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42 LA MAMMELLA E’ un carattere sessuale secondario ( quelli primari sono i genitali esterni ). Anatomia La mammella è una ghiandola sudoripara modificata, ricoperta dai tegumenti (cute e sottocute). L’unità funzionale (a livello microscopico) è il lobulo mammario costituito da più acini tenuti insieme da uno stroma costituito da tessuto adiposo e fibroso. All’apice dei lobuli ci sono dotti escretori detti dotti galattofori che sbucano sul capezzolo (tanti sono quelli che partono dalle ghiandole quanti quelli che arrivano al capezzolo). Attorno al capezzolo c’è l’areola in cui ci sono ghiandole sebacee che servono per lubrificare durante l’allatamento così che non ci sia troppo frazionamento da parte delle labbra del bambino e non si formino le ragadi. Il capezzolo ha capacità erettile e quando è stimolato dalla suzione da parte del bambino l’erezione fa si che si liberi ossitocina (per azione riflessa) che agisce sui miociti che si trovano attorno ai dotti galattofori e permette la fuoriuscita del latte ( è perciò che si attacca il bambino dopo il parto, per far avvenire loostimolo. Adagiata sul muscolo grande pettorale è separata dalla fascia di questo da uno strato adiposo che è in continuità con quello interposto tra gli elementi ghiandolari e che ne determina la grandezza volumetrica ( perché gli stessi ormoni che agiscono sulla ghiandola agisconoanche sui lobuli adiposi). All’epoca della pubertà la regione mammaria si presenta piana, e quando la mammella ha raggiunto il suo pieno sviluppo ha la forma di una mezza sfera piena con il capezzolo leggermente deviato verso l’esterno. La mammella voluminosa è detta macromastia mentre piccola si dice micromastia. L’ipotrofia mammaria può essere correlata ad una agenesia ovarica o ad altri difetti della produzione di estrogeni, mentre l’ipertrofia (gigantomastia o macromastia) si può riscontrare

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LA MAMMELLA E’ un carattere sessuale secondario ( quelli primari sono i genitali esterni ).

Anatomia La mammella è una ghiandola sudoripara modificata, ricoperta dai tegumenti (cute e sottocute). L’unità funzionale (a livello microscopico) è il lobulo mammario costituito da più acini tenuti insieme da uno stroma costituito da tessuto adiposo e fibroso. All’apice dei lobuli ci sono dotti escretori detti dotti galattofori che sbucano sul capezzolo (tanti sono quelli che partono dalle ghiandole quanti quelli che arrivano al capezzolo). Attorno al capezzolo c’è l’areola in cui ci sono ghiandole sebacee che servono per lubrificare durante l’allatamento così che non ci sia troppo frazionamento da parte delle labbra del bambino e non si formino le ragadi. Il capezzolo ha capacità erettile e quando è stimolato dalla suzione da parte del bambino l’erezione fa si che si liberi ossitocina (per azione riflessa) che agisce sui miociti che si trovano attorno ai dotti galattofori e permette la fuoriuscita del latte ( è perciò che si attacca il bambino dopo il parto, per far avvenire loostimolo.

Adagiata sul muscolo grande pettorale è separata dalla fascia di questo da uno strato adiposo che è in continuità con quello interposto tra gli elementi ghiandolari e che ne determina la grandezza volumetrica ( perché gli stessi ormoni che agiscono sulla ghiandola agiscono anche sui lobuli adiposi). All’epoca della pubertà la regione mammaria si presenta piana, e quando la mammella ha raggiunto il suo pieno sviluppo ha la forma di una mezza sfera piena con il capezzolo leggermente deviato verso l’esterno. La mammella voluminosa è detta macromastia mentre piccola si dice micromastia. L’ipotrofia mammaria può essere correlata ad una agenesia ovarica o ad altri difetti della produzione di estrogeni, mentre l’ipertrofia (gigantomastia o macromastia) si può riscontrare

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frequentemente durante la fase puberale per un’aumentata increzione ormonale a causa di turbe non solo ovariche, ma anche tiroidee, ipofisarie e surrenaliche.

Quindi si hanno tre strati: cute e sottocute - ghiandola con tessuto adiposo - muscolo

Drenaggio linfatico E’ importante sapere il percorso della linfa per capire cosa succede quando c’è un cancro alla mammella quindi come si diffonde. La mammella dal punto di vista obbiettivo viene suddivisa in quattro quadranti con due linee perpendicolari passanti per il capezzolo e quindi abbiamo i quadranti superesterno, interesterno, superinterno e interinterno; mentre in passato si pensava che il drenaggio linfatico dipendesse da un collegamento in base ai quadranti (cioè che ogni quadrante drenasse verso una certa zona con linfonodi), oggi si è visto che c’è una notevole intersezione dei vasi linfatici e questo fa si che anche se c’è un tumore nel quadrante interinterno si può trovare interessati linfonodi ascellari e viceversa dal quadrante superesterno si può avere drenaggio verso i linfonodi sternali.

Fondamentalmente tre sono le vie di drenaggio linfatico: ascellare, interpettorale, e mammaria interna. Le grandi stazioni linfatiche si trovano quindi nel cavi ascellare (lungo la vena e l’arteria ascellare), nella zona retrosternale (lungo la vena toracica interna) e alla base del collo. Quando i linfonodi della base del collo e quelli sopraclaveari, che sono più distanti dalla mammella, sono colpiti dal cancro vuol dire che il cancro è già considerato metastatico perché ha già superato i “limiti” di organo e si è già infiltrato.

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Un po’ di Fisiologia ( il prof non ne ha parlato è solo per noi)

La mammella rappresenta il crocevia ed il bersaglio di numerose sostanze ad azione ormonale che, oltre ad agire nel determinismo della normale fisiologia della ghiandola, come gli ormoni sessuali femminili, sono responsabili, sia direttamente, sia tramite la mediazione di ormoni prodotti da altri organi (Fig. 5.3), di alterazioni diverse che si realizzano nelle varie forme di patologia mammaria benigna e che possono assumere il ruolo di lesioni precancerose. L’ipofisi agisce sulla ghiandola mammaria sia direttamente, mediante la prolattina (PRL) e l’ormone della crescita (GH), sia indirettamente con le gonadotropine ipofisarie follicolostimolanti (FSH) e luteinizzati (LH), destinate all’ovaio; l’ormone tireotropo (TSH), che influisce sulla funzione tiroidea; l’ormone adrenocorticotropo (ACTH),che esplica la sua azione sulle ghiandole surrenali.

La produzione degli ormoni ipofisari è inoltre controllata, attraverso la liberazione di sostanze ormonali (releasing-factors), dall’ipotalamo.

L’ovaio, stimolato dall’FSH e dall’LH, agisce sulla mammella tramite gli estrogeni e il progesterone ed anche mediante alcuni androgeni; la tiroide influisce con i suoi ormoni triiodotironina (T3) e tiroxina (T4), mentre le ghiandole surrenali determinano la loro azione non solo attraverso gli androgeni, ma anche con il cortisolo e l’aldosterone.

In gravidanza, la placenta, mediante la liberazione di mammotropina corionica, estrogeni e progesterone favorisce modificazioni strutturali alla ghiandola mammaria. Infine un ruolo sulla mammella, anche se a tutt’oggi non ben chiarito, sembra essere svolto dal pancreas mediante l’insulina. Affinché gli ormoni possano esplicare la loro azione su una cellula bersaglio è necessario che essa possieda i recettori specifici per quell’ormone. Nelle cellule epiteliali

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della ghiandola mammaria i recettori ormonali sono fondamentalmente di due tipi: citoplasmatici per gli ormoni steroidei (estrogeni, progesterone, androgeni) e di membrana per gli altri ormoni (PRL, GH, T3, T4, insulina). Le modificazioni strutturali fisiologiche della mammella femminile sono legate a stimoli ormonali che agiscono sulla ghiandola in modo assai complesso.

Nella fase puberale, in seguito alla stimolazione ormonale, avviene lo sviluppo della ghiandola mammaria nella donna, mentre nell’uomo, tranne una transitoria fase di ipertrofia (ginecomastia prepuberale) tra i 14 ed i 16 anni, la ghiandola va incontro ad atrofia. Contestualmente alla crescita della porzione ghiandolare, aumenta la quantità di tessuto adiposo del sottocute e del connettivo con una proliferazione di elementi duttali. L’approfondimento dei dotti nei tessuti del sottocutaneo è accompagnato dallo sviluppo dei lobuli terminali. La ghiandola subisce modificazioni, anche dopo la fase di sviluppo puberale, legate al ciclo mestruale, alla gravidanza, all’allattamento e successivamete alla menopausa. Lo sviluppo della mammella può durare diversi anni e può non essere completo fino alla terza decade di vita.

Nella pubertà inizia lo stimolo ipofisario sulle ovaie mediante l’increzione di gonadotropine (fondamentalmente FSH), che portano a maturazione i follicoli oofori i quali a loro volta cominciano a produrre estrogeni. Sotto lo stimolo di questi ultimi inizia, nella ghiandola mammaria, la proliferazione dell’epitelio dei tubuli, da cui deriveranno poi gli acini ghiandolari; contemporaneamente si sviluppa il connettivo mantellare e di sostegno responsabile dell’iniziale aumento di dimensioni della mammella in toto. In seguito alla prima ovulazione nelle ovaie si sviluppano i corpi lutei che a loro volta inducono alla produzione del progesterone, sotto il cui effetto si ha lo sviluppo dei lobuli e delle strutture acinose della ghiandola.

La donna ha ormai raggiunto la maturità sessuale ed è pronta per la gravidanza.

Durante la fase proliferativa del ciclo mestruale (3-7 giorni), si nota un aumento delle mitosi delle cellule acinose dei lobuli, circondati da un denso tessuto connettivo mantellare. Fra l’VIII ed il XIV giorno (fase follicolare), a livello degli acini, le cellule mioepiteliali e ghiandolari cilindriche appaiono più ricche di collageno mentre l’attività mitotica è diminuita. Nel corso della fase luteinica o secretoria, che avviene fra il XV ed il XX giorno, nelle cellule dei lobuli si verifica la desquamazione dello stroma seguita da una vera secrezione apocrina nei tubuli. Nei tessuti all’interno dei lobuli si osserva edema accompagnato da una congestione venosa, la mammella diventa turgida e può anche essere notevolmente dolente. Durante la mestruazione i lobuli regrediscono e vanno incontro a fibrosi. La congestione e l’edema si riducono fino a scomparire e la mammella raggiunge nuovamente le minime dimensioni all’ottavo giorno circa dall’inizio delle mestruazioni.

La gravidanza incide profondamente sulla struttura macroscopica e microscopica della mammella.

Già nel I trimestre si possono osservare variazioni del tessuto epiteliale. Durante il II trimestre i lobuli aumentano di dimensioni per una proliferazione degli acini lobulari, molti dei quali ripeni di secreto. Tale fenomeno, noto come “adenosi della gravidanza”, è influenzato dagli elevati livelli circolanti di estrogeno e progesterone, oltre che dai livelli di prolattina che

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aumentano costantemente durante la gestazione. La quantità di tessuto connettivo intra- e interlobulare nel III trimestre si riduce a tal punto da apparire, all’inizio dell’allattamento, come un sottile setto fibroso che separa i lobuli aumentati di volume e distesi dalla secrezione.

Dopo il parto, vi è una repentina scomparsa degli ormoni placentari ed un mantenimento dell’alto livello di prolattina. Questo potrebbe essere il principale stimolo all’allattamento. Le cellule mioepiteliali si allungano, consentendo, con la loro capacità contrattile, l’espressione del latte verso i dotti; la loro contrazione sembra essere una risposta al peptite ossitocina di derivazione pituitaria. La stimolazione del capezzolo sembra essere il segnale fisiologico per il proseguimento di secrezione pituitaria di prolattina e per il rilascio acuto di ossitocina.

Alla fine dell’allattamento, vi è una caduta di prolattina e l’assenza di stimolo per il rilascio di ossitocina. Si assiste quindi, per l’involuzione delle strutture ghiandolari, ad una riduzione di volume della mammella che, a causa della permanente dilatazione dei tubuli, non ritorna quasi mai alle dimensioni originarie.

Con il passare degli anni cominciano a manifestarsi, in alcuni distretti della ghiandola, dei processi di atrofizzazione apparentemente non in correlazione all’attività ovarica. Questo processo involutivo inizia molto probabilmente fra la III e la IV decade di vita della donna e progredisce decisamente con la menopausa. Le cellule di rivestimento degli acini diminuiscono ed i lobuli stessi si riducono di volume. Il tessuto connettivale dei lobuli diventa densamente fibrotico e piccole cisti possono formarsi dalla coalescenza degli acini, che possono anch’essi andare incontro a fenomeni fibrotici. Anche l’epitelio duttale progressivamente si atrofizza, molti dotti si obliterano e vengono via via sostituiti da una notevole quantità di tessuto adiposo.

Prevenzione primaria - Autopalpazione

Il cancro alla mammella colpisce il 20% di donne, con una mortalità del 30-35% ed è il cancro che colpisce di più le donne. La migliore metodica diagnostica ai fini di una diagnosi precoce del cancro della mammella si è dimostrata l’autopalpazione del seno che tutte le donne sopra i 20 anni dovrebbero sistematicamente praticare ogni mese in modo da conoscere bene la propria mammella e acquisire una sensibilità tale da poter apprezzare lesioni anche assai piccole; già ad un cm di dimensione vuol dire che il cancro ha avuto un tempo di raddoppiamento di 6 anni. La palpazione della mammella è fondamentale perché il cancro alla mammella non è prevenibile.

Quando fare l’autopalpazione? In un momento in cui la mammella è a riposo

cioè quando non subisce modifiche correlate con il ciclo mestruale poichè c’è il minimo stimolo ormonale, che va dal 6° all’8° giorno.

· A torace nudo in stazione eretta, dovrebbe ispezionare (visivamente) il seno inizialmente di fronte allo specchio, con le braccia poste prima lungo i fianchi e dopo alzate sopra la testa, mettendo a confronto i profili delle due mammelle, eventuali asimmetrie di forma e/o di volume. L’esame della superficie cutanea può mostrare: zone di irregolarità con aree di retrazione circoscritta (infossamento) o più o meno estesa (buccia d’arancia); iperemia,

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edema, reticoli venosi; aspetti nodulari con o senza ulcerazioni. Un’accurata attenzione deve essere posta alla ricerca di eventuali segni di infiammazione, deviazione o retrazione del capezzolo o alterazioni di tipo eczematoso od ulcerativo.

· . Successivamente, in posizione supina, ciascuna mammella dovrebbe essere attentamente palpata con le dita della mano controlaterale (mano a piatto - in modo circolare - schiacciando la mammella sul piano toracico) e titillato il capezzolo per verificare la sua capacità erettile e che sia sempre la stessa (se i miociti sono intaccati non funzionano). L’esame deve tendere alla ricerca di segni precoci sospetti come l’asimmetria delle mammelle, la retrazione della cute o del capezzolo o sue eventuali secrezioni sierose od ematiche e l’eventuale presenza di noduli . L’esame della superficie cutanea può mostrare: zone di irregolarità con aree di retrazione circoscritta (infossamento) o più o meno estesa (buccia d’arancia); iperemia, edema, reticoli venosi; aspetti nodulari con o senza ulcerazioni. Un’accurata attenzione deve essere posta alla ricerca di eventuali segni di infiammazione, deviazione o retrazione del capezzolo o alterazioni di tipo eczematoso od ulcerativo.

Devono quindi essere attentamente esplorati i linfonodi ascellari per valutarne il numero, le

dimensioni, la consistenza, la dolorabilità, ed i rapporti tra loro e con i tessuti circostanti, impiegando la mano destra per l’ascella sinistra e viceversa. Successivamente vanno esplorate anche le stazioni linfonodali regionali sopraclaveari alla ricerca di eventuali segni di linfoadenopatia

Diagnosi precoce - Mammografia

Tanto più è precoce la diagnosi, minore sarà stata l’evoluzione del cancro (ciò vale per tutti i tipi di cancro). Nella fascia di età tra 40 e 45 anni viene eseguita come screening la mammografia. E’ un indagine radiologica diretta (senza mezzo di contrasto) della mammella in toto. La mammella viene poggiata su di un supporto, dove i raggi assorbiti dalla lastra consentono di visualizzare la presenza di noduli anche molto piccoli (meno di un cm) oppure microcalcificazioni che molto spesso

sono associabili al cancro. Poiché queste formazioni devono essere scisse per farne l’analisi istopatologica, chi fa la mammografia inserisce un repere metallico, così da consentire successivamente al chirurgo di individuare la zona da incidere. Essendo la mammografia deputata “non” alla conferma diagnostica di un nodulo già palpato ma all’evidenziazione di noduli che non si sono palpati, ha un doppio significato : - nelle donne che hanno già un nodulo

palpabile serve per vedere l’altra mammella che potrebbe avere un nodulo

simultaneo di dimensioni più piccole e non palpabile oppure microcalcificazioni

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- in donne che non hanno nulla e che vanno a fare la mammografia perché chiamate una volta l’anno serve per vedere qualche reperto che ancora non è palpabile.

La mammografia è necessaria anche quando si hanno mammelle particolarmente voluminose in cui l’autopalpazione può essere deficitaria .

Citologia

Quindi, quando si presenta una paziente che riferisce di aver evidenziato un nodulo non si fa la mammografia (che, come abbiamo visto, ha altri scopi) ma il chirurgo (o il ginecologo) fanno contemporaneamente oltre alla visita per confermare la presenza del nodulo anche l’agoaspirato per un esame citologico. SEMPRE!!!a meno che non si sappia che la paziente non abbia ad esempio una

displasia fibrocistica (che si presenta con numerosissimi pallini che sono cisti e che all’esame obbiettivo però sono caratteristici perché dolenti , coi margini distinti ecc.)

L’agospirato consiste in un prelievo di cellule direttamente da lesioni palpabili o, sotto guida ecografica o radiologica, da lesioni non palpabili utilizzando un comune ago da siringa (Fig. 5.13).Tale tecnica presenta una sensibilità dell’87% circa, una specificità del 100%, e il valore predittivo di una diagnosi positiva è circa il 100%, mentre il valore negativo di una diagnosi negativa è del 60-90%.

Biopsia Non si tratta di biopsia per incisione ma nella mammella il nodulo viene portato via tutto quindi si tratta di biopsia per escissione. Così, se da un nodulo ho l’esame citologico di risposta sull’agoaspirato che mi dice che ho un reperto dubbio per degenerazione, fino a prova contraria questo non esclude che c’è il cancro , ma dice solo che c’è la possibilità che ci sia. Quindi devo accertare che il cancro non ci sia e siccome un agoaspirato non dà la certezza, devo controllare tutto il nodulo asportandolo. A questo punto e ne faccio l’esame istopatologico estemporaneo (cioè durante la stessa seduta) e se si ha una risposta che il tumore è benigno, si richiude e finisce lì, se viceversa c’è un cancro si radicallizza l’intervento senza più doverci ritornare sopra (tutto ciò col consenso informato).

Epidemiologia e fattori di rischio

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Il carcinoma della mammella rappresenta la principale neoplasia della donna; nel mondo occidentale è la più frequente causa di morte tra i 40 e i 50 anni. In Italia, attualmente, circa una donna su 13 (7%) sviluppa un carcinoma della mammella, con 20.000 nuovi casi l’anno, ed una mortalità di circa 8.000 pazienti l’anno. La curva di distribuzione per età dimostra un incremento costante, con andamento bifasico a due picchi, il primo tra i 45 e i 50 anni e il secondo tra i 60 e i 65.

Come per la maggioranza dei tumori maligni, non si conoscono le cause del carcinoma mammario, tuttavia sono noti alcuni elementi, definibili “fattori di rischio” (Tab. 5.4)

Per primo se la stessa donna ha già avuto in passato un cancro alla mammella, per effetto della sua multicentricità ha molte più probabilità che si ripresenti.

Le donne, con una parente di I grado affetta da cancro della mammella, hanno una probabilità doppia o tripla di ammalarsi di tale neoplasia e in età più giovane, rispetto alla restante popolazione femminile. La familiarità è quindi importante perché è codificata cioè la componente genetica è chiara; ci sono 2 antigeni (BRCA1 BRCA2) che quando hanno delle mutazioni c’è la possibilità che si abbia il cancro della mammella e se ne può fare il dosaggio nel sangue perciò viene fatto a famiglie :

• in cui ci siano più di due casi di tumore alla mammella e un caso di tumore ovarico • con più di tre casi di tumore alla mammella prima dei 50 anni • con due sorelle con tumore alla mammella prima dei 50 anni

Se si trovano che questi due geni sono già mutati si avvicina molto di più il controllo con la mammografia per una diagnosi precoce. Questo programma controlli è indetta dalla FONCAM 2003 (Forza Operativa Nazionale Cancro Alla Mammella).

-Il trattamento ormonale sostitutivo in donne in post-menopausa, dove vengono prescritti estrogeni e/o progestinici, è controindicato perché il cancro alla mammella è di tipo ormonodipendente quindi per la sua crescita necessita di una certa secrezione ormonale. I fattori mestruali comprendono un insieme di associazioni che rivelano l’importanza della funzione ovarica nella genesi del tumore. Il menarca dopo i 15 anni e la menopausa chirurgica sono associate con una più bassa incidenza di cancro della mammella, mentre il menarca precoce (sotto i 12 anni) e una menopausa tardiva (dopo i 50 anni) sono associati con una lieve aumento di rischio di insorgenza di cancro mammario.

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Fasi di sviluppo Il cancro alla mammella origina principalmente dai duttili dove ci sono cellule epiteliali che lo rivestono e che poggiano su di una membrana basale. Da cellule che hanno una attività di iperplasia cioè attività proliferativa normale soltanto che proliferano più del dovuto, si passa alla fase di displasia cioè di cellule che oltre ad avere l’attività proliferativa cominciano a presentare delle alterazioni cellulari che possono essere molto importanti quando coinvolgono il nucleo tanto che diventano vere e proprie anaplasie, dove l’anaplasia corrisponde al massimo

dell’evoluzione al carcinoma in situ (carcinoma che è all’interno dell’epitelio ma che non ha superato la membrana basale)

La fase successiva è il carcinoma infiltrante.

Quindi in un nodulo della mammella dove si trova il cancro, questo può essere in due forme: o di carcinoma in situ (limitato nella struttura da cui ha originato) o di carcinoma infiltrante (che ha superato i limiti perché ha valicato la membrana basale). E’ ovvio che questo lo possiamo verificare soltanto all’esame istopatologico del nodulo asportato non avendo la possibilità di giudicarlo prima palpatoriamente oppure con la mammografia o anche con l’agoaspirato.

Aspetti classificativi Le patologie maligne della mammella sono generalmente divise in tumori epiteliali delle cellule, che rivestono i dotti ed i lobuli, e patologie maligne non epiteliali dello stroma di supporto. Una seconda importante divisione dei tumori epiteliali, che tiene conto della loro evoluzione, è tra carcinomi invasivi e non invasivi. Teoricamente i tumori non invasivi non possono metastatizzare e dovrebbero essere curabili mediante terapia locale nel 100% dei casi, ma ciò può risultare non sempre vero; un focolaio microscopico di invasione in un tumore altrimenti non invasivo può sfuggire anche al più esperto anatomopatologo.

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Clinica del cancro della mammella

La metà circa dei carcinomi della mammella sono localizzati nel quadrante supero-esterno, probabilmente per la presenza di una maggiore quantità di tessuto ghiandolare in tale sede, mentre l’alta percentuale di incidenza di tumori nella porzione centrale della mammella,è dovuta alla loro diffusione nella regione subareolare dai quadranti limitrofi. Inoltre la mammella sinistra è nel 5-10% più frequentemente interessata rispetto alla destra. La sede anatomica meno favorevole per il cancro della mammella è il quadrante infero-interno (Fig. 5.21).

Il cancro della mammella si manifesta con modalità diverse a seconda dello stadio in cui perviene all’osservazione. La sintomatologia infatti è legata a diversi fattori quali: l’età della paziente, il tipo

istologico, il grado di differenziazione cellulare ed infine la sua diffusione locale o a distanza. Di solito quando la neoformazione si rende apprezzabile clinicamente, un accurato esame obiettivo è in grado da solo di fornire quegli elementi utili per la diagnosi. La lesione infatti si presenta di volume variabile, non dolente, di consistenza durofibrosa o duro-lignea, a margini irregolari e limiti indistinti, non dissociabile dai tessuti circostanti e poco mobile sui piani sia superficiali sia profondi (Tab. 5.5).

A conferma della diagnosi, nelle fasi più avanzate della malattia, il carattere infiltrativo della lesione può essere evidenziato dall’irregolarità del profilo della mammella, caratterizzata dalla retrazione della cute o del capezzolo, dalla presenza di eventuali secrezioni o ulcerazioni, dall’edema per diffusione nodulare dei linfatici intradermici con l’apetto a buccia d’arancia della cute (quando il cancro invade i tralci

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connettivali tra i lobuli e non ne permette più lo scorrimento) e dalla presenza di linfonodi ascellari o sopraclaveari.

L’adenopatia ha grandissima importanza in quanto i linfonodi sede di metastasi sono aumentati di volume e di consistenza, tanto che nelle forme avanzate possono conglobarsi tra di loro ed essere adesi alle strutture circostanti.

Stadiazione clinica Quindi abbiamo visto che, anche se con qualche eccezione, la maggior parte dei tumori della mammella si sviluppa inizialmente all’interno di un dotto e in una fase successiva, man mano che il tumore aumenta di volume, si infiltra nello stroma periduttale, raggiunge le strutture linfatiche e vascolari ed infine diffonde ai linfonodi ascellari o ad altre stazioni linfatiche e agli organi a distanza. Nel tentativo di meglio comprendere e trattare il cancro della mammella, è stato proposto di raggruppare le lesioni nelle diverse fasi di accrescimento, in quattro stadi, al momento della diagnosi. In tal modo i cancri della mammella possono essere facilmente inquadrati per il loro sviluppo all’interno della mammella (diffusione locale), per l’interessamento neoplastico ed il carattere dei linfonodi ascellari regionali (diffusione regionale), e per lo stato dei restanti organi dell’organismo in termini di

metastasi (diffusione a distanza). Mentre in passato si pensava che le vie che seguiva il cancro fossero precise, oggi si sa che lo stesso cancro può dare contemporaneamente metastasi ascellari e metastasi di organi bersaglio (polmone, fegato e ossa). Quindi la sua diffusione può avere l’evoluzione più disparata così se si trova con l’agoaspirato un reperto positivo, non basta solo asportare i noduli ma dovranno essere fatte indagini

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supplementari per evidenziare metastasi (polmone-RX torace/ossa-scintigrafia/fegato- ecografia) e poter fare una stadiazione corretta. Per quanto riguarda la diffusione linfatica (importante in quanto il comportamento chirurgico

sta cambiando) i linfonodi dell’ascella sono stati suddivisi in livelli a seconda della loro disposizione in rapporto al muscolo piccolo pettorale: i linfonodi di I livello sono quelli localizzati nell’ascella lateralmente al margine del piccolo pettorale quindi più in prossimità del cancro; i linfonodi di II livello sono localizzati sotto il muscolo piccolo pettorale; i linfonodi di III livello sono quelli situati medialmente al margine mediale del muscolo piccolo pettorale o sottoclaveari (Fig. 5.22). E’ intuitivo che a seconda del livello a cui sono colpiti i linfonodi, il significato del tumore cambia. Ovviamente per poter fare una linfoaderectomia adeguata si deve andare molto vicini al decorso della vena ascellare perciò nel momento che si leva il nodulo si deve arrivare fino all’ascella per poterli asportare. Una volta portato via il nodulo canceroso e i linfonodi, esaminandoli si ha la codifica del tumore secondo il sistema TNM.

La stadiazione è un importante, ma spesso trascurato, aspetto di valutazione in presenza di un tumore della mammella, in quanto serve a raggruppare i pazienti in base all’estensione della malattia, a paragonare i risultati dei diversi protocolli terapeutici e a formulare un più accurato giudizio prognostico. Diversi sistemi di stadiazione sono stati proposti nel corso degli anni, ma quello più seguito è il TNM, adottato sia dal UICC (Union International Contre le Cancer) sia dal AJCC (American Joint

Commette on Cancer), che si basa sulla valutazione dei 3 elementi principali della malattia: tumore primitivo (T), linfonodi regionali (N), metastasi a distanza (M). Per quanto riguarda il tumore primitivo, deve essere considerata la sua sede di insorgenza nella mammella, i rapporti con la cute e la parete toracica; i linfonodi regionali sono quelli dell’ascella, anche se il drenaggio linfatico della mammella comprende la catena mammaria interna e i linfonodi lungo i dotti che attraversano i muscoli pettorali. In base alla valutazione del T, dell’N e dell’M avremo che le varie combinazioni ci permettono di dire quale è lo stadio interessato.

La stadiazione del cancro mammario è inizialmente clinica, formulata sulla base dell’esame obiettivo (ispezione e palpazione), degli esami radiologici (mammografia, ecografia epatica, e scintigrafia ossea) e successivamente istopatologica. Inoltre è stata oggetto di particolare attenzione la possibile relazione tra il comportamento di neoplasie maligne e il loro grado di “anaplasia”. I carcinomi mammari sono stati suddivisi in tre gradi istologici di malignità osservando l’entità di formazione dei tubuli, la dimensione delle cellule e dei nuclei, l’entità dell’ipercromatismo e il numero delle mitosi. I tumori con un basso grado di malignità sono stati definiti di grado 1 mentre quelli con un alto grado di malignità appartengono al grado 3.

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Un altro dato che appare comunque oggi fondamentale per la valutazione della capacità evolutiva del carcinoma mammario, e su cui si basa la successiva terapia adiuvante, è lo studio dei recettori per gli ormoni sessuali (estrogeni e progesterone) sul tessuto neoplastico.

Sulle cellule tumorali la presenza di recettori per gli estrogeni e per il progesterone ha due significati: da un lato dimostrerebbe che le cellule tumorali recettori positive sarebbero più differenziate rispetto a quelle recettori negative, in quanto possiedono ancora le caratteristiche tipiche del tessuto sano, dall’altro permetterebbe di discriminare i casi in cui è opportuno effettuare una ormonoterapia.

Terapia La terapia del cancro della mammella può avere intenti curativi per tumori al I, II e III stadio, mentre è da ritenersi solamente a scopo palliativo nelle pazienti al IV stadio o già precedentemente trattate, che sviluppano metastasi a distanza o recidive locali non suscettibili più di asportazione radicale. L’estensione della malattia e l’aggressività biologica della neoplasia rappresentano i principali fattori che condizionano i risultati del trattamento primitivo. . Per circa ¾ di secolo la mastectomia radicale era considerata la terapia standard per questo tipo di affezione, anche in considerazione del fatto che la gran parte delle pazienti si presentava con una neoplasia localmente avanzata (III stadio), e si rendeva pertanto necessario un intervento demolitivo, che consentisse di rimuovere tumori di grosse dimensioni.

Terapia chirurgica conservativa - QUADRANTECTOMIA La grande trovata di Veronesi è stata il capire che era inutile portare via tutta la ghiandola e tutta la mammella per lesioni di piccole dimensioni perché era molto improbabile che la diffusione del cancro potesse invadere il resto dei quadranti e i fatti gli hanno dato ragione. Per cui per lesioni di meno o uguale a 2 cm l’intervento di elezione è la quardantectomia cioè si asporta il quadrante interessato dal cancro. A questo si aggiunge che bisogna fare anche bonifica quindi asportare i linfonodi ascellari ed infine per poter evitare che rimangano delle cellule in quelle zone dei quadranti che potrebbero essere stati invasi e non sono stati eliminati si fa radioterapia post-operatoria.

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Terapia dei linfonodi del cavo ascellare Abbiamo già visto che il cancro della mammella si diffonde seguendo i linfonodi del I poi II poi III livello. Però ricercando metastasi linfonodali da quelli contigui, se non sono stati colpiti allora è presumibile che i linfonodi ascellari siano integri ed è inutile andare a fare interventi chirurgici che possono provocare problemi anche al braccio per il drenaggio linfatico. Così si cerca di essere meno invasivi possibile utilizzando questa tecnica del linfonodo sentinella.

La tecnica correntemente impiegata per il mappaggio dei linfonodi consiste nell’iniettare la sera prima dell’intervento attorno al tumore mammario un colorante visibile o proteine marcate con elementi radioattivi (albumine) o entrambe. Questo marcatore viene successivamente drenato andandosi a localizzare nei linfonodi contigui e da questi proseguirà oltre se non sono ostruiti . Se invece il cancro invade un linfonodo questo verrà ostruito e non drenerà più la linfa per cui il marcatore si bloccherà . Il linfonodo sentinella, dopo essere stato localizzato con l’ausilio di una sonda manuale per raggi gamma, può essere rimosso attraverso una piccola incisione. L’esame bioptico intraoperatorio, attraverso microdissezioni multiple, rappresenta la fase più delicata della metodica, in quanto richiede un’esatta definizione

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istopatologica del linfonodo esaminato; in presenza di linfonodo negativo si può anche non fare la linfoaderectomia viceversa se il linfonodo è colpito si prosegue con la linfoaderectomia ascellare. Questa tecnica ha portato ad un'altra conseguenza (in sperimentazione): se si possono esaminare i linfonodi contigui al cancro quindi nel tessuto della mammella stessa è ovvio che anche i cancri più piccoli possono non necessariamente richiedere l’asportazione di tutto il quadrante se il linfonodo sentinella fosse negativo perché vuol dire che la diffusione del cancro potrebbe non essere andata al di là di un certo limite e quindi si potrebbero fare delle scissioni locali e non più quadrantectomie (radicalizzando l’intervento con radioterapia nel post-operatorio). Non vi è dubbio che la linfoadenectomia del cavo ascellare o la radioterapia sono indicate in presenza di metastasi linfonodali regionali accertate. La presenza comunque di tumori di dimensioni maggiori (4- 5 cm di diametro) o con linfonodi ascellari clinicamente positivi non preclude la possibilità di raggiungere il controllo locale della malattia mediante terapia conservativa della mammella, previo trattamento chemioterapico e nuova stadiazione della neoplasia stessa. Le indicazioni per la dissezione dei linfonodi dell’ascella sono finalizzate sia alla stadiazione sia alla rimozione dei linfonodi clinicamente interessati dalla neoplasia. Questi dati sono importanti ai fini della prognosi e della successiva terapia adiuvante in pazienti con un cancro dellamammella. Al di là del suo importante valore prognostico, la dissezione ascellare rappresenta il mezzo più efficace per il controllo regionale della malattia. Oggi la dissezione linfonodale del cavo ascellare è oggetto di riconsiderazione dopo l’introduzione e l’impiego della biopsia del linfonodo sentinella. Introdotta nel 1992 per il trattamento del melanoma, questa tecnica è stata immediatamente utilizzata nel cancro della mammella. Il linfonodo sentinella viene identificato attraverso il costante rapporto anatomico fra il tumore e le vie linfatiche di drenaggio, che possono interessare sia l’ascella sia la catena mammaria interna (Fig. 5.27).

Mastectomia Fino a qualche decennio fa, i chirurghi consideravano il carcinoma della mammella come una patologia controllabile con il solo trattamento chirurgico. Ciò, a maggior ragione, era basato sugli eccellenti risultati ottenuti con l’intervento di mastectomia radicale, che comprende l’asportazione in blocco della mammella, dei muscoli pettorali e dei linfonodi ascellari,indipendentemente-dalloMstadioMdiMmalattia.Al fine di limitare l’aspetto demolitivo dell’operazione e di ottenere risultati funzionali ed estetici migliori, sono stati proposti interventi di mastectomia radicale modificata. Essa consiste nall’asportazione in blocco dei linfonodi ascellari, della mammella e della fascia del grande pettorale e si differenzia per la conservazione o di entrambi i muscoli pettorali (intervento secondo Madden) o del solo muscolo grande pettorale con asportazione del muscolo piccolo pettorale (intervento secondo Patey)

La mastectomia può oggi rivestire un ruolo importante nel controllo locale del carcinoma della

mammella al III e IV stadio, dopo trattamento neoadiuvante radio-chemioterapico. Infine, tutte le volte che è comunque indicata la mastectomia, l’opzione per una ricostruzione immediata deve essere presa in considerazione. Eccellenti risultati estetici possono essere raggiunti con una varietà di opzioni ricostruttive che possono avvenire simultameamente o in una fase successiva.

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Radioterapia e Chemioterapia post-operatoria Per ottenere il controllo locale del cancro della mammella, il trattamento conservativo della mammella consiste nell’associazione della terapia radiante e della chemioterapia alla escissione chirurgica.

Esistono tuttavia precise controindicazioni alla radioterapia che condizionano quindi, inevitabilmente, l’opzione per il trattamento conservativo. Queste sono rappresentate da: presenza di una malattia multifocale occulta; precedenti terapie radianti al polmone, alla parete toracica o alla mammella, che impediscono di distribuire uniformemente un’adeguata dose di radiazioni; la gravidanza, che è una controindicazione assoluta alla radioterapia .La tecnica impiegata per la radioterapia della mammella, dopo trattamento chirurgico conservativo, dovrebbe adeguatamente coprire il volume a rischio, erogare una dose omogenea attraverso i tessuti bersaglio, evitare la sovrapposizione o l’inadeguata apposizione dei campi e minimizzare la dose che raggiunge il cuore ed i polmoni.

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La chemioterapia è indicata come terapia aggiuntiva dopo il primitivo trattamento chirurgico nei tumori primitivi con linfonodi ascellari positivi, ma che non presentano metastasi a distanza e che sono stati trattati dalla chirurgia, associata o meno alla radioterapia, con intenti curativi L’obiettivo della chemioterapia adiuvante è di eradicare metastasi occulte a distanza e cellule neoplastiche residue, mentre ancora questi foci neoplastici sono piccoli a sufficienza da essere vulnerabili agli agenti antitumorali.

Tumori benigni Fibroadenoma

Il fibroadenoma è una neoplasia benigna della mammella che origina dalle ghiandole con proliferazione anche di fibrocellule. La caratteristica di questa neoplasia benigna è di essere mobile, a superficie liscia, lobulata, con limiti netti, non dolente, con consistenza parenchimatosa, delle dimensioni generalmente da 1 a 3 cm di diametro, ma talvolta anche fino 10 cm , che non regredisce dopo il ciclo mestruale. Stabilire però con certezza la natura benigna non è possibile perciò il fibroadenoma deve essere asportato o ambulatoriamente (aspettando successivamente l’esito dell’analisi bioptica) o in chirurgia trattandolo come fosse un cancro quindi sotto anestesia si asporta il nodulo, si attende la risposta estemporanea dell’analisi bioptica per radicalizzare (se la risposta è di cancro) o per richiudere (se la risposta è di fibroadenoma).

Displasia fibrocistica

Una volta si pensava fosse una lesione precancerosa ma si è visto che ciò non è la regola. Si tratta di una malattia in cui c’è una forte influenza ormonale e vi è un iperestrogenismo relativo (per cui è importante che non venga assunta la pillola) i quali agirebbero sul tessuto ghiandolare mammario solo nei casi in cui questo tessuto sia costituzionalmente predisposto ad una reazione displastica a seguito di una alterazione ormonale. E’ una malattia che copre tutto l’arco della vìta e colpisce tutte e due le mammelle.

Si verifica che già in età giovanile, oltre

alla mastodinia (dolore alle mammelle) presente soprattutto durante il ciclo, nell’autopalpazione evidenziano tanti piccolissimi pallini che sono cisti e che possono anche aumentare assumendo una forma nodulare. La caratteristica della displasia fibrocistica è di avere anche una componente connettivale fibrotica

che andando avanti con l’età viene limitata parzialmente la componente cistica e aumenta la componente fibrotica ed intorno a 35-40 anni ci sarà la presenza di modularità cistiche e qualcuna anche di entità maggiore. Con l’agoaspirato oltre alla diagnosi (negativa di cancro) verrà effettuata terapia in quanto il liquido presente nelle cisti sarà aspirato anche se questo successivamente si riforma. E’ ovvio che le modularità solide sono quelle che danno più preoccupazioni rispetto a quelle cistiche perché è sintomo di proliferazione dell’epitelio

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all’interno delle cisti stesse per cui ci sarà la possibilità che le cellule arrivino ad un grado di displasia (cellule alterate nella funzione e nella proliferazione) anche se ciò avviene molto raramente; può quindi accadere di dover fare una bonifica che consiste nel fare la mammectomia bilaterale con l’asportazione delle ghiandole ed il posizionamento di protesi per la ricostruzione estetica.

Una riflessione

Quando una donna giovane è affetta da cancro e gli viene portata via una mammella è permessa la gravidanza e l’allattamento?La gravidanza ha un grande sovvertimento dal punto di vista ormonale e di conseguenza si ha che il cancro è ormonodipendente (tra l’altro può succedere che per eliminare lo stimolo ormonale venga effettuata l’ovarectomia bilaterale) quindi nell’immediato si prevede possa essere fatta chemioterapia e automaticamente la gravidanza non potrebbe essere condotta a termine perché i farmaci danneggerebbero il feto.