Post on 15-Feb-2019
Non di solo paneNon di solo paneNon di solo paneNon di solo pane
In questi tempi di pessime notizie, di pre-carie soluzioni economiche, come in un cielo buio e tempestoso, si aprono squarci buoni, cieli limpidi. Non ha importanza da quali parte vengano; non importa l’età, né il sacrificio: la buona volontà, l’onestà e il coraggio sono, ovunque, le qualità migliori per difendere ciò in cui si crede, per cui vale la pena di combattere. Salutiamo così due uomini coraggiosi che aiuteranno tutti noi a riprenderci, ad aver voglia ancora di impegnarci: Giorgio Napolitano e il Santo Padre, papa Francesco, in prima linea entrambi.
Da parte nostra, per quello che possiamo, continueremo a credere che gli uomini siano resi migliori dalla conoscenza, e che il conoscere sia migliore quanto più si diffonda in mezzo agli uomini. E’ così di grande conforto ai nostri sforzi la bella notizia che un giornale possa non pubbli-care, ma ricevere, in merito al proprio scopo ed al proprio ruolo. Sabato 23 mar-zo 2013 si è tenuta al Baluardo della Cittadella di Modena la cerimonia di pre-miazione del Concorso Nazionale Concorso Nazionale Concorso Nazionale Concorso Nazionale di gior-nalismo scolastico “Prima PaginaPrima PaginaPrima PaginaPrima Pagina”, rivolto alle scuole secondarie di II grado. Nell’am-bito del Concorso la nostra rivista “Project” ha ricevuto la menzione speciale come migliore testata giornalistica per la divulgazione scientifica.
La divulgazione di un sapere è l’equivalen-te della democrazia nella scienza: senza una sana diffusione delle conoscenze lo stesso metodo galileiano, che è il principio filosofico cardine delle discipline scientifi-che, perderebbe la possibilità di sottopor-re all’esame critico degli osservatori il lavoro sperimentale dei ricercatori. Ma noi abbiano un compito ancora più sensibile, quello di far crescere nei giovani il piacere,
non il dovere, di interessarsi alla cono-scenza, dapprima sviluppando le capa-cità critiche di un attento osservatore e poi, per chi saprà e vorrà, passare al livello superiore della produzione diret-ta di cultura. In questa fase il momento di studio più bello, quello più formativo e pregnante è quello realizzato da coloro che, scrivendo articoli per i pro-pri coetanei, si interessano di temati-che attuali non limitandosi solo ad apprenderle, ma ad approfondirle.
Questo numero, dedicato alla dramma-tica situazione alimentare nel mondo, è un buon esempio di come i nostri gio-vani abbiano saputo cogliere i diversi aspetti del problema, indagando in tante direzioni, sociali, economiche, ambientali,scientifiche, quanto molte-plici sono le cause e le conseguenze individuabili. Sovrappopolazione, inqui-namento, crisi economica, cambiamen-ti climatici, esaurimento delle fonti non rinnovabili: la pluralità delle idee che ne scaturisce è così la migliore garan-zia che chi ha scritto e chi leggerà non avranno entrambi una visione sempli-cistica e banale della questione, offren-do la prova che questi giovani saranno, un domani, dei cittadini consapevoli, presupposto indispensabile per le loro decisioni future; ma anche monito per noi adulti di oggi, le cui scelte saranno da loro giudicate domani.
E D I T O R I A L E
di Paola Petrillo, docente
R I V I S T A D I D I V U L G A Z I O N E S C I E N T I F I C A D E I R A G A Z Z I … P E R I R A G A Z Z I
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Come i pasti e le diete influenzano Come i pasti e le diete influenzano Come i pasti e le diete influenzano Come i pasti e le diete influenzano l’intelletto: una ricercatrice londine-l’intelletto: una ricercatrice londine-l’intelletto: una ricercatrice londine-l’intelletto: una ricercatrice londine-se ci spiega la relazione tra alimen-se ci spiega la relazione tra alimen-se ci spiega la relazione tra alimen-se ci spiega la relazione tra alimen-tazione e intelligenzatazione e intelligenzatazione e intelligenzatazione e intelligenza
Bambini e fast food? Ottimo
abbinamento per abbassare il quoziente
intellettivo (QI) e il rendimento scolasti-
co.
Questo è ciò che è emerso da uno
studio dell’Università Goldsmith di Lon-
dra in cui la ricercatrice, Sophie von
Stumm, ha spiegato che i bambini che
si nutrono con cibi già pronti crescono
con delle capacità cognitive inferiori
rispetto a coloro che mangiano, invece,
cibi freschi e sani. “È noto che il tipo di
cibo che mangiamo influenza lo svilup-
po del cervello – spiega von Stumm -,
ma le ricerche precedenti avevano os-
servato solo gli effetti di specifici gruppi
di alimenti sul quoziente intellettivo,
piuttosto che un tipo generico di pa-
sto”.
Questa correlazione è emersa da uno
studio su oltre 4.000 bambini scozzesi,
tra i 3 e i 5 anni, appartenenti a estra-
zioni sociali diverse.
Un altro elemento emerso è che lo stato
socio-economico delle famiglie influisce
sull’alimentazione dei bambini. Infatti,
famiglie, in cui i genitori sono sempre
più impegnati sul lavoro, si trovano
spesso in condizioni che non permetto-
no loro di preparare i pasti per i figli, e
quindi sono costrette a comprare cibi
precotti e non sani. Al contrario, padri e
madri che vivono una vita più agiata,
possono dare ai loro figli la corretta
nutrizione per la loro crescita.
Risultato: i bambini che provengono da
famiglie con uno status socio-
economico più basso, nel quale le
mamme “hanno meno tempo di prepa-
rare pasti freschi”, nei test d'intelligen-
za “totalizzano punteggi più bassi e,
spesso, hanno difficoltà a scuola".
Tutto ciò fa pensare... e il pensiero ca-
de sull’evoluzione che ha subito l’ali-
mentazione nel tempo: da quando, nel
medioevo, i ceti inferiori si nutrivano a
stento, a quando, al giorno d’oggi, sono
comparsi cibi che possono portare
all’obesità e compromettere la salute
del nostro organismo.
Spesso si sente parlare di persone
estremamente condizionate dal cibo
che consumano: i salutisti. Essi tendo-
no a seguire delle diete, o meglio tipi di
alimentazione, che mirano a mantene-
re una salute quasi ottimale.
C’è chi, per esempio, elimina tutto, e si
nutre solo di frutta e verdura. Ma è
veramente possibile nutrire il corpo
senza introdurre zuccheri o latticini?
Secondo Arnold Ehret sì; egli sostiene
che, eliminando carne, pesce, uova,
latticini e carboidrati, il corpo umano
possa “curare” tutti i disturbi. Questo
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tipo di dieta, detto "sistema di guari-
gione della dieta senza muco", mira
per prima cosa a eliminare le tossine
presenti nel corpo e, in seconda istan-
za a liberare l’intestino dal “muco
prodotto da cibi che noi crediamo
essere sani”.
Alla luce di tutto ciò che è stato detto,
è necessario che tutti noi prestiamo
attenzione al cibo con cui ci nutriamo,
ma senza esagerare, perché, in un
senso o nell’altro, si può compromet-
tere la propria salute.
Maria Vittoria El - Dalati III A Liceo Scienze Applicate - Istituto “ Lavinia Mondin” - Verona
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C A R N E , Q U A N T O C I C O S T I . . .
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Le proteine sono necessarie Le proteine sono necessarie Le proteine sono necessarie Le proteine sono necessarie nella nostra dieta, ma non è detto nella nostra dieta, ma non è detto nella nostra dieta, ma non è detto nella nostra dieta, ma non è detto che dobbiamo consumarne così tan-che dobbiamo consumarne così tan-che dobbiamo consumarne così tan-che dobbiamo consumarne così tan-te: pesanti le conseguenze sulla sa-te: pesanti le conseguenze sulla sa-te: pesanti le conseguenze sulla sa-te: pesanti le conseguenze sulla sa-lute e sull'ambientelute e sull'ambientelute e sull'ambientelute e sull'ambiente....
Cibo: amico o nemico? E’ noto
che l'utilizzo di auto, il riscaldamento
domestico, le fabbriche e i processi pro-
duttivi provocano emissioni di gas serra,
soprattutto CO2.
È invece meno noto come le attività con-
nesse all'allevamento e alla coltivazione
delle specie animali e vegetali consumi-
no risorse naturali ed emettano nell'am-
biente scarti e rifiuti, tra cui gas serra
che contribuiscono ad aggravare il pro-
blema.
La zootecnia da sola contribuisce per
18% di tutte le emissioni di gas serra,
superando le emissioni generate dall'in-
tero settore dei trasporti (14%) nel mon-
do. Solo la produzione di energia (21%)
supera l'allevamento come emissioni
globali. Il settore agroalimentare è diret-
tamente responsabile di circa il 1/3
delle emissioni globali di gas ser-
ra soprattutto protossido di azoto (N2O),
rilasciato dai terreni concimati, e metano
(CH4), prodotto dagli allevamenti, princi-
palmente bovini.
Secondo l'IPCC IPCC IPCC IPCC (Gruppo intergovernativo
di esperti sul cambiamento climatico) i
fertilizzanti a base di azoto costituiscono
la fonte principale delle emissioni dovute
all'agricoltura, con una percentuale del
38%.
Questi scarti si aggiungono a quelli pro-
venienti dalle attività umane e il cibo
finisce per rappresentare una tra le prin-
cipali cause del riscaldamento globale.
Infatti, per nutrire, allevare, macellare e
vendere bovini e ovini, suini, pollame
sono necessari pesticidi, fertilizzanti
chimici, combustibile, mangimi e acqua,
per non parlare dell’elevata necessità di
deforestazione per ricavare campi colti-
vabili per i foraggi.
Secondo i dati raccolti dal World Watch
Institute la crescente domanda di carne,
oltre che di petrolio, è preoccupan-
te, ormai a livelli record: il consumo di
carne è aumentato del 2,6% solo nel
2010, e la crescita è impressionante: il
numero di polli allevati per il consumo
umano è cresciuto del 169% tra il 1980
e il 2010 - sottolinea il rapporto - pas-
sando da 7,2 miliardi di capi a 19,4,.
Nello stesso periodo la popolazione di
capre e pecore ha raggiunto i 2 miliardi,
e quella di bestiame gli 1,4 miliardi.
Ma l'industria alimentare è anche il set-
tore più esposto ai rischi dei cambia-
menti climatici indotti dai gas serra, sia
attraverso l'alterazione dei cicli climatici
tradizionali, sia attraverso il degrado
ambientale, l'erosione dei suoli, la sicci-
tà, le infestazioni e le patologie fungine e
virali.
Negli ultimi 50 anni, il generale benes-
sere, i cambiamenti negli stili di vita, la
martellante pubblicità consumistica, la
perdita della cultura dell’alimentazione
mediterranea povera di carni e grassi
hanno modificato l'alimentazione dell’i-
taliano medio, avvicinandola a quella dei
Paesi occidentali più consumistici. Stati
di malnutrizione per eccesso di consumi
di carne e di sostanze grasse sono ormai
diffusi anche da noi. La questione ha
poi ricadute chiare in termini economici
Ed è ormai accertato dalla comunità
scientifica internazionale come la produ-
zione industriale di carne abbia un im-
patto maggiore sull'ambiente rispetto ad
altri prodotti di derivazione vegetale per
quel che riguarda il cambiamento clima-
tico e la scarsità idrica, oltre a essere tra
le principali cause di deforestazione,
erosione del suolo, inquinamento dell'a-
ria e dell'acqua e perdita di biodiversi-
tà. La sostituzione del filetto di manzo,
ad esempio, con altre fonti proteiche di
origine vegetale (come i legumi) riduce il
riscaldamento globale potenziale di un
80%. Senza considerare il risparmio di
acqua, visto che il consumo di acqua per
kg di verdure è sensibilmente più bas-
so. Un cambiamento nelle scelte alimen-
tari dei consumatori può quindi ave-
re impatti rilevanti sulla salute, la qualità
di vita oltre che sui consumi energetici e
sulle emissioni di CO2. Serve un cambia-
mento della dieta per salvare il Pianeta
dalle conseguenze più gravi del riscalda-
mento climatico, dalla fame e dalla pe-
nuria di acqua e di combustibili fossi-
li. “Mangiare un chilo di carne” scrive il
giornalista Antonio Pascale “inquina
come percorrere in automobile 300
chilometri”. Basterebbero la metà del
consumo medio italiano di carne per
arginare e ridurre il problema.
Vale la pena rifletterci su!
Sofia Meneghetti
4BLG Scientifico Statale “ Quadri” Vi-
cenza
Il Brasile conta 16 milioni di persone malnutrite. Ed esporta 16 milioni di
tonnellate di soia per mangimi animali - 1000 kg di soia l'anno per ogni
individuo malnutrito! (Fonte: Database FAO 2001FAO 2001FAO 2001FAO 2001)
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prodotti raffinati (farina). Imparare a
macinare significò avere un prodotto
ricco di carboidrati complessi, facili da
trasportare, energetico, che permetteva
di sopravvivere meglio a cambiamenti
climatici e a ambientali sfavorevoli.
Con il Neolitico e la scoperta di agricoltu-
ra e allevamento, la struttura corporea
dell’uomo si alleggerì per la minor fatica
fisica nel procurarsi il cibo e l’alimenta-
zione si arricchì di carboidrati derivati dai
prodotti vegetali coltivati e di carni e
latte di animali d’allevamento.
Secondo molti ricercatori l’uomo però
non riuscì ad adattare la propria fisiolo-
gia alla nuova dieta sviluppatasi a parti-
re dal Neolitico e la prova sarebbe costi-
tuita dalla diffusione di allergie ed intol-
leranze a glutine, lattosio e caseina,
sconosciute prima di questo periodo. Per
questo motivo, dopo una serie di studi
paleoantropologici ed etnografici, Staf-
fan Lindeberg, dell’università di Lund, ha
elaborato la teoria della “dieta paleoliti-
ca”come nuova concezione alimentare :
secondo lo studioso, infatti, l’alimenta-
zione del periodo paleolitico sarebbe
perfetta per l’uomo contemporaneo e
risponderebbe alle esigenze del nostro
organismo.
Si tratta di una dieta povera di glucidi,
che prevede 6-7 pasti al giorno e l’elimi-
nazione di latticini e cereali. Si introduco-
no con l’alimentazione elevate quantità
di vitamine, minerali, antiossidanti con-
tenuti nella frutta, nella verdura e nelle
carni, che apportano benefici nel corpo
in quanto producono un ambiente alcali-
no con effetti protettivi per le ossa e la
salute. Il consumo abituale di pesce
azzurro permette di raggiungere un equi-
librio tra acidi grassi e omega-3 ed ome-
ga-6.
Questa dieta facilita la perdita di peso,
protegge da malattie cardiovascolari, dal
Niente latticini nè cereali, Niente latticini nè cereali, Niente latticini nè cereali, Niente latticini nè cereali, molta carne, pesce, frutta e verdu-molta carne, pesce, frutta e verdu-molta carne, pesce, frutta e verdu-molta carne, pesce, frutta e verdu-ra: non è l'ultima trovata dei dieto-ra: non è l'ultima trovata dei dieto-ra: non è l'ultima trovata dei dieto-ra: non è l'ultima trovata dei dieto-logilogilogilogi,,,, ma il regime alimentare del ma il regime alimentare del ma il regime alimentare del ma il regime alimentare del PaleoliticoPaleoliticoPaleoliticoPaleolitico
Grazie agli studi di paleontologi e paleo-
antropologi è oggi possibile conoscere
l’alimentazione caratteristica delle di-
verse fasi preistoriche. Le tecniche
utilizzate per dedurne la dieta sono
principalmente due: lo studio dei co-
proliti (resti fossili di escrementi), dai
quali si deduce la diffusione delle spe-
cie vegetali e animali dell'epoca che
servirono da nutrimento, e quello dei
tragitti di nutrimento.
Nel Paleolitico , l’umanità ebbe un’ali-
mentazione basata sulla caccia, sulla
pesca e sulla raccolta di prodotti vege-
tali spontanei, il tutto reperibile senza
attrezzi e armi.
Nel Neolitico con l’uso del fuoco la
preparazione dei cibi cambiò radical-
mente. Si svilupparono, un po’alla volta
con l’agricoltura le arti culinarie per
rendere più facilmente digeribili molti
prodotti animali e vegetali e facilitare la
loro conservazione. Tutto ciò favorì
anche il progresso scientifico-
tecnologico, riducendo l’energia neces-
saria ad assimilare i nutrienti, raffor-
zando il fisico e migliorando le capacità
cerebrali.
Scoperte recenti dimostrano, a partire
da circa 30.000 anni fa, le capacità
dell’uomo nel trasformare i vegetali in
cancro e favorisce una buona dige-
stione.
Lindeberg, per dimostrarlo, ha sotto-
posto due gruppi di pazienti, affetti da
diabete di tipo 2 e da malattie cardio-
vascolari, il primo a una dieta medi-
terranea controllata e il secondo alla
"dieta paleolitica".
Nel giro di tre mesi, il ricercatore ha
constatato che l'aumento della glice-
mia in risposta all'assunzione di car-
boidrati era diminuita del 7 per cento
nel gruppo che seguiva la dieta medi-
terranea, una riduzione modesta a
confronto con quella conseguita dal
gruppo messo a "dieta paleolitica",
che raggiungeva addirittura un 25 per
cento.
Bisogna, però, dire che la dieta, pur
essendo efficace, è parecchio mono-
tona e difficile da seguire. Non si può
di certo tornare a mangiare come
30.000 anni fa, ma può essere salu-
tare calibrare il nostro regime alimen-
tare con suggerimenti presi anche dai
nostri antenati preistorici
Anna Carollo
4 BLG — Liceo Scientifico Statale
“Quadri”- Vicenza
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Nuove ricerche genetiche aprono inedite prospettive Nuove ricerche genetiche aprono inedite prospettive Nuove ricerche genetiche aprono inedite prospettive Nuove ricerche genetiche aprono inedite prospettive
per lo studio e la cura dell'anoressia, uno dei disturbi per lo studio e la cura dell'anoressia, uno dei disturbi per lo studio e la cura dell'anoressia, uno dei disturbi per lo studio e la cura dell'anoressia, uno dei disturbi
alimentari femminili più diffusi e pericolosialimentari femminili più diffusi e pericolosialimentari femminili più diffusi e pericolosialimentari femminili più diffusi e pericolosi
«Inizialmente c'è una grande euforia. Si ha l'impressione di
gestire tutto, di controllare tutto. Poi, a poco a poco, si entra
in una spirale, la spirale della morte».
Con queste parole la famosa modella Isabelle Caro, anores-
sica, esprime il vissuto di chi si lascia contagiare da “quella”
malattia che, a tutt'oggi, colpisce tante protagoniste del
mondo televisivo e della moda,e purtroppo anche tante ra-
gazze qualunque: l'anoressia.
Isabelle a quel punto si era accorta che l'anoressia era di-
ventata una sua compagna di vita, un mostro ipocrita e avi-
do da cui è difficile staccarsi.
Il termine anoressia, secondo il dizionario etimologico,
deriva dal tardo latino
anorexia riconducibile
al greco anorexìa,
parola composta da
an (particella di nega-
zione) e òrexis
(appetito). La malat-
tia, in effetti, si mani-
festa inizialmente con
un'attenuazione dello
stimolo dell'appetito,
a cui segue, se non si prendono adeguati provvedimenti,
l'anoressia vera e propria (mancanza totale di appetito) con
tutte le sue conseguenze: tra queste, il rapido dimagramen-
to e, nelle donne, il blocco del ciclo mestruale. Il cibo viene
respinto, si cade nel calcolo ossessivo delle calorie e nel
controllo spasmodico del peso.
Quali le cause? A detta degli esperti, sono molteplici.
A livello biologico, una causa potrebbe essere legata all’al-
terazione della grelina, un ormone prodotto nello stomaco
con la capacità di stimolare l'appetito il quale, una volta
introdotto nelle cellule del cervello specializzate nella regola-
zione del peso, se alterato, potrebbe provocare la perdita
dello stimolo della fame e quindi indurre all'anoressia.
A livello psicologico, si è notata una correlazione della
malattia con le delusioni d'amore, sul piano sociale o fami-
liare, o con il desiderio di raggiungere determinati standard
estetici ad ogni costo.
Fattore di rischio è considerata anche la difficoltà di adattar-
si ai cambiamenti e agli eventi stressanti.
A livello sociale, è importante
osservare come un familiare
che soffre, o ha sofferto, di un
disturbo alimentare possa in-
fluenzare il comportamento di
repulsione al cibo. L’anoressia
potrebbe essere anche una
richiesta di attenzione
“silenziosa” in una famiglia in
cui manca la comunicazione.
Altri fattori di rischio sono l'appartenenza a determinati grup-
pi sociali in cui molto importante è il controllo del peso
(modelle, ballerine...).
A livello genetico sono state fatte nuove scoperte. Un gruppo
di ricercatori, guidato da Dorothy Grice, ha identificato una
regione sul braccio corto del cromosoma 1 che potrebbe con-
tenere geni correlati al maggiore o minore sviluppo dell'ano-
ressia nervosa. Si ritiene che ci siano particolari regioni cromo-
somiche che potrebbero essere correlate a queste malattie. Si
pensa quindi che i geni coinvolti nel disturbo possano essere
diversi; identificarli e determinare la loro funzione potrebbe
essere importante per capire l'evoluzione di questa grave ma-
lattia e sperare di sviluppare nuovi rimedi.
I ricercatori del Karolinska Institute di Stoccolma sostengono
che possa esserci una correlazione tra i disturbi alimentari e i
disordini autoimmuni simili a quelli che causano la sclerosi
multipla e le artriti reumatoidi. Questi scienziati hanno analiz-
zato campioni di sangue di donne a cui erano state diagnosti-
cate l'anoressia, la bulimia o entrambe le malattie per studiare
gli anticorpi presenti, scoprendo che alcuni anticorpi erano
reattivi nei confronti di cellule di due strutture del cervello,
l'ipotalamo e la ghiandola pituitaria, regioni coinvolte nel con-
trollo del peso corporeo e dell'assunzione di cibo.
Bisogna aver sempre presente il fatto che è una malattia
principalmente di natura psicologica, che colpisce maggior-
mente il genere femminile nell'arco di età dai 12 ai 25 anni e
che essa è espressione del rifiuto del mondo esterno, identifi-
cato nel cibo: nella malattia ci si illude che cambiando il pro-
prio corpo sia possibile cambiare anche la propria vita.
Così è tragicamente accaduto anche a Isabelle Caro. Lei
scherzava sulla sua malattia: «Ho assaggiato il gelato, è buo-
nissimo!». Rideva, Isabelle, mostrando un profilo appuntito
dalla magrezza. Ma ormai era troppo tardi: spossata, debilita-
ta, ‘prosciugata’ sino a sembrare una fragile carta velina, Isa-
belle non ce l'ha fatta.
Sara Formiga
III A - Liceo delle Scienze Applicate - Istituto Lavinia Mondin - Verona
L A F A M E M A L A T A
In aumento i malati di celiachia, una forma di intolle-In aumento i malati di celiachia, una forma di intolle-In aumento i malati di celiachia, una forma di intolle-In aumento i malati di celiachia, una forma di intolle-ranza alimentare che crea disagi fisici e socialiranza alimentare che crea disagi fisici e socialiranza alimentare che crea disagi fisici e socialiranza alimentare che crea disagi fisici e sociali
Pane, pasta, pizza e farinacei sono alla base della dieta me-
diterranea. Come mai molto persone ne devono fare a me-
no?
Sono proprio questi gli alimenti che contengono la maggior
quantità di glutine, una proteina dalla quale i pazienti affetti
da celiachia si devo-
no astenere.
La celiachia è una
forma di intolleranza
alimentare che negli
ultimi cinquant’anni
interessa un numero
sempre maggiore di
persone. Uno studio
coordinato dal CenterCenterCenterCenter forforforfor CeliacCeliacCeliacCeliac ResearchResearchResearchResearch dell’Università di
Baltimora, negli Stati uniti, ha dimostrato che si è passati
dalla frequenza di 1 persona su 500 nel 1970 a 1 persona
su 100 nel 2010. La celiachia è una malattia autoimmu-
ne, poiché l’intestino non è in grado di digerire alcuni fram-
menti del glutine, chiamati gliadina, e la reazione del sistema
immunitario a questo provoca un’infiammazione dell’intesti-
no tenue. Le pareti dell’intestino sono ricoperte di villi, ma
questa malattia, se non curata, le rende piatte, riducendone
le capacità di assorbire nutrienti e provocando danni perma-
nenti.
Esistono diverse forme di celiachia, ma la più diffusa è la
“celiachia tipica”. Questa presenta diversi sintomi: debolez-
za, dissenteria, gonfiore addominale, perdita di peso e ritar-
V I V E R E S E N Z A G L U T I N E
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do della crescita nei bambini.
Vi è poi la “celiachia atipica” che presenta sintomi che
non interessano necessariamente la zona intestinale,
come anemia e fragilità ossea. Infine vi è la “celiachia
silente” che è quasi totalmente asintomatica. General-
mente questa malattia viene diagnosticata entro i primi
tre anni di vita, ma sono in aumento i casi di “celiachia
tardiva”, che si manifesta cioè nell’individuo già adulto.
Le cause del disturbo sono tuttora sconosciute: a lungo i
medici hanno ipotizzato potesse trattarsi di un difetto
genetico, ma i recenti studi e l’aumento della “celiachia
tardiva” hanno indotto gli esperti a considerare altri fatto-
ri, come un’alimentazione ricca di cibi che contengono
molta gliadina.
L’unica cura efficace in grado di ridurre i danni provocati
dalla malattia è una dieta priva di glutine. Questa scelta,
sebbene necessaria, comporta molte restrizioni e disagi
nei pazienti. I celiaci, infatti, devono stare molto attenti
quando si recano al ristorante, perché hanno bisogno di
strutture in grado di fornire un servizio adeguato. Non si
tratta solo di mangiare cibi diversi, ma di avere la certez-
za che vengano impiegate pentole e posate solo per lo-
ro, per evitare contatti con quantità anche minime di
glutine. La celiachia, secondo un recente studio condotto
dall’A.I.C. è vissuta da una famiglia su tre come una con-
dizione pesante e che influisce negativamente sui rap-
porti interpersonali. Marta Cornedi 4 BLG Liceo Scientifico Statale “Quadri”- Vicenza
A.I.C. A.I.C. A.I.C. A.I.C.: l’ Associazione Italiana Celiachia, nata nel 1979 dall’incontro di un gruppo di geni-tori che affrontavano le prime diagnosi di celiachia in Italia, è impegnata nell'informazione e nella ricerca sul morbo celiaco, divenendo il primo punto di riferimento nazionale per i malati di celiachia. Attualmente gode della fiducia di più di 60.000 associati.
L’interleuchinainterleuchinainterleuchinainterleuchina è un enzima in grado di bloccare la risposta infiammatoria del sistema immunitario. Que-
sta, però, non ha ancora avuto impieghi in campo farmacologico che consentano al celiaco di assumere
cibi contenenti glutine senza risvolti negativi. Inoltre, cresciuta la richiesta di alimenti specifici per questa
malattia, è aumentata anche la loro diffusione nella piccola e media distribuzione . Il Registro Nazionale
degli alimenti contava nel 2001 solo 238 prodotti senza glutine, mentre oggi ne comprende quasi 150-
0. Inoltre, nonostante la maggioranza di persone si affidino ancora alle aziende farmaceutiche per acqui-
stare alimenti senza glutine, a queste si stanno affiancando anche la GDOGDOGDOGDO – Grande Distribuzione Organiz-
zata - e alcune catene di supermercati. In aumento anche i locali che garantiscono un menù specifico per i
celiaci, circa 2500 nel 2010. Sono dati che fanno ben sperare!
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Il paradosso dell'alimentazione moderna: può nuocere Il paradosso dell'alimentazione moderna: può nuocere Il paradosso dell'alimentazione moderna: può nuocere Il paradosso dell'alimentazione moderna: può nuocere alla salute invece che favorirla. Serve moderazione.alla salute invece che favorirla. Serve moderazione.alla salute invece che favorirla. Serve moderazione.alla salute invece che favorirla. Serve moderazione.
Uno degli aspetti fondamentali che delineano la cultura di una popolazione è, senza dubbio, l’alimentazione. Popoli diversi si nutrono con cibi diversi, producono gli alimenti con tecniche differenti, consumano i pasti secondo le proprie usanze e tradizioni. Il mondo occidentale è stato teatro, negli ultimi vent’anni, di una trasformazione radicale nella dieta della popolazione; a tal punto che, a causa dell’introduzione mas-siccia di cibi ricchi di grassi e bevande zuccherate, il tasso degli obesi, nei Paesi in via di sviluppo, ha superato quello dei malnutriti. Questo allarmante fenomeno prende il nome di transizione alimentare. Il “cibo spazzaturacibo spazzaturacibo spazzaturacibo spazzatura” è buono, costa
poco ed è di moda; tuttavia ai peccati di gola non segue solo l’aumento antieste-tico del girovita: si possono presentare disagi ben più peri-colosi come disturbi cardiovascolari e diabete.
Emblema di ciò è l’aumento esponenziale dei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 in Messico in seguito alla diffusio-ne dei fast-food. Si prevede che, nel 2014, i costi sanitari per la cura del diabete in Messico si aggireranno intorno ai 1.22 miliardi di dollari. E’ interessante notare come il cambiamento delle abitudini alimentari di un Paese abbia determinato l’in-sorgenza di una malattia che fino a vent’anni prima era quasi del tutto sconosciuta alla sua popolazione.
Ma perché così tante persone non riescono a controllare il proprio appetito, a volte insaziabile? L’assunzione di cibo è legata alla gratificazione dopaminergica. Il significato biologi-co dell’attrazione verso il cibo è quello di garantire la sopravvi-venza degli individui che, per svolgere le attività metaboliche necessarie all’organismo, hanno bisogno di energia ricavata dal cibo. E’ questo il motivo per cui i cibi grassi, ricchi di ener-gia e calorie, sono più buoni e invogliano ad essere mangiati. Il paradosso dei nostri giorni è che proprio quello stimolo, che in tempi di carestia garantiva la sopravvivenza, oggi è causa dell’accorciamento della vita e del peggioramento delle condi-zioni di salute.
Le conseguenze delle abitudini alimentari sono di primaria importanza non solo a livello culturale e sociale ma anche biologico, a tal punto che, talvolta, l’evoluzione culturale può influenzare l’evoluzione biologica. E’ il caso dell’intolleranza al lattosio, un disagio dovuto al deficit o alla mancanza di un enzima, la lattasi, necessaria all’uomo per digerire il lattosio (zucchero presente nel latte nei suoi derivati). Si è osservato che, la diffusione di tale intolleranza, varia a seconda della collocazione geografica: la maggior parte dei lattosio intolle-ranti si trova in Cina (95% di intolleranti) e in Mongolia; an-che buona parte dei nativi americani non produce la lattasi.
Il fenomeno è dovuto al fatto che, all’inizio della storia dell’uo-mo, non si beveva latte dopo il periodo neonatale, con l’au-mento dell’età quindi la lattasi diminuiva per poi scomparire del tutto. Con l’introduzione del latte come alimento costi-tuente della dieta di alcuni gruppi (soprattutto nord europei e mediterranei) la sintesi di lattasi nell’organismo è diventata costante anche in età adulta. Al contrario, nelle popolazioni dove non si beveva latte, la produzione di lattasi è diminuita, e, in alcuni casi, il gene responsabile della produzione di tale enzima è stato perso.
E’ proprio il caso di ritornare ad imparare, anche nella scelta e nell’assunzione dei vari tipi di cibo, la famosa regola d’oro degli antichi e cioè la “ moderazione” per poter vivere una lunga vita godendo del bene incalcolabile della salute!
Arianna Salbego Colletti
IV B - Liceo Scientifico Biologico Salute “ Lavinia Mondin “ VERONA.
I N M E D I O S T A T C I B U S
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M U T A N T I I N C A M P O OGMOGMOGMOGM e e e e interventi transgenici: nuova conquista o potenziale interventi transgenici: nuova conquista o potenziale interventi transgenici: nuova conquista o potenziale interventi transgenici: nuova conquista o potenziale minaccia? Il caso del mais Bt e la guerra ecologistaminaccia? Il caso del mais Bt e la guerra ecologistaminaccia? Il caso del mais Bt e la guerra ecologistaminaccia? Il caso del mais Bt e la guerra ecologista
Parlare di OGM (organismi geneti-camente modificati) in generale non è possibile, oltre che privo di senso. Così come non si può dire «i funghi fanno male» , senza aver prima distinto tra porcini e amani-te. La storia degli OGMOGMOGMOGM è recente: dal 1953, anno della scoperta della doppia elica di Watson e Crick, alcuni scienziati intuiscono la possibilità di sintetizzare artificialmente dei geni, allo scopo di accelerare la selezione naturale che agisce sull’organismo ospite. Ma già nel 1978 i risultati superano questa aspettativa: gli scien-ziati della Genentech istruiscono il batterio E.Coli a produrre insuli-na umana, inserendo nel suo DNA il gene che codifica quella pro-teina. Oggi, grazie all’insulina prodotta dai batteri geneticamente modificati, i malati di diabete non devono più ricorrere all’insulina animale, eliminando quindi i rischi di reazioni collaterali. Tramite gli OGM si producono decine di farmaci oltre all’insulina: dall’ormone umano della crescita, la somatropina, ai vaccini con-tro l’epatite, alla vitamina B2. Ma il dominio degli OGM non si limita soltanto ai farmaci: nel 198-8 si è prodotto il primo enzima transgenico da utilizzare nell’indu-stria dei detergenti come sgrassatore, che oggi è un normale in-grediente di qualsiasi detersivo. Un’altra importante applicazione è la sintesi della tripsina, un enzi-ma appartenente alla famiglia delle proteasi che nel corpo umano viene naturalmente prodotto dal pancreas: tale enzima contribui-sce alla digestione spezzando le proteine degli alimenti in singoli amminoacidi. L’industria alimentare se ne serve per la preparazio-ne del latte artificiale per neonati o ad alta digeribilità: la tripsina «pre-digerisce» le proteine del latte, riducendo il rischio di reazioni allergiche. L’ingegneria genetica è in grado di raggiungere questi risultati avvalendosi dello stesso principio di base, la possibilità di introdur-re nel genoma di un organismo frammenti di DNA provenienti da altri organismi. Il DNA così ottenuto è definito DNA ricombinante. L’uso di desossiribonucleasi II, appartenente alla famiglia degli enzimi di restrizione, permette di scindere i legami fosfodiesterici del DNA a doppio filamento; attraverso l’enzima DNA ligasi, i fram-menti di DNA precedentemente ottenuti vengono inseriti in un vettore ricevente. Tali vettori riceventi possono essere sia piccole molecole circolari di DNA, i plasmidi, sia strutture alternative come batteri o virus, in grado di contenere maggiori quantità di materia-le genetico. Solo nel 40% dei casi il trasferimento eterologo tra specie e regni diversi risulta valido, ma gli scienziati confidano che con l’affina-mento della genomica si otterranno risultati sempre migliori. Ma accese sono le polemiche, soprattutto da parte degli ecologi-sti. Assunte come loro emblema vi sono le immagini di azzardate mutazioni genetiche, volte a coinvolgere emotivamente piuttosto che a fornire prove scientifiche: tra queste il pomodoro-pesce o le fragole antigelo. Alla base della contestazione di organizzazioni come Greenpeace sta l’idea di fondo che ciò che è naturale è buo-no, mentre ciò che è creato o modificato dall’uomo è male. Ovvia-mente questa asserzione deve essere contestualizzata e non le può essere attribuito un valore assoluto; tuttavia, essendo spesso implicita, orienta obbligatoriamente il giudizio sugli OGM. Interessante da notare è la campagna pubblicitaria contro gli OGM, il cui cavallo di battaglia è un esperimento fallimentare della
DNA Plant Technology. I ricercatori speravano di conferire al pomodoro una superiore resistenza al freddo che l’avrebbe protetto dalle gelate, utilizzando le «Proteine Anticongelan-ti» (AFP, antifreezing proteins) di un pesce artico. Sebbene un pomodoro del genere non si sia mai ottenuto, Gre-enpeace l’ha innalzato a stendardo anti-OGM, alimentando la disinformazione; un discorso analogo va fatto per la fragola-pesce, una bufala scientifica ampiamente abusata dalle campa-gne ecologiste, e ridotta ad un semplice spauracchio mediatico. Ciò nondimeno, alcune accuse inoltrate dagli ecologisti sono legittime e fondate: la più pesante riguarda il mais Bt. Tale colti-vazione è stata geneticamente modificata allo scopo di produrre una tossina, la Bt, a scopo insetticida. Ora, il Bacillus thuringensis, ancor prima di trovare impiego nelle coltivazioni transgeniche, si comportava come un efficace insetticida naturale, emanando spore letali per gli insetti, in particolare lepidotteri. Ma le piante Bt producono costantemente la tossina, con effetti controproducenti : gli insetti nocivi che attaccano il mais non sempre muoiono, innescando così un processo di selezione naturale che favorisce gli insetti resistenti. Inoltre, la tossina passa al suolo attraverso le radici, dove si caratterizza per una notevole persistenza e un’elevata nocività verso molti organismi terricoli utili. L’argomento del mais e soia GM è di forte rilevanza, considera-to che circa il 60% dei prodotti finiti presenti negli scaffali dei supermercati deriva da una di queste colture. E soprattutto, non c’è modo di identificare un prodotto avente ingredienti GM, in quanto la legislazione europea non obbliga a riportare questa informazione sulle etichette dei prodotti. Un altro punto di forza della politica anti-OGM è l’alterazione della biochimica umana causata dall’introduzione di geni estra-nei. Di qui la potenziale comparsa di nuove malattie, le malattie transgeniche, di cui in natura non esistono meccanismi di ripa-razione. Ogni pianta è frutto dell’evoluzione biologica avvenuta in milioni di anni. Ogni modificazione genetica provocata dall’uo-mo, per quanto minima, produrrà conseguenze che spesso non potranno essere previste, dal momento che si conoscono con sicurezza solo poche decine di vitamine e di altre sostanze pro-vitaminiche. Ma le vitamine contenute nelle piante sono decine di migliaia e sono responsabili del corretto funzionamento della complessa biochimica umana. In questo contesto, gravissimo è il deliberato tentativo di disatti-vare, tramite le proteine BclBclBclBcl----2 2 2 2 e BclBclBclBcl----xlxlxlxl, le sostanze naturali con-tenute nelle piante che inducono nei mammiferi il fenomeno di apoptosi di cellule cancerogene e infette. Il blocco dell’apoptosi, introdotto in via sperimentale nella pianta di tabacco tramite virus, è un danno che rende impossibile la cura dei tumori, disa-bilitando il naturale meccanismo umano che li controlla e li elimina. Se opportunamente perfezionate le mutazioni transgeniche costituirebbero la chiave per uno sviluppo più ecosostenibile, limitando l’uso di pesticidi e ottimizzando i terreni di coltura, con un aumento della loro produttività. Attraverso un’oculata normativa, in ogni caso, le varie nazioni hanno già preso provvedimenti a tutela dai rischi potenziali degli OGM. Il Cartagena Protocol on Biosafety è un accordo internazionale teso alla protezione della diversità biologica dalle possibili minacce insorte con la moderna biotecnologia. Ai Paesi è dunque permesso di bandire gli importi di OGM, quando non vi siano sufficienti prove che il prodotto è sano e non presenta controindicazioni. Andrea Cogolato
4 BLG Liceo Scientifico Statale “Quadri”- Vicenza
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I Paesi “sviluppati” combattono le ma-I Paesi “sviluppati” combattono le ma-I Paesi “sviluppati” combattono le ma-I Paesi “sviluppati” combattono le ma-lattie da ipernutrizione, il Sud del mon-lattie da ipernutrizione, il Sud del mon-lattie da ipernutrizione, il Sud del mon-lattie da ipernutrizione, il Sud del mon-do fa ancora i conti con i morti per de-do fa ancora i conti con i morti per de-do fa ancora i conti con i morti per de-do fa ancora i conti con i morti per de-nutrizione. I numeri, per entrambi, so-nutrizione. I numeri, per entrambi, so-nutrizione. I numeri, per entrambi, so-nutrizione. I numeri, per entrambi, so-no allarmantino allarmantino allarmantino allarmanti
Il cibo divide il mondo. Lo divide in due stanze: in entrambe ci si ammala e si muore di malnutrizione.
Nella prima troviamo un miliardo di indivi-dui che provengono dall’Africa (35% della popolazione), sud-est Asiatico (18% della popolazione) e America Latina (14% della popolazione) e che lottano per un pezzo di pane e muoiono quotidianamente di fame.
Nella seconda stanza invece il cibo è come una droga, che crea dipendenza a tal punto da rendere obesa una persona statuniten-se su 15 e complessivamente 1,7 miliardi di uomini in tutto il mondo.
Nei paesi dominati dal consumismo, l’abu-so di cibo, spesso di bassa qualità, ha un notevole impatto oltre che sulla salute dell’individuo, anche sulla spesa pubblica sanitaria: il costo annuale dei prodotti die-tetici va dai 40 miliardi ai 100 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti e nonostante ciò, sono 29,2 milioni i morti nel 2010 per malattie e disturbi legati a un eccesso di
grassi. Altrettanti sono i morti di iponutri-zione nei paesi del terzo mondo ed è preoccu-pante il fatto che il 10 % di questi sia costi-tuito da bambini al di sotto dei 5 anni. Negli USA, secondo l’ IOTF, 155 milioni di bambini della medesima fa-scia d’età sono obesi.
Di fronte all’aumento della popolazione, al diffondersi di carestie e al moltiplicarsi delle morti per fame ci si chiede se il feno-meno sia evitabile. La risposta, chiarissi-ma, è contenuta in un documento della FAO, nel quale si stima che con le attuali capacità produttive si possano nutrire 12 miliardi di persone, ossia il doppio di quelle oggi viventi. Questo squilibrio non ha dun-que giustificazioni di tipo naturale, ma è dovuto solo a politiche ed economie sba-gliate. La ricchezza va concentrandosi nel-le mani di pochi e alcune multinazionali possiedono risorse finanziarie superiori a quelle di Stati di media grandezza. Basti pensare che le prime 100 multinazionali controllano il 73% del commercio mondiale e il loro giro d’affari potrebbe sfamare le popolazioni dell’Africa sub sahariana. An-che i 14 milioni di tonnellate di prodotti alimentari finiti nella pattumiera in Italia nel 2010 avrebbero potuto salvare 9 milio-ni di iponutriti.
Questi dati allarmanti non sembrano pre-occupare eccessivamente i paesi “ricchi”. I motivi che portano il 20% degli uomini a sfruttare l’80% delle risorse terrestri, per alcuni sono giustificabili: i Paesi industria-
lizzati godono i vantaggi della loro supe-riore capacità lavorativa e organizzativa, mentre la miseria di quelli sottosviluppati è conseguenza di una tradizione di arre-tratezza e di indolenza. Quest’eccessiva ricchezza e agiatezza sono però una mi-naccia e hanno fatto dell’obesità una delle malattie più diffuse e letali negli USA, come lo è la fame per i paesi del Terzo Mondo.
I paesi membri dell’ ONUONUONUONU sono consape-voli della necessità capire e risolvere il problema legato all’alimentazione, per-tanto vengono organizzati vertici interna-zionali e grazie allo sviluppo del mercato equo-solidale, con le riduzione del debito pubblico stanno già arrivando segnali positivi. I dati fornitici dalla 37esima ses-sione del Comitato delle Nazioni Unite sulla Sicurezza Alimentare Mondiale (17-22 ottobre 2011) parlano di una notevole diminuzione dei denutriti: da 1 miliardo e 300 milioni di persone del 2009, si è passati ai 925 milioni di oggi. Rimangono però dei contrasti: i morti denutriti sono diminuiti del 2 % in Africa nel giro di 5 anni, mentre sono aumentati del 3% quel-li nei paesi in via di sviluppo (INDIA). Al-l’interno di tali Paesi cresce il numero di iponutriti e si ingigantisce la distanza fra questi e i supernutriti; e situazioni contra-stanti convivono nelle medesime aree.
Alla base della lotta contro l’obesità vi è la necessità della diffusione di una dieta equilibrata che prevede il consumo di prodotti ricchi di fibra, minerali e vitami-ne, l’educazione alimentare nelle scuole, la riduzione delle porzioni… In questo modo si ridurrebbero del 7,8% i costi legati alla cura delle patologie per malnu-trizione e si otterrebbero benefici oltre che sul piano economico, anche su quello etico - morale. L’uomo occidentale ha la fortuna di poter scegliere cosa e come mangiare, eppure non lo fa correttamente e spesso si dimentica di quegli individui che sono costretti a vivere senza dignità e che muoiono a causa di meccanismi politici ed economici, ma anche culturali funzionali solo a congelare la situazione e a non risolverla mai.
Francesca Vicari
4 BLG Liceo Scientifico Statale “Quadri”- Vicenza
F A M E D A R I C C H I , F A M E D A P O V E R I
IOTF: Interenational Obesity Task Force: organizzazione che combatte l’obesità nel mondo.
FAO( Food and Agriculture Organization,): l’istituzione dell’ONU con il compito di garantire e diffondere la libertà dal bisogno, aiu-tare la sicurezza alimentare, aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica mondiale.
Il Comitato per la sicurezza alimentare si è tenuto a Durban dal 17 al 22 ottobre 2011 ed ha riunito responsabili di governo, esperti di economia, sociologi, agrono-mi con lo scopo di negoziare e coordinare misure per garantire a tutti la sicurezza alimentare. L’obiettivo è stabilire un sistema di regole e provvedimenti comuni che desse ai governi la possibilità di agire insieme nell’interesse globale, risolvere i con-flitti economici per sfruttare le risorse in modo razionale ed eticamente corretto.
L ’ I N C O G N I T A N E L P I A T T O
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Cosa sappiamo realmente delle ma-Cosa sappiamo realmente delle ma-Cosa sappiamo realmente delle ma-Cosa sappiamo realmente delle ma-lattie derivate dagli alimenti non con-lattie derivate dagli alimenti non con-lattie derivate dagli alimenti non con-lattie derivate dagli alimenti non con-trollati? Dalla salmonella all’aviaria trollati? Dalla salmonella all’aviaria trollati? Dalla salmonella all’aviaria trollati? Dalla salmonella all’aviaria alla mucca pazza, i casi più rilevantialla mucca pazza, i casi più rilevantialla mucca pazza, i casi più rilevantialla mucca pazza, i casi più rilevanti
Sappiamo veramente cosa mangiamo? E quali rischi possiamo correre? Da molto tempo conosciamo malattie legate a ciò che mangiamo, a causa di sostanze «estranee» e tossiche che finiscono negli alimenti e ad altri fattori come cattive abitudini alimentari. Sapere cosa si sta mangiando è fonda-mentale, poiché se non impariamo ad informarci e a porre attenzione ai cicli produttivi degli alimenti e ai meccanismi di certificazione e controllo, potrebbe capitare proprio a noi di mangiare un cibo infettato chimicamente e portatore di malattie, anche durante un normale pranzo in famiglia. L’indagine condotta dall’Eurobarometro nel 2010 propone importanti approfondi-menti sulla percezione dei rischi per la salute collegati alle pratiche alimentari. Le persone associano spontaneamente al cibo i rischi provenienti da prodotti chimici o pesticidi, ed è in aumento so-prattutto la preoccupazione per rischi sui quali il consumatore non può esercitare alcun controllo. Il 17% degli italiani consi-dera molto probabile che il cibo abitual-mente consumato possa recare danni alla propria salute. Un numero conside-revole di cittadini italiani esprime partico-lari preoccupazioni per la possibilità che inquinanti come mercurio e diossina possano contaminare pesce e maiali (83%). In generale, il 30% degli europei si dice molto preoccupato su aspetti quali i residui di pesticidi, la clonazione animale, i fattori inquinanti e gli OGM. Le patologie trasmesse dal cibo sono un problema serio ed in aumento. La lette-ratura sull'incidenza annuale riporta casistiche che variano dai 6,5 agli 81 milioni di persone colpite. La stragrande maggioranza dei casi, comunque, non viene segnalata. Fin dal 1973 sono state riportate al Center for Disease Control and Preven-tion (CDCCDCCDCCDC) 7.458 epidemie, comprenden-ti 237.545 casi di infezioni di origine alimentare. I batteri patogeni sono risul-tati responsabili del 66% delle epidemie, dell'87% dei casi, e del 90% degli esiti fatali. Tra questi la Salmonella rimane la causa più frequente (35%) di infezioni di origine alimentare, ed è stata rinvenuta princi-palmente nella carne cruda di pollo, tac-
chino e maia-le. Questa malattia è al centro di un programma europeo, parti-to nel 2008, per la riduzio-
ne della prevalenza di Salmonella negli allevamenti di galline. Già venti paesi membri hanno raggiunto gli obiettivi del programma e, secondo il rapporto, questo fatto potrebbe spiegare il calo dell’inciden-za di Salmonella. Il morbo della mucca pazza, scientifica-mente definito encefalopatia spongiforme bovina, tenne alta l’attenzione dei consu-matori di tutta Europa per mesi, e ha co-stretto le famiglie a cambiare abitudini alimentari, i ristoranti a variare i menù, i macellai ad abbassare i prezzi e i gover-nanti a varare severe norme di controllo sulla qualità delle carni. Il primo caso di BseBseBseBse (Bovine Spongiform Encephalopathye) era stato identificato nel Regno Unito nel 1986 e la causa del-l'insorgenza della malattia fu imputata all'uso delle farine animali come supple-mento proteico nell'alimentazione dei bovini. In Italia, il Ministero della Sanità è intervenuto con l'ordinanza di marzo 2001 con cui si vieta la vendita delle parti del bovino che interessano la colonna verte-brale, i gangli e il cervello; con la legge 9 che dispone per la distruzione del mate-riale specifico a rischio per encefalopatie spongiformi bovine e delle proteine ani-mali ad alto rischio; e con l'etichettatura delle carni bovine che consente la traccia-bilità e la trasparenza delle informazioni ai consumatori. Anche l’influenza aviaria aviaria aviaria aviaria resta una delle
malattie infettive altamente più diffuse, ed oltre ad essere un problema sanitario per l’uomo è anche diventata una questione di Stato come ci è confermato nell’articolo sul Corriere della Sera del 22 dicembre 2011, «Super virus dell’aviaria. Gli Usa chiedono la censura». Le informazioni su queste malattie devastanti per la popola-
zione umana sono divenute talmente importanti e pericolose che si teme pub-blicarle per che non finiscano in mano di bioterroristi. Il direttore di Science ri-sponde alla richiesta: ci sono esigenze di polizia, ma anche il dovere di informare. Dobbiamo quindi essere più attenti a ciò che mangiamo. Saper leggere le etichet-te e capirne le filiere, riconoscere un prodotto certificato e sicuro da un altro, senza garanzie può aiutarci ad evitare o prevenire infezioni che si diffondono facilmente e pericolosamente .
Bevilacqua Elena 3 BLG Liceo Scientifico Statale “Quadri”- Vicenza
CDC: i Centri per la prevenzione e il
controllo delle malattie (Centers for
Disease Control and Prevention),
sono un importante organismo di
controllo sulla sanità pubblica degli
Stati Uniti d'America, con sede nella
Contea di DeKalb (Georgia) : hanno
il compito di prevenire contagi ed
epidemie ed adottare i provvedimenti
più funzionali a rendere stabili le
situazioni di sicurezza e benessere
od intervenire adeguatamente in casi
specifici di emergenza o pericolo.
Etichettatura nutrizionale: è l'in-
sieme delle indicazioni, del marchio
di fabbrica o di commercio, delle
immagini o dei simboli che si riferi-
scono al prodotto alimentare e che
figurano direttamente sull'imballag-
gio. L'etichetta può riportare dati
come la periodo di produzione, il
marchio di qualità (es: DOP, IGP),
oppure informazioni che il produttore
decide d'inserire e che possono ri-
guardare caratteristiche di pregio del
prodotto. Le indicazioni obbligatorie
sono: denominazione di vendita;
elenco degli ingredienti; quantità
netta; termine minimo di conserva-
zione; stabilimento di produzione.
F R U T T I S E N Z A S P E R A N Z A
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A chi non è accaduto di affondare con
gusto i propri denti in un frutto maturo,
dolce, tenero, di bellissimo aspetto dall'e-
sterno, e di scoprire assai piacevolmente
di non dover subire l'imbarazzo di disfarsi
dei semi che celava perché, prodigio, di
semi non ne aveva … Questi prodotti, mol-
to ricercati, sono il frutto di biotecnologie.
Sono OGM che, grazie all' ingegneria gene-
tica, non hanno dentro sé semenza fertile,
perché, secondo studi di mercato, si com-
prerebbero assai più volentieri cibi che
non si devono trattare o, come per la frut-
ta, in qualche caso in parte risputare.
Un progresso civile, si direbbe, una bella
invenzione molto utile. Ma i contadini da
diecimila anni conservavano i semi per i
futuri raccolti, mentre ora, con gli OGM,
diventano clienti delle multinazionali, co-
stretti ogni stagione a ricomprare piantine
rese sterili in origine, in un gioco al massa-
cro che inaridisce i campi con radici fame-
liche, che dissangua gli agricoltori con
continui reimpianti, che prosciuga le scor-
te idriche infangando le falde.
Così in Kenia i piccoli agricoltori sono coin-
volti nella seducente campagna dei «Semi
della Speranza», mentre altri nel mondo
compreranno più o meno consapevolmen-
te le micidiali piante GURT GURT GURT GURT (tecnologia con
restrizione dell'uso genetico: Genetic Use Genetic Use Genetic Use Genetic Use
Restriction TechnologyRestriction TechnologyRestriction TechnologyRestriction Technology), anche dette
«Terminator», che dopo un primo, bellissi-
mo raccolto, si «suicidano», rovinando chi
aveva seminato. Secondo le Nazioni Unite,
dal 1997 oltre 100.000 contadini indiani
si sono suicidati per i debiti contratti con
le banche per pagare i semi OGM.
Ma che fine fanno le piante fertili, figlie
di selezioni naturali, ricche di semi, che
all'apparenza più nessuno vuole?
Nel cuore della montagna dell'isola di
Spitzbergen, in Norvegia, è sorta la
Svalbard Global Seed Vault, il Deposito
Globale dei Semi dove, come nei più
cupi film di fantascienza, la FAO ed una
costola delle multinazionali agro-
alimentari, come la Consultative Group
on International Agricolture Research,
stanno interrando, come per un testa-
mento millenario, i semi vegetali della
Terra, prima che sia troppo tardi per
salvarli. Questo luogo è composto da
tunnel e caveau blindati, in grado di
serbare per secoli tutte le specie della
nostra Terra da cambiamenti climatici,
conflitti, incidenti nucleari e cataclismi
più o meno naturali. Sta a circa 1.100
km dal Polo Nord ed è una specie di
freezer mastodontico che seleziona,
cataloga ed iberna 4,5 milioni di semi
del pianeta. Siamo ridotti a questo, in
c a s a n o s t r a .
Ma, come sempre, non è nella notizia
l'aspetto che dovrebbe allarmare: il
male non è quasi mai in un fatto, ma
nello scadimento di un principio che,
silenzioso, sembra un corollario. Infran-
gere una legge naturale è segno che si
è rotto un equilibrio, per cui un' offesa
rivolta alla Natura è indizio di un males-
sere più grande, che non riguarda l'ha-
bitat, ma l'Uomo. Non siate certi che i
frutti senza semi siano soltanto ciò
c h e a b b i a m o a t a v o l a .
Una vita passata a far carriera non
lascia che danaro e dei rimpianti.
Una bellissima donna senza veli che
pubblicizza un nuovo tostapane non
ha più in sé lo scopo di procreazione,
perché il seme che ha in grembo è il
tostapane. Noi siamo intossicati dal
presente, così ingombrante che chiu-
d e o g n i o r i z z o n t e .
Per il grande poeta Montale tutti gli
uomini, dopo la fine della Grande
Guerra, erano ossi di seppia rinsec-
chiti. Oggi qualcuno, dopo opulenze e
crisi, guerre e sponsor, vorrebbe che
ci trasformassimo pian piano in avve-
nenti frutti senza semi, con cento
desideri artificiali, tremila tentazioni
realizzabili, ma con in cuore nemme-
no una speranza.
Dott. Luigi Damasco
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prof. M. Gabriella De Guio Liceo Scientifico Statale “Quadri” (VI)
RedazioneRedazioneRedazioneRedazione: E. Bevilacqua; A. Carollo; A. Cogolato; M. Cornedi; M. V. El - Dalati; S. Formiga; S. Meneghetti;
A. Salbego Colletti ; F. Vicari
Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: dott. Luigi Damasco
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Alunni delle classi: 3 A Liceo Scientifico Scienze Applicate “L. Mondin” (VR) e 4 B Liceo Scientifico Biologico Salute “L. Mondin” (VR) ; 4 BLG; Liceo Scientifico Statale “Quadri”- (VI)
Editore: Editore: Editore: Editore: Istituto Sorelle della Misericordia - Verona
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Per questo numero sono stati consultati siti internet, autori, testi e riviste tra cui:
Sophie von Stumm, Intelligence, Volume 40, Issue 6, November–December 2012, Pages 576–583 “Corriere della Sera” 11 Dicembre 2011; “Le culture del cibo in Italia e in Europa. Percezioni, sicurezza, e ruolo” di G. Pellegrini e F. Neresini; Testo del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 ; Corriere della Sera; Scienze, 22 Dicembre 2011; European Commission, Special Eurobarometer 354. Food Related Risk, Luxemburg, Office for Official Publications of the European Com-mission, novembre 2010; ; Prof. Dario Bressanini,Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali. “OGM tra leggende e realtà. Chi ha paura degli organismi geneticamente modificati?”, Zanichelli, 2009; Le Scienze, “OGM, una panoramica”Dott. Giuseppe Nacci; Dr. Calestous Juma, Professor of the Practice of International Development. Director of the Science, Technology and Globalization project. Nature, “Preventing hunger: biotechnology is key”.; Greenpeace International, “Genetically engineered maize: the Reality behind the Myths”; Prof. David Sadava, “Biology: the science of life”; www.fao.org; www.ladyblitz.it; Efsa An-nual Report on Zoonoses and Food-borne outbreaks for 2008; www.osservatoriomalattierare.it/; www.lescienze.it 30 Giugno 2007 ; www.repubblica.it; www.difossombrone.it; www.galileonet.it; www.FAO.org; www.celiachia.it, www.ips.it “alimentazione umana nella preistoria” ; www.yourself.it;valori.it; www.albanesi.it; www.IOTF.org; http://www.saicosamangi.info; disturbipsichi-ci.info;www.siticibo.org; www.iobenessereblog.it; ecplanet.com; www.greenme.it; www.dimagrirecongusto.com; www.dietaelinea.it; www.assaggiatori-pani.org; laleva.org; www.lescienze.it/news/2003/05/15; www.abodybuilding.com; articoli del “Corriere dellla sera”; www.Lifegate; www.Green Style; www.genitronsviluppo.com
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