Articolo Meritocrazia di nicolò boggian

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MERITOCRAZIA, CORRESPONSABILITA’ E DIRITTI ACQUISITI Le ultime notizie e il dibattito sulla situazione locale e nazionale in termini di ruolo delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, mi hanno portato a riflettere su alcuni fenomeni e a chiarire il nostro pensiero su alcune parole che cito nel titolo. Cominciamo dalla parola Meritocrazia. Questa parola, ultimamente molto di moda, deve la sua attuale fortuna alla presenza di un Esecutivo, che la cita e la utilizza spesso, come una delle stelle polari della propria azione. Non è un caso che proprio un esecutivo di “tecnici”, sostenuto dalla tecnocrazia europea, abbia questo tipo di approccio e utilizzi questa parola, che invece per anni, se non per l’azione di uomini illuminati, è stata confinata ai margini della discussione. L’averla tenuta ai margini del dibattito ha provocato una situazione di “sotto produttività” di molte aziende e la presenza di fortissimi refusi organizzativi arcaici che viziano la possibilità di far evolvere il paese e possibilità di scegliere in modo positivo tra forme di proprietà e di gestione pubblica e politiche di privatizzazione. Sostanzialmente questa emarginazione sembra derivare in ultima analisi da una cultura italica molto restia a “premiare il migliore” e a misurare il risultato, anche probabilmente per una difficoltà oggettiva nel creare un ambiente sereno e nel dare giudizi condivisi e accettati da tutti, oltre che per un frainteso buonismo, che per aiutare tutti non aiuta più nessuno. Questa difficoltà, che nasce verosimilmente da una storia di campanilismi, e di difficoltà nel creare una cultura dello Stato condivisa e non coercitiva e rigidamente Statalista, ha portato a sviluppare i peggiori istinti verso la conservazione, la furberia, l’inerzia e la pigrizia, che “popolano” l’immaginario collettivo, e in alcuni casi la realtà, della popolazione italiana, della Pubblica Amministrazione, del Meridione, e della Gestione Pubblica in senso lato. D’altronde viviamo in un ambiente dove per anni la crescita dei dipendenti nel privato e, soprattutto nel pubblico, è avvenuta solo “per anzianità di servizio” e solo ultimamente e timidamente si è fatto qualche tentativo di cambiamento in merito e d’investimento in metodi e processi di valutazione della performance e quindi del Merito. Tuttora la maggior parte delle decisioni professionali, la cultura sociale e l’ordinamento giuridico sembrano costruiti per favorire persone conosciute o per tutelare gli equilibri esistenti, in una sorta di razionalità limitata di gruppo, quasi che gli effetti collettivi delle nostre decisioni e delle organizzazioni più rappresentative non riguardassero la collettività. Il contrario del merito in poche parole. La Politica, dal canto suo, non è quindi intervenuta per modificare questo stato di cose perché a nessuno è convenuto farlo. La Politica non è riuscita a dare in questo, indirizzi “scomodi”, ma si è limitata a “controfirmare” quanto la società richiedeva in una sorta di tentativo di accontentare sempre tutti. Ora che la possibilità di accontentare tutti ci sta conducendo al rischio di un default nazionale o almeno a un impoverimento collettivo, e che la possibilità dello Stato di mantenere un organico burocratico lento e inefficiente si sta scontrando con i limiti della Finanza Pubblica, la riflessione sulla meritocrazia dovrebbe anche cominciare a familiarizzare con la parola Corresponsabilità. Mentre, infatti, è ormai condivisa da tutti la necessità “macro” di una”struttura” della società che valuti maggiormente l’impegno, il raggiungimento dei risultati e criteri oggettivi, a scapito della provenienza geografica o dell’appartenenza familiare, permane invece un sentimento “micro” d’irresponsabilità collettiva e di lassismo, che impedisce di far nascere prassi nuove, moderne e più meritocratiche che “scardinino” l’attuale contesto. Molti partecipano disinvoltamente allo “sfascio” collettivo, nel solo rispetto delle regole e delle abitudini esistenti, giuste o sbagliate che siano. Dovremmo invece capire se, ognuno singolarmente, dirigente, impiegato, sindacalista, consulente che sia, in questo contesto, sia parte della soluzione o parte del problema. Dobbiamo chiederci se non siamo in ultima analisi Corresponsabili dei fenomeni in atto e in che forma e misura lo siamo.

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MERITOCRAZIA, CORRESPONSABILITA’ E DIRITTI ACQUISITI Le ultime notizie e il dibattito sulla situazione locale e nazionale in termini di ruolo delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, mi hanno portato a riflettere su alcuni fenomeni e a chiarire il nostro pensiero su alcune parole che cito nel titolo. Cominciamo dalla parola Meritocrazia. Questa parola, ultimamente molto di moda, deve la sua attuale fortuna alla presenza di un Esecutivo, che la cita e la utilizza spesso, come una delle stelle polari della propria azione. Non è un caso che proprio un esecutivo di “tecnici”, sostenuto dalla tecnocrazia europea, abbia questo tipo di approccio e utilizzi questa parola, che invece per anni, se non per l’azione di uomini illuminati, è stata confinata ai margini della discussione. L’averla tenuta ai margini del dibattito ha provocato una situazione di “sotto produttività” di molte aziende e la presenza di fortissimi refusi organizzativi arcaici che viziano la possibilità di far evolvere il paese e possibilità di scegliere in modo positivo tra forme di proprietà e di gestione pubblica e politiche di privatizzazione. Sostanzialmente questa emarginazione sembra derivare in ultima analisi da una cultura italica molto restia a “premiare il migliore” e a misurare il risultato, anche probabilmente per una difficoltà oggettiva nel creare un ambiente sereno e nel dare giudizi condivisi e accettati da tutti, oltre che per un frainteso buonismo, che per aiutare tutti non aiuta più nessuno. Questa difficoltà, che nasce verosimilmente da una storia di campanilismi, e di difficoltà nel creare una cultura dello Stato condivisa e non coercitiva e rigidamente Statalista, ha portato a sviluppare i peggiori istinti verso la conservazione, la furberia, l’inerzia e la pigrizia, che “popolano” l’immaginario collettivo, e in alcuni casi la realtà, della popolazione italiana, della Pubblica Amministrazione, del Meridione, e della Gestione Pubblica in senso lato. D’altronde viviamo in un ambiente dove per anni la crescita dei dipendenti nel privato e, soprattutto nel pubblico, è avvenuta solo “per anzianità di servizio” e solo ultimamente e timidamente si è fatto qualche tentativo di cambiamento in merito e d’investimento in metodi e processi di valutazione della performance e quindi del Merito. Tuttora la maggior parte delle decisioni professionali, la cultura sociale e l’ordinamento giuridico sembrano costruiti per favorire persone conosciute o per tutelare gli equilibri esistenti, in una sorta di razionalità limitata di gruppo, quasi che gli effetti collettivi delle nostre decisioni e delle organizzazioni più rappresentative non riguardassero la collettività. Il contrario del merito in poche parole. La Politica, dal canto suo, non è quindi intervenuta per modificare questo stato di cose perché a nessuno è convenuto farlo. La Politica non è riuscita a dare in questo, indirizzi “scomodi”, ma si è limitata a “controfirmare” quanto la società richiedeva in una sorta di tentativo di accontentare sempre tutti. Ora che la possibilità di accontentare tutti ci sta conducendo al rischio di un default nazionale o almeno a un impoverimento collettivo, e che la possibilità dello Stato di mantenere un organico burocratico lento e inefficiente si sta scontrando con i limiti della Finanza Pubblica, la riflessione sulla meritocrazia dovrebbe anche cominciare a familiarizzare con la parola Corresponsabilità. Mentre, infatti, è ormai condivisa da tutti la necessità “macro” di una”struttura” della società che valuti maggiormente l’impegno, il raggiungimento dei risultati e criteri oggettivi, a scapito della provenienza geografica o dell’appartenenza familiare, permane invece un sentimento “micro” d’irresponsabilità collettiva e di lassismo, che impedisce di far nascere prassi nuove, moderne e più meritocratiche che “scardinino” l’attuale contesto. Molti partecipano disinvoltamente allo “sfascio” collettivo, nel solo rispetto delle regole e delle abitudini esistenti, giuste o sbagliate che siano. Dovremmo invece capire se, ognuno singolarmente, dirigente, impiegato, sindacalista, consulente che sia, in questo contesto, sia parte della soluzione o parte del problema. Dobbiamo chiederci se non siamo in ultima analisi Corresponsabili dei fenomeni in atto e in che forma e misura lo siamo.

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Continuare a utilizzare pedissequamente procedure e modalità arcaiche ed inutili senza valutare alternative significa rendersi corresponsabili di un sistema che non funziona più. E che mina la sua stessa possibilità di evolversi in qualcosa di differente. Per esempio, utilizzare ancora come mezzo d’informazione delle opportunità lavorative e, come strumento di selezione nella Pubblica Amministrazione, la Gazzetta Ufficiale, in un mondo in cui tutti usano internet e dove le informazioni possono viaggiare più rapidamente, in modo più completo e dettagliato, è semplicemente assurdo. Utilizzare strumenti che erano utili cinquanta anni fa, ma che ora non hanno più ragione di esistere è esemplificativo di una modalità corresponsabile e supina di partecipare al proprio ambiente professionale e sociale, modalità che produce danni e discrasie tremende. Non dibattere e risolvere questo genere di problematiche tecniche nella selezione, gestione e valorizzazione del Personale rendono fragile alla base qualsiasi scelta di politica pubblica impedendone la concreta applicabilità e operatività. Un’altra questione da considerare nel dibattito in corso è il rapporto tra meritocrazia e diritti acquisiti. Il cambiamento da una società lenta e inefficiente a una società meritocratica comporta di rimettere mano inevitabilmente ad alcuni diritti acquisiti, molti dei quali passano dalla condizione lavorativa. Considerare quanto sia meritocratica una nazione significa infatti anche mettere in discussione gli attuali assetti e andare a valutare anche a ritroso e in modo serio e rigoroso, se, e quanto, le precedenti generazioni e lavoratori hanno ottenuto, e se questo è sostenibile. Viviamo in un Paese che rende inutili le competenze di migliaia di giovani, impedendone l’ingresso nel mercato del lavoro, ritardandone la crescita professionale, e di conseguenza il cambiamento dello stesso contesto lavorativo. Da un dibattito serio su quest’argomento, da buone riforme, e da uno sforzo nell’educare il cittadino alla corresponsabilità passa lo sviluppo futuro del nostro Paese. Nicolò Boggian