16 CRONACHE tipiitaliani - stefanolorenzetto.it · Liliana Segre non assolve, non condanna,...

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16 CRONACHE il Giornale Domenica 22 marzo 2009

L a bambinaconilpigia-ma a righe,una dellep o c h e

ebreeuscitevivedaAu-schwitz, tornò a Mila-no nell’agosto del1945,quandostavaor-mai per compiere 15anni. Pesava 32 chili.

«Eroungattino randagio, cercavonotiziedimiopapà, l’unica cosa che avevo almondo», ricordaLiliana Segre, «non mi rassegnavo all’idea chel’avessero bruciato nei forni».

L’imprenditoreAlbertoSegreerastatosepara-to da quell’unica figlia il giorno stesso del loroarrivo nel campo di sterminio. Fino a quel mo-mento leavevafattodapadreeanchedamadre.«SapevocheEugenioPacelli,primadidiventarepontefice, era stato nunzio a Berlino e quindisperavo che potesse attivare qualche canale di-plomatico inGermaniapercercare il babbo tra isopravvissuti».

L’intermediario con la Santa Sede fu uno ziomaterno, Dario Foligno, avvocato della SacraRota che di lì a poco sarebbe diventato vice Av-vocato generale dello Stato. Nel 1933, dopoaver letto il De civitate Dei, s’era convertito alcattolicesimo e aveva preso il cognome Agosti-no in ricordo del santo d’Ippona. Il 16 ottobre1943,durante il rastrellamentonelghettodiRo-ma, era stato catturatodai nazisti insiemecon lamoglie e i tre figli, l’ultimo di appena due mesi.Ma, grazie alla nuova identità, era stato subitorilasciato e aveva trovato rifugio in Vaticanocon l’intera famiglia. «Lo zio chiese un’udienzaprivata a Pio XII, che me la accordò. Fummoammessi nella sua biblioteca, tutti vestiti di ne-ro, le donne con la veletta. All’arrivo del Papaeravamo in ginocchio, ma egli mi venne incon-troedisse: “Alzati! Sono iochedovrei stare ingi-nocchiato davanti a te”».

Liliana Segre non assolve, non condanna,non accusa, non recrimina. E non si commuovemai. Racconta e basta. Da una ventina d’anninon fa nient’altro che questo, soprattutto nellescuole,dovehaavvicinatooltre100.000studen-ti.

La vita l’ha messa a dura prova fin dalla nasci-ta. È cresciuta senza la mamma, Lucia Foligno,consumata da un tumore all’intestino 10 mesidopo il parto. «Aveva appena 26 anni. Nel 1929s’è sposata, nel 1930mihamesso al mondo, nel1931èmorta».Dalgiorno in cui fu segregatanellager, e finoal 1951, labambina con il pigiamaarighe non ha versato una sola lacrima. «Sonoriuscita a piangere soltantoquandoa21 annihodato allaluce il mio primogenito. L’hochiamato Alberto, come ilnonno». Di figli ne ha avutitre.Ilmarito, l’avvocatocivili-staAlfredoBelliPaci, è scom-parso nel 2007. «Siamo statiinsieme 58 anni. Era l’uomodella mia vita».

Liliana Segre ha perso nel-la Shoah, oltre al padre, altrisei familiari: i nonni paterni,Olga e Giuseppe, fondatorenel1897dellaSegre&Schiep-pati, tessuti industriali, equattro cugini, Rosa Spiegelcol figlioFeliceeRinoRaven-na col fratello Giulio. «Rino sisuicidò gettandosi dall’ulti-mo piano del raggio mentreeravamoreclusiaSanVittore.Ricordo ilsuocor-po scomposto sul pavimento del carcere: era ilprimomortochevedevo invitamia.Ladeporta-zionediGiulio si fermò inveceaFossoli:morìdistentinelcampodiconcentramentovicinoaMo-dena».

Dal 6 febbraio 1944 al 1˚ maggio 1945, quan-do fu liberatadalle truppeamericane, la bambi-na con il pigiama a righe è passata attraversoquattro lager: da Auschwitz-Birkenau a Raven-sbrück, poi in uno Jugendlager, infine a Mal-chow. Lì l’ultimo giorno avrebbe potuto vendi-carsi.Manon lo fece. «Le SS si spogliavano sottoi nostri occhi e s’infilavano gli abiti borghesi;scacciavano i loro cani lupo, che erano stati i

simboli del potere, gli strumenti del terrore,weg, weg, via, via, cercavanodi allontanarli, male bestie, disorientate, si scostavano di poco epoi tornavano scodinzolanti accanto ai padro-ni. Il comandantediMalchowgettò ladivisanelfossoerestò inmutandedavantiame.Lapistolaeraa terra.Nonsenepreoccupò.Per lui rimane-vounoStück,unpezzo, forsenemmenos’accor-se della mia presenza. Fu un attimo. Pensai: orala raccolgo e gli sparo. Ma non ne ebbi il corag-gio.L’amorechemiopadremiavevadatom’im-pedì di diventare uguale a quell’assassino.Quando scegli la vita, è per sempre, non puoipiù toglierla a nessuno. Da quel momento misono sentita libera».

Se dovesse dare una definizione sintetica di ciòche le è accaduto, che paroleuserebbe?«Indifferenza, solitudine,

pietà. Alla promulgazionedelle leggi razziali, nel 1938,ilmondo intornoanoi rimaseindifferente. Eppure erava-mopersoneoneste, conl’uni-cacolpad’esserenate. Ioave-vo8anni. Era una sera d’esta-te.Miopadremipresedapar-teemidisse chenonsarei piùpotuta tornareallascuolaele-mentare Fratelli Ruffini, per-ché ero ebrea. Avevo finito laseconda, aspettavo di andarein terza. Le mie amichette misegnavano a dito per strada,senza pietà. È importante, lapietà. Per chi la prova e perchi la riceve».

Suo padre non pensò di espatriare?«MiononnoeragravementemalatodiParkin-

son.Comeavrebbepotuto lasciarlo qui? L’8 set-tembre del ’43 i nostri amici Pontremoli aveva-noaffittato un’auto ederano fuggiti in Svizzera,spronandoci a fare altrettanto. Ma noi Segre cisentivano profondamente italiani. Ritenevamoche non ci sarebbe accaduto nulla di male. Miopadreeraunexufficiale,unragazzodel ’99.Suofratello Amedeo, decorato con la croce di guer-ra a Caporetto, fascista della prima ora, è mortoa 88 anni con questo rimorso. Non avendo figli,almioritornomiadottò.L’hosentitourlare tuttele notti, sino alla fine. Sempre lo stesso incubo:sognava di tirar giù i genitori dal vagone piom-

bato, ma non ci riusciva, i repubblichini glieloimpedivano».

Voi che faceste dopo l’8 settembre?«Papà riuscì anascondermiprimaaBallabioe

poi a Castellanza presso due famiglie cattoli-che, i Pozzi e i Civelli, che rischiarono la fucila-zione per tenermi con loro. A dicembre del ’43decisedi scappare inSvizzera.Connoidueven-nero i cuginiRavenna.Ricordo il suo strazioneldoversi procurare, lui che era un cittadino inte-gerrimo, documenti d’identità falsi. Io non riu-scivo a imparare a memoria nome e cognomenuovi,mi rifiutavodi considerarminata aPaler-mo.Nellamiaingenuitàvivevoquella fugaattra-verso le montagne come un qualcosa di eroico.Non mi rendevo conto che c’eravamo affidati aspallonisenzascrupoli,delinquenti chepoteva-no consegnarci o ammazzarci. Papà aveva consé 7.500 lire, alcuni brillanti cuciti nella cinturae la sua collezione di valori filatelici. Come uneremita, dopo essere rimasto vedovo, ogni seraperanni l’aveva riordinatacon lented’ingrandi-mento e pinzette».

Che accadde?«Fummoacciuffatidaunasentinellaelveticae

portati nella gendarmeria di Arzo, inCanton Ti-cino, dove il comandante, uno svizzero tede-sco, ci prese a male parole: “Ebrei impostori,non è vero che in Italia succedono le cose chedite voi! Tornatevene sui monti”. Ci rispedì in-dietro. E fu aquel punto che vidimiopadrebut-tare nel fango tutti i suoi preziosi francobolli:aveva capito che non gli sarebbero più serviti anulla. Ormai eravamo spacciati. Infatti fummosubito arrestati dai finanzieri italiani in camicianera. Finii tutta sola primanel carcere femmini-le di Varese, poi in quello di Como. Immagini lagioia quando mi riunirono a mio padre a SanVittore. Cella 202, quinto raggio. L’ultima casache abbiamo avuto».

Per quanto tempo rimaneste nella prigione mi-lanese?«Quaranta giorni. Di notte mi svegliavo di so-

prassalto nella brandina rasoterra e vedevo pa-pà inginocchiatoaccantoame,achiedermiper-dono per avermi generata. Finché un giorno laGestapo non fece l’appello: 605 nomi. Il nostrotrasporto. Siamo ritornati in 20. Mentre il ca-mion ci portava alla stazione centrale, all’ango-lo di via Carducci vidi la nostra casa di corsoMagenta 55. Le finestre dei milanesi rimaserochiuse».

Che avrebbero dovuto fare? Affrontare a maninude i mitra dei nazisti?«Si ricorda quel giovane cinese con la camicia

bianca, disarmato, che il 4 giugno 1989, sullapiazzaTien AnMen, fermò da solo una colonnadicarri armati?Che fineavrà fatto?Lui almenociha provato. Nel ’43-’44 molti in Italia sapevanoche cosa stava accadendo agli ebrei. Ma nessu-no ci provò. Pio XII accorse a San Lorenzo, do-po il bombardamento. Se fosse accorso anchealla stazioneTiburtina,avrebbepotutomettersidavanti al convoglio di 18 carri bestiame chetradusseadAuschwitz i 1.024ebrei catturati nelghetto, compresi piùdi 200bambini. Crede chei tedeschi l’avrebbero investito col treno?».

Credo che la contabilità finale dell’Olocaustosarebbe stata di gran lungapiù spaventosa.«Nessunopuòsaperloeco-

munque il suo gesto sarebberimasto nella storia. Non cel’ho con laChiesa, badibene.I miei nonni materni furonosalvati da poverissime suoredi Monteverde che non ave-vano cibo neppure per loro.Ma il silenzio di Pio XII fu as-sordante, c’è poco da fare.Gliunici cheprovaronopietàpernoi furonogliassassinie iladri detenuti a San Vittore.“Diovi benedica”, ci gridava-no, edalle celle ci lanciavanobiscotti, arance, guanti men-tre le guardie ci portavanovia».

Che cosa ricorda dell’arrivoad Auschwitz?«L’immediata separazione da mio padre. Le

donneeibambinivenivanomandatidaunapar-te, gli uomini da un’altra. Ma io non immagina-vo che sarebbe stato per sempre. Lo consolavoda lontanoconpiccoli gesti dellamano, cercan-dodi non piangere. Pensi che mia figlia compiequesta settimana 44 anni, l’età che aveva miopadrequando fuucciso. Si può sopportareque-stostraziodafigli,madagenitorino.ASanVitto-re era detenuta con noi la famiglia Murais, seipersone. Papà aveva notato che la signora, Ma-falda Tedeschi, era molto affettuosa con i figli.“Se ci separeranno, sta sempre vicino a lei”, miordinò.Così io, appena scaricata ad Auschwitz,

mi misi davanti ai Murais. Nessuno di noi sape-va che quelli mandati verso destra finivano algas e quelli a sinistra ai lavori forzati. “Allein?”,mi urlò un aguzzino, sei da sola? Io conoscevopoco il tedesco, ma ricordavo una canzone,Wien, Wien, nur du allein. Allein, risposi, e fuimandata a sinistra. La signora e i figlioletti a de-stra, a morire. E io tentavo disperatamente diraggiungerlaperobbedire amiopadre: signoraMurais, signora Murais... Mi dica lei se non c’èuna Samarcanda nelle nostre vite, un appunta-mentocoldestino.Hofattodi tuttoperstareconloro e quella stessa sera loro erano cenere».

Come seppe che c’erano le camere a gas e i fornicrematori?«Me lo dissero le altre prigioniere. Lì per lì mi

rifiutaidi crederci. Liuccidonoe libruciano?Mavoi siete pazze! Ancora oggi, a distanza di 65anni, mi pare impossibile. Ma poi nella menterivedo le ciminiere in fondo al campo, il fumodenso... Era tutto organizzato con illogica cru-deltà. Alla prima selezione un ufficiale medicomi toccò lapancia.Dueanniprimaavevosubìtol’asportazionedell’appendice.Pensai che fossegiunto il mio turno, che m’avrebbe mandata algasperquella cicatrice. Invece simiseapontifi-care con i suoi colleghi assassini su quanto fos-sero somari i chirurghi italiani: a suo dire miavevano suturato male la ferita. C’era un repar-tochenoi chiamavamo,nonsoperché,Canada.Selezionava tutto ciò che veniva strappato agliebrei: valigie, occhiali, vestiti. E le scarpe. Citoglievano le scarpe e ci davano in cambio unpaio di zoccoli spaiati, di misure diverse, soloper il gustodi rendercipiùpenoso il camminarenellaneve. Iomisonosalvataperché fuimanda-taa lavorarealcoperto,allaUnion,chefabbrica-va proiettili per mitragliatrici. E perché durantelamarciadellamorteversoglialtri lager, comin-ciatadopol’evacuazionediAuschwitz,ho ingo-iato bucce di patate e ossi di pollo raccattati neiletamai, incurante del fatto che dopo poche oresarei stata colta da dissenteria e vomito».

È più tornata ad Auschwitz?«Nonci riesco.È il cimiterodellamia famiglia,

però mi manca la forza per andarci. Men chemeno riuscirei a intrupparmi in comitive chescambiano un pellegrinaggio per una gita e lasera corrono a ballare in discoteca. Il posto piùvicino dove sono arrivata è Praga, 500 chilome-tri,ma lì ho sentitounodorechemiha ricordatola Polonia e sono dovuta ritornare indietro. Holostessorifiutoper i trenimerci, il fuoco, lecimi-niere, i pastori tedeschi. Alla prima di Schind-ler’s list sono scappata dal cinema. Il bambinocon il pigiama a righe non andrò a vederlo, hosolo letto il libro, e l’ho trovato bellissimo. Nonposso parlare sempre di Shoah, non posso...».

Che cosa pensa dei negazionisti?«Mi paralizzano. Ma trovo sbagliato che le lo-

ro tesi aberranti siano punite come reato dalleleggi di molti Stati. Sonoper la libertà di espres-sione. La storia parla da sola. Gli studenti michiedono: “Non hapaura dei negazionisti?”. Ri-spondo: è perché mai? Semmai sono loro chedevono aver paura di me».

Come mai nessuno, a parte Antonia Arslan, par-la del genocidio degli armeni a opera dei turchinel 1915?«HoappenaincontratoPietroKuciukian,con-

sole onorario della Repubblica di Armenia. Glihodetto: fra30anni laShoahdiventeràuna rigasui libri di storia. Come fu per il vostro olocau-sto, quasi 2 milioni di morti, così sarà per il no-stro,6milioni.L’arcodi tempodelladimentican-

za è quello: meno di un seco-lo».

Si sente in colpa per esserescampata?«No, perché non ho fatto

nulla per uscirne viva a spesediqualcuno.Diooilcasohan-nodecisoperme,hannovolu-to tenermi in vita, forse per-ché testimoniassi. Avvicinostudentichesiprofessanona-ziskinealla finedellemiecon-ferenze vengonoa chiedermiperdono: “Non sapevamoche il nazismo fosse così”.Una ragazza di un istituto su-periore di Porta Vigentina,qui a Milano, mi ha aspettatofuori dalla scuola: “Mia ma-dreerasempreubriaca,quan-d’erobambinamiharovescia-

toaddossounapentolad’acquabollente,hotut-to il corpo coperto da orribili ustioni e non socome dirlo al mio ragazzo. Che devo fare? Miaiuti, la prego”. Le ho risposto: non aver paura,se ti ama davvero, non guarderà alla tua pellebruciata ma al tuo cuore».

E a lei pesa quel marchio sull’avambraccio sini-stro?«Nevado fiera». (Solleva lamanicaemostra il

numero di matricola 75.190 tatuato in blu sul-la pelle). «La vergogna è di chi me l’ha impres-so».

(445. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

“ “

Aveva solo 13 anni. Appenaarrivata ad Auschwitz,

fu separata dal padre: nonlo rivide mai più. Ha personella Shoah sette familiari:uno si suicidò a San Vittore

per non essere deportato

Volevo stare con i Murais,

come mi aveva ordinato

papà. Ma io ero «allein»,

sola, e finii a sinistra, loro

a destra, e furono gasati

Ho avvicinato 100 mila

studenti. Molti naziskin

si scusano. Ma fra 30

anni l’Olocausto sarà

una riga sui libri di storia

di Stefano Lorenzetto

tipi italiani

IL DESTINO

LILIANA SEGRE

LA TESTIMONIANZA

L’ULTIMA FOTO Liliana Segre mostra la foto col padre Alberto nel 1939 a Macugnaga, davanti al monte Rosa. Al ritorno dal lager pesava 32 chili

La bimba col pigiama a righeSalvò il suo aguzzino nel lager(e fece inginocchiare Pio XII)«Potevo sparargli, non lo feci. Da quel momento mi sono sentita libera»Papa Pacelli le disse: «Alzati, sono io che dovrei prostrarmi davanti a te»