ALLA RICERCA DEL SE’ Antico e Primitivo Rito...

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ALLA RICERCA DEL SE’ ALLA RICERCA DEL SE’ - Gennaio 2017 - Gennaio 2017 Antico e Primitivo Rito Orientale Rettificato di Mitzraїm e Memphis Sovrano Gran Santuario Byzantium A A l l l l a a r r i i c c e e r r c c a a d d e e l l S S E E Anno IV Gennaio 2017 N.1 La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri del Rito. Stampato in proprio Viene riportata anche in Internet, sul sito dell'Antico e Primitivo Rito Orientale Rettificato di Mitzraïm e Memphis: http://www.mitzraimmemphis.org/

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ALLA RICERCA DEL SE’ ALLA RICERCA DEL SE’ - Gennaio 2017- Gennaio 2017Antico e Primitivo Rito Orientale Rettificato

di Mitzraїm e Memphis

Sovrano Gran Santuario Byzantium

AAll llaa rr ii cceerrccaa

ddee ll SSEE’’ Anno IV

Gennaio

2017

N.1

La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri del Rito.

Stampato in proprio

Viene riportata anche in Internet, sul sito dell'Antico e Primitivo Rito Orientale Rettificato di

Mitzraïm e Memphis: http://www.mitzraimmemphis.org/

ALLA RICERCA DEL SE’ ALLA RICERCA DEL SE’ - Luglio 2016- Luglio 2016

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SOMMARIOSOMMARIO

ACCENNI RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI DEL NOSTRO PERCORSO

S... G... H... S... G... M... - pag.3

SVILUPPO INTERIORE E MEDITAZIONE - Hathor Go-Rex - pag.8

L’ALTRO - LO SPECCHIO - Lisetta - pag.13

AVINU MALKEINU SHEMA KOLEINU - Menkaura - pag.19

Redazione

Direttore Responsabile: Renato Salvadeo - via Bacchiglione 20 - 48121 Ravenna

AALLA RICERCALLA RICERCA

DEL SE’DEL SE’intuizione della conoscenza e conoscenza dell’intuizione

AAccenni riguardanti

alcuni aspetti

del nostro percorso

Il S.Il S. .. .G..G. .. .H..H. .. ..S.S. .. .G..G. .. .M..M... ..

RR icordo che tanti anni addietro, assieme ad

altri giovani coetanei (maschi e femmine) ciritrovammo ad esplorare diversi ambienti che siproponevano come continuatori di particolariscuole che si occupavano di quel mondo varie-gato che nell’immaginario collettivo vienegenericamente definito come “nascosto” macontemporaneamente anche di altre disciplinericonducibili alle metodologie orientali.Fortunatamente non c’era un’offerta così varie-gata e confusa come oggi, conseguente all’e-splosione commerciale favorita dalla New Age,per cui, ogni volta che si provava ad esplorareun particolare esperienza, si poteva avere adisposizione con buona probabilità, un ambitoriconducibile al filone originale specifico.Con il senno di poi, sono arrivato a concludereche, seppur con sensibilità forse diverse, siveniva benevolmente accolti ovunque in quantofacilmente identificabili come giovani individuiche volevano veramente cercare conoscenza everità.Era ovvia l’egocentrica mentalità profana chesenza dubbio ci caratterizzava, ma probabilmen-te traspariva contemporaneamente, tra luci edombre, anche un ingenuo, istintivo desiderio diritrovare quei personali stati di coscienza equelle capacità dell’animo umano che consento-no d’intuire sempre di più ciò che può svelarsioltre la materia. In tal modo si formarono piacevoli rapporti diricerca e non era affatto raro che ci si ritrovassea disquisire sino a notte inoltrata su quanto ilmaestro o la maestra di turno ci stavano elar-gendo, probabilmente con l’intento di risveglia-re le predisposizioni latenti in ognuno, affinchè

ci si potesse avviare con sempre maggiorconvinzione a provare di liberarsi daquegli ostacoli (particolari e diversi perciascuno) che impediscono di elevarsi aldi sopra delle esigenze della materia e di

penetrare nei mondi sottili.Sono convinto che in tal modo, anche loro(come altri fanno anche oggi), stessero cercandodi onorare un importante impegno che sicura-mente avevano preso a suo tempo (non si spie-gherebbe altrimenti l’entusiasmo e la disponibi-lità). Stavano cercando di tramettere un lascitonon solo tecnico e culturale che in alcun mododoveva essere lasciato dissolversi.Come ho accennato sopra, forse in questo perio-do la situazione è un poco più caotica, compli-cata da interazioni ritmate in modo sempre piùnevrotico, irrobustite da edonismi, da egocentri-smi che non di rado sfociano in cadute di stile senon addirittura in accenni di maleducazione,sino a qualche anno addietro, impensabili.

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Druido e bambino -Andrey Shishkin 2013

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Ad esempio, giusto per accennare a qual-che cosa di banalmente semplice, tuttinoi potremo notare che l’uso ormai sim-biotico del telefono cellulare porta alcu-ni soggetti ad interagire freneticamente con ilmodo che li circonda. Lo fanno in modo talmen-te assiduo da mostrare attraverso tali azioni,senza che se ne accorgano, risvolti della loropersonalità. Così, se uno non risponde, magarivedendo chiaramente chi lo stia contattando(forse anche chi lo chiama, ne è consapevole) ose risponde in un certo modo ad una chiamata,ad un messaggio, questa variabile modale, peruna sensibilità attenta, può divenire rivelatoriadi tante cose; se poi si tiene anche conto di unaeventuale difficoltà ad onorare gli impegni e laparola data, credo lo divenga ben più di qualsia-si altra informazione.Nel passato c’erano altre manifestazioni relazio-nali, magari altrettanto bizzarre, ma oggi dob-biamo tener conto anche della velocizzazionedelle comunicazioni nel mondo materiale. Però, le altre opzioni, in livelli diversi dallamateria, credo siano sempre le stesse.Per tale motivo, quando si perviene ad un con-tatto con un ambito come il nostro, sarà cura dei

Maestri tenere conto di tutto ciò, allor-chè cercheranno di far comprendere inmezzo ad una selva di notizie (spessocacofoniche e devianti) che la nostra via

non è una religione e che non chiede atti di fedea nessuno. Infatti non deteniamo alcuna rivela-zione da elargire, non abbiamo dogmi da impor-re, ma supponiamo semplicemente di avere adisposizione un metodo dignitosamente efficaceper consentire a chiunque lo desideri veramente,di riuscire a “conoscere”. Che cosa e quanto saràapprofondito, dipenderà solo da chi ci proverà.Avvisiamo comunque tutti, prima di qualsiasiaccoglimento, che tale metodo è finalizzato aduna ricongiunzione spirituale con il Creatore(comunque lo si voglia chiamare) per chi lodesideri, tramite una particolare autorigenera-zione della propria personalità; quindi si tieneconto, sia di un’ipotesi di esistenza oltre lamateria, che di un’immanenza creativa (l’intui-zione di tutto ciò è alla base di partenza delnostro percorso). Conseguentemente, atei, nichi-listi, negazionisti, ecc. non troverebbero nullad’interessante tra noi. Anche il nostro Rito come tutti i percorsiIniziatici Tradizionali, tiene in grande conside-

razione il simbolismo del Binarioe dell’opposizione (è qualchecosa che si ritiene debba esseresviscerato e conosciuto nel modopiù approfondito possibile). Se cisi pensa un poco, si può notareche proprio questo riferimento,che sembra indicare la distruzio-ne dell’equilibrio, è quello chepalesa le leggi poco note dellaForza universale, che è sparsaovunque e che nella sua essenza,è visibile dappertutto.Si tratta di due forze di paripotenza ed importanza, apparen-temente opposte l’una all’altra,ma che possono trovare armoniz-zazione mediante un elementointermedio, straordinario, chespesso viene rappresentato da unTernario luminoso, ma che soven-

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San Giorgio ed il Drago- Salvator Dalì, 1942

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te rimane misterioso ed incomprensibileper chiunque (nella sua essenza e funzio-ne), almeno fino a quando non sarannointervenute quelle modifiche della perso-nalità, conseguenti alle ineludibili esperienzeinteriori, illustrate simbolicamente dalle se-quenze dei colori alchemici. Quindi, l’equilibrionon è affatto facile da realizzare, dal momentoche la comprensione, in ambito di ricerca inte-riore e quindi spirituale, passa inevitabilmentedalle esperienze vissute (interiori ed esteriori).Ad esempio, credo sia facilmente intuibile chepermanendo nella materia, sarà abbastanza diffi-cile che un uomo possa comprendere qualchecosa di una donna e viceversa, fino a quandonon si avrà sviluppata una forma di empatia par-ticolare. Comunque, anche se ciò accadesse (ipotesiaffatto scontata), la comprensione rimarrebbemolto limitata, in quanto nessuno dei due avràmai vissuto in funzione del programma geneticodell’altro (sia fisico, che spirituale).Da questi sintetici e forse grossolani accenni,si può intuire come qualsiasi percorso iniziati-co possa rivelarsi complicato (sia per i Maestri,che per gli allievi) a causa della dicotomia chein caso di personalità egocentriche, rende ine-vitabilmente ciechi ed intolleranti nei confron-ti degli opposti (chi affermasse il contrario,molto probabilmente mentirebbe prima di tuttoa sé stesso). Qualche cosa del genere la si puòosservare nei cosiddetti percorsi misti dove ilriferimento della Maestranza necessità di cono-scenza e di equilibrio interiori particolarmenteconsolidati, uniti a caratteristiche di sensibilitànon comuni. Quando ciò non è presente, si rica-de inevitabilmente nei peggiori problemi delladicotomia e del vivere socialmente nella mate-ria, in cui uno forza l’elemento opposto a con-siderarsi meno importante e come programmaformativo a scimmiottare più o meno consape-volmente le caratteristiche psicofisiche e spiri-tuali del proprio.Un esempio eclatante lo si nota quando ledonne vengono forzate a divenire “eroici guer-rieri” e gli uomini a divenire “vestali o sibille”.Ovviamente non va meglio nei percorsi separa-

ti, dove avendo metodi formativi funzio-nali all’elemento solare od a quello luna-re, si potrebbe essere indotti (permanen-do nell’ignoranza, a prescindere dalle

iniziazioni subite) a supporre una superioritàdell’uno o dell’altra (quindi, sbagliando dinuovo). Per la cronaca, negli ambiti dei percorsi iniziati-ci, esistono tutte e tre le tipologie metodologi-che e formative, addirittura anche negli stessiambiti massonici (noi ne costituiamo una testi-monianza, nonostante alcuni, non troppo infor-mati, ritengano che non sia vero, o giusto).Considerando che questi problemi esistono esono molto concreti, credo che chiunque siaccinga a bussare alla porta di qualche strutturaoppure vi sia entrato “avventatamente”, nonsarebbe male se si fermasse un pochino a medi-tare e capire bene cosa cerca, dove si trova (esoprattutto perché), prima di decidere cosaaccingersi a compiere di nuovo. Non sarebbeaffatto tempo perso.

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Dicotomia complementare - Michael Cheval, 1966

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Come sempre, mi limito solo a suggerireprudenza ed utilizzazione dell’intelletto.Soffermandoci un poco sulle informazio-ni riguardanti i percorsi separati, per chinon ne fosse ancora a conoscenza, va precisatoche Gastone Ventura di cui ci onoriamo di esse-re discendenti spirituali ed iniziatici, all’iniziodegli anni ’70, risvegliò, dopo un secolo diassonnamento, il Rito femminile androgino cheoperava con i rituali suggeriti da Cagliostro,intrecciati intimamente a quelli Isiaci delMisraÏm di Venezia. Sebastiano Caracciolo poi,durante la sua lunga Gran Maestranza, contribuìa renderlo forse più fruibile tramite la messa apunto di quel Rito che chiamò non più androgi-no, ma d’adozione, in modo da evitare equivoci;ne aumentò il numero delle camere, suddividen-do quelle originali, per consentire una più lentaprogressione e, ad esempio, una maggiore con-

sapevole acquisizione degli strumentitipicamente femminili della “veggenza”o di alcune operazioni teurgiche/kabbali-stiche.

Oggi quindi, le nostre Sorelle continuano aricercare sotto la guida delle Venerabili Maestre,lavorando in diverse località d’Italia, ma ancheall’estero, in ambiti esclusivamente femminilidove l’apporto maschile è limitato ad un solosingolo soggetto, emanazione diretta del GranMaestro e portatore del fuoco spiritualedell’Ordine e del Rito. Concludo questa breve dissertazione sul nostroRito, accennando ad un argomento ben noto, nonsolo a coloro che camminano sulla nostra via, inquanto è una tipica estensione dell’animo mate-riale. Alcuni bussano alla porta di una strutturainiziatica con delle aspettative, dei pregiudizi,con delle fantasie che non di rado traggono ori-gine da esigenze passionali particolari.Per esempio, si creano l’aspettativa per lo piùinconscia, di trovarvi non delle persone impe-gnate in una ricerca di conoscenza, di verità, madei superuomini: maghi, santi, stregoni, angeli,demoni, ecc. tutti mescolati in una sorta disupermarket del paranormale e dell’occulto.Insomma, delle persone e degli strumenti chesappiano rispondere alle loro personali aspetta-tive e soddisfarle. In tali casi, affatto rari (anzidirei che la maggior parte dei bussanti si pre-senta in questo modo) è necessario essere pru-denti per cercare d’individuare in mezzo allanormale cupidigia materiale, se brilli a suffi-cienza quella scintilla luminosa che consentiràpoi di provare a trasformare la personalità, libe-randola dai veli, dai gusci dell’animo materiale.Ovviamente per tutti (non escludendo nessuno,all’inizio), l’egocentrismo e la megalomaniadell’IO è evidente; infatti, se si cerca d’impos-sessarsi di cose straordinarie per risolvere sola-mente i personali problemi materiali, ci si vor-rebbe considerare superiori agli altri uomini, equindi si potrebbe trovare già appagante, per lomeno in prima istanza, il fatto di esibire almondo etichette che mostrino un’appartenenzaall’élite dei presunti superuomini (demoni osanti che siano) e magari tentare, per lo meno, di

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Vestali - Jean Raoux, 1727

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ricavarne qualche compensazione psico-logica o di realizzare programmi di sca-late economico-sociali, entrando in chis-sà quali stanze dei bottoni.Se si è più resistenti al cambiamento, si puòvedere spesso anche il cercare di circondarsi disprovveduti, di ingenui, per affascinarli e mani-polarli tramite l’esibizione di una pseudosapienza, di un sapere preso a prestito, presenta-ti come saggezza o santità personali. Si può pre-ferire però anche il metodo d’intimorire,lasciando intendere con parole ed atteggiamentiscenograficamente misteriosi, di essere addirit-tura un segreto negromante.Dovrà risultare chiaro che se non esisterà a suf-ficienza, anche quell’accenno di indispensabileluminosità dell’anima, continuamente supporta-ta da un genuino desiderio e da una fortevolontà, sarà molto probabile che non avverràalcuna modifica della personalità. Così, a pre-scindere dal subire molteplici iniziazioni e dal-l’addobbarsi con vesti più o meno strane da uti-lizzare in psicodrammi rituali, si rimarrà fru-strati, dal momento che non saranno state asse-condate le debolezze di cui per lo più, come hogià accennato, non si è neppure abbastanza con-sapevoli: desiderio di potenza, vanità, accidia,ingordigia, vendetta, vituperio, maldicenza,insubordinazione, ecc.Sarebbe auspicabile che gli aspiranti (maschi ofemmine che siano), se non riuscissero a diveni-re dei normali adepti, non trovando nel nostropercorso alcuna oggettiva gratificazione rispettoalle esigenze di cui sopra, si allontanasserospontaneamente ed in modo celere.Infatti, se ciò non dovesse avvenire, il persiste-re di incompiutezze, di difetti, di tare, ecc.costituirebbero un inserimento nella nostra cate-na egregorica di uno o più anelli anomali che nealtererebbero l'armonia, contribuendo ad intral-ciare, ritardare, deviare il lavoro degli altri com-ponenti di un Triangolo o di una Loggia in cuifossero stati accolti. In caso di congruo numero,l’Ordine stesso sarebbe pervaso da vibrazioniindesiderate ed in qualche modo nefaste.L’allontanamento spontaneo, all’inizio del per-corso, sarebbe un bene anche per quelli che per

lo meno, così non si ritroverebbero dopolunghi periodi di permanenza in mezzo anoi, a constatare di aver perso tempo, dinon aver soddisfatto nulla o quasi delle

proprie aspettative, e quindi per reazione alasciarsi andare in inutili manifestazioni emoti-ve di depressione, di disillusione, se non di rab-bia verso sé stessi e verso chiunque li circondi.Ho accennato a tutto ciò con il solito consuetointento di invitare prima di tutto me stesso, afermarsi a pensare sempre più lucidamente, cosìcome è previsto nell’armonia nel nostro metodo.Forse facendolo, si potrebbe acquisire qualchealtra scintilla di consapevolezza per comprende-re chi siamo e cosa stiamo facendo.

Il S.Il S. .. .G..G. .. .H..H. .. ..S.S. .. .G..G. .. .M..M... ..

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La meditazione - Luigi Secchi, 1910

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SSviluppo interiore

e meditazioneHathor Go-Rex Hathor Go-Rex

NN ell’epoca in cui viviamo, vista l'impronta

materialistica, scientifica e tecnologica checaratterizza la cultura occidentale, una discipli-na quale la meditazione viene spesso sottovalu-tata o, peggio, catalogata come futile perdita ditempo. Tale idea, sommata al vortice freneticodi impegni da cui siamo quotidianamente trasci-nati, non fa che accentuare il già ampio distaccoche l'era odierna impone dal nostro essere spiri-tuale. Ben sa invece chi ha intrapreso un realepercorso iniziatico quanto la disciplina mentalesia importante per l’educazione individualequale modo per tornare a rapportarsi col proprioSé più profondo e trascendente. La meditazioneè una vera e propria tecnica capace di svincola-re pian piano l’organo celebrale dai sensi ripri-

stinandone l’uso corretto e permettendocosì all’individuo di permanere in unostato di “silenzio” interiore e nel qualepossa quindi palesarsi l’esperienza del

mondo spirituale. La capacità di meditare è unaconquista ardua soprattutto per l’uomo occiden-tale che, diversamente da quello orientale, ne èculturalmente disabituato. Al di là del personalemetodo di sviluppo in grado di apportare un ade-guato dominio del pensiero, la concentrazioneprima, e la meditazione poi, sono da considerar-si prerogative indispensabili per chiunque inten-da intraprendere un sano percorso di ascesi,altresì si corre il rischio di divenire visionari,facili prede di illusioni, fanatismo o peggioinconsapevolmente assoggettati alle forze osta-colatrici e contro-iniziatiche. Esercitandosi concostanza e perseveranza nel mantenere l’atten-zione su di un determinato oggetto, inizialmenteper pochi minuti e cercando poi di svilupparetale capacità espandendola ad ogni mansionequotidiana, potremo via via imparare a domina-re il consueto divagare della mente, mantenerequiete ed equilibrio interiore ed entrare così incontatto con il mondo sovrasensibile.

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Meditando, non sognando - Cameron Gray, 2013

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La meditazione è quindi un processo dieducazione, o di autoeducazione, evoca-to e ricercato dalla naturale predisposi-zione dell’uomo volta alla ricerca inte-riore, di conoscenza e ricongiungimento con ilproprio Sé, punto che presuppone quindi l'ideache ogni essere umano sia dimora di un’entitàspirituale cosciente che si esprime nel mondo

della manifestazione attraverso gli statiemozionali e mentali correlati agli sti-moli corporei. La meditazione è quindiuna tecnica capace di farci ritrovare il

contatto con la nostra anima attraverso il domi-nio dei sensi e la disidentificazione dalla corpo-reità cui siamo assoggettati. L’educazione delpensiero sgorga naturalmente verso uno statodell’essere fiorente di una nuova consapevolez-za interiore capace di riconoscere e discerneregli istinti, conscio e desideroso di asservire unapiù elevata finalità e delle conseguenti respon-sabilità che ciò implica. Tale percorso di perfe-zionamento interiore eleva l’individuo dallamassa in un processo irreversibile, la perdutaignoranza darà un peso maggiore alle nostreazioni che necessariamente dovranno esseredirette da un amore altruistico, svincolate dal-l’egoismo e intrise di un’innocenza che andràdolorosamente conquistata. La reintegrazionecon il Divino è un processo a cui volge ognianima, tale è il fine delle esperienze vissutelungo il corso delle rinascite, un’autocosciente elibera riunione con il Padre nell’armonia delleSue leggi. Il risveglio del Sé e la sua manifesta-zione creativa nel mondo avviene poco per voltanell’acquisire consapevolezza della nostra origi-naria natura attraverso il ripristino delle qualitàinsite in ognuno di noi, attraverso la meditazio-ne e le esperienze della vita, impareremo a vive-re sentimenti quali sofferenza, desiderio, bramaper ciò che devono essere, ossia metodi di inse-gnamento, di correzione, di elevazione di eman-cipazione dall’involucro corporeo fino a perce-pirlo per ciò che è, un vestito, una guaina manon l’Essere il cui centro di coscienza non stanel regno materiale ma in quello spirituale.Mediante l’esercizio costante della meditazione,associata allo studio e alle esperienze che la vitaci mette a disposizione, si potrà cominciare apercepire il rapporto e l’interazione delle pro-prie energie con quelle della natura e di tutti gliesseri rompendo il guscio dell’individualità, lamente altro non è se non la chiave che può por-tare l’uomo moderno alla comprensione dellatrascendenza nonché lo strumento affinché essasi manifesti.

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Nella ferocia del buio - Milica Acimovic, 2004

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Con il progredire dell’evoluzione umanala sfera mentale ha via via preso natural-mente forza e dominio sull’essere spiri-tuale, orientandolo ed assoggettandolocon forza sempre maggiore agli stimoli fenome-nici corporali, creando in tal modo un vero eproprio squilibrio interiore, una lotta, una scis-sione tra desiderio dell’animo e del corpo. Ilripristino del giusto orientamento dell’indivi-duo, basato quindi sulla sua vera natura, ossiaquella trascendente e non corporea, vedrà unosviluppo ed un’espansione di coscienza primaimpensati, e la fruizione di chiavi un tempoinaccessibili. Il desiderio che spinge alla conoscenza e ilnecessario sforzo affinché questo avvengasaranno il motore verso la nostra autocoscienza,la meditazione il mezzo, la mente lo strumento.Tale indirizzo è un vero e proprio riorientamen-to delle nostre energie che andranno volte dal-l’esterno all’interno e quindi dalle manifestazio-ni alle forze da cui vengono mosse, ossia dalmondo delle manifestazioni a quello delle cause.Imparando a trascendere la dualità nonché lascissione che le for-ze sensibili esercita-no in noi potremovolgerci verso unareintegrazione liberae autocosciente conl’Uno. Tale percorso neces-sita di tempo, disci-plina e pazienza, ilreale sviluppo inte-riore non avviene daun giorno all’altro,nè in modo improv-viso, ancor meno mi-racolosamente ma at-traverso vari stadi, inmodo ordinato, in unsusseguirsi di imper-cettibili modificazio-ni, piccoli dettagliprima invisibili cheman mano arricchi-

ranno il mondo che ci circonda, compe-netrandolo. La meditazione non è quindiné una forma di preghiera né un atto pas-sivo come molti erroneamente credono,

ma uno stato attivo e recettivo di coscienza,mediante il quale il Divino può rivelarsi in noi.Il processo meditativo si sviluppa in varie fasi ostep quali: la concentrazione, l’atto di focalizza-zione mentale, la meditazione, ossia la focaliz-zazione prolungata e sfociante nella contempla-zione, un percepire puro che agisce direttamen-te sull’anima recante illuminazione e ispirazio-ne; tale è il percorso che conduce alla riunionecon la Divinità, attraverso una conoscenza diret-ta e acquisita. La fase iniziale, quindi la pratica della concen-trazione, è uno step fondamentale per acquisireil controllo mentale necessario al successivosviluppo, imprescindibile da un sincero deside-rio di ascesa, un’aspirazione che deve essere tal-mente forte da non lasciare che lo scoraggia-mento impervi se i risultati non saranno imme-diati poiché, per fruirne, è fondamentale averecostanza e pazienza.

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Mente e coscienza - digital art

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Con tale pratica si svilupperà in noi unanuova consapevolezza, saremo desti erecettivi ai fenomeni, alle vibrazioni,alle forze che ci circondano scoprendopian piano un mondo che prima, totalmente con-centrati e assoggettati a noi stessi e a una menteindisciplinata, seppur esistente, ci era del tuttoinvisibile. Queste nuove percezioni si andrannovia via ad acuire nel tempo e con la pratica,arricchendo il mondo della manifestazione chenon sarà né rifiutato né abbandonato come pen-sano in molti ma che acquisirà semplicementenuove sfumature e visto con occhi e prospettivediverse, più ampie, meno ottuse e superficiali.Tale condizione non farà di noi dei sognatori,anzi, ci renderà individui desti, pratici e obbiet-tivi, al contrario, se il percorso di sviluppo dellequalità sovrasensibili non sarà svolto in modocorretto o con i mezzi e i tempi adeguati si

rischia invece di avere una percezionedistorta causa di una mancata o inade-guata disciplina mentale e divenire in talmodo preda di deleterie fantasticherie,

fanatismi incontrollati e irrazionali sfocianti inveri e propri psichismi e deliri.Una corretta pratica della concentrazione e dellameditazione poi, può essere un vero e propriotoccasana per affrontare al meglio la frenetica econtinua tensione cui ci sottopone la societàodierna, una tecnica che ci permette in ogniistante, in ogni luogo e in ogni situazione diimmergerci in noi stessi, in un centro di pace equiete che vige costante nelle profondità delnostro essere; la possibilità di ritirarsi nel pro-prio silenzio interiore è una conquista preziosae importante che apporta molti vantaggi come adesempio il pensare con più chiarezza, l’affronta-re le situazioni col dovuto distacco e la possibi-

lità di cogliere e registrare leimpressioni del mondo spiri-tuale nella loro forma piùpura, prive di distorsione oconfusione poiché, comespiega Massimo Scaligero:non è la civiltà a condiziona-re l`uomo; il condizionamen-to non è fuori di lui, ma den-tro di lui, nel suo pensiero, ilquale manca della dimensio-ne interiore del comprender-si. La doppia natura, animalee spirituale, che ci costituiscecrea le contraddizioni chequotidianamente sperimentia-mo e il corpo astrale, media-tore tra corpo e anima, gover-nato dagli istinti inferioriquali impulsi naturali dibrama e sopravvivenza, do-mina l’individuo privo di unaqualsiasi disciplina interiore.In tale errata gerarchia si celaquindi l’errore umano e nel-l’invertirla il giusto riequili-brio di tale alterazione, fineche può essere raggiunto at-

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Contemporaneamente Mago e Matto - Jake Baddeley, 1992

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traverso l’assoluto dominio del pensieromediante la sua liberazione dai sensi permezzo dell’esercizio di concentrazione emeditazione. Tale auto-disciplina, comespesso erroneamente si crede non rende affattoaridi, né privi di emozioni, l’asceta non è unostoccafisso, né un insensibile ma un individuocapace di separare la percezione dalla sensazio-ne, libero dalla schiavitù degli istinti, capace diarrestare la dialettica del pensiero, creare silen-

zio mentale e agire attraverso l’eserciziodella volontà, guidato da saggezza spiri-tuale e non da necessità individuale,“ogni esperienza superiore è mediata dal

silenzio mentale: esso prepara all’esperienzadel Vuoto; questi viene ottenuto tramite l’elimi-nazione volitiva di tutti i contenuti sensibiliricavati tramite il silenzio mentale. É un silen-zio radicale. Qualsiasi ascesi superiore, presup-pone la capacità di saper eliminare dalla

coscienza i contenuti evo-cati o suscitati”, spiegaMassimo Scaligero nelsuo scritto “Manuale pra-tico della meditazione” eda qui si capisce che nonpuò esservi alcun chiarocontatto con il mondosovrasensibile se primanon impariamo a discipli-nare la nostra mente.

“Il frutto decisivo di tuttiquegli esercizi che chia-miamo meditazione o con-templazione è ciò chediventiamo praticando-le.” [Yves Raguin]

Hathor Go-RexHathor Go-Rex

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Scuola veneziana del XVII secolo - San Girolamo in meditazione

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L’L’altro - lo specchio

Lisetta Lisetta

TT utto quello che ci circonda sembrerebbe

essere direttamente interagente con il nostromodo d’essere. Questo fatto è difficile da accettare, soprattuttoquando si sta male nel proprio ambiente. Mi sono chiesta del perché di questo ipoteticocollegamento, quando tante situazioni accadonoapparentemente in modo casuale, anche quandosiamo a confronto con persone che ci sembra dinon aver scelto di avere intorno. Tra le tante

situazioni a cui si può prestare attenzio-ne, gli esempi più diretti sono rappresen-tati dalla famiglia nella quale siamo nati,o nella quale siamo cresciuti, ma non

sono da sottovalutare anche le situazioni con icolleghi e forse ancora di più i propri superiorinell’ambiente lavorativo. Quando si sta male con certe persone, o persituazioni ad essi collegate, ci si potrebbe addi-rittura convincere che questo malessere possa,in qualche modo, fungere da punizione per nonsi sa quale peccato o danno fatto in questa vita oin un’eventuale vita precedente. Però mi sonochiesta: se invece non fosse così? Se fosse proprio il contrario? Se queste personefossero una specie di dono, di regalo elargitodalla Provvidenza per consentirci di riconosceree studiare noi stessi? Se le persone che ci cir-condano fossero proprio lì per aiutarci a cresce-re, e forse se noi stessi, in qualche modo, aves-simo la stessa funzione per loro? Chi intraprende una via iniziatica viene normal-mente messo subito di fronte al compito diconoscere sé stesso; prerogativa ovviamente nonsolo di una simile via, ma imperativo più enfa-tizzato in essa, perché senza la conoscenza di sé,è molto arduo tentare di riconoscere quel divinodentro e fuori di noi, che è ipotizzato neglienunciati di qualsiasi struttura Tradizionale.Le persone e le situazioni intorno a noi in chemodo potrebbero aiutarci per conoscere noi stes-si?Ho tentato di analizzare alcun diversi sentimen-ti che per lo più, si tende a provare verso ilnostro prossimo:1. il rifiuto attraverso antipatia, rabbia, disprez-zo, invidia, o addirittura tramite il più dannosodei sentimenti, l’odio; 2. l’accoglienza con simpatia, apprezzamento,od anche amore; 3. la compassione; 4. la neutralità, quando nessuno di questi senti-menti si attiva.

Nel quarto punto molto probabilmente non siprende in considerazione l’altra persona. Questaprobabilmente, non interagisce con nessuno

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CompassioneWilliam-Adolphe

Bouguereau, 1897

degli aspetti della nostra personalità eperciò spesso passa anche inosservata.Ciò che non si trova in noi, non può cau-sare un riflesso nell’esteriore. Infatti,quando qualcuno ci suscita un certo stato d’ani-mo, certi tipi di emozioni, molto probabilmentequalcosa che è collegato a lui si trova anche innoi e viceversa.Penso che gli altri punti invece, possano fornir-ci dei riferimenti riguardanti il nostro stato d’es-sere. Il primo è probabilmente il più diretto e chiaro,il secondo e il terzo forse sono molto più subdo-li e più difficili da capire. Cosa succede quando prendiamo “l’altro” comeuno specchio?1.Il rifiuto. C’è qualcosa nella persona indivi-duata che crea una o tutte quelle reazioni di cuisopra. Visto che sono sensazioni abbastanza forti, è piùdifficile non rendersene conto. Perché allora simanifestano? Spesso si rifiuta nel prossimo ciòche non si è capaci di accettare in sé stessi, mache comunque in qualche modo c’è. Ad esempio, visto che non si accetta di sé stessiun certo aspetto di cui magari non si è neppuredel tutto consapevoli, per forzavedendolo nel prossimo, si crea unistintivo riscontro immediato nellapropria interiorità. Al bugiardo non piace sentirsi rac-contare delle bugie, e al narcisistanon piace quando un altro gli rubala scena, ecc. Questa situazione,secondo me, si evidenzia ancora dipiù quando non si vivono aperta-mente certe situazioni, sopprimen-done ogni ipotesi di consapevolez-za, lasciando che il subconsciocombatta quotidianamente battagliedi cui non si ha alcuna coscienza.Questo confronto diventa più com-plicato quando la persona di riferi-mento non ha nessuna cattiva ten-denza o premeditazione nei nostriconfronti, ma siamo noi che traspo-niamo le personali intenzioni in

essa. Supponiamo che le persone si com-portino in un certo modo perché noiavremmo reagito così, se fossimo stati alloro posto. Questa è la morte di ogni

interazione e conversazione; è un’oggettivamancanza di ascolto e di volontà di comprensio-ne, basandosi solo sulla mera supposizione diintenti. In questo modo si costruisce un’oggetti-va ed inevitabile barriera tra le persone. Visto che di norma non sappiamo quale sia l’in-tenzione della persona che ci sta di fronte, tuttele intenzioni che supponiamo, devono essere perforza le nostre. In altre parole, se avessimo lapossibilità o il coraggio di fare come vogliamo,ci comporteremmo spesso in modo totalmentediverso da quello che immaginiamo; non siamopoi così buoni come ci aspettiamo, né tantomigliori di chi ci sta di fronte. In tal caso, l’uni-co soggetto con cui ci dovremmo arrabbiaresaremmo proprio noi stessi. Se veramente vogliamo capire che intenzionehanno coloro che ci stanno di fronte, un metodoutile potrebbe essere quello d’imparare ad ascol-tare di più, di guardare meglio, di utilizzare perquanto possibile, anche gli altri sensi e di con-seguenza parlare di meno.

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Donna che si specchia - Paul Delvaux, 1939

Di solito, quando disprezziamo le perso-ne, lo facciamo perché supponiamo chenon siano “buone” o “brave”. Gettandodiscredito su quello che fanno altri, siostacola la crescita di quelle persone. Dal nostroegoistico punto di vista, non si ritiene possibileche l’altro sia così bravo, mentre noi non siamoin grado di raggiungere gli stessi risultati.Questi ci mettono di fronte alle nostre bruttezze,alle nostre incapacità, e visto che si vorrebbeessere migliori degli altri, queste nostre disar-monie non sono accettabili. Dal momento che per noi è troppo umiliante ilconfronto, l’unico modo che troviamo per sal-varci è rendere orribile l’altro. Così se si fadiventare brutto anche l’interlocutore, ci si puòtranquillamente arrabbiare con lui. La vera rab-bia è però rivolta verso sé stessi; raramente siprende coscienza di questo fatto, ma è poco pia-cevole arrabbiarsi con sé stessi e non poter sfo-gare questa rabbia su qualcuno.

Certamente c’è anche il caso in cui ci sitrova davanti chi è veramente cattivo, mase è tale, forse più che rabbia, si provapaura, timore.

Ad ogni modo, è meglio essere preparati e cautiper saper affrontare certe situazioni.Circostanza ancora diversa è quando incontria-mo qualcuno che non è cattivo, ma che perce-piamo così solo perché ha più potere di noi. Inquesti casi veniamo messi davanti alla nostraincapacità di saper gestire questi frangenti, e poialle personali carenze nei confronti della forzaaltrui, soprattutto quando sia giusto che ci ven-gano evidenziati la nostra debolezza, i nostrilimiti, sbagli, errori ecc. Ipotizzare di accettare di non essere il piùpotente, di dover ubbidire, e di riconoscere lapropria posizione non apicale nella società incui si vive, aprirebbe uno scenario per una presadi coscienza che per lo più non ci piace e cheprovoca reazioni nella mente, tramite una sgra-devole ridda di immagini, di sentimenti stretta-mente correlati a questi contesti. Spesso, anche se non sono gli atti a dirci qual-cosa di noi, lo sono tutti i pensieri. Se si fossenella posizione di colui che detiene un potere,cosa si farebbe? Se in quell’attimo le posizionisi invertissero, quale sarebbe la nostra azione?Saremmo in grado di gestire una posizione divertice, essendone veramente all’altezza? Forsequalcosa in noi manca per essere al potere, perònon è facile, non è piacevole riconoscere cheognuno ha solo il posto che deve avere in unadeterminata organizzazione piramidale.Come accennavo all’inizio, penso che probabil-mente incontriamo chi suscita queste sensazio-ni negative per avere la possibilità di ricono-scere i nostri lati oscuri, se veramente lo desi-deriamo. Senza questi stimoli, caratteristici dell’ambien-te in cui siamo, sarebbe più difficile indagarecerti nostri aspetti che sono più evidenziati seimpariamo a metterli in relazione con il prossi-mo.Fino a quando si tratta di osservare emozio-ni negative, forse può risultare più immediato efacile riconoscere che questi ci potrebbero inse-gnare qualcosa della nostra oscurità.

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Bene e male nella stella del Mattino - Leilani Bustamante

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Diviene meno chiaro, quando si tratta diprendere visione delle sensazioni che sitrovano piacevoli. Facendo riferimento al punto “2”, si puòintuire come sia molto più difficile riconosceretutte le eventuali trappole che si potrebberonascondere dietro le apparenti simpatie. Perchémi circondo di certe persone? Certamente cisono interessi che si condividono per un certohobby, uno sport o per un campo di studi, maappena questo legame di gruppo viene a manca-re, ecco che anche le persone si dividono. Un rapporto può essere puramente legato alnesso sociale nel quale viviamo e nel quale cinecessitano determinati legami. Però, quando sicominciano a scegliere degli amici, o delle pre-cise frequentazioni, dietro a queste scelte cisono sempre certi meccanismi che potrebberodarci, a loro volta, un riscontro su ciò chesiamo. La mia simpatia verso questa persona èsincera, o mi serve qualcosa? A volte c’è chi sicirconda di determinate persone, solo perché glidanno la sensazione di essere superiore a loro.Lo fanno sentire “il Boss” del gruppo, l’illumi-nato, il mistico, il centro d’attenzione, rivolgen-dogli quella che da lui viene percepita comeammirazione. Naturalmente, questa situazionepuò creare meccanismi alquanto pericolosi,allorchè questa persona decida di abusarne perforzare la condizione nella quale possa diventa-re il “leader” del gruppo (grande o piccolo chesia), senza che si renda conto di tutte le respon-sabilità che ciò comporta e senza supporre diprovocare un pericoloso arresto della propriacrescita interiore. Ci si potrebbe sentire già arrivati quando si sup-ponesse di essere ammirati da tutti e quindi sipotrebbe cadere nella trappola dell’autocompia-cimento, inducendosi a non lavorare più sui per-sonali punti deboli, oscuri. Come ci si comporta in questi casi? Se ci pen-siamo bene, per fortuna ci sono tutti quelli checi fanno arrabbiare, perdere la pazienza e che cimettono davanti ai nostri lati poco illuminati.Poi bisogna anche saper “scegliere” (o almenonon respingere) chi ogni tanto ci fa notare chenon siamo poi così perfetti, magari per niente

arrivati, e che ci riporta con i piedi perterra.Se abbiamo intorno solo persone che cielogiano in continuazione anche quando

è palese che si potrebbe essere nell’errore,dovrebbe suonarci una qualche campana diallarme negli orecchi. Ci possiamo trovare anche con persone che ciprendono sul serio, come punto di riferimento,allora in tal caso sarebbe meglio lavarsi piùvolte la testa con acqua fredda, perché il lorogiudizio non è imparziale, in quanto è magariaccecato dal loro affetto e si avrebbe unaresponsabilità ancora maggiore nell’asservirlialle esigenze della personale megalomania(magari causata da una reazione all’insicurezzaprovocata da traumi infantili). Ad ogni modo,occorre stare attenti anche a chi potrebbe esseremolto più furbo e intelligente di noi, perché cimanipolerebbe proprio grazie alla nostra vanità;così ci farebbe fare esattamente quello chevuole, supponendo di scegliere chissà che cosa,

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Parabola del fattore infedele -Marinus van Reymerswaele, (1540-50)

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liberamente. Anche in questo caso impa-riamo tanto su di noi, e sulla nostra inca-pacità di autodeterminazione, e la nostrainabilità ad ascoltare la nostra voce inte-riore. Nonostante sia piacevole godere dell’ac-coglimento altrui (anche se solo apparente),possiamo riscontrare quanta strada ci sia ancorada fare e quanto poco si sia collegati con il pro-prio centro. Nell’amore in famiglia e/o con ilproprio compagno/a, questi aspetti vengonoamplificati. Si deve fare molta più attenzionealle sensazioni positive che ci ingannano, e chesoddisfacendo solo le personali esigenze, le par-ticolari debolezze egoistiche, ci fanno continua-re a vivere nella nostra oscurità, convinti che sistia facendo qualcosa di positivo.Certi gruppi si formano anche intorno a unafigura centrale della quale tutti hanno timore, eseguono la persona per interesse di potere e/oprotezione. In tal caso se si è la figura centrale,questo tipo di ammirazione fa vivere in pieno ildelirio di potenza promanante dal lato oscuro.Sarebbe utile studiarsi a fondo se ci siaccorgesse che chi ci circonda ha pauranei nostri confronti e che noi ne traiamopiacere. Può voler dire che un nostro latooscuro ha per noi un aspetto positivo, oche lo viviamo in modo affermativo comese fosse qualcosa di luminoso ma che talenon è. Bisogna essere cauti, perchéaltrettanto oscuro può essere chi ci sta difronte; magari teme semplicemente diessere scoperto nella sua debolezza ed èpronto ad attaccarci. Accarezzare a lungoil proprio Ego, facendosi celebrare ecomplimentare per sentirsi grandi, attirafalsi amici, potenziali nemici, che sono lìpronti ad attaccarci. Se mai dovesse suc-cedere, sarebbe stata comunque una con-seguenza del nostro agire.La compassione, accennata al punto “3”,è quella forse più complessa da scoprirnel’origine. Ci sono diversi modi di sentireed esprimere compassione. Un tipo di compassione, forse sincera, èprobabilmente quella nella quale vedia-mo il prossimo come un nostro pari, e la

nostra sofferenza nei suoi confronti èvera. Magari vediamo in lui le personalidebolezze che si ha o si hanno avute, perle quali l’impegno nel superarle è stato

simile. In ogni caso, il sentimento non sembre-rebbe ipocrita per elogiare sé stessi. Un altro aspetto invece riguarda il caso in cui sicompatisce qualcuno perché lo vediamo comeun essere infimo, non alla nostra altezza; perciòci si trova in uno stato d’animo di cui si potràdire e pensare di tutto, tranne che qualche cosadi nobile. Si accarezza solo il proprio Ego. In talcaso, se osserviamo bene questa sensazione,potremmo individuare dove si trovano i nostricomplessi più profondi e più nascosti; quellimeno ovvi. E’ tra le sensazioni forse più ingannevoli; adesempio è come se dicessimo: “Povero, non cipuò arrivare. Invece guardarmi come io sonobrava/o.” Dietro magari, potrebbe nascondersianche : “e se fallisco anch’io? Sarò sempreall’altezza?”

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Superbia - Alexander Daniloff

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Non sempre colleghiamo la sensazione dicompassione direttamente con noi, ma ècome se in realtà avessimo compassionedi noi stessi.Difficilmente possiamo conoscere tutto di ciòche alberga nella nostra interiorità; di solito,bisogna che venga stimolato uno di questi nostriaspetti nascosti di cui evidentemente non sap-piamo niente. Mi piace ipotizzare che la Provvidenza ci mandiqueste persone e queste situazioni per farci sco-prire la nostra oscurità, e per imparare a domi-narla. Noi a nostra volta, attiriamo quello chesiamo, e non prendiamo coscienza di quello chenon siamo, o almeno penso che lo facciamo

raramente. Perciò qualsiasi cosa che cicirconda è probabilmente di nostraresponsabilità, ed ha la sua ragione d’es-sere.

Prendere tutto come una punizione, vuol direperdersi la possibilità di imparare, di miglioraree di dominare i propri demoni.Forse, più si avanza nel proprio percorso e si fapulizia interiore, più certe situazioni si dissol-vono da sole. Si trovano soluzioni, e così variintrecci spiacevoli si snodano senza sforzo. Penso che il nostro essere interiore, in un certomomento, abbia bisogno di imparare altre nuovelezioni e che sia legato proprio con il nostromodo di percepire il mondo.

Fin quando non si sarà imparato quelloche serve, in questo stato di personalesviluppo attuale, si rimarrà incastratiproprio dove si è. Se anche le condizioni esteriori noncambiano, essendo però cambiati inte-riormente, la stessa medesima situazio-ne non produrrà più sofferenza. Mentre prima ci mancavano sia ilcoraggio che le risorse interiori edesteriori per farlo, ora essendo stati ini-ziati, è indispensabile trovare il corag-gio di cambiare attivamente la situazio-ne nella quale ci troviamo. Qualchecosa di simile va intrapresa con quelloche ci donava prima piacere; forse ora,visto con uno sguardo diverso, più sin-cero, non è raro che ci crei vergogna edolore, e siamo solo all’inizio di unnuovo processo di apprendimento. Se facciamo attenzione a quello che noipercepiamo dal mondo ed a quello cheil mondo percepisce di noi, ci accorgia-mo di avere a disposizione un grandespecchio nel quale possiamo osservarcie quindi da usare per conoscerci sem-pre meglio e per scegliere se e comeproseguire sul nostro percorso.

LisettaLisetta

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Il trionfo della divina Provvidenza - Pietro da Cortona,1669

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AAvinu Malkeinu

Shema KoleinuMenkaura Menkaura

AA VINU MALKEINU

Avinu malkeinu sh'ma kolenu

Avinu malkeinu chatanu l'faneycha

Avinu malkeinu chamol aleynu Ve'al olaleynu vetapeinu

Avinu malkeinu Kaleh devervecherev vera'av mealeynu

Avinu malkeinukaleh chol tsar Umastin mealeynu

Avinu malkeinu Avinu malkeinu Kat'veinu besefer chayim tovim Avinu malkeinu chadesh aleynu Chadesh aleynu shanah tovah

Sh'ma kolenu Sh'ma kolenu Sh'ma kolenu

Avinu malkeinu

Avinu malkeinu Chadesh aleynu shanah tovah

NN OSTRO PADRE, NOSTRO RE

Nostro padre, Nostro re, ascolta la nostra voce

Nostro padre, Nostro re, abbiamo peccatodavanti a Te.Nostro padre, Nostro re, abbi compassione dinoi e dei nostri figli

Nostro padre, Nostro re, fai cessare la pestilen-za, la guerra e la carestia intorno a noi

Nostro padre, Nostro re, fai cessare l'odio e l'op-pressione su di noi

Nostro padre, Nostro re,Nostro padre, Nostro re,Iscrivici nel Libro della (buona) VitaNostro padre, Nostro re, che il nuovo anno,che il nuovo anno, sia un buon anno per noi

Ascolta la nostra voceAscolta la nostra voceAscolta la nostra voce

Nostro padre, Nostro re,

Nostro padre, Nostro re,che il nuovo anno, sia un buon anno per noi

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AA nche gli Ebrei hanno il loro equivalente del “Padre Nostro”, l'Avinu Malkeinu, che viene recitato quasi

esclusivamente da Rosh HaShana a Yom Kippur, nei dieci giorni di teshuva (pentimento, lett. ritorno) chesegnano e caratterizzano il principiare dell'anno, tanta è l'importanza che viene attribuita a questa struggentepreghiera (gli Ashkenaziti la recitano anche in tutti i giorni di digiuno, al contrario dei Sefarditi).

QQ uesta bellissima preghiera è attribuita dal

Talmud al grande Rabbi Akiva, della scuola del-l'altrettanto famoso Rabbi Hillel il quale sessan-ta anni prima di Cristo espresse la propria ver-sione del detto: “Non fare agli altri ciò che nonvuoi che sia fatto a te.” Questa frase, che espri-me ciò che i moderni studiosi di filosofia defini-scono “l'etica della reciprocità” ovvero “la rego-la d'oro”, costituisce l'unico principio etico che,con alcune varianti, appare veramente universal-mente presente sul nostro pianeta (la siritrova anche nel mondo classico, inConfucio etc.).Malgrado moltissimi Cristiani sianoconvinti che sia stato Gesù, nel Discorsodella Montagna ed in altri passi delVangelo (Matteo 7, 12; 22, 36-40; Luca6, 31; 10, 2) ad affermare tale regola,essa era già contenuta nella Torah “ame-rai il tuo prossimo come te stesso”(Levitico 19, 18).Effettivamente Gesù si spinse oltrequanto era già prescritto, in quanto chie-se ai suoi seguaci di amare il prossimopiù di se stessi (Gv 15,9 – 17) e di amarei propri nemici (Luca 6, 27 – 38).Ma diversi decenni prima di Gesù,Rabbi Hillel, il primo dei tannaim, iMaestri della Mishnah, rispondendo allarichiesta di un goy (non Ebreo) che pro-vocatoriamente gli aveva detto che sisarebbe convertito se Hillel fosse statoin grado di esporgli tutta la Torah stan-do su un solo piede, alzo quest'ultimo egli disse: “Ciò che non è buono per tenon lo fare al tuo prossimo.

Il resto è commento. Vai e studia” (Talmud, Shabbat 31a), così comeconfermava anche Gesù “Amerai il prossimo tuocome te stesso. Non c'è altro comandamento più importante diquesto” (Marco 12, 29-31). Hillel non ebbe,all'inizio, una vita facile, ma la sua determina-zione a diventare uno studioso della Torah e lesue grandissime capacità, lo condussero ad unaposizione di assoluta preminenza, tanto da con-sentirgli di creare una scuola che divenne famo-sa in tutto il mondo ebraico, anche per i suoi

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Il discorso della Montagna - Carl Heinrich Bloch, 1877

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(Per chi non la conoscesse, consiglio vivamente di ascoltare la stupenda e commovente versione cantata daBarbra Streisand, reperibile sul web)

Avinu malkeinu Sh'ma kolenu Sh'ma kolenu Sh'ma kolenu Sh'ma kolenu

Nostro padre, Nostro reAscolta la nostra voceAscolta la nostra voceAscolta la nostra voceAscolta la nostra voce

aspri disaccordi con l'altrettanto rinoma-ta scuola di Shammai.Il contrasto, nelle sue linee generali, ver-teva sempre su una differenza di atteg-giamento nei confronti del servizio divino.

Secondo la scuola di Shammai, che mostravauna grande intransigenza nei confronti di qual-siasi trasgressione alla halakhah, la severità e laprecisione costituivano qualità imprescindibiliper esercitare correttamente il servizio divino edin un eventuale conflitto, tra il rispetto rigorosodella norma e le umane esigenze, non bisognas-se mai cedere alle seconde, se ciò avesse com-portato un'interpretazione estensiva della regolahalakhica.Al contrario, la scuola di Hillel si asteneva dagiudizi così draconiani, riconoscendo l'imperfe-zione implicita ed inerente ad ogni essereumano e sottolineando che un approccio, umilee consapevole dei propri limiti, alla Torah fossecertamente più vicino alla realtà della creazioneed invitando così ciascuno di noi a fare il massi-mo sforzo possibile per adempiere alle norme

halakhiche. Ovviamente un consimileatteggiamento offriva, rispetto ai singolicasi, soluzioni più miti e compassionevo-li, interpretando spesso le norme estensi-

vamente in modo da non considerare trasgressi-vi comportamenti fortemente condannati dallascuola di Shammai.Da ciò il detto talmudico “L’uomo sia umilecome Hillel e non severo come Shammai”(Shabbat 30a).Fatta questa premessa, torniamo all'AvinuMalkeinu la cui origine si trova nel Talmud(Taanit 25a).“A causa della forte siccità Rabbi Eliezer (scuo-la di Shammai) cominciò a pregare recitandoventiquattro benedizioni che furono istituiteproprio per i giorni di digiuno per richiedere lapioggia, ma non fu esaudito.Dopo di lui salì a pregare Rabbi Akiva (scuoladi Hillel) recitò la preghiera “Avinu Malkeinu,nostro Padre, nostro Re non abbiamo altro re senon Te! Nostro Padre, nostro Re abbi pietà dinoi in nome tuo!” Solo a quel punto scesero lepiogge e gli altri maestri mormorarono tra loro,

dato l’evento, che forse RabbiAkiva era più giusto di RabbiEliezer, ma una voce dal Cieloaffermò: “ Non perché l’uno siapiù grande dell’altro, ma per-ché l’uno, Rabbi Akiva, agiscecon compassione, mentre RabbiEliezer non agisce con compas-sione.”Questo racconto ci offre nume-rosi e profondi stimoli di rifles-sione, a cominciare dal perchéRabbi Eliezer non fu esauditodal Cielo pur recitando le bene-dizioni giuste. Al contrario Rabbi Akiva riuscìa farsi ascoltare da D-o. Comemai i Saggi reagirono mettendoin dubbio la grandezza di unRabbi rispetto all’altro? Perchéla “bat kol” (lett. “figlia di unavoce”), la voce dal Cielo, deci-se di intervenire, puntualizzan-

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Rabbini che dibattono sul talmud

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do il differente approccio tra i due mae-stri? Cosa significa che Shammai erasevero e che Hillel era umile? Il Talmudvuole intendere che il secondo possedevaqualità migliori rispetto al primo, come accaddenel confronto che vide contrapposti i loro allie-vi Rabbi Eliezer e Rabbi Akiva? E’ possibile chevenga espresso un giudizio così netto verso igrandi maestri delle generazioni precedenti?Non è forse vero che un approccio severo, serio,rigoroso sia un giusto modo di portare avanti ilservizio divino attraverso l’osservanza dellemitzvot e lo studio della Torah?Il punto in discussione non è ovviamente legatoall'approccio personale che i due grandi maestri,o i loro allievi, ebbero rispetto alla Torah, ovve-ro alla qualità dei loro insegnamenti. Ciò cherisulta fondamentale è il punto di focalizzazionedi tali insegnamenti e dell'intero servizio divino.Il protagonista del racconto talmudico, RabbiAkiva, rappresenta uno dei giganti della fedeebraica.Egli fu l'unico dei quattro Saggi, che la leg-genda vuole siano riusciti ad entrare nel GanEden, che “entrò in pace” ed “uscì in pace.”Assai numerose sono le storie e le leggendeche circondano la sua figura, ma una suacaratteristica predomina nettamente in tutti iracconti, la sua enorme umiltà, fondata sullaconsapevolezza della pochezza della condi-zione umana e delle sue supposte glorie, ivicompresa la conoscenza, anche perfetta, dellenorme religiose.Commovente, ad esempio, fu il discorso cheAkiva tenne alla grande folla che si era radu-nata per il funerale di suo figlio Shimon.“Fratelli della casa di Israele, ascoltatemi.Non siete venuti qui così numerosi perchésono uno studioso, in quanto qui ci sono per-sone più erudite di me. Né a causa della miaricchezza, perché qui ci sono persone piùfacoltose di me. La gente del sud conosceAkiva, ma perché la gente della Galileadovrebbe conoscerlo? Gli uomini magari loconoscono, ma come potrebbero le donne ed ibambini, che vedo qui, avere conoscenza dilui? Eppure so che la vostra ricompensa sarà

grande, perché vi siete incomodati avenire semplicemente al fine di onorarela Torah e di adempiere ad un doveresacro.”

Akiva non proveniva da una famiglia nobile odistinta (Berachot 27a), ma da una di convertiti,con l'addizionale handicap di discendere dalmalvagio generale Sisera, il persecutore degliebrei al tempo di Deborah. Inoltre Akiva rimaseilletterato sino ai 40 anni. Akiva divenne capo dei pastori di uno degliuomini più ricchi di Israele, Kalba Savua (cosìchiamato perché chiunque fosse entrato a casasua affamato come un cane, kalba, ne sarebbeuscito sazio, savua). Una volta, incontrò percaso la figlia di Kalba Savua, Rachele, che rima-se così impressionata dalla sua personalità chepromise di sposarlo, alla condizione che egli sifosse votato allo studio della Torah.

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Rabbi con Torah - Isidor Kaufmann

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Quando il suocero venne a conoscenzadel loro matrimonio, li diseredò e la cop-pia visse nella più assoluta povertà(Nedarim 50a). Comunque Rachele con-tinuò a credere in lui e lo incoraggiò a partire dacasa per studiare la Torah, secondo le usanze.Egli tornò dopo 12 anni, con un seguito di12.000 seguaci, ma prima di poter salutare suamoglie, la udì affermare, parlando ad una vici-na, “che se Akiva volesse tornare a studiare peraltri 12 anni, io acconsentirei volentieri.” cosìegli tornò a studiare per altri 12 anni, imparan-do da grandi maestri, quali Rabbi Eliezer benHorkenus, Rabbi Joshua ben Hannaniah e RabbiTarfon.Dopo 24 anni, quindi, Rabbi Akiva tornò ancorauna volta a casa, accompagnato da 24.000 stu-denti, essendo a capo della yeshiva (scuola) piùgrande di Israele.Sebbene la sua reputazione lo precedesse, KalbaSavua non era a conoscenza che il grande saggioche stava arrivando in città fosse suo genero,

nondimeno da qualche tempo egli prova-va rimorso a causa del suo voto di dise-redare la figlia e decise di chiedere alsaggio se tale voto fosse annullabile.

“Se tu avessi saputo che suo marito sarebbedivenuto un grande uomo, avresti lo stesso fattoquesto voto?” gli domandò Rabbi Akiva.“No, se egli avesse solo conosciuto un capitolo,persino solo una legge (della Torah)!” risposeKalba Savua. Rabbi Akiva allora disse, “Io sonoquell'uomo.”Kalba Savua si inchinò e gli baciò i piedi e gliregalò metà delle sue ricchezze (Kesuvot 62b-63a).A dispetto del lieto fine di questo racconto,Rabbi Akiva visse una vita ricca di dolori e didifficoltà, cui rispose con umiltà e pazienzadegne di Giobbe stesso, anche quando morì mar-tire per mano dei Romani affermando “Echad”Uno, prima di spirare.Ben noto era anche il suo senso dell'umorismo.Rabbi Akiva viveva secondo la regola che qual-siasi cosa accada è per il bene. Inoltre, egli rite-neva che anche dal male possa nascere il bene.Dai problemi, dalle avversità è possibile cos-truire qualcosa di buono.Perciò viene riportato che Rabbi Akiva ridessementre gli altri piangevano. Mentre camminavacon alcuni colleghi, arrivarono al Tempio, nelsuo stato di distruzione. Tutti i Rabbini si mise-ro a piangere, tranne Akiva che scoppiò a ridere.“Perché ridi?”, “Perché piangete?”, “Perchéstiamo piangendo? Guarda il Monte del Tempio.Non ti fa venir voglia di piangere?” “E' proprioper questo che sto ridendo!”Egli spiegò che, accanto alla profezia sulladistruzione del tempio, esisteva quella sulla suaricostruzione e contemporanea redenzione delPopolo Ebraico. Poi aggiunse: “Fino a quandonon ho visto avverarsi la profezia sulla distru-zione, pensavo che essa non fosse da intendersiin senso letterale. Ma ora che l'ho vista diventa-re una precisa realtà, so che anche quella positi-va si avvererà in modo letterale. Dal male iovedo nascere il bene. Dai guai io vedo sorgere laredenzione.” Ma ancora più illuminante è comeRabbi Akiva si convinse dell'esistenza della

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Shema Israel - Alex Levin

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Provvidenza Divina individuale.Come abbiamo detto la frase favorita diRabbi Akiva era “Tutto ciò che D-o fa, lofa per il bene.”Una volta, mentre era in viaggio, non riuscì atrovare un luogo dove dormire nella città ove siera prefisso di pernottare. Così passò la notte dasolo, nella foresta, ripetendo con calma “Tuttociò che D-o fa, lo fa ber il bene.” Con suo gran-de stupore, nel giro di pochi momenti, un leoneuccise il suo asino e lo portò via, un gatto man-giò il suo gallo ed il vento spense la sua unicacandela. Rabbi Akiva, ogni volta, ripeté “Tuttociò che D-o fa, lo fa ber il bene.” Quando vennel'alba, scoprì che una banda di briganti avevaassalito la città durante la notte, uccidendoovvero trascinando via in schiavitù gli abitanti.Solo la mancanza di rumori da parte dell'asino edel gallo e l'assenza di luce dalla sua candelaavevano salvato Akiva dal medesimo destino.(Berachot 60b).Siamo ora in grado di tentare di dare una rispo-sta alle domande che ci siamo posti innanzi.E’ chiaro che Rabbi Akiva non era da conside-rarsi “migliore” o maggiormente “sapiente” diRabbi Eliezer, ma solo maggiormente pronto,con totale umiltà, a chiedere a D-o di mostrarsimisericordioso nei confronti del suo popolo.Il suo servizio divino rappresentava una focaliz-zazione assoluta sulle caratteristiche di D-o inquanto Re misericordioso e Padre amorevole,qualità che meglio si sposano con la consapevo-lezza dei propri immensi limiti nei confronti delEin Sof, rispetto ad un atteggiamento così seve-ro da rasentare l'orgoglio come quello di chipensa che non si debba mai sbagliare (e forseritiene di essere, perciò infallibile e di poter giu-dicare il prossimo). E' questo il contesto dell'e-pisodio sopra narrato relativo all'introduzionedella preghiera dell’Avinu Malkeinu e delle cir-costanze in cui è stata recitata, tanto da farcicomprendere che l’umiltà di Rabbi Akiva, la suacapacità di lavorare su stesso e di accettare glialtri con le loro imperfezioni, siano stati gli ele-menti che hanno squarciato il Cielo e fattoaccettare le sue invocazioni. Come affermano i Saggi (Shabbat 151a): “ Colui

che è pietoso nei confronti delle creatu-re, saranno pietosi con lui dal Cielo ecolui che sa passare oltre le proprie giu-ste istanze, gli si perdonano le trasgres-

sioni.”Come abbiamo tante volte affermato, la Veritàcostituisce il primo assioma del nostro sistemadi fede, se correttamente costruito.L'umiltà costituisce un corollario necessariodella verità, in quanto la vera umiltà, non quellache si mostra in cerca di lusinghe o di lodi,nasce dalla consapevolezza delle nostre limita-zioni e della stupidità di pavoneggiarci pensan-do, a torto, di essere meno limitati di altri. Laconsapevolezza, nella verità, della nostra condi-zione umana ci rende umili e, perciò, rispettosidel Creato e delle creature, in quanto ciò ci ren-

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Rappresentazione di Rabbi Akiva sull'Haggadah di Mantova (1568)

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de capaci di acquisire una reale volontàdi non fare agli atri ciò che non vorrem-mo che fosse fatto a noi.Il resto è commento, come disse Hillel.Poiché è quasi Natale, vorrei regalarvi una sto-ria bellissima sull'umiltà. Questa è la storia veradell'Ebreo Israel di Cracovia:“Nella città di Cracovia viveva un ricco Ebreo,chiamato Israel, che era famoso per la sua parsi-monia. I mendicanti locali avevano da lungotempo rinunziato a bussare alla sua porta e tuttii tentativi, da parte dei responsabili dei vari entibenefici, di ottenere da lui almeno un contributosimbolico erano sempre stati vanificati da corte-si ma fermi rifiuti. La completa mancanza di compassione da partedi Israel stupiva ed oltraggiava gli Ebrei diCracovia, in quanto, sin dai tempi di Abramo,fare la carità aveva rappresentato uno dei fonda-menti dell'Ebraismo e nell'Europa del diciasset-tesimo secolo, a causa delle continue confischedei propri beni e delle espulsioni dalle propriecase che gli Ebrei subivano, l'aiuto dei piùfacoltosi ai bisognosi costituiva un elementoessenziale per la stessa sopravvivenza dellevarie comunità.

Come poteva, quindi, un Ebreo esserecosì indifferente alle necessità dei suoifratelli e sorelle? La gente cominciò achiamare il ricco avaro “Israel Goy” ed il

soprannome ebbe grande popolarità.Ogni volta che Israel usciva di casa, bande diragazzini lo seguivano motteggiandolo e chia-mandolo in coro “Israel Goy” e tutti disprezza-vano l'avaro possidente.Passarono gli anni ed il ricco uomo divenne vec-chio e fragile. Un giorno l'associazione prepostaai riti funerari di Cracovia fu convocata daIsrael presso la sua abitazione.Quando i responsabili furono arrivati, egli disseloro: “sento che i miei giorni sono contati e vor-rei discutere con voi i preparativi per il miofunerale. Ho già fatto cucire i teli ed ho ingag-giato un uomo che reciterà il kaddish (preghieraper i defunti) per la mia anima. Rimane solo unacosa: devo acquistare un lotto per la miatomba”. I membri dell'associazione funeraria deciseroche finalmente fosse arrivato il momento dipareggiare il debito che, a loro parere, Israelaveva accumulato nei confronti della comunità.“Come ben sai” risposero “non c'è un prezzo

stabilito per i lotti del cimitero.Ogni Ebreo paga a secondadelle sue possibilità ed il dena-ro viene utilizzato per benefi-cenza. Poiché tu sei ricco e,scusa la schiettezza, siccomenon sei stato molto disponibilenel corso degli anni a condivi-dere i pesi della comunità, pen-siamo che sia solo giustizia fis-sare il prezzo a 1000 scudi.”Israel replicò con calma: “Per lemie azioni sarò giudicato incielo. Non sta a voi giudicarecosa ho fatto, o cosa non hofatto, nel corso della mia vita.Ho programmato di pagare 100scudi per il mio lotto – che è giàuna somma rispettabile – e ciò èquanto pagherò e non un soldodi più.

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Recitazione del Kaddish

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Non sto chiedendo di essere interrato inun posto particolare, ovvero con unabella pietra tombale. Seppellitemi dovevolete. Ho solo una richiesta, che sullamia tomba sia scritto “Qui giace Israel Goy””I membri dell'associazione, si scambiaronoocchiate stupite: il vecchio era forse fuori di sé?Cercarono inutilmente per alcuni minuti distrappargli qualche altra somma per i poveri epoi, esasperati, uscirono dalla casa di Israel.Quando la notizia dell'accaduto si diffuse, tuttala città non faceva altro che commentare l'ulti-mo esempio di quanto miserabile come essereumano, fosse Israel Goy, che anche nell'immi-nenza della morte, si rifiutava di lasciare andareanche solo una parte delle sue fortune, a favoredei poveri e dei bisognosi.Il funerale di Israel fu una cosa terribile. Fuassai difficile persino reperire il quorum didieci Ebrei affinché si potesse procedere alrituale di sepoltura e gli fu assegnato unlotto al confine estremo del cimitero, inmezzo ai criminali ed ai reietti. Non ci fualcuno che volesse pronunziare una paroladi ricordo, perché nessuno aveva qualcosa dibuono da dire su di lui.La sera del giovedì susseguente al funerale,qualcuno bussò alla porta del rabbino capodi Cracovia, il famoso Rabbi Yomtov Lip-man Heller (1579–1654). All'uscio c'era un uomo, che spiegò al Rabbidi non avere soldi per comprare il necessarioper Shabbat: candele, vino, challah (pane) ecibo per la sua povera famiglia. Il rabbinogli diede qualche moneta, tratta dalla suapersonale beneficenza ed augurò allo sfortu-nato di passare un buon Shabbat.Dopo pochi minuti il rabbino sentì bussarenuovamente alla porta e ciò annunciò unarichiesta identica. A ciò seguì una terza ri-chiesta, poi una quarta ed una quinta. Inmeno di un'ora, oltre venti famiglie si reca-rono da Rabbi Heller, supplicandolo di aiu-tarli ad acquistare quanto necessario all'os-servanza dello Shabbat.Il rabbino era stupefatto: in tanti anni aCracovia nulla del genere si era mai verifi-

cato. A cosa era dovuta questa inspiega-bile improvvisa ondata di povertà?Rabbi Heller convocò una riunione diemergenza dei responsabili dei vari enti

di beneficenza, ma nessuno fu in grado di spie-gare questo fenomeno. Anzi raccontarono diessere stati sommersi da centinaia di richiestedello stesso tenore nelle ultime ore e che lecasse della comunità si erano praticamentesvuotate! In quel momento si udì bussare alla porta ed ilrabbino, porgendo qualche moneta a quest'ulti-mo postulante, chiese: “Dimmi, come ti seiregolato fino ad ora. Come hai fatto, ad esem-pio, la settimana scorsa a procurarti il necessa-rio per lo Shabbat?”“Ho comprato a credito dal droghiere” rispose ilpovero “Ogni volta che avevamo bisogno di cibo

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Yom Kippur - Maurice Gottlieb, 1878

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ed eravamo senza soldi, il negoziante cidiceva che non era un problema e si limi-tava ad annotare il conto sul suo registroe non ci ha mai nemmeno chiesto dipagarlo. Ma ora dice che non si può più farecosì”Una ricerca rivelò che centinaia di famiglie diCracovia erano sopravvissute in tal modo peranni, fino a quel momento. Per qualche stranaragione, nessuno dei droghieri, dei macellai, deiproprietari di pescheria voleva più far credito aipoveri.Rabbi Heller, allora, convocò nel suo studioquesti mercanti di generi alimentari e domandòloro cosa stesse succedendo, ma essi si rifiuta-rono di rispondere.Il rabbino replicò che nessuno di loro avrebbelasciato quella stanza, senza avere spiegatoquella strana situazione. Alla fine, la verità emerse. Per tanti anni Israel

aveva soccorso centinaia fra le famigliepiù povere di Cracovia. Ogni settimana imercanti della città gli presentavano iloro conti che lui pagava per intero. La

sua sola condizione era che nessuno, neppure glistretti familiari dei negozianti, dovesse venire aconoscenza delle sue azioni caritatevoli. “Sequalcuno di voi si lascia scappare anche unasola parola” li aveva minacciati “da me nonavrete mai più neppure un soldo!”Rabbi Heller era sconvolto sino al punto di sen-tirsi male. Fra loro era vissuto un uomo cosìmeraviglioso e loro, con la loro fretta nel giudi-carlo, lo avevano insultato e vituperato. Il rabbino annunziò che lo shloshim (anniversa-rio dei trenta giorni dopo la morte) di Israelfosse dichiarato giorno di pubblico digiuno pergli adulti e che tutti dovessero recarsi al cimite-ro per supplicare il defunto di perdonarli.Fu lo stesso Rabbi Hellel che parlò a favore di

Israel: “Tu” disse piangendo “hai onorato lamitzvah della tzedakah (beneficenza) nellasua forma più elevata, senza prenderti alcuncredito per le tue azioni ed assicurandoti chele persone che tu soccorrevi non dovesseroprovare vergogna nei confronti del lorobenefattore, ovvero sentirsi in debito conlui. E noi ti abbiamo ripagato con la derisio-ne ed il disprezzo” Il rabbino formulò ildesiderio di essere sepolto vicino ad Israel.“Ti abbiamo sepolto accanto alla recinzione,come un reietto, ma considero l'essere sep-pellito accanto a te un grande onore ed ungrande privilegio!”Rabbi Hellel, infine, disse che l'ultimo desi-derio di Israel dovesse essere esaudito.Sulla pietra posta sulla sua tomba furonoincise le parole “Qui giace Israel Goy.” Peròuna parola fu aggiunta all'iscrizione, laparola kadosh, santo. Così l'iscrizione postasulla tomba, che è accanto a quella delfamoso Rabbi Yomtov Lipman Heller, nelvecchio cimitero ebraico di Cracovia, recita“Qui giace Israel Goy Kadosh”

Menkaura Menkaura

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Accogliendo lo Shabbat - Elena Flerova

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