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Marco A. Rovatti – Piccolo manuale di sopravvivenza aziendale F o c u s O n Appunti di viaggio nel mondo dell'Impresa Moderna di Marco A. Rovatti Management Leadership Comunicazione 1

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Marco A. Rovatti – Piccolo manuale di sopravvivenza aziendale

F o c u s O n

Appunti di viaggio nel mondo dell'Impresa Moderna

di Marco A. Rovatti

ManagementLeadership

Comunicazione

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FOCUS ON: MANAGEMENT

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Un'azienda plastica e fluttuante16 + 1 cose da tenere sotto controllo nella propria impresa

Nel cervello umano la disponibilità variabile dei neurotrasmettitori e dei relativi recettori è alla base dei cambiamenti dell'umore e dell'apprendimento. Un'azienda vincente è supportata dalla crescita interna (formazione continua), dalla spinta dell'ambiente socio-economico (concorrenza) e da una certa “predisposizione” al management coltivata con costanza. Questi tre fattori di crescita possono sfruttare al massimo quella plasticità dell'azienda che dovrebbe essere presente in tutte.

Le seguenti riflessioni sono scaturite da un'infelice esperienza imprenditoriale di qualche anno fa.

1 La sindrome del fifty-fifty“La miglior società è composta da un numero di soci dispari inferiore a tre”. Questo vecchio adagio sta in piedi in quanto la società più difficile da gestire nella sua fase iniziale è quella costituita da due soci al 50%. Sono pericolosissime le situazioni di stallo in caso di disaccordo e la sopravvivenza è in ogni caso garantita solo se in modo informale uno dei due soci prevale sull'altro e si assume la leadership, facendola accettare al secondo socio.

2 Le caratteristiche dei sociI soci operativi di una società ideale dovrebbero essere diversi nelle loro caratteristiche personali ma simili nella loro estrazione socioculturale. La società ideale è costituita da tre soci operativi che si spartiscono la gestione delle aree principali di ogni società. Il socio finanziario (se esiste) è preferibile non sia operativo per non alterare gli equilibri interni tra i soci operativi.

Il socio portato al contatto umano, ottimista e capace di reagire positivamente agli inevitabile “no!” sarà quello che si occuperà delle Vendite e della pianificazione Marketing.Chi si interesserà della Produzione sarà il socio che avrà spiccate capacità ed esperienze tecniche per poter gestire l'area della produzione (sia prodotti che servizi). Dovrà possedere una buona leadership. Infine, chi Controlla deve avere invece un'estrema attenzione nel mettere sempre a confronto i costi e i benefici di ogni attività dell'impresa.Caratteristiche comuni a tutti i soci devono essere la correttezza e la serietà, così come la reciproca stima e fiducia.

3 La macchina “acchiappa cimici”Chi non ha esperienza commerciale ricorre spesso nell'errore di ritenere di avere avuto un'idea di business o di prodotto talmente brillante, che il mercato sarà certamente entusiasta nel recepirla.E' l'errore tipico di tecnici, ingegneri e persone di formazione tecnico-scientifica. L'idea non è poi così sempre geniale e in ogni caso non è detto che abbia automaticamente un successo commerciale.

4 Il vantaggio temporaleDecidere di costituire una società che senso solo perchè presenta in anticipo sul mercato soluzioni non ancora presenti, comporta notevoli rischi. Occorre tener presente che ogni qualvolta un neo-imprenditore scorge un'opportunità in un determinato servizio più avanzato di quanto fornito già da altre società concorrenti, deve tener presente che quasi certamente altri imprenditori stanno valutando la stessa opportunità, per cui la situazione dell'offerta può cambiare in modo repentino.

5 Il capitaleCostituire una società con un capitale iniziale insufficiente è uno dei rischi più frequenti dei neo-imprenditori. In generale il capitale limitato rappresenta un pesante fattore negativo per lo sviluppo e la sopravvivenza stessa della società.

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6 Il finanziamentoNel nostro Paese il principale finanziamento alternativo al capitale sociale è quello richiesto alle banche, che finanziano con molta lentezza chi ne ha bisogno ma poi sono molto celeri nel ritirare la loro fiducia ai primi sintomi di difficoltà. Massima attenzione!

7 Un cliente che vale il 40% dei ricaviQuesta è la situazione tipica di società “spin-off” nate da clienti e all'interno di aziende più grandi.E' una situazione pericolosa in quanto l'attività aziendale è troppo legata alla volontà o agli imprevisti (crisi di mercato o aziendale del cliente, fusioni, ristrutturazioni, ecc.) che possono capitare al cliente principale.

8 La determinazione dei prezziIl miglior amico di un imprenditore è il margine di gestione. Spesso la strategia vincente per i neo-imprenditori sembra essere quella di presentare prezzi molto competitivi a volte solo per seguire una poco lucida voglia di crescere a tutti i costi. Quando si opera con margini ridotti, qualsiasi imprevisto porta in passivo la gestione e non sempre il capitale iniziale consente la copertura delle perdite.

9 Le regole del giocoE' molto pericoloso non tener conto del settore in cui si opera. Esistono una serie di regole scritte e non scritte di settore di cui è necessario tener conto. Ad esempio se i clienti sono abituati a pagare a 90 giorni non si può ipotizzare di incassare mediamente a 30 giorni. Il problema che nascerà sarà quello dell'autofinanziamento e non sempre si hanno a disposizione risorse adeguate.

10 Mancanza di focusE' importante per ogni impresa individuare bene la propria vision e la mission utile a traguardarla. Il pericolo è acquisire ordini non focalizzati sulla propria attività non consentendo di specializzarsi e accumulare know-how che al rende più competitiva.

11 Eccesso di focusSebbene la specializzazione è in genere un vantaggio per una piccola società non deve essere presa come un qualcosa di inossidabile nel tempo: il mercato è sempre in evoluzione e una specializzazione molto richiesta può divenire rapidamente obsoleta in giro di poco tempo. In presenza di variabilità del mercato può essere utile considerare una diversificazione delle attività.

12 La diversificazioneDiversificare è spesso un male necessario e bisogna tener conto di due variabili molto importanti: la prima consiste nella possibilità che un nuovo settore di mercato faccia fatica a svilupparsi, assorbendo pertanto enormi quantità di risorse (che sono limitate). La seconda variabile da tenere monitorata riguarda le risorse umane che a volte non si trovano preparate professionalmente al cambiamento.

13 “Ho solo clienti intelligenti”L'intuito dell'imprenditore è molto importante ma non è infallibile e il suo punto di vista può non essere condiviso dai suoi clienti. Una ricerca di mercato anche se amatoriale ed informale può spesso evitare di commettere grossi errori.

14 I segmenti di mercatoE' opportuno vedere il mercato come un insieme di segmenti tra i quali scegliere i più promettenti e facile da conquistare. Il mercato non è mai monolitico.

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15 I clienti fanno fatica a cambiare i fornitoriE' sbagliato essere troppo ottimisti nel confidare nella piena disponibilità dei clienti a sostituire i loro fornitori abituali.

16 Le azioni legaliLa prima cosa fare quando si ritiene che esistano i presupposti per promuovere un'azione legale verso un cliente o un fornitore è chiedersi seriamente: “Cosa ci guadagnerò?”.Occorre sempre tener presente che nelle azioni legali i soli sicuri vincitori sono gli avvocati!Val la pena ricordare un proverbio francese che recita: “meglio raggiungere subito un cattivo accordo che ottenere una sentenza favorevole”.

Ancora una cosa ...Nella vita e nel lavoro è impossibile non commettere errori quando si prendono decisioni. Per contro è molto importante evitare i più catastrofici e saper riconoscere rapidamente gli errori commessi e limitandone così i danni. Questa è certamente una delle caratteristiche più importanti che deve avere ogni imprenditore.

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Il Segreto delle Tre TDall’osservazione del sistema, alla soluzione dei problemi.

1a OsservazioneAbdul è un bambino marocchino di cinque anni che ha il talento innato nell’adattarsi ai nuovi ambienti. In pochissime settimane, dal suo arrivo in Italia, è già in grado di comprendere e parlare con proprietà di termini la lingua italiana, alcune parole dialettali, i primi rudimenti di inglese. Inoltre parla arabo con i suoi genitori e francese con la zia. Mirko, mio figlio, stessa età di Abdul, sta crescendo in un ambiente casalingo molto evoluto a livello tecnologico e ricco di stimoli culturali. Mirko non ha nessun problema a connettersi sul sito web di Disney, scegliersi le immagini da colorare e stamparle. Cita tutti i pianeti del nostro sistema solare, sapendo quali sono quelli a densità gassosa rispetto a quelli rocciosi. E’ la sua passione. Entrambi sono amici inseparabili e vivono praticamente in simbiosi.

Un giorno, se mai dovessero lavorare in team, farebbero sicuramente un buon lavoro. E di successo.

2a OsservazioneLe Poste Italiane hanno recentemente siglato un importante accordo di collaborazione stretta con Microsoft: questo accordo prevedere di semplificare al massimo tutte le procedure automatizzate che l’ente ha generato e genererà in futuro, al fine di rendere più facile la vita di noi cittadini, quando ci troviamo a pagare un bollettino o altro via Internet. Detto molto rozzamente, questo è l’obiettivo. Poste Italiane ha sicuramente dalla sua una struttura così complessa e capillare che le permette di raggiungere quotidianamente, milioni di cittadini, con diverse modalità. Microsoft ha il “talento” di disegnare il software che noi utenti finali andremo ad utilizzare.

Innovare è la soluzione; per le Poste questo significherà una crescita di fatturato.

3a OsservazioneSiemens ha posto in essere una partnership strategica con il produttore cinese Huawei, di tecnologia infrastrutturale per le Reti, di grande peso commerciale. Uno dei due ha il “talento” e l’altro possiede la “tecnologia”: lascio a voi indovinare i relativi nomi ma, questo non è importante, ora. Entrambi sono decisi ad imporsi sul mercato italiano erodendo quote di mercato al player principale e questo senza essere costretti a decidere se stare dalla parte USA o dalla parte Cina. Tertium datur, la terza via, ovvero stare in mezzo, con intelligenza e cercando nuove opportunità.

Innovare è la soluzione; per Siemens questo significherà a medio termine, crearsi un nuovo mercato.

Le Tre TMolto probabilmente riusciremo in un futuro prossimo a valutare il nostro sviluppo economico, quello del paese in cui viviamo, con le Tre T. Sto parlando di Tecnologia, Talento e Tolleranza.La nuova economia ha visto diverse regioni e città del pianeta espandersi e rifiorire ma, ha anche assistito all’agonia di altre aree intrappolate nell’incapacità di reinventarsi e rendersi competitive nel nuovo sistema. Tecnologia e Talento creano sviluppo, certamente ma, è un risultato effimero, se non c’è la terza T: la Tolleranza. Il collante.

In pratica, occorre sviluppare la Tecnologia cercando l’eccellenza in tutti i campi di ricerca e applicazione. Il Talento è proprio delle persone competenti, molto preparate e con un altissimo potenziale creativo. Queste persone talentate nascono e crescono in ambienti informali e poco burocratizzati. La Tolleranza è da intendersi come apertura mentale e culturale: dove c’è maggiore accettazione del diverso, dove le idee nuove non spaventano. Dove gli altri sono accettati per quello che portano di veramente creativo.

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Osservazioni di carattere generaleCosa hanno in comune Abdul e Mirko con Siemens e Huawei e con Microsoft e Poste Italiane?Certamente le Tre T: tutti e sei si distinguono per Talento, eccellenza Tecnologica e grande Tolleranza. La loro visione d’insieme li porterà sicuramente verso il successo, potete scommetterci. In questo mondo che evidenzia sicuramente un defict di ascoltazione, ovvero una carenza di interesse nell’ascoltare un qualsiasi interlocutore, è chiaro che si sta perdendo l’attenzione alla diversità, preferendo una malsana uguaglianza che tende ad appiattire verso il basso le relazioni e di conseguenza le modalità di business degli operatori di tutta la filiera. Essere più creativi è la sfida che occorre affrontare unitamente ad un concetto un po’ bizzarro ma certamente importante: l’ascolto preventivo.Impariamo ad ascoltare veramente il nostro interlocutore utilizzando codici di comunicazione diversi, che ci possano da un lato arricchire e dall’altro essere più recettivi ai desiderata di coloro che ci parlano. Questa è reale Tolleranza; senza dubbio la T più importante delle Tre.

Adesso esageriamoQuello che stiamo cercando tutti non è forse la bacchetta magica per risolvere i nostri attuali problemi di business? Bene, iniziamo a vedere cosa si può fare. Da subito.E’ il software che guida lo sviluppo, stimola la generazione di servizi e trascina di conseguenza l’hardware. Andiamo verso un’inevitabile convergenza digitale: assecondiamola subito. Scendono i margini (tanto non è che risaliranno magicamente un bel giorno!) e si comprimono le tariffe: allora guardiamo il mercato che tira: consumer, credito al consumo, negozi di elettronica, grande distribuzione organizzata e specializzata. La Digital Life sembra essere la via da seguire. Diciamo basta ai fatturati tesi a far volume: non hanno velocità uguale o superiore alla discesa dei margini. Il collasso è inevitabile. Non sempre la soluzione più ovvia è quella più redditizia: facciamo uno sforzo creativo e investiamo in coraggio: ripaga. Avete in mano una tecnologia matura, consolidata? Allora investite in relazione. Ma sì; i clienti (anche quelli grossi) non pongono più grande attenzione alla referenza di un “nome” importante del fornitore. In realtà essi vogliono essere sereni e sentirsi garantiti e questo è intrinseco in una tecnologia matura. La loro attenzione è focalizzata al valore, alla qualità della relazione.

“Non importa se il gatto sia nero o bianco; l’importante è che prenda il topo”. Detto cinese.

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Il nuovo approccio al marketing: il Marketing Olistico

In una prospettiva di massimo orientamento al mercato si parla da qualche tempo di «marketing olistico» per la sua capacità di integrare tutte le funzioni e le risorse dell’impresa, interne o esterne ai confini aziendali, in un insieme armonico e finalizzato alla ricerca, creazione ed erogazione del valore al cliente.

Il nuovo paradigma di marketing si fonda sul riconoscimento di tre fattori determinanti del valore aziendale – i clienti, le competenze distintive e le reti collaborative – che, se gestiti in modo opportuno, consentono di edificare i quattro pilastri sui quali dovrebbe basarsi il piano di marketing strategico.

Questi quattro pilastri sono identificati in: offerte di marketing, architettura del business, attività di marketing puro e sistema operativo.

Se si incrociano questi elementi, possiamo verificare che:• le opportunità generatrici di valore vanno ricercate mediante l’analisi accurata di tre ambiti e delle loro interrelazioni: lo spazio cognitivo del cliente, l’insieme delle competenze possedute internamente dall’azienda e le possibili alleanze da stringere con altre organizzazioni in una logica di impresa-rete;

• il valore si estrinseca nella creazione di vantaggi per il cliente, visti come output dei processi di business e dello sviluppo delle partnership;

• il trasferimento del valore prodotto è reso possibile dalla gestione delle relazioni complessive, che bintegra il Customer Relationship Management, con la gestione delle risorse interne e dei rapporti con partners e alleati.

L’importanza della prospettiva relazionaleIl marketing «ampliato» ha uno dei suoi punti di forza nella prospettiva relazionale, se si considera che una delle principali chiavi del successo aziendale è sempre più rappresentata dalla capacità di un’organizzazione di assumere una forma “reticolare”, trasformando i propri stakeholder in collaboratori. La creazione di partnership e alleanze consente infatti di migliorare la propria efficienza operativa, esternalizzando quelle attività che altre imprese possono svolgere con un vantaggio di tempo, costo o qualità, e al tempo stesso di incrementare il valore per il cliente, mediante l’integrazione delle offerte di differenti aziende.

Per cogliere nuove opportunità di business, le imprese sono quindi spinte a ripensare le proprie strategie di marketing, nell’ambito di una più ampia riflessione strategica e organizzativa, e a strutturare una catena del valore idonea a garantire lo sviluppo, la realizzazione e la vendita dei prodotti e/o servizi che costituiscono l’offerta aziendale. Il nuovo approccio, a cui si è fatto cenno, determina la necessità di riprogettare l’assetto organizzativo del marketing, in un’ottica di effettivo orientamento di tutte le attività e le risorse aziendali alla soddisfazione del cliente.

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La diffusione delle attività di marketing nei processi aziendali Premesso ciò, è chiaro che l’implementazione delle strategie di marketing, secondo un modello concettuale evoluto, può essere notevolmente facilitata dall’adozione di una visione aziendale per processi, che pone l’accento proprio sul coordinamento interfunzionale e sul coinvolgimento di tutte le unità organizzative nella creazione del valore per il cliente. Così, accanto ai full time marketer impegnati a tempo pieno in attività di marketing, si dovrebbero moltiplicare i part time marketer, ossia figure che, pur svolgendo in prevalenza compiti che esulano dal marketing in senso stretto, possono influenzare in modo significativo le relazioni tra impresa e clienti. Si pensi, ad esempio, ad un responsabile della logistica integrata che definisce e si impegna ad osservare determinati obiettivi in termini di tempi di consegna oppure un responsabile della ricerca e sviluppo che sollecita i suggerimenti dei clienti sui progetti di sviluppo di nuovi prodotti.

La diffusione delle competenze e delle attività di marketing in differenti funzioni è certamente preferibile rispetto alla loro concentrazione in un unico reparto, soprattutto per le imprese che operano nel B2B instaurando relazioni durature e interattive con le imprese clienti, mediante il coinvolgimento attivo di tutte le funzioni aziendali.

L’accentramento al vertice delle responsabilità di marketing.Pur rimanendo nell’ambito dell’orientamento al mercato, la struttura di marketing può comunque assumere configurazioni alternative, la cui validità è legata a diversi fattori, quali la dimensione dell’azienda e il suo assetto organizzativo complessivo. Tuttavia, la tendenza prevalente, sostenuta anche dal nuovo approccio che inquadra le decisioni di marketing nell’ambito di una visione strategica globale del business, suggerisce di affidare il presidio delle attività di marketing ad una figura appartenente al vertice aziendale, dotata di capacità e conoscenze di general management.

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Come sono le persone motivate?Principi per un buon management

Alla base di ogni motivazione vi è la speranza in qualcosa ; questa ne costituisce la causa.Alcuni manager diventano tali perché si sono distinti per meriti “ altri” e perciò vengono premiati col fatto di venir messi a capo di una organizzazione, ma non sempre un manager è capace di far sentire motivate delle persone che non lo sono di per sé stesse.

Ciò premesso distinguiamo una motivazione attitudinale da una motivazione incentivante. La motivazione attitudinale consiste nel modo di pensare delle persone, è la fiducia che queste hanno di sé stesse, l’atteggiamento che hanno verso il futuro ed il loro modo di reagire al passato. Una motivazione incentivante riguarda il caso in cui una persona o un gruppo si attendono di ricavare una ricompensa da una certa attività. Basilarmente sia per un singolo che per un gruppo. Ogni motivazione può riuscire incentivante solo se l’ambiente è adatto. Per esempio può darsi che un sistema di motivazione di un gruppo attraverso un programma di incentivi e di competizione venga sviluppato in un ambiente in cui il gruppo non favorisce un buon sistema di relazioni interne o in cui prevalga il sospetto e la diffidenza nonché la fiducia e l’atmosfera è di insoddisfazione. Perciò ognuno deve guardarsi dentro chiedendosi se è realmente motivato o, se è un capo, chiedendosi se ha creato un ambiente adatto) Per ambiente si intende poi l’ambito fisico in cui si svolge il lavoro e l’atmosfera che regna nell’ambito del gruppo di lavoratori e addetti. Per un buon capo è importante conoscere questo per saper guidare dando l’esempio (che si spera verrà poi seguito dai dipendenti.)

Per motivare bisogna essere motivati?È impossibile motivare un altro se non si è motivati. Un buon manager arriva al lavoro prima degli altri ed ha sempre qualche buona notizia da comunicare(in altri termini è un manager motivato.) Inoltre ogni motivazione richiede un obiettivo. Ognuno di noi dovrebbe avere qualche speranza, aspirare a qualcosa o avere qualche obiettivo.

La motivazione, una volta creata non ha mai termine.Occorre organizzare conferenze, dibattiti fra le persone allo scopo di informarle sulle performances realizzate, di informare di quanto sta avvenendo e di comunicare i traguardi e piani per il futuro e di correggere i cambiamenti poco produttivi oltre che creare sentimenti di calore. Ogni motivazione deve essere poi accompagnata da un apprezzamento. Un buon apprezzamento è l’obiettivo di molte persone (sia adulte che non). I complimenti genuini sono una forma di riconoscimento. Una persona con ampie vedute sa gratificare con un complimento mentre una con vedute ristrette non è capace di riconoscere i successi altrui.

La partecipazione è motivante?Durante gli anni 8O molti manager acquistarono le proprie aziende. Le persone sono più motivate se vengono meglio utilizzate piuttosto che meglio trattate. Perciò fate in modo che le persone siano coinvolte e riuscirete a creare gruppi ben più motivati. Soprattutto vendete. Vendete le vostre idee e Fate in modo che la gente le faccia proprie. I progressi serviranno in seguito a motivare: quando ci accorgiamo di progredire, andare avanti e affermarci diventiamo sempre più motivati. Altrimenti se andiamo indietro ci sentiamo demotivati. La situazione di demotivazione proviene dal timore di quello che può andare male. Ci si sente più motivati quando ci si vede andare meglio. La competitività serve da motivazione solo quando si può vincere. Le sfide devono motivare ma gli obiettivi devono essere raggiungibili. Basta riflettere che ognuno possiede un detonatore motivazionale.

Ognuno cioè può essere motivato ma non sappiamo quando può partire. Una volta accesa la miccia bisogna continuare a mantenerla viva. Ecco che l’appartenenza ad un gruppo serve a motivare.

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Quanto più piccola è l’unità alla quale si appartiene tanto maggiori saranno lealtà motivazione e impegno. Il senso di appartenenza ad un gruppo va creato e vivificato. Es. appartenenza ad un gruppo di produzione, vendita, marketing e l’uso di magliette, gadgets, serate in comune e riunioni periodiche.

Come individuare i fattori demotivanti?I fattori demotivanti sono altrettanto importanti. Bisogna conoscerli. Senza speranze un individuo rimane senza motivazioni. Il genere umano è formato da persone che mirano a dei traguardi. Una persona priva di motivazioni lascia intravedere il suo stato attraverso il linguaggio del corpo, il suo aspetto esteriore ,il suo volto. Perciò è importante saper vedere questi segni in persone non motivate. Perciò un manager motivato deve essere capace di empatia. (cioè capace di mettersi nei panni degli altri e di vedere le cose dal loro punto di vista) L’empatia poi non comporta l’essere d’accordo con altre persone.

I segni esteriori delle persone non motivate vanno dall’aspetto esteriore alla propria casa all’auto, le persone non motivate sono tristi e soggette ad ammalarsi. Si nota subito appunto la mancanza di motivazione. Quali sono le cause? La mancanza di fiducia. La fiducia e la conseguente sicurezza possono essere infranti da un altro, può dipendere da condizionamenti che risalgono all’infanzia e i condizionamenti possono derivare da esperienze precedenti.

Ma anche le preoccupazioni sono responsabili della mancanza di fiducia: il timore di sbagliare e di perdere il lavoro fa nascere preoccupazioni che sono fonti di demotivazione e porta a non prendere iniziative. Sensazione di non avere futuro: tutti quelli che ritengono di non avere futuro sono demotivati e il sentirsi non importanti produce anche demotivazione. Anche il non essere informati produce demotivazione. Le persone vanno ricompensate per ciò che fanno.

Sono veramente capace di delegare?Il successo dipende dalle persone. I più grossi leader e manager hanno due cose in comune;In primo luogo un desiderio di poter impiegare persone aventi maggior abilità o cognizioni di quante essi stessi posseggano, in secondo luogo la capacità di far crescere le persone facendole diventare dei leader a loro volta. Lo sviluppo della personalità può essere ottenuto con un’attenta e pianificata delega delle responsabilità e dei doveri. Un buon manager non deve caricarsi sulle proprie spalle l’intero peso di una gestione.

La delega deve passare attraverso la presunzione che le persone che lavorano per voi abbiano le capacità necessarie. Bisogna che il manager abbia fiducia nei suoi subordinati e collaboratori in modo da motivarli ad ottenere dei successi. E’ la volontà di successo che porta a riuscire e questo si può imparare. Quando si delega un compito bisogna lasciare nella mente del nostro collaboratore il minor numero di dubbi dicendo inoltre cosa deve essere fatto, perché è necessario e quando dovrà essere completato. Non bisogna inoltre dirgli come fare altrimenti non farà lavorare il cervello. Nel caso vorrete potrete sempre controllare e verificare il lavoro prima di dare l’OK. Infine il manager che sa motivare concederà sempre credito al suo collaboratore e lo premierà generosamente se avrà fatto un buon lavoro. Se invece avranno fatto un cattivo lavoro minimizzate la cosa, essi stessi avranno capito di aver sbagliato e non ripeteranno l’errore.

L’ esperienza fatta servirà loro di insegnamento rendendoli più affidabili.

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Il suicidio creativoCome invecchia un’azienda

Il periodo autunnale nel quale cadono le foglie dagli alberi, spogliandosi del loro manto verde, rappresenta l’ingresso in quel momento di sospensione della vita che consente alla pianta di affrontare e superare i rigori dell’inverno. Questo antichissimo fenomeno della natura oggi viene utilizzato per descrivere uno dei più misteriosi fenomeni che accadono nel corpo umano a livello cellulare: il preciso momento quando alcune cellule “decidono” di morire volontariamente e non per effetto di qualche fattore esogeno o particolare trauma di qualsiasi natura.

Questo “suicidio” cellulare avviene quasi d’improvviso, senza segnali di apparente costrizione interna o esterna, la cellula comincia a tagliare pezzi di DNA, smontando il prezioso filamento racchiuso nel suo nucleo, seccandosi e preparandosi a morire, fagocitata dalle altre cellule che la circondano.

Questa cellula si è “uccisa”. Ma per quale ragione, per quale fine?Questo processo in realtà non è ne raro ne patologico (che dipende da una malattia) ma, rappresenta un momento importante e fondamentale dello sviluppo creativo della Vita di un organismo; basti pensare all’embrione nell’utero materno, sottoposto a vari suicidi cellulari al fine di scolpire e modellare la forma definitiva dell’organismo. In questa strategica alternanza di creazione e distruzione che favorisce il processo di differenziazione e assicura la formazione di un nuovo essere.

L’immunologo francese, Jean Claude Ameisen, dell’Università di Parigi descrive questo “romanzo” della vita nel suo libro “Al cuore della vita. Il suicidio cellulare e la morte creativa.” Nel testo dello scienziato leggiamo inoltre, a rafforzamento di quanto detto precedentemente, che il “processo sembrerebbe alla base non solo della forma che assumono i nostri corpi, e che è rigidamente programmato dal comando genetico, ma anche dei processi di invecchiamento e persino della longevità, nonché di alcuni dei principali mali che ci minacciano”. Escludendo che si tratterebbe di un comando genetico, in quanto occorrerebbe una quantità immensa di informazioni genetiche difficilmente contenibile all’interno dello stesso DNA, questo suicidio non dipenderebbe quindi di un programma ma dall’attuarsi di una potenzialità, avverte lo scienziato.

Una potenzialità: ovvero un vantaggio competitivo inaspettato.Osserviamo da vicino il fenomeno calato in azienda. Nella realtà di tutti giorni esistono inaspettate analogie e ripetizioni di eventi che accadono nel mondo biologico ma anche in quello aziendale, verificando interi processi biodinamici all’interno delle imprese. Prodotti, servizi, reti commerciali, siti web, funzioni aziendali, clienti, linee di produzione, piani di marketing, brevetti, progetti, fornitori, impianti, sistemi informatici, capitali e finanze. Tutti questi “mattoni fondamentali” della vita di un’azienda sono sottoposti al processo di “suicidio creativo”.

All’insorgere di un mutamento importante dell’ambiente esterno, che pregiudicherebbe l’esistenza stessa dell’azienda nel suo futuro prossimo, il management deve prevedere un rimodellamento strategico che garantisca un nuovo sistema adattivo in un ambiente con caratteristiche potenziali diverse dalle precedenti.

Questo non vuol dire che bisogna ricorrere a tagli del personale o a drastici contenimenti dei costi (a danno tra l’altro della qualità) ma al contrario favorire quelle linee di sviluppo che offrono nuove opportunità di crescita (e quindi di sopravvivenza) all’azienda.

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Il suicidio creativo può benissimo essere sintetizzato con questo esempio reale: un’industria internazionale leader nel settore delle stampanti a getto d’inchiostro, decide di chiudere una linea produttiva affidandola ad un fornitore specializzato e in grado di lavorare su commesse programmate di forecast, assecondando invece il mercato nella fornitura di materiali di consumo ad alto contenuto tecnologico e basso impatto ambientale, utilizzando le stesse risorse uomo che nel corso degli anni hanno acquistato un know-how di valore.

A che punto siamo?Attualmente il modello di business adottato dalle aziende è basato sul concetto “computer-to-computer” nel quale la relazione è tra “oggetti dotati di una proto-intelligenza” e le opportunità di sviluppo derivate sono strettamente correlate allo sviluppo tecnologico. In questo modello l’efficienza è assolutamente centrica al business d’impresa.

Operare quindi con i costi di gestione più bassi possibili è l’obiettivo che la direzione aziendale intende perseguire, concentrando e focalizzando attenzioni e risorse sull’efficienza della Supply Chain. Attorno al supporto dell’Information Technology ruotano due satelliti di primaria importanza, identificabili nel processo di acquisizione in outsourcing dei servizi primari (produzione, logistica e finance) e nel coinvolgimento dei vari System Integrators come partner tecnologici. Questo business model si fonda, malgrado l’altissima concentrazione di tecnologia, su un concetto antico: la contrapposizione tra venditore e consumatore, dove quest’ultimo si trova, suo malgrado, in competizione con il processo di acquisizione delle risorse insite nel prodotto/servizio appena acquistato. Per semplificare è come se, dopo una lunga trattativa con un venditore di PC che ci ha convinto di comprare un modello più costoso, rispetto a quello che ci eravamo configurati precedentemente, una volta arrivati a casa incominciassimo ad avere noie con il sistema operativo (tutt’altro che user friendly …) Ecco, in tutto questo processo il cliente non è mai ”centrico”, non è stato puntato su di lui il “fuoco” delle attenzioni ma è ancora visto come l’atto finale di una metodologia di vendita che non lo vede assolutamente protagonista. Il protagonista è ancora il “prodotto” che l’azienda produce o commercializza.

Il cambiamentoSi migra necessariamente verso il concetto di “computer-to-human”, nel quale il focus è sulla relazione tra l’attore “umano” contrapposto all’attore “computer”. Qui prevale la componente approccio che una resa molto maggiore rispetto alla tecnologia: il legame che si instaura è sulla revenue, il ritorno. Il business muta la sua attenzione da “efficienza” a “ritorno”, concentrando il fuoco dell’obiettivo sull’assoluta importanza di rimanere vicino al cliente. Le parole d’ordine cambiano e diventano: personalizzazione dei rapporti, customer relationship management (CRM), permission marketing, one-to-one. Le risorse necessarie all’impresa per raggiungere questo traguardo sono identificabili nei web designers (progettisti), nei web content managers (ideatori di contenuti), nel marketing strategico. I system integrators sono surrogati dalle web agencies, dagli Internet solutions providers (ISP), dai Vortal (Portali verticali monotematici) dalle web houses (la nuova software house).

L’informatica muta in commodity (come l’acqua, il gas, la luce, il telefono), si trasforma in supporto e perde la sua centralità, snellendo di fatto tutta la struttura aziendale e permettendole in questo modo di essere più vicina al cliente e ai suoi bisogni.

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Cosa succede se l’azienda “si ammala”Quando le nevrosi individuali contagiano il posto di lavoro.

E’ noto come i comportamenti nevrotici stratificati su tutto il personale siano causa di una “patologia aziendale”. Vediamo come riconoscere i sintomi per intervenire in tempo.

Filipo Zizzadoro – psicologo del lavoro – intervenuto su Il Sole24Ore, ha posto in modo provocatorio alcune domande relative a comprendere se esista un modo di verificare se l’azienda in cui si lavora è sana o malata. Nello specifico non stiamo parlando a livello finanziario o commerciale ma, in modo ben più profondo, se è possibile verificare se alcune nevrosi individuali vengono trasportate sul luogo di lavoro fino a rendere l’organizzazione dell’impresa vittima di questi comportamenti.

Ma cos’è una patologia aziendale? Per patologia aziendale si vuole definire una serie di comportamenti nevrotici che sono stratificati su tutto il personale con il rischio molto alto di caratterizzare l’identità stessa dell’intera struttura. Del resto è innegabile che le aziende sono costituite da persone e queste portano sul posto di lavoro le proprie ansie, frustazioni e turbe. Spesso si arriva addirittura a non distinguere più il comportamento professionale da quello privato.

Quali sono i sintomi che si devono cogliere?E’ chiaro che esistono delle situazioni che si ripetono in modo cronico e che sono chiari segnali d’allarme, che devono essere considerati degli stimoli per correre subito ai ripari, intervenendo rapidamente e pesantemente al fine di evitare la “cancrenizzazione” come la descrive lo psicologo.

Un caso classico che si ritrova spesso nelle organizzazioni è la cosiddetta “sindrome del capro espiatorio” ovvero il sistematico scarico di responsabilità per negligenze ed errori sempre ad una stessa persona o reparto o ufficio. Questo meccanismo diventa poi funzionale a scaricare quelle tensioni, quelle responsabilità, quelle colpe, che nessuno vuole prendere.Non è un sintomo banale perché in realtà ci troviamo di fronte ad un fenomeno incontrollato di dinamiche di forte rottura del gruppo e di un insufficiente livello di coesione tra i vari colleghi.

Arriva il peggio: l’azienda paranoicaQuando poi l’unico elemento di coesione – dato paradossalmente proprio dal capro espiatorio – viene a mancare, il gruppo è riportato bruscamente in una situazione di tensione e nella necessità di ricercare e ricostruire un nuovo “para-fulmini”. Può anche accadere che il meccanismo del capro espiatorio venga invece proiettato all’esterno dell’azienda con il risultato perverso che la struttura accusi costantemente proprio l’ambiente esterno di essere causa delle proprie difficoltà e fallimento. Parliamo allora di azienda paranoica nella quale il personale è abituato a pensare in maniera eccessivamente timorosa del “nemico esterno” , della concorrenza sempre più spietata e del mercato “così contratto e cinico come non mai”.

Il clima di lavoro e i profittiLe aziende paranoiche non stimolano una sana formazione di un buon clima di lavoro: infatti si nota che le persone si muovono con “cautela” e parlano (comunicano) pochissimo, svolgono il minimo indispensabile , le regole diventano un’ossessione da seguire, si mantiene un “profilo basso”. Il risultato finale, oltre a rilevare comportamenti eccessivamente formali, è che drammaticamente l’impresa sta perdendo competitività, sta morendo lentamente e stanno calando i profitti.

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Si entra allora nel baratro di un’altra patologia assai frequente: la “depressione organizzativa” nella quale le persone sono inerti di fronte ai cambiamenti, alle difficoltà e ai problemi in genere. Questa patologia - descrive con precisione lo psicologo - “colpisce aziende abituate a lavorare per pochi clienti, che non avendo mai cambiato metodologie e tecnologia, che hanno un approccio legato alla sopravvivenza e che, di fronte all’onda d’urto della crisi, rimangono travolte per mancanza di reattività e di creatività”.

La conclusione , il consiglio e lo strumentoLa conclusione e il consiglio stanno nel controllare con metodicità l’equilibrio interno dell’azienda, i meccanismi patologici che ne ostacolano la produttività e il benessere. E’ bene ricordare che alcune delle sintomatologie qui raffigurate sono presenti in dosi accettabili anche in aziende sane. E’ proprio il monitoraggio dei livelli di guardia che aiuta a mantenere le dinamiche di gruppo ad uno stadio di controllo e a evitare eventuali regressioni a stati patologici di più difficile guarigione.Lo strumento da utilizzare ha un nome ben preciso: analisi del clima aziendale o vissuto organizzativo. Si tratta di un questionario pesato che fornisce la fotografia istantanea del vissuto all’interno dell’azienda, sviluppato graficamente su quindici indicatori macro-parametrizzati di facile e immediata lettura. Sulla base di questo quadro sinottico si possono poi sviluppare tutte le attività correttive a livello formativo per sanare in tempo la patologia rilevata dallo strumento Clima Aziendale. (vedi www.rovatticonsulting.com/clima)

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Sognare: il nuovo paradigma del Business to Business

Ogni essere umano ha dei Sogni. Le aziende sono fatte di persone che hanno dei Sogni. Alcuni di questi Sogni sono legati alla propria attività lavorativa. Soddisfare questi desideri è il nuovo paradigma del B2B

Abbiamo notato che molte volte si propone Tecnologia con qualche intenzione di servizio al solo fine di “fare numeri”. Spesso si propongono Servizi avulsi dalla tecnologia perché questa margina poco e porta con se problemi di assistenza, ecc. Occorre invece partire da un concetto diverso. Desideri da soddisfare. Per un motivo molto semplice e molto umano: noi tutti compriamo Vantaggi non caratteristiche!

Il nuovo paradigma, che unisce in modo rivoluzionario Tecnologia e Servizi al fine di soddisfare un Sogno, pone una sfida per chi propone e per chi utilizzerà le soluzioni che il pionere di questa scuola di pensiero offrirà. Una sfida basata sull'accettazione e sulla condivisione di una nuova visione di percezione: utilizzare nuovi linguaggi di comunicazione, nuovi modi di condividere informazioni verso l'esterno, nuove piattaforme digitali al fine ultimo di raggiungere nuovi target clienti di nicchia. Tutto questo attraverso soluzioni basate sulla Sicurezza Dati, la loro Reperibilità, la Biometria e la Gestione Documentale. Attraverso anche uno sforzo culturale per elevare il livello di consapevolezza: Formazione, Consulenza e Progettazione di nuovi Servizi.

L'obiettivo che si vuole perseguire è solo UNO: soddisfare un bisogno. Il bisogno è legato al problema e il problema è sempre un'esigenza da soddisfare. Il metodo che illustro è in fondo semplice ma potente: dobbiamo iniziare ad ascoltare veramente. E’ questa un’arte che purtroppo si è dimenticata, avvantaggiando oltremodo il “parlarci addosso”. E da qui la nostra incapacità di comprendere il mondo esterno. In base a questa caratteristica empatica siamo invece in grado di proporre diversi strumenti progettati all'ascolto di esigenze: Vissuto organizzativo, Controllo delle Performance, Business Intelligence, Software Integration. Soddisfare un bisogno nasce dall'integrazione di tutti questi sistemi. Senza dover far spendere ai propri clienti per forza somme ingenti.

Sono altresì fortemente convinto che un nuovo livello di servizi debba essere fornito alle aziende e questo si fonda sul riconoscimento di tre fattori determinanti del valore aziendale - i clienti, le competenze distintive e le reti collaborative. Questo approccio "ampliato" ha uno dei suoi punti di forza nella prospettiva relazionale, se si considera che una delle principali chiavi del successo aziendale è sempre più rappresentata dalla capacità di un'organizzazione di assumere una forma "molecolare". La creazione di partnership e alleanze consente infatti di migliorare la propria efficienza operativa, esternalizzando quelle attività che altre imprese possono svolgere con un vantaggio di tempo, costo o qualità, e al tempo stesso di incrementare il valore per il cliente, mediante l'integrazione delle offerte di differenti aziende.

Le persone e il loro valore: la soluzioneIl valore di un gruppo di persone, di una famiglia, di una squadra, di una società, dipende sempre dal valore delle singole persone. Ogni team dovrebbe essere costruito proprio seguendo questa convinzione: ogni singolo componente deve aver espresso nel tempo il proprio valore umano nei confronti dei colleghi, dei fornitori e dei clienti. Le persone che costituiscono il nucleo centrale di ogni impresa dovrebbero provenire da un gruppo di studio comune o da un percorso, anche culturale e di affinità, comune. Il loro valore deve poi essere messo a disposizione come garanzia ai propri clienti e fornitori.

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Ultimo prezioso consiglio. Gratuito.Non sprechiamo il tempo dei clienti con degli espedienti. Il tempo deve essere sempre speso alla ricerca di informazioni che recano beneficio e contenuti solidi. La sostanza degli interventi deve essere rigogliosa, ma anche concisa, in modo che la sostanza stessa sia il vostro stile. Con lo stile si trasmette l'identità e si cattura l'attenzione del proprio target, con la sostanza si evidenziano i punti essenziali e si motiva quell'audience. Un Sogno, alla fine, è presentare della sostanza e farlo con stile. Questo significa che l'enfasi è sulla sostanza. Pensate ai lettori di un buon libro, ai visitatori di una Mostra d'Arte ed ai navigatori di un buon sito. Tutti ricordano la sostanza. Non bisogna essere troppo "creativi" per vendere e la creatività non deve costare più dei profitti.

L'equazione giusta è: creatività = profittiQuesto è il Sogno che dovete realizzare per i vostri clienti.

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Crisis? Wot crisis?Il titolo è un antico LP del anni’70 dei famosi Supertramp.Ma le crisi, esistono davvero?

Ipermercati vuoti! Ristoranti in cerca di clienti! Banche in affanno! Agenzie di pubblicità in tensione! Sempre meno auto vendute! Non si vendono più i PC come una volta! Crisi economica internazionale! Famiglie attente ai consumi! L’Euro ci ha rovinati!Quanti strilli e con quale diffusione. Dalla TV alla radio, dai quotidiani al bar, tutti parlano di crisi. Sembra che i soldi siano spariti di colpo. Se poi si guardano i fatturati e i volumi di vendita delle società commerciali e industriali, questi sono drammaticamente in calo. Insomma, non si vende più niente e la gente non compra più. Kaos.

Manteniamo la calma.Innanzitutto verifichiamo un paio di cose. Per prima cosa negli ultimi anni le superfici di vendita destinate alla grande distribuzione sono aumentate a dismisura, spesso in una stessa ristretta area geografica. Secondo: in questo periodo sono aumenti i cosiddetti specializzati. La prima riflessione sulla quale siamo chiamati a confrontarci è che le persone sono sempre le stesse. Ciò significa che questo pubblico non si concentra più in alcuni punti ma, al contrario, si diluisce su più aree commerciali, seguendo le proprie esigenze e convenienze. Ergo conferma che a maggior ampiezza diminuisce la profondità, mutuando termini propri della Grande Distribuzione Organizzata. Certo è che se entriamo ad osservare il flusso di persone all’interno di un singolo ipermercato, la sensazione – che poi è la realtà – è di notare meno persone rispetto agli scorsi anni. Se meno persone calpestano la superficie di un punto vendita è logico aspettarci un calo delle vendite di quel punto vendita. Ma se facciamo un piccolo sforzo mentale e ci allontaniamo con lo sguardo, allargando così il nostro raggio di visione, noteremo che altre persone stanno contemporaneamente calpestando altri pavimenti di altri punti vendita. E quei punti vendita stanno in ogni caso fatturando. Sarei curioso di sapere cosa faccia la somma di tutti questi fatturati. Pensiamo ai cinema. Forse non ci sono più le code fuori dal botteghino (non ne sarei così certo) ma quante nuove sale sono state aperte negli ultimi due anni? E’ evidente che se in una stessa area geografica l’offerta commerciale si frantuma in tre o quattro “proposte” commerciali diverse e specializzate, non posso pensare di poter servire più quel numero di persone ma, al contrario, mi devo ingegnare a pensare di costruire prodotti o servizi che possano essere introdotti in altri punti vendita che prima semplicemente non esistevano.

I soldi e le cose che compro.Poco tempo fa ho scambiato due chiacchiere con il direttore della filiale della mia banca, il quale molto soddisfatto mi accennava al fatto che a Maggio aveva raggiunto e superato il budget annuo relativo ai mutui. Mentre per quanto riguardava il portafoglio amministrato, i traguardi erano invece molto lontani. Situazione felice e rosea per il credito al consumo. Anche qui, se usiamo la lente di ingrandimento notiamo che le persone non hanno risparmi da far amministrare e che si indebitano per continuare a vivere. Situazione classica e ripetuta da quando esiste l’homo sapiens sapiens. Se usassimo invece un cannocchiale o meglio sarebbe un osservatorio astronomico, noteremmo che al contrario le persone lavorano molto, si impegnano ad onorare i debiti (l’Italia – per inciso – ha un indice di solvibilità altissimo che non posseggono altri Paesi europei, per non citare gli USA) e comprano molto. La domanda pertinente da porsi è “cosa comprano”. Se ci fosse veramente una crisi nessuno si impegnerebbe per nulla. Se continuiamo a dire che c’è crisi, questa allora si materializza davvero nella nostra mente, nei nostri discorsi e nei nostri atteggiamenti. Solo osservando il carrello della spesa – in termini metaforici – possiamo dare una risposta e di conseguenza operare una strategia di opportunità.

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Parola d’ordine? Nicchia!Ancora, se guardiamo per le strade ci sono più macchine nuove che vecchie. Certo sono acquistate in leasing, in renting e con finanziamento: ma tutti lì a pagare capitale ed interessi. Moltissime case hanno un sistema di allarme, c’è stato il boom degli scooter, i telefonini raddoppiano, nel 2003 si sono venduti più PC portatili che da tavolo e l’inversione di tendenza è divenuta standard. E badate bene che un notebook costa di più ed è meno espandibile di un classico PC da tavolo. E allora vai con le vendite di strumenti più o meno utili per espandere il notebook, perché nessuno vuole aprirlo e metterci mano. Bene, questo è nuovo business da cavalcare. Il fenomeno tecnologico legato alla diffusione gratuita della musica – il famoso formato MP3 – ha incrementato invece le vendita di supporti per la registrazione e la lettura di questo formato. Così come il nuovo formato video DivX. Ci sono intere famiglie di prodotti alimentari che non si consumano a tavola ma davanti alla TV, vero centro nevralgico dell’attività ricreativa (sic!) ed informativa (doppio sic!) della famiglia. E attorno a questa situazione multi sensoriale, il marketing evoluto deve pensare e progettare tutti quei prodotti e servizi che servono per quello specifico ambiente.

Se qualcuno indica la Luna, tu non guardargli la punta del dito.I consumi, cioè i soldi, cambiano indirizzo, si spostano, mutano il loro atteggiamento. Se continuo a vedere “quello che facevo prima” soffro di un’inguaribile e pericolosa forma di miopia imprenditoriale. Il passato non torna mai uguale a se stesso. Può assomigliare ma, non mai è la stessa cosa. E io dico, per fortuna mio Dio.

Quindi, prima ci liberiamo da vincoli che sono soprattutto mentali e non di mercato, prima raggiungeremo altre mete inaspettate e di gusti diversi.

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eMail Marketing: ma funziona veramente?

L’eMail è il mezzo che intrinsecamente supera il problema della passività dell’utente sul Web, avendo a proprio favore la logica del call-for-action. E’ il mezzo rispetto al quale l’utente ha un rapporto di tipo emotivo riconducibile ai meccanismi di attesa ed attenzione rispetto ai messaggi. In virtù di tale rapporto, l’eMail diviene una killer application di tutti i processi aziendali che hanno una qualsiasi componente di comunicazione.

Una definizioneFare eMail marketing significa realizzare una strategia di marketing utilizzando la posta elettronica come canale di comunicazione con il cliente attuale e/o potenziale. L’eMail è inoltre l’applicazione Internet maggiormente diffusa: è il prodotto entry level, ma contemporaneamente è evoluto per chi non ha tempo per navigare in Rete e desidera ricevere solo informazioni mirate. Una ricerca condotta da Forrester Research nel 2002 mostrava che il 46% degli utenti italiani ha almeno un indirizzo di posta elettronica, il 23% due, contro un 10% che non ne ha nessuno.

Non l’avreste mai detto…… ma le campagne di eMail marketing hanno una vita media di circa dodici giorni dall’invio. In questo periodo viene aperto il 90% dei messaggi non cestinati. Da un punto di vista settoriale, il miglior tasso d’apertura è relativo ai prodotti e servizi in ambito B2B seguito da quello relativo alle email su viaggi. Il tasso di apertura ha però delle variazioni nel corso di una stessa giornata: i picchi maggiori vengono registrati nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio. Per quanto riguarda invece la distribuzione degli invii di messaggi relativi ad una campagna, la concentrazione si attesta in corrispondenza dei giorni centrali della settimana.

Il giovedì è meglio!L’86% delle aperture avviene nei giorni feriali, con incidenza massima nella giornata di giovedì. In questo giorno infatti abbiamo la percentuale più elevata di invio delle eMail: il range varia dal 19% per l’ambito consumer, al 28% per prodotti e servizi B2B. L’invio invece delle eMail nel corso del week end resta a livelli bassi: nullo la domenica per i prodotti B2B, all’11% il sabato in ambito Retail. Sull'e-mail marketing, si raggiunge una maggiore efficacia il martedì e il giovedì: in questi due giorni le campagne di e-mail marketing riescono a raggiungere dei tassi medi di click-through fino al 6,5% (la media nazionale non supera il 2-3 %). In particolare, il momento migliore per raggiungere i consumatori è durante l'orario lavorativo. Se le campagne di e-mail marketing sono effettuate tramite siti informativi o newsletter, i migliori risultati si ottengono durante il week-end, giorni in cui gli utenti hanno più tempo per dedicarsi alla lettura di notizie extra-lavorative. Il click-through, in questo caso, arriva anche al 9,4%.

Cosa fare?• acquisire nuovi clienti: l’intento è quello di trasformare i prospect in clienti, oppure portare ad acquistare coloro che precedentemente si erano rivolti all'azienda per avere informazioni;• fidelizzare i clienti: l'obiettivo è quello di generare vendite ripetute tramite la costruzione di una relazione diretta con il cliente;

• consolidare il brand: lo scopo in questo caso è di pianificare e realizzare una serie di attività per differenziare il nome/il marchio della propria azienda da quello dei concorrenti rispetto al proprio target;

• personalizzare le comunicazioni per il cliente: attraverso l'eMail è possibile sviluppare una comunicazione one-to-one ed instaurare così una relazione dedicata con ogni singolo cliente, sia attuale sia potenziale;• ridurre i costi di marketing: un’operazione di eMail marketing consente di abbattere il costo di gestione del materiale cartaceo, stampa e spedizione che tipicamente in una campagna di direct marketing rappresenta circa il 60% di quello totale.

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Questi obiettivi possono essere conseguiti costruendo delle vere e proprie campagne commerciali per le quali l’eMail marketing diventa lo strumento di comunicazione e realizzazione.

Come farlo?Per ottenere i migliori risultati dalle attività di eMail marketing è importante pianificarne le modalità di realizzazione. Il successo di una campagna di eMail marketing è soprattutto il risultato di un'attenta pianificazione. Un messaggio di posta elettronica può infatti essere inviato con un click di mouse ad un vasto pubblico, altrettanto facilmente può essere poi cancellato dal destinatario. Ma quali sono gli elementi strategici della pianificazione? Fondamentalmente dobbiamo riferirci ai seguenti elementi:

a. Ideazione della campagnab. Chi fa che cosac. Targetd. Databasee. Struttura del messaggiof. Tecnologiag. Valutazione dei risultati

La progettazione della campagna da realizzare dipende dagli obiettivi che ci si prefigge di conseguire. E’ necessario quindi stabilire come l’eMail marketing debba contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali di marketing dell'azienda e come possa supplire od integrare i mezzi tradizionali. Ad esempio, se lo scopo è quello di acquisire nuovi clienti, necessariamente si dovranno invitare i prospect ad iscriversi alla propria newsletter. Se invece il focus è la idealizzazione del cliente, l’obiettivo della campagna potrebbe essere fare azioni di upselling e/o cross-selling.

Queste due tecniche consentono di:• cross-selling: aumentare il numero di prodotti/servizi venduti al cliente, attraversol’offerta di un prodotto/servizio complementare a quello per il quale il cliente hamanifestato un’intenzione all’acquisto.• up-selling: offrire un prodotto di maggiore qualità e costo, ma con il medesimovalore d’uso di quello scelto dal cliente.

Quando farlo?Possiamo affermare che: quando il mercato è in crescita, l'eMail marketing, insieme agli altri strumenti, può essere utilizzato per acquisire nuovi clienti e/o per diffondere la conoscenza del marchio. Quando il mercato si contrae, è di gran lunga lo strumento più conveniente per fidelizzare e aumentare il valore di ogni singolo cliente. In sede di pianificazione delle attività, è necessario stabilire ed organizzare le procedure con le quali si risponderà alle richieste del cliente scaturite dalla campagna di eMail marketing. Ricevuta l’eMail il cliente potrebbe richiedere ulteriori informazioni o la visita di un commerciale, inviare un ordine, telefonare oppure domandare di essere cancellato dalla lista dei contatti. E’ quindi essenziale definire i tempi di risposta e i ruoli delle persone preposte a rispondere per garantire la massima efficienza. (Fonte: SANPAOLO IMI Imprese)

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Il Web SemanticoLa nuova frontiera del marketing interattivo

Se pensiamo alla scrittura umana, questa comporta in primo luogo un'associazione tra un elemento materiale e uno stato mentale; anche parlare significa in definitiva associare concetti a elementi materiali, ovvero i suoni. Il rapporto di un soggetto alla realtà che lo circonda, tramite i simboli, esprime stati mentali e questa si chiama arte. Ma non si può ignorare che, all'interno della nostra stessa mente, quando memorizziamo qualcosa, associamo sempre dei concetti tra loro. Pensate a quello che fa il rapsodo quando associa a ogni eroe certe caratteristiche, certe situazioni che poi riprende in ogni momento successivo della sua narrazione. Gli antichi oratori, in modo ancora più sviluppato, scrivevano nella loro mente grazie all'arte degli edifici mentali. Quando, attraverso la lettura, tentiamo di comprendere un testo, non possiamo fare a meno di risvegliare nella nostra mente associazioni interne che ci paiono significative alla costruzione di un senso: infatti non è possibile scrivere o leggere senza attivare la nostra capacità di riferire concetti tra loro. L'idea di fondo del Web Semantico è proprio quella di rendere la rete maggiormente in grado di capire le nostre richieste. Non in senso letterale, ovviamente, ma nel senso che i documenti non dovrebbero più risultare come delle ‘isole di dati’, ma piuttosto come dei database aperti, nei quali una risorsa applicativa sia in grado di distinguere le informazioni contenute, ricavandone solo quelle richieste.

Una certa capacità di azioneIn questo momento il Web è una realtà consolidata e costituita da documenti destinati quasi esclusivamente ad essere letti dagli umani. Dalle notizie, ai comunicati stampa, a quelli commerciali fino alla poesia, tutto è rintracciabile sulla Rete, ma ben poche cose possono essere comprese da un agente artificiale. Per agente si intende, in buona sostanza, un software in grado di eseguire compiti definiti a livello di programmazione, senza diretto controllo da parte dell'utente che lo ha attivato sulla Rete. Il Web Semantico si propone proprio di inserire nell'architettura della rete elementi in grado di consentire ad agenti informatici una certa capacità di azione. A titolo di esempio, si potrebbe ad immaginare che un motore di ricerca, scorrendo le pagine in Rete alla ricerca di una prenotazione di un volo aereo, fosse in grado di capire quali link portano alle pagine relative alla destinazione richiesta, quali siano i costi e gli orari dei biglietti, di confrontare tra loro le offerte e di coordinare la partenza con l'agenda dell'utente o con le limitazioni sui costi che avesse voluto impostare. Tutto questo non in virtù di sistemi di intelligenza artificiale, ma molto più semplicemente in virtù di una marcatura dei documenti e di una lingua aperta, cioè di un linguaggio gestibile da tutte le applicazioni e dall'introduzione di vocabolari specifici (keywords), cioè di collezioni di frasi alle quali possano associarsi relazioni ben stabilite fra gli elementi marcati. In pratica il Web Semantico per funzionare dovrà poter disporre di informazioni strutturate e di regole di deduzione per gestirle, in modo da accostare tutte quelle informazioni che un'interrogazione, scaturita da un utente, ha richiesto.

IT a due velocitàNella realtà aziendale esiste una Information Technology a due velocità: alcune realtà di assoluta eccellenza e alcune isole legate ad approcci tradizionali e sistemi chiusi, con scarse possibilità di recupero dell'investimento. Questa problematica della doppia velocità di fatto ostacola il processo di recupero veloce di informazioni utili al sistema di sviluppo aziendale. E’ di certo un’idea affascinante e ora che il Web è diventato un ‘mare magnum’ di informazioni e risorse a livello planetario, con un numero incalcolabile di pagine disponibili (qualche miliardo?), si fa sempre più pressante l'esigenza di dare un senso a questo oceano, di trovare ciò che si è cercato realmente e non ciò che gli assomiglia. In pratica poter costruire documenti che abbiano un senso compiuto, un senso logico, un'essenza intrinseca subito disponibile e utilizzabile.

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Ma ancor di più l’avvento e l’utilizzo pervasivo del Voice Browsing, ovvero del sistema di navigazione audio, concepito inizialmente a sostegno dei navigatori non vedenti, ma che si presterebbe di certo come miglior interfaccia di navigazione universale per tutti gli utenti della Rete, produrrebbe di fatto le basi per costruire il futuro di un Web e di una Internet dai contorni rivoluzionari e inimmaginabili, per le opportunità di sviluppo che la Rete metterebbe a disposizione degli utenti, sia business che privati.

Evviva l’incoerenzaSe si desidera avere un sistema dinamico, capace di svilupparsi, raffinarsi e funzionare su scala planetaria, bisognerà pagare il prezzo di una certa dose di incoerenza. Mi spiego. L'imprecisione del sistema è il prezzo da pagare alla sua universalità, i messaggi di ‘page not-found’ non verranno certamente e ragionevolmente eliminati. Tutto questo si giustifica in virtù del fatto che per rendere possibile l'avvicinarsi di più referenze non si debba perdere, almeno in linea programmatica, la possibilità di più definizioni, di più comprensioni di uno stesso oggetto definito. In altre parole, se crediamo che un sistema comunicativo debba accrescere la conoscenza, dobbiamo consentire l'accostarsi di più schemi referenziali. Infatti, se di uno stesso oggetto possediamo più definizioni e queste possono essere accostate tra loro, all'interno di una rete di rimandi, la nostra conoscenza dell'oggetto dovrebbe, in linea teorica, solo accrescersi.

Che la Forza sia con teGarantire una maggiore automazione nella ricerca e nella gestione dei dati, non sarà l’unica forza del Web Semantico ma, più in generale, questo progresso della Rete porterà ad una maggior potenza nel gestire l’intera conoscenza. Siamo di fronte ad una enorme estensione di risorse, di informazione, che appunto è la Grande Rete e la capacità di avvicinare quelle più interessanti diventa indissolubilmente capacità di ottenere una maggior conoscenza. Spesso, le idee innovative, si affermano nella comunità solo all'interno di piccole nicchie specializzate e allorquando queste sono di eccezionale importanza, faticano non poco per diventare acquisizioni condivise. Il Web Semantico, attraverso una certa automazione della conoscenza, dovrebbe invece sviluppare notevolmente la possibilità di confronto fra le informazioni, fra punti di vista diversi. Ipotizzando di costruire nel Web una rete semantica di tutti gli elementi memorizzati e presenti, potremmo addirittura giungere ad affermare che la Rete è in grado di definire, in modalità automatica, il significato degli oggetti che tratta e aggiornare questo significato qualora venga introdotta nuova informazione. Come si narra in giro per il mondo, la base tecnica per il progresso di questo progetto sarà offerta dal linguaggio XML, e dai già fin troppi linguaggi che si stanno strutturando a partire dalla sua sintassi.

Ovviamente sistemi di ragionamento automatizzato, basati sulla marcatura dei dati e sulla definizione di uno schema di regole, esistono già da decenni nel campo dell'intelligenza artificiale; la novità di XML risiede unicamente nel fatto di offrire la possibilità di un unico sistema globale di interazione dei dati.

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Successo o fallimento?Risposta: i fattori sono idiosincratici.

Nel mondo ICT in generale le piccole imprese saranno chiamate a sviluppare idee e progetti innovativi sostenibili in modo, se vogliamo, autarchico. Questo per le ragioni che leggerete più avanti e pertanto rispondendo ad una domanda del mercato che si farà sempre più selettiva. Abbandonate l’hardware, subito, investite nel software, attivate più servizi, studiate le infinite capacità di adattamento di Internet, concentratevi sulla sicurezza, ascoltate il mercato e inventate soluzioni. Non dovete cambiare lavoro: dovete solo renderlo qualitativamente migliore. Le imprese di informatica di piccole dimensioni hanno evidenziato da tempo un problema considerevole di capacità di sviluppo legato in modo particolare a due elementi: il primo di risorse manageriali e organizzative, il secondo di attivazione di risorse finanziarie da reperire sul mercato.

Le personeIl problema manageriale è sicuramente congenito alle piccole imprese dato che i salti organizzativi all'interno di imprese cresciute sulla figura dell'imprenditore incontrano ostacoli tipicamente legati alla scarsa formalizzazione delle procedure e delle funzioni aziendali. In Italia questo problema assume un aspetto di maggiore drammaticità perché sono più numerose le piccole imprese e quindi questo problema ha dimensioni rilevanti, di sistema, in secondo luogo perché difficilmente le aziende vengono affiancate da figure specialistiche in grado di sostenere le discontinuità nella vita aziendale. Non solo quindi i cambi generazionali, ma anche i cambiamenti nella dimensione della competizione sul mercato possono far emergere problematiche difficilmente superabili, trasformando i cambiamenti che dovrebbero essere di routine in mutamenti di tipo emergenziale.

E le banche stanno a guardareIl mercato italiano però si rivela difficile per le piccole imprese anche in virtù di una esagerata diffidenza del sistema finanziario a sostenere i progetti di investimento e crescita delle imprese con notevoli e significativi effetti di razionamento del credito a svantaggio proprio delle imprese più piccole e meno tutelate. Questi due aspetti sono pertanto discriminanti in un contesto che impone accelerazioni nell'apertura dei mercati e incrementi importanti di complessità dell'ambiente. Molte aziende di piccole dimensioni hanno dovuto valutare la cessione delle proprie attività, altre hanno dovuto ricercare soluzioni innovative per mantenersi in vita.

Il vero problemaDa un punto di vista storico il processo di crescita delle piccole imprese appare un processo piuttosto lungo, la maggior parte dei gruppi di medie dimensioni attualmente presenti in Italia hanno una storia quasi trentennale, passata attraverso quattro cicli completi di domanda. Il motivo di questo modello di sviluppo è da ricercare nel fatto che le fonti di finanziamento hanno uno spiccato carattere prociclico e perciò le imprese hanno tendenza a svilupparsi nelle fasi espansive del ciclo economico, mentre nelle fasi cicliche negative sono più spesso impegnate in operazioni di consolidamento o di contrazione, in ogni caso di revisione della propria struttura organizzativa. Questo modo di procedere per sobbalzi implica il passaggio di molto tempo per la definizione di una struttura dimensionale stabile. Insomma, il fulcro della crescita rimane pertanto l'autofinanziamento o l'uso di mezzi propri..

Non spersonalizzateviIn pratica se il sistema di relazioni esterne alle imprese è efficiente e ben strutturato la dimensione di impresa è importante ma non fondamentale, anche perché le occasioni di sviluppo si mantengono molto elevate. Le condizioni in cui si muove il nostro sistema economico e produttivo sono tali da lasciare aperte molte potenzialità di consolidamento per le imprese che si sono sviluppate di recente. Deve essere tuttavia rilevato che la capacità di sfruttare al meglio le opportunità che queste condizioni presentano alle nostre imprese dipende in modo sostanziale dall'abilità che le imprese stesse mostreranno nel superare il problema della spersonalizzazione dell'attività di impresa.

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Relazionarsi con gli altriI salti dimensionali strategici sono possibili in quanto l'impresa riesce a relazionarsi in modo duraturo con altri soggetti che divengono partner stabili delle attività dell'impresa: le banche, i fornitori, i partner operativi, il sistema di ricerca e innovazione. Si tratta quindi di un problema non solo di come l'impresa si relaziona con i propri proprietari, ma come si relaziona in generale con tutti gli attori delle proprie attività e funzioni.

Successo o fallimento?Le piccole imprese del monto ICT molto specializzate, che fondano la propria capacità competitiva su un vantaggio tecnologico autoprodotto, posseggono una grande opportunità di crescita e di sviluppo. Questi progetti, queste idee, potrebbero avere l’occasione unica di non realizzarsi nel ristretto ambito del mercato nazionale, fra finanza allegra e incompetenza bancaria ma, si potrebbero confrontare in ambiti più aperti e concorrenziali sia dal punto di vista industriale, sia dal punto di vista finanziario. Inoltre, la crescita di questi soggetti parte da condizioni di specializzazione che si intensificano con i processi di apertura dei mercati per cui si affermano sviluppando le proprie specialità in un'ottica di elevata redditività.

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Tutti a vendere! Sì, ma come?

Basta sfogliare qualsiasi quotidiano nazionale nella sezione Ricerca Personale o saltellare qua e là in qualche sito in Internet di Ricerca & Offerta Lavoro, che ci si imbatte in centinaia di ricerca personale dedicato alle vendite. Tutti in cerca di qualcuno che possa vendere qualcosa a qualcun altro. E poi ancora; molte aziende che convertono molti ruoli dal tecnico al commerciale. Le Banche, poi, in affanno a ridurre il tempo di servizio operativo reso al cliente in filiale per ottenere più tempo da impiegare a livello commerciale, al fine di offrire più prodotti agli occhi (e al portafogli) del cliente.

Ecco delle linee guida per condurre al meglio alcuni aspetti cruciali dell’Arte della Vendita.

TelesellingRicordate che il successo di una vendita è legato alla motivazione delle persone incaricate delle telefonate. Il miglior piano di teleselling può essere compromesso dalla sottovalutazione di questo aspetto. Gli obiettivi dell’azione di vendita vanno quindi condivisi con i venditori, non semplicemente comunicati. Tenere una veloce riunione nella quale presentare la campagna senza dare l'opportunità ai partecipanti di chiarire i dubbi e capire le motivazioni che la ispirano può tradursi in scarsa capacità di affrontare le obiezioni dei clienti o addirittura in aperta condivisione di tali obiezioni. E' bene quindi organizzare con grande attenzione la riunione di presentazione prevedendo la descrizione degli obiettivi e come si è arrivati alla loro definizione e perché li si ritiene raggiungibili. Inoltre l'illustrazione dettagliata degli strumenti e del loro funzionamento è fondamentale così come spiegare che le resistenze che potrebbero emergere sono segnali importanti da saper dominare e gestire a proprio vantaggio.

Lo script deve essere testato prima di essere presentato. E' consigliabile far eseguire il test da venditori esperti. Spesso gli script non vengono seguiti perché, essendo stati preparati da esperti di comunicazione o marketing, ma senza esperienza telefonica, risultano di difficile utilizzo pratico.

Le chiamate in uscita sono psicologicamente impegnative. L'impegno è necessario: - per superare l'eventuale filtro, - per ottenere l'attenzione del cliente, - per gestire le obiezioni, - per ottenere le risposte nei tempi richiesti dalla campagna.

La forza psicologica è strettamente legata alla motivazione e alla preparazione del venditore.

Il corpo parla?Il linguaggio del corpo è un elemento determinante nella comunicazione di vendita.Ecco allora alcune regole da seguire per instaurare fin dall'inizio con il nostro cliente un clima cordiale:

1.- Guardare il cliente con simpatia e sorridere; il sorriso è il segnale dinamico del corpo che più ha il potere di creare comunicazione; in realtà sorridere non è così facile; infatti il contatto tra due persone che non si conoscono può creare tensione e quindi questa tensione trasformarsi in un irrigidimento della mascella che rende la propria fisionomia…inquietante.

2.- Al momento del primo contatto ricordarsi di "sentire" la propria espressione per verificare se appare amichevole o meno; ricordarsi che il sorriso funziona quando e' naturale: deve essere infatti il risultato del fatto che ci sentiamo a proprio agio e della nostra disposizione verso il prossimo; se è un sorriso falso non serve a niente.

3.- Evitare di prolungare il contatto visivo anche se il nostro cliente e' molto affascinante; il contatto visivo prolungato può infatti provocare fastidio e imbarazzo.

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4.- Rispettare lo spazio vitale del nostro interlocutore, ovvero della distanza che gli permette di sentirsi a proprio agio parlando con noi. La distanza corretta quando due persone parlano è quella di circa un metro e venti; la distanza varia comunque da persona a persona; fare attenzione ai movimenti del cliente: se tende durante la conversazione ad allontanarsi o ad avvicinarsi, mai porsi di fronte al cliente, che in natura è una posizione conflittuale, ma possibilmente di fianco.

Lavorare per la concorrenza.

Ricordate che se avete suscitato interesse ma non concludete, avete molto probabilmente lavorato per la concorrenza! La conclusione della vendita è influenzata dall’inizio della trattativa; la prima impressione suscitata nel cliente è spesso decisiva nel determinare il risultato finale. Dalla prima impressione infatti il cliente abitualmente stabilisce il peso e l’attenzione da dare alle parole del venditore. Nel concludere la vendita non abbiate fretta. Prima di concludere fate domande di verifica per accertarvi della disponibilità all’acquisto da parte del cliente. Non divagate; per insicurezza può infatti succedere, anche di fronte al chiaro interesse del cliente, di ritornare su argomentazioni già trattate o di divagare inutilmente rischiando di annoiare il cliente e in definitiva di perdere la vendita. Non sottoponete al cliente una scelta troppo vasta; potrebbe confonderlo e distoglierlo dalla decisione di acquisto. Chiudete immediatamente di fronte ad eventuali segnali di acquisto che il cliente manifesta ripetendo con interesse la stessa domanda su un particolare aspetto del prodotto/servizio presentatogli o informandosi sul prezzo, sulla garanzia, sulle modalità di consegna. Se il cliente chiede il parere di una terza persona, guardatela con simpatia e attendete con ottimismo la sua opinione. Se il consiglio sarà negativo, lasciate al cliente il compito di rispondere. Potrete prendere visione della sua propensione all’acquisto, delle sue perplessità, dell’eventuale necessità di approfondimento di alcuni aspetti e decidere, in relazione agli elementi emersi, le azioni successive.

Ops, dimenticavo.Ricordate: il verbo vendere, in un mondo in cui tutti acquistano, non esiste più.Far acquistare è il nuovo paradigma.

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E’ un brutto momento? Allora passiamo al Guerrilla Marketing!

Intanto partiamo da un falsa credenza a livello pubblicitario. Non e' un bene avere molto spazio bianco negli annunci pubblicitari, nelle brochures e su altri materiali stampati. L'attenzione dovrebbe essere attirata dalla sostanza e non dal vuoto. Lo spazio bianco è esteticamente piacevole, ma i profitti, ne converrete con me, sono anche più deliziosi. In realtà i clienti potenziali ed acquisiti badano molto più all'informazione che agli spazi vuoti. Essi vogliono sapere cosa l'offerta può fare per loro e non ci si può permettere di lasciare molto spazio bianco.

Alcuni credono che produrre e inviare testi brevi sia la cosa migliore a livello marketing perché le persone non leggeranno testi lunghi. Questo può andar bene per le pagine web ma non funziona off-line. Le persone leggono qualsiasi cosa le interessi, e più essi sono interessati, più leggeranno. Se si danno alle persone più dati di quelli di cui hanno bisogno, essi potranno sia comprare che non comprare. Se si dà alle persone meno, essi non compreranno. Studi mostrano che la lettura di materiali di marketing diminuisce dopo le prime cinquanta parole, ma rimane alta tra le cinquanta e le cinquecento parole. Questo significa che i clienti non-potenziali cambieranno pagina velocemente, mentre i clienti potenziali leggeranno ogni parola, cercando di imparare più che possono.

La forma è più importante del contenuto?Certo, chi si occupa di comunicazione come il sottoscritto, sa che la comunicazione interpersonale poggia più sulla sua forma che sul contenuto vero e proprio; basta guardare con un poco di attenzione al dibattito politico nazionale o internazionale. Ma se dobbiamo vendere, e Dio solo sa quanto sia vera questa affermazione, allora l'idea è di vendere la soluzione, non la forma. Il modo più facile di vendere qualcosa è posizionarla come soluzione ad un problema. Se si cerca la forma e non il problema, si sta guardando nella direzione sbagliata. I clienti potrebbero apprezzarla ma firmeranno un assegno per la soluzione. Il lavoro è quello di individuare il problema e quindi offrire il proprio prodotto o servizio come la soluzione. Se si pensa alle soluzioni, si venderanno soluzioni. Se si pensa alla forma, si venderà immagine. Ma attenzione: le vendite di prim'ordine funzionano istantaneamente. Le grandi offerte a tempo limitato funzionano istantaneamente. E queste, indubbiamente, attraggono i clienti ma, questi non rimarranno fedeli e saranno attratti da chiunque offra loro prezzi più bassi. Il vero marketing allora consiste nel creare un desiderio per la propria offerta nelle menti di clienti potenziali qualificati e quindi preparare l'offerta con vendite e offerte limitate.

Ma il marketing non deve intrattenere e divertire!Questo è un falso mito. Lo spettacolo dovrebbe intrattenere e divertire. Il marketing deve vendere la propria offerta. Questo mito diffuso è basato sul fatto che studi hanno dimostrato che alle persone piace il marketing che diverte. Gli piace, ma sicuramente non gli risponderanno. Il marketing non deve cambiare regolarmente per rimanere fresco e nuovo. Un marketing solido che promuove un prodotto o un servizio dura il più a lungo possibile. Un piano di Guerrilla Marketing può essere strutturato tranquillamente sui cinque e dieci anni. E desidero ricordare che il marketing è di successo non se è memorabile ma, al contrario, è di successo se muove il proprio prodotto o servizio ad un profitto. La memorabilità non ha nulla a che vedere con questo. Studi continuano a dimostrare che non c'è relazione tra il ricordo del marketing e l'acquisto di quello che si offre. Quello che importa è se le persone sono motivate a fare un acquisto. Così non si deve puntare alla memorabilità tanto quanto alla desiderabilità, perché è questa che conduce alla redditività.

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E poi basta con il tormentone “Una cattiva pubblicità è meglio di nessuna pubblicità”.Una brutta pubblicità è cattiva per il proprio business. Amiamo certo la pubblicità ma aborriamo la cattiva pubblicità, tenendo conto che non è corretto pensare che ciò vale veramente è guadagnare un profitto onesto. Anche buon gusto e sensibilità contano. Il marketing educa, informa, annuncia, chiarisce ed influenza il comportamento umano. Per questo motivo ha l'obbligo di non offendere nessuno, di presentare il suo materiale con gusto e decenza , di essere onesto e di avvantaggiare i clienti. Questa è l’anima del Guerrilla Marketing.

E tanto che ci siamo, sfatiamo anche alcuni miti sul Web 1) Avere un sito sul web non vuol dire che automaticamente si raggiungeranno milioni di consumatori. Bisogna promuovere il proprio sito attraverso la partecipazione a gruppi di discussione, pubblicità, annunci, liste di directory, e-mail, links ad altri siti e pubblicità off-line prima che vengano attratti molti visitatori.

2) Il sito web non è come la stampa o le campagne pubblicitarie su larga scala, dove si sposa un particolare design o pacchetto di informazioni per mesi e oltre. Quando si vede un sito che non è cambiato per mesi, ci si chiede se l'azienda sia ancora sul mercato. Un sito web farebbe bene a cambiare almeno settimanalmente. Dovrebbe annunciare i suoi cambiamenti all'inizio della home page così anche il più casuale dei visitatori saprà che vedrà qualcosa di nuovo alla sua prossima visita. Bisogna pianificare i cambiamenti quando si pianifica il sito e pensare al processo di come sarà aggiornato e chi lo farà.

3) Quando dei designer grafici assumono la direzione di un sito web, avvantaggiano spesso il trionfo piuttosto che l'accessibilità. Il più bel sito sul web è inutile se i visitatori con browser non grafici non possono vedere cos'è o come navigarci. Troppi siti sono imperscrutabili anche per utenti con browser grafici, che li vedono senza scaricare le immagini. E anche i visitatori interessati non aspetteranno di vedere cosa gli si offre se devono inciampare su troppi download troppo lunghi da attendere. Bisogna usare piccoli files di immagini e offrire un'opzione di solo testo nella parte alta della home page. Bisogna anche far sapere ai visitatori quanto è pesante un file di immagine, così che possano decidere se scaricarla oppure no.

4) Mentre un Centro Commerciale con annesso Ipermercato attira le persone perché fa risparmiare loro tempo, i portali di e-commerce sul Web non offrono gli stessi vantaggi temporali: occorre infatti senz'altro meno tempo saltare da un sito web ad un altro, piuttosto che navigare in un portale molto complesso alla ricerca dell'informazione desiderata. Inoltre un portale di e-commerce, che è un raffazzonamento di diverse aziende, può essere meno interessante di uno che caratterizzi un business focalizzato intorno ad un tema di interesse.

5) Il Web ha ancora molta strada da fare prima che possa assomigliare all'impianto TV o anche al CD-ROM sul PC. Quando gli sviluppatori di software ed i fornitori di contenuti integreranno completamente le capacità di player video ed audio e si sorpasseranno la mancanza di standards e le limitazioni della connessione via modem, si potranno usare i multimedia. Fino ad allora i file video ed audio devono essere scaricati, ed essi richiedono delle utility per essere utilizzati sul PC. I file video possono pesare anche molti MB e richiedono tempo per scaricarli. Create un CR Rom e distribuitelo a chi vi interessa. Costa un po’ di più ma almeno vi farete leggere e vedere con maggior probabilità.

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Intranet assessment: opportunità di business

L'ottimizzazione della pianificazione passa attraverso un cambiamento. Quale percorso evolutivo deve intraprendere un'azienda? Un importante valutazione di un fenomeno in crescita che offre opportunità di sviluppo e area di profitto inaspettate. Bisogna però essere dei professionisti. Come sempre.

Partiamo da un paio di domandeE' possibile, per un'azienda utente, fissare con facilità e coerenza degli obiettivi? E' pertanto auspicabile un intervento di un outsourcer focalizzato su questa tematica?

Spesso chi ha il ruolo di decisore aziendale, non è pienamente consapevole delle opportunità che le tecnologie e l'organizzazione di rete possono offrire e questo rende difficile fissare gli obiettivi legati all'Intranet, con il risultato che sono progetti che hanno impatti bassissimi sull'organizzazione oppure progetti technology-driven che spesso non colgono appieno le esigenze strategiche dell'azienda o degli utenti. Occorre ricordare che una Intranet aziendale riflette le caratteristiche di un’organizzazione che ha insite al proprio interno molteplici competenze e sensibilità. Per questo motivo deve comprendere canali di comunicazione ufficiali e servizi erogati ai dipendenti ma deve anche permettere conversazioni informali e trasversali rispetto alle gerarchie definite. Vi è poi un altro aspetto critico che si può definire con la "mancanza di confronto": chi non ha avuto modo di osservare altre realizzazioni di Intranet, spesso manca di una visione più ampia della potenzialità complete che l'Intranet può offrire. Una consulenza esterna che apporti competenze specifiche formatesi sulle migliori performance può aiutare l’azienda ad evitare errori ripetuti nel tempo, ad individuare un modello di Intranet adeguato alle proprie specifiche esigenze e a focalizzare l’attenzione sugli aspetti organizzativi e di change management connessi al progetto. Il ruolo degli outsourcer e dei consulenti è importante proprio per aiutare il top management a comprendere meglio i cambiamenti che l'Intranet introduce in un'azienda e per portare l'esperienza ottenuta in casi precedenti. Rimanendo in contatto costante con l’impresa, l’outsourcer può svolgere un ruolo importante nell’offrire un punto di vista alternativo a quello interno sulla popolazione e l’organizzazione aziendale, la cui conoscenza è imprescindibile per una buona riuscita del progetto.

Definire un modello sostenibile per l'impresa utenteUn sentiero percorribile potrebbe essere la traduzione degli obiettivi strategici dell'azienda in una strategia Intranet e quindi in un'organizzazione dei processi in Intranet, valutandone l'impatto sull' organizzazione aziendale. Per delineare questo scenario occorre inquadrare le esigenze di ogni area aziendale in una cornice definita che consenta di realizzare un’adeguata strategia di sviluppo dell'Intranet, sia in termini di processi e contenuti sia di passi logici temporali da effettuare. Una Intranet può essere sicuramente vista come una piattaforma dinamica, un work in progress, un progetto in continua evoluzione i cui termini e caratteristiche sono costantemente ridefiniti nel tempo in base all’analisi dei bisogni. L’unico requisito fondamentale è che la priorità deve essere data alla gestione dei contenuti, in quanto l’aspetto tecnologico è una condizione necessaria ma non sufficiente per la costituzione di una Intranet efficiente e flessibile. Possiamo affermare senza dubbio che una Intranet aziendale è un sistema vivo in continua trasformazione, uno strumento di lavoro flessibile che si adatta alle esigenze delle funzioni aziendali e degli utenti.

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La comunicazione globale

Tutti siamo d'accordo nel ritenere che la risorsa più importante per competere nella nuova società informatica è il sapere. C'è da aspettarsi dunque una corsa al nuovo oro del mercato globale, cioè la conoscenza?

Di sicuro la corsa per accaparrarsi l'uso e il dominio dei nuovi mezzi è già iniziata da parte di coloro che hanno capito in anticipo il filone giusto: apprendimento ininterrotto, riqualificazione delle competenze, formazione permanente e accrescimento delle conoscenze in stretto rapporto con l'innovazione tecnologica. Il ruolo preminente nello sviluppo delle nuove aziende sarà svolto da chi gestirà lo scambio delle informazioni in termini di trasmissione delle conoscenze, in termini di formazione. Per tutti questi motivi un ruolo sempre più significativo avrà l'apprendimento online. Non è cosa segreta che la formazione condotta con i mezzi e nelle forme tradizionali, ha costi molto spesso alti. Le tecnologie telematiche, al contrario, offrono il grande vantaggio di comprimere in modo rilevante i costi senza pregiudicare la qualità del servizio. Mediante un uso intelligente delle nuove tecnologie, infatti, si produce sia un incremento quantitativo, sia un crescita qualitativa. Oggi, basta un semplice sistema di videoconferenze per permetterne l'accesso ad un numero particolarmente elevato di studenti. Il problema, in realtà, il cambiamento di una certa forma mentis da un concetto tradizionale ad uno innovativo. Infatti, è di recente cronaca politica italiana la critica negativa, o quantomeno la diffidenza, mostrata nei confronti dei corsi ondine accademici. Critica del tutto ingiustificata dal momento che i contenuti sono i medesimi dei corsi tradizionali e le verifiche, gli esami, sono in ogni caso svolti seriamente e in modo scrupoloso (vorrei dire forse anche con una certa dose di zelo maggiore…)

Ma cosa significa e-company?Se andiamo oltre il contesto di e-learing e allarghiamo a tutta l’azione pervasiva che l’attuale tecnologia permette di automatizzare certi processi aziendali e intra-aziendali, ovvero quando tutti i processi, tutte le decisioni riguardanti clienti, fornitori e alleati strategici sono collegate fra loro in maniera quasi automatica, allora stiamo parlando di e-company. Tutto questo comporta una drastica riduzione dei costi di gestione e un aumento della competitività sul mercato. Automatizzando alcuni processi come quelli degli ordini, quindi delegando al cliente porzioni di lavoro di segreteria, si può sicuramente risparmiare sul dimensionamento della segreteria del customer care. Utilizzando transazioni elettroniche si può ottimizzare l’aspetto amministrativo. I dati dell’azienda non sono più soltanto reperibili via web, sotto forma di cataloghi di prodotti, ma esistono anche dati sensibili, disponibili con vari livelli di security. Naturalmente, per consentire un traffico verso l’esterno sempre migliore, si consiglia l’utilizzo di router ancora più grossi. La rete interna, per avere maggiore performance, dovrà essere gestita da un hub switch. Gli applicativi wireless o cablati normalmente possono arrivare a livelli di sofisticazione tecnologica incredibili. Quindi si può arrivare alla vera e propria integrazione fra dati, audio e video che circolano sotto forma di pacchetti esattamente come le pagine di un sito web. Qui, la gestione completamente informatizzata e funzionante con questo sistema, basato sulla tecnologia Internet, permette di non avere più limiti spazio-temporali e di gestire più fornitori, più business partner, più dipendenti, più clienti connessi tra loro e far si che possano unire le loro forze per garantire ai clienti soluzioni strategiche personalizzate per il loro business.

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Essere e-companySignifica essere più snelli, più saggi, più veloci, più efficienti. Significa non dover chiedere le informazioni, ma semplicemente abituare le persone ad andarsele a cercare nel posto giusto, perché saranno sicuramente lì, perché le procedure sono chiare, perché dalla zona ordini è facile passare alla zona fatturazione on line, perché dalla zona fatturazione è facile compiere una transazione elettronica. Ma è anche facile, per chi lavora all’interno, contattare le persone che sono collegate in quel momento alla propria rete Extranet, perché è possibile vedere che proprio in quel momento sono collegate ed è quella l’occasione giusta per inviargli una chiamata in video-conferenza, anziché rimandare la chiamata telefonica al giorno seguente quando, magari, si trovano presso un altro cliente o fornitore.

I vantaggi. Una visione ottimistica e futuribile?A livello di e-company, tutti i processi sono oramai automatizzati. A trarne beneficio sono indubbiamente i servizi. Per chiunque si trovi ad avere a che fare con l’azienda, è possibile, infatti, prendere decisioni in maniera tempestiva. Grazie alla tecnologia Internet applicata, fornitori, business partner e dipendenti, connessi tra loro, collaborano per garantire ai clienti soluzioni strategiche e mirate. L’azienda si è trasformata in una vera e propria e-company, più snella, saggia e veloce, in poche parole, più competitiva. Finalmente l’azienda ha anche una sua vita virtuale. Ciò significa che può decidere di dimensionarsi anche in maniera ridotta. Tutto l’ambiente aziendale può essere migliorato, reso più efficiente. Accelerando i processi, si produce in minor tempo e si smaltisce l’attività del magazzino o si rinuncia al magazzino, perché si dialoga in tutto il mondo e basta scegliere partner affidabili con cui cementare le relazioni elettroniche per considerarli un po’ come un pezzo della nostra azienda. Il cliente otterrà prodotti di maggiore qualità, più in fretta e senza l’obbligo di dotarsi di un magazzino.

I rischi di una RivoluzioneUn’azienda di questo tipo ha bisogno di un numero di personale con delle conoscenze superiori a quelle di un’azienda in cui non vengono incrementati questi sistemi. La tecnologia Internet è semplice. Quindi, se da un lato è necessario aumentare il numero di persone che conoscono i computer della rete e dei browser, dall’altro è sufficiente un piccolo corso di formazione per mettere in condizione di lavorare bene. Nella definizione dei processi automatizzati, è possibile che si applichi una logica vecchia, appartenente magari a procedure cartacee che si cerca di trasporre direttamente in formato elettronico. Non è quello che serve per fare una rete extranet. È facile scoprire che alcune procedure, che erano intoccabili in un’azienda, vanno decisamente rimosse e non trasposte in formato elettronico. Quindi, si può arrivare a una vera e propria rivoluzione. La reperibilità delle informazioni mette allo scoperto il management che non ha più alibi. Il livello di copertura delle informazioni si può decidere aprioristicamente, per salvaguardare persone non capacissime all’interno dell’azienda.

Personalmente, il sottoscritto, aziende come questa appena descritta, non ne ha ancora vista una.

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Il genio creativo solitario: un mito da sfatare

Le grandi opere artistiche, scientifiche e imprenditoriali sono nate spesso dalla collaborazione tra più persone. La nostra epoca tende a dare molta importanza al genio isolato, ne costruisce la mitologia anche attraverso ricostruzioni romanzate televisive; mentre analizzando alcuni casi specifici, ci rendiamo conto che le idee creative nascono in un ambiente molto fecondo da un punto di vista culturale, dalla frequentazione e collaborazione più o meno diretta tra le menti più valide di un'epoca.

Parigi, inizi del 1900: Modigliani vive la sua vita ai margini della società borghese creando delle opere che rompono con la tradizione accademica dell'epoca. E' uno degli artisti "maledetti" e "solitari" che muore giovane nella povertà più assoluta. Guardando le sue opere ci meravigliamo per la novità, la creatività, senza rapporto con altre opere della sua epoca. Tutto ciò sembra scaturito dal nulla se non dalla genialità "folle" dell'artista.

Isole cicladi, 3000 anni Avanti Cristo: il volto della statua allungato e sintetico, il naso è l'unico elemento plastico e in rilievo, ma permette alla luce di farci riconoscere il viso di una donna di migliaia di anni fa. Non conosciamo l'autore. Osservando questa scultura ci viene in mente subito Modigliani, anche se non sappiamo se l'abbia vista. Anche alcune maschere o sculture africane ci fanno venire in mente l'espressività delle opere di Modigliani. In quel periodo Modigliani, come d'altronde molti altri artisti che porteranno al rinnovamento dell'arte, guardano al passato e alle culture arcaiche. Dunque anche se apparentemente sembra scollegato da tutto e tutti in realtà guarda e si ispira alla scultura primitiva, la assorbe e la rielabora attualizzandola. Le sue opere ancora oggi sono estremamente attuali; ci parlano infatti della condizione umana contemporanea.

Un esempio significativo, lo troviamo nella foto che ritrae insieme tre artisti: uno è il giovane Picasso che insieme a tanti altri artisti cerca la propria strada, la quale lo porterà a realizzare alcuni tra i capolavori più importanti del '900. A destra c'è un il critico André Salmon e a sinistra Modigliani. Questa foto ci fa riflettere sul fatto che gli artisti si frequentavano tra di loro e discutevano, si scambiavano idee, insomma crescevano e maturavano non in modo isolato, come invece vorrebbe farci credere una certa tradizione romantica. Un ambiente con una forte carica culturale e creativa è indispensabile alla crescita di un genio, in qualsiasi campo. Alla fine dell''800 e i primi decenni del '900 è Parigi il centro culturale più vivace, come durante il Rinascimento fu l'Italia e in particolare Firenze e nel ventesimo secolo New York.

Dunque anche un'artista apparentemente isolato da tutto e tutti come Modigliani, come precedentemente lo era stato Van Gogh, in realtà assorbe tantissimo da tutto ciò che lo circonda. Si dice che Picasso fosse come una spugna, capace di prendere assorbire e rielaborare in modo estremamente creativo e originale ciò con cui veniva in contatto. Alcune idee venute probabilmente per prime ad altri artisti, come il cubismo, sono state assorbite da Picasso e fatte proprie fino ad esserne identificato come il principale creatore.

A volte gli artisti non sono soli neanche quando creano l'opera fisicamente: negli scomodi rifugi Parigini di Montmartre, più artisti vivono in spazi angusti con un grande andirivieni di persone e con una completa mancanza di quella che oggi chiameremmo "privacy".

Tutto questo ci fa riflettere sul fatto che il genio creativo non vive in una torre d'avorio isolato dal mondo; anche le opere creative fatte da geni apparentemente solitari, per un certo verso sono opere collettive, nate dalla collaborazione indiretta, ma a volte anche diretta, con altre persone e assorbendo culture di altri paesi, in stretto contatto con la cultura più all'avanguardia della propria epoca.

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QUANDO SI SVILUPPA IL MITO DEL GENIO INCOMPRESO E SOLITARIO? Osservando da una prospettiva storica più ampia il ruolo avuto dall’artista nella società, ci rendiamo subito conto che questo muta con il mutare della società in cui vive.

Analizzando il contesto storico-culturale nel quale l’artista muoveva i suoi passi, si può capire quale fosse il suo ruolo effettivo al di la’ di quegli stereotipi coi quali si tende a identificarlo.

Nel Medioevo non c’era una distinzione netta tra architetto, muratore o scalpellino; difatti il termine artifex (che significa artista o scultore) e il termine operarius (che significa operaio) venivano usati come sinonimi, questo a significare che il lavoro di pittore era considerato socialmente modesto perché manuale, non c’era infatti differenza tra un modesto decoratore e un pittore.

La creatività, infatti, considerata oggi unanimemente così importante, era invece poco apprezzata in alcuni periodi dell’antichità, tanto che l’artista più bravo era quello che riusciva ad aderire in modo più acritico alla tradizione, senza introdurre alcun tipo di innovazione.

Uno dei pochi creatori famosi del Medioevo è Giotto, il quale si circondava di molti collaboratori e fu uno dei primi ad avere dei tratti in comune col moderno imprenditore.

Lo sviluppo di Giotto va di pari passo con lo sviluppo della borghesia mercantile, una classe sociale che, a differenza del clero o dei nobili, apprezza la vita attiva, dà spazio alle novità, alla rapidità dei cambiamenti, all’elasticità mentale, alla partecipazione alla vita politica, alle lotte civili.

Tutto questo traspare dalle opere di Giotto, che inventa un nuovo linguaggio pittorico aderente alla nuova classe sociale mercantile in crescita. La realtà entra quindi nella pittura; si passa dalla stilizzazione e astratta “piattezza” delle opere precedenti alla terza dimensione della prospettiva, ad una pittura con elementi presi dall’osservazione del mondo che ci circonda, con riferimenti temporali e storici. Questo a testimonianza del continuo contatto tra l’artista e la realtà circostante.

Giotto aveva una bottega, si occupava di supervisionare i progetti e spesso lasciava la realizzazione finale agli allievi. Dunque non fu solo pittore, ma dirigeva e coordinava un gruppo di persone che collaboravano al raggiungimento di un determinato obiettivo, è lui che si occupava anche della trattativa con i maggiori committenti dell’epoca.

Il forte individualismo e la mitizzazione che caratterizza la visione del creatore solitario, per molti secoli di fatto non esiste e ad esempio la costruzione delle cattedrali veniva vissute come opera collettiva. Infatti non esistono nel Medioevo biografie di artisti, di molte opere pittoriche non conosciamo l’autore e la ‘firma’, oggi così importante, non veniva quasi mai messa ed e’ solo dal Rinascimento in poi che ne abbiamo i primi esempi.

La ‘bottega’ si sviluppa pienamente durante il Rinascimento, al suo interno esisteva una gerarchia e dei ruoli a cui corrispondevano mansioni precise che assegnava il maestro-imprenditore.

Si entrava molto giovani, poco più che adolescenti;dopo alcuni anni si passava da garzone a discepolo, poi artiere e i più capaci potevano creare una propria bottega.

Comincia dunque a delinearsi proprio nelle botteghe degli artisti, quell’organizzazione del lavoro che nel corso dei secoli si svilupperà e porterà alla moderna impresa.

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Mentre nel Rinascimento e nella ‘borghese’ Firenze, o in altri comuni, gli artisti avevano acquisito un loro ruolo importante ed erano perfettamente integrati nella società in cui vivevano, tanto che Michelangelo e Leonardo erano soliti lavorare per i potenti Principi, Re, Papi e anche ricchi borghesi dell’epoca, lo sviluppo tecnologico dell’Ottocento fece entrare in crisi il ruolo che aveva avuto finora l’artista.

Sicuramente l’Ottocento diede un grande contributo alla nascita del mito del genio incompreso e solitario; grazie infatti al particolare clima storico e alla vita travagliata di alcuni artisti, si crearono degli stereotipi che ancora oggi influenzano il nostro modo di percepire le persone dotate di qualità creative.

I poeti ‘maledetti’ Baudelaire, Verlaine e Rimbaud e pittori come Van Gogh contribuirono a creare questo mito dell’artista identificato in colui che non può avere rapporti con la società borghese e con i suoi falsi valori. E’ proprio a questo stereotipo di artista in forte contrapposizione con la società che tutte le figure di creatori in genere verranno fatte aderire in modo acritico.

Bisognerà attendere il Novecento, perché gli artisti, in particolare gli architetti e i designer, abbandonino quel moralismo e quella sfiducia verso lo sviluppo tecnologico che li aveva allontanati dalla società ed entrino nuovamente in contatto con questa.

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APOCALIPSE NOW e MATRIX: capolavori del solo regista o opere collettive?

L'opera cinematografica come successo di più menti creative:il cinema è infatti l'arte dove maggiormente è evidente l'indispensabilità della stretta collaborazione tra più persone.

Alla fine del XIX secolo nasce il cinema, che si sviluppa nel XX secolo e si caratterizza fin dall'esordio come opera creata dalla stretta collaborazione tra più persone, coordinate dal regista. Nel cinema, le persone coinvolte nella realizzazione di un film possono essere centinaia, soprattutto per opere molto impegnative da un punto di vista tecnico. Dal soggetto alla sceneggiatura, il regista assorbe ed elabora molte idee che vengono fornite dai collaboratori.

Alcuni critici tendono a dare un'importanza assoluta al regista genio solitario; in realtà guardando alla biografia del genio forse più originale e personale del cinema italiano, Federico Fellini, si scopre che molte idee da lui utilizzate nei suoi film erano ispirate dai suoi collaboratori. La bravura del regista è anche quella dunque di scegliersi dei collaboratori di notevole livello nel loro campo e poi di elaborare e personalizzare l'apporto dato con la sua genialità.

Molti sono i collaboratori determinanti nella riuscita e successo di un film: il direttore della fotografia, i costumisti, gli scenografi, i creatori degli effetti speciali, i musicisti. Come nel Medioevo le cattedrali nascevano dalla collaborazione di centinaia di maestranze, artigiani/artisti, operai, così oggi un film è un'opera estremamente complessa da realizzarsi e nella quale risulta indispensabile la collaborazione di molti specialisti e tecnici.

Ciò che oggi prevale è la tendenza a personalizzare in modo così eccessivo la realizzazione dell'opera, che l'autore risulta esserne l'unico vero creatore. Chiaramente una grande opera, sia imprenditoriale che artistica, nasce quando c'è un leader, qualcuno che riesce a coordinare e convogliare tutte le energie creative verso un determinato obiettivo artistico e/o imprenditoriale.

Il mito dell'artista che vive lontano dalla realtà, tra le nuvole, è da rivedere: al massimo si può dire che vive con la testa tra le nuvole ma con i piedi ben piantati in terra.

Come Giotto, il regista Francis Ford Coppola è un perfetto esempio di artista/imprenditore, capace di convogliare le energie di tutti i suoi aiutanti al fine di realizzare il film. E' imprenditore in modo effettivo perché negli anni '70 crea una casa di produzione l'American Zoetrope; subito diventa un polo di attrazione per le menti più creative e originali del cinema anglofono tra cui Kubrick, Schlesinger, George Lucas, John Milius. Questo conferma, ancora una volta, il fatto che il talento di una persona viene stimolato e alimentato da chi frequenta e dai suoi collaboratori. Coppola successivamente estende la sua attività imprenditoriale oltre il proprio campo specifico: nell'edilizia, in vari settori dei "media", radio, televisione e stampa, nella distribuzione cinematografica. Il suo obiettivo è chiaramente quello di rendersi un imprenditore indipendente dalle grandi case di produzione cinematografiche hollywoodiane.

A questo punto è pronto per il suo progetto più ambizioso: Apocalypse Now.Per realizzarlo ci vorranno 5 anni; Milius scrive il soggetto, ma Coppola per dare più corpo al racconto gli consiglia di usare un classico della fine dell'Ottocento: 'Cuore di Tenebra', di J. Conrad. Come vediamo già in questo passaggio abbiamo una proficua collaborazione tra più autori, il giovane regista Milius, lo scrittore/viaggiatore Conrad e lo stesso Coppola.

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La creatività crea ponti tra opere lontane, fa incontrare creatori vissuti in epoche diverse. Coppola è ossessionato da Apocalypse Now, per realizzarlo deve superare una serie incredibile di difficoltà e il film è un mito già prima di uscire nelle sale. La troupe si trasferisce nella giungla; i tempi di lavorazione si allungano in un modo abnorme; Coppola ha investito tutto e giunge sull'orlo della rovina economica; un tifone distrugge scenografie e materiali tecnici; l'attore protagonista, Martin Sheen, sottoposto ad uno stress incredibile, ha un infarto nel pieno della lavorazione del film che sarà sospesa per più di un mese. Il risultato, superati tutti questi problemi, è un film straordinario, un viaggio filosofico all'interno dell'anima umana, sulle ragioni del bene e del male. Analizzando questa esperienza possiamo notare che il genio, anche in questo caso non è "solitario". C'è anzi da fare un parallelismo tra la bottega rinascimentale e il modo di lavorare del regista: Coppola è il maestro/leader, con caratteristiche imprenditoriali, insieme ad altri collaboratori è infatti teso alla realizzazione di un progetto. Coppola, come avveniva per la bottega rinascimentale , che si spostava in base alle commesse in altre città, si sposta con tutta la troupe e con la sua famiglia nella giungla per realizzare il film.

Pensiamo ora ad un eclatante esempio dei nostri giorni: i fratelli Wachowski, autori della trilogia di Matrix, hanno dichiarato: "Non crediamo che i registi siano i soli autori dei film, bensì che il film sia un'opera collettiva. Che dovrebbe parlare da sola, senza bisogno di spiegazioni". Essi sono addirittura entrati in contrasto con la Warner per i titoli di coda, avrebbero infatti voluto inserire i nomi di tutti i componenti del reparto costruzioni ma non ci sono riusciti perché altrimenti sarebbero durati troppo a lungo.

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BILL GATES: un genio creativo a tempo pieno

"Niente si può creare dal nulla; coloro che non hanno accumulato materiale non possono dar luogo a combinazioni." Joshua Reynolds. Ulteriore conferma a questa tesi è il percorso creativo-imprenditoriale di Bill Gates.

Sicuramente Bill Gates è un genio creativo e come tale ha creato utilizzando molte scoperte e idee altrui, le ha elaborate con i suoi collaboratori, le ha migliorate e ha saputo venderle nel migliore dei modi.

Non ha inventato il Basic: fu scritto nel 1964 da due professori del Darthmouth College. Non ha inventato il personal computer: il primo pc che ebbe un certo successo fu l'Altair creato da Ed Roberts. Non ha progettato il Dos: Gates lo acquistò dalla Seattle Computer Products, apportandogli poi alcune modifiche e creando l'Ms-Dos. Non ha inventato il sistema a finestre: le interfacce grafiche furono create al Palo Alto Research Center della Xerox e la Apple fu la prima ad utilizzarle in un prodotto di largo consumo, il Macintosh, nel 1984.Anche con Internet Bill Gates è arrivato almeno un anno dopo Netscape.

Tra i luoghi comuni che hanno caratterizzato le biografie su Bill Gates c'è quella del genio introverso, che aveva difficoltà a trovare amici, che passava intere giornate da solo nella sua stanza. Tutto questo però è stato smentito a più riprese dall'interessato. Anche in questo caso la vita di una persona con delle doti straordinarie si vuole far aderire a certi cliché: il mito del genio solitario e sregolato, magari anche con problemi mentali, è sempre in agguato. Uno psichiatra, sulla rivista TIME, ipotizzò addirittura la diagnosi di autismo borderline. Niente chiaramente di più lontano dalla realtà.

La cosa sicura è invece che nella sua cameretta regnava un incredibile disordine, malgrado i rimproveri dei genitori. L'eccesso di ordine borghese non interessava Bill, che invece cercava un nuovo ordine partendo dal suo disordine. Al pari di geni illustri quali Einstein e Michelangelo anche Bill Gates nel vestire era ben poco curato; dedicare attenzione ad alcuni aspetti esteriori era da loro considerata una perdita di tempo. Bill Gates viveva per il computer, poteva andare avanti 36 ore di filato a lavorare.

Ciò che da sempre lo ha contraddistinto è la volontà di essere il numero uno; Bill Gates è una persona estremamente tenace che punta al proprio obiettivo. Questa volontà ferrea gli deriva dall'educazione che gli hanno dato i suoi genitori; egli veniva costantemente incoraggiato a competere anche con i propri fratelli. Inoltre è stato sempre spronato dalla famiglia ad avere idee proprie, egli ha infatti dichiarato: "Crescendo, i nostri genitori ci hanno sempre incoraggiato a leggere molto e a pensare con la nostra testa".

A contribuire alla messa in pratica dei suoi obiettivi è l'atmosfera di speranza e di sogni che c'era quando Bill era adolescente. Nella seconda metà degli anni sessanta i giovani vogliono cambiare il mondo, hanno grandi sogni nella testa. La realizzazione di importanti imprese tecnologiche stimola molto la fantasia ed elettrizza gli animi: anche grazie all'uso del computer fu possibile lo sbarco sulla luna.

Nel corso del tempo Gates crea un gruppo straordinario di collaboratori. Tutto ciò che realizza lo fa dunque in stretta collaborazione con altre persone, egli è il leader di un team creativo di successo.

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Il primo collaboratore è Paul Allen che conosce a scuola e con cui stabilisce subito un buon feeling. Perché proprio Paul Allen? Perché Allen, figlio del direttore delle biblioteche di Washington, aveva letto praticamente di tutto e in particolare "libri che spiegano le cose", conosceva quindi come si costruiscono e funzionano le "cose": lo scibile di Allen fu uno strumento prezioso per l'opera di Gates. Insieme fondano la Micro-Soft (nel 1975, il trattino sparirà circa un anno dopo). All'inizio sono appena in undici, la loro sede sembra una casa prestata dai genitori per una festa a dei ragazzi. I programmatori arrivano tardi la mattina e lavorano fino a notte fonda, non esiste nessuna etichetta sul come vestirsi e i rapporti gerarchici sono abbastanza fluidi, però si lavora molto.

La grande svolta della Microsoft avviene nel 1980 con l'accordo con l'Ibm, che le commissiona un adattamento del Basic al loro nuovo Pc. E' interessante ascoltare l'impressione dell'executive Ibm, nel momento in cui incontrò Bill Gates: "Credetti che il ragazzo che usciva dall'ufficio che mi era stato indicato come quello del principale fosse un inserviente e invece era Bill in persona. Però, dopo quindici minuti che parlavi con lui, non pensavi più a che età avesse o al suo aspetto. La sua era la mente più brillante con cui avessi mai avuto a che fare".

Da questo momento comincia la grande crescita della Microsoft. Il gruppetto di "amici" si comincia ad allargare e arriva a 450 persone nel 1983. La rivista "People" fa questo ritratto un po' troppo enfatico, direi, di Bill Gates: "Gates sta al software come Edison stava alla lampadina, in parte innovatore, in parte imprenditore, in parte venditore e genio a tempo pieno".

Come è il rapporto con i propri collaboratori? Alcuni dipendenti dicono che sarebbe preferibile un interrogatorio dell'Inquisizione Spagnola a certi incontri con Bill. Sono infatti famose le sue sfuriate, egli trova e critica ogni imperfezione, ogni algoritmo difettoso o piano marketing non adeguato; allo stesso tempo egli non ama circondarsi di "yes-man", persone che gli diano troppo spesso ragione. Alcuni collaboratori se ne vanno. Altri, sottoposti ad una eccessiva pressione lavorativa e psicologica, si ammalano ma questo non fermerà la corsa di Bill Gates. Tutto ciò avviene in particolare durante la creazione e il lancio di Windows 1.0. Egli minaccia di licenziare anche il suo braccio destro Ballmer qualora Windows non fosse stato sugli scaffali entro fine anno (1985).

Il 21 novembre 1985 Windows1.0. vede ufficialmente la luce.

Addendum

Steve Jobs, vate ispiratore di Apple, rappresenta per me qualcosa che va oltre la genialità: se Gates ha fiuto per il business, Jobs ha fiuto per l'innovazione. A differenza di Gates, che considero tutto sommato un abile alchimista, il padre fondatore di Apple è un visionario, un entusiasta, un posseduto. Ecco, il termine giusto per Steve Jobs è “posseduto”. La passione che lo anima è negli oggetti che troviamo sugli scaffali o nei software al loro interno.

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FOCUS ON: LEADERSHIP

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Leader si nasce o si diventa ?

Leader si diventa non si nasce! Questa è l’incoraggiante conclusione alla quale sono giunti molti studiosi contemporanei di leadership.

Gli studi sulla leadership hanno più di 100 anni. Le prima ipotesi che si fece è che essa era innata e risiedeva in alcune caratteristiche della personalità. Questa ipotesi non ha però resistito alla verifica dei fatti. Molti studi sui grandi personaggi della storia e dell’epoca contemporanea hanno evidenziato che i leader differiscono tra loro per molti aspetti e che non è possibile identificare un modello di caratteristiche personali che identifichino la leadership. Lapidariamente, Stogdill, uno dei massimi esperti di leadership, nel 1948 dichiara: “Una persona non diventa leader per una combinazione di caratteristiche della personalità”

Si focalizzò allora l'attenzione sulla "situazione". E’ la situazione - si sostenne - che determina le capacità richieste per essere leader in determinato momento. Ad esempio, le capacità necessarie per esercitare la leadership in un campo di battaglia nel 1500 sono sicuramente diverse rispetto a quelle richieste in una riunione odierna dell’Onu! Inoltre, a volte, è la situazione che porta le persone a scoprire delle doti di leadership inaspettate. Per esempio, nel secolo scorso, alcune imprenditrici di successo non avrebbero mai potuto dimostrare le proprie doti se, a causa di un lutto famigliare, non avessero dovuto prendere in mano le sorti dell’azienda alla quale erano stati destinati i maschi di famiglia! Questa ipotesi però rende la leadership un elemento variabile. Ovvero "rimango leader fino a quando me lo consente la situazione". E' in effetti in alcuni casi è proprio così! Alcune persone assunte alla ribalta in un determinato momento, scompaiono velocemente senza lasciare traccia... Ma possiamo allora parlare di vera leadership?

Gli studi più recenti sostengono che le persone possono diventare leader se lo vogliono. Acquisire leadership e’ il risultato di uno sforzo costante teso a migliorare le proprie capacità. Affrontare diverse situazioni per il leader significa avere l'opportunità di aumentare la propria preparazione ed esperienza.

Nella vita di chi desidera diventare leader, infatti, si susseguono incessantemente tre momenti:

- quando si impara qual è il modo migliore per affrontare una situazione;

- quando lo si mette in pratica;

- quando ci si sente confortevoli nel farlo!

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Alla ricerca dell’autostima perdutaQuando la fiducia se ne va. Che fare?

Accade a tutti, almeno una volta, prima o poi: perdere l’autostima condiziona in modo negativo la nostra vita, ci fa perdere la serenità e lucidità nel prendere decisioni e ci porta ad avere una percezione distorta nel rapporto con gli altri. Forse ti è capitato di avete perso fiducia in te stesso, di pensare di non valere perché non hai raggiunto gli obiettivi che ti eri proposto. C’è chi è insoddisfatto del proprio ruolo, chi non si piace e chi desidera una vita diversa e non può permettersi quella che ha sempre sognato.

Come possiamo accorgerci se è solo un momento negativo passeggero o se si tratta invece di qualcosa che ha invece origini lontane? In realtà esistono degli indizi rivelatori e inequivocabili, proprio come romanzi gialli. Se possedete tre o quattro di queste caratteristiche siete già stati colpiti da bassa autostima:

- la tendenza a confrontarsi con gli altri, ponendosi in una posizione di inferiorità (“Lui/lei è meglio di me”);- l’incapacità di commettere i propri errori ed eventualmente di scusarsi;- l’inclinazione ad assumere atteggiamenti di superiorità per nascondere il proprio complesso;- l’indecisione su cose di poco conto;- il timore del giudizio degli altri;- la difficoltà a parlare di sé e l’estrema facilità a dire male degli altri;- il perfezionismo esasperato, accompagnato da costante insoddisfazione;- la depressione e l’irritabilità frequente

Identikit di un depresso.Siete sempre insoddisfatto? Se denigrarvi è il vostro mestiere, non vi piace mai niente di quello che fate, e pensate che chi vi sta intorno sia sempre meglio di voi, benvenuti nel club dei potenziali depressi. È probabile che il vostro problema abbia origini antiche, perché le qualità non vi mancano, ma fate di tutto per non accorgervene, con il risultato poi che anche gli altri non vedranno quanto valete davvero. Il vostro problema risale forse all’infanzia, è probabile che abbiate avuto genitori molto severi e che abbiate ricevuto più critiche che elogi.

Cosa occorre fare?Vi serve una sorta di training autogeno. Dovete provare a convincere voi stessi di non essere secondi a nessuno: suonerà buffo, si sa, ma l’ideale sarebbe di mettersi davanti a uno specchio e ripetersi come un “mantra” che non siete peggiori degli altri e che, anzi, avete mille qualità che gli altri da oggi in poi impareranno a capire. Inoltre, sforzatevi di accettare i vostri limiti, non siate troppo severi nel giudicarvi e cercate di pretendere meno da voi stessi.

Dipendi dal giudizio degli altri ?Sei tra coloro che si riconoscono una discreta autostima, hai anche abbastanza fiducia in te stesso e il più delle volte puoi scegliere in autonomia. Eppure in alcune occasioni ti fai condizionare dal giudizio degli altri. In poche parole, appartieni a coloro che amano non farsi notare. Sei in grado di camminare sulle tue gambe, ma alcune volte hai bisogno di uniformarti alle opinioni del branco.

Cosa fareDevi cominciare gradatamente ad acquisire una maggiore fiducia nelle tue capacità. Per ottenere questo, dovrai imparare a lavorare di più su te stesso. Comincia a rivendicare con orgoglio la tua opinione, partendo magari dalle cose più piccole: scegli, per esempio, quel taglio di capelli (per chi ce li ha!) o un abito perché pensi che ti stia bene e non perché va di moda così.

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Se sei troppo disfattista?Il tuo problema è un costante senso di inferiorità nei confronti di chi ti sta vicino, con il risultato che non insisti mai perché sei convinto di fallire. Molto spesso le cose ti vanno storte proprio perché, pensando di non valere, fai un passo indietro in modo da non assumerti le tue responsabilità.Anche nel tuo caso molto dipende da come hai vissuto i primi momenti di vita consapevole, se ti sei costruito, nel corso degli anni e nella fase della crescita, un’immagine negativa di te stesso.

Cosa fareIl tuo imperativo sarà quello di impegnarti in una meta da raggiungere, indirizzando tutte le energie in quella direzione. Se sopraggiungeranno momenti di timore e sconforto per paura di fallire, pensa in positivo, stringi i denti e vai avanti verso il tuo obiettivo.

I Fantastici 4 A prescindere dalla quantità di autostima di cui ritieni di aver bisogno, ci sono almeno quattro punti da tenere a mente per vivere bene con se stessi e imparare a stare bene con gli altri. Vediamo quali sono.

1 - Cerca l’equilibrio interiore, tenendo conto che sono le tue decisioni e non le condizioni della vita a determinare il vostro destino. Anche piacersi è frutto di un saldo equilibrio interiore e solo dopo che lo avrai trovato ti potrai sentire in piena forma.

2 - Ridere fa bene allo spirito, e aiuta a risollevare il morale. Impara a convivere con le emozioni e i sentimenti anche negativi, considerandoli parte integrante di qualsiasi persona. Se sopraggiungono momenti di paura , incoraggiati come faresti con il tuo migliore amico.

3 - Annota ciò che ottieni di positivo. Fissi degli obiettivi alla tua portata: una promozione sul lavoro, una dieta per buttare giù qualche chilo di troppo. Raggiungerli ti aiuterà ad avere più fiducia in te stesso. Un aiuto in più: appunta in un diario quello che di positivo hai fatto durante la giornata e gli obiettivi raggiunti. Servirà a farti vivere più in armonia.

4 - Ascolta le critiche degli altri. Ascolta i tuoi limiti e non rimproverarti troppo, piuttosto medita sulle critiche che gli altri ti rivolgono: l’autostima nasce dalla capacità di ascoltare gli altri. Ma non farti condizionare dal giudizio altrui.

Infine, non rimuginare sulle sconfitte, ma fanne tesoro per non sbagliare in futuro.

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Che cosa ci interessa veramente?Volere è potere ...Non esistono obiettivi impossibili da raggiungere; esistono piuttosto obiettivi che non ci interessano a sufficienza. E questo vale per tutti i campi: dal lavoro ai sentimenti, dallo sport alla politica.

Essere ottimisti e fiduciosi nelle proprie possibilità é la chiave del successo. Prendere coscienza di questo equivale alla scoperta di un mastodontico tesoro. Ogni individuo che ha un sogno nella mente e nel cuore ha ottime probabilità di successo. Naturalmente l'obiettivo non deve essere assurdo, come non deve essere troppo facile. Le cose intorno a noi non cambiano, mentre siamo noi che possiamo cambiare e acquisire le potenzialità del credere in noi stessi! Volere é potere, quasi sempre! E' la forza dell'ottimismo a muovere il mondo in senso positivo.

Attenzione a non restare imbrigliati nei due tradizionali ostacoli:

Il pessimismo e il delirio di ottimismo.

Gli ottimisti visualizzano il successo prima di raggiungerlo, con conseguenze deleterie innanzi ai primi ostacoli. Dal punto di vista psicologico, l'immaginare di realizzare un obiettivo può creare il ricordo di un successo onirico. I pessimisti sono talmente presi dal compiangersi, da non fare il minimo sforzo per riscattare la loro posizione. La fortuna aiuta gli audaci! Chi é intristito non si accorge neppure delle occasioni che gli sono al cospetto, né tanto meno ne può cogliere i frutti. Consigliamo vivamente di memorizzare una vissuta visione positiva e tesaurizzarla per il futuro. Rivivere, cioé, mentalmente un episodio vincente della propria vita. Vivere intensamente quell'attimo negli aspetti migliori, quindi memorizzarlo dentro di noi per richiamarlo al momento opportuno.

Muoversi con metodo

Seneca diceva: «Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare». Una missione nella vita offre la direzione, ci aiuta a dissipare le paure e a fagocitare le incertezze. Ora nel definire il nostro cammino dobbiamo fare una analisi aderente alle nostre capacità personali e alla realtà che ci circonda. In seguito occorre la capacità di gustare con innocenza, come bambini, quello che ci accade. Essere curiosi, leggere e osservare attentamente le persone e le cose che ci attorniano. é importante essere curiosi e disponibili al nuovo! Non temere il nuovo e essere disposti a correre rischi come ad assumersi responsabilità. Intanto iniziare a progettare il nostro futuro! Iniziamo a leggere gli eventi in positivo. Interpretiamo i fallimenti come opportunità per meglio comprendere la realtà. Affinare la nostra capacità di rovesciare gli eventi negativi in positivi. Trovare il buono che é in tutte le cose. Un rifiuto diventa un rinvio, e cosi di seguito! Mai perdere la fede in noi e nella positività!

Trovare la forza dell'automotivazione?

«Un uomo, se ci crede veramente, può diventare re» disse Casanova. Il senso di questa frase é da rinvenire tra le righe. Un re non deve possedere necessariamente un Regno per sentirsi tale. Può essere re un parroco che riempie tutte le domeniche la sua chiesa; un commerciante che vede il proprio negozio affollato da una clientela soddisfatta; un docente che vede i propri allievi interessati e propositivi. Dapprima dobbiamo credere noi stessi di essere un re, poi gli altri. Se noi stessi non abbiamo un buon concetto di noi, potranno mai averlo gli altri? Chi non crede di poterlo essere, non lo diventerà mai! Per Henry Ford «il successo risiede prima nella mente, poi in tutto il resto; ma pochi lo sanno». Ford stesso ebbe le prime due attività imprenditoriali dagli esiti fallimentari, ma la terza fu ben altro. Simile pensiero anche per il barone Bich, delle omonime penne da scrivere e non solo: «prima ci ho creduto; poi l'ho voluto; infine mi sono semplicemente dato da fare». Siamo noi, con i nostri pensieri, le nostre

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convinzioni, i nostri modi di fare, a condizionare e indurre la nostra condizione e quindi il nostro destino.

Volere é potereCosa vogliamo e che prezzo siamo disposti a pagare?

Molti si fermano al desiderio. Distinguiamo pertanto i desideri (inutili e onirici) dagli obiettivi (utili, ma da conquistare con sacrifici e fatica). Ora iniziamo a delineare ciò che al di là di ogni altra cosa realmente vogliamo. Come porsi gli obiettivi? Trovare i nostri reali obiettivi richiede una accurata analisi di noi stessi. Ripensiamo ai momenti più felici della nostra esistenza e scriviamoli su un foglio così come ci vengono in mente. Realizziamo così una lista. Ora analizziamo la lista dei nostri momenti d'oro, cercandone la essenza profonda. Trovato il comune denominatore dei nostri momenti felici, abbiamo individuato la leva della nostra futura motivazione. Siamo cioé appagati dal plauso di chi ci conosce oppure da una attività solitaria e indipendente. Ora sappiamo quello che vogliamo e come ottenerlo! Selezioniamo dal primo elenco secondo criteri di compatibilità con la seconda lista. Abbiamo l'obiettivo e il mezzo da raggiungere. Abbiamo cioé una meta da raggiungere. Per riuscire a fare quello che vogliamo, dobbiamo abituarci a controllare i nostri stati d'animo, oltre a pregiudizi e convinzioni personali. Dominare i nostri stati d'animo e mantenere un atteggiamento positivo anche innanzi agli eventi più negativi.

Tutto sta in noi: dalla convinzione di poter vincere, alla determinazione di riuscirci.

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Autostima e Assertività

L’autostima è l'opinione che abbiamo di noi stessi e influenza tutti i processi di comunicazione.

E’ rappresentata dal livello di consapevolezza del proprio valore, che ciascuno raggiunge sulla base di un mix di riscontri oggettivi (“risultati di vendita tra i migliori del 2005”), di valutazioni soggettive (“sono proprio un bravo venditore”) e di feedback che riceviamo dagli altri (“non hai fatto una bella figura alla riunione!”).

Quali i benefici effetti di un elevato livello di autostima? Uno dei principali è che siamo capaci, sia nel lavoro che nella vita privata, di instaurare uno stile di comunicazione assertivo: siamo cioè capaci di esprimere il nostro punto di vista, senza causare negli interlocutori atteggiamenti polemici, aggressivi o prevaricatori.

Quali conseguenze può avere viceversa una bassa autostima? Timidezza, senso di inferiorità, insicurezza , paura di sbagliare, incapacità di controllare le emozioni , difficoltà nel rapportarsi con gli altri e nel parlare in pubblico, paura di essere giudicati, remissività, tutti atteggiamenti che ostacolano una comunicazione assertiva.

Nel lavoro, in particolare, livelli di autostima bassi o alti portano a comportamenti più o meno efficaci al momento di

a. assumere le proprie responsabilità nella gestione di situazioni critiche:

Bassa: “Non riuscirò mai a parlare di fronte a tutte quelle persone”

Alta:“Devo superare la paura di parlare in pubblico: puoi segnalarmi un buon libro o dei corsi utili?”

b. riconoscere e valutare i propri errori

Bassa: “Sono proprio sfortunato: non riesco mai a parlare con il responsabile acquisti”

Alta: “Ho capito dalle ultime telefonate che per trovare il responsabile acquisti devo cambiare approccio con il filtro”

c. dire di no, anche quando è giusto farlo, senza sentirci in colpa o a disagio

Bassa: “Va bene, io ci provo, ma non so se riuscirò a consegnare il lavoro in tempo”

Alta: “Dal momento che la prossima settimana sarò impegnato nel progetto estero, possiamo fissare insieme una scadenza per la settimana successiva?”

d. valutare i pro e i contro delle situazioni ed esprimere il proprio punto di vista.

Bassa: “Non so cosa dire; non conosco la situazione e poi, anche conoscendola, non sarebbe facile esprimere un giudizio.”

Alta: “Considerando tutti gli aspetti della situazione, ritengo che…."

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Aumentare la propria autostima significa:

imparare a gestire le proprie emozioni riconoscere i comportamenti e atteggiamenti psicologici che determinano una bassa

autostima per poterli correggere adottare atteggiamenti assertivi che consentono di ottenere il meglio da ogni

situazione.

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La paura di parlare in pubblico, risorsa per diventare comunicatori eccellenti.

Quando qualcuno dichiara di aver timore del pubblico, rispondo: "Fa benissimo, è la premessa per diventare un buon oratore".

Tutt’oggi, nell’affrontare grandi uditori, all’inizio sono pervaso da un breve stato di timore; breve perché ben presto si tramuta in un invito a dare il meglio di me. Un po’ di paura sarebbe necessaria a molti relatori per indurli a migliorare le loro noiose, logorroiche e sfilacciate prestazioni.

Quando chi parla, dimostra di avere insufficienti conoscenze sulla comunicazione orale rivolta a più persone, mette soprattutto in luce uno scarso rispetto per l’uditorio.

L’impreparazione di questi oratori li trascina perfino a dichiarare, più volte, di essere prossimi alla conclusione del discorso. Il sollievo dell’uditorio viene inevitabilmente tradito dal comportamento successivo di questi brillanti conferenzieri che, venendo meno alla propria dichiarazione, tirano avanti ancora a lungo tra il biasimo silenzioso del pubblico.

Maggior considerazione per il pubblico, per ogni tipo di pubblico, indurrebbe questi signori ad astenersi dall’intervenire oppure a rendersi conto della necessità di "andare a scuola".Quando decidete di partecipare ad un corso di public speaking, non fatelo solo per vincere la paura del pubblico. Fatelo anche perché ne avete rispetto e volete rendere l’ascolto del vostro discorso utile e piacevole. Avere paura nell’affrontare un compito difficile, anche conoscendo bene l’argomento da trattare (il cosa dire) senza la preparazione adeguata sul "come dire" è più che ragionevole.

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È consigliabile iniziare il discorso con una barzelletta?

SFATIAMO UNA CONVINZIONE PIUTTOSTO DIFFUSA Alcuni testi affermano che un modo efficace per iniziare il discorso sia quello di ricorrere ad una barzelletta. Questo tipo di apertura può essere controproducente e mi servirò di tre testimonianze per dimostrarlo.

1. Testimonianza di un imprenditore edile. Non esordirò mai più con una barzelletta! Sebbene mi fossi preparato come si deve per raccontarla con disinvoltura, il risultato fu deludente. Infatti questa tecnica richiede subito il massimo di sicurezza e invece, in quella occasione, trovandomi di fronte un pubblico più numeroso del previsto e con un atteggiamento disinteressato e poco cordiale, iniziai in modo poco brillante. A parte qualche persona compiacente e due miei collaboratori, la mia barzelletta non fece ridere nessuno. La situazione fu per me molto imbarazzante. Cominciato male il discorso, il seguito, dato lo stato d'animo in cui mi trovavo, fu ancora peggiore. Non riuscii a riemergere dalla buca che mi ero scavato con quella maledetta barzelletta!

2. Testimonianza di un direttore generale La mia esperienza è ancora peggiore. Avevo letto in un testo inglese che può essere efficace e simpatico iniziare con una barzelletta e commisi lo sbaglio di dar retta al suggerimento. Quindi, una volta di fronte al pubblico, mi accinsi a raccontarla cercando di essere disinvolto e spiritoso al massimo. Ma dopo poche parole qualcuno con la mano fece un gesto come per dire: "La conosco: è vecchia!" Quel semplice gesto già mi aveva creato delle difficoltà nel proseguirne il racconto, ma la cosa peggiore fu sentir dire a voce alta da uno dei presenti: " Un soldato punico, per riuscire gradito, la raccontò ad Annibale, ma il condottiero lo fece frustare perché la conosceva già." A questo commento scoppiò l'ilarità generale. L'unico a non ridere ero io; avrei voluto scomparire!

3. Testimonianza di un direttore commerciale Anch'io avevo letto qualcosa del genere e siccome le barzellette sono il mio forte e sono sempre aggiornatissimo, mi sono detto: questo tipo di apertura fa proprio al caso mio. Ho esordito quindi con una barzelletta allo scopo, come consigliava il libro, di rompere il ghiaccio. La barzelletta era nuova di zecca e mi riuscì anche di superare me stesso nel raccontarla. Ne fui travolto, non avevo mai assistito a uno scoppio di ilarità così forte e generale. Il pubblicò seguitò a ridere per qualche minuto e io non sapevo come proseguire, non trovai nulla di meglio che dire: "Signori, adesso però dobbiamo trattare un argomento serio!" Scoppiò quasi una rivolta: "No! no! Racconta altre barzellette". Quel tipo di apertura mi mise subito in una situazione imbarazzante ed inoltre danneggiò il resto del discorso.

Ecco quindi gli inconvenienti rappresentati da un'apertura con barzelletta:

è facile che venga raccontata male soprattutto perché l'inizio per molti oratori è il momento di maggior tensione;

può essere conosciuta; è nuova, bella e raccontata benissimo: il pubblico si diverte; ne vuole delle altre e non è

più disponibile per l' ascolto di argomenti magari seri e complessi.

Per questo, se lo scopo del vostro intervento non è proprio quello di intrattenere e divertire, è meglio escludere le barzellette come apertura del discorso.

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Riunioni efficaci ed efficienti

Come riuscire ad organizzare riunioni inefficaci e inefficienti?Sono cinque i "segreti" che permettono di raggiungere questo non invidiabile risultato:

1. dare alla riunione un obiettivo vasto ed imprecisato;2. permettere durante la riunione brusii o scambi di battute: "..sono tutte persone di buon

senso, entro breve smetteranno.."3. mantenere una certa dose di indeterminatezza relativamente a

-argomenti trattati-successione degli interventi-tempo da dedicare a ciascun interventoin modo da creare attesa e suspence su questi argomenti;

4. permettere divagazioni e considerazioni su argomenti che non riguardano l’oggetto della riunione: "magari ci dà utili spunti per la riunione successiva…"

5. non dedicare tempo alle conclusioni e alla definizione di quando svolgeremo e di cosa parleremo nella riunione successiva: "avremo tempo di pensarci meglio ed eviteremo decisioni affrettate…"

Quali sono invece i segreti per rendere le riunioni efficaci ed efficienti?

Si tratta di un obiettivo raggiungibile se

1) fissiamo con precisione l’obiettivo della riunione, sforzandoci di renderlo comprensibile, valutabile e motivante per tutti (esempio: "come aumentare i risultati commerciali in Area 3 grazie ad un miglior utilizzo degli stumenti del CRM" è preferibile a "miglioramento dell’utilizzo degli strumenti del CRM aziendale";

2) evitiamo con tecniche e comportamenti adeguati il protrarsi di brusii o di scambi di battute sottovoce tra i partecipanti: diamo in questo modo importanza all’argomento che stiamo trattando e a chi sta parlando;

3) definiamo e comunichiamo in anticipo l’ ordine del giorno;4) focalizziamoci su di esso, interrompendo abilmente le possibili divagazioni che, se

interessanti, verranno prese in considerazione in altro momento (esempio: "..parleremo di questo durante la riunione relativa al budget …");

5) illustriamo con chiarezza le conclusioni della riunione e sintetizziamone i passaggi principali; definiamo tempi di svolgimento delle azioni eventualmente concordate e gli argomenti della riunione successiva. Se per qualsiasi motivo non possiamo farlo, comunichiamo ai partecipanti entro quale data e da chi riceveranno notizie su questo.

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Le tre dimensioni del tempo. Come gestirle per ottenere risultati.

Ogni uomo del pianeta dispone, ogni giorno, di 24 ore per nutrirsi, per divagarsi, per riposare, per pensare e per agire. Per pensare ed agire in modo efficace il manager deve impostare un rapporto equilibrato con le tre dimensioni del tempo: con il passato, con il presente e con il futuro.

Ancora oggi, però, s’incontrano manager che privilegiano il passato e il loro stile di direzione è impostato sulle esperienze maturate nel corso della loro attività. Nel loro linguaggio ricorre sovente questa affermazione: “Abbiamo fatto sempre così e abbiamo avuto successo”. Sono pertanto poco disponibili ai cambiamenti ed ostili alle nuove idee.

Non sempre le resistenze ai cambiamenti vengono dalla base, a volte scendono dall’alto. Le aziende in balia di questi capi non hanno futuro. Ci sono poi manager impostati sul presente. La loro strategia direzionale si basa su due principi.

Il primo:“Meglio un uovo oggi che una gallina domani”. E ogni loro decisione è dettata dalla ricerca del profitto più immediato.

Il secondo:“L’uomo propone e la fortuna dispone”. Pertanto non hanno nessun progetto e affrontano le situazioni man mano che si presentano. Questa strategia comporta per le loro aziende una buona probabilità di non avere futuro.

Altri manager poco produttivi sono quelli impostati sul futuro. Si proiettano in questa dimensione del tempo con obiettivi ambiziosi, ma senza valutare bene le risorse che hanno disponibili nel presente per raggiungerli. Lavoratori infaticabili, sono pilotati da una violenta spinta psicologica verso il futuro. Ben presto, coinvolti da situazioni giornaliere impreviste, avvertono che il presente sfugge loro di mano. Reagiscono con un attivismo frenetico e uno stile frettoloso e feroce. Frettoloso perché non si soffermano troppo su come organizzare il presente per poter raggiungere gli obiettivi. Feroce perché si accaniscono nel pungolare i collaboratori a fare sempre di più e sempre più in fretta fino a perderne la collaborazione. Il loro attivismo frenetico finisce con l’essere sterile.

E allora, quale conclusione trarne?

Questa: è necessario impostare un rapporto equilibrato con tutte le tre dimensioni del tempo.PASSATO – PRESENTE – FUTURO, senza privilegiarne nessuna.TUTTE E TRE SONO IMPORTANTI.

Con il PASSATO – per trarre dalle proprie esperienze (senza esserne pedissequamente schiavi) utili indicazioni su come agire nel presente.

Con il PRESENTE - per valutare con precisione tutte le risorse disponibili per evitare l’errore di designare obiettivi impossibili da raggiungere; per programmare l'utilizzo di oggi delle risorse per il raggiungimento dell'obiettivo di domani.

Con il FUTURO – per collocarci OBIETTIVI ben definiti, abbastanza ambiziosi per essere stimolanti e sufficientemente realistici per essere realizzabili.

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La sapiente gestione delle tre dimensioni del tempo è un mezzo formidabile di:

sviluppo economico - i manager che sanno utilizzare bene il proprio tempo e portano (tramite il miglior strumento formativo esistente, l’esempio) i collaboratori a saper fare altrettanto, assicurano alle proprie aziende prosperità e sviluppo;

sviluppo personale – poiché significa liberarsi dalla dispersione, dalle dimenticanze e dai sensi di colpa che sono alla base dello stress. Vuol dire sapersi concentrare con serenità sulle cose importanti. Consente di avere contemporaneamente più risultati sul lavoro e più tempo per i propri cari e anche per sé stessi, più disponibilità e vivere un’esistenza più completa, ricca e responsabile.

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L'arte di motivare

Svolgere un lavoro stimolante, avere prospettive di carriera, ricevere riconoscimenti per i risultati raggiunti, sono importanti motivazioni a dare il massimo nel proprio lavoro.

E’ quindi molto importante che il responsabile di un gruppo abbia l’obiettivo di individuare e soddisfare queste motivazioni per:migliorare i risultati del proprio gruppo, stimolarne la collaborazione e il coinvolgimento in tutte le situazioni, favorire atteggiamenti costruttivi nei confronti del cambiamento, sviluppare il senso di appartenenza.

Come raggiungere questi obiettivi?Grazie ad alcune capacità molto utili per infondere motivazione ed entusiasmo:

coltivare attitudini personali che siano di esempio per colleghi e collaboratori: buon umore, equilibrato senso di ottimismo, atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, degli obiettivi da perseguire e dei cambiamenti da gestire;

tener conto delle capacità e delle attitudini di ciascuno, individuando coloro che sono più portati a ricevere incarichi di responsabilità, rispetto a chi tende ad eseguire.Per esempio, nominiamo “capo-progetto” qualcuno che sia motivato e non terrorizzato dal ricevere questa investitura;

sviluppare l’ orientamento all’obiettivo da parte di tutto il gruppo: fissiamo obiettivi motivanti, verifichiamo l’andamento dei lavori di ciascuno, ribadiamo costantemente l’importanza del rispetto dei tempi e del lavoro dei colleghi, ricordiamo che grazie al proprio lavoro ciascuno contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo del gruppo.Così facendo, rinsalderemo anche auto-stima e sicurezza: le persone infatti amano svolgere le attività che svolgono bene e raggiungere l’obiettivo è la conferma più motivante del fatto che un lavoro è stato realizzato bene;

dare direttive chiare e precise, che non creino equivoci o incertezze relative alla qualità, ai tempi, alle modalità e alla valutazione delle attività da svolgere;

dare riconoscimenti all’ottenimento dei risultati, ma anche all’impegno profuso e all’eventuale raggiungimento di obiettivi intermedi. Si tratta di un atteggiamento molto motivante, ma anche da dosare attentamente: può infatti far nascere l’ equivoco che è sufficiente impegnarsi, per ricevere riconoscimenti, a prescindere dal fatto che gli obiettivi siano raggiunti. O addirittura può causare demotivazione e ripicche, se le ore passate in ufficio o in azienda vengono considerate come una fonte di riconoscimento “dovuto”, scollegato da produttività e risultati;

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Comunicare con assertività

Il termine "Comunicazione" deriva dall'etimo "Cummunis", bene comune. Quindi come far sì che tutte le persone coinvolte nella comunicazione ne traggano beneficio? Per raggiungere questo obiettivo è importante sviluppare alcune capacità, tra le quali l'assertività. Comunicare in modo assertivo significa infatti saper proporre il proprio punto di vista senza causare atteggiamenti polemici e contrapposizioni pregiudiziali da parte degli interlocutori. Significa quindi saper "gestire situazioni con vigore positivo", dal termine latino "asserere", da cui il termine "assertività" deriva.

Ecco un esempio pratico di comunicazione assertiva.

Pomeriggio della prima calda giornata estiva dell'anno: il condizionatore dell'ufficio è acceso da alcune ore ma non tutti gradiscono il livello di ventilazione e temperatura che si è creato.

Marco chiede: "Possiamo definire degli orari di accensione del condizionatore in modo da mantenere una temperatura gradevole per tutti? Per quanto mi riguarda è sufficiente che rimanga acceso nelle due ore più calde del pomeriggio, quando il sole è proprio davanti alle nostre finestre. Quali sono le vostre esigenze?"

Questa frase è un esempio di comunicazione assertiva. Infatti Marco comunica rispettandone quattro principi fondamentali:

1. afferma le proprie esigenze2. le presenta in modo psicologicamente corretto3. è disponibile a confrontarsi con le esigenze altrui 4. non entra in conflitto.

Vediamo invece due frasi che esemplificano i due stili di comunicazione "non assertivi":

"E' possibile che in ufficio il condizionatore debba essere sempre acceso? Quante volte vi devo dire che a me dà fastidio?" Si tratta di un esempio di stile di comunicazione aggressivo perché tiene rigorosamente conto del primo principio dell'assertività, ma trascura completamente gli altri tre. Infatti l'obiettivo di chi parla è soddisfare le proprie esigenze ed i propri diritti ad ogni costo, anche a rischio di compromettere le amicizie, il rapporto con i colleghi di lavoro.

"Per il condizionatore fate pure come volete, io mi adeguo". Questo è invece un esempio di stile di comunicazione passivo. Chi utilizza questa frase ha molto ben presenti gli obiettivi collegati agli ultimi due principi dell'assertività, ma il timore di dire "no", di causare conflitti e di impegnarsi emotivamente e mentalmente in essi gli fa perdere completamente di vista i primi due, correndo il rischio di risultare talvolta frustrato, insoddisfatto, ansioso, depresso, scontento.

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Come cambia la leadership?

Le organizzazioni affrontano oggi quattro sfide epocali:

1. l'impetuosa evoluzione tecnologica, che offre straordinarie opportunità ma è sempre più complessa da seguire;

2. il cambiamento sempre più veloce che si traduce in continue richieste alle persone che compongono le aziende;

3. gli shock improvvisi, come gli uragani Katrina e Rita, solo per citare gli ultimi due in ordine di tempo, che comportano la necessità di reazioni immediate e, a volte, drastiche.

4. lo scenario internazionale che diventa l'orizzonte abituale con il quale confrontarsi, anche per aziende molto piccole.

E' consapevolezza diffusa che non sono più sufficienti le capacità di leadership del singolo individuo per vincere queste quattro sfide.

Oggi infatti doti di leadership sono richieste ad ogni livello della scala gerarchica delle aziende.

Ed ecco quindi il primo cambiamento. La leadership non è più connessa solo alla posizione della/e persona/e che contano di più ma diventa una capacità che attraversa l'organizzazione. La guida, l'allineamento delle persone alle strategie dell'azienda, il motivare sono capacità da diffondere in ogni persona che coordini delle risorse.Relativamente a queste tre capacità, da una recente indagine condotta intervistando 300 Manager a capo di aziende di 38 diversi paesi emerge che la loro presenza all'interno delle loro aziende è ritenuta insufficiente dal 55% di essi.

Inoltre si modifica l'importanza attribuita ad alcune capacità componenti la leadership rispetto ad altre. Ad esempio, accanto alle tre citate precedentemente e che continuano ad essere considerate indispensabili, si affiancano quella di costruire e migliorare le relazioni, di gestire il cambiamento, di sollecitare la partecipazione. Quest'ultime, per importanza, prendono il posto in classifica delle capacità di problem solving e di prendere decisioni.

Infine, il focus si sposta dal leader come elemento di punta della propria organizzazione a creatore di gruppi di successo, che continuano ad avere successo anche dopo di lui. Nell'indagine citata precedentemente, infatti, i Manager intervistati dichiarano che l'attività di team building diventa altrettanto importante dell'attività di "fare numeri". Attività di team building che diventa peraltro più complessa dal momento che in sempre più aziende si sviluppano gruppi interfunzionali e multiculturali!.

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Time Management e Self Management

Le notevoli sollecitazioni a cui le aziende sono sottoposte richiedono al management di migliorare costantemente l'abilità di gestire il proprio tempo e quello dei collaboratori. Il tempo è una risorsa scarsa che si consuma anche se non la utilizziamo. Per usarlo efficacemente è quindi importante migliorare il nostro comportamento in relazione ad esso (self-management).

Ecco una veloce check-list di verifica dell'efficienza del nostro self-management relativo alla risorsa "tempo":

nella nostra giornata lavorativa ricorrono pensieri come:

"accidenti mi sono scordato di….." "devo aumentare la mia (o del mio gruppo) produttività" "continuano ad interrompermi" "non riesco a trovare mai il documento (il file) che mi serve"?

Rimandiamo spesso a domani compiti e attività che non siamo riusciti a svolgere? Riceviamo spesso deleghe improprie da parte di colleghi e collaboratori? Ci capita di accorgerci improvvisamente di essere in ritardo sul raggiungimento di

un obiettivo?

Per non rispondere sì a ciascuna di queste domande, è importante potenziare le quattro capacità fondamentali di:

1. definire gli obiettivi e le priorità, 2. pianificare e programmare le attività, 3. analizzare i progressi compiuti in relazione agli obiettivi, 4. valutare costantemente il livello di efficienza dell'utilizzo del proprio tempo e di

quello del proprio gruppo.

Quali sono i motivi dell'importanza di queste quattro capacità?

Definire chiaramente gli obiettivi e le priorità permette di indirizzare il lavoro proprio e dello staff in modo efficace e di aumentare nei collaboratori la motivazione a lavorare per il loro raggiungimento.

Pianificare e programmare le attività di ciascuno consente a tutto il gruppo di sapere quotidianamente "cosa fare" e "cosa fare prima" e come questo contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di breve, medio e lungo periodo.

Analizzare periodicamente questa "lista" di attività e verificarne congruenza ed efficacia in relazione al raggiungimento o meno degli obiettivi permette al manager di:

controllare costantemente il grado di avvicinamento all'obiettivo, in linea con il principio "puoi controllare ciò che puoi misurare"

rivedere le priorità e redistribuire i compiti e le attività nel gruppo.

Verificare l'efficacia delle modalità di utilizzo del tempo da parte del gruppo consente di individuare le possibili inefficienze, le azioni correttive da apportare e la giusta quantità di tempo da allocare per le diverse attività in relazione alle priorità.

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Come decidere per avere successo?

Perché alcuni progetti hanno successo e altri no? Perché alcune aziende cavalcano brillantemente le onde dell'incertezza e altre ne vengono travolte? Le risposte, a volte sorprendenti, a queste domande nelle più recenti ricerche sulla leadership. Esse evidenziano che un elemento fondamentale nel determinare il successo di un'organizzazione è il suo processo decisionale. Come le persone decidono.

Qual e' il sogno inconscio di chi prende una decisione? Quello di presentarla ai propri interlocutori che ascoltano ammirati, condividono e subito pensano a come attivarsi per concretizzarla.

In realtà, è una fortuna che il sogno ….rimanga tale.

Lo studio di casi di successo dimostra infatti che le buone decisioni vengono prese dove il dibattito è reale, qualche volta anche conflittuale. Il discutere una decisione ci permette di vederla sotto diversi punti di vista, di metterne alla prova gli elementi più deboli, di 'fertilizzarla' con altre idee. La rende più forte. La rende migliore.

Per fare buone scelte occorre pertanto possedere:

l'intelligenza di confrontarle con gli altri, soprattutto quando siamo in posizioni di responsabilità e gli altri sono i nostri collaboratori; la capacità di sollecitare il dibattito e di produrne una feconda sintesi;

il coraggio nel non cercare l'unanimità.

(Naturalmente, una volta prese, occorre saper motivare le persone a collaborare alla loro riuscita, vincendone le resistenze.)

Nemico da battere nelle organizzazioni diventa quindi il conformismo, la tendenza ad adeguarsi subito all'opinione espressa dal più autorevole o dal più potente.

Come fare? Tre suggerimenti.

Innanzitutto avere cura di inserire nel proprio gruppo persone dotate di indipendenza di pensiero.

Quindi contrastare la naturale propensione che abbiamo a frequentare e a confrontarci solo con persone simili a noi.

Infine vincere il primordiale istinto che ci porta a desiderare di eliminare chi non è d'accordo con noi al 100%!

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FOCUS ON: LA COMUNICAZIONE

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I più grandi comunicatori di tutti i tempi? I maestri di retorica dell'Antica Grecia

La parola “retorica” (arte del dire) è stata tinta ingiustamente di significati ampollosi e accademici e la sua cattiva fama è dovuta soprattutto agli antichi oratori romani che fingevano di non conoscerla, o di considerarla con disprezzo, per allontanare da loro il sospetto di essere più che schietti e sinceri, molto abili nell'accalappiare e raggirare gli ascoltatori.

Quotidianamente noi usiamo delle espressioni che prese alla lettera sono inverosimili ed assurde, ma che si adoperano costantemente perché senza di loro stenteremmo ad esprimerci con efficacia. Queste espressioni appartengono alla retorica e concorrono ad arricchire meravigliosamente il nostro modo di parlare. Appaiono di continuo in ogni tipo di comunicazione. È importante la conoscenza della retorica perché ricorrendo, in modo consapevole e appropriato, alle espressioni retoriche si può dare ad un' idea una rappresentazione particolare, attribuirle un'ampiezza ed un vigore che il linguaggio proprio non permetterebbe. E' proprio per questo che in pubblicità possiamo riscontrare molta retorica.

Ecco i nomi (tutti di origine greca) di alcune figure retoriche:

Ironia (finzione).

Si ha quando un'espressione ha un significato diverso, per il tono di voce con cui viene detta, da quello che le parole esprimono: Che unghie pulite! (cioè sporche);

Che modi veramente gentili! (cioè villani).

Un caso classico di ironia in pubblicità è quello della Bayer a proposito di un rodenticida: Un veleno per topi buono da morire.

Litote (attenuazione).

Consiste nell'attenuare un concetto con la negazione del suo contrario.

Niente buffo; niente bello; niente gentile.

Troviamo l'applicazione della litote per la pubblicità della siringa Pic Indolor: La siringa niente male.

Antitesi (contrapposizione).

Consiste nel manifestare, allo scopo di rinforzarli, concetti opposti a quelli di cui parliamo:

Il personale di quel negozio non è gentile, ma veramente villano!

Non erano locali ampi ed ariosi, ma piccoli ed angusti.

Dante ne è maestro:

Non frondi verdi, ma di color fosco,

Non rami schietti, ma nodosi e involti,

Non pomi v’eran, ma stecchi con tosco.

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Antonomasia (mutamento di nome).

Consiste in uno scambio di nomi. Ad esempio non si indica un personaggio famoso con il suo vero nome, ma facendo riferimento ad alcune sue peculiarità notissime: Il poverello d'Assisi (S.Francesco); Il Corso (Napoleone); Il segretario Fiorentino (Machiavelli).

Oppure si allude ad una persona comune col nome proprio di un personaggio famoso: Franco è un Mecenate; Federico è un Ercole; Il dottor Fondi è un Demostene.

Eufemismo (buona espressione).

Consiste nel ricorrere ad un espressione meno cruda e realistica per descrivere qualcosa di poco piacevole:

E' stato chiamato dal cielo (per dire che è morto).

Paese in via di sviluppo (invece di sottosviluppato).

Iperbole (eccesso).

Si manifesta in un'espressione che va oltre il verosimile allo scopo di accrescere o diminuire una dimensione, una misura, un'idea: E' un secolo che non ti vedo; Te l'ho detto mille volte; Non si sveglia neppure con le cannonate; Esco a fare due passi; Si muove a passi di formica; vado e torno in un secondo.

Metafora (parola trasportata).

Si ha una metafora quando si prendono a prestito parole da un certo contesto (dalla scienza, dalla tecnica; dalla politica; dallo sport; ecc.) e che per il loro valore di verosimiglianza con l'idea che desideriamo esprimere, le trasportiamo in un altro contesto.

L'espressione: Il discorso elettrizzò il pubblico. E' un chiaro esempio nel quale il verbo elettrizzare viene prelevato dal contesto scientifico e portato in un altro.

Grazie alla metafore molti termini dell' astronautica sono stati presi a prestito dall' aeronautica che a sua volta li aveva rilevati dalla navigazione marittima: abbordare; imbarcarsi, sbarcare, crociera appartengono infatti originariamente a quest'ultima, ma vengono utilizzati indistintamente anche negli altri due settori.

Ecco altri esempi di metafore utilizzate da tutti:

E' cattivo come la peste; Ha uno stomaco che digerisce i chiodi; E' nato con la camicia; Mostrare i denti; Non essere uno stinco di santo; Fare il filo; A tutta birra; L'ho pescato che dormiva sopra la pratica; Andiamo a bere un bicchiere; Tirare troppo la corda; Siamo nel tempo delle vacche magre, ma arriverà quello delle vacche grasse; E' un asino; E' un'oca; E' una volpe; E' un demonio; Ha la faccia di bronzo; Le bugie hanno le gambe corte; Il teatro del conflitto; La caccia al potere; Posare la questione sul tappeto; Prendere un granchio; Coprire la carica; Ispirarsi agli interessi del paese; Ha la mano di ferro in un guanto di velluto. Ha la testa tra le nuvole; E' un pozzo di scienza.

In pubblicità sono molto conosciute le metafore della ESSO “Metti un tigre nel motore” e quella splendida di Wheeler: “Ditelo con i fiori”...

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Metonimia (uso di un nome al posto di un altro).

Consiste in uno scambio di nomi fra i quali esiste una relazione. I casi più comuni di metonimia si hanno quando si indica:

l'emblema per le istituzioni: Il discorso della corona; l'abito per la persone: Le camicie rosse; Il segno, il simbolo per le idee: Il regno della croce; Portare l'olivo tra la gente; il contenente per il contenuto: Beviamo un bicchiere; l'autore per l'opera: E' stato venduto un Picasso; Sto leggendo Dante; il mezzo per la cosa prodotta: è una perfida lingua; miracoli di scalpello; le materie con cui le cose sono fatte invece delle cose stesse: I bronzi e i marmi di cui

quel museo è ricco.

Perifrasi (giro di parole).

Consiste nell'indicare una cosa o una persona, non col suo nome ma con una sequenza di parole. Viene usata per:

1. evitare un termine che potrebbe essere sconosciuto a chi ascolta: la capacità di porsi nella situazione di un altro al posto di empatia;

2. per rendere qualcuno più solenne: Colui che fu chiamato "l'eroe dei due mondi".

Sineddoche (più cose insieme)

Consiste nel dare ad una parola un senso più esteso o più ristretto di quello vero.

Esempi: L'Italiano è musicista nato; La donna è vanitosa; L'uomo è avido; Guardò con occhio bieco; il cane è fedele (in questi casi il singolare sta per il plurale ed ha un senso più esteso).In questa famiglia il pane non è mai mancato ( in questo caso la parola pane ha un senso più ampio e sta per tutto ciò che è necessario per vivere.)

Nello slogan pubblicitario "Gillette la grande innamorata della vostra pelle".

Olivier Reboul nel suo libro "Le slogan" vi ha individuato numerose figure retoriche, tra cui le più evidenti sono queste:

"Gillette" è un'antonomasia; "La" è un'iperbole perché le attribuisce alla metafora grande innamorata IL significato

di: "unica"; significato che non ci sarebbe stato se l'articolo fosse stato omesso; "Pelle" (pelle sta per viso ed è quindi una sineddoche in quanto indica una parte per il

tutto).

Un ulteriore debito che i comunicatori moderni hanno nei confronti degli antichi greci è la famosissima regola anglosassone delle 5 W:

Who? (Chi?) What? (Cosa?) When? (Quando?) Where? (Dove?) Why? (Perchè?)

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Infatti Aristotele, dal quale attinse anche Cicerone, suggeriva domande analoghe per argomentare in modo pertinente, completo e per organizzare la disposizione del discorso.

Ecco le domande in latino:

Quis? (Chi?) Quid? (Cosa?) Quando? (Quando) Ubi (Dove?) Quomodo? (Come?) Cur? (Perchè?) Quibus auxiliis? (Con quali mezzi?)

Mai come oggi, grazie ai mass media, le figure retoriche sono entrate così massicciamente in ogni tipologia di comunicazione.

Soprattutto la pubblicità fa ricorso alla retorica per catturare l’attenzione del pubblico e convincerlo all’acquisto.

I pubblicitari, a tal fine, usano spesso la sinestesia (anche questa è parola di origine greca che significa “ percezione simultanea”. Si ha la sinestesia quando si associano in un’unica espressione parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse, per esempio:

illuminante silenzio sapore morbido rosso bollente gusto soffice teneramente rosa.

Queste espressioni, costringendo quasi a scomporle per analizzarne le parole, non solo imbrigliano l’attenzione, ma quando sono azzeccate, trasmettono anche un messaggio breve, preciso e ricco d’implicazioni e valori emozionali. Possiamo sospettare che i maestri Greci abbiano intravisto l’importanza della comunicazione multisensoriale di cui parla la programmazione neurolinguistica, una scienza nata nel 1970.

Ma come sono grandi e attuali questi Greci antichi!

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La forza del discorso nasce dalla concisione Lo confermano Dante e Lincoln

Non diluire con tiritere e ripetizioni inutili la forza persuasiva di un messaggio. A volte si verifica che l’oratore vedendo che una argomentazione ha particolarmente presa sul pubblico, commette l’errore di ripeterla rischiando di distruggerne l’efficacia originale. Essere brevi e stringati soprattutto quando l’obiettivo del discorso è quello di diffondere valori, motivare, influenzare. Non a caso, l'Ulisse di Dante fa un "orazion picciola" per convincere i suoi compagni a superare le colonne d’Ercole e a proseguire il viaggio verso l’ignoto. Ulisse, dice loro che la vita dell'uomo non va sciupata nell'inerzia, ma deve mirare ad arricchire le proprie conoscenze. Ecco, testualmente, le poche, ma proprio per questo, suggestive e convincenti parole di Ulisse:

O frati, dissi, 'che per cento milia perigli siete giunti all'occidente, a questa tanto piccola vigilia de' nostri sensi ch'è del rimanente, non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

I compagni, reagiscono subito con tale entusiasmo che, dopo, difficilmente sarebbe stato possibile trattenerli. Essi, sebbene vecchi e tardi, si mettono a remare con tale energia che la nave quasi vola sulle onde.

Li miei compagni fec'io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, dei remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino.

Questo esempio conferma ulteriormente l’efficacia della concisione. Ai caduti della battaglia di Gettysburg (1863), la più cruenta della guerra di secessione americana, venne dedicato un cimitero. In questa occasione intervennero alcuni dei migliori oratori americani del tempo, fra i quali vi era, famoso proprio per la sua eloquenza, il senatore Edward Everett. Ciascuno di questi oratori intrattenne piuttosto a lungo l’uditorio.

Lincoln si distinse tra tutti pronunciando un discorso brevissimo. Le sue poche parole commossero profondamente il pubblico e si propagarono e ridondarono in tutta la nazione: oggi il suo discorso è ritenuto uno dei più grandi della storia.

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Ecco il discorso di Lincoln.

Or sono ottantasette anni, i nostri avi diedero vita su questo continente ad una nuova nazione, concepita nella libertà e consacrata al principio che tutti gli uomini nascono uguali. Siamo ora impegnati in un'aspra guerra civile, in cui si mette alla prova se questa, e qualsiasi altra nazione similmente concepita e consacrata, possano resistere a lungo. Siamo riuniti sul campo di una grande battaglia di questa guerra. Siamo venuti per consacrarne una parte quale ultima dimora di coloro che qui la vita hanno dato onde la nazione vivesse. E' nobile e giusto che questo sia fatto. Ma, in senso più ampio, non possiamo decidere nè di consacrare, né di santificare questo suolo: gli eroi, vivi e morti che qui combatterono, l'hanno consacrato assai al di là di quanto sia nelle nostre povere forze di aggiungere o togliere. Il mondo poco noterà, né a lungo ricorderà quanto qui stiamo dicendo(*), ma non potrà mai dimenticare quanto qui essi hanno fatto. Siamo piuttosto noi, i vivi, che qui dobbiamo essere consacrati all'opera incompiuta di coloro che in questo luogo hanno combattuto e così nobilmente hanno portato innanzi. Siamo piuttosto noi a dover essere consacrati al grande compito che ci resta dinanzi: che da questi nobili caduti si tragga dedizione ancor più grande alla causa cui essi hanno dato la più completa e definitiva prova di dedizione, che qui solennemente si affermi che i morti non sono morti invano, che questa nazione, a Dio piacendo, abbia rinovellata nascita nella libertà, che il governo del popolo, dal popolo retto per il popolo, non scompaia dalla terra.

(*)Il mondo si è dimenticato dei discorsi lunghi e macchinosi degli altri oratori, ma non di questo: semplice e diretto, conciso ed intenso.

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La forza della comunicazione nasce soprattutto dal cuore

Proprio così! Non vi sono tecniche o artifici che possano contraddire questa affermazione. Pertanto non dovremmo mai prendere la parola su argomenti che non ci sono congeniali: che non ci stanno a cuore! Cuore, inteso come sede dei valori, dei sentimenti, del coraggio e delle passioni.

Lo stesso Cicerone diceva di essere mosso, nel far avanzare le proprie argomentazioni, da una bruciante passione, contagiosamente incendiaria, che si propagava tra coloro che lo ascoltavano. Fu da questa passione, più che dalla conoscenza di ogni segreto della retorica, che trasse le risorse per diventare il più grande oratore della latinità.

Avrebbe mai potuto Raimond de Sèze pronunciare la sua mirabile difesa di Luigi XVI, in modo così illuminato, ma soprattutto così ardito senza avere nel cuore un profondo senso di giustizia? Questo avvocato, in un periodo storico in cui domina il terrore e le teste cadono numerose sotto la lama della ghigliottina, difende Luigi XVI con un'arringa che può essere definita la più nobile, illuminata e coraggiosa della Storia. Raimond de Sèze è un personaggio storico, purtroppo poco conosciuto, degno della più profonda ammirazione.

A rischio della propria vita, mette la sua mente, ma soprattutto il suo cuore al servizio di un ideale che dovrebbe appartenere a tutta l'umanità: la giustizia! E difende il Re di Francia, processato con un' iniqua procedura, con delle argomentazioni perfette sotto il profilo legale, ma soprattutto con un coraggio da leone.

Ecco parte dell'arringa svolta il 26 dicembre 1792.

Cittadini rappresentanti della nazione! E' giunto finalmente il momento che consente a Luigi, accusato in nome del popolo francese, di levare la propria voce in mezzo a questo popolo stesso. E' giunta l'ora in cui egli, assistito dai difensori che l'umanità e la legge gli hanno concesso, può presentare alla nazione le sue discolpe e spiegare quali intenzioni lo abbiano sempre animato. Già questo silenzio che mi circonda mi fa certo che il giorno della giustizia è succeduto ai giorni della collera e della prevenzione. Che questo atto solenne non si riduce ad una vana forma; che il tempio della libertà è anche quello dell'imparzialità; che qualunque uomo si trovi nell'umiliante condizione di accusato, è sempre sicuro di richiamare su di sé l'attenzione e l'interesse di quelli che lo perseguono. Ho detto: qualunque uomo, perché Luigi oggi non è altro che un uomo, un uomo accusato.

1. Non gode più di nessun prestigio; 2. non ha più nessun potere;3. non può incutere paura;4. non può offrire speranze.

Gli è stato tolto tutto, anche la prerogativa dell'inviolabilità che spetta al sovrano. Ma se togliete a Luigi l'inviolabilità sovrana, dovreste almeno lasciargli i diritti del cittadino. Perché non potete fare in modo che Luigi cessi di essere Re quando dichiarate di volerlo giudicare e lo ridiventi quando si tratta di giudicarlo! Ora, se volete giudicare Luigi come cittadino, io vi domando dove sono quelle forme procedurali che chiunque ha il diritto imprescrittibile di reclamare? Dov'è quella separazione di poteri senza la quale non può esistere né costituzione né libertà? Dove sono i magistrati inquirenti e quelli giudicanti: questa specie di ostaggi che la legge dà ai cittadini per garanzia della loro sicurezza e della loro innocenza? Dov'è quella facoltà di ricusazione che la legge ha sancito per impedire nei giudizi il sopravvento dell'odio e delle passioni? Dov'è quella proporzione di voti che la legge ha così saggiamente stabilito per allontanare la condanna o per alleviarla? Dov'è lo scrutinio silenzioso che induce i giudici a raccogliersi prima di pronunciarsi o di rinchiudere, per così dire, nella medesima urna la

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propria opinione o la testimonianza della propria coscienza? Dove sono in definitiva tutte quelle precauzioni quasi religiose che il giurista ha preso affinché il cittadino, anche se reo, sia colpito solo dalla legge? Cittadini, vi parlerò con la franchezza dell'uomo libero: io cerco tra voi dei giudici, ma non vedo che degli accusatori! Volete decidere della sorte di Luigi, e voi stessi l'avete accusato! Volete decidere della sorte di Luigi, e avete già emesso il vostro verdetto! Volete decidere della sorte di Luigi, e la vostra opinione corre già per l'Europa! Luigi sarà dunque il solo francese per il quale non esisterà né legge né procedura! Luigi non avrà né i diritti del cittadino né le prerogative del Re! Quale strano ed inconcepibile destino!

Come sappiamo il Re fu condannato poiché il suo destino era già stato deciso, in uno scenario di terrore, dai deputati più importanti e sanguinari. Questa situazione avrebbe intimorito e scoraggiato chiunque, ma non Raimond de Sèze che, come abbiamo letto, ebbe addirittura il coraggio di accusare i giudici e tutta l'impalcatura del processo. Luigi XVI fu riconosciuto colpevole soltanto per il clima minaccioso in cui si svolsero le votazioni. L'incarico di leggere la sentenza di condanna a morte fu dato a Dominique Garat. Compito che questo deputato avrebbe volentieri respinto. Dopo aver indugiato nell'inforcare un paio di occhiali montati in oro, lesse la sentenza con imbarazzo e quasi con vergogna. Si racconta che, tornato a casa, depose gli occhiali in un cassetto e vietò a tutti di toccarli.

Un prete, anni dopo, trovandoli per caso decise d'inforcarli per leggere il breviario. Garat, nel vederlo lanciò un urlo straziante: - Gli occhiali della sentenza, no! - Poi cadde a terra fulminato.

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L'importanza delle Emozioni nella Comunicazione

Negli ultimi anni saper comunicare è diventato sempre più importante, sia nella nostra vita professionale che in quella privata. Affinché le nostre comunicazioni siano efficaci dobbiamo soddisfare grazie ad esse le esigenze dei nostri interlocutori, intese come un insieme inscindibile di motivazioni razionali e motivazioni emozionali. Un processo di comunicazione è quindi efficace quando chi parla riesce ad attingere sia alle proprie capacità “razionali” che a quelle "emozionali", e si rivolge con successo sia alla parte logico/razionale che alla parte creativa/emozionale del proprio interlocutore: gli fornisce informazioni, dati, notizie, caratteristiche certe e concrete, ma è anche in grado di comunicare "emozioni", comprendere, accettare e saper gestire lo stato d’animo proprio e altrui, interagire e relazionarsi efficacemente con l’altro, utilizzando un linguaggio ed un atteggiamento “corretti”, sia razionalmente che emozionalmente. Anzi, più emozionalmente che razionalmente, visto che molte ricerche condotte negli ultimi anni hanno evidenziato come le "emozioni" determinano in gran parte le nostre azioni e rappresentano una componente basilare del quadro motivazionale di ciascuno di noi. Prendiamo in considerazione un manager e un venditore, dei quali collaboratori e colleghi dicono:

"Il Dottor Rossi mette sempre in evidenza i meriti dei suoi collaboratori ma è anche pronto a riprenderli con decisione, perché è sicuro che il rimprovero, anche se fastidioso al momento, sarà utile, visto che tutti sanno che la benevolenza e la stima nei propri confronti rimangono intatte."

"Bianchi è un grande venditore: è talmente appassionato al proprio lavoro e ai propri prodotti che ne fa cogliere chiaramente ai clienti l’importanza. Ne parla con tale competenza, eloquenza ed entusiasmo che riesce a rendere i condizionatori d’aria interessanti e avvincenti per chiunque lo ascolti….."

La capacità dei due protagonisti che viene sottolineata in entrambe le situazioni è quella di comunicare utilizzando in modo altrettanto efficace gli strumenti della comunicazione logico-razionale e di quella emozionale per informare ed emozionare, per motivare e riprendere, per acquisire credibilità e per coinvolgere.

Nei due esempi riportati, il Dottor Rossi comunica efficacemente sia grazie alla sua esperienza nel ruolo che alla sua capacità di gestire le emozioni derivanti dai rapporti professionali e interpersonali in azienda

Il venditore Bianchi d’altra parte è un abile comunicatore perché ha tratto dalla propria esperienza la conclusione che i clienti analizzano e valutano le decisioni di acquisto sulla base di fatti, dati e caratteristiche del prodotto, ma decidono sulla base delle emozioni, cioè quell’insieme di sensazioni e sentimenti che ci spingono ad agire e che hanno la prevalenza sulle nostre abitudini e decisioni di acquisto.

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Entrambi quindi, comunicano efficacemente perché conoscono il loro lavoro, i prodotti, le tecniche di vendita e di gestione degli uomini, ma anche perché con modalità e sfumature diverse:

limitano e gestiscono bene il proprio “IO” e la propria aggressività; reagiscono in modo misurato e proattivo, dopo aver ascoltato e valutato

attentamente le posizioni e le ragioni di colleghi, collaboratori e clienti; adeguano stili di comunicazione (amichevole, professionale, autorevole…) e di

vendita (più orientato al prodotto o più orientato al cliente) a situazioni e clienti diversi;

individuano e gestiscono efficacemente i meccanismi psicologici degli interlocutori; danno contributi reali alla crescita delle persone o alla comprensione dei vantaggi del

prodotto evitando atteggiamenti di paternalismo o di superiorità; ricevono e assicurano buoni livelli di “apertura emozionale” cioè di ricezione e

comunicazione di emozioni, sensazioni, sentimenti.

Queste sono alcune delle capacità che determinano l’efficacia di gran parte dei rapporti di comunicazione: di quelli appena visti, tra manager e colleghi/collaboratori o tra venditore e clienti, ma anche degli altri rapporti collega-collega; capo-assistente; responsabile acquisti-fornitore; insegnante-studente; marito-moglie; amico-amico.

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Come utilizzare gli Stati dell'IO per comunicare efficacemente

Cos'è una comunicazione? Una comunicazione è un processo in cui due (o più) persone si scambiano stimoli e reazioni. Quando una comunicazione è efficace? Lo è quando in questi scambi di stimoli e reazioni ("scambi comunicativi" o "transazioni") la persona che ha inviato lo stimolo (prima "semi-transazione") riceve una reazione allo stimolo (seconda "semi-transazione) che è in linea con le sue aspettative, sia razionali (contenuto della comunicazione) che emozionali (gli aspetti psicologici, di relazione della comunicazione).

Facciamo un esempio:

Stimolo (Bianchi): "Riesci a finire la relazione per domani?" (il tono di voce e il linguaggio del corpo indicano una buona disposizione di Bianchi nei confronti del suo interlocutore e di tutta la situazione.

Reazione (Rossi):"Sicuramente, ci lavoro tutto il pomeriggio e per le 18 è sul tuo tavolo" (il tono di voce e il linguaggio del corpo sono in linea con quelli di Bianchi). In questo esempio la comunicazione è efficace dal punto di vista della coerenza del contenuto delle due "semi-transazioni": Bianchi chiede a Rossi della relazione e Rossi gli assicura in modo credibile che nel pomeriggio avrà la relazione; inoltre le motivazioni emozionali di entrambi sono soddisfatte per la reciproca capacità di inviare messaggi positivi, grazie al tono di voce e al linguaggio del corpo.

Parlando di questo processo di comunicazione in termini di interazione degli Stati dell'IO verifichiamo che in questo caso si è verificata una transazione di questo tipo: dallo Stato dell'IO Adulto di Bianchi è partito uno stimolo diretto allo Stato dell'IO Adulto di Rossi, che a sua volta ha prodotto una reazione allo stimolo diretta all'IO Adulto di Bianchi: si è cioè instaurata una "transazione aperta", (ADULTO - ADULTO) in cui sono stati coinvolti gli stessi Stati dell'IO dei due interlocutori. Quali i vantaggi delle transazioni aperte ai fini dell'efficacia della comunicazione? I vantaggi delle transazioni aperte sono notevoli e potrebbero essere sintetizzati in uno, fondamentale: "LA COMUNICAZIONE POTREBBE PROCEDERE ALL'INFINITO", nel senso che i due interlocutori coinvolti nella comunicazione utilizzano linguaggi, atteggiamenti e comportamenti in linea con le reciproche aspettative e quindi sono motivati a tenere "aperta" la comunicazione.

Transazioni aperte possono instaurarsi anche nel caso in cui vengano coinvolti Stati dell'IO diversi dei due interlocutori (nell'esempio che riportiamo, Bambino-Genitore/Genitore-Bambino) Il giovane venditore Neri dice al più esperto Verdi: "Potrei uscire in affiancamento con te anche la prossima settimana, dal momento che non mi sento ancora sicuro?" Verdi: "Rossini aveva detto che da questa settimana avresti dovuto iniziare a visitare i clienti, ma se credi che ti possa essere ancora utile affiancarmi, vorrà dire che con Rossini ci parlo io" Perché questa è una transazione aperta? Perchè dall'IO Bambino di Neri parte uno stimolo diretto all'IO Genitore di Verdi, dal quale Neri si aspetta una reazione che si indirizzi al proprio IO Bambino che è quella che effettivamente si verifica: anche in questo caso la comunicazione risulta agevole ed efficace ("aperta") perché entrambi gli interlocutori si riconoscono nei ruoli reciprocamente individuati e assegnati e sono quindi motivati a precedere nella comunicazione.

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La comunicazione invece corre seri rischi di interrompersi nel momento in cui entrano in gioco "transazioni bloccate", che corrono appunto il rischio di "bloccare" la comunicazione: le transazioni sono "bloccate" quando in un processo di comunicazione lo stimolo e la reazione non appartengono agli stessi Stati dell'IO degli interlocutori, (Bambino-Bambino, Adulto-Adulto o Genitore-Genitore), né appartengono a Stati dell'IO che uno dei due interlocutori si aspetta l'altro faccia entrare in gioco (per esempio: stimolo Bambino-Genitore / reazione Genitore-Bambino)

Facciamo un altro esempio:

Filippi sta cercando un file che non riesce a trovare e si rivolge al suo collega Abati: "Per favore, dammi una mano, sono disperato: non trovo il file della relazione" (B-G) Abati risponde: "Non dirlo a me: con questo nuovo software non mi ci raccapezzo proprio: spero che qualcuno mi aiuti a capirci qualcosa!" (B-G)

In questo caso, la comunicazione prende avvio dall'IO Bambino di Filippi e si rivolge all'IO Genitore di Abati: per far risultare "aperta" la transazione e quindi permettere la comunicazione, Abati avrebbe dovuto dare una risposta che dal proprio IO Genitore si indirizzasse all'IO Bambino di Filippi. Come vediamo, invece, anche Abati fa entrare in gioco il proprio IO Bambino che si rivolge all'IO Genitore di Filippi: nessuno dei due interlocutori si riconosce nel ruolo che l'altro gli assegna e probabilmente la comunicazione si blocca.

E' quindi necessario, per l'instaurazione di corretti processi di comunicazione, che i due interlocutori coinvolti utilizzino nelle proprie semi-transazioni (stimoli e reazioni) gli Stati dell'IO più efficaci ai fini dell'instaurazione della comunicazione.

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Comunicare in modo efficace

Essere un comunicatore efficace significa saper:

ascoltare ma anche farsi ascoltare; esprimersi con un linguaggio psicologicamente corretto; utilizzare il linguaggio del corpo per rafforzare la comunicazione; leggere il linguaggio del corpo altrui; riconoscere, dominare e saper indirizzare i propri meccanismi psicologici; riconoscere e saper gestire i meccanismi psicologici degli interlocutori.

Per migliorare la nostra comunicazione abbiamo straordinarie possibilità di allenamento, dal momento che possiamo applicare i principi della comunicazione efficace in ogni momento della giornata.

Ecco i 5 principi da seguire quando comunichiamo con i colleghi, i superiori, i clienti, i fornitori, gli amici e i parenti:

essere certi sempre di parlare dello stesso argomento. Sembra facile ma non lo è affatto; l’italiano è una lingua molto ricca e una parola può avere diversi significati.

Ecco un esempio di una comunicazione realmente svoltasi tra due colleghi, uno dei quali negli Stati Uniti a seguire un aggiornamento su argomenti di informatica. “E come sono le misure di sicurezza?”, si informa dall’Italia il primo, intendendo le misure di sicurezza contro eventuali attacchi terroristici. “Sulle misure di sicurezza c’è moltissimo da frequentare”, risponde il secondo facendo riferimento alle sessioni dell’aggiornamento...;

verificare che il nostro interlocutore abbia seguito e compreso quanto gli abbiamo comunicato; per farlo è importante, mentre l’interlocutore ascolta, fare attenzione al suo sguardo; chi ascolta infatti tende a seguire con lo sguardo e con l’orientamento del corpo colui che parla. Se questo non avviene è bene intervenire con domande che stimolino l’attenzione; dal momento che quando siamo al telefono non abbiamo la possibilità di tenere sotto controllo il linguaggio del corpo del nostro interlocutore, è sempre bene fare, delicatamente, delle domande di controllo;

per avere maggiori probabilità di successo quando si propone, trasformare le espressioni negative in positive. Ad esempio “Non ti è possibile finire questa relazione per stasera?” e “Non riesce a spedirci tutto per oggi?” hanno meno probabilità di avere una risposta positiva rispetto a “Ti e’ possibile finire questa relazione stasera? e “Riesce a spedirci tutto per oggi?”

dominare l’aggressività; quando ci sentiamo minacciati o attaccati psicologicamente una della modalità di reazione a nostra disposizione è l’aggressività. E’ indispensabile imparare a controllarla; ad essa e al fatto che spesso ci porta a parlare senza valutare le conseguenze di quello che diciamo possiamo imputare molti fallimenti e molti conflitti;

reagire alla timidezza e all’insicurezza. Sia la timidezza che l’insicurezza, se ben incanalate, possono trasformarsi in notevoli punti di forza;se subite sono tra le principali cause dei nostri mancati obiettivi.

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Come sconfiggere noia e monotonia, nemiche del Buon Comunicatore

E' proprio vero, la più temibile nemica di qualsiasi tipo di comunicazione è la monotonia perché chi si annoia non ascolta. La monotonia domina spesso come incontrastata regina nell'insegnamento ed in molte attività aziendali di comunicazione, aggiornamento e formazione. Questa regina ha un costo impossibile da calcolare, ma sicuramente immenso. A lei si deve imputare buona parte dell'assenteismo mentale di tanti uditori. Assenteismo che comporta spreco di tempo e denaro. Molti si difendono con: "Il mio argomento non è tra i più interessanti". "E' proprio l'argomento ad essere pesante".Non esistono argomenti o materie noiose, ma solo relatori e insegnanti monotoni. Approfondite ricerche di studiosi americani hanno messo in luce che "un'esposizione di tipo tradizionale della durata di dieci minuti viene assimilata al 50%; dopo sole 48 ore si riduce di un ulteriore 50%". Questo risultato non molto entusiasmante si riferisce, come abbiamo detto, ad una esposizione tradizionale. Ma che cos'è una esposizione tradizionale? E' una esposizione svolta da chi non e' preparato a parlare in pubblico. E' importante pertanto essere consapevoli che si possono ottenere risultati più lusinghieri conoscendo e rispettando almeno questi principi fondamentali:

- si ascolta e si impara più volentieri e più facilmente quando si hanno motivazioni per farlo. Le motivazioni sono legate soprattutto ai sentimenti.

La comunicazione che si rivolge solo alla sfera intellettuale ha molto meno successo di quella che si dirige anche alla sfera emozionale dell'uomo. Pertanto, le persone ascoltano, apprendono e ricordano meglio quei messaggi di cui non solo percepiscono l'utilità pratica, ma che nel rivolgersi a tutta la loro personalità, intesa come insieme inscindibile di ragione e sentimenti, favoriscono l'arricchimento umano e l'estensione positiva del "sé".

Un manager ad esempio può parlare con successo della capacità di saper ascoltare con empatia e farne vedere i risvolti pratici e utilitaristici nei rapporti d'affari, ma avrà ancor più successo nell'estendere il valore di questa capacità ai rapporti con i figli e nel farla assurgere a mezzo di promozione umana;

- nulla è più comunicativo del vero entusiasmo. E' importante che il relatore dimostri anzitutto questo sentimento nei confronti del suo argomento. Come infatti non si possono trasferire negli altri le idee e le conoscenze di cui si e' privi, così non possiamo trasferire l'entusiasmo e le motivazioni di cui siamo scarichi. La mancanza di entusiasmo si riflette sulla monotonia della voce e in tutto il linguaggio del corpo di colui che comunica e nulla è più deprimente per coloro che ascoltano;

- le frasi devono essere brevi; i concetti esposti con frasi brevi sono più diretti, chiari e memorizzabili. Se un concetto si può esprimere con tre parole, non usiamone quattro;

- le persone possiedono cinque sensi. Più sensi sono coinvolti dal messaggio del relatore e più esso è efficace. Il relatore che si rivolge solo all'udito e non chiarisce e rafforza i suoi messaggi con ausili visivi riduce notevolmente l'efficacia della sua comunicazione. Alcune ricerche evidenziano infatti che una persona ricorda il 20% di ciò che ascolta, il 40% di ciò che vede e ben l'80% di ciò che vede e che ascolta contemporaneamente. Questa legge non deve mai però relegare, come spesso avviene, la funzione dal relatore a dispensatore di scritte e immagini tramite videoproiettore od altro strumento. Si assiste spesso ad indigestioni visive causate da relatori che martellano gli occhi dei loro poveri ascoltatori con un costante incalzare di proiezioni di immagini;

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- le persone amano apprendere in modo piacevole e divertente. Questa tendenza dovrebbe essere sempre tenuta nella giusta considerazione: è più facile seguire, capire ed assimilare ciò che viene insegnato in maniera tale da rendere l'apprendimento una gradita esperienza. Per rendere piacevole una relazione bisogna ravvivarla con i "fattori d'interesse".

I fattori d'interesse sono tutti quei mezzi pertinenti all'argomento che lo rafforzano mantenendo vivo il livello di attenzione.

Possono essere: citazioni - aneddoti - situazioni illustrative improvvisate dagli allievi -spezzoni di film - esempi pratici - applicazioni pratiche - registrazioni - esercitazioni di gruppo - fatti storici o di cronaca - analogie e molti altri.

A proposito di analogie può essere significativo l'esempio del cappuccino Guglielmo Massaia che dovendo parlare del mistero della Trinità a degli indigeni africani fece un paragone con il sole; disse: "Il sole è lassù nel cielo, lo vedi è una palla di fuoco; ma non lo puoi toccare; però viene a te la sua luce, e illumina tutte le cose in terra, e viene il suo calore che ti scalda e fa nascere e seccare le piante. Il sole, la sua luce, il suo calore sono tre, ed uno".

Si può fare di meglio?

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Cosa significa saper comunicare?L'affascinante viaggio alla scoperta del linguaggio globale.

Strettamente parlando, si può riferire il termine "linguaggio", in maniera appropriata e corretta, solo a quello verbale, ma in realtà si parla ormai di linguaggio per tutti i sistemi di segni, sia che ci si riferisca ad un linguaggio visivo, ad un linguaggio sonoro o ad un linguaggio del movimento, inteso come organizzazione di segni gestuali o motori o corporei.In questo ambito possiamo trovare due diversi sistemi linguistici.

Il linguaggio del corpoCioè quello che fa riferimento all'espressione spontanea dell'emozione e dell'affettività e che è un sistema in gran parte inconscio. Esso consiste in un complesso di regolazioni riflesse e automatiche del tono muscolare, dell'atteggiamento posturale, della mimica facciale e gesticolatoria, della distanza personale e dell'uso dello spazio circostante e così via.

Può assumere diversi ruoli:

Ruolo di PARALINGUAGGIO e cioè di un linguaggio che affianca quello verbale per arricchire la comunicazione nella vita quotidiana, venendo progressivamente anche sottoposto ad un apprendimento di tipo culturale

Ruolo SIMBOLICO che si esprime nell'imitazione spontanea e nel gioco simbolico

Il linguaggio gestualeChe fa riferimento ad una gestualità comunicativa intenzionale secondo un sistema di regole culturalmente determinate e perciò condivise anche se per lo più artificiali e che consiste nel linguaggio dei gesti di fine utilitaristico (come il linguaggio dei sordomuti e altri sistemi di comunicazione non verbale affini), oppure di fine artistico ed estetico come l'animazione, la drammatizzazione, il ballo e la danza. Questo linguaggio ha un'origine espressiva da quello spontaneo che abbiamo chiamato linguaggio del corpo, poi però progressivamente si culturalizza divenendo intenzionale.

Da questa distinzione risulta chiaro che il nostro interesse in questa sede è rivolto alla tipologia del LINGUAGGIO DEL CORPO, così come esso si concretizza e si differenzia nelle varie culture.Se per linguaggio intendiamo un sistema di segni condivisi, è necessario chiarire bene di quali segni ci si serve e quale valore si attribuisce loro, in quanto ogni cultura attribuisce a ciascun segno un significato del tutto arbitrario che può variare incredibilmente e anche contraddirsi. Bisogna inoltre tener presente che si è prima visti e poi sentiti. Nella comunicazione molto spesso l'abito fa il monaco, intendendo con abito il complesso delle manifestazioni esteriori che caratterizzano la nostra maniera di esprimerci.

Risulta infatti che circa il 70-80% dell'informazione che raggiunge la corteccia cerebrale giunge dagli occhi, contro il 10-15% che proviene dall'udito. Le ricerche neurolinguistiche, inoltre, indicano chiaramente la priorità dell'elaborazione visiva, globale, simultanea, contestuale, analogica delle informazioni nell'emisfero destro del cervello, anche se le informazioni sono linguistiche e quindi andranno poi rielaborate dall'emisfero sinistro (verbale, analitico, sequenziale, logico). Siamo dunque prima "visti" che ascoltati.

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Come Parlare in Pubblico

1. Non improvvisate. Nessuno riesce, senza un'adeguata preparazione, a esprimere le proprie idee nel modo migliore. Mark Twain diceva: "Di solito ci metto tre settimane per preparare un discorso improvvisato."

2. Prima di iniziare la preparazione, domandatevi: Conosco a sufficienza l'argomento? Ho sufficiente tempo per prepararmi? Credo fermamente nelle cose che intendo dire? Se la risposta all'ultima domanda è no, è bene rinunciare al discorso. Non si possono trasmettere agli altri le convinzioni che non abbiamo.

3. Dedicate del tempo a definire con chiarezza l'obiettivo del discorso. Ciò vi consentirà di avere una rotta da seguire nella sua costruzione e la certezza di arrivare ad una conclusione chiara e riconoscibile dal vostro pubblico.

4. Rispettate il tempo che vi è stato dato. Recita un principio fondamentale: "E' meglio insegnare meno, ma bene, che di più, ma male.

5. Ricordate che le argomentazioni per essere persuasive devono essere credibili e pertanto essere basate su fatti che non siano contestabili.

6. Controllate la sede dove terrete il discorso. In particolare verificate che: - non ci siano disturbi sonori, come lavori in corso, riunioni aziendali con musiche nelle sale accanto, etc.,etc; - la sala non contenga dipinti, fotografie e altre distrazioni visive. Gli stimoli visivi estranei al discorso rappresentano infatti per il pubblico notevoli fonti distrazione; - la posizione dell'oratore non sia vicina a qualche fonte di distrazione, come ad esempio una finestra, un quadro proprio alle sue spalle.

7. Parlate di preferenza stando in piedi, poiché questa posizione consente di essere visti e sentiti meglio.

8. Controllate durante l'esposizione i manierismi di origine nervosa come: - dondolare o saltellare; - spostare oggetti e sedie; - scuotere chiavi o spiccioli dentro le tasche; - tormentare i polsini della camicia o tirare su i pantaloni.

9. Tenete sotto controllo il linguaggio del corpo degli ascoltatori. Conoscere quali messaggi non verbali possano celarsi dietro tale linguaggio.

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Come Parlare in Pubblico: Il linguaggio del corpo

L'uomo comunica anche con il linguaggio del corpo; nel parlare in pubblico è particolarmente importante saperlo utilizzare in modo da potenziare l'efficacia del proprio discorso. La tensione infatti può provocare dei cattivi comportamenti, dei quali non ci rendiamo conto, che possono distrarre l'uditorio e pregiudicare il livello della comunicazione. Ci sono oratori che inconsapevolmente saltellano, si muovono avanti e indietro o se ne stanno immobili come statue, si passano le mani tra i capelli, controllano il nodo della cravatta con regolarità esasperante; scuotono chiavi o spiccioli dentro le tasche. Ecco alcuni suggerimenti per migliorare dall'inizio l'impatto con il nostro pubblico:

ricordarsi di svuotare le tasche prima di cominciare a parlare; parlare di preferenza stando in piedi, poiché questa posizione consente di essere

visti e sentiti meglio; comunque, sia in piedi che seduti, evitare nel modo più assoluto di incrociare

le braccia e le gambe che sono segnali di difesa a fronte di una situazione che ci crea uno stato d'ansia. Può succedere facilmente che chi parla in pubblico incroci le braccia o le gambe, poiché viene a trovarsi solo ed esposto di fronte a numerose persone. Questi comportamenti da parte dell'oratore danno immediatamente una cattiva impressione riguardo alla sua capacità di tenere una comunicazione aperta e diretta;

qualora decidiate di parlare in piedi, distanziate i piedi di circa 30 centimetri. Ponetene uno leggermente avanti (preferibilmente il sinistro) e fate gravare di più il peso su quello avanzato. Automaticamente il corpo si piegherà leggermente in avanti, verso il pubblico, e assumerà una posizione che dimostrerà interesse e naturalezza;

evitate di apparire tronfi e aggressivi come se voleste dire ai vostri ascoltatori: "Ora vi sistemo io!" Vi trovereste ad affrontare delle giustificate ostilità, non a livello verbale schietto e manifesto, perché magari siete in una posizione di responsabilità, ma sicuramente a livello mentale e pregiudichereste un sincero consenso da parte di chi vi ascolta;

prima di cominciare, per alcuni secondi, allo scopo di un reciproco apprezzamento visivo con il pubblico, fare scorrere lo sguardo sulla sala e guardare i presenti con simpatia;

infine, sorridete (il sorriso è il segnale umano più ricco di comunicativa) mostrandovi lieti di essere sul posto.

A questo punto iniziate con sicurezza!

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Come Parlare in Pubblico: il linguaggio del corpo degli ascoltatori.

Quando parliamo, la nostra voce, il nostro aspetto, i contenuti del nostro discorso trasmettono degli stimoli ai nostri ascoltatori, producendo in loro delle tensioni che possono riflettersi nel loro linguaggio del corpo.

Per l'oratore è quindi estremamente importante, durante la propria esposizione, tenere sotto controllo la comunicazione non verbale degli ascoltatori. Potrà così infatti verificare se il suo discorso sollecita l'attenzione, l'approvazione, la perplessità o il rifiuto da parte dell'uditorio e potrà, in corsa, decidere delle modifiche, come ad esempio lasciare più o meno spazio al dibattito o addirittura prevederlo, qualora non lo fosse stato.

La lettura della comunicazione non verbale naturalmente non e' una scienza esatta ed è bene non prenderne i principi alla lettera. Infatti, a volte, posizioni e gesti possono non avere nessun significato inconscio ma essere semplicemente causati da esigenze di tipo fisiologico.

Ad esempio, le braccia conserte sono senz'altro un segnale di chiusura che può essere fortemente rafforzato dalle mani che stringono saldamente le braccia e l'accavallamento stretto delle gambe. Esso però può essere sia determinato dall'avversione a quanto il relatore sta dicendo sia dalla sensazione di freddo!

Con l'invito quindi a non considerarli dei segnali univoci, ecco una "legenda" di alcuni segnali del corpo:

- muscolatura del volto e del collo rigida, fissità dello sguardo: non condivisione del messaggio ricevuto/sensazione di disagio nei confronti del relatore; - muscolatura del volto e del collo rilassata, espressione sorridente: reazione positiva; - se la testa viene tirata all'indietro e viene mantenuta in tale posizione è un segnale negativo; viceversa, diventa un segnale positivo, se viene tirata in avanti e mantenuta in tale posizione;

- la testa eretta con una mano accostata delicatamente al mento indica che si sta valutando il messaggio ricevuto e che non si è ancora formulato un giudizio preciso; - con movimenti a scatto della testa, di assenso o di diniego, quasi impercettibili ad un osservatore superficiale, una persona può far trasparire il suo atteggiamento nei confronti di ciò che ascolta;

- una mano che tiene stretto per il polso il braccio la cui mano è decisamente stretta a pugno indica una forte animosità (il pugno chiuso); desiderio di trattenersi (mano che trattiene per il polso l'altra che è chiusa a pugno). Il tutto potrebbe tradursi in un'ostilità silenziosa, oppure in un'interruzione o in un attacco animoso. Potrete osservare in quest' ultimo caso l'interlocutore che molla il polso nell'atto di prendere la parola. In bocca al lupo perché ciò non vi accada mai!

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Gestire bene il proprio tempo L'importanza delle attitudini

Il tempo è per tutti una risorsa scarsa; per questo è importante saperlo gestire bene. Saperlo gestire bene è il risultato di attitudini mentali, di capacità, di possesso di tecniche. Ad esempio, la capacità di saper cogliere immediatamente il vantaggio dei cambiamenti e delle innovazioni rientra nella prima categoria, il saper comunicare bene nella seconda, il conoscere e saper applicare le tecniche della direzione per obiettivi nella terza. E' perfettamente inutile utilizzare le tecniche della direzione per obiettivi e avere obiettivi sbagliati!

Saper individuare quali sono gli obiettivi giusti dipende, tra le altre cose, anche dalla nostra apertura ai cambiamenti. La capacità di saper cogliere il vantaggio dai cambiamenti, dalle innovazioni si e' evoluta moltissimo nel corso dei secoli nella società occidentale, ma rimane ancora largamente insufficiente di fronte all'incredibile velocità dello sviluppo della scienza e della tecnologia.

Il povero Galileo Galilei nel 1600, per aver affermato che era la terra a girare intorno al sole e non viceversa come si era ritenuto fino allora, fu torturato, accecato e costretto ad abiurare! Lo sviluppo di tutte le conoscenze legate a questa scoperta fu così molto rallentato; potremmo dire, utilizzando un concetto contemporaneo, che l'umanità di allora perse una bella quantità di tempo! Oggi, fortunatamente, non è più così ma tuttora i portatori di nuove idee vengono derisi o allontanati.

Nelle aziende, dove oggi ogni giorno cambia qualcosa, si registra ancora una diffusa resistenza al cambiamento a tutti i livelli. Da parte dei manager e degli imprenditori di fronte al mutare degli scenari, da parte dei collaboratori di fronte all'introduzione di novità di prodotto o di tecnologia, verso le quali sviluppano delle fortissime resistenze che spesso rendono faticoso e lungo il processo della loro adozione.

Un esempio concreto da interviste realizzate nella scorsa settimana dai principali quotidiani: alcuni noti imprenditori italiani hanno rilasciato dichiarazioni affermando di aver perso fatturato per la concorrenza dei prodotti cinesi e per non aver voluto produrre all'estero, anzi di non voler essere costretti a produrre all'estero. Altri invece affermano che la Cina è uno straordinario mercato, che produrre in Italia non ha più senso e che invece è importante mantenere e sviluppare le attività di servizi alla produzione, come ad esempio la progettazione. L'argomento è lo stesso, la Cina, ma la reazione è completamente diversa. Ci sono coloro che sono orientati a cogliere i vantaggi della nuova situazione, a fare i cambiamenti di mentalità e organizzativi necessari e coloro che invece vedono solo gli svantaggi e si arroccano in difesa.

Chi conosce la storia economica intuisce che, come da un'economia prevalentemente basata sull'agricoltura siamo passati ad un economia industriale, così accadrà, anzi sta già accadendo, il passaggio dall'industria ai servizi. I costi umani ed economici di questa trasformazione potrebbero essere molto limitati da una attitudine positiva verso il cambiamento, che attualmente nelle aziende è ancora un obiettivo largamente da conquistare. Pensiamo, ad esempio, al fuoco di fila di reazioni negative che si registra nelle riunioni di vendita dove vengono presentati nuovi prodotti o alle riunioni dove si presentano nuove modalità organizzative (ad esempio nuovi software da utilizzare). In molti casi le migliori energie vengono utilizzate per dimostrare che non potrebbero mai funzionare, piuttosto che coglierne immediatamente i vantaggi e poi dedicare, eventualmente, tempo a pensare come potrebbero migliorare.

Saper gestire il tempo parte quindi da una attitudine positiva verso il cambiamento e le innovazioni. Attitudine che ognuno di noi può sviluppare con l'allenamento della propria creatività.

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La grande abilità del gestire con arguzia il proprio tempo

E' stato calcolato che il tasso di efficacia dell'essere umano quando lavora è, mediamente, pari solo a circa il quaranta per cento del suo potenziale. Questo perché gran parte di ciò che fa si traduce in attività dì scarso rendimento e perciò in cattivo utilizzo del proprio tempo. Gestire bene il tempo significa, quindi, soprattutto, impiegarlo nelle attività di maggior resa. Inoltre per acquisire l'attitudine mentale alla gestione del tempo è utile attenersi a sei regole fondamentali:

1. Tendere al programmare, non all'improvvisareIl nostro rifiuto a programmare dipende spesso dall'idea di libertà che associamo all'improvvisare: in realtà è veramente libero chi sa pianificare e rendere il più possibile equilibrato e rispondente alle esigenze il rapporto tra il lavoro, il tempo libero e il divertimento. L'improvvisatore vedrà la propria libertà drasticamente ridursi all'avvicinarsi di scadenze o al sorgere di problemi.

2. Saper dire di no quando è necessario A volte ci assumiamo troppe responsabilità o prendiamo troppi impegni per non essere considerati male dagli altri e per timore di dare un dispiacere. Per evitare lo spreco di tempo conseguente a ciò è necessario imparare a dire "no" con disinvoltura e senza offendere.

3. Superare la paura del vuotoMolti non tollerano l'inattività perché sarebbero costretti a fermarsi a pensare ai propri problemi. Così non hanno mai tempo di affrontare e risolvere il problema della corretta gestione del tempo.

4. Liberarsi dall'attività coattaPiù si lavora e più ci sentiamo utili alla società. Se abbiamo ancora tre ore di lavoro mentre quello che dobbiamo fare ne richiede una, probabilmente cercheremo di impiegare tutte e tre le ore a disposizione. La nostra coscienza giudicherebbe come frutto di scarso impegno il godere del tempo che avanza.

5. Tendere all'azione, non al rinvioSi tende a rinviare l'azione per molti motivi, ad esempio la mancanza di scadenze, scadenze troppo lontane, il timore di conseguenze, la mancanza di motivazioni, la mancanza di voglia. E' necessario invece abituarsi ad agire.

6. Tendere verso l'autodisciplinaLe soluzioni possono essere facili da individuare ma non altrettanto facili da seguire. Gestire il tempo significa utilizzare tecniche che possono non coincidere con le nostre abitudini. L'autodisciplina è fondamentale per combattere con successo le abitudini non corrette.

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Come migliorare la conduzione del proprio gruppo

Negli ultimi anni le aziende indicano tra le priorità l'esigenza di potenziare e massimizzare le capacità dei propri manager di esercitare forme efficaci di leadership e di costituire e coordinare gruppi di successo.

Ecco sei consigli per migliorare i risultati del proprio gruppo:

Ascoltare in silenzio interiore: durante gli incontri evitare pregiudizi, capire stati d'animo e aspettative dei membri del gruppo, dar loro la giusta considerazione, al fine di valutare efficacemente consigli, critiche e suggerimenti e trarne il massimo frutto.

Definire obiettivi motivanti che siano pertanto: - inseriti e comunicati all'interno di una visione strategica, - condivisi e raggiungibili, - ambiziosi, - misurabili.

Verificare continuamente il livello di maturità e consapevolezza dei membri del gruppo relativamente a concetti quali "faccio parte di un gruppo", "conosco e condivido obiettivi e valori", "contribuisco con il mio lavoro al raggiungimento di questi obiettivi nel rispetto di questi valori", adottando le eventuali necessarie misure correttive.

Definire un sistema di riconoscimenti efficace, tale da far percepire attenzione e interesse alle motivazioni razionali e emozionali dei propri colleghi e collaboratori. A questo fine: - dare riconoscimenti anche al raggiungimento di fasi intermedie dell'obiettivo fissato; - darli secondo criteri che siano riconoscibili e coerenti, ovvero evitare favoritismi e differenze di comportamento che possono indurre a gelosie e rivalità e causare perdita di credibilità da parte del leader.

Impostare un sistema di delega efficace, definendone in modo chiaro e rigoroso obiettivi, confini, modalità e tempi di verifica.

Analizzare costantemente questi comportamenti, per migliorarli:

- ascolto efficacemente? - definisco gli obiettivi in modo che risultino ambiziosi, raggiungibili e motivanti? - riesco a farli percepire come inseriti in un contesto generale strategico a sua volta motivante? - ottengo dai miei collaboratori un livello di impegno e sforzo adeguato agli obiettivi? - realizzo un sistema di delega che sia accettato, potenzi le capacità dei miei collaboratori e massimizzi i risultati del gruppo?

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TECNICHE DI COMUNICAZIONECome gestire l'obiezione del cliente in una trattativa di vendita

Davanti alle obiezioni del cliente durante una trattativa di vendita vi sentite persi? Temete che le sue resistenze si trasformino automaticamente in un 'No'? Ecco allora un'utile mappa per orientarvi sulla direzione da prendere e sulle azioni più incisive da compiere quando la paura del rifiuto del cliente rischia di compromettere una trattativa...

Molto spesso nelle trattative di vendita il cliente avanza delle obiezioni che finiscono per causarne l'insuccesso. Questo accade quando il venditore vive quella "resistenza" come una sfida, una minaccia al raggiungimento dei propri obiettivi, e si lascia condizionare negativamente da questa percezione nel corso della trattativa. In realtà però l'obiezione non è altro che una risorsa, un'opportunità esplorativa che consente di individuare gli equivoci, gli aspetti da approfondire e quelli destinati alla soddisfazione di interessi e curiosità del cliente.

Nell'ambito di una trattativa di vendita, il venditore può trovarsi di fronte a due tipologie di "resistenza":

1. Affettiva: nasce dall'incapacità di accogliere osservazioni e progetti che si discostano dal proprio modo di porsi. In pratica, se il cliente contrasta i contenuti di una proposta commerciale non necessariamente la contesta da un punto di vista oggettivo e razionale, piuttosto può avvertire una distanza di interessi, desideri e finalità così rilevante da convincersi dell'incapacità del venditore di cogliere e soddisfare i suoi fabbisogni esistenziali.

2. Logica: ha carattere razionale e si manifesta quando il cliente mette in discussione la validità logica degli argomenti a supporto della trattativa e non riconosce i vantaggi legati alla decisione d'acquisto.

Quando il venditore riconosce l'uno o l'altro tipo di obiezione acquisisce un asso nella manica con cui predisporre una comunicazione su misura per il cliente, che si avvicina "al suo mondo soggettivo" nel primo caso ed è efficace sul piano razionale nel secondo. Dopo aver capito il vero significato dell'obiezione, diventa fondamentale per il venditore gestirla in modo ottimale.

Studi recenti sulla gestione delle obiezioni indicano come la loro analisi può essere condotta da cinque prospettive diverse:

1. PERCHÉ: Qual è il senso dell'obiezione, qual è l'intenzione comunicativa dell'interlocutore?2. COSA: Quale aspetto viene obiettato?3. COME: Il cliente chiede input informativi? Ha un atteggiamento costruttivo o distruttivo?4. QUANDO: Interviene fin dall'inizio della trattativa o manifesta resistenze solo quando si toccano i punti nevralgici (prezzo, servizio, etc.)?5. SCOPO: Promuove una costruzione congiunta di opinioni o tenta solo di imporre il suo punto di vista?

Se il venditore riesce a rispondere a queste domande il suo atteggiamento nei confronti del cliente risulterà decisamente più efficace.

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Inoltre, una corretta gestione delle obiezioni si verifica quando vengono rispettati quattro accorgimenti:

1. Favorire il senso di appartenenza, ossia ricondurre quello che si dice all'esperienza percettiva e mnemonica del cliente;

2. Favorire l'apprendimento costruttivo ripetendo le proprie argomentazioni, prima di passare ad argomenti diversi. Per ripetizione non si vuole intendere la reiterazione costante e continua di un determinato tema ma il suo esame critico e dettagliato, così da evitare, nella dimostrazione di vendita, carenze informative e difficoltà di comprensione che potrebbero determinare l'insuccesso della trattativa;

3. Mantenere un atteggiamento orientato al cliente, facendo associazioni frequenti con il suo vissuto e procedendo verso il significato che certe parole hanno per lui prima che per noi;

4. Parlare sempre degli effetti a cui si va incontro facendo delle scelte anziché altre. Questo espediente aiuta a creare nel cliente immagini sensoriali, inducendolo a percepire meglio il valore del prodotto oggetto della trattativa. In tal modo, il venditore potrà affrontare la trattativa tenendo sempre ben presente la mappa percettiva del cliente, in modo da riuscire a mediare e ristrutturare anche le posizioni più rigide.

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APPENDICE

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L'apprendimento continuo.Per imparare sempre ed educarsi al cambiamento.

Con l’espressione "apprendimento continuo" si intende una filosofia di vita, già rintracciabile negli antichi (come Platone, Aristotele, Seneca, Sant'Agostino, …), e secondo tale filosofia apprendere lungo tutto l'arco dell'esistenza, fino all'estrema vecchiaia, è un bisogno umano, una fonte di benessere per la persona, una necessità per la mente, una modalità per continuare ad esercitare funzioni socialmente utili.

L'apprendimento è intenzionale quando indica un voler essere e un voler fare del soggetto che apprende, quando sottolinea la ricerca delle risorse che consentono alle persone di crescere, di migliorare, di promuoversi sia in senso culturale e professionale, sia in senso morale. L'apprendimento è ambientale quando concepisce il vivere e le esperienze delle persone come fonte inesauribile di apprendimento, in quanto:ogni contesto di convivenza contribuisce ad influenzare a plasmare le persone (e ciò significa che l'educazione è anche condizionamento reciproco); pensare e ragionare a ciò che ci accade quotidianamente è già un modo di apprendere, perché funzionale a scegliere, a decidere, a vivere con gli altri.

Apprendere oltre la scuolaL'apprendimento è continuo, l'educazione è riflessione e autoriflessione, se ogni evento vissuto dal soggetto diventa occasione per ripensare (a ciò che gli accade) e ripensarsi (come soggetto responsabile). L'educazione impartita negli anni giovanili ha il compito di preparare il futuro cittadino ad assumere conoscenze, abilità e competenze tali da garantirgli la possibilità di continuare ad apprendere per tutta la vita, come elemento necessario e vitale alla sua esistenza di persona, di membro di una comunità, di lavoratore.

La scuola dovrebbe, quindi, contribuire sviluppare capacità e competenze durevoli che possano mettere in grado le persone di adattarsi ai cambiamenti (culturali, sociali, economici, scientifici, tecnologici,…) e di controllarli e di provocarli responsabilmente.L'educazione degli adulti è il "processo grazie al quale persone che non frequentano regolarmente e a tempo pieno la scuola, s'impegnano in maniera continuativa in attività organizzate con la chiara intenzione sia di migliorare informazioni, conoscenze, comprensione, qualificazione, capacità di giudizio e attitudini, sia di individuare e risolvere problemi personali o comunitari" (Liveright e Haygood, 1969).

Il mondo come sistema formativo integratoSe i compiti della scuola sono quelli di consegnare gli strumenti intellettuali di base (le conoscenze, i metodi, i linguaggi), per poter vivere in una società complessa, l'apprendimento continuo non si collocherà in un solo luogo, ma si diffonderà ovunque là dove le persone apprendono.Accanto alla scuola, nelle azioni educative e formative così diffuse e permeanti, hanno compiti precisi i mass-media, il mondo del lavoro, le organizzazioni sindacali e professionali, le forze imprenditoriali, le realtà della cultura e della politica. E primariamente: le famiglie e le comunità locali.

In senso unitario, l'educazione permanente si pone come:educazione totale, per rispetto dovuto ogni essere umano; educazione integrale, per la necessità di cogliere l'unità dell’essenza umana;educazione alla critica, per educare al progresso commisurato sul valore della persona;educazione alla sintesi operativa, per educare alla originalità;educazione al dialogo, l'educare alla tolleranza sollecitata da una concezione pluralista.

Un'ora il giorno … per continuare ad apprendere

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L'impegno per il nuovo secolo è di assicurare "il diritto minimo universale di un'ora al giorno per tutti e in tutte le parti del mondo, un'ora che ogni persona può dedicare, liberamente e senza priorità imposte da nessuno, alla cura del proprio sviluppo intellettuale e delle proprie socialità".

Ciò comporta che coloro che hanno responsabilità di governo, sia a livello nazionale che a livello locale, e quanti hanno poteri organizzativi in ambito sociale, pongano al centro delle strategie formative il diritto di ogni persona di far emergere la propria domanda di educazione e di essere messa in condizione di poter promuovere e sviluppare il proprio processo formativo. (lifelong learning Amburgo, luglio 1997)

La formazione per la professioneLa formazione professionale rientra nel più ampio spettro della educazione degli adulti e designa le azioni di carattere formativo che hanno per scopo i cambiamenti nell'operatività, nei comportamenti, negli atteggiamenti e negli stili professionali. Tali cambiamenti sono collegati, o sono necessari, per compiere un insieme di azioni che configurino un compito, un ruolo, una responsabilità.

Questo tipo di formazione può essere suddivisa in due grandi categorie: la formazione di adattamento, per l'acquisizione di operazioni semplici che rispondono ai bisogni di un lavoro specifico (il soggetto durante la formazione deve apprendere ciò che gli è necessario per eseguire correttamente un nuovo compito ovvero la prestazione desiderata);

la formazione professionale, per l'acquisizione di competenze per agire adeguatamente in un determinato settore professionale nel governo e nella prefigurazioni delle innovazioni, attraverso specifici programmi di formazione che preparano ad un insieme complesso di compiti, abilità analitiche e decisionali.

Impara un adulto? Solo se ne vale la pena!Senza entrare nelle specificità dell'andragogia (o pedagogia degli adulti), va sottolineato il ruolo fondamentale dell'esperienza: la formazione dell'adulto è la sintesi della dialettica e del confronto, nell'investigazione sistematica, che si instaura fra la sua esperienza, le sue conoscenze e le informazioni che possiede, da una parte, e le nuove conoscenze, le nuove esperienze e le nuove informazioni che il processo di formazione apporta, dall'altra.

La partecipazione dell'adulto ad un processo di formazione è frutto di una scelta cosciente e consapevole: egli è fin dall'inizio motivato, e la motivazione trova le sue origini:

a livello professionale, nelle aspettative o nelle aspirazioni che sono la conseguenza della presa di coscienza del gap di competenze (cognitive, tecnologiche, operative) per svolgere meglio il proprio lavoro;

a livello personale, nelle opportunità della formazione come mezzo di soddisfazione dei suoi bisogni o di raggiungimento dei suoi ideali.

In definitiva, un adulto impara se, e soltanto se, percepisce che la fatica dell'imparare vale la pena per la sua crescita personale o professionale. Impara se, e soltanto se, ciò che gli viene presentato trova collegamenti e connessioni con la sua esperienza passata, di vita o di lavoro. Impara se, e soltanto se, riesce a dare senso al nuovo che si integra con ciò che già possiede.

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:::: Marco A. Rovatti

FORMATORE SENIOR AZIENDALE ESPERTO IN SCIENZA DEL COMPORTAMENTO CONSULENTE IN RETAIL MARKETING

− DOCENTE ACCREDITATO REGIONE LOMBARDIA

− FORMATORE AZIENDE SANITARIE CITTA' DI TORINO

− FORMATORE BANCA POPOLARE EMILIA ROMAGNA

− FORMATORE GRUPPO BANCO POPOLARE

− FORMATORE GRUPPO LRA

− FORMATORE CENTRO STUDI BANCARI SVIZZERA

− ISCRITTO ALL'ALBO DEI FORMATORI FORMEZ Ministero per le Riforme e Innovazioni nella P.A.

− AUTORE PER ILSOLE24ORE BUSINESS MEDIA

− ANIMATORE REGIONALE MINIRUGBY

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