Acidopolitico Giugno 2010

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c o p i a g r a t u i t a giugno/luglio 2010 poLITICO MENSILE DI POLITICA CULTURA SOCIETA’ Polvere di Mariastella 28 | viaggio australian dream 1 | Milano 5 domande a Gabriele Ballarino 16 | portfolio MilanoCittàAperta

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Pubblicazione di politica, cultura e società della Facoltà di Scienze Politiche di Milano.

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gra t u i t a

giugno/luglio 2010

poLITICO

MENSILE

DI POLITICA

CULTURA

SOCIETA’

Polvere di

Mariastella

28 | viaggioaustralian dream

1 | Milano5 domande a Gabriele Ballarino

16 | portfolioMilanoCittàAperta

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SOMMARIO FONDATO DAFlavio Bini

Leonard BerberiAntonio Bisignano

DIRETTO DAAna Victoria Arruabarrena

Francesco Russo

REDAZIONEFlavio Bini

Sara BrianzoniCarlotta Caldiroli

Armando DitoMatteo ForcinitiShady HamadiVeronica NiscoNeliana PollariChiara RanieriGabriele Villa

HANNO COLLABORATOLeonard BerberiFilippo Ceredi

Pamela GiampinoGreta GandiniChiara MarcelliMustapha OuelliAngelica Vasile

RINGRAZIAMENTI AProf. Gabriele BallarinoComitato Inquilini MCP

Isaac Ali El - SawiSally Khalifa

MilanoCittàAperta

VIGNETTEFlaminia Sparacino

CORRETTORI DI BOZZEGiulia Laura Ferrari

Giulia Oldani

IMPAGINAZIONE E GRAFICAPaolo Carozzani

Elisa Malvoni

SITO WEBwww.acidopolitico.com

[email protected]

STAMPAMediaprint S.r.l.

via Mecenate, 76/32 - MIilanoStampato con il contributo derivante dai fondi previsti dalla Legge n. 429 del 3

Agosto 1985Registrato al Tribunale di Milano, n. 713

del 21 Novembre 2006

DIRETTORE RESPONSABILERoberto Escobar

3 | editorialela calda estate dell’università italianadi Francesco Russo e Ana Victoria Arruabarrena

4 | Milanosoggetti di una condizione, non oggetto di politichedi Francesco Russo e Ana Victoria Arruabarrena

6 | copertinauniversità da riformareo da commissariare?di Gabriele Villa

5 domande a Gabriele Ballarinodi Francesco Russo e Veronica Nisco

taglia che ti passa.bee

12 | universitàomofobia in Città Studidi Chiara Ranieri

alla Statale arriva il garante degli studentidi Francesco Russo

giornalismi universitari a confrontodi Chiara Marcelli

16 | portfolioMilanoCittàAperta

18 | internazionaleIsraele e la dialettica distorta dell’autodifesadi Neliana Pollari

cartoline dal Medio Orientedal nostro inviato Leonard Berberi

dilemmas of Egypt’s domestic politics and major challenges di Sally Khalifa Isaac e Ali El - Sawi

22 | Italial’unità degli ultimidi Matteo Forciniti

capaci di reagiredalla nostra inviata Pamela Giampino

24 | cultura‘non cantare, non fischiettare, non parlare da sola’di Chiara Ranieri

transitandodi Greta Gandini

26 | festival del libro di Torinol’editoria in mostra al Salone Internazionale del Libro di Torinodi Carlotta Caldiroli

28 | viaggioaustralian dreamdi Jacopo Corona

30 | il raccontoil figlio della barcadi Mustapha Ouelli

31 | la vignettadi Flaminia Sparacino

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editoriale

COMITATO di GARANZIA Su richiesta della Direzione e della Redazione di Acido Politico, un comitato costituito da docenti della Facoltà di Scienze Politiche si assume il compito di garantire la libertà e la correttezza sul piano legale del contenuto del periodico, senza tuttavia interferire sui suoi orientamenti e contenuti. Il comitato è composto dai prof. Gabriele Ballarino, Antonella Besussi, Francesco Camilletti, Ada Gigli Marchetti, Piero Graglia, Marco Leonardi, Lucia Musselli, Michele Salvati, e Roberto Escobar, il quale assume, ai fini della legge sulla stampa, la funzione di direttore responsabile.

di Francesco Russo e Ana Victoria Arruabarrena

la calda estate dell’università italiana

Vento d’estate nei cortili della Statale. In tutte le facoltà fervono i preparativi per le vacanze al mare e, in attesa che il Parlamento ap-provi la riforma dell’Università, ci si mette in forma con una bella cura dimagrante. Entro la fine dell’an-no infatti la manovra finanziaria predisposta dal governo nel 2008 si tradurrà in un taglio complessivo di 730 milioni al Fondo di Finan-ziamento Ordinario che è, per intenderci, la principale fonte di entrata degli atenei. Poco male, si direbbe per noi della Statale, che quest’anno abbiamo ricevuto 4 mi-lioni in più rispetto agli altri atenei per meriti scientifici. Peccato però che, a partire dal prossimo anno, mancheranno dalle casse delle università 25, 2 milioni di euro.Questo significa che, se i tagli non verranno ridotti, i finanziamenti ordinari non consentiranno alle università nemme-no di pagare gli stipendi ai professori (che di fatto assorbono la quasi totalità del fondo). «Anche considerando i pensionamenti, che ridurranno la spesa in stipendi di circa 8 milioni» riferisce Federico Lenza, rappresentante di SU in Consiglio di Amministrazione, «a bocce ferme l’università avrà un disavanzo di 17 milioni, e le spese per le risorse uma-ne saranno di 282 milioni, cioè il 105,6

% del FFO che le dovrebbe finanziare, oppure il 94,2 % per il calcolo del valore usato ai fini di legge per valutare lo stato di salute dei bilanci delle università, che peraltro dovrebbe restare sotto il 90 %». Che fare dunque? Per arrivare al fatidico traguardo occorrerebbe eliminare tutto ciò che è superfluo. Questo significa che, non potendo fare un bilancio in rosso o prendere denaro in prestito, l’università dovrebbe tagliare tutto il ta-gliabile, azzerando tutte le voci di spesa classificata come ‘non obbligatoria’ e,

solo in questo caso, potrebbe chiudere in pareggio. È evidente però che, eliminando le spese ‘minori’, sarebbe impossibile sostenere i costi della ricerca e della didattica. E questo avrebbe effetti disastrosi. Tali spese infatti non sono certo superflue. Si tratta infatti di 10,6 milioni di euro di ‘Fondi per le Facoltà’, fra cui quel-li per gli affidamenti, i professori a contratto e il potenziamento della didattica e i laboratori didattici e di 5 milioni di fondi per la ricerca, e il co-finanziamento necessario per ottenere i fondi ministeriali per la ricerca.Questo significherà, per esempio, che nella Facoltà di Scienze Politiche verranno annullati i corsi, le esercitazioni, i laboratori e i

tutoraggi tenuti dai professori a contratto o con affidamenti retribuiti, senza dimen-ticare che i ricercatori a tempo indeter-minato hanno da tempo incrociato le braccia per protestare contro la politica di governo. Una situazione che diverrà ancor più insostenibile con l’inizio del nuovo anno accademico. Si profila insomma una calda estate di sacrifici. Per ora è meglio riprendere in mano le parole crociate e sorseggiare un buon Mojito. Il peggio deve ancora arrivare.

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Milano

soggetti di una condizione, non oggetto di politicheNon lontano dalle eleganti vie del centro esiste un quartiere che racconta un’altra faccia di Milano, quella che nessuno vorrebbe guardare: storie dal Molise-Calvairate.

di Francesco Russo a Ana Victoria Arruabarrena

Periferia sud-est di Milano, il bus numero 12 ferma in piazzale Martini. Da qui si prosegue per via Calvairate, si svolta in via Molise e poi dritto fino a piazzale Cuoco per poi raggiungere piazza Insubria. Il quartiere Molise-Calvairate è qui. Tremila alloggi popolari costruiti a partire dagli anni ’30 dall’ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) per ac-cogliere le famiglie operaie e rispondere alla domanda di case degli immigrati del sud negli anni del boom economico. Un quartiere periferico ma dignitoso. Con la chiusura delle fabbriche alla fine degli anni ’60, però, gli operai hanno lasciato il posto ad una generazione di disoccupati e cassaintegrati e una nuova ondata di povertà e problemi ha investito il quartiere. Gli alloggi, ormai decadenti, sono stati abbandonati a se stessi e i bagni pubblici chiusi perché il Comune non aveva i fondi per garantirne il mantenimento. A complicare le cose è arrivata poi l’istituzione in viale Puglie di un centro psico-sociale nel 1978 per accogliere i malati psichiatrici non più relegati nei manicomi dopo l’applicazio-ne della legge 180. La situazione non è migliorata con gli anni e, in quella che

fino agli ’70 era la sede del macello, del mercato ortofrutticolo e di piccole fabbriche e laboratori artigiani, si trova oggi uno dei quartieri più disagiati del Comune di Milano.Il quartiere ha cambiato volto ma nessu-no sembra essersene accorto. Degrado e sporcizia invadono le case, l’intonaco delle facciate cade a terra e dalla strada si notato i segni delle infiltrazioni d’acqua. Gli spazi comuni come solai, cantine, sotterranei, ex lavatoi e docce comuni vengono abbandonati e, in certi casi, occupati abusivamente da persone e animali. Molti palazzi non hanno l’ascensore e alcune case non hanno nemmeno la doccia o la vasca da bagno. Ma i problemi non finiscono qui. Gran parte degli abitanti del quartiere sono anziani e hanno bisogno di cure mediche. Secondo le stime ufficiali (fon-te: Contratto di Quartiere II) le persone anziane maggiori di 65 anni rappresen-tano oggi circa il 32% degli inquilini e in alcuni caseggiati la percentuale arriva fino al 39%. Di queste, il 53% vive da solo e ha bisogno di assistenza domi-ciliare. Negli appartamenti vicini, poi, vivono molte persone con gravi disagi psichici e in alcuni caseggiati rappresen-tano addirittura il 6,8% degli inquilini. Una situazione fuori dal normale: i malati si trovano spesso in condizioni di totale abbandono, in alcuni casi mettono a

rischio la loro salute allevando in casa topi e piccioni e minacciano la sicurez-za dei vicini con episodi di violenza e allarme sociale. Accanto ad anziani e malati ci sono poi i bambini e i ragazzi che, in assenza di un luogo adeguato in cui studiare e spesso obbligati a vivere in case piccolissime, hanno gravi difficol-tà a scuola. A questo si aggiungono forti conflitti familiari e una situazione economica non facile. Possibile che nessuno abbia cercato di fare qualco-sa in questi anni? Dal 1979 esiste il Comitato inquilini Molise-Calvairate, un’associazione di volontari che da anni si occupa dei problemi del quartiere e cerca di tutelare i diritti dei cittadini ad avere una casa e a vivere in uno spazio sicuro e migliore. Il comitato offre gra-tuitamente tre doposcuola, due corsi di lingua e cultura italiana, due sportelli per i problemi abitativi, un corso di inglese, un progetto di intervento territoriale per costruire reti di supporto ai sofferenti psichici e da oltre un decennio organiz-za in collaborazione con le parrocchie un pranzo di Natale per le persone sole. Insieme ad altre associazioni i volontari si battono perché il Comune dedichi maggiore attenzione ai problemi del quartiere e risponda alle richieste di partecipazione degli abitanti al Contratto di Quartiere. Il progetto più ambizioso è partito nel 2008 in collaborazione con la Fondazione Vodafone Italia e prevede la costruzione di un Centro popolare di documentazione e promozione culturale che raccoglie le storie degli abitanti dei quartieri e favorisce la creazione di un’identità comunitaria. All’interno del centro è possibile iscriversi gratuitamente a corsi di teatro, fotografia,web radio e partecipare a laboratori artistici e di

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Davide, un volontario del Comitato, racconta che poche settimane fa alcuni abitanti del quartiere originari dello Sri Lanka si sono presentati davanti alla sede con un foglio di carta sul quale era scritto il nome del loro datore di lavoro, un anziano invalido e con molti problemi conosciuto nel quartiere, che avrebbe dovuto assumere uno dei ragazzi come badante in cambio di diverse migliaia di euro. «Gli ho chiesto di spiegarmi come avevano trovato quel lavoro ma non mi hanno voluto rispondere», riporta il volontario, «dicevano che se c’era bisogno di altri soldi avrebbero pagato». Non è possibile sapere chi avesse procurato loro quel lavoro e quanti soldi avessero già speso per averlo ma «se gli avessi chiesto di darmi dei soldi me li avrebbero portati di lì a poco, allungando di un altro anello la catena dei potenziali sfruttatori». «Era come essere su due pianeti diversi», continua il volontario, «avevo un potere assoluto su di loro e loro non potevano che accettarlo. Addirittura mi riconoscevano un’autorità che non avevo e proponevano di comprare un favore con moneta so-nante». «Mi è sembrata l’immagine più forte di tutti questi anni per esprimere lo stato di inferiorità legato alla clandestinità. È una storia in cui c’è questo e tanto altro: le diramazioni di criminalità presenti nei caseggiati, una guerra tra poveri caricaturale in cui un invalido truffa dei clandestini grazie alla propria invalidità, la loro ignoranza e i servigi a qualche minaccioso intermediario, il senso di impotenza rispetto a dinami-che tanto violente quanto accettate da tutti gli attori coinvolti, vittime comprese».

scrittura creativa. Sforzi ammirevoli e risultati interessanti, si potrebbe dire. Ma non basta. I problemi sono tantissimi e gli spazi e i fondi a dispostone non sono sufficienti a soddisfare la domanda di servizi. Nell’ultimo decennio il quartiere ha dovuto inoltre affrontare un nuovo problema, quello della presenza di cittadini stranieri che oggi costitui-scono il 25,4% degli abitanti della zona. I dati arrivano al 55,5% per i nuovi nati con almeno un genitore di origine straniera. Sono proprio loro la categoria più vulnerabile del quar-tiere: da un lato devono affrontare le difficoltà quotidiane comuni a tutti gli abitanti, dall’altro devono fare i conti con l’intolleranza e il pregiudizio dei vicini e il costante pericolo del vivere in clandestinità.

il racconto

ImmigrazioneAumentati negli ultimi quattro anni di quasi 1,6 milioni (+47,2%) oggi gli immigrati in Italia sono circa 5 milioni. Vivono in Italia in media da 7 anni, il 40,6% è diplomato o laureato, rispetto al 44,9% degli italiani, nel 32% dei casi hanno sperimentato in passato forme di lavoro irregolare (dato che sale al 40% al Sud), e oggi il 29% fa l’operaio, il 21% è colf o badante, il 16% lavora in alberghi e ristoranti, con una retribuzione netta mensile che nel 31% dei casi non raggiunge gli 800 euro. 600mila gli immigrati senza permesso di soggiorno.Il requisito fondamentale per raggiungere la piena inte-grazione degli stranieri è la conoscenza della lingua, acquisita dalla maggior parte dei lavoratori immigrati. Il 42,8% ne ha una conoscenza sufficiente, il 33,1% buona, l’8,9% ottima, mentre il livello di apprendimento è ancora insufficiente solo per una minoranza pari al 15,1%.Le proiezioni Ismu per il futuro vedono in crescita le nazionalità latinoamericane (Ecuador e Perù), asiatiche (Filippine, Bangladesh, Pakistan, India) e africane (Sene-gal, Nigeria ed Egitto).Rapporto ISMU 2009 eindagine svolta in collaborazio-ne con Censis e Iprs per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Roma 17 giugno 2010.

2008 2010 2015 2020 2025 2030

Romania 625 798 1.108 1.182 1.200 1204Albania 402 491 649 772 868 948Marocco 366 436 580 704 811 908Ecuador 73 109 177 240 295 344Filippine 106 130 179 230 281 329

Cina Rep. Popolare

157 197 258 281 287 289

India 77 97 144 189 230 269Perù 71 91 133 171 206 237Egitto 70 89 127 161 194 228

Bangladesh 55 73 113 152 189 223Senegal 63 77 108 142 179 216Ucraina 133 184 196 198 198 198Pakistan 49 65 99 130 161 191Tunisia 94 110 140 162 177 187Nigeria 41 52 78 107 138 171

Macedonia 78 101 134 148 154 156Moldova 69 89 124 136 140 142Polonia 90 95 106 109 110 110

Sri Lanka 61 71 88 99 106 110Serbia e

Montenegro69 71 80 84 85 85

Totale 20 Paesi 2.749 3.426 4.621 5.397 6.009 6.548

Paesi

Al 1° gennaio degli anni

(migliaia)

Prospettive di sviluppo della popolazione straniera residente per le principali cittadinanze. Anni 2008-2030. Fonte: Istat e nostre elaborazioni su dati Istat, Ilo e UN.

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università da riformare o da commissariare?

di Gabriele Villa

Tagli a pioggia e riforma meritocratica. Ecco la ricetta per uscire dalla crisi. Forse.

In questi giorni non si parla d’altro che del nuovo DDL presto in discussione alle Camere, la riforma Gelmini. Ma cos’è successo all’Università italiana?Con il famoso decreto del 30 novembre 1999 si introdusse per la prima volta il doppio ciclo universitario dividendo il vecchio percorso accademico in uno triennale seguito poi dalla laurea specialistica di due anni. Tale riforma fu poi rivista nel 2004 con l’introduzione della laurea di primo livello (ex laurea triennale) e la laurea magistrale (ex specialistica). Obbiettivo era quello di snellire tutto il sistema rendendo le uni-versità autonome sulla scelta dei corsi di laurea e creare un mercato dell’istruzione fortemente competitivo.I fatti però portano a diverse conside-razioni. Dall’introduzione del 3+2 si è assistito ad un proliferare indiscriminato di corsi di laurea la maggior parte dei quali si sono rivelati titoli inutili da spen-dere nel mercato del lavoro, appesan-tendo così l’intero sistema e aggravando la situazione delle casse universitarie e del Ministero dell’Istruzione. Il fenomeno della crescita smisurata dei titoli di studio è stato analizzato da molti sociologi tra cui Randal Collins, d’ indiscussa fama internazionale, il quale parla di Welfare credenzialistico ed inflazione delle cre-denziali educative, fenomeno ricondu-cibile a diversi ambiti socio-economici, in particolare ad una società sempre più burocratizzata e ad un mercato del lavoro sempre più esigente. Ma quello che si è visto in questi anni in Italia non è del tutto paragonabile a tale fenomeno in quanto la maggior parte dei corsi di laurea nati dopo la riforma non si sono

rivelati utili ad un inseri-mento lavorativo degli studenti.Nell’anno accademi-co 2007/2008 si è raggiunto il tetto massimo di fantasia con ben 5400 corsi di laurea differenti. La sforbiciata alla didattica si è resa inevitabile, con un taglio netto di 800 corsi di laurea (6,3%). Le facoltà più colpite sono quelle di Economia il cui numero di corsi subisce un taglio del 14,49% e di Scienze Statistiche con un netto -33,33%.Le casse dell’Università però non sono state

Nell’anno accademico 2007/2008 si è raggiunto il tet-to massimo di fantasia con ben 5400 corsi di laurea differenti. La sforbiciata alla didattica è inevitabile, con un taglio netto di 800 corsi di laurea (6,3%).

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università da riformare o da commissariare?

messe a dura prova solo dalla crescita smisurata e talvolta inutile dei percorsi di formazione, ma anche da continui errori di governance che hanno permesso una degenerazione in errate allocazioni e investimenti inappropriati provocando i grandi sprechi di cui oggi tanto sentiamo parlare.Fino al 2009, il sistema universitario italiano non era stato mai colpito da tagli sostanziali, per quanto di anno in anno

annunciati, ma anzi sempre mantenuto in vita da continue doti ministeriali che per-mettevano alla nave di restare a galla. Se ne può dedurre che il sistema abbia conosciuto un continuo declino per cause interne alle stesse Università che hanno continuato a non razionalizzare il budget a disposizione sperperando o investendo male le risorse.Ci si avvia ora alla resa dei conti, la grave crisi economica e le ultime vicende Europee hanno portato al vaglio di una Finanziaria all’insegna dei tagli indiscriminati e dell’austerità in cui quasi nessun settore è stato risparmiato, tantomeno quello dell’Università e della Ricerca. Finiti i benefici del “Patto per l’università”, firmato dai ministri Mussi e Padoa-Schioppa, che dal 2008 aveva assicurato 550 milioni di euro l’anno fino al 2010, l’assegno statale per il

2011 scenderà sotto la soglia dei 6 miliardi, causando un crollo del fondo delle Università (FFO) del 17% solo per il primo anno. Ciò comporterà cadute di finanziamento a livello di singolo ateneo anche del 40%.In questo difficile contesto si inserisce la riforma Gelmini, da molti vista come un vero e proprio commissariamento delle Università, chiamate sul banco degli im-putati a rispondere degli sprechi registrati fino ad oggi. Il DDL punta, almeno sulla carta, a promuovere l’eccellenza e il merito degli atenei pubblici italiani attraverso il raffor-zamento della valutazione.Perno di tutta la vicenda è il funziona-mento dell’ANVUR, l’agenzia che dovrà valutare il sistema universitario pubblico e privato il cui nuovo regolamento, pub-blicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrerà

in vigore l’11 giugno 2010. Saranno oggetto di valutazione l’efficienza e l’efficacia dell’attività didattica sulla base di standard qualitativi di livello interna-zionale, anche con riferimento agli esiti dell’apprendimento da parte degli stu-denti ed al loro adeguato inserimento nel mondo del lavoro. Tutto ciò si riconduce al principio secondo cui l’autonomia delle Università debba essere coniugata con una forte responsabilità dal punto di vista finanziario, scientifico e didattico fa-cendo sì che i singoli atenei rispondano direttamente della loro inefficiente gestio-ne: finanziamenti in base al rilevamento di standard di qualità. Altro punto fondamentale è la revisione sostanziale del sistema di governance a partire da una più netta distinzione tra Senato Accademico e Consiglio d’Am-ministrazione, il primo con il compito di

L’assegno statale per il 2011 scenderà sotto la soglia dei 6 miliardi il che causerà un crollo del fondo delle uni-versità (FFO) del 17% solo per il primo anno.

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avanzare proposte sulla didattica e ricer-ca, il secondo con chiara responsabilità delle spese, delle assunzioni e della gestione anche delle sedi distaccate. La grande innovazione prevede l’inseri-mento di un 40% di membri esterni nel Cda (i cui componenti totali saranno 11), l’introduzione di un Direttore Generale come manager responsabile dell’ammini-strazione dell’ateneo e una componente studentesca elettiva ma qualificata.Altro organo fondamentale sarà il Nu-cleo di valutazione d’ateneo oggi com-posto principalmente da docenti interni. La riforma ne prevede la composizione a maggioranza di membri esterni al fine di garantire una valutazione oggettiva e im-parziale. Una sezione del DDL prevede addirittura la valutazione dei professori da parte degli studenti come elemento determinante per l’attribuzione dei fondi alle Università da parte del Ministero.Osservando così la riforma, non se ne può che dedurre uno spirito di innovazio-ne e soprattutto di miglioramento di una governance che fino ad oggi non si è dimostrata all’altezza dell’autonomia; nè si può imputare al solo ministro Gelmini la responsabilità degli spaventosi tagli che invece provengono direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tuttavia c’è ancora poca chiarezza su come sarà gestita la questione del reclutamento di nuovi ricercatori e dell’ac-cesso di giovani studiosi alla carriera accademica, nonché su come sarà affrontata la gravosa situazione di un fondo per la ricerca ormai esaurito.Si aspettano ora risposte dal MIUR che fino ad oggi ha solo creato disorienta-mento attorno alle questioni appena ci-tate. E gli studenti? Come verrà gestito il delicato settore del Welfare studentesco, punto cardine di un sistema universitario di qualità e competitivo a livello interna-zionale?

per saperne di più

Corsi di Laurea, variazioni nelle principali Facoltà:

medicina e professioni sanitarie + 6,43 %scienze politiche + 3,26 %lettere e filosofia + 1,45 %lingue e letterature straniere 0,00 %scienze matematiche, fisiche e naturali - 2,80 %agraria - 7,29 %ingegneria - 9,41 %psicologia - 12,12 %architettura - 12,99 %economia - 14,49 %giurisprudenza - 14,49 %scienze statistiche - 33,30 %

TREND COMPLESSIVO:

a.a. 2007-2008 / a.a. 2008-2009 - 6,3 %a.a. 2008-2009 / a.a. 2009-2010 - 3,7 %a.a. 2009-2010 / a.a. 2010-2011 - 6,3 %

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Professore, come si è giunti a questo punto? Che cosa non ha funzionato? Chi ne sta pagando le conseguenze?

Bisogna innanzitutto tener distinte due cose che la protesta mette insieme: da una parte c’è la riforma e dall’altra ci sono i tagli. Questi ultimi viaggiano con la legge finanziaria e hanno quindi un iter politico-parlamentare di un certo tipo, mentre la riforma non prevede tagli ma la riorganizzazione dell’uni-versità, la governance, il reclutamento, la carriera dei professori. Molti di noi sperano che approvando la riforma, i tagli possano essere ritirati. Tutti paga-no le conseguenze dei tagli, soprattutto chi è meno tutelato, per cui è probabile che le prospettive dei giovani siano peggiori di chi ha già un lavoro e che per la prassi italiana sono illicenziabili. Chi è in attesa di cominciare il dottora-to di ricerca o di diventare ricercatore potrebbe trovarsi davanti alla totale mancanza di prospettive. Tornando invece alle proteste. L’occupazione è stata attuata soprattutto da sindacalisti, che sono tutti tecnici e amministrativi. Questi hanno da temere pochissimo con la riforma, molto meno dei profes-sori che avranno invece meno fondi per la ricerca e più studenti in aula. L’altra componente della contestazione sono gli studenti attivisti che in molti casi utilizzano l’università come terreno di propaganda e di reclutamento per le loro formazioni politiche. Dove si va a parare? É probabile che il governo spinga per approvare alla svelta la riforma, e una volta passata questa,

5 domande a Gabriele Ballarino

di Francesco Russo e Veronica Nisco in modo relativamente indolore, come dicevo prima, potrebbe ritirare almeno parzialmente i tagli, per cui alla fine le cose potrebbero andare a posto. Se al contrario il governo persistesse nella politica dei tagli, c’è il rischio che la situazione diventi incontrollabile: i ricercatori minacciano mobilitazioni e in una università come la nostra, dove molti insegnano, potrebbero mettere in crisi l’offerta didattica.

L’università italiana viene spesso presentata come un malato grave da sottoporre a terapie intensive a base di tagli indiscriminati e ristruttura-zioni mortificanti. Nel resto d’Europa si tende invece a investire in modo selettivo ingenti risorse per mantene-re alta la competitività degli studenti. Come si spiega questa anomalia?

Innanzitutto l’università è un malato grave che ha bisogno di cure mirate. Per me il problema non sono i tagli. Po-trebbe darsi che un Paese come l’Italia non possa permettersi di spendere per l’università i soldi che sono stati spesi negli anni scorsi. Di fatto c’è stato uno spostamento dell’investimento pubbli-co dalla scuola alle università. Molta ricerca contemporanea ci dice che sia per obiettivi di investimento in capitale umano, quindi di efficienza economica, che di uguaglianza e opportunità, è molto più importante l’investimento nella scuola, o addirittura nel pre-scuola, come affermano alcuni economisti americani tra cui il premio nobel James Hackam. In Italia ai tagli all’università, effettuati in modo indiscriminato, invece non corrisponde alcun aumento di inve-stimento. Per capirci: è come un malato di cancro curato con la chemioterapia,

che lo debilita complessivamente e che quindi non sta male per il cancro in sé, ma per la cura. Quello che succederà a breve sarà che i tagli a pioggia bloccheranno tutto per cui non sarà possibile individuare ciò che davvero non funziona e perciò intervenire. La legge di riforma invece su alcuni punti va in un senso corretto. Per esempio rende temporanee le posizioni di in-gresso nella carriera docente. In nessun altro sistema universitario del mondo accade come in Italia che la posizione di ingresso, come nel caso dei nostri ricercatori, sia già permanente e che non ci sia nessuna verifica successiva. Altri problemi sono la scarsa efficienza degli apparati amministrativi e il fatto che nessun capo - direttore di dipar-timento, preside di facoltà, o rettore - si assume la responsabilità di scelte giuste, ma impopolari, che potrebbero costare la rielezione. Rispetto a questi problemi i tagli peggiorano la situa-zione mentre la riforma, senza tagli, potrebbe in qualche modo funzionare. In Francia e in Germania c’è stato un massiccio investimento selettivo per migliorare la situazione. Sarebbe un esempio da seguire.

Sembra però che i tagli abbiano avuto comunque un effetto positivo: i corsi di laurea sono diminuiti e i finanziamenti agli atenei sono ora le-gati a criteri di produttività in ambito di ricerca e didattica. Forse l’universi-tà entra finalmente nel merito?

Sì, certamente, ma si tratta di decisioni prese prima della riforma e che fanno parte dei normali meccanismi decisio-nali e amministrativi. Questo mi porta ad un altro punto. In generale sono

l’intervistaNon si fermano le proteste degli studenti contro i tagli previsti dalla finanziaria 2008 e contro la riforma del Ministro Gelmini. Nella settimana di mobilitazione nazionale il rettorato dell’Università di Milano è stato occupato dagli studenti e dal personale amministrativo. Per capire cosa sta succedendo nell’università italiana abbiamo sentito il professor Ballarino.

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contrario alle grandi riforme. I gover-ni invece le considerano un mezzo per massimizzare il consenso. Una strategia miope: in passato presentare le riforme come «grandi riforme» ha sortito l’effetto di compattare i fronti contrari. È, secondo me, più intelligente agire per vie normali. Non si fa cioè la riforma dell’università, ma si adotta una strategia incrementale. In Germania, per esempio, la riforma è avvenuta in modo molto più graduale di quanto si sta cercando di fare in Italia: ai diversi atenei è stata data la facoltà di sce-gliere i tempi e i modi di applicazione e l’intervento è stato più fluido, senza eccessivi traumi. L’università italiana sta finalmente entrando nel merito anche perché l’insostenibilità dello status quo ante è davanti agli occhi di tutti. Ci sono molti casi di atenei che hanno iniziato in modo relativamente autono-mo a modificare le cose prima ancora che la riforma venisse implementata. Meglio quindi fare riforme a piccole tappe senza imporre a tutti gli stessi rit-mi perché quello che può andare bene per l’università di Milano potrebbe non andare bene per quella di Teramo.

L’università viene spesso accusata di essere dominata dai «baroni» che agiscono in modo corrotto e clientela-re per proteggere interessi e privilegi. Per molti studenti l’eliminazione della «casta» accademica sembra addirit-tura essere la premessa per il rilancio del sistema universitario. Come controllare i criteri d’ingresso e la carriera dei docenti salvaguardando il merito e la qualità? Quale gover-nance per l’università italiana?

Per diminuire le clientele, la corruzione e il nepotismo basta vincolare il recluta-mento a parametri di produttività scienti-fica internazionalmente riconosciuti. Secondo alcuni studiosi questo sistema presenta dei limiti ma si tratta comun-que di criteri oggettivi mentre, nel caso del clientelismo, si parla di regole soggettive. Per quel che riguarda il discorso sulla governance penserei ad un maggiore accentramento. I ‘capi’, ad ogni livello, vengono cioè messi in grado di prendere delle decisioni e di

applicarle assumendosene la responsa-bilità. Questo vuol dire che se un pre-side causa dei disastri alla sua facoltà, è bene che non venga rieletto, cambi facoltà e, se necessario, cambi anche mestiere. In questo caso quel che conta non è tanto il reclutamento quanto la forma del rapporto lavoro. Non si tratta solo di un problema dell’università italia-na, ma di tutta la pubblica amministra-zione. Ed è di una gravità estrema: i lavoratori, una volta inseriti in un rapporto di lavoro indeterminato, sono di fatto inamovibili. Ma un’organizza-zione in cui le persone che non fanno niente non possono essere allontanate, è una organizzazione che funziona male. Questo è il punto decisivo: chi non fa se ne deve andare. Ovviamente devono esserci delle garanzie perché occorre tutelarsi da ogni tipo di abuso. Ci sono però professori che da decen-ni non fanno ricerca o non pubblicano articoli, mentre dall’altra parte ci sono moltissimi giovani che attendono ansio-samente la prossima borsa di studio.

Un altro aspetto interessante è quello del rapporto tra università e attori economici. Nei prossimi anni gli atenei avranno sempre più bisogno di finanziamenti esterni e dovranno rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, promuovendo l’integra-zione tra ateneo e impresa, senza tuttavia perdere la propria autono-mia. In che direzione va l’università italiana?

Anzitutto sgombriamo un falso mito che è quello della «torre d’avorio». Non è vero che l’università è da sempre il luogo in cui si studia astrattamente la teoria e la scienza mentre al di fuori c’è il mondo. Gli studenti non sanno, per esempio, che le facoltà di ingegneria ed economia non esistevano nel Me-dioevo e che sono nate nell’8oo come scuole tecniche esterne per volere di imprenditori illuminati, incorporate poi dall’università ma senza perdere i loro rapporti con l’economia. Questa è la storia della Bocconi e del Politecnico di Milano. Questa mitologia della«torre d’avorio» ha, in parte, un fondamento di verità solo nel caso delle facoltà

umanistiche: non è vero che non hanno un rapporto con l’esterno ma prepa-rano per professioni ben precise, in particolar modo per l’insegnamento. Il problema è che in Italia il reclutamento all’insegnamento è chiuso da venti anni, per cui gli studenti si trovano sen-za sbocchi lavorativi. Per necessità o per virtù i rapporti tra università e attori economici sta aumentando, ma la cosa interessante è che non sono gli attori economici bensì lo Stato e gli universita-ri stessi a spingersi verso questi e a non trovare però attori economici disposti a finanziare e ad investire risorse. L’univer-sità deve senza dubbio essere integrata con il mercato perché ha dei costi che vanno coperti. Che lo Stato abbia o non abbia le risorse per farlo, i buchi di bilancio vanno colmati. Ma è pur vero che il mercato del lavoro non sa che cosa vuole esattamente. Le aziende non sanno di cosa avranno bisogno tra cinque anni. Non potranno dunque dirci cosa fare. Se è questa la realtà, l’università deve formare le persone. Sta poi alle aziende adattarsi e continuare a formare. L’idea che l’università do-vrebbe produrre laureati immediatamen-te inseribili dalla sala lauree all’ufficio è una assurdità. L’università deve pensare alla occupabilità dei suoi laureati, ma il problema non è obbligare le facoltà umanistiche a trasformarsi in facoltà di informatica e ingegneria di serie B bensì ridurre il numero di studenti iscritti alle facoltà umanistiche.

Gabriele Ballarino

Gabriele Ballarino è professore associato presso il dipartimento di studi del lavoro e del welfare dell’Università Statale di Milano. Insieme ad altri colleghi è autore di Torri d’avorio in frantumi? Dove vanno le università europee, Il Mulino, Bologna, 2010.

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taglia che ti passaTempo di crisi, tempo di sacrifici economici per il nostro paese. Sacrifici per tutti, soprattutto per chi, come l’Università, è stata sempre risparmiata dalle sforbiciate del go-verno. Prima i tagli, i tagli ai tagli e i tagli ai tagli dei tagli. Poi il blocco dei turnover per i prossimi quat-tro lustri, che costringerà gli assegnisti a diventare ricercatori a venti giorni dalla pensione. Ora l’università è finalmente chiamata a fare la sua parte nella razionalizzazione delle spese.Acido Politico è in possesso di un documento riservato che circola in ambienti della facoltà e che prean-nuncia le prossime misure di austerity.Il primo a pagarne le spese sarà il custode: licenziato. Di giorno entrerà chi vuole, di sera al suo posto verrà installato un citofono collegato direttamente con il numero di casa del preside. Chiamare, preferibil-mente, ore pasti.Il secondo ad essere colpito sarà il bar. Costa troppo e ci sono pendenti troppe cause da avvelenamen-to da panino al cotto e formaggio. La multinazionale del formaggio se ne lava le mani e ora produce pneumatici e l’università non può più sobbarcarsi le spese legali. Al suo posto una macchinetta di ultima generazione che eroga primi, secondi, contorni e antipasti in comodi imballaggi confezionati in Cina da manodopera sottopagata. Un’unità di pasta al pomodoro verrà pagata al fornitore 0,03 centesimi e verrà venduta a 4,99. La differenza finirà in un fondo per i ricercatori precari. Terza tappa indispensabile sarà una stretta sui finanziamenti universitari. Verrà sponsorizzato un solo gior-nale in tutto l’ateneo, distribuito in venti copie. Otto pagine in bianco e nero fronte retro. Titolo provvisorio: Uni, per risparmiare inchiostro. Il quarto passo è considerata la punta di diamante del programma di tagli: il microrisparmio, detto anche risparmio di lunghissimo periodo. Si legge nel documento riservato: “Avete idea di quanto si spende ogni giorno per cambiare le batterie dei microfoni delle lezioni dei docenti? 80 centesimi .Sembra una mise-ria, certo, ma in un mese sono 24 euro e in un anno sono quasi 300 euro. Sembra ancora una miseria, certo, ma su 10 anni sono quasi 3mila euro. In un secolo sono trentamila”. Da microfoni, carta igienica, portaceneri, maniglie delle porte e matite è previsto un risparmio di oltre un milione di euro da qui al 2600. L’ultima proposta è una vera chicca: abolizione delle province universitarie. Certo bisogna vincere la resi-stenza della solita lobby di pessimisti distruttivi che obietta che non esistano province universitarie. Se è per questo non esistono nemmeno province con meno di duecentomila abitanti, che non siano di confine, vicino a un lago, sopra i tremila metri ma sotto i quattromila, che abbiano un nome femminile, di lettere dispari, e cha faccia rima con “catamarano”. Eppure qualcuno è andato avanti a raccontare per giorni che le province, quelle vere, le avrebbero abolite sul serio. Per risparmiare. Poi hanno fatto due conti. Ogni provincia costa ogni giorno come 24mila matite. Solo che la matite non votano.

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free the bees

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università

omofobia in Città Studi

di Chiara Ranieri

‘Ma siamo nel 2010! Appunto’

L’11 marzo in Città Studi nella sede di Biologia si è verificato un episodio di omofobia: violenza verbale gratuita nei confronti di uno studente da parte di un lavoratore addetto alla manutenzione.Il ragazzo sta pubblicizzando una rassegna cinematografica finanziata dai fondi dell’università per le attività sociali, quando si accorge che tutti i volantini distribuiti e appesi i giorni precedenti erano scomparsi. Recandosi in altre zone del polo viene informato del fatto che un ragazzo passato di lì poco prima aveva staccato tutte le locandine. Verso le 11.50 i due si incontrano e subito iniziano i toni aggressivi: “sei tu che at-tacchi quei volantini?”. Il ragazzo cerca di avvicinarsi per fargliene leggere uno ma lui: “ Non ti avvicinare. Io ti metto le mani addosso, non mi toccare, sei la feccia del mondo”, “ti farò spendere miliardi di soldi di pubblicità, perché ti staccherò sempre tutti i volantini” e ancora “quindi rubi anche soldi pubblici per quelle cose?”. Si passa alle minacce: “se attacchi ancora un altro volantino ti ammazzo”. Frasi riportate dal ragazzo stesso in una lettera indirizzata al Rettore e ad altre istituzioni.Fortunatamente il ragazzo non era solo e altri studenti hanno potuto testimoniare l’accaduto che successivamente è stato denunciato agli organi dell’università e al Senato Accademico, che doveva svolgersi due giorni dopo. Attraverso la pressione di GayStatale e del Comitato di Pari Opportunità si indaga meglio sul caso, che nel frattempo è diventato mediatico: casi così violenti di discrimi-nazione all’interno di contesti universitari suscitano scalpore. La Repubblica ne scri-verà un articolo. Si scopre che l’aggres-sore verbale non è uno studente, ma un esterno che nei giorni successivi è stato

prontamente licenziato dall’azienda per cui lavorava. La ditta verrà contattata dal Senato accademico.Sull’onda del caso vengono denunciati episodi precedenti che testimoniano una certa continuità delle vessazioni discriminatorie che i ragazzi gay subi-scono tra la mura universitarie. Si tratta sempre di insulti verbali e di oltraggi. L’8 maggio 2009 alcuni componenti di Obiettivo Studenti giustificavano il fatto di staccare i volantini di GayStatale in

questo modo: “perché non ci piacciono!” e rispondendo alle proteste del ragazzo così: “datti una calmata, bambina”. Altre volte, invece, alcuni ragazzi passando davanti alla libreria della Cusl si sono sentiti apostrofare in questo modo: “ ecco quelli che si inculano. Allora, vi piace fottervi?”.In risposta alla denunce e con la consa-pevolezza della gravità dei diversi casi, il Comitato Pari Opportunità ha proposto di creare un documento che regoli il

di Flaminia Sparacino

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omofobia in Città Studi

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di Flaminia Sparacino

comportamento di chi entra come ester-no nell’università al fine di evitare discri-minazioni ed oltraggi al funzionamento dell’istituzione. Il documento, ancora da redigere, si chiamerà Codice di condotta per le persone esterne che instaurano rapporti lavorativi con l’Università. Un’altra rilevante iniziativa è l’apertura a

breve di uno sportello on line contro le discriminazioni, a cui possono rivolgersi tutti gli studenti che hanno subito e sono stati vittime di discriminazioni, vessazioni o trattamenti ingiusti da parte di altri studenti e/o docenti, con obbligo di dichiarare le proprie generalità. L’intento è quello di creare un servizio completo che offra una consulenza psicologica e giuridica, prendendo in carico il caso della persona ed avviandolo verso una procedura specifica. Da questi avvenimenti si può pensare che ormai anche l’Università non sia più un luogo dove il rispetto della persona e la tolleranza siano la norma, ma uno spazio in cui i propri diritti e la propria libertà d’espressione e di parola vengo-no minacciate. Così come avviene al di fuori, dove sempre più spesso la diversità e il disagio vengono stigmatizzati, allon-tanati e, in misura maggiore, condannati. Forse, come nel film Mine Vaganti di Ozpetek, ad alcuni verrà da esclamare: “Ma siamo nel 2010!” per poi sentirsi rispondere “Appunto.”

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università

Chi è? A cosa serve? Lo abbiamo chiesto ad Angelica Vasile, rappresentante degli stu-denti alle pari opportunità.

alla Statale arriva il garante degli studentiChe cosa ti ha spinto a promuovere la creazione di un garante degli studenti e di cosa si occupa?

Sicuramente sono stata mossa dall’esperienza personale: durante la mia carriera universitaria mi è capitato di vedere e vivere in prima persona situazioni spiacevoli e ingiuste nei confronti degli studenti da parte del corpo docente. Sentivo l’esigenza di parlarne con qualcuno ma, allo stesso tempo, temevo di espormi ad eventuali ritorsioni. Questo mi ha dato la forza e il coraggio sia di candidarmi come rappresentante degli studenti, sia di proporre questa figura che ha proprio il compito di ascoltare i reclami degli studenti (gravi abusi, discriminazio-ni, molestie sessuali) e di intervenire direttamente per rimuovere il problema garantendo l’anonimato di chi denuncia un abuso. Prima di oggi infatti né sul sito di facoltà né altrove vi era una procedura chiara di reclamo e segnala-zione di abusi.

Da quando potrà intervenire il garante?

Il garante degli studenti è attivo già da ora, riceve ogni giovedì dalle 16:30 alle 17:30 nel suo ufficio e può esser contatto inviando una mail a [email protected], oppure a [email protected] è stata accolta la proposta dai professori? E dalle altre liste?Il progetto è stato approvato pressoché all’unanimità dal Consiglio di Facoltà. Le atre liste erano a conoscenza del progetto sin dalla campagna elettorale perché era il primo punto del program-ma elettorale di Sinistra di Facoltà-Sinistra Universitaria. Le abbiamo tenute informate durante tutto l’iter di appro-vazione. Speravamo in una maggiore

collaborazione: sui progetti che riguar-dano i diritti di tutti gli studenti bisogna superare le differenze di schieramento politico. Trovo positiva la collabora-zione ricevuta da molti docenti per implementare la proposta e portarla all’ approvazione.

Esistono altre realtà simili in Italia e all’estero?

Abbiamo condotto un’ampia ricerca internazionale perché la figura del garante è ormai diffusa nei migliori Atenei. Oxford, Cambridge, Harvard hanno già predisposto un ufficio simile. Anche in Italia la figura inizia ad essere diffusa. Per redigere la mozione abbiamo fatto riferimento a realtà più simili alla nostra, in particolar modo al Garante degli studenti della Facoltà di Ingegneria Industriale del Politecnico di Milano.

C’è chi ha etichettato questa iniziativa come l’ennesimo tentativo di ame-ricanizzazione dell’università. Sei d’accordo?

Penso sia soprattutto un primo passo verso un sistema di welfare più efficace per gli studenti, un primo passo verso un’università costruita intorno agli stu-denti, che dia la possibilità di far sentire la nostra voce e ci permetta di vivere serenamente i meravigliosi anni della vita universitaria. Non è un mistero che su questi temi le università anglosassoni si siano mosse prima di quelle dei Paesi mediterranei.

In quali altri modi possono essere tutelati gli studenti?

In primis lo strumento di tutela migliore è la conoscenza dei propri diritti e doveri, nonché di quelli del corpo

docente. Quindi, consiglio a tutti gli studenti di informarsi, leggendo i rego-lamenti contenuti sul sito della facoltà e controllando la casella di posta Unimi: è tramite questo strumento che la facoltà dialoga con noi, aggiornandoci sulle modifiche dei regolamenti o sulle opportunità di stage e conferenze. Te-nersi informati significa evitare problemi burocratici e significa vivere l’università nel suo insieme. Sottolineo anche l’im-portanza dei rappresentanti di facoltà, che ricevono nell’aula rappresentanti (orari: Lun. e Merc. 10:30-12:30 e Mart. e Giov. 12:30-14:30) e possono esser contattati tramite e mail sulla loro casella di posta [email protected].

Hai altre proposte per il futuro?

Sì molte! Vorrei estendere la figura del Garante a tutte le facoltà tramite il lavoro che svolgerò nel Comitato Pari Opportunità della Statale, e spero vivamente che anche l’interfacoltà di Me-diazione possa istituirne uno, è un’esigenza fortemente sentita. Ci sono tanti altri progetti in fase di elabora-zione. La battaglia più grande sarà convincere il Magnifico Rettore a cam-biare il nome alla nostra facoltà. Da anni non si insegna più solo Scienze Politiche, ma sono attivi corsi di laurea in economia e studi sociali. Ad esem-pio Economia Europea ed Economia e Finanza Internazionale hanno la stessa classe di laurea, LM 77, dei corsi economici tenuti in Bocconi e Bicocca. Chiamandosi però “Scienze Politiche”, i laureati di quei corsi hanno difficoltà a spiegarlo nei colloqui. Oggi la facoltà è nei fatti Scienze Politiche Economiche e Sociali: bisogna offrire una corretta informazione a chi vuole immatricolarsi e alle aziende che devono valutare i laureati.

di Francesco Russo

l’intervista

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giornalismi universitari a confronto

di Chiara Marcelli

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Non occorre essere iscritti ad un corso di laurea in Comunicazione per poter dar vita ad un giornale universitario o far parte della sua redazione. Negli ultimi anni, in Italia, sono spuntate come fun-ghi testate redatte e gestite da studenti provenienti dalle Facoltà e dai corsi di laurea più disparati. Obiettivo comune: portare un valore aggiunto all’informa-zione tout court.In formato cartaceo e/o digitale on-line, il giornale universitario è un prodotto vivace e innovativo. Tratti distintivi: infor-mazione di nicchia, gusto per l’inchie-sta, freschezza degli articoli redatti da un punto di vista esclusivo, quello dello studente, nella maggior parte dei casi sciolto da legami di partito. Lungi dal voler entrare in competizione con l’informazione dei media mainstre-em, il giornalismo universitario da voce alle realtà marginali e ai talenti, nei campi più disparati, che non trovano il canale giusto per essere visibili. Così, sfogliando ad esempio l’UniversitArea di Firenze possiamo incontrare interviste a gruppi musicali che hanno recentemente debuttato sul palco, recensioni di libri di giovani scrittori e una rubrica di moda che propone di volta in volta focus su collezioni e tendenze proposte da designer emergenti. Cavallo di battaglia di pressoché tutti i magazine è l’inchiesta, incentrata sull’ambiente universitario. Si indaga sul funzionamento dei corsi di laurea e sull’equità delle tasse, sulla sicurezza degli edifici e sui prezzi della

mensa. Alla base di questa “informazio-ne scomoda” vi è la voglia e la volontà di migliorare le condizioni di vita nelle Università dello stivale. Ogni articolo, sia su carta sia su web, è scritto in modo fluido e ricco di spunti di riflessione. Gli studenti parlano ai loro coetanei e alla società tutta con un linguaggio semplice e diretto, evitando inutili giri di parole. Un’attività degna di lode la loro, che tuttavia non è estranea a difficoltà, di vario genere e natura.Il principale tallone di Achille di presso-ché tutti i giornali universitari è rappresen-tato dai finanziamenti. Di norma si cerca di attingere ai fondi che le Università mettono a disposizione per le attività culturali, stanziati da una commissione del cda di ciascun ateneo, tra varie polemiche. In generale il sistema tende a disperdere i fondi finanziando fogli politici o altre attività di dubbio interesse. Alternativa: vendere spazi pubblicitari porta a porta. In questo modo si vive alla giornata: oggi il numero va in stampa perché si è raggiunto il gruzzolo, domani chissà. Tascapane di Ferrara

è un bimensile che si finanzia da solo andando appunto a bussare alle porte di negozi, pub e birrerie.Stentano ad affermarsi i magazine universitari italiani, sia dentro sia fuori le mura degli atenei. Molte Università ripon-gono scarsa fiducia nei loro confronti, o a mala pena sanno che esistono, malgrado in molti casi questi prodotti rappresentino una vera e propria pale-stra (spesso l’unica) per i giornalisti di domani. Oltre i cancelli dell’ateneo sono pressoché sconosciuti, salvo non si sfrutti l’edicola come canale di distribuzione. È il caso di Ateneapoli presente nelle edicole di Napoli, Caserta e relative province, e con numeri speciali in tutte le edicole campane.Molto diversa è la situazione nelle univer-sità anglosassoni dove la stampa studen-tesca indipendente vanta un’antica tradi-zione e viene fortemente incoraggiata e sostenuta. Per non parlare dell’America: là i giornali universitari hanno dimensioni notevoli e soprattutto costituiscono una piattaforma di lancio per i futuri reporter del New York Times.

Chi sono e come si finanziano.

da sapere...Principali periodici universitari italiani:

ATENEAPOLI Univ. della Campania www.ateneapoli.itL’UNIVERSITAREA Univ. di Firenze www.uafirenze.wordpress.comVULCANO Univ. statale di Milano www.vulcanostatale.blogspot.com INCHIOSTRO Univ. di Pavia www.inchiostro.unipv.itQUI UNIUD Univ. di Udine www.qui.uniud.it L’UNIVERSO Univ. della Svizzera italiana www.luniverso.comSTEP 1 Univ. di Catania www.step1.itIL TASCAPANE Univ. di Ferrara www.tascapane.it ACIDO POLITICO Univ. di Milano www.acidopolitico.comOPENHOUSE Univ. di Urbino www.weopenhouse.wordpress.comUNIVRMAGAZINE Univ. di Verona www.univrmagazine.itORIZZONTE UNIVERSITARIO Univ. statale di Milano www.orizzonteuniversitario.it

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portfolio

MilanoCittàAperta www.miciap.comMilanoCittàAperta è la prima rivista di fotografia dedicata a Milano: giovani fotografi per raccontare la città.

© Nicola Bertasi, 2009, Milano, Isole

Scarpe che raccontano storie vissute© Patrizia Todisco, 2009, Milano, Porta Genova, Fiera di Senigallia

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www.miciap.com

Public #44, tiratura limitata© Giampietro Agostini, Public, Milano 2000/2010

COVER 2: Controtendenza – Stazione del passante ferro-viario di Milano Porta Garibaldi [andata]Luca Napoli, 2009, Pendola

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Non c’è alcun dubbio: Israele esagera. Lo fa da decenni, ma dopo le ultime notizie pervenute, adesso possiamo dire che è proprio arrivato ad un punto di non ritorno. L’attacco violento e arro-gante dei 31 Maggio alle navi straniere con aiuti umanitari diretti a Gaza mostra come Israele si senta legittimato a calpe-stare il diritto internazionale. Militari isra-eliani hanno aperto il fuoco sugli attivisti dell’imbarcazione turca Mavi Marmara, che aveva a bordo alcuni pacifisti del movimento Free Gaza e dell’associazione turca Ihh. La motivazione? Il Go-verno israeliano invoca il diritto all’autodifesa. Una scusa molte volte utilizzata che, tuttavia, questa volta non tiene. “Non si può parlare di legittima difesa quando si manda un migliaio di uomini armati in acque interna-zionali ad abbordare delle navi che erano state attentamente ispezionate prima della partenza”, commenta Nadia Hijab su Middle East Online.Angela Lano, una degli attivisti a bordo della nave descrive: “Quel che è certo, è che eravamo una flottiglia umanitaria con attivisti e giornalisti al seguito, il cui obiettivo era di raggiungere la Striscia di Gaza per portare aiuti, 10 milioni di euro fra carrozzine, medicinali e case prefabbricate e invece tutto è stato sequestrato al porto di Ashdod. Chissà quando sapremo che fine faranno questi aiuti”. Giunti all’aeroporto Ataturk di Istanbul i pacifisti hanno raccontato la loro versione dei fatti spiegando di essere stati trattati brutalmente. “Siamo stati picchiati, prima sulla nave dai militari e poi ancora poco fa all’aeroporto di Tel Aviv” ha detto Giuseppe Fallisi.Secondo Gerusalemme, “l’obiettivo del-la flottiglia non era la pace e l’assisten-

za, ma forzare il blocco, perché una crisi umanitaria a Gaza non c’è. Se fosse violato il blocco, vi sarebbero decine, forse centinaia di navi che approda-no a Gaza”. E questo, ha proseguito Netanyahu, è particolarmente pericoloso “perché la quantità di armi che può esse-re contrabbandata in una nave è molto maggiore di quello che si può portare in un tunnel”.Il premier ha confermato che il blocco a Gaza sarà mantenuto anche in futuro, malgrado “l’attacco internazionale di

ipocrisia” nei confronti di Israele.Da Ankara il presidente turco Abdullah Gul fa sapere che, dopo il blitz, i legami della Turchia con Israele “non saran-no mai più gli stessi, hanno subìto un danno irreparabile” - fra le nove vittime, otto erano cittadini turchi e uno era un cittadino americano di origine turca, e Gul è stato tra i primi a condannare e a chiedere sanzioni contro Tel Aviv. “Israele - ha aggiunto il capo di Stato turco - ha commesso un errore di cui dovrà pentirsi. Quanto è accaduto è un fatto molto im-portante e sarà ancora seguito a lungo”.“Finora l’Occidente ha tollerato la contraddizione tra il colonialismo di Israele e il suo titolo di unica democrazia del Medio Oriente”, commenta Amira Hass, giornalista della testata israeliana Ha’aretz. “Pensando di poter continuare a fare quello che gli è stato permesso per anni, Israele ignora un fatto impor-tante: l’occidente comincia a temere che

Israele stia diventando un peso, e non più l’alleato prezioso che è stato per molto tempo”.All’indomani dell’attacco il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu ha adottato una risoluzione che chiede una “missio-ne di inchiesta internazionale rapida, imparziale, credibile e trasparente”. La risoluzione non è stata approvata all’unanimità dei Paesi membri: 32 voti a favore, 3 contrari e 9 astenuti. Uno dei tre voti contrari è stato espresso proprio dall’Italia, che si è associata al parere

negativo di Usa e Olanda, perché ritiene Israele “uno Stato democratico e perfettamente in grado di condurre un’inchiesta credibile e indipendente, il che non significa necessariamente internazionale”, che equivale a dire: siete responsabili dell’incon-veniente, avete intaccato i nostri interessi, ma ci fidiamo del vostro giudizio.“È un clamoroso autogol del governo italiano che avrà serie ripercussioni a livello internazio-

nale” ha detto il portavoce nazionale dell’Idv, on Leoluca Orlando. D’accordo con questa posizione il Pd: “Mentre esprimiamo soddisfazione per il rilascio degli attivisti ti trattenuti in Israele, chiediamo contestualmente al governo di venire a riferire in Parlamento sul voto espresso dall’Italia in sede Onu, a pro-posito della decisione italiana di votare contro l’istituzione di una commissione internazionale su recente blitz israelia-no”, ha detto Lapo Pistelli, responsabile relazioni internazionali del PD. A risolvere la complessa situazione, po-trebbe essere un’iniziativa ONU, affin-chè si possano smascherare le obiezioni israeliane alla sicurezza: la consueta motivazione non potrebbe essere utiliz-zata da Tel Aviv, qualora una nave di attivisti sotto l’egida delle Nazioni Unite cercasse di forzare il blocco. Ciò per-metterebbe alla comunità internazionale di riprendere il controllo della Striscia.

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internazonale

Israele e la dialettica distorta dell’autodifesa

di Neliana Pollari

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cartoline dal Medio Oriente

Tira un vento, alle due del pomeriggio, che Yoav deve fare molta fatica a tenersi il cappello in testa. E il terriccio rosso e leggero di cui è ricoperto questo pezzo di mondo ci mette poco a spiccare il volo. Così l’uomo deve proteggersi pure il naso e la bocca. Yoav ha 49 anni e la voce di chi non nutre più nessuna spe-ranza. Ha la faccia piena di rughe e le mani callose. Un passato negli Stati Uniti e un sogno in Medio Oriente. Ora se ne sta seduto sul marciapiede con i bordi bianchi e rossi della strada principale di Imanu’el.

Tutt’intorno c’è la grande valle desertica della Cisgiordania settentrionale. Con qualche albero qua e là. Qualche greg-ge di pecore. E macchine dell’esercito israeliano che appaiono, svoltano per le strade, scompaiono. Sul cucuzzolo di una collina c’è Imanu’el, insediamento ebraico abitato da circa tremila abitanti. Le case, quasi tutte ville a schiera, sono ordinate. Per arrivarci ci sono due possi-bilità: o sbagliare strada, perdendosi nel reticolo di vie asfaltate e passaggi di ter-ra battuta. Oppure arrivarci intenzional-mente, seguendo la strada dei pastori.

Nel centro commerciale dell’insediamen-to, fresco e bene illuminato, non si vede l’ombra di un cliente. Poco lontano c’è un cartello con la scritta “vendesi” ricoperto di polvere. L’ufficio postale è chiuso. E dei negozi alimentari solo un paio sono aperti. Buona parte degli edifici che un tempo ospitavano attività commerciali sono sbarrati con grandi pannelli in legno o acciaio. E non c’è traccia di una banca. «Se ne sono andati via molto tempo fa», dice Yoav.Imanu’el non è un insediamento qualsiasi. È il sogno spezzato dell’ebraismo. Dove-va essere la prima città moderna degli ebrei ultra-ortodossi. Di quelli che ave-vano lasciato il Midwest americano per

rifondare l’ebraismo quaggiù, a migliaia di chilometri di distanza e in mezzo al nulla. Quando fu posata la prima pietra di Imanu’el, nel 1981, i progettisti parlarono di cittadina «splendida e sofisticata», con appartamenti «spazio-si». E parchi. E giardini. E un treno. E il trasporto in elicottero da e per le grandi città. Per dire: Bnei Brak, un ammasso di case alla periferia di Tel Aviv, il luogo preferito dagli ultraortodossi della costa israeliana, ecco a Bnei Brak, negli anni ’80, i muri erano tappezzati da poster che invitavano a trasferirsi a Imanu’el.I coloni se lo ricordano ancora il giorno più bello di Imanu’el: l’inaugurazione dell’insediamento. Quando, tra luci e fuochi d’artificio, si esibì Mordechai Ben David, un cantante chassidico famo-sissimo. Ad ascoltarlo, più di 50mila persone. Tra cui Ariel Sharon, ex primo ministro israeliano, e i leader religiosi dell’ebraismo odierno.

Smaltita la sbornia della festa, vennero i giorni più duri. Due anni più tardi la società di costruzioni dichiarò il fallimen-to e i sogni di Imanu’el crollarono insieme ai prezzi delle case. «Quello che vedi oggi è stato costruito negli anni Ottanta, nei mesi di attività della ditta», racconta Yoav. Poi il nulla. Vennero il degrado. L’abbandono. Gli attentati palestinesi. La fuga di molte famiglie. E ora le divisioni in seno all’ebraismo. Con ashkenaziti e seferditi che da qualche mese hanno iniziato a non parlarsi. A non frequentar-si. E a creare classi scolastiche divise per correnti religiose.

«Non è più un sogno, è un incubo», continua Yoav. Ma andarsene da Ima-nu’el? Yoav ci pensa su. Passa qualche secondo. Volta gli occhi verso le ville a schiera. Poi dice: «Non ho più nessun posto dove andare a vivere. La mia vita finirà in questo insediamento».

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dal nostro inviato Leonard Berberiwww.falafelcafe.wordpress.com

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internazionale

Deteriorating economic conditions, escalating religious strife, growing levels of corruption, and problems of representation constitute the grounds for an increasingly dissatisfied public. The debate over representation in Egypt is increasing: Should the President continue to be the chair of a party, which then becomes the ruling party?; Does the divi-sion of mandate and functions between the two chambers of parliament need to be revised to empower a more solid bicameral legislature? Is it about time that the policy of party registration be revised and for the ruling National Democratic Party (NDP) to tolerate more opposition representation? Economic reforms have been accom-panied by political reforms, however with a lag. While the 1990s witnessed

an official commitment to privatize public enterprises, recruit administrative leadership according to a qualification-based selection process, and economic liberalization, the political front saw the establishment of more political parties and a reform of the electoral system. Egypt still has a long way to go to

achieve good governance, however. It was not until the beginning of the 1990s that the government adopted comprehensive macro-eco-nomic policies and structural reform. It is important to maintain the efforts to fight corruption and encourage fair economic transactions. Political freedom requires better interpretation of the constitution and relevant laws that identify the functions of state agencies and empower

participation in public life. Civil, political and human rights need to be better sanctioned and the voice of the poor needs to be heard.Openness of the political system and ability to include representational me-chanisms for opposition increased. There are two questions here: one regarding banned political groupings i.e. Islamic groups and the Muslim Brotherhood; and the other regarding the freedom of political parties and civil society to outreach grassroots. Representative institutions continue to be based on both election and selection. Political parties are allowed, yet they come about throu-gh registration at the Political Parties’ Commission (composed of 7 persons, most of whom are ministers and/or regime adherents). The extent of the pre-

dilemmas of Egypt’s domestic politics and major challenges*

While Egypt is on the verge of parliamentary and presidential elections, the Egyptian regime under Mubarak appears to be severely threatened by both domestic instability and mounting criticism of its declining regional status.

di Sally Khalifa Isaac e Ali El - Sawi sident’s power is not clearly defined. The President is the chair of the Executive, yet he is not accountable before parliament. The ministers are not chosen according to parliamentary majority; the President hires and fires them at will. Can such a regime still fit with contemporary Egyptian polity? Mubarak assumed office in 1981 and is now in his fifth six-year presidential term. It is not yet clear whether he will run for a sixth term in the presidential elections due in 2011, or will pave the way for his son. The 23 opposition parties are too weak to compete.The question of transparency and ac-countability still remains a pressing issue. Women’s representation in the political system is marginal and youth participa-tion is also a matter of interest.

The problematic decline of Egypt’s regional role

The low profile that has characterized Egypt’s regional role in the many events dominating the Middle East scene has been perceived as a failure to act due to the Egyptian regime’s irreversible close embrace of the United States and special bond with Israel. The roles played by rising regional powers – Iran and Turkey, Syria and Qatar, or even of non-state actors such as Hezbollah and Hamas – appeal to Arab peoples seeking a regional hero. Al-Qaeda itself enjoys considerable allure.National interests and national security considerations are an inseparable part of the assessment of Egypt’s regional role. Since the 1970s, the Egyptian gover-nment has clearly adopted a reprioriti-zation of goals placing national interests

Ali El-Sawi is Professor of Politica Scien-ce and Director of the Program on Par-liamentary Studies at Cairo University.Sally Khalifa Isaac is Assistant Professor of Political Science at CairoUniversity

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* estratto da Egypt's search for saving face. Domestic policies and Regional Role. ISPI n.181 - Aprile 2010

and national security conside-ration above regional prestige. Egypt succeeded in achieving the difficult reconciliation betwe-en an active regional role and its close relationship with the U.S. and Israel. What helped Egypt succeed in managing this recon-ciliation was the convergence in role requirements and the count-ry’s perceived considerations of national security and interests.Lately, a major divergence between role requirements and those considerations has appeared eminent. The Israeli war on the Gaza Strip in 2008 embodies this divergence and generates strong criticism of Egypt’s regional role. While blaming fingers have pointed at Egypt for being reluctant to help out the Palestinians in Gaza and as being complicit with the Israelis by closing the Rafah Border Crossing, the Egyptian government had a clear national security concern in: 1) protecting its Sinai peninsula from a Palesti-nian flood; and 2) in punishing Hamas.However, the Egyptian handling of the Gaza crisis proves that Egypt’s role is irreplaceable. Egypt has continued to exert remarkable political and strategic influence on the major events in the region. Egypt has offered a parallel vision to that of the U.S. in dealing with terrorism by distinguishing between terrorist groups and groups seeking the right of self-determination. This vision has been strongly endorsed by the Arab world. In Iraq, the Egyptian government has actively participated in the orga-nization of diplomatic forums. Also, Egypt has been taking the lead on the renewal of the Nuclear non-Proliferation Treaty (NPT). However, while enjoying this variety of assets and favourable conditions for exerting a leadership role, the country’s regional image has been in steady decline.

It's essential that the Egyptian regime adopt a number of reform measures on the domestic level and that it also re-

consider the reinvigoration of its regional posture. One of the major reform policies that Mubarak’s government is currently capitalizing on is the implementation of decentralization as a model of governan-ce that will allow democratic practice to be enhanced, and the provision of public services to be improved at the local le-vel. However, the multifaceted problems of representation, socio-political inclusion, and particularly poverty and various

leggi l’articolo completo su:

www.ispionline.it/it/documents/PB_181_2010.pdf

economic hardships will necessitate more governmental attention in the coming months. At the regional level, mounting criticism of Egypt’s low profile has signi-ficantly eroded government legitimacy at home and put the country in an ever more embarrassing position in the region. Saving face and improving the country’s shackled regional image remains a major challenge for the Egyptian regime to cope with in the years to come.

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Italia

l’unità degli ultimiUna rilettura dell’Italia unita 150 anni dopo.

Il Presidente della Repubblica ha ufficial-mente aperto le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E’ tempo di una riflessione che vada al di là della storiografia ufficiale.

Il Regno delle Due SicilieFino al 1860 il regno delle Due Sicilie era uno Stato indipendente con uno sviluppo economico modesto ma vivace, grazie ai primati in ambito scientifico e tecnologico.Era il territorio più industrializzato d’Italia e fu invaso, senza una formale dichiara-zione di guerra, dalle truppe di Giusep-pe Garibaldi al servizio della casa reale Savoia.Fu un vero e proprio atto di colonizza-zione, con il quale ci si impadronì con la violenza del territorio.Negli anni che seguirono si assistette ad una progressiva “piemontesizzazione”: la struttura politica ed amministrativa del regno sabaudo fu estesa a tutte le altre regioni conquistate, insieme ad una forte spinta centripeta.

Resistenza e repressioneL’invasione provocò l’insurrezione delle popolazioni locali. L’Italia si è dimen-ticata di coloro che si ribellarono alle origini della sua storia unitaria e che la storiografia ufficiale tentò di liquidare con il termine dispregiativo di “briganti”.L’insofferenza contro il nuovo Stato unitario sfociò in un conflitto armato, una vera e propria guerra civile nel Mezzo-giorno tra il 1861 e il 1869 tra il nuovo Regno d’Italia e i guerriglieri duo-siciliani. Lo schieramento del Sud comprendeva ex soldati borbonici, reduci delusi delle truppe garibaldine, disertori del nuovo esercito italiano, rivoltosi repubblicani, braccianti che lottavano per una redistri-buzione delle terre. La repressione dei

di Matteo Forciniti Savoia fu atroce e inumana. Con la Legge Pica (1863) venne sospesa qualsiasi garanzia e furono intraprese misure terroristiche quali la punizione collettiva per i reati dei singoli e le rappre-saglie contro interi villaggi. Secondo alcuni storici furono circa un milione i meridionali uccisi. Pontelandolfo, Casal-duni, Isernia, Montefalcione sono solo alcuni dei 54 pae-si dove le truppe sabaude si macchiarono di crimini contro l’umanità. Il deputato Giuseppe Ferrari parlò di “guerra barbarica, guerra senza quartiere”.

ConseguenzeAl momento dell’Unità, il Re-gno di Sardegna si trovava fortemente indebitato. Per risolvere il problema venne sfruttato il bilancio in attivo del Regno delle Due Sicilie, con il trasferimento al Nord di 443 milioni di lire d’oro. L’impulso all’industrializza-zione degli anni seguenti (governo Giolitti) finì per privilegiare le aree settentrio-nali del Paese. Iniziò così un drammatico processo di emigrazione dei meridionali in giro per il mondo che ebbe il suo apice, con quasi 7 milioni di partenze, nel periodo tra il 1880 e il 1925. E’ significativo che il fe-nomeno migratorio interessò in un primo momento (con l’80% e almeno fino al 1880) solo le regioni settentrionali.L’altra conseguenza dell’Unità fu la proli-ferazione delle associazioni criminali di stampo mafioso, un fenomeno diverso dal brigantaggio. Nei mafiosi non è mai esistito alcuno spirito di ribellione: solo la ricerca di alleanze servili con

“La documentazione che disponiamo [sul Risorgi-mento] è tendenziosa e comunque inadeguata (…) Gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a censura o imporsi un’auto-censura” (Mack Smith)

il potere muove la mafia. La presenza della Camorra, per esempio, fu accer-tata negli antidemocratici plebisciti-farsa che si tennero nel 1860 per giustificare l’annessione al Regno di Sardegna.Recentemente è stato inaugurato a Torino un museo dedicato a Cesare Lombroso, lo scienziato razzista sostenitore dell’infe-riorità dei meridionali, dove sono esposti scheletri di briganti: come se in Germa-nia ci fosse un museo dedicato a Alfred Rosenberg, l’ideologo del nazismoQuando la storia la scrivono i vincitori ci si può aspettare di tutto, anche l’umilia-zione, 150 anni dopo.

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capaci di reagireGrande successo per la seconda edizione del Festival del Giornalismo d’Inchiesta svoltasi a Marsala.

Grande successo per la seconda edizio-ne del Festival del Giornalismo d’Inchie-sta di Marsala tenutosi dal 21 al 23 maggio. Giornalisti, scrittori, documenta-risti, attori si sono alternati tra gli scenari del Complesso San Pietro e l’Auditorium di Santa Cecilia per discutere insieme su mafia e criminalità, informazione, emergenza ambientale, giovani e immi-grazione.Il Tg quotidiano di Luca Telese, la proie-zione dell’ultima intervista a Paolo Borsel-lino, la presentazione del libro “Il Patto” di Nicola Biondo sulla trattativa tra stato e mafia, il convegno Cemento Italia sulla criminalità organizzata nella gestione delle opere pubbliche, il concerto jazz con Paolo Fresu e Bojan Zufikarpasic gli eventi che si sono succeduti nel corso del festival e che hanno riscosso la parteci-pazione e l’interesse del pubblico.

VIVA L’ITALIA, BIOGRAFIA DI UN PAESE DA INVENTARE, questo era il tema generale del festival. Antonio Padella-ro, direttore del Fatto Quotidiano così commenta questa scelta: “Sull’Italia da ricostruire ci sarebbe molto da dire. Io credo che da 15 anni l’Italia stia vivendo in una sorta di buco nero dove tutto si è fermato: il nostro, che era una grande democrazia evoluta, è divenuto un Paese arretrato, spesso lo zimbello degli altri Paesi europei. Se qualcuno non intervie-ne in tempo, prima o poi la rivolta, non solo morale, che bolle sotto la pentola di questo paese esploderà”.L’argomento trasversale a tutti gli incontri si è rivelato lo stato di salute dell’informa-zione italiana che “oggi è pessima- com-menta Padellaro - Da una parte c’è infatti una crisi editoriale galoppante, dall’altra un governo che vuole fare approvare una legge infame, la cosiddetta “legge bavaglio”, che metterà i giornali nella

dalla nostra inviata Pamela Giampino condizione di non dare più notizie. E questo la dice tutta. Il festival è caduto nel momento giusto: abbiamo cercato di organizzare in questi incontri una resi-stenza a questa legge anche sulla base di una disobbedienza civile che, come abbiamo più volte ribadito in questi giorni, noi applicheremo nel caso in cui questa legge passasse. Continueremo a informare di tutto ciò che veniamo a sapere, anche se questo dovesse costare violare la nuova legge”.E’ rimasto soddisfatto della riuscita del

Festival anche il Sindaco di Marsala Ren-zo Carini: “E’ importante che nella nostra città si discuta liberamente di temi come la mafia, la criminalità organizzata, lo stato della democrazia nel nostro Paese, i giovani”. “Marsala – continua Carini- è stata, in questi giorni, il centro dell’Italia riguardo al dibattito sul giornalismo d’in-chiesta e questo fa piacere soprattutto perché c’è stato un grande ritorno anche in termini economici. Il Festival non è da considerarsi solo un’iniziativa culturale, ma anche un’opportunità di promozione della città. Per questo, sia quest’anno che l’anno scorso, l’amministrazione ha voluto fortemente questa manifestazione e si è fatta carico interamente dei costi dell’iniziativa”.A concludere in bellezza la seconda edizione del festival, la serata del 23

maggio al Teatro Impero dal titolo Capaci di Reagire, una “commemorazio-ne- non commemorazione” a Giovanni Falcone, così come ha voluto presentare la serata Nando Dalla Chiesa insieme a Serena Dandini.“Per me è un grande onore essere qui stasera.- ha commentato Serena Dandini - Sono davvero contenta di essere stata invitata ad una serata del genere e di entrare quindi a fare parte della grande famiglia dell’antimafia”.Una serata singolare quella del 23

maggio cui hanno partecipato con i loro personalissimi contributi Margherita Asta, Francesco Stella, Benedetta Tobagi, Giu-lio Cavalli, Giorgio Vasta, Lella Costa, Li-dia Ravera, Giovanni Chinnici, Antonella Mascali, Mannarino, i Musicanti.“E’stata una bellissima giornata oggi: - commenta durante la serata Lella Costa, che ha regalato al pubblico un bellissimo monologo. “Per me è un onore essere qui oggi, e ancor di più stasera”. “Eugenio Montale- continua la Costa- diceva che la memoria non è peccato finché giova. Ciò che stiamo facendo stasera è ricor-dare rilanciando, in modo che il ricordo non diventi solo nostalgia e rimpianto, ma un motivo per non arrendersi, per resistere, per inventare e progettare altri pezzi di futuro. Contribuire a questo, per noi artisti, è un onore e un’ emozione”.

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cultura

In occasione della quinta edizione di ‘Giri di vite: la parola alle donne? all’Unione Femminile Nazionale, Franca Graziano, direttrice del Laboratorio di formazione teatrale Motoperpetuo di Pavia, ha messo in scena una lettura tea-trale di alcuni tra i precetti della Grande Enciclopedia.La Grande Enciclopedia della donna, ov-vero Nozioni Pratiche e di Cultura Gene-rale per la Donna edito dalla Fratelli Fab-bri, raccolse tra gli anni 1962 e 1966 venti poderosi volumi e 3.200 pagine di consigli per madri, mogli e giovani donne, solitarie e non. Se in quegli anni di boom economico la donna esce dalle ormai strette mura domestiche e comincia ad assaporare il piacere della libertà, la cultura maschilista, imperante e decolpe-volizzata, non mancherà di pensare ad un prodotto così liberticida. Le dispense settimanali avevano il pio compito di accompagnare e consigliare le fragili creature femminili nell’avanscoperta della società, dello spazio pubblico e privato, quello domestico-familiare. Essere donne significava conoscere come ordinare lo spazio domestico, come accogliere gli ospiti del marito, come accudire il dono della cicogna, come guidare l’auto (in quanto psicologicamente differenti dagli uomini), come comportarsi quando si entrava in un bar sole oppure, semplice-mente, come fumare.E così si scopre che a una donna sola (o altrimenti detta zitella) veniva “con-sigliato” di alloggiare in abitazione auste-ra come un piccolo appartamentino, una pensione familiare o studentesca. Ella, inoltre, non avrebbe mai dovuto accet-tare alcuno invito da uomini sposati, ec-cetto il caso in cui questo non provenisse anche dalla moglie. Gli ospiti maschili dovevano essere sempre in presenza di altre donne. Insomma, tutto doveva dare l’impressione di dignità e parsimonia.

‘non cantare, non fischiettare,

non parlare da sola’All’Unione Femminile Nazionale di Milano lettura ironica (ma non troppo) della Grande Enciclopedia della Donna degli anni ‘60.

di Chiara Ranieri

Per la strada una donna doveva sempre comportarsi con discrezione e cortesia: borsetta sotto il braccio, sorriso sempre pronto e via. In una conversazione non doveva mai abbassare lo sguardo, non parlare né troppo forte né troppo piano, non fare smorfie, non avvicinare troppo il viso e non interrompere mai chi parlava (soprattutto il caro consorte). Al volante la donna è un bel problema: ha un’inferio-rità psicologica che la porta a guidare con più prudenza e molto male. Non si capisce se è colpa del padre o del ma-rito, se sta col naso attaccato al volante. La donna che fuma lo deve fare sempre con discrezione e decoro. Non deve attirare l’attenzione e per questo le è vietato chiudere gli occhi nell’inspirazio-ne o buttare la cenere fuori dall’apposito contenitore. Per la donna il lavoro fuori casa è il puro raggiungimento dell’equi-librio spirituale, ella può aspirare a divenire indossatrice, segretaria, hostess e dattilografa. Insomma tutti lavori che necessitano di molta grazia e sensibilità.Precetti sessisti che ci fanno sorridere ma che devono riportare l’attenzione sul presente: è davvero impensabile ritornare a riflettere insieme sulla condizione di genere? Siamo sicure che essere donne in questo Paese non significhi la sop-portazione di limiti culturali e materiali? Davvero ci bastano i corsi di autodifesa personale, provvedimenti anti-stalking e leggi securitarie? Probabilmente non torneremo mai ad una nuova Grande Enciclopedia ma sarebbe utile, almeno, non sottovalutare il rischio che i nostri di-ritti possano essere tacitamente attaccati.

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‘non cantare, non fischiettare,

non parlare da sola’

Chi è transessuale? Questo potrebbe essere un buon inizio per presentare “Transitando”, un documentario che è il risultato di una ricerca di 8 mesi, durante i quali abbiamo cercato e frequentato persone transessuali , nei loro spazi quotidiani, tentando di capire con loro quali fossero le tematiche più scottanti e lasciando che la confidenza divenisse poi il fondamento di quello che è stato un vero e proprio percorso comune, nostro e loro. Ogni sequenza in cui io e i miei compa-gni ci spostiamo per la città, rappresenta un passo in avanti nella riflessione sulla domanda di partenza. Il documentario segue il climax co-noscitivo che abbiamo attraversato durante questa indagine: dove trovare gente trans? Ovviamente nei bar gay, nell’ambiente della prostituzione. Risposta scontata, comune, pericolosa. Eppure abbiamo deciso di seguirla e , abbia-mo fatto più di un passo all’interno del mondo trans; ciò ci ha permesso di scovare le radici e dunque di rompere lo stereotipo che attanagliava anche noi. Poi ci siamo immersi in giorni e giorni di riunioni di attivisti trangender dai cui discorsi ed alleanze emerge l’impegno affinchè il percorso obbligato dei 2 anni di psicoanalisi ed ormonazione, per

transitandoDall’idea di quattro registi arriva il primo

documentario che racconta il mondo trans.

chi voglia cambiare il proprio sesso e il nome nella carta d’identità, non sia patologizzante e affinché la transessua-lità non sia considerata una malattia mentale. Le nostre riflessioni iniziano ad essere cariche di anti-binarismo, teoria queer, il cui punto di partenza è quello di concepire il genere come una costru-zione sociale. Per questo ci sono trans che si oppongono al percorso medico e alle operazioni, che si domandano come guadagnare visibilità tra le persone trans che non aspettano altro che operarsi. E’ trans solo chi si opera? Da trans di generazioni diverse, da pra-tiche ed opinioni differenti riguardo alla medicina ed al “processo di cambio”, emerge una comunità divisa sulla defini-zione di “ transessuale”. E’ una domanda alla quale abbiamo cercato di risponde-re con le definizioni date dai trans stessi, senza intervistare medici o psicologi e respingendo la definizione normativa. Pol, Anna, Patrik, Miguel, Natasha, Julia sono trans per definizione medi-ca, ma ognuno di loro, con la propria testimonianza, evidenzia come ogni tentativo omologante elimini le specificità delle persone, soprattutto situazioni in cui è il percorso personale a spiegare delle scelte di ognuno, attraverso e sul proprio corpo. Una divisione che genera

riflessioni sul trangender, sul queer e sulle pratiche che ognuno mette in atto per rendersi visibile alla società.Una divisione linguistica e sostanziale che finisce quando inizia il riconosci-mento della reciproca lotta contro un sistema sociale e legale patologizzante e repressore.

Transitando

Spagna, 2009, 47'Regia: Maru Gallardo - Martì Gallofré GarritaGreta Gandini - Geraldine Jonckers

Produzione: Tanios Film

Proiettato: - FIFEQ 2010 Montreal ( Canada)- Festival of visual ethnography LONDON 2010 ( GB)- Festival LGBT TORINO 2010 (IT)

Prossime proiezioni:

- Oslo Gay & Lesbian Film FestivalDronningensgate - Side by Side LGBT International Film Festival Westpost PL 109

Degli stessi registi: Euforia di Genere (2010)

di Greta Gandini

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festival del libro di Torino

Non si può certo dire che il Salone Internazionale del Libro sia cosa da snob e intellettuali. In quello che può essere definito un enorme supermercato della cultura l’offerta è molto vasta e bisogna saper scegliere. Tema dell’edizione 2010 è stata la memoria.I libri sono sicuramente strumenti fonda-mentali nel ricordo, privato e pubblico. E se, un giorno, non esistessero più? Non è fantascienza: oggi oltre 250mila tra romanzi e altre opere letterarie sono disponibili su Amazon al prezzo di 9.99 dollari, l’apparecchio della Apple per leggere i libri elettronici, l’IPad, è sempre più diffuso, dal 28 maggio scorso anche nel nostro Paese. I cambiamenti saranno molteplici spiega lo storico Giovanni de Luna in uno speciale de La stampa sul Salone: «la nuova editoria elettronica sarà basata su una produzione artigia-nale e gestita da pochi addetti; fare libri, costerà sempre di meno; ci sarà più spazio per i «consumatori-lettori» che influenzeranno direttamente le scelte degli editori. Questi ultimi, poi, per tener conto di queste esigenze prenderanno il sopravvento sugli autori». Senza dubbio

si utilizzerà molta meno carta, con una notevole diminuzione dell’impatto ambientale.Visto dal Lingotto, quindi, lo stato gene-rale dell’editoria italiana sembra positivo e, con esso, anche il rapporto tra gli Italiani e la lettura o il mondo del libro in generale, sembra essere in buona salute: folle entusiaste desiderose di sentire par-lare un Premio Nobel, file di lettori che attendono pazientemente il loro autore preferito, sale per incontri e conferenze strapiene, aumento delle vendite di libri, addirittura case editrici che si conver-tono alla causa della salvaguardia del Pianeta.La situazione, purtroppo non è così rosea: i nostri connazionali non si sono risvegliati dal torpore televisivo per unirsi al sacro fuoco della cultura. Quasi negli stessi giorni in cui Torino diventava la capitale italiana dell’editoria, infatti, l’Istat ha reso noti i dati sulla lettura di libri nel Paese: il quadro, seppur in lieve miglio-ramento confrontato con quello dell’anno precedente, non è di certo incoraggian-te. Solo il 45% dei cittadini con più di 6 anni dichiara di avere letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista: praticamente meno della metà; tra questi, la maggior parte (il 44%) si colloca nella

categoria dei “lettori deboli”, ovvero di coloro che leggono fino ad un massimo di 3 libri l’anno, mentre appena il 15% può dirsi un “lettore forte” perché di libri ne ha letti 12 o più. I dati più preoccu-panti, tuttavia, riguardano i fattori che influenzano o scoraggiano la lettura: essa dipende, infatti, in parte dal titolo di studio e dalla conseguente condizio-ne professionale dei cittadini e in parte dalla differenziazione geografica. Se coloro che leggono di più sono i laureati (80%) e gli abitanti del centro-nord (52%), le quote più basse di lettori si registrano invece tra coloro che hanno la licenza elementare (28%) e tra gli abitanti del Sud e delle Isole (34% e 35%). Il quadro generale, quindi, non è di certo esaltan-te: non solo non vi è ancora una diffusa cultura del libro, essa è anche appan-naggio di certe categorie di individui, quando invece dovrebbe essere un bene collettivo.Come spiegare, allora, il contrasto con i dati del Salone? In primo luogo occorre ricordare che esso è pur sempre una singola manifestazione, un’oasi felice che non rispecchia la situazione complessiva. Inoltre è doveroso distinguere tra profitto e progresso; è vero, le vendite di libri sono aumentate, i visitatori anche, ma

l’editoria in mostra al Salone Internazionale del Libro di Torino

Tra esposizioni di case editrici più o meno note, scrittori, Premi Nobel, ma anche proteste ambientaliste e personalità televisive. Il Salone del Libro è questo: c’è tutto e il contrario di tutto.

di Carlotta Caldiroli

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che cosa si è venduto loro e qual è il mo-tivo principale che ha spinto le persone a partecipare alla manifestazione? Il Salone, come si è detto in apertura è come un grande supermercato della cultura e come in tutti i megastore si può trovare qualsiasi prodotto, dal migliore al peggiore. L’enorme varietà, a volte, va a discapito della qualità: al Lingotto, ad esempio, erano presenti con i loro libri anche Emanuele Filiberto, Valerio Scanu, Antonella Clerici, Paolo Brosio e altri autori, riguardo ai quali, sebbene non ci si permette di valutare qui l’operato artistico, si avanzano però dei dubbi in merito alle specifiche competenze e doti letterarie. La cosa preoccupante non è che questi libri vengano letti: ognuno è libero di leggere ciò che vuole e una lettura leggera è sicuramente necessaria. Quello che veramente sconcerta è con-statare come non si sottolinei la differen-za tra un vero libro che merita di essere

stampato e letto e una trovata editoriale che non ha alcuno scopo se non il profit-to. L’uno e l’altra sono presenti negli stand, vengono acquistati, gli autori sono attesi e acclamati, ospitati da una manifestazione come il Salone del Libro, dove dovrebbe essere promosso ‘il libro’, quello vero e di qualità, veicolo di idee e del libero pen-siero, quale oggetto di uso quotidiano, in ogni sua forma e, perché no, anche elettronica.

Tantissimi gli autori che hanno presentato i loro lavori; per citarne solo alcuni: Roberto Saviano insieme a Valeria Parrella, Wu ming, Carlo Lucarelli, Piero Colaprico e Simona Vinci con l’opera collettiva Sei fuori posto, Eugenio Scalfari con Per l’alto mare aperto, Antonio Scurati con Gli anni che non stiamo vivendo, Gillo Dorfles con Dive-nire, Enzo Bianchi con L’altro siamo noi. Fra tutti, meritevole di essere ricordato è Chi ha paura muore ogni giorno di Giuseppe Ayala (edito da Mondadori), magistrato celebre per essere stato protagonista, insieme a Falcone e Borsellino, del pool antimafia che per la prima volta urlò forte la presenza di Cosa Nostra nel tessuto sociale campano, in una Campania dove la parola mafia non si pronunciava neppure. Il suo libro racconta l’avventura umana, ha detto alla presentazione sabato 15, di quegli uomini che nel giro di pochi anni, dall’83 all’87, riuscirono a racco-gliere ogni tipo di informazione sulla mafia siciliana fino ad arrivare al maxiprocesso. È stato possibile fare tutto questo, scrive Ayala, perché solo in quegli anni si sono interrotti i rapporti tra mafia e politica, per mancanza di interlocutori mafiosi. E infatti, il lavoro del pool si è fermato proprio in seguito alla ripresa di tali rapporti e non tanto o non solo, come spesso si sente dire, per gli attentati del ’92: ulteriore conferma del fatto che Cosa Nostra non è solo un’organiz-zazione criminale, ma una componente organica del sistema politico italiano. Per questo motivo, ha dichiarato Ayala concludendo il suo intervento, ha deciso di scrivere il libro: affinché un numero maggiore di persone potesse essere informato sui fatti, perché «un libro rimane, basta avere voglia di leggerlo».

gli autori presenti al Salone e i loro libri

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viaggio

australian dream

di Jacopo Corona

Ricerca di opportunità, desiderio di autonomia, indipendenza: senzazioni comuni ai chi entra nel purgatorio della ricerca di un posto di lavoro.Crisi, stagnazione, tasso di disoccupa-zione, cassa integrazione: gergo ormai d’uso quotidiano, malgrado le nostre orecchie facciano ancora fatica ad abituarvisi.Ecco che sorge tra gli studenti universita-ri, tra i giovani neolaureati, tra i precari e gli eterni neoassunti, un crescente interesse nei confronti di cio’ che sta oltre ai confini nazionali e a quelli europei.A questo proposito sta prendendo forma in Italia un nuovo fenomeno sociale che potremmo definire, con riferimento all’ormai vintage “sogno americano”: “AUSTRALIAN DREAM”.A conferma ci sono dei dati reali, come il sorprendente numero di visitatori nel continente Down Under degli ultimi anni: il numero degli italiani in visita che il governo australiano ha registrato nel corso dell’anno 2008/2009 è stato di 66.198. Tra questi giovani “esploratori” cresce la fetta di coloro che sono interessati ad un percorso di studio e ad un inserimento stabile nel mondo del lavoro australiano.

Ma perché l'Australia è una meta di crescente interesse?

Oltre alle meraviglie naturali, al clima mite tutto l’anno e allo stile di vita rilas-sato della sua popolazione, l’Australia è una straordinaria meta per chi vuole cercare di iniziare un nuovo capitolo della propria vita, in un paese moderno che offre ai suoi abitanti uno dei più alti tassi di qualità della vita al mondo.L’ economia è stabile e solida, ha superato indenne quella che è stata definita la crisi finanziaria globale, il tasso di disoccupazione è incredibilmen-te basso e il reddito procapite a dir poco invidiabile.Anche dal punto di vista del sistema edu-cativo l’Australia si distingue in positivo, vantando 6 tra le prime 100 migliori università al mondo, centri di formazione caratterizzati da strutture e modalità accademiche avanguardistiche, frutto di una visione moderna della società.Tra i fattori che rendono l’Australia una destinazione allettante agli occhi di un giovane universitario la ricchezza d’opportunità lavorative gioca un ruolo fondamentale.Questa ricchezza si giustifica grazie alla scarsità di personale specializzato nel mercato del lavoro australiano ( “skill shortage”: letteralmente lacuna di

competenze) che il governo si propone da diversi anni di colmare, offrendo la possibilità di ottenere la residenza per-manente a coloro che sono in possesso di tali skill.

Come giocare le proprie carte in Au-stralia, visti per chi desidera studiare e lavorare

Molti ragazzi iniziano il percorso di inse-rimento in Australia attraverso un periodo di studio della lingua e di lavoro.Le numerose opportunita’ di trovare un impiego anche part time e ben pagato, rendono l’ esperienza di studio della lingua un percorso che puo’ essere facilmente autofinanziato. Per chi desidera intraprendere un percor-so di formazione universitario o postuni-versitario l’ Australia offre la possibilita’ di un visto student mentre per coloro che vogliono dedicarsi all’ approfondimento della lingua inglese e al lavoro full time, il governo australiano propone la carta working holiday visa.Questo visto è uno strumento prezioso che consente ai ragazzi italiani di stare in Australia per un anno lavorando an-che tempo pieno, usufruendo del sistema sanitario pubblico in modo gratuito, e di vivere un’esperienza di viaggio e di studio totalmente autofinanziata.

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Un viaggio ai confini del mondo che ti cambia la vita.

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Se desideri avere ulteriori informazioni su un’esperienza di studio/ lavoro e op-portunità di vita in Australia puoi fare riferimento all’agenzia gratuita Go Study Australia, che offre assistenza a Milano e in Australia ai ragazzi interessati al progetto.

Go Study Australia: www.gostudy.com.auemail: [email protected] in Corso di Porta Romana 92Tel: 02 50301519

chi siamo

Considerate infatti che la paga oraria per un casual job è in media tra i 15 e i 20 dollari australiani (10.5 e 15 EURO).Il governo australiano ha stimato recen-temente che il costo della vita si attesta intorno ai 347 AUD a settimana (valore che include il costo per un affitto, costo del cibo e dei trasporti).

Va da sé che per coprire il costo della vita Ë sufficiente il contributo economico di un lavoro part time calcolato intorno alle 20 ore settimanali.Natura, qualità della vita, opportunità professionali: sono i motori che spingono il crescente interesse tra i ragazzi da ogni parte del mondo verso questo mera-

viglioso continente agli antipodi.La grande maggioranza dei coraggiosi che proveranno l’esperienza “Australia” rimarrà estasiata, molti cercheranno di trasferircisi permanentemente, alcuni por-ranno le basi per un loro futuro di vita.

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il racconto

In una notte in mezzo al mare c’è una barca e tra i suoi passeggeri c’è una donna incinta, tutti stretti e ammassa-ti… Improvvisamente la donna incomincia ad urlare dal dolore; ha le doglie. Nessuno può aiutarla, la sua amica non riesce che a tenerle la mano e incoraggiarla a sop-portare… Si rialza urlando: “Chiedete aiuto!”. Ma nessuno si occupa di lei. Continua ad urlare ed urlare finché uno dei passeggeri grida: “Fatela stare zitta oppure buttatela a mare! Forse starà meglio lei e staremo meglio anche noi.” Un altro gli strilla : “Taci, misero! Hai dimenticato i favori di suo marito per noi tutti?”. Tutti tacciono e comincia un flashback: un gruppo di persone nel deserto affronta una tempesta di sabbia con al suo capo un uomo, Rahaal, che chiede loro di sopportare… Superano la tempesta grazie all’esperienza e l’abilità di questo uomo che insiste per salvarli e trovare per loro delle soluzioni ad ogni ostacolo incontrato (mine ai confini, fili spinati…….). Lui è l’unico che conosce il percorso perché ne ha già avuto esperien-za, senza successo… Riesce a portarli fino al mare dove incomincia l’avventura più pericolosa. E grazie alle sue conoscenze provvede ad avere una barca in un tempo brevissimo. Mentre si preparano per andare al largo arrivano le guardie costiere che ordinano loro di fermarsi mentre lui grida ai suoi compagni di muoversi. Dopo che si accerta che tutti siano saliti sulla barca, e mentre lui stesso

Non c’è, nella stabilità di un uomo che ha la ragione e la disciplina, un riposo.E allora lascia la patria ed esiliati.Ho visto che lo stagnare dell’acqua la imputridisce.Se scorre è più buona e se non scorre non è buona.

si stava avvicinando per salirci, lo colpisce una pallottola. La barca si inoltra nel mare e si allontana dagli occhi. Torniamo alla barca. Un uomo dice: “Rahaal era come la cera di una candela. Si è consumata per dare luce a noi”. Un altro dice: “Ci ha insegnato il senso della vita e l’importanza di cercare la verità”. Un altro ancora dice: “Rahaal non è morto, lui è vivo nei nostri cuori. Voi non avete visto il suo grande sorriso e anche mentre moriva era felice”. Si alza uno tra loro: “ Tutti noi siamo quell’uomo, tutti noi cerchiamo la vita”. Si toglie la camicia, la impregna di benzina e le dà fuoco buttandola nel mare per dare un segnale di richiesta di aiuto. Tutti tacciono a lungo. Rompono questo silenzio le grida del bambino. La don-na ha partorito. Tutti ridono, la donna guarda il suo bambino e questo è il suo ultimo sguardo… Lascia la vita non sopportando il dolore del parto. L’amica la copre con un telo… Un profondo silenzio riveste l’imbarcazione e non si sentono se non le grida del bambino che si affievoliscono man mano. Forse l’acqua del mare ondeggiando culla il bambino come un ventre materno. Improvvisamente il posto si illumina tutto come fosse giorno. Arrivano i soccorsi. L’amica guarda con occhi lucidi dicendo: “È troppo tardi.” Subito sale a bordo il primo soccorritore con-trollando lo stato di salute dei passeggeri. Nota la presenza del bambino e chiede: “Di chi è questo bambino?”. L’amica risponde: “Questo è il figlio della barca”.

il fi glio della barcadi Moustapha Ouelli

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di Flaminia Sparacinotagliatelle

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il fi glio della barca

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