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NOTIZIARIO UNIVERSITÀ LAVORO Febbraio 2012 Indice Notiziario Il Sole 24 Ore Chi assume? Le internet company Corriere della Sera «Non lasciate i giovani fuori dal tavolo. La sfida è passare dal privilegio al merito» Corriere della Sera «Attenti a non cadere nella solita trappola» La Repubblica Uomo, giovane e senza aiuti dalle banche. Ecco lidentikit del neoimprenditore La Voce Imprenditori per necessità Corriere della Sera Monti: «Riforma lavoro anche senza accordo». Fornero: «Sussidio al posto della mobilità» Il Sole 24 Ore Nuovo round sulla riforma del mercato del lavoro. Camusso: difficile lintesa entro marzo La Repubblica Giovani, lavoratori atipici, donne avere un mutuo è diventata unutopia

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Aprile 2011

NOTIZIARIO UNIVERSITÀ LAVORO

Febbraio 2012

Indice Notiziario

Il Sole 24 Ore – Chi assume? Le internet company

Corriere della Sera – «Non lasciate i giovani fuori dal tavolo. La sfida è passare dal privilegio

al merito»

Corriere della Sera – «Attenti a non cadere nella solita trappola»

La Repubblica – Uomo, giovane e senza aiuti dalle banche. Ecco l’identikit del neoimprenditore

La Voce – Imprenditori per necessità

Corriere della Sera – Monti: «Riforma lavoro anche senza accordo». Fornero: «Sussidio al

posto della mobilità»

Il Sole 24 Ore – Nuovo round sulla riforma del mercato del lavoro. Camusso: difficile l’intesa

entro marzo

La Repubblica – Giovani, lavoratori atipici, donne avere un mutuo è diventata un’utopia

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18 febbraio 2012

Chi assume? Le internet company di Luca Salvioli e Marco Magrini La sede italiana di Groupon, a Milano, occupa due palazzine. In grandi open space ragazzi e ragazze sono impegnati in fitti colloqui telefonici, senza perdere di vista il monitor del pc. Parlano con i clienti (vengono chiusi 200 accordi commerciali al giorno) e rispondono alle richieste dei consumatori. Talvolta arrabbiati, visti i disservizi degli ultimi mesi. Ci lavorano 200 persone, con un'età media di 27 anni. Nel 90% dei casi i contratti sono a tempo indeterminato. Il sito di sconti online ha altri 200 dipendenti distribuiti nel resto della penisola. Nel 2012 il piano di assunzioni prevede trenta nuove posizioni, distribuite tra area commerciale, assistenza, risorse umane, marketing. La crescita è rapida: la sede italiana ha aperto soltanto a marzo 2010. «Facciamo fatica a conciliare i nostri tempi con la ricerca di personale - dice Boris Hageney, ceo di Groupon Italia, Spagna e Portogallo -. Siamo un'azienda internet e non è semplice trovare persone qualificate nel nostro settore». Un problema per chi deve scegliere le giuste competenze, un'opportunità per chi ha dimestichezza con il web. Negli ultimi mesi le più conosciute internet company hanno inaugurato i loro uffici in Italia, nella maggior parte dei casi a Milano. In anni di crisi e disoccupazione in crescita, soprattutto tra i più giovani, hanno portato centinaia di nuovi posti di lavoro. Altri sono previsti per il 2012. Per lavorare in queste aziende il primo canale di candidatura è il sito internet. Nel curriculum un ottimo inglese è praticamente dato per scontato, mentre hanno un certo peso interessi ed esperienze extra-professionali che diano un'idea di creatività e doti di leadership. Restando nel fenomeno emergente degli sconti online, Groupalia ha aperto a giugno 2010. Oggi ha 100 dipendenti solo nel nostro Paese e quest'anno ha in programma altre 10 assunzioni nell'area vendite, manager e logistica. Amazon sta puntando molto sull'Italia. Amazon.it ha aperto soltanto a fine 2010. È la versione italiana del più grande sito di commercio elettronico al mondo. Nel 2011, era ottobre, ha inaugurato a Castel San Giovanni, vicino a Piacenza, il primo centro di distribuzione. «Oggi ha in organico 187 persone e nel corso dell'anno, nei periodi di picco, potrà raggiungerne 400», spiega Stefano Perego, general manager Amazon Logistica Italia. Nel frattempo l'azienda - il cui numero due, tra l'altro, è l'italiano Diego Piacentini - ha aperto il Kindle store italiano per gli ebook e il suo lettore digitale ha avuto un certo successo come regalo di Natale. Le attività del 2011 dovrebbero portare, tra la primavera e l'estate di quest'anno, all'apertura di un centro amministrativo a Milano con un team di una cinquantina di persone. Linkedin, il social network per chi cerca lavoro che da pochi mesi si è quotato a Wall Street (come ha fatto Groupon e come nei prossimi mesi farà Facebook), è arrivato in Italia con una sede amministrativa due mesi fa, con un team di una decina di persone. «I primi uffici europei sono stati quelli di Londra, due anni fa. Oggi in Inghilterra abbiamo oltre 120 dipendenti, 200 a Dublino», spiega Ariel Eckstein, responsabile di LinkedIn per l'area Emea. Negli ultimi mesi ha aperto uffici a Monaco, Stoccolma, Amsterdam. «L'Italia per noi ha molto valore perché, dopo la Turchia, registra il maggior tasso di crescita nelle iscrizioni - continua - oggi i membri sono 2 milioni, un anno fa erano meno della metà. Poi è una grande economia e vogliamo allargare la rete di partner». Le aziende internet vengono nel nostro Paese soprattutto per la vicinanza ai clienti e agli investitori pubblicitari. La funzione degli uffici è prevalentemente commerciale. Nel caso di Linkedin, la parte del business che sta crescendo di più è legata ai software e ai servizi offerti alle aziende di selezione del personale. I clienti italiani sono una quarantina.

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Tra i pionieri c'è la vecchia, si fa per dire, Google. Il 2011, per il colosso californiano, è stato l'anno con il maggior numero di assunzioni: mille persone solo in Europa, settemila nel mondo. In Italia oggi i dipendenti sono 130, un anno fa erano un centinaio. Al momento ci sono altre sei posizioni aperte. La sede è a Milano, in Corso Europa, ma i due piani non sono più sufficienti e dunque si è allargata anche a un'altra palazzina. Negli uffici ci sono diverse sale con biliardo e biliardini, videogiochi, una palestra e un'area massaggi. Intanto Facebook, dall'alto dei suoi oltre 800 milioni di utenti, 21 milioni in Italia, si avvicina alla quotazione in Borsa. Negli ultimi anni con Google c'è stata una vera e propria guerra per accaparrarsi i migliori talenti. Ora nel mondo ha un team di tremila persone, in Italia una decina. Nel 2012 sono previste altre cinque assunzioni su Milano: comunicazione, marketing e vendite. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA LETTERA

«Non lasciate i giovani fuori dal tavolo La sfida è passare dal privilegio al merito» I ventenni scrivono al premier e al ministro del Lavoro Cari presidente del Consiglio e ministro del Lavoro, in queste ore si discute ovunque della riforma del mercato del lavoro. Il contributo di noi studenti ventenni giunge in forma sincera e spontanea, il nostro non è tifo scriteriato né corporativismo generazionale: è serio interesse per il futuro, anche occupazionale, che ci vedrà giocoforza protagonisti. Riteniamo doveroso partecipare al dibattito con le nostre proposte e osservazioni: si ragiona di diritti (che ci sono negati, si potrebbe aggiungere) e vorremmo offrire il nostro modesto punto di vista. Le idee che proviamo a riassumere in questa lettera aperta non trovano spazio nello scontro ideologico in atto, anche perché non germogliano all'interno di esperienze rigidamente consolidate; non ci riteniamo «arruolati» nello schema ottocentesco di sigle ed etichette: anzi ci spiace che le scorciatoie lessicali abbiano avuto la meglio sui contenuti. Siamo colposamente sospesi tra il vuoto di aspettative ed il miraggio di sicurezze, senza possibilità di metterci in gioco con le stesse garanzie che i nostri padri e i nostri nonni si vedono attribuite. Proprio nelle scorse settimane Lei è intervenuto a proposito della necessità di ridare opportunità concrete a chi oggi rischia di restare senza tutela alcuna. Il mondo cui ci affacciamo ci pare follemente bipartito: da un lato i privilegi acquisiti, dall'altro le occasioni perse. Dal guado in cui rischiamo di essere intrappolati, non tolleriamo che - come troppo spesso accade - le posizioni su un argomento tanto delicato cedano alla banalizzazione del partito preso. Vorremmo essere cittadini maturi di un Paese in cui ci si rivolge ai giovani con un occhio di riguardo e siamo convinti che ora si possa realizzare la tanto agognata inversione di rotta: è tempo di premere l'acceleratore sulle riforme. È inoltre evidente che, solo se si riuscisse a puntare tutto sulla nostra generazione, anche la vicenda economica nazionale ne trarrebbe diretto vantaggio. «Tutelare un po' meno chi è oggi tutelato e tutelare un po' di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce ad entrarci». Concordiamo senza dubbio con le parole del presidente; quanto al metodo, aggiungiamo pure che, in questo momento di trattative serrate, si rischia di lasciare fuori dal tavolo della concertazione un'intera categoria di portatori di interessi: quella di noi giovani. La nostra voce è stata marginalizzata e resa afona, anche per via di nostre comprovate responsabilità: abbiamo subito le decisioni e consentito che la nostra indifferenza lasciasse ampi spazi di manovra a chi non ha avuto a cuore le nostre sorti. Nel sistema economico in cui operiamo, è richiesta la capacità di essere competitivi e dinamici: non abbiamo scritto noi le regole del gioco ma siamo tenuti a rispettarle per vincere la sfida della crescita. Anche le imprese italiane quindi, per offrire nuova occupazione e competere a livello internazionale, devono poter «stare sul mercato». Abbiamo forti speranze ed una notevole fiducia in questo esecutivo, crediamo insomma che sia il momento giusto per osare. Chiediamo che si rinunci definitivamente al clima di discriminazione nei confronti dei giovani. È un errore cui occorre porre rimedio, in fretta: spostare la bilancia del futuro dal privilegio al merito è l'impegno con cui vorremmo si cimentassero in questo momento le istituzioni patrie. Sappiamo che il dibattito è attorcigliato attorno a temi abusati, rinunciamo dunque a parlarne per evitare l'autoreferenzialità del già detto. Non ci scandalizza che si cominci a ragionare del cosiddetto «motivo economico o organizzativo per il

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licenziamento», nell'ottica di una intelligente spinta riformatrice. Oggi imprenditore e lavoratore si muovono nella stessa direzione e condividono i medesimi obiettivi, entrambi vogliono il bene dell'azienda. Si aggiunga che il «nanismo» del settore imprenditoriale è anche cagionato da norme oggi superate, che hanno finito per imporre un regime di incertezze in cui risulta vincente il precariato come modello d'impiego, specie per i giovani. Non ci stiamo: proprio perché crediamo di valere molto, ci diciamo pronti alla sfida. Si valutino merito, creatività e talento: si premino i più bravi attraverso un nobile sistema di incentivi economici e sociali. Quella che auspichiamo è anche una riforma culturale, i nostri padri oggi vivono nella bambagia delle tutele grazie ad un «dispetto generazionale»: siamo costretti noi tutti a soccombere rispetto alle mille garanzie che le generazioni che ci hanno preceduti si sono arbitrariamente assegnate. È tempo di ristabilire le priorità e allocare con equità i necessari sacrifici: l'egoismo dei protetti, l'ingordigia dei privilegiati sono malattie che rischiano di ammorbare il nostro avvenire. Scommettiamo senza indugio nella flessibilità e distribuiamo lealmente le tutele: sono queste le nostre richieste, in sintesi. Le sigle politiche che hanno guidato il Paese negli ultimi decenni, anche per via di un ossequio screanzato verso la propria base elettorale, hanno totalmente escluso il tema del lavoro dall'agenda di governo. Hanno così prevalso le forze della conservazione costringendo il Paese a rinunciare alla sua anima «solida» e «solidale». Fate presto, vi scongiuriamo. Sappiamo che la squadra di governo è al lavoro per ridisegnare i contorni normativi della materia, ci piacerebbe tenesse conto dei nostri spunti. Signor presidente, non neghi neppure ai giovani la chance di ripartenza e «rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale» che hanno finito per realizzare l'attuale regime di apartheid occupazionale fra protetti e non protetti. Buon lavoro da tutti noi. Antonio Aloisi, Milano Annalaura Sbrizzi, Napoli Matteo Scattola , Durham (Uk) Piero Majolo, Vicenza Matteo Leffi , Trieste Francesca Luvisotti, Roma Ilaria Lezzi , Lecce Timoteo Carpita, Roma Luca Signorello , Trapani Flavio Morrone, Salerno Giulio Giannelli , Gorizia Riccardo Vurchio, Modena Amedeo Enna , Udine Filippo Caiuli, Potenza Francesco Perin , Venezia Nicolò Politi, Catania Luigi De Maria , Perugia Ester Madonia, Catania Maria Dora Maresca , Avellino

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IL DIBATTITO

«Attenti a non cadere nella solita trappola» Gli studenti commentano la lettera dei 19 al Corriere: «Basta retorica, la realtà è quella della precarietà» MILANO- Gli studenti italiani bocciano la lettera di 19 loro colleghi al Corriere della Sera in cui si chiede al governo di abolire l'articolo 18 e indirizzano al premier Monti un messaggio del tutto opposto in tema di lavoro e precarietà. L'Unione degli Universitari e la Rete degli studenti medi ha deciso così di prendere carta e penna per rispondere punto per punto. LA LETTERA - «Queste poche parole che vi consegniamo - scrivono gli studenti - sono solo figlie della nostra esperienza quotidiana che viviamo sulla nostra pelle come studenti medi, studenti universitari e giovanissimi lavoratori». Per poi proseguire: «Siamo rimasti di stucco quando abbiamo letto determinate espressioni-etichetta nel vostro articolo, che a dir la verità ci sanno un po' troppo di slogan di cui la nostra generazione è stufa». IL LAVORO - «Da studenti che si mantengono gli studi con lavori (indovinate?) precari e sottopagati, dalle pagine del Corriere abbiamo appreso la vostra ricetta: la soluzione ai nostri problemi è una maggiore flessibilità del lavoro e rubare i diritti ai nostri genitori e ai nostri nonni. Ci chiediamo, cari 19 giovani in soccorso al Governo, ma viviamo nello stesso Paese? Non sappiamo che lavoro facciano i vostri genitori, che pensione prendano i vostri nonni, ma se volete vi raccontiamo, per esempio, cosa vuol dire vedere il proprio padre o la propria madre con il magone dirti che non può permettersi di pagarti gli studi». E sulla proposta di abolire l'articolo 18 sottolineano: «Non ci rappresenta, e non rappresenta le centinaia di migliaia di studenti che da anni si mobilitano per cancellare la precarietà e non per estenderla a tutti». LO STUDIO - Gli studenti denunciano «l'assenza totale di diritto allo studio, a partire dalle scuole superiori, sempre più costose, da cui 100.000 studenti rimangono fuori, perchè non possono permettersele o perchè devono andar a lavorare per aiutare la famiglia, proseguendo sulla strada dell'università in cui si trovano ostacoli sociali di ogni sorta: le terze tasse universitarie più alte d'europa anche più alte dei limiti previsti dalla legge, numeri chiusi che stanno facendo calare le immatricolazioni nello stato con meno laureati d'Europa; uno stato che si sta gradualmente disinteressando della propria istruzione pubblica, tagliando i fondi e diventando fanalino di coda Europea per investimenti nell'istruzione e ultimissimi per investimenti per il diritto allo studio». LE PROPOSTE- Gli studenti concludono: «Altro che 19, noi siamo il 99%» e «vogliamo una riforma del mercato del lavoro che cancelli davvero la precarietà e non che questa venga estesa universalmente liberalizzando i licenziamenti. Abbiamo bisogno di un nuovo welfare universale fatto di servizi pubblici e di un reddito di base pari in grado di promuovere la nostra libertà di scegliere e autodeterminare i nostri percorsi personali e professionali senza sottostare a minacce e ricatti. Abbiamo bisogno di un piano di investimento pubblico sui saperi, sulla scuola, sull'università, sulla ricerca al servizio della conversione ecologica dell'economia e della costruzione di un nuovo modello di sviluppo ». Redazione Online 21 febbraio 2012 | 15:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA RICERCA

Uomo, giovane e senza aiuti dalle banche Ecco l'identikit del neoimprenditore Il Centro studi di Unioncamere traccia il profilo delle imprese nate nel 2011. In molti casi si tratta di piccole attività, senza dipendenti al di fuori dei propri fondatori e talvolta nate come risposta a precariato e disoccupazione. Cresce la partecipazione degli under 30 Lo leggo dopo MILANO - Un terzo delle imprese italiane nate nel 2011 ha sede nel Mezzogiorno. A fondarle, in 3 casi su 4, sono uomini, oltre il 45% ha meno di 35 anni, e in 7 casi su 10 sono bastati 10.000 euro per partire. L'obiettivo, spesso, è quello di sottrarsi al circolo vizioso di disoccupazione e precariato E' quanto emerge dall'indagine del Centro studi di Unioncamere su un campione di circa 9mila imprese attive nate nel corso del 2011 rappresentativo di circa 176mila "vere" nuove imprese iscritte nel corso dell'anno. Anche nel 2011, sono stati Sud e Isole a dare vita alla quota prevalente di nuove iniziative imprenditoriali (30,9%), seguite a breve distanza dal Nord Ovest (28,6%). Incidenze minori spettano al Centro e al Nord Est (rispettivamente, 21% e 19,5%). Nella maggior parte dei casi (88,7%), le imprese neo-nate sono caute e non avvertono la necessità di assumere personale, impegnate come sono ad attendere i primi riscontri da parte del mercato. Circa un'impresa su dieci prevede di aumentare gli occupati, ma la quota sale sensibilmente tra quelle con più di 10 addetti (raggiungendo il 19,6%). Le opportunità del "fare impresa" sono colte sempre più frequentemente dai giovani: l'incidenza degli under 30 è pari al 26,4% (2 punti in più rispetto al 2010) e un ulteriore 19,1% di neo-imprenditori si colloca nella fascia di età tra i 31 e i 35 anni. I giovani hanno generato nel 2011 poco meno della metà delle nuove imprese, mentre il restante 54,5% è da attribuire agli ultra 35enni, che si avvalgono principalmente dell'esperienza e del proprio background tecnico-professionale per trovare stimoli all'avventura imprenditoriale. Si sono ulteriormente ridotti gli spazi per le donne, che presidiano settori specifici come i servizi alle persone, il turismo, l'agricoltura e le attività commerciali. Poco meno della metà (48,9%) dei neoimprenditori proviene da una scuola secondaria superiore, una quota in crescita rispetto ai dati 2010. Anche l'incidenza di quanti si sono fermati alla scuola dell'obbligo è in aumento (supera un quarto dei casi) e, di conseguenza, sono in riduzione i neo-imprenditori con qualifica professionale e con laurea, cui corrispondono quote intorno al 12%. Visto che l'investimento per dare avvio a una nuova attività non supera i 10mila euro nel 72,1% dei casi (quota che si amplia, raggiungendo il 75,3%, per i giovani), i nuovi imprenditori fanno affidamento prevalentemente su mezzi propri: infatti, scelgono l'autofinanziamento 8 imprenditori su 10, affiancando a questo i prestiti di parenti o amici e, in seconda battuta, i prestiti bancari. Invece, la motivazione prevalente è da ricercarsi nella necessità di trovare uno sbocco lavorativo per quanti precedentemente si trovavano nella condizione di disoccupati, studenti, casalinghe e collaboratori a progetto, che complessivamente rappresentano il 22,4% dei nuovi imprenditori, con un'incidenza in aumento di 1,5 punti sul 2010. "L'impresa è e resta una grande opportunità soprattutto per i giovani - sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - non è la soluzione alla disoccupazione, ma è una concreta e solida chances per dare corpo alle giuste aspettative di soddisfazione professionale". 18 febbraio 2012 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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20 Febbraio 2012

Imprenditori per necessità di Michelangelo Filippi L'Italia è tra i paesi con il più alto numero di imprese e imprenditori. Ma l'apertura di nuove imprese non è sempre e comunque una buona notizia. Perché, in particolare in alcuni settori, il lavoro autonomo può essere occupazione dipendente mascherata. Oppure rappresentare una risposta alla disoccupazione: quanti più saranno gli addetti espulsi dalle aziende esistenti,

specie quelle più grandi, tanto più questi saranno costretti a inventarsi un'occupazione. Così, però, l'impresa propria è solo un'opportunità di ripiego. Dunque, sarà facilmente destinata all'insuccesso. L'Italia è tra i paesi con il più alto numero di imprese e imprenditori. Lo stock di imprese iscritte alla Camera di commercio (Movimprese, dato annuale del 2011) ha superato quota 6.110.000. Più di 6 milioni, in un paese che conta poco più di 60 milioni di abitanti, bambini e anziani inclusi. E sono solo quelle iscritte alla Camera di commercio: certo sono la maggior parte, ma almeno da un punto di vista statistico, stando alle definizioni Eurostat di impresa, altre ancora andrebbero aggiunte. TANTE PICCOLE IMPRESE In effetti il termine "impresa" è piuttosto vago, nel senso che comprende il lavoratore autonomo così come la grande multinazionale con 100mila dipendenti. L'Istat, nell'archivio Asia relativo al 2009, identifica quasi 4 milioni e mezzo di imprese attive, meno della Camera di commercio, ma sono diversi i settori osservati e le definizioni. Quasi il 60 per cento non supera un addetto: sono lavoratori autonomi, senza collaboratori o dipendenti. Il 95 per cento delle imprese rimane sotto i 10 addetti, andrebbero classificate quindi come micro-imprese. Le aziende con più di 20 addetti sono 82.944.1 Tavola 1 – Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2009

Fonte: Istat, Archivio statistico delle imprese attive Il nanismo delle imprese italiane non è certo una novità e siamo in buona compagnia. Tra i paesi Ocse con la maggior quota di occupati in imprese con meno di 50 addetti, i primi posti sono occupati da Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, più noti alle cronache per altri motivi.2 Si possono trovare innumerevoli aspetti positivi nel desiderio di avviare un'attività in proprio o diventare imprenditore. Ma non mancano i lati oscuri. Si vedano, ad esempio, i legami tra la diffusione del lavoro autonomo e l'estensione del settore pubblico, la regolamentazione dei mercati, il grado di legalità e la pressione fiscale.3

1 Lo stadio di San Siro a Milano, che ha una capienza di 80.018 posti a sedere, potrebbe contenere un rappresentante di ogni

impresa italiana con più di 20 addetti. 2 Si veda Entrepreneurship at a Glance, Oecd, 2011, p. 45.

33 Si veda R. Torrini, "La diffusione del lavoro autonomo nei paesi industrializzati: alla ricerca di una spiegazione per l’anomalia

italiana", Banca d’Italia, Roma, 2000 oppure "Cross-country differences in self-employment rates: the role of institutions", Banca d'Italia, Temi di Discussione 459, dicembre 2002.

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Inoltre, il lavoro autonomo, in particolare in alcuni settori, può essere in realtà occupazione dipendente mascherata (il massimo della flessibilità per il datore di lavoro) e rappresentare una delle possibili risposte alla disoccupazione, ma solo come opportunità di ripiego. NASCITA E MORTE DELL'IMPRESA A un elevato numero di imprese è associato anche un elevato flusso sia in ingresso che in uscita. Tanto elevato che il lavoro di registrazione delle iscrizioni svolto dalle Camere di commercio è paragonabile a quello svolto dalle anagrafi per registrare i bambini nati, in alcune aree del paese addirittura superiore, in particolare se si escludono i bambini stranieri (nati in Italia). Cioè in Italia nascono più imprese che bambini. Tavola 2 – Bambini nati in Italia e imprese iscritte in Camera di commercio. Anno 2010

Fonte: Istat, Demo e Infocamere, Movimprese Mentre è generalmente una buona notizia la nascita di bambino, forse non altrettanto lo è quello di una impresa. Una parte delle nuove attività nasce per necessità, per provare a trovare un'occupazione in alternativa al posto di lavoro, spesso dipendente, perduto o non trovato. Almeno due sono i segnali non proprio positivi che provengono dalle nuove imprese. Se si utilizzano i dati Istat di Asia, si osserva che il numero di imprese che entrano nell'archivio, una approssimazione delle imprese nate, è correlato al turn-over dei dipendenti o, più in precisamente, alle variazioni positive e negative di addetti rilevati a livello di singola impresa. Se si osservano i dati provinciali, tanto maggiori sono i posti di lavoro distrutti dalle imprese, tanto maggiore è il numero di imprese nate. La figura illustra l'assunto in termini relativi: tassi di ingresso delle imprese (imprese nate/stock di imprese) e tasso di distruzione di posti di lavoro (variazioni negative di occupazione/stock di addetti). Figura 1: Tassi di ingresso e tassi di distruzione per provincia. Anno 2008.

Fonte: Elaborazioni su Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive L'analisi è molto grezza, non è certo un modello econometrico della natalità di impresa. Ma già venti anni fa, Bruno Contini e Riccardo Revelli stimavano un possibile effetto sulla natalità dei tassi medi di crescita

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dell'occupazione e rilevando però come fosse difficile isolare l'effetto delle componenti positive (o negative) perché "troppo poco ortogonali" per fornire indicazioni separate sugli effetti di medie e varianze della crescita.4 L'altro dato preoccupante è la durata delle nuove attività. La sopravvivenza a 1 anno è inferiore all'88 per cento. La sopravvivenza a cinque anni registrata dall'Istat sulle "vere" nuove nascite è di circa il 50 per cento. Anche in questo caso, si tratta di un dato comune a molti paesi occidentali. Le curve di sopravvivenza delle imprese non sembrano drammaticamente differenti in paesi come la Germania, la Francia o l'Italia.5 Però, se si osservano i tassi di natalità provinciali e i tassi di sopravvivenza delle imprese (a un anno e a cinque anni, calcolati sui dati grezzi, includendo anche le nascite spurie) si osserva ancora una correlazione, negativa, tra i due fenomeni. Più ne nascono, più, in proporzione, ne muoiono. Se la natalità è elevata, è ragionevole aspettarsi una maggiore mortalità, visto che l'economia italiana non brilla per sviluppo. Ma dove nascono più imprese, e ne nascono di più dove le imprese distruggono più posti di lavoro, le nuove imprese vivono ancora meno, segno di una ancora maggior debolezza iniziale, che potrebbe essere un segnale di maggior improvvisazione o tentativo di avviare una attività in mancanza di alternative. Figura 2: Tassi di ingresso, nel 2002, e tassi di sopravvivenza per provincia.

Fonte: Elaborazioni su Istat, Archivio statistico delle imprese attive In conclusione, non sembra che l'apertura di imprese sia sempre e comunque una buona notizia. Anzi, potrebbe non esserlo affatto ed essere inversamente proporzionale alla salute delle imprese esistenti, specie quelle più grandi. Tanto maggiori saranno gli addetti espulsi da queste, tanto più questi proveranno o saranno costretti ad inventarsi un'occupazione, che per altro sarà facilmente destinata all'insuccesso. Magari misurando in modo corretto i vari effetti tutto questo si rivelerà errato, ma il sospetto che il problema esista per ora rimane.

4 Contini B. e Revelli R. Imprese, occupazione e retribuzioni al microscopio, Il Mulino, 1992

5 Si veda ad esempio Bartelsman, Scarpetta e Schivardi, “Comparative Analysis of Firm Demographics and Survival”, Oecd

Economics department Working Papers, n. 348, 2003.

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E IL MINISTRO DEL WELFARE: PARLANDO ALLA COMUNITA' FINANZIARIA

Monti : «Riforma lavoro anche senza accordo» Fornero: «Sussidio al posto della mobilità» Il premier alla comunità finanziaria: non ci sarà altra manovra e il governo vuol premiare i contribuenti onesti MILANO - «Abbiamo cercato di togliere l'Italia dalla lista dei problemi per passare alla lista di coloro che contribuiscono a trovare soluzioni». Ha sintetizzato così l'azione dei primi mesi del suo governo il premier Mario Monti, incontrando la comunità finanziaria a Piazza Affari. Il capo dell'esecutivo ha ribadito che non è all'orizzonte una nuova manovra: «Non ce ne sarà bisogno perché ci sono margini di prudenza». Ad avvio dell'incontro il presidente del Consiglio aveva rilevato che una Borsa «con un numero elevato di società quotate può dare un contributo fondamentale per la crescita economica del Paese». «Nel 2013 un governo politico» PACCHETTO LAVORO - Sul tema scottante della riforma del lavoro il governo è «fiducioso» che si possa arrivare ad un accordo con le parti sociali, ma punta a presentarla in Parlamento entro i tempi previsti cioè «entro fine marzo», «anche senza tale accordo. Noi speriamo con, ma non possiamo consentire poteri di blocco troppo paralizzanti». «È giusto sentire le parti, dopo di che non ho nulla in contrario se ad un certo punto il governo vada avanti e presenti la riforma», ha aggiunto dal canto suo il leader di Confindustria, Emma Marcegaglia. Sull'argomento è intervenuto anche il ministro Elsa Fornero ad avvio dell'incontro don le parti sociali chiarendo: «La riforma non può partire prima dell'autunno del 2013. Oggi dobbiamo gestire la crisi con gli strumenti che abbiamo». La titolare del Welfare ha anche parlato di un nuovo sussidio di disoccupazione dovrebbe essere unico e sostituire quindi tutte le indennità esistenti dopo la perdita del posto di lavoro, vale a dire disoccupazione ordinaria, con requisiti ridotti, mobilità. Il nuovo sussidio sarà rafforzato e esteso a tutti i settori. E il presidente della Camera, Gianfranco Fini, spiega la sua posizione via Twitter: «La mia proposta è che per i neoassunti non valga l'articolo 18. Così un'impresa può assumere a tempo indeterminato e se poi va male può licenziare senza dover sottostare all'articolo 18». CONTRIBUENTI ONESTI - Parlando agli operatori finanziari, Monti ha anche affrontato il tema della riforma fiscale e ha ribadito «l'obiettivo di far affluire ai contribuenti onesti, in forma di minore aggravio fiscale, il gettito della lotta accresciuta contro l'evasione». «Intanto - ha aggiunto - vogliamo rendere ai contribuenti onesti la vita più semplice dal punto di vista fiscale e ci saranno molti provvedimenti in questo senso». E a scanso di equivoci ha ribadito che il governo «è sensibile sul piano intellettuale alle argomentazioni, ma è insensibile alle pressioni. Per noi è un punto di forza agire in condizioni quasi disperate. Guardiamo bene in faccia a tutti, ma non guardiamo in faccia a nessuno». Più o meno in contemporanea sul tema è intervenuto da Cagliari anche il Presidente della repubblica Napolitano. «La coesione sociale .a ammonito- non significa immobilismo, nè mantenere in piedi il welfare come è stato nei decenni passati perchè questo lascia scoperte alcune sacche di povertà mentre noi dobbiamo occuparci di chi non ha». I POTERI FORTI - In un altro passaggio Mario Monti ha voluto sottolineare che il suo governo non è «particolarmente deferente» verso i poteri forti. «Noi dalla cronaca veloce siamo stati qualificati come vicini ai poteri forti. Mi fa piacere dire qui che abbiamo ritenuto fosse opportuno, per la vivacità e il tono competitivo del sistema italiano, che non ci fossero più molte presenze simultanee in consigli di amministrazione in concorrenza, soprattutto in banche e assicurazioni. Spiace - ha proseguito - andare contro la nozione elegante e piacevole di salotto buono, ma pensiamo che questo concetto abbia qualche volta in passato tutelato bene l'esistente ma abbia consentito la sopravvivenza in qualche occasione un po'

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forzata dell'italianità di alcune aziende. Cito questo provvedimento per dire a coloro che, fuori di qui, pensano che i professori siano particolarmente deferenti verso banche e finanza che non è così: c'è rispetto come verso tutti, ma se vediamo la necessità di qualche provvedimento lo prendiamo». LETTERA CONGIUNTA - Ha poi annunciato un'iniziativa comune in ambito europeo. «Sarà resa nota oggi, se già non lo è, una lettera che sette o otto capi di governo di Paesi membri dell'Unione Europea hanno inviato al presidente del consiglio europeo e alla Commissione per dare un forte stimolo alla crescita economica europea». E poi ha specificato «tranne modifiche dell'ultimo minuto, né Francia né Germania l'hanno firmata». LA CASTA - In chiusura ha confermato che da domani saranno pubblicati su internet i patrimoni dei ministri ed ha punzecchiato sulla stampa che batte molto sui temi della casta. È «molto bello» che vi siano le crociate contro i privilegi delle caste -ha detto Monti- ma «esorterei la stampa che sta cavalcando molto i temi della casta, di stabilire una barra, una soglia, oltrepassata la quale quei giornalisti potranno dire: beh, non è malaccio, qualcosa è stato fatto». E poi ha ricordato quello che ha fatto il suo esecutivo col tetto di 305 mila euro agli stipendi dei manager pubblici («Faremo fatica a trovare professionalità di alto livello....») e la riduzione delle auto blu («di cui comunque resta un numero sconfinato»). Redazione Online 20 febbraio 2012 | 21:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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19 febbraio 2012

Nuovo round sulla riforma del mercato del lavoro. Camusso: difficile l'intesa entro marzo Nuovo round nella trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Lunedì Governo e sindacati si incontreranno in tarda mattinata presso il ministero del Lavoro. Si parlerà di ammortizzatori sociali. Intanto si registra la levata di scudi di Cigl e Cisl sull'ipotesi - confermata dal viceministro al Lavoro, Michel Martone - che il Governo decida di abolire la cassa integrazione straordinaria e di sostituirla con il sussidio di disoccupazione. «È necessario che il Paese abbia un intervento sul mercato del lavoro. Ma dire che siamo vicini è un po' presto», ha ricordato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, intervenuta come ospite della trasmissione «Che tempo che fa» di Fabio Fazio. «Parlare di rimuovere i sostegni - ha affermato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni a SkyTG24 - vuol dire gettare un cerino su un bidone di benzina. Il Paese - ha aggiunto - aspetta una rassicurazione su questo. Non vorrei che questo discorso nascondesse la volontà di rimuovere la cassa integrazione in deroga per risparmiare». Un altolà è arrivato anche da Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: «Gli ammortizzatori sociali - ha affermato - così come sono, non possono essere modificati mentre il Paese si avvia a passare da un meno 0,7% a un meno 1,5% del Pil per l'anno 2012». No all'indennità di disoccupazione «Quando la ministra dice con troppa scioltezza che la cassa integrazione straordinaria si può eliminare - ha affermato Camusso - dice una cosa non vera». La Cgil chiude dunque la porta alla cancellazione della cassa integrazione straordinaria, e alla sua sostituzione con un'indennità di disoccupazione: questa indennità, ha spiegato Camusso, «non è uno strumento universale e dura di meno». La proposta del ministro Fornero, ha continuato la sindacalista, «ha due fondamentali difetti» tra cui quello di avere una durata di «8-10 mesi per il 60% dell'ultima retribuzione, molto meno della cassa integrazione. E chi prende la cassa integrazione - ha aggiunto Camusso - non è certo ricco». Su un punto invece la sindacalista e il ministro si trovano d'accordo: «C'è una cosa giusta che è l'universalitá, - ha ricordato - ma non sostituisce la cassa integrazione e consente, ad esempio, la reindustrializzazione di un territorio». Se la cassa integrazione resta «il primo strumento di sicurezza», la leader della Cgil non ha chiuso alla possibilità di trovare uno strumento universale. «Servono - ha detto - le risorse che potrebbero essere prese in parte dalla contribuzione, in parte utilizzando le risorse utilizzate per gli ammortizzatori straordinari». Il segretario della Cgil ha poi proposto «un'imposta patrimoniale progressiva» oppure un intervento sui soldi acquisiti con l'evasione». Camusso: l'articolo 18 è norma deterrente L'articolo 18, ha affermato Camusso, «è una norma di civiltà ,ma soprattutto una norma deterrente perchè il contenzioso giudiziario sull'articolo 18 è basso, non ha numeri infiniti». In particolare, la norma «ha una valenza e non si può cambiare nella sua sostanza perchè dice che non si può licenziare se non c'è un giustificato motivo». Il segretario generale della Cgil ha messo in evidenza che «un procedimento giudiziario per licenziamento dura sei anni: questa è un'eccessiva incertezza sia per il lavoratore che per le imprese. Non bisogna cambiare l'articolo 18 ma trovare procedure per risolvere i contenziosi in tempi più rapidi».

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IL CASO

Giovani, lavoratori atipici, donne avere un mutuo è diventata un'utopia Banche superprudenti che chiedono garanzie su garanzie e cambiano in peggio le condizioni in corso d'opera, la crisi che sconsiglia di programmare investimenti pesanti: comprare la casa è diventato un percorso di guerra. Il 40 per cento delle richieste di finanziamenti per l'abitazione è stata bocciata dagli istituti di credito Di Rosaria Amato ROMA - Il mutuo c’è, ma torni tra un mese. Oppure ci potrebbe essere, ma porti suo padre. E possibilmente le buste paga degli ultimi due-tre anni. Negli ultimi mesi ottenere un mutuo è diventato sempre più difficile: gli spread si sono alzati, le banche se la prendono molto comoda e spesso modificano in peggio le condizioni in corso d’opera, imponendo assicurazioni e chiedendo garanzie su garanzie. Se poi si fa parte di una categoria non standard (giovani, atipici, immigrati, meridionali, donne single) l’unica condizione per comprare una casa è praticamente disporre dei contanti. Ma anche questo è impossibile, dopo la corsa durata quasi un decennio, che ha portato negli anni 2000 i prezzi delle case a raddoppiare, e in diversi casi a triplicare. Secondo l’ultima indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie per comprare casa occorrono in media undici anni di stipendi. Senza un mutuo, non si può. Le difficoltà in banca. Le banche sono diventate iperprudenti, chiedono mille garanzie, unite alla sottoscrizione di onerose assicurazioni. Inoltre in una situazione di crisi come quella attuale, con l’euro considerato ancora a rischio, nonostante gli sforzi dei governi europei e della Ue, i tassi d’interesse volano. "Per parare i colpi del mercato impazzito — accusa sul numero di gennaio Valori, il mensile promosso da Banca Etica — le banche alzano i tassi d’interesse sui mutui, ben oltre la percentuale concordata con i clienti. Senza preavviso e anche a pochi giorni dal rogito, quando per i clienti è impossibile tornare indietro, se non perdendo la possibilità di acquistare l’abitazione, e la caparra versata". A questo si aggiungono le assicurazioni immobiliari, che coprono i casi gravi di impossibilità di ripagare il prestito, e che sono diventate ormai di fatto obbligatorie: un business da 2,5 miliardi di euro l’anno. I dati sul rallentamento. Gli ultimi dati della Banca d’Italia (che si riferiscono a novembre) mostrano un forte rallentamento del tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato, sceso al 3,5% dal 4,2% di ottobre. Il rallentamento ha riguardato sia i prestiti alle famiglie (3,9% contro il 4,3% di ottobre) sia quelli alle società non finanziarie (4,4% dal 5,3% di ottobre). Mentre i tassi d’interesse sui mutui per l’acquisto di abitazioni sono arrivati al 3,98% dal 3,81 di ottobre. Secondo Federabitazione negli ultimi mesi il 40% delle richieste di mutuo inoltrate da possibili acquirenti di abitazioni alle banche "ha ricevuto esito negativo e, nei casi di risposta positiva, il mutuo è stato concesso per un importo significativamente ridotto rispetto alla richiesta iniziale". Una circostanza che mette comunque in forte disagio il potenziale acquirente, che deve provvedere a coprire il saldo prezzo con mezzi propri o, ove non ne disponesse, a rinunciare all’acquisto. Le banche negano o minimizzano. Però le banche negano. Anzi, nella maggior parte dei casi, si negano: Repubblica.it ne ha interpellate diverse, ma sulla questione preferiscono non intervenire. Con rare eccezioni. Questa la posizione del Monte dei Paschi di Siena: "La riduzione di richieste di mutuo (—50% a dicembre 2011 rispetto a inizio anno) è dovuta essenzialmente alla prudenza dei clienti che, in chiara congiuntura di crisi, mostrano una propensione all’indebitamento nettamente inferiore al recente passato.

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Il trend, riteniamo, durerà fino a tutto il I trimestre 2012. Un decremento di richieste così spiccato coinvolge non solo le classi meno abbienti (giovani, immigrati) ma anche e soprattutto il ceto medio che, nel presente momento caratterizzato da incertezza economica, rinvia, se possibile, gli impegni finanziari e le progettualità più significative: tra queste vi è senz’altro l’acquisto dell’abitazione sia essa prima o seconda casa". Il calo del 50% nelle richieste di mutuo a dicembre rispetto a gennaio 2011 è riscontrato anche da Unicredit, che lo considera come il Montepaschi un effetto diretto del contesto economico, "che da una parte rende insicuri i consumatori e dall’altro aumenta i costi per il sistema bancario". E tuttavia "il calo delle richieste di finanziamenti è, proporzionalmente, più elevato di quello delle erogazioni". Per un vero cambiamento, concordano le banche, bisognerà aspettare un calo dello spread e quindi dei tassi d’interesse applicati alla clientela, favorito da un ritorno della fiducia nei mercati". Credit crunch o scoraggiamento delle famiglie? In effetti il barometro di Crif segnala una fortissima diminuzione delle richieste di mutui per acquistare la casa: meno 19% nel 2011 rispetto al 2010, un dato negativo che interrompe la tendenza al rialzo registrata nei due anni precedenti (+1% nel 2010 e +7% nel 2009). Questo 19% è però solo una media: la situazione si è fortemente aggravata nel corso dell’anno. Se infatti a gennaio il calo delle richieste era dell’1% rispetto allo stesso mese del 2010, a febbraio del 2% e a marzo del 7%, già ad aprile arrivava a 15 per poi arrivare a — 33% a ottobre, - 46% a novembre e — 49% a dicembre. "A fronte di una domanda ancora negativamente influenzata da una elevata incertezza anche l’offerta di credito si è indebolita, condizionata anche da politiche di erogazione che negli ultimi anni sono state più caute e selettive". Una corsa a ostacoli. Le famiglie infatti si scoraggiano perché le condizioni dei pochi mutui offerti sono

scoraggianti: gli spread sono volati, rendendo le rate molto onerose. "Quella della dissuasione tramite

aumento del prezzo è la leva più comune che le banche usano nei momenti di difficoltà — conferma

Stefano Rossini, amministratore delegato del broker on line MutuiSupermarket — E’ da aprile infatti che

stanno aumentando gli spread medi: il variabile è cresciuto dall’1,20% di marzo al 3,30% attuale, per i fissi si

è passati dallo 0,95 al 3,60. Aumenti di quasi il 300 per 100 negli ultimi otto mesi, e questo riguarda le

migliori offerte, ci sono anche offerte che arrivano al 5 o al 6%. Inoltre c’è un inasprimento delle condizioni

di credito: i criteri creditizi diventano più stringenti, per esempio se di solito la rata del mutuo non deve

superare il 45% del reddito dei richiedenti, molte banche stabiliscono che non debba superare il 30%. Per i

giovani under35 una volta bastava avere un contratto non atipico, a tempo indeterminato, adesso sempre

più spesso si richiede l’intervento di garanti, che sono poi di solito i genitori. Molte banche allungano i

tempi di delibera, che si dilatano così tanto che i clienti che non hanno una compravendita in corso, ma

devono piuttosto fare una surroga o sostituire il mutuo lasciano perdere".

19 Febbraio 2012 © Riproduzione riservata