorelle esocie del Mercosur.

La prima sollevazione di unpaese contro l’industria minerariaè del 2003: Esquel, nella provin-cia di Chubut in Patagonia, èstato il paradigma di una comuni-tà che ha restitito e vintomediante la mobilitazione, laconvocazione di un referendum eil ricorso alla giustizia, riuscendoa chiudere uno stabilimento perlo sfruttamento dell’oro e a strap-pare una legislazione provincialecontro i mega-giacimenti.Lo sviluppo dell’industria mine-raria a grande scala in Argentinaè un fenomeno recente.Due sono i fattori che hannocontribuito al suo sviluppo. Inprimo luogo, la legislazione peril settore promossa dal governodi Carlos Menem nel decennioultraliberale dei ’90, con il pro-posito di attirare gli investimentiinternazionali garantendo amplivantaggi e benefici per le impre-se: ampie esenzioni fiscali e age-volazioni valutarie per 30 anni,libera trasferta dei capitali e pro-

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El Famatina no se toca!!

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fitti all’estero e altri vantaggi incambio di un tributo, da distri-buire tra Stato e Provincia, equi-valente al 3% del valore delminerale estratto nel giacimento.È stato tuttavia l’aumento inter-nazionale del prezzo dell’oro e dialtri minerali metalliferi comel’argento e il rame negli ultimianni, la ragione alla base dell’in-cremento esponenziale delle atti-vità estrattive a grande scala, cherichiedono importanti investi-menti di capitali convocando,dunque, l’insediamento diimprese multinazionali. Il presi-dente Nestor Kirchner (2003-2007), avvalendosi della norma-tiva promulgata, diede impulsoad un Piano Nazionale di svilup-po del settore che consentì allafine del suo mandato di incre-mentare le esportazioni minera-rie tredici volte rispetto al 1995.Negli anni della sua gestione,secondo dati della Segreteria diGoverno per l’IndustriaMineraria, gli investimenti accu-

mulati sono cresciuti otto volte(da 660 a 5600 milioni di dollari)e alla fine del periodo il numerodi progetti in diverse fasi di svi-luppo era di 336. Nello scorsoanno 2011, sempre secondo datiufficiali, sono stati investiti circa3.000 milioni di dollari che rap-presentano un incremento accu-mulato del 1.948% riguardo al2003, anno d’avvio del PianoNazionale. La Segreteria diGoverno registra 614 progetti,radicati principalmente nelleprovince di Santa Cruz, SanJuan, Salta, Catamarca, Jujuy,Mendoza, Neuquén y La Rioja.La maggior parte delle risorsemetallifere argentine si trova,infatti, lungo la Cordigliera delleAndes, in territori strutturalmen-te aridi dove l’accesso alle risorseidriche non sempre è garantito.Le conseguenze del cambiamen-to climatico, cioè l’aumentodelle siccità e il ritiro delle gran-di riserve idriche che sono ighiacciai cordiglierani, sono ora-

mai sentite dalle popolazioni.La lotta per proteggere l’acquaaccomuna ceti diversi ed è diven-tato il principale leit-motiv deimovimenti popolari.L’estrazione a cielo aperto, ado-perata nei siti dei minerali piùpregiati, è una tecnica di sfrutta-mento delle miniere che richie-de, in primo luogo, la rimozionedi tutto il terreno e delle rocceche sono in superficie (il sovrac-carico) per rendere accessibile iminerali di bassa qualità. Questaprocedura comporta un’enormedevastazione del sito, con l’usodi dinamite su larga scala, del cia-nuro per separare il metallo dallapietra e di ingenti quantità diacqua per poi lavarlo.Nel 2011 – informa il Segretariodell’Industria Mineraria – sonostati perforati 1.031.600 metri,un 41,3% in più del 2010 e un664% in più riguardo all’iniziodel 2003.La contaminazione delle faldesotterranee con il cianuro e i

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rischi concreti per la salute, sonoun ulteriore motivo per spiegarela compattezza e perseveranzadella resistenza popolare.Il caso sicuramente più emble-matico è quello dell’Alumbrera,nella provincia di Catamarca, laprima e più grande estrazione acielo aperto dell’Argentina. Gliabitanti dei vicini comuni diBelen e Aldalgala sono in statodi agitazione permanente e cisono polemiche e denuncie sugliincrementi delle malattie dal-l’apertura della mina nel 1997.I fatti dell’Alumbrera arriveran-no presto alla CorteInteramericana dei DirittiUmani, alla quale si sono rivolti iquerelanti della causa iniziata nel1998 contro l’impresa nella pro-vincia confinante di Tucumanper inquinamento dei fiumi,istanza che ha sofferto dilazionigiudiziarie dopo un primo invioa processo del responsabile dellamultinazionale.Il dibattito sulle miniere ha crea-

to un muro contro muro tra igoverni provinciali – che nonsono disposti a perdere una dellepoche fonti di investimento e diriscossione tributi per i loro ter-ritori - e le popolazioni implica-te, che paventano i rischi dell’in-quinamento dell’ambiente natu-rale. Queste ultime trovano cre-scenti sostegni nella società civi-le e sono accompagnate da unospazio sempre più rilevante nel-l’attenzione dei media nazionali.Gli oppositori al progetto deimega-giacimenti pongono l’ac-cento, per di più, su altri fattoridi criticità e rischi aldilà di quelliambientali. Tra questi il caratteredel modello di sviluppo che sot-tintende l’industria, che rimaneancorato alla logica esclusiva-mente estrattiva mirata all’espor-tazione, creando enclave chenon innescano processi di svi-luppo locale bensì recano pre-giudizio alle economie locali.Sono timori presenti a Famatinae in altre località della

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Cordigliera che cominciavano atrovare nel turismo e nell’agri-coltura intensiva nuove opzionidi sviluppo in questa fase di cre-scita per l’Argentina.Un altro tema nel dibattito è lacapacità di creazione di occupa-zione di questa industria. È unodegli argomenti forti deiGovernatori in carica, responsa-bili del futuro di province chesoffrono di una cronica mancan-za di lavoro. Non è sicuramenteun caso che le province che oggiospitano i principali progettisono quelle che registrano anchele maggiori quote di dipendentinel settore pubblico, strategiache in queste realtà è servitacome sussidio di disoccupazionemascherato (Santa Cruz 41,4%della popolazione, La Rioja38,5%, Catamarca 32,9%, con-tro una media nazionale di16,8%. Fonte: EAHU, 3º trim.2010). Gli oppositori cercano didimostrare come, al contrario, iposti creati dalle industrie estrat-

tive sono limitati e soprattutto dicarattere temporaneo, con unatendenza al decremento nellafase di sviluppo delle imprese.Esiste inoltre un altro aspettofortemente negativo da eviden-ziare e che riguarda il modusoperandi in loco delle impresetransnazionali del settore. Gliattivisti denunciano fatti concre-ti di intimidazione e persecuzio-ni nei loro confronti e hannoportato alla luce episodi di con-nivenza tra dirigenti delle azien-de e politici o amministratorilocali. Sono stati ritrovati docu-menti interni delle imprese cherendono conto dell’utilizzo abi-tuale di tangenti e favori percomprare le volontà politiche ela compiacenza dei media.Queste forme di corruzioneimpattano ancora più negativa-mente su province dove il fun-zionamento delle istituzionidemocratiche è deficitario edebole, caratterizzate spesso daregimi politici di tipo clientelare

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e fondati sui caudillos locali. Inqueste realtà i diritti degli abitan-ti sono più facilmente vulnerabi-li, a cominciare dai più debolicome sono i popoli aborigeni,che subiscono usurpazioni diterre e la distruzione del lorohabitat naturale e culturale.“Poche attività industriali riesco-no a impattare così profonda-mente tutte le sfere della vita diun popolo, come fa il settoreminerario”, riassume un rappor-to del Servicio Paz y Justicia, l’orga-nizzazione guidata dal premioNobel Perez Esquivel.“Sostenuta dalla gran maggio-ranza dei politici e dai media, lecompagnie minerarie agisconoimpunemente, sfruttando la vul-nerabilità delle popolazioni loca-li. (…) Le imprese minerarietransnazionali fondano la loropolitica sull’idea che il denarocompri tutto e che si può farequalsiasi cosa per aumentare iloro profitti. Tuttavia se il dena-ro ha successo per acquistaremolto, per fortuna non ha com-prato ancora tutti. In tutti i vil-laggi colpiti dai mega giacimenti,sono sorte assemblee di cittadini

autoconvocati per dire no alleminiere.” (Impacto de la gran mine-ria sobre las poblaciones locales enArgentina, SERPAJ, 2008).In Argentina, dalla riformacostituzionale del 1994, sono leprovince le proprietarie del sot-tosuolo. Molti parlamenti fede-rali hanno promulgato leggi vie-tando l’estrazione su grandescala a cielo aperto, in diversicasi sotto la pressione dellamobilitazione cittadina: Chubut(2003), Río Negro (2005);Tucumán, La Pampa y Mendoza,oltre La Rioja già citata (2007);Córdoba e San Luis (2008);Tierra del Fuego (2011).La sete di risorse nelle provincepiù disagiate e il pressing delleimprese, tuttavia, riescono spes-so a imporsi: il governatore dellaprovincia di Rio Negro nellaPatagonia ha recentementederogato il divieto seguendo lastessa strada intrapresa prima daLa Rioja. In ogni caso questonon dovrebbe stupire, visto chequalcosa di simile è successoanche in Europa.Vale la pena ricordare la vicendadella “Risoluzione del

Parlamento Europeo sul divietogenerale di utilizzo delle tecno-logie di estrazione mineraria conil cianuro nell’Unione Europea”,approvata il 5 maggio 2010 marifiutata il 23 giugno dalCommissario Europeo perl’Ambiente Janez Potocnik.Nella risposta ufficiale si segnalache “dopo un’analisi approfon-dita della questione, laCommissione ritiene che undivieto generale di cianuro nelleminiere non è giustificato dalpunto di vista dell’ambiente edella salute”.Il funzionario ha aggiunto ancheche “l’attuale legislazione inmateria di gestione dei rifiuti delleminiere (direttiva 2006/21/CE)contiene dettagli e requisiti severiper garantire un adeguato livellodi sicurezza nella gestione deirifiuti minerari. I valori dei limitidi stoccaggio di cianuro, comedefiniti nella direttiva, sono i piùrigorosi possibili e implicano inpratica la distruzione del cianuroutilizzato”.Il Commissario è andato oltre:“Il divieto generale dell’uso delcianuro comporterebbe la chiu-

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sura delle miniere esistenti cheoperano in condizioni di sicu-rezza. Questo sarebbe svantag-gioso per l’occupazione e senzavalore aggiunto per l’ambiente ola salute “.La Commissione ha chiarito checontinuerà a monitorare gli svi-luppi tecnologici nel settore pergarantire che le “migliori tecni-che disponibili” siano applicatenell’attività, come richiesto dalladirettiva europea. Si ritiene chela priorità dovrebbe essere assi-curare la completa applicazionedella direttiva da parte dei paesimembri, adottando a questoscopo tutte le misure necessarie.(Fonte: Parliamentary questions –23 June 2010, Answer given byMr Potoãnik on behalf of theCommission, P-3589/2010. In:http://www.europarl.europa.eu

/sides/getAllAnswers.do?refe-rence=P-2010-3589&langua-ge=ES).La proposta di raccomandazio-ne era stata presentata dai depu-tati popolari János Áder(Ungheria) e László Tokés(Rumania) ed era stata approva-ta dal Parlamento con 488 voti afavore, 48 contrari e 57 astensio-ni. Tra i punti si ricordavano glioltre trenta incidenti gravi chenegli ultimi venticinque anni sisono verificati a livello mondia-le, il più serio dei quali risale adieci anni fa e ha colpito proprioi paesi d’origine dei deputati,“quando più di 100.000 metricubi di acqua contaminata dacianuro sono fuoriusciti dal ser-batoio di una miniera d’oropenetrando nel sistema fluvialeSzamos-Tibisco-Danubio e cau-sando il maggiore disastro eco-logico dell’Europa centrale del-l’epoca, e che non vi è alcunareale garanzia che simili inciden-ti non si ripetano, soprattuttotenendo conto della sempremaggiore frequenza di condizio-ni atmosferiche estreme, tra cuiforti e frequenti precipitazioni,

come prospettato nella quartarelazione di valutazione del grup-po intergovernativo di esperti sulcambiamento climatico”.I rischi sono oggi molto presen-ti in Europa Centrale: il governorumeno ha dato il via al progettocanadese di giacimento auriferonella località di Rosia Montana(Transilvania Occidentale), dopo14 anni di durissime controversetra gruppi politici e ambientalisti(Vale di più l’oro o l’ambiente?, diPaolo Virtuani, «Corriere dellaSera», 31 agosto 2011). Un filoconduttore dunque lega le sortidel paese europeo e di quellosudamericano.Tornando in Argentina, i prota-gonisti in vista del conflitto diFamatina sono la società civile ei governi provinciali. Lontanodalla scena c’è l’impresa, cheevita accuratamente contatti congiornalisti o di comparire pub-blicamente. Non abbiamo parla-to ancora di un altro attore cen-trale, anche questo defilato dallascena principale: il governonazionale.L’atteggiamento del governocentrale è stato quello di evitare

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ogni intervento o pronuncia-mento diretto su Famatina ma,mentre faceva ciò, i potenti polimediatici e principalmente ilgruppo Clarin – che oggi rappre-senta la principale forza dell’op-posizione – si sono appropriatidel tema che riscuoteva giornoper giorno maggiori consensi epopolarità.Il tema ambientale si presentacome il fianco debole per il kir-chnerismo, così come altri pro-blemi – le lotte per la terra deipopoli nativi, in primo luogo –

che possono creare potenzialiostacoli per guadagnare il tempoperso dall’Argentina sfruttando afondo questa fase di accelerazio-ne in avanti e di crescita econo-mica.La questione mineraria è unadelle politiche che creano mag-giori tensioni nella compagine digoverno, fino al punto di mostra-re crepe e differenze interne chenormalmente non vengono aluce nella consuetudine politicadel kirchnerismo.Esiste un antecedente importan-te che è stato il dibattito sulla“legge di protezione dei ghiac-ciai” a favore della quale si è bat-tuto un ampio movimento dellasocietà civile contro i governato-ri delle province minerarie.Nel 2008 il Parlamento approvauna legge proposta dall’opposi-zione e la Presidente assume ilcosto politico di sostenere la

posizione dei governi delle pro-vince della Cordigliera, ponendoil primo veto presidenziale adun’azione del Parlamento.La decisione era fondata sullaconvinzione che “non si puòporre un divieto assoluto di atti-vità” e che si considera “eccessi-vo vietare miniere o trivellazionipetrolifere nei ghiacciai e nellezone al confine con i ghiacciai”.Inoltre, il governo ammettevache “governatori della zonamontana hanno espresso preoc-cupazione per le disposizioniemanate dalla norma” perchéavrebbe inciso su investimenti eoccupazione. (Fonte: Decreto1837/2008)Nel retroscena, il vero tema deldibattito è il Pascua – Lama,primo progetto minerario tran-sfrontaliero e binazionale natodall’accordo firmato tral’Argentina e il Cile nel 1997, che

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dovrebbe diventare il giacimentopiù grande per entrambi i paesi. Ilsottosuolo d’oro, argento e ramein mezzo alla cordigliera è pro-prietà, per la parte argentina, dellaprovincia di San Juan e sarà sfrut-tato dall’impresa canadeseBarrick Gold, leader del settore.La mobilitazione locale e unacampagna internazionale accom-pagnarono questo dibattito,durante il quale una parte deiparlamentari del partito di gover-no si avvicinarono alle posizioniambientaliste cercando una diffi-cile mediazione che, dopo diver-se peripezie, ha condotto all’ap-provazione di una legge per ilsettore nel settembre del 2010(Legge No. 26.639).Le organizzazioni ambientaliste,malgrado ciò, denunciano dila-zioni nella regolamentazione enell’applicazione della norma,che stabiliva la realizzazione di

un censimento dei ghiacciai edelle riserve idriche dellaCordigliera entro marzo delloscorso anno che non è ancoracominciato.San Juan, La Rioja, Catamarca etutte le province che oggi ospita-no imprese minerarie hanno incarica governatori che aderisco-no al kirchnerismo, tuttavia con-servare queste lealtà politiche neldelicato gioco di poteri federali èsoltanto uno degli aspetti delcomportamento del GovernoNazionale e forse non il princi-pale.La Presidente sembra convintache l’industria mineraria siaun’occasione per questa fasedell’Argentina e non ha paura dipolemizzare con gli ambientali-sti. In piena effervescenza delcaso Famatina, mentre né laPresidente né gli altri funzionarinazionali si pronunciavano sui

fatti, in occasione del discorso diriassunzione dopo l’interventochirurgico, Cristina colse l’occa-sione per criticare le organizza-zioni ambientaliste. Parlando sulconflitto riacceso in questi giornicon il Regno Unito sulleMalvinas e riferendosi allo sfrut-tamento del petrolio e dellapesca, affermava “veramentenon ho sentito nessuna ONGambientalista criticare il RegnoUnito per quello che stannofacendo nelle Malvinas, nénazionale né internazionali (…)mi piace tanto che difendano lebalene perché sono bellissime,ma sarebbe bene che difendesse-ro anche tutti i calamari e tutte lecose che si stanno portando viada lì che è una vera depredazio-ne”, quasi in un motto di rabbia.(25/01/2011).L’episodio ha meritato unarisposta ufficiale della direttricedi Greenpeace nel quale celebrail nuovo interesse manifestatodalla Presidente sulla questioneambientale “così lontana a tantiaspetti del suo governo” e lainvita a rompere il silenzio eintervenire su un “conflitto cheoltre ad essere ambientale ésociale” come quello diFamatina.Nello stesso discorso laPresidente ricordava che il paesepossiede il 22% delle risorse

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naturali di litio – un mineralemolto ambito in diverse indu-strie, tra cui quelle elettroniche –e che con la Bolivia e il Cile sihanno il 90% delle riserve mon-diali.L’Argentina scommette sull’in-dustria mineraria, e punta ad undestino di leader nel settore. Lascorsa settimana – ancora inmezzo alle polemiche per iFamatina – il Segretariodell’Industria Mineraria dellaNazione ha pronosticato informa entusiasta che “nellaseconda metà del 2020l’Argentina diventerà il grandegiocatore del settore dell’indu-stria mineraria mondiale; sicostruiranno almeno 15 grandiprogetti” e “saremo tra i cinqueprincipali paesi produttori dirame, tra i tre primi di argento,uno dei sei principali per l’oro etra i primi per il litio, il potassio eil borato”. (Cuestion de minas,Marcelo Zlotogwiazda, «RevistaVentitres», 25/01/2012 )Lo sviluppo minerario è unastrategia di governo fin dall’ini-zio del mandato di NestorKirchner. Nella fase che si èaperta in questi anni – di appro-fondimento dei legami e dei rap-porti con i paesi vicini e di for-mazione di un blocco regionale

che presenta una nuova capacitàdi negoziazione a livello globale– diventa cruciale lo sfruttamen-to delle proprie risorse strategi-che e anche le industrie estrattivepossono essere occasione di inte-grazione. C’è l’intenzione di fir-marare un accordo binazionalecon la Bolivia, sulla stessa linea diquanto fatto con il Cile.Assumendo la presidenza pro-tempore del Mercosur il dicem-bre scorso, Cristina ricordava che“abbiamo molte cose da fare el’industria mineraria, che ad alcu-ni sembra quasi una parolaccia,se resa sostenibile rispettando lenorme che si fanno in altri paesi,è ancora un’attività sotto-utiliz-zata nella Regione.” (Fonte:Presidencia de la Nación – 42°Cumbre Mercosur, 20/12/2011).La risposta alle questioni postedagli ambientalisti è dunque quel-la della Commissione Europea ein questo senso ci sono norme,create altrove e con più esperien-za, da poter applicare.Il ciclo economico in Argentinae le caratteristiche del modello disviluppo scelto, d’altra parte, nonpossono facilmente prescinderedagli investimenti per estrazioniminerarie.In un panorama come quelloargentino post-default di allonta-

namento dai mercati internazio-nali di capitali, mantenereun’economia in superavit con leproprie forze è stata la strategiadel recupero. Uscita dal giogo deiprestiti e salvataggi delle banchee istituzioni finanziarie interna-zionali mirati a saldare e rifinan-ziare altri debiti, l’incrementodelle esportazioni ha rappresen-tato la via principale d’ingressodi valute. Valuta forte per l’erario,per avviare politiche di salva-guarda in momenti di crisi, percontrollare il mercato valutario eresistere agli attacchi della specu-lazione finanziaria che un giornosì e l’altro no ci provano ancora.Valuta – molta – per saldare icompromessi assunti con i credi-tori internazionali, visto che lastrada scelta dai governi argenti-ni nella crisi di inizio millennionon è stata mai di uscire dal siste-ma capitalista. È inevitabile chel’attuale crisi internazionale abbiaanche qui un suo impatto e

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comincia a sentirsi la stretta delladomanda esterna. A ciò è corre-lata la diminuzione dei prezzi deiprodotti primari d’esportazionecome la soia, che è stata la prin-cipale fonte di valute di questianni, ostacolo al quale si aggiun-ge la questione climatica che si èmanifestata nella forma di unagran siccità che ha costretto ilgoverno a dichiarare lo stato diemergenza in diverse province.Gli attuali indirizzi del governosembrano mirare ad una maggio-re partecipazione e controllo suiaffari del settore minerario daparte dello Stato. Uno strumentogià in marcia è la formazione diaziende pubbliche ad hoc nelleprovince, con partecipazionedello Stato nazionale e provin-ciale. L’esperienza più consolida-ta – ma anche molto dibattuta –è quella dell’impresa YMAD(Yacimientos Minerales de AguaDionisio) titolare dei diritti diesplorazione e perforazione della

miniera dell’Alumbrera dellaprovincia di Catamarca, allaquale partecipa lo Stato naziona-le, la provincia e anchel’Università di Tucuman. Partedei proventi, secondo gli statuti,devono essere corrisposti alleuniversità nazionali, tuttavia unnumero importante dei senatiaccademici ha votato per rifiuta-re questo beneficio. Il Segretariodi Governo per l’Industria haconvocato lo scorso dicembre irappresentanti delle nove impre-se pubbliche finora esistenti percreare un luogo per il coordina-mento e la qualificazione degliinterventi.Un altro orientamento – piùsecondo voci che circolano cheda dichiarazioni ufficiali – punte-rebbe ad aumentare le imposi-zioni e i tributi sulle imprese delsettore. Da più parti si sollecitauna riforma della normativa,visto che gli enormi guadagniricavati attualmente dalle aziendenon giustificano più certi vantag-gi per la promozione industrialedel ventennio scorso. I governiprovinciali, d’altra parte, premo-no per aumentare le loro quotedi partecipazione ai benefici etributi che vedono finora spartitisempre a vantaggio dello statonazionale.

Sicuramente un ruolo forte diquesti consorzi pubblici potreb-be facilitare il controllo respon-sabile sui rischi ambientali chepone l’attività delle imprese,come dicono voci ufficiali.Rimane comunque il fatto chel’attenzione su questi problemi èincostante e sicuramente nonprioritaria.Questo vale anche per gli altripaesi della Regione dove, di voltain volta, si ripropone il problemadello sviluppo ambientalmentesostenibile.Nel caso argentino i temi pen-denti sono diversi –la coltivazio-ne con ogm che avanza nel terri-torio a scapito di altre coltivazio-ni, l’uso dei pesticidi velenosicome il glifosato vincolato colle-gato agli OGM, la deforestazio-ne, il cambiamento climatico el’aumento della siccità, la ridu-zione dei ghiacciai – e mancasoprattutto un’agenda politica inmateria ambientale, capace diinnescare spazi per un dibattitopubblico aperto, necessario perfare circolare l’informazione eaiutare a prendere decisioniresponsabili e condivise.

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Intervistaa JORGEGIORDANIdi Geraldina Colotti

«Mio padre – racconta – fu membro della Brigata Garibaldi, nellaguerra civile spagnola perse una gamba combattendo contro i fasci-sti. Mio fratello nacque in Spagna, quando Franco prese Barcellona

e i miei scapparono, un soldato lo mise sotto la camicia per fargli passare ilconfine con l’Italia, dove mio padre partecipò alla resistenza. Durante l’avan-zata di Hitler, che stava chiudendo l’Europa, fuggirono di nuovo. Non pote-vano andare né in Argentina, né in Messico, perché le due frontiere eranochiuse. Così finirono a Santo Domingo, dove sono nato io. Con l’arrivo deldittatore Trujillo, la cui specialità era gettare gli oppositori in pasto ai pesce-cani, siamo venuti in Venezuela. Nel ’59 noi studenti accogliemmo Fidel cheaveva vinto con la rivoluzione cubana e che portava con sé un vento di libe-razione. Insieme al capitano Jimenez Moya, che aveva combattuto nella Sierracon lui, organizzammo un’invasione a Santo Domingo partendo da Cuba.L’evasione fallì e così io, che facevo parte del secondo gruppo, non parteci-pai. Avevo 18 anni. Subito dopo, lasciai una lettera a mio padre e partii perl’Italia con un passaporto falso su cui era scritto “apatride”».Dalle strade di Caracas arrivano gli echi degli imminenti festeggiamenti per il 4 febbraio,che ricorda la ribellione armata dell’allora tenente colonnello Hugo Chavez al governo delsocialdemocratico Carlos Andres Perez, nel 1992. Come ha conosciuto il comandante Chavez?«Il 26 marzo ’93 insegnavo all’università. Insieme a un gruppo di persone pre-occupate per l’avvenire del paese dopo la rivolta dell’89, il Caracazo, discute-vamo sul da farsi e stilammo una proposta. Qualcuno di noi aveva già cono-sciuto Chavez, che era in prigione dal 4 febbraio dell’anno prima dopo il fal-limento dell’operazione Ezequiel Zamora. Chavez ci invitò a discutere. Loandammo a trovare in carcere. Prima di uscire, lui mi disse che aveva letto

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alcuni miei libri e che mi stava cercando da tempo. Io risposi: meno male chenon mi ha trovato, altrimenti sarei anch’io dietro le sbarre… Dottore in scienze politiche, l’allora tenente colonnello stava per finire il suocorso post-laurea all’università Simon Bolivar. Mi chiese se volevo seguirlonella tesi. Accettai, e quello fu il mio secondo sbaglio, dopo quello di andar-lo a trovare. E da lì, una catena di “sbagli” intenzionali: quando l’anno dopouscì di prigione, lavorai con lui. Mi propose di coordinare il programma digoverno che lo porterà a vincere le elezioni, nel ’98, a cui abbiamo lavoratoinsieme al professor Hector Navarro.Come si è costruita la politica economica bolivariana?Il primo documento, a cui abbiamo lavorato insieme al comandante, è statopubblicato nel luglio 96. S’intitolava “Un’alternativa bolivariana”. Poi è venu-to il primo programma di governo per le elezioni, vinte nel dicembre del ’98e che hanno portato Chavez alla presidenza il 2 febbraio del 99. Sono già 13anni… Allora ereditammo una situazione economica disastrosa, non aveva-mo neanche i soldi per il bilancio. Guarda questo grafico. Guarda lo sviluppoche abbiamo realizzato sul piano economico, politico, internazionale.Nonostante il golpe del 2002, il sabotaggio petrolifero e gli effetti della crisiinternazionale, per 22 trimestri successivi la crescita dell’economia venezuela-na è stata continua. Nei prossimi 6-7 anni prevediamo una crescita tra il 5 e il6%. Nel 2000 abbiamo presentato un’altra proposta, con la quale Chavez harivinto le elezioni. Dopo un primo piano socialista per il 2001-2007, c’è statauna seconda proposta che ha programmato la politica economica fino al2011. In questa settimana sarà resa pubblico il piano 2013-2019.I punti fondamentali sono sette: una nuova etica socialista, la felicità sociale(un concetto che ci viene da Bolivar), la democrazia «protagonica» rivoluzio-

Jorge Giordani (di origini italiane nrd), ministro della pianificazione e

della finanza, è unanimemente considerato l’autorità più importante

del governo venezuelano dopo il presidente Chavez. Ci riceve nel

suo studio al ministero, tra un quadro del «comandante» e uno di

Bolivar, tra un ritratto seppiato di Lenin e una pila di grafici, formule e

proiezioni a cui attinge a ogni nostra domanda.

Economista, scrittore e saggista, studioso di Gramsci, ha scritto

numerosi libri e costruito l’ossatura della politica economica boliva-

riana. Buon conoscitore dell’Italia, ricorda volentieri il periodo di studi

a Bologna e l’impegno politico del padre italiano.

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naria che è un portato dellanostra costituzione, la costruzio-ne di un modello produttivosocialista, una nuova geopoliticanazionale, la consapevolezza diessere una potenza energetica alivello mondiale e una nuovageopolitica internazionale.Quali sono i motori del “processo boli-variano”?Per prima cosa il petrolio, ilnostro continua a essere unpaese rentier. Per quest’anno, siprevede una forte rendita delpetrolio, anche con una tecnolo-gia al 20% com’è la nostra.In secondo luogo, la costruzionedi case che – oltre alla soddisfa-zione di avere un tetto sulla testa– ha consentito una crescita del10%.Il terzo punto, e per noi il piùimportante, è la crescita qualitati-va in termini di investimentototale sulla salute, l’educazione,la casa. Il totale dell’investimentosociale nei dieci anni precedentiil governo Chavez era di circa il37%, il nostro è il 62%. Questosi riflette nella realizzazione deicosiddetti obbiettivi per il millen-nio, in primo luogo la diminuzio-ne della povertà estrema e nel-l’indice di Gini, che misura ledisuguaglianze sociali: il

Venezuela è il paese dell’Americalatina in cui la distribuzione delreddito è la meno diseguale. Lozoccolo di povertà estrema, al7%, è comunque difficile daintaccare, per questo sono staterecentemente create altre grandimissioni sociali, come Amormayor, rivolta a fornire assistenzapensionistica a tutti gli anziani,anche a quelli a cui non eranostati versati i contributi, e corri-spondente al salario minimo. Perfavorire tutto questo, dopo lacrisi finanziaria del 2009, abbia-mo varato nuove leggi per il mer-cato della valuta, dell’assicurazio-ne, della banca, una riformafinanziaria per consentire al flus-so di valuta esterna di esserereinvestito nell’infrastruttura enei progetti sociali. Abbiamoriconvertito una banca privata inun fondo per lo sviluppo.Aprendo un credito speciale conla Cina, in gran parte pagato,abbiamo incrementato lo svilup-po industriale, le infrastrutture,foraggiato il settore privato chenon ripaga in termini di investi-mento e produttività. Se l’oppo-sizione tornasse al potere, tuttoquesto verrebbe spazzato via.Gli Usa non possono permetter-si di vederci crescere con un

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modello alternativo. Oggi abbia-mo finito di riportare in patriatutto il nostro oro. Questo formala nostra base sociale, i fonda-menti della nostra società e cipermette di pensare a un secon-do gradino, allo sviluppo delleinfrastrutture, alla modernizza-zione del paese, allo sviluppodella sovranità e dell’indipenden-za nazionale e continentale.Anche l’inflazione è un fattostrutturale, dipende da molti fat-tori. Noi la definiamo inerziale,nel senso che è un portato deglianni precedenti in cui nessungoverno – dagli anni ’80 a oggi –ha potuto fare niente. Guardaquesto grafico, che fotografabene la situazione in termini ditendenze economiche nell’arcodi sessant’anni.All’inizio degli anni ’80 s’è pro-dotto un punto di frattura deter-minante per via della partenzadal paese dei grandi capitalifinanziari, che non è iniziata conil governo Chavez. Questi capi-tali non torneranno più, si sonointegrati a quelli internazionali. Èquello che possiamo definire ilcollasso del capitalismo rentier,uno smottamento sismico che haridotto l’investimento del settoreprivato, la rendita petrolifera ne

ha subito gli effetti. Noi abbiamosubito gli effetti del “venerdìnero” venezuelano, dell’econo-mia neoliberista nelle due decadiperdute degli anni ’80-90.Eppure negli ultimi 22 mesi, lanostra economia ha continuato acrescere.Mentre il capitalismo licenzia etaglia le pensioni, dagli Stati unitiall’Europa, noi abbiamo antepo-sto gli interessi dell’essere umanoa quelli del profitto.E non torniamo indietro.Malgrado lo sforzo del governoper sviluppare le nostre vastearee agricole, purtroppo nonsiamo ancora autonomi nel set-tore alimentare, sono 40 gli ali-menti che producono l’inflazio-ne a livello nazionale. Da noi sidice “sembrar petrolio”: si è pre-ferito comprare all’estero e spo-starsi nelle città piuttosto cherendere produttive le campagne.Ora cerchiamo di invertire latendenza, anche sviluppandoun’economia, tendenzialmentealternativa al petrolio, che favori-sca la produzione di beni inter-medi.Che cos’è il socialismo bolivariano chetanto spaventa i poteri forti internazio-nali?Un sistema misto. Nel nostro

ultimo piano abbiamo previstouno spazio per l’economia priva-ta: per quella produttiva, nonspeculativa. Da noi il settore pri-vato è un settore parassitario, chenegli ultimi trent’anni ha mante-nuto un livello produttivo chenon supera il 10%. Per questafase di transizione al socialismo,vorremmo mantenere un certoequilibrio fra l’investimento pri-vato – nella piccola e mediaimpresa e nelle cooperative-, laproprietà di stato e quella comu-nale. Vorremmo che quest’ulti-ma, in tendenza, crescesse fino aridurre e sostituire le altre due.Nel frattempo, cerchiamo difavorire un’alleanza virtuosa fralo stato e i piccoli imprenditoriche intendono investire nelpaese. In una prospettiva gram-sciana.

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Il presidente dellaRepubblica Bolivarianadel Venezuela, Hugo

Chávez, ha presentato alParlamento il resoconto annuale.Con un discorso trasmesso a retiunificate da tutte le televisionivenezuelane (pubbliche e priva-te), Hugo Chávez ha fornito unquadro dettagliato della situazio-ne economica, politica e socialedel paese.Il discorso di Chávez, come ognianno, ha letteralmente paralizza-to il paese, immobilizzandodavanti alle TV milioni di vene-zuelani. Del lungo intervento,durato circa dieci ore, ci limitia-mo a mettere in evidenza gliaspetti di maggiore interesse.

Il settore socialeDalle tante cifre snocciolate èemerso chiaramente l’impegnosociale del governo; gli investi-menti nel settore sociale (educa-zione, salute, previdenza, ecc…),durante gli ultimi tredici annisono stati pari a 468.618 milionidi dollari, oltre il 62% del bilan-cio statale; in precedenza tutti gliinvestimenti pubblici nel settoresociale non superavano il 30%del bilancio.Gli investimenti nel sociale

influiscono direttamente sull’in-dice di Gini. L’indice che misurala disuguaglianza di un paese;oggi, tale indice è sceso a 0,39 efa del Venezuela il paese menodisuguale dell’America Latina.Ma sono tanti gli indicatori posi-tivi del Venezuela.Con oltre due milioni di iscrittiall’Università, il Venezuela è alsecondo posto tra i paesi delcontinente americano e al quintoposto in assoluto al mondo perquanto riguarda gli indici di fre-quenza universitaria; tale obietti-vo è stato raggiunto grazie a unacapillare diffusione delle univer-sità sull’intero territorio nazio-nale. Oggi esiste almeno unasede universitaria in ogni muni-cipio (equivalente alla nostraprovincia).Un altro dato importante è quel-lo relativo all’indice di povertàche riguarda oggi il 27% dellefamiglie a fronte del 60% inizia-le; anche la povertà estrema èscesa dal 30% al 9%.Chavez, sottolineando la diffi-coltà di diminuire ulteriormentetali indici, ha lanciato quattroimportanti iniziative per sradica-re la povertà dal Venezuela.Per alcune fasce sociali, comeanziani e ragazze madri sono

partite, sul finire del 2011, dueiniziative specifiche: garantireagli uomini con almeno 60 annie alle donne con almeno 55 anniuna pensione, anche se nonhanno mai versato contributi, ealle ragazze madri, con figliminorenni a carico, un sussidioeconomico e piani di formazio-ne professonale.Alle famiglie con figli portatoridi hándicap è garantita l’assisten-za economica dello stato.Infine, è stata avviata l’ultimagrande missione, quella tendentea sradicare la disoccupazione.Sebbene la disoccupazione inVenezuela non rappresenti unproblema grave, aggirandosiattorno al 6-7%, l’obiettivo èquello di arrivare alla pienaoccupazione.

Venezuela, paese in crescita economicaIl Venezuela è un paese in fortecrescita economica. Nell'ultimoanno, il PIL è cresciuto di oltre il4% e nei prossimi 5 anni, ilgoverno punta ad una crescita dialmeno il 7% annuo.Lo sviluppo economico delpaese è incentrato su quattrograndi settori: il settore agricolo,con l’obiettivo di raggiungere lapiena indipendenza alimentare e

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Il resoconto annuale del Presidente della Repubblica,Hugo Chavez di Attilio Folliero, Caracas

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di non dipendere più dalleimportazioni, almeno per quelche riguarda i principali prodottiagricoli; il settore petrolchimico,in cui il Venezuela ha grandipotenzialità; il settore minerariocon le enormi riserve di alcunetra le più importanti materieprime come bauxite, ferro, oro,diamanti, ecc; e, ovviamente ilsettore che apporterà il maggio-re sviluppo economico al paese,quello petrolifero.Nel 2011 il Venezuela è diventa-ta ufficialmente la prima riservapetrolifera del mondo, con 297miliardi di barili, riserva destina-ta a crescere ulteriormente neiprossimi mesi/anni, essendo incorso altri studi per certificare leeffettive riserve della zonadell’Orinoco.Oggi il Venezuela produce 3milioni di barili al giorno, chediventeranno 3,5 milioni nelcorso del 2012, 4 milioni nel 2014e 6 milioni nel 2019. A tal finesaranno investiti nel settorepetrolifero 200.000 milioni didollari da qui al 2019, sia attraver-so investimenti venezuelani, cheattraverso imprese straniere; tuttele principali imprese del mondostanno sviluppando piani di inve-stimento in Venezuela, compresa

la ENI italiana.Anche l’incremento del turismointernazionale inciderà sullo svi-luppo del paese. Nell’ultimoanno sono stati quasi 600.000 glistranieri che hanno visitato ilpaese e l’obiettivo dichiarato dalpresidente è di arrivare quantoprima al milione.Il discorso di Chavez ha toccatoogni settore della vita economicae sociale del paese.A noi pare importante segnalareil successo raggiunto nel farscendere gli indici dell’inflazio-ne. Oggi in Venezuela l’inflazio-ne è ancora molto alta, con unamedia del 22%; tuttavia, comeevidenziato dallo stesso Chavez,negli anni precedenti alla suagestione l’inflazione era del 60-80% annuo, con punte, in alcuniperiodi, che superavano il 100%.

Il problema della delinquenza e dell’impunitàUno dei gravi problema delpaese è quello della delinquenzaper affrontare il quale, oltre aimassici interventi sociali, si ritie-ne di intervenire con la nuovaPolizia Nazionale, creata dueanni fa ed in fase di diffusionecapillare su tutto il territorio.Precedentemente non esisteva

una polizia nazionale ma diversepolizie, cittadina, municipale estatale. Tanti corpi di polizialocale, facilmente infiltrati dalladelinquenza e centri di illegalità ecrimini: estorsioni, rapine,sequestri di persone.Una serie di misure puntano aridurre fortemente gli indici delcrimine per i prossimi mesi/annicome ad esempio quelle relativealla distruzione delle armi seque-strate. Nel 2011 queste misurehanno già dato risultati positivicon il sequestro e la distruzionedi oltre 140.000 armi, contro lecirca 30.000 degli anni preceden-ti. Inoltre, è stata avviata unanuova politica carceraria attra-verso la creazione di un appositoMinistero che punta all’umaniz-zazione delle strutture peniten-ziarie.Una delle principali cause delladelinquenza è, tuttavia, da ricer-care nell’impunità. Chi commet-te un delitto, a qualsiasi livello, sadi avere grosse probabilità difarla franca.

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Sono gli stessi, sempregli stessi che ieri l’altropromettevano la mol-

tiplicazione dei pani, deipesci e delle caldarroste,oggi impongono l’eticaanoressica e rigori spartania destra, a manca e in basso. Solo in basso, mai inalto.I vedovi precoci della ”globalizzazione” redentri-ce, sono gli attuali apologeti delle penitenze coatti-ve e progressive, su scala di massa. Con immutatofervore mistico, i prestigiatori - diventati becchini -affondano i ferri teraupeutici che, secondo loro,hanno valenza e versatilitá universale. Applicabiliin ogni tempo e luogo del globo terracqueo, inAfrica e nella periferia europea. A Buenos Aires, aMosca, a Cittá del Messico, a Cittá del Capo, Atenee Roma. Sarebbe lo spirito dei “nuovi” tempi,compiaciuto di rappresentarsi come ineluttabile einquestionabile, come una nuova legge di gravità.La congerie di “rappresentanti” che ormai non sicura piú di fare il minimo indispensabile per con-servarsi come “opposizione” apparente, partecipavoluttuasemente allo spettacolo della penuria e deldisinganno.Dopo l’apologetica delle vacche grasse globalizza-te, eccoli ora con il saio dei salvatori e la spocchiadei rifondatori, mentre si danno alla spoliazionedella terza età e del terzo Stato. Se ne fottono per-sino della logica e sfidano il senso del ridicolo.Come sia possibile “creare lavoro” minimizzandola quantitá di salariati e falcidiando il reddito delle

famiglie, non è dato disapere. È indispensabile lafede, una granitica fedenelle virtú teologali della“liberalizzazione”, chetutto vede e tutto può.Anche promettere la

“ripresa” nel mentre abbatte i consumi e bastonala domanda. Può tutto e il contrario di tutto.Può spararle davvero grosse il dotto pifferaiomagico: farò crescere l’economia del 10% ! Ullalá,davvero? Peccato che il FMI lo bacchetti immedia-tamente: “please, stai schiscio, se tutto va bene,meno 2,2%”.La Teologia della Liberalizzazione si fonda sullaregola aurea di privatizzare gli utili e socializzare leperdite dell’elite. Concentrare i guadagni, colletti-vizzare i deficit delle banche e delle borse.La Giunta Provvisoria Globalista dopo aver nazio-nalizzato i danni prodotti da questa devianza socia-le d’alto bordo, a colpi di decreti d’emergenza -stileMenem in Argentina o Salinas de Gortari inMessico - si appresta a portare fino alle estremeconseguenze la sua opzione preferenziale per i ric-chi.Privatizzare, pardon “liberalizzare”, deregulation,poi di nuovo concentrazione monopolistica priva-ta. Il liberismo è incapace di creare lavoro e svilup-po. La breve e infausta storia della “globalizzazio-ne” lo dimostra. L’espatrio delle strutture produt-tive ha ingigantito e concentrato il potere in manoa pochi grandi monopoli bancari privati. Cittadinie consumatori ne pagano il prezzo, ancor piú sala-

OOppzz iioonnee pprreeffeerreennzz iiaa llee ppeerr ii rr ii cccchhii

Privatizzare gli utili, nazionalizzare le perdite dell’elite globalistadi Tito Pulsinelli (Venezuela)

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to d’ora in avanti.Il pifferaio magico agita il drappo rosso contro tas-sisti, avvocati, camionisti, farmacisti, e come unimprovvisato torero spera che si scornino tra diloro. In realtá, il nucleo strategico della contesa stain tutto quello che passerà in sordina sotto l’arbi-trio discrezionale, ovattato e assoluto di imprecisa-te “authority” (sic).Catricaqui catricalá, l’arrosto sta tutto lá.Questi club osannati dai globalisti e dai loro servipiú sciocchi avranno mano libera per la deregula-tion. Banditori di aste per aggiudicare gli ultimi set-tori portanti dell’economia pubblica. Eliminarli,significa cancellare l’unica vera concorrenza per imonopoli e multinazionali private, l’unica che dif-ferenzia una nazione da un “espressione geografi-ca” (Metternich dixit), la sovranità relativa dal vas-sallaggio nel decadente protettorato atlantico.L’utopia oligarchica degli “Stati Uniti d’Europa”(sic) è un’eclisse marcata dalla luna irrimediabil-mente mancante.Solo i fessi comprano cose inutili o inservibili. Glialtri, ingurgitano solo roba sostanziosa di granvalore, dopo indispensabili deregulation, durantesvendite all’asta con imprimatur omnicomprensivodelle ”authority”.Poi c’é la fase-due: scorporare, spezzettare, depu-rare, trasferire, decimazione dei salariati, finalmen-te fusioni, sinergie, “delocalizzazioni” e... riaccor-pare in nuovi e rigogliosi monopoli privati, gene-ralmente stranieri.Nell’ultimo ventennio è avvenuto a Buenos Aires,Brasilia, Caracas e altrove. A Mosca, un oligarca

venuto dal nulla comprò con la miseria di 600milioni di svalutati dollari le maggiori riserve diidrocarburi del pianeta, con i relativi impianti diestrazione, raffinerie ed oleodotti. Questo è “fareimpresa”?Oggi, peró, dopo aver messo le varie Giunte (mili-tari e non) nella condizione di non nuocere, but-tando nel cestino il lessico concettuale dei bassi-fondi della finanza, l’America latina – al pari ditutte le potenze emergenti dei BRIC - continuerà acrescere del 3,5% nell’anno attuale. Parola delFMI. Nel 2011 i venezuelani hanno ricevuto salarie pensioni rivalutate automaticamente del prezzodell’inflazione. Percepiscono pensioni anche lecasalinghe e coloro che non avevano tutti i contri-buti in regola.In Brasile, con il programma “Borsa per la fami-glia”, 12 milioni di famiglie hanno ricevuto un red-dito minimo, accedendendo al ruolo di consuma-tori, a sostegno della produzione nazionale.La redistribuzione sociale è possibile, basta nazio-nalizzare le banche e smettere di sovvenzionarle.Bisogna ridare diritto di cittadinanza a parole comepopolo, sovranità, diritti collettivi, alle banche cen-trale sotto il controllo statale, ecc. Nell’Europaridotta a campo di sperimentazione della BCE, conuna classe dirigente autoeletta, puro e sempliceesecutore della dittatura finanziaria, persino ilpovero Keynes è assimilato a un pericoloso sov-versivo.Ahinoi, beati i popoli che non sono governati daglieconomisti. Beati i popoli che li mandano a casa alpiù presto.

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11.. IIll FFoorruumm ssoocciiaallee

Per 5 giorni centinaia di militan-ti sociali, organizzazioni e intel-lettuali si sono riuniti a PortoAlegre per dar vita a numerosediscussioni e dialoghi tutti cen-trati sulla crisi capitalista mon-diale e le sue conseguenze suambiente e popolazioni.

L'evento realizzato tra il 24 e il29 di gennaio non ha avuto lastessa risonanza né la partecipa-zione di massa di altre occasioni.Non era un Forum mondiale,era solo un forum internaziona-le, tematico, focalizzato su crisi eambiente.La partecipazione è stata quindipiù militante e rappresentativa.

Ci sono state decine di riunioni,laboratori, seminari e discussio-ni, tra le più diverse reti interna-zionali e articolazioni sociali.Da qui è scaturita la sua impor-tanza nel continuare a essereuno spazio di esposizione diidee, di discussione e dialogo tradiverse organizzanizzazioni evisioni del mondo.

Joa Pedro Stedile sul Forum Social di Porto Alegre 2012

Abbiamo bisogno di unità e di mobilitazione sociale a livello nazionale e internazionale

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22.. UUnniittàà nneellll''aannaalliissii ddeellllaa ccoonnggiiuunnttuurraa

Il risultato del dialogo è che si ètrovata una profonda coinciden-za nelle analisi e valutazioni tra ipiù diversi movimenti socialipresenti (di Brasile e AmericaLatina e alcuni europei), intellet-tuali impegnati con il popolo,organizzazioni della società civi-le e militanti anonimi, ma moltocombattivi.Tutti hanno concordato sul fattoche siamo all'inizio di una crisi,che durerà a lungo, una crisistrutturale del capitalismo, oraglobalizzato, capitanato dal capi-tale finanziario e dalle sue cor-porazioni transnazionali. Che glistati nazionali e i loro governisono alla mercè degli interessi

del grande capitale, e, in certomodo, con le mani legate difronte alla necessità di prenderemisure effettive che possanorisolvere la crisi senza colpire ilavoratori.Tutti hanno concordato sul fattoche, di fronte alla crisi, le grandiimprese capitaliste, le loro ban-che e corporazioni e i lorogoverni nazionali stanno adot-tando le seguenti strategie:a) Utilizzare le risorse pubbliche

a loro vantaggio e così mitiga-re la crisi;

b) Provocare conflitti belliciregionali per generare doman-de al complesso industriale-militare;

c) Reprimere possibili mobilita-zioni popolari, come si stafacendo in tutti i paesi dove ci

sono mobilitazioni, compresiStati Uniti e Europa;

d) Appropriarsi di risorse natura-li, privatizzandole a favoredelle imprese, per trasformareil capitale fittizio in patrimo-nio, beni effettivi, e, nellaprossima tappa, trasformarliin profitti straordinari;

e) Trasformare i paesi dell'emi-sfero sud in meri esportatoridelle materie prime per le loronecessità;

f) Accrescere la disoccupazionenell'emisfero nord, soprattut-to tra i giovani e i lavoratoridelle industrie;

g) Progettare di utilizzare la con-ferenza di Rio + 20 come pal-coscenico internazionale perdire che sono interessati allasostenibilità e creare un nuovo

MOVIMENTO SEM TERRABrasile, gennaio 2012

A sinistra, foto di Gaia Squarci: In the Land of the Landless(Miranhao, Brasil)

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marchio legale che gli dia cre-dibilità per appropriarsi dellerisorse naturali, con quella cheè stata chiamata "economiaverde" e continuare ad accu-mulare profitti, colorati diverde.

33.. LLee pprrooppoossttee uunniittaarriiee ppeerr aaffffrroonnttaarree llaa ccrriissii..

Di fronte a questa situazione, siè realizzata a Porto Alegre, comeultima attività del Forum, unaimportante assemblea interna-zionale dei movimenti sociali,che ha prodotto un documentodi analisi e un accordo unitarioper:a) Denunciare gli stati e i gover-

ni che stanno operando soloin favore del capitale;

b) Denunciare questa mascheradell'economia verde, che èun'esca per nascondere la veracausa dei problemi ambientaliche sono presenti in tutto ilmondo;

c) Avere chiaro che i principalinemici del popolo, in questatappa del capitalismo, sono ilcapitale finanziario, le impresetransnazionali e i processi dimilitarizzazione e repressioneche ci sono nei paesi;

d) Lottare per una vera democra-zia, che superi la mera rappre-sentatività formale, la manipo-lazione che i capitalisti stannorealizzando in relazione aigoverni e costruisca nuoveforme di partecipazionepopolare ai destini dei paesi:

e) Sforzarsi per realizzare grandimobilitazioni di massa in tuttii paesi, contro i nemici comu-ni, unica forma per potermodificare la correlazione diforze attuali;

f) Difendere le risorse naturalidei nostri paesi, come questio-ne di sovranità nazionale epopolare, di fronte all'offensi-va e all'appropriazione privatadel capitale;

g) Esigere dai governi politichepubbliche di protezione degliinteressi della maggioranzadella popolazione, in partico-lare i più poveri e i lavoratori;

h) Realizzare sforzi per affronta-re il monopolio dei mezzi dicomunicazione di massa, chein tutti i paesi manipolano lemasse e distorcono le verecause della crisi e le sue graviconseguenze per l'umanità;

i) Raddoppiare gli sforzi percostruire l'unità tra tutte leforze sociali nei nostri paesi e

a livello internazionale, unicaforma per affrontare la forzadel capitale;

j) Programmare il 5 giugnocome grande giornata mon-diale in difesa dell'ambiente econtro le transnazionali;

k) Organizzarsi per realizzare,tra 18 e 26 giugno, a Rio, unagrande mobilitazione mondia-le, con un accampamento per-manente, dando vita a un ver-tice dei popoli, in contrappo-sizione al vertice dei governi edel capitale.

Come potete vedere, gli spazi aPorto Alegre sono stati moltofertili per la costruzione di con-vergenza a unità di propositi.Ora, si spera che tutte le forzecoinvolte in Brasile, in AmericaLatina e in tutto il mondo realiz-zino gli accordi programmatici.

Joao Pedro StedilePortavoce dei Movimento dei Sem Terra brasiliano,

discendente di emigrati italiani del Trentino nel Rio Grande Do Sul

(Traduzione di Serena Romagnoli)

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APPROPRIAZIONE INDEBITA DI UNA LINGUA E DISSIMULAZIONE DELLA REALTÀ

L’ideologia neoliberista in salsa ita-liana, nel tentativo di imporsi defi-nitivamente come pensiero unicodominante, sta mettendo in attouna colossale opera di appropria-zione indebita della lingua italiana,usando lo strumento linguistico afini mistificatori.

“ All’inizio era il verbo”, potremmochiamare così questo sfacciato pianodi mistificazione sostenuto dai media

embedded al servizio delle elites finanziarie, chevuole “ribattezzare” le cose chiamandole non piùcon il loro nome, ma con vocaboli non pertinenti,proprio al fine di dissimularne la vera sostanza.Servirsi delle parole per nascondere la realtà signi-fica, di fatto, renderle un semplice involucro, atto acoprire una sostanza che spesso le contraddice.Il tutto per arrivare a propinarci anche l’inverosi-mile. È un vero e proprio sequestro del vocabola-rio italiano a fini di lucro, dove la posta in gioco èla salvezza di un sistema economico in crisi, quale

di Daniela Ricci

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è quello capitalistico, e degli enormi interessi eco-nomici e finanziari ad esso correlati.Gli albori di questo processo di stravolgimentodella nostra lingua furono ai tempi della “guerraumanitaria” in Kossovo , combattuta nel 1999,anche in nome del popolo italiano, nostro malgra-do, proprio facendo leva su quell’ossimoro perma-nente che associa la guerra alla difesa dell’umanitàe che consentì al governo D’Alema di aggirare l’ar-ticolo 11 della Costituzione, (“L’Italia ripudia laguerra”).Nel 2001 e nel 2003 è stata poi la volta della “guer-ra preventiva”, dichiarata, anche in nome delpopolo italiano, rispettivamente, contro Iraq edAfghanistan, prima che “il nemico” (SaddamHussein nel primo caso, Bin Laden, nel secondo)potesse nuocere all’Occidente.Si è trattato, in entrambi i casi, di guerre giustifica-te come interventi necessari, per difendersi da un“nemico” che, si diceva, fosse in possesso di armidi distruzione di massa (nel primo caso) o che siadditava come il responsabile degli attentati alleTorri Gemelle di New York (nel secondo caso) eche, quindi, doveva essere attaccato prima chepotesse agire contro di noi.Poco importa se poi non si sia riusciti a dimostra-re né che Saddam Hussein possedesse quel tipo diarmi, né che Bin Laden fosse il mandante dell’at-tentato alle due Torri, l’essenziale era far passare laguerra come cosa buona e giusta.In realtà, queste due guerre si sono rivelate, neglianni, due terribili esperimenti sull’umanità, chehanno costato moltissimo, non solo in termini divite umane, ma anche in termini di annichilimentodelle coscienze, neutralizzate proprio grazie ad unacampagna mediatica, che ha fatto del linguaggiouno dei principali strumenti di distorsione dellarealtà.Guerre micidiali, che hanno provocato milioni divittime, sono state fatti passare, infatti, agli occhidell’opinione pubblica italiana e mondiale, come

inevitabili, grazie non solo alla falsificazione deglieventi, ma anche alla mistificazione linguistica.Lo stesso copione è stato replicato recentementecon la guerra in Libia, altra “guerra umanitaria”,combattuta, di fatto, anche dall’Italia, in difesa dei“civili libici” “bombardati”, si diceva, dal dittatoreGheddafi.Poco importa se quest’ultima cosa non sia statamai dimostrata, né che altri civili libici siano mortisotto le nostre, innumerevoli, micidiali, bombe,perché l’appellativo di “umanitaria” è in grado nonsolo di giustificare, ogni volta, l’inizio di una guer-ra, ma anche di coprire la drammaticità che è con-naturata ad essa.Ed è importante dire che se le guerre in Kossovo,in Afghanistan e in Iraq, hanno suscitato un corodi reazioni contrarie da parte dell’opinione pubbli-ca, lo stesso non può dirsi per la guerra in Libia,che è stata combattuta nel silenzio, pressoché tota-le, del mondo pacifista, a riprova di come, a distan-za di nove anni dalla guerra in Iraq, si sia prodot-to, nel tempo, un forte annichilimento dellecoscienze, che risultano ormai, evidentemente,prive di qualsiasi strumento di analisi obiettivadella realtà, tanto che quest’ultima è stata ricono-sciuta come “guerra necessaria”, quasi all’unani-mità dall’opinione pubblica italiana e mondiale.Come tutte le guerre, anche quelle combattute inquesti ultimi tredici anni, oltre a portare distruzio-ne e morte, hanno gettato le basi per la ricostruzio-ne, sia in termini di infrastrutture, scuole, ospeda-li, ecc.., nei paesi interessati, sia in termini di rista-bilimento di condizioni favorevoli per chi le havolute e progettate: USA, Francia, Inghilterra.Si sono gettate, cioè, le basi per nuovi colonialismi,anticamera di un nuovo ordine mondiale, e tuttoquesto è passato davanti ai nostri occhi, ogni volta,come un’operazione “umanitaria”, grazie al sup-porto dei media, che avvalendosi di immagini eparole falsate coprono quello che appare, a tutti glieffetti, un tentativo di restaurazione di vecchi

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Foto: dettaglio di un’opera di Alighiero Boetti (www.alighieroboetti.org)

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modelli di sviluppo, di vecchi rapporti di potere,sebbene ammantati di nuovo.La mistificazione linguistica gioca un ruolo impor-tantissimo in tutto questo, contribuendo alla falsifi-cazione delle cose e degli eventi, alla tessitura delnuovo abito con cui si cerca, ad ogni costo, diimbellettare il capitalismo (e i suoi risvolti imperia-listici) e di renderlo accetto ai più, nonostante siaormai evidentemente un sistema economico fallito.Questo ruolo di persuasione delle masse è affidatoalla mistificazione linguistica, non solo per convin-cerle della necessità/inevitabilità di un conflitto,ma anche per far loro accettare manovre finanzia-rie “lacrime e sangue”, come quella, nel contestoitaliano, voluta dal governo Monti, che di quel pen-siero unico, che vuol farsi dominante incontrasta-to, è uno dei principali paladini.Con la manovra “Salva Italia” ha preso forza, infat-ti, non solo il ricorso a neologismi che nasconodall’accostamento di sinonimi e contrari, a cuisiamo ormai, sembra, assuefatti, ma anche l’usoimproprio del lessico, che è chiamato, spesso, adesprimere cose che non corrispondono, nellasostanza, al suo significato.Così, il sostantivo “equità”, dal latino equus (=egua-le), sinonimo di giustizia, è usato dal Presidente delConsiglio e dal ministro del Lavoro Fornero peresprimere un concetto che nulla ha a che vederecon l’etimologia della parola.Con la manovra “Salva Italia”, infatti, la parola“equità” significa “equiparare”, “uguagliare”,abbienti e meno abbienti, lavoratori a tempo inde-terminato e lavoratori precari, ma non secondogiustizia e reale uguaglianza, come suggerirebbe laparola, perché, se così fosse, ci dovrebbe essereuna equa ridistribuzione della ricchezza.Invece, questo uso fuorviante del lessico, fa diven-tare“equo” togliere un po’ di soldi a tutti, abbientie meno abbienti; poco importa se sottrarli ai priminon abbia lo stesso valore che toglierli ai secondi,vista la disparità dei redditi, ciò che conta è propi-

nare questa operazione come cosa buona e giusta,proprio ricorrendo all’appellativo di “equa”.Allo stesso modo si mira ad “equiparare” lavorato-ri precari e lavoratori a tempo indeterminato, pre-annunciando un contratto unico a tempo indeter-minato per tutti (detta così la cosa sembra estrema-mente vantaggiosa agli occhi dei milioni di precariitaliani!); ma, in realtà, questo tipo di contratto nondarà più garanzie a nessuno, chiedendo, in cambio,ai lavoratori, maggiore flessibilità, sia in entrata chein uscita. Ciò che conta è sempre e solo propinarequesta come cosa “equa”, sebbene si tratti di un’equità al ribasso, ossia significhi, in realtà, menodiritti per tutti.Il concetto di equità, nell’accezione voluta dalgoverno Monti, si riallaccia a quello di privilegio:equiparare, per esempio, lavoratori a tempo inde-terminato e lavoratori precari significa, dal puntodi vista neoliberista, sanare il dislivello tra chi èdetentore di “troppi” diritti e, quindi, secondo que-sta ottica, è un “privilegiato”, e chi non ne ha affat-to; di conseguenza, ristabilire una situazione“equa” viene a significare togliere i diritti a chi neha e non estenderli a chi non ne ha.Per propagandare questo grande passo versol”uguaglianza sociale” la ministra Fornero e tuttiquelli che la consigliano e la sorreggono in questaardua impresa sono ricorsi ad un altro neologismo,questa volta d’importazione: flexsecurity, ossia flessi-curezza, che coniuga ancora una volta due terminiantitetici come flessibilità e sicurezza.Nello specifico: flessibilità nei contratti di lavoro esicurezza del reddito. In realtà, per i giovani, e nonsolo, ciò significherebbe sottoscrivere un contrat-to di lavoro a tempo indeterminato, sapendo, però,già in partenza di poterlo perdere da un momentoall’altro(?!).Un neologismo, dunque, che nasconde un’amararealtà e illude i giovani disoccupati che troverebbe-ro il posto di lavoro “semplicemente” rendendosiflessibili a vita, in cambio di un sussidio di disoccu-

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pazione che durerebbe solo pochianni e solo accettando di sottoporsiad una formazione continua nonlegata alla “libera” esigenza diapprendere e di progettare la propriaesistenza, ma finalizzata esclusiva-mente al fabbisogno a breve terminedell’impresa, ovvero dei mercati chetutto dirigono: una vera e propriaprecarizzazione della vita di milionidi persone (come se già non lo fos-sero abbastanza!).Ma ciò che conta,come al solito, è far passare questacome cosa buona e giusta e, soprat-tutto, necessaria, per aumentare lacompetitività e l’ammontare di merci prodotte edare così (sic) un futuro ai giovani.Per completare l’opera, cioè sempre per favorirecrescita e sviluppo, si va all’attacco dell’articolo 18dello Statuto dei Lavoratori che, si dice, impeden-do i licenziamenti senza giusta causa, rappresentaun “laccio” alla competitività delle aziende, facen-do così passare l’idea che se in Italia non si trovalavoro la colpa è della rigidità del nostro mercato ela mancanza di competitività dipenda da questo enon da delocalizzazioni e mancanza di investimen-ti nella produzione di beni reali!Tuttavia, questa campagna mediatica, che si nutredi neologismi e di un uso “illegittimo” del lessico,è in grado di dissimulare la realtà delle cose, ossiache entro il 2012 si perderanno ben 800.000 postidi lavoro, grazie a delocalizzazioni e fughe di capi-tali…Allo stesso modo si è proceduto con la riformadelle pensioni, costringendo milioni di lavoratori aprolungare di cinque anni la loro permanenza allavoro, per favorire, si è detto, l’ingresso dei giova-ni: una cosa assolutamente priva di logica; ma chinon vuole bene ai propri figli e ai propri nipoti?Ed è proprio su quest’ultima cosa che hanno fattoleva i nostri governanti: l’ importante è che falsan-do la realtà, contro ogni logica, questa operazionesia passata come cosa buona e giusta.Si è proceduto, poi, col “DecretoLiberalizzazioni”. Liberalizzare. Dall’enfasi e dal-l’entusiasmo con cui si pronuncia questa parola suimedia, sembra che potremo diventare tutti piùliberi: il tassista potrà avere più licenze, l’edicolan-te potrà vendere anche bibite e caramelle, i fornaipotranno aprire anche la domenica e noi consuma-tori potremo uscire a tutte le ore a fare shopping e

avere l’imbarazzo della sceltadella farmacia dove acquistare lemedicine o dell’avvocato a cuirivolgerci in caso di necessità;così cresceranno PIL, salari econsumi.Ma dove sono i consumatori cheacquisteranno questa pluralità diofferte di beni e servizi? Dunque:cosa c’è dietro quest’altro belquadretto che appare quasi ognigiorno su giornali e TV?Le liberalizzazioni, in realtà, nonprodurranno niente di socialmen-te utile, ma prepareranno solo

l’arrivo di multinazionali e grandi monopoli, per lopiù stranieri, che distruggeranno la microecono-mia e costringeranno tutte queste categorie di “pri-vilegiati” (tassisti, farmacisti, ecc..) a chiudere i bat-tenti e a trasformarsi in salariati a basso costo, perpoter sopravvivere. Come già è avvenuto con ilcommercio al dettaglio.Ma questa amara realtà, che incombe alle nostreporte, ci viene, ogni giorno rivenduta attraversol’uso improprio dei vocaboli, attraverso, cioè, lafondazione di un nuovo linguaggio, completamen-te falsato, una vera e propria “appropriazione inde-bita” della nostra lingua, che ci fa apparire comenecessarie e inevitabili certe scelte, proprio comequando è stata dichiarata guerra in nostro nome,dietro lo slogan di “guerra umanitaria” o “preven-tiva”.Purtroppo, anche questa volta, di guerra si tratta,una guerra economica, però, scatenata dal cosid-detto libero mercato (sarebbe meglio dire da chi loguida e lo dirige), che di fatto è padrone assolutodel globo; esso (essi) si muovono abilmente su duefronti: quello della guerra combattuta con armivere (Afghanistan, Iraq, Libia e poi… chissà! Siria,Iran?) e quello della guerra del debito, che prima hacontribuito a incentivare e a creare e che ora stausando per arrivare ad impadronirsi definitivamen-te dei beni pubblici, della vita (e della capacità dipensare) di ognuno di noi.Se, come dice Wittgenstein, gli esseri umani sonofatti di lingua, una grande azione di demistificazio-ne – e di salvaguardia della linguaggio e della logi-ca – sarebbe una delle azioni di autodifesa socialee biologica da mettere in campo al più presto.A partire dalle scuole.

Daniela Ricci, insegnante

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segnalazioni

FRANCOIS MORIN, UN MONDO SENZA WALL STREET? di Andrea Sartori

Quando nel 2008 il Fondo monetario internazionale valutò leperdite globali durante la crisi dei subprime in 400 miliardi didollari, e alzò la valutazione, già all’inizio del 2009, a ben 4.000miliardi per il solo mercato americano, era chiaro che la massi-ma istituzione monetaria non aveva chiare le proporzioni diquanto stava accadendo. La sottovalutazione del fenomeno hacondotto a fornire delle spiegazioni della sua origine, che nonne hanno colto la portata strutturale e hanno limitato forte-mente le contromisure.François Morin, professore emerito di scienze economicheall’Università Touluse-I ed ex membro del Consiglio Generaledella Banca di Francia, scrive cha va messa a fuoco l’autenticaradice del problema: la finanza ha cessato da tempo di essereuna risorsa per l’economia reale ed è divenuta un generatore dibolle speculative, dipendente dagli interessi di precisi oligopo-li bancari e delle più agguerrite società di borsa.Wall Street avrebbe pertanto perso la sua funzione principale,al punto che solo smantellarla e sostituirla con una politicamonetaria e fiscale internazionale, e con una profonda revisio-

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ne della governance delle impre-se di capitali, metterebbe al ripa-ro gli Stati, le aziende e il lavorodalle smodate pretese di arricchi-mento di una finanza ipertrofica.Un’utopia, certo, ma «concreta»,come Morin non cessa di ripete-re, poiché attrezzata sia sotto ilprofilo diagnostico, sia sottoquello propositivo.Le liberalizzazioni dei tassi dicambio e d’interesse, avvenuterispettivamente negli anni set-tanta e ottanta, sono state la pre-messa della nascita di un merca-to connesso alla copertura deirischi, consistente nel trading diquei prodotti derivati rispetto aiquali ancor oggi il G20 non hapreso delle decisive risoluzioni,pur essendo divenuti proprioessi – in particolare i Credit defaultswaps – il primo «focolaio d’infe-zione» che tiene in scacco gliStati e che ne mette a rischio lasolvibilità. Sono d’altra parteproprio i derivati, in originenient’altro che dei contratti d’as-sicurazione contro i rischi difluttuazione dei tassi, a fungerecircolarmente da riferimento perfissare il livello dei medesimitassi di interesse ai quali gli Statidevono prendere a prestito leloro risorse sul mercato finanzia-rio: qui è evidente che il capitali-smo finanziario è divenuto deltutto autoreferenziale, e che unintervento regolativo una tan-tum non è risolutivo della suapatologia.L’altro aspetto fuori controllo diquesto capitalismo, secondoMorin, è lo strapotere assuntodai grandi azionisti delle aziendecapitalizzate, i quali possonopretendere a priori delle renditeinsensatamente elevate, da tra-

durre a proprio esclusivo vantag-gio in corposi dividendi.É la sottomissione della creazio-ne del valore aggiunto alla logicadello shareholder value, dove loshareholder – l’azionista – è perlo più espressione, in ultimaistanza e ancora una volta, diun’oligarchia bancaria.Ritenere che la crisi, esplosa inEuropa in concomitanza con ilfallimento di Lehman Brothers,possa essere superata tenendo abada le banche too big to fail,cioè ripristinando una sana con-correnza nel settore, è per Morinuna pia illusione, poiché la finan-ziarizzazione dell’economia hareso quest’ultima un fine in sestessa, non un mezzo per degliscopi, falsando a vantaggio dipochi la nozione stessa di con-correnza. Anche l’idea secondocui la crisi è stata causata daun’eccessiva assunzione di rischida parte degli speculatori, e chequindi basterebbe rendere piùtrasparente il mercato dei deriva-ti per ritornare a una situazionedi equilibrio, non revoca il conte-stabile dogma, secondo Morin,del neoliberismo contempora-neo: «non esiste finanza libera-lizzata senza mercati di prodottiderivati».Quello richiesto non è dunqueun ritorno alla «concorrenza» oall’«equilibrio», come vuole lateoria economica standard, fidu-ciosa nella capacità auto-regola-tiva dei mercati, ma un radicalecambiamento di paradigma, cheincida davvero sulle pratiche del-l’economia. In caso contrario, lesoluzioni potrebbero tutt’al piùapporre una pezza ai problemidel presente, consentendo allostatus quo di sopravvivere in

qualche modo fino alla prossimaletale crisi, in una sorta di auto-matismo post-mortem dell’eco-nomia mondiale, come accade a«un’anatra zoppicante a cui èstata tagliata la testa, ma checontinua a correre». Il punto è:fino a quando?Morin non si limita a vagheggia-re una riprogrammazione intel-lettuale degli economisti, e adauspicare che la politica demo-cratica diventi il faro della sferaeconomica, anziché esserlesubordinata, ma dice anchecome.Intendere la moneta come un«bene comune», giungendo pertappe a una moneta internazio-nale ma non necessariamenteunica, basata su un paniere dimonete, permetterebbe intantodi limitare i rischi di deprezza-mento drastico e sgonfierebbealla radice le manovre della spe-culazione finanziaria, poiché lasua costituzione non potrebbeprescindere dalla elaborazione diregole condivise sulla formazio-ne dei tassi di interesse e di cam-bio, che tengano in egual conto idiritti dei creditori e quelli deidebitori.Contestuale alla riforma mone-taria internazionale, dovrebbepoi essere l’avvento di una fisca-lità altrettanto internazionale,che preveda l’abolizione deiparadisi fiscali e del segreto ban-cario, nonché la tassazione delleoperazioni finanziarie sul model-lo dell’idea di Tobin. Secondo idati della Banca dei regolamentiinternazionali (Bri), l’ammontaredi queste transazioni era pari, allafine del 2007, a circa 3.500 trilio-ni di dollari, di cui poco menodell’1,6% frutto dell’economia

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Paolo Ciofi, La bancarottadel capitale e la nuova società.di Valentino Parlato

Nella crisi, Carlo Marx si rifà vivo. Questodi Paolo Ciofi, La bancarotta del capitale e lanuova società, è un libro oserei dire prezioso.In ogni caso di straordinaria utilità, nonsolo per me che da più di quarant'anni fac-cio il giornalista al manifesto, ma per tutti icittadini che vogliano capire qualcosa, non

solo del mondo (Italia compresa) ma anche della propria vita.Dato per scontato che a pagare le conseguenze della bancarotta delcapitale, siano sempre i lavoratori e i ceti più deboli e i singoli chenon hanno un santo in paradiso (oggi l'importante di questi santi edel potere clientelare è cresciuta di molto).Ma Ciofi non si ferma, anche se analizza le conseguenze di questacrisi capitalistica, ci segnala che il capitalismo va spesso in crisi.Qualcuno pensa che non ce la faccia più, invece, dopo avere provo-cato danni enormi e magari guerre e, soprattutto, ridotto alla dispe-razione milioni di lavoratori e anche di ceto medio benpensante, poiripiglia e torna sano e forte. Viene da dire che le crisi sono connatu-rate al capitalismo, come tante persone che hanno febbroni gravi ericorrenti, ma poi si ripigliano senza neppure pagare le spese d'ospe-dale, tanto a pagare è sempre il povero Pantalone. Peraltro anchequando il capitalismo sta in buona salute e può frequentare alberghidi lusso non è mai lui a pagare. A governare come ha detto Chomskyè "il senato virtuale", la grande finanza, Wall Street, che tiene a badail Congresso americano.Ma leggete questo libro, sarete presi, io, leggendolo non so più quan-te sottolineature ho fatto e che mi vado a rivedere.Ma a Paolo Ciofi debbo riconoscere un altro grande merito. Forseesagero, ma dico che ha resuscitato Marx. Il Marx, intensamente cita-to (Capitale, Critica al programma di Gotha, Il capitalismo e la crisi,Manifesto del partito comunista, L'iedologia tedesca, Grundrisse,Miseria della filosofia e ancora ) è assolutamente attuale, intervienenel nostro dibattito. Tutto il contrario di una certa, ossificata, vene-razione del santone. E ancora, venendo al nostro paese, Ciofi cirichiama alla forza propulsiva che dovrebbe avere la nostraCostituzione, mutilata a piuttosto messa da parte, nel corso di questianni, soprattutto in quelli più recenti, e quindi alle lotte della Cgil edel quasi dimenticato Pci, che pur in un mondo bipolare e in presen-za della grande forza dell'Unione sovietica, non lottava per la realiz-zazione in tempi brevi del comunismo, ma per la realizzazioneappunto della Costituzione di una repubblica "fondata sul lavoro".Insomma non voglio farla troppo lunga, leggete e rileggete questolibro sarà molto utile al vostro penare e al vostro che fare.

Recensione pubblicata su «Il Manifesto», 1 marzo 2012

Paolo Ciofi, La bancarotta del capitale e la nuova società,Editori Riuniti 2012, euro 15,00)

reale: una tassa dell’uno per millefrutterebbe pertanto 3.500miliardi l’anno, che potrebberoessere distribuiti in modo daaffrontare le sfide energetiche eambientali globali, sostituendosiai controproducenti esiti dellacosiddetta carbon finance, ovve-ro del mercato correlato allequote di emissione di carbonio,giunto a speculare anche sulla«volatilità climatica».Per quanto riguarda il supera-mento della logica della creazio-ne di valore per l’azionista (sha-reholder value), la posizione diMorin è non meno radicale, echiama in causa la riformulazio-ne dei rapporti di proprietà nellesocietà di capitali, in modo chein una «impresa partenarialealternativa» gli utili siano equa-mente distribuiti tra chi apportai fondi, il top management e isalariati, senza che una parte siacostretta ad assumersi più rischidell’altra, come accade attual-mente a scapito del lavoro.Quali sono i tempi di questa uto-pia concreta?Inevitabilmente lunghi, tuttavia icontraccolpi della realtà sonosempre più pressanti, e proprioper questo il libro di Morindovrebbe essere portato rapida-mente all’attenzione di un pub-blico multidisciplinare, per inne-scare un ragionamento comunetra cittadini, politici, economisti,scienziati sociali e studiosi didiritto dell’ambiente.

Recensione pubblicata su: www.sinistrainrete.info

François Morin, Un mondo senzaWall Street?, Marco Tropea Editore,Milano 2011, pp. 157, 15 euro

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