il Giornale Domenica1ottobre2006 Cronache TIPIITALIANI · 2012. 8. 1. · Il giorno in cui mio...

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STEFANO LORENZETTO A distinguere dal resto dell’uma- nità il Grande Riciclatore del- l’Universo, alias il ragionier Masotina Giuseppe, detto Peppino, di anni 74, da Canosa di Puglia, è il punto di vista. Questione di imprin- ting: nella Milano della seconda guerra mondiale vide suo padre Gia- como, straccivendolo, raccogliere un grappolo d’uva marcia dalla fon- tana di piazza Bacone, lavarlo a una fontanella e mangiarselo, azio- ne che egli definisce «il testamento spirituale di papà». Per cui ancor oggi, di fronte a una banana, men- tre i comuni mortali pensano alla polpa, Masotina s’appassiona alla buccia. Meglio: a quello che viene prima. Un giorno stava appunto ad- dentando una banana, affranto per averne dovuto gettare il tegumento nell’immondizia, quand’ecco l’oc- chio gli cadde sulla scatola che la conteneva. «C’era stampato sopra: “Made in Ivory Coast”. Mi dico: se è fatta in Costa d’Avorio, laggiù de- v’esserci per forza lo scatolificio che la fa. Indago. Lo scatolificio c’è, e anche bello grosso. A dirigerlo è un certo Emissa, che però non mi vuol dare nemmeno un chilo di scar- to cartaceo. Motivo: è ammanicato con un’azienda austriaca di import- export. “Se non mi dà un po’ di ro- ba, vuol dire che c’è sotto qualco- sa”, lo minaccio al telefono. “Venga a trovarmi”, mi risponde quello. Do- po un mese salgo su un aereo e volo ad Abidjan. E lì scopro che Emissa è morto. Mi metto a piangere: ohi ohi, che dolore, il mio amico Emissa... se solo avessi saputo, povero Emis- sa... mai sarei mancato al funerale. “Guardi che lo seppelliscono oggi”, m’interrompono i colleghi. Ah sì? Ma tu guarda la combinazione! E dove? “A Grand Bassam”. Da Abi- djan sono una quarantina di chilo- metri. Corro. Tre ore di cerimonia sotto il sole. Un caldo della madon- na. Le autorità locali fanno il panegi- rico di questo Emissa che manco conosco. Alla fine del rito fune- bre individuo gli altri dirigenti dello scatoli- ficio e li affronto: “Si- gnori, abbiate pietà! Datemi almeno due container di roba in memoria del mio ami- co Emissa”. Risultato: da 15 anni nei porti di Genova e Livorno mi arrivano dalla Costa d’Avorio residui di la- vorazione per centina- ia di tonnellate». Milano, Lombardia, Italia, Europa, mondo intero per Giuseppe Masotina non sono che un’immensa di- scarica dalla quale pe- scare il meglio. Nella piattaforma industria- le che ha costruito a Corsico, 60.000 metri quadrati, la più gran- de del continente, en- tra un autotreno o un camion ogni 20 secon- di recandogli il bendi- dio: carta, plastica, metalli, vetro, legno, calcinacci. Tecnicamente si chiama- no rifiuti speciali non pericolosi, as- similabili a quelli urbani, ma la so- stanza non cambia: sono 50.000 tonnellate l’anno di spazzatura. La cernita meccanica, con benne che costano come miniappartamenti e nastri trasportatori che scalano em- pirei di sudiciume, riesce persino a restituire il terriccio inghiottito dal- le spazzatrici stradali e a separare i sassi in base al diametro, cosicché il 60% di ciò che era stato buttato via tornerà a nuova vita con vari impie- ghi. Ma da mezzo secolo il core busi- ness del gruppo Masotina è la carta da macero. In un anno ne produce 300.000 tonnellate. Il leader italia- no del riciclo, fra i primi cinque gruppi privati del settore in Euro- pa, si vanta d’essere riuscito con lar- go anticipo là dove le democrazie occidentali e la guerra fredda ave- vano fallito. C’erano ancora il Muro di Berlino e l’Urss quando distrug- geva milioni e milioni di copie della Pravda e delle Izvestia, nonché i li- bri fuori catalogo degli editori di re- gime Molodaya Gvardia e Kniga. Per la faccenda dei punti di vista ri- chiamata all’inizio, la medesima at- tività dev’essere stata interpretata come una benemerenza pure da Fi- del Castro, e così per molti anni Ma- sotina ha rottamato anche le rese del Granma, l’organo ufficiale del partito comunista cubano, che gli dedicò persino un servizio su tre co- lonne con tanto di foto. «Ora non ne vale più la pena: s’è ridotto a due foglietti in tutto. Però fra venti gior- ni devo tenere una lezione a Metani- ca, la conferenza mondiale sul rici- clo che si svolge all’Avana». Insom- ma, può ben dire d’essere il re delle balle di carta, quelle da 800 chili che le sue presse mostruose, capaci d’esercitare una pressione pari a una tonnellata e mezzo, confeziona- no dopo che le maceratrici hanno ridotto a brandelli di 4-5 centimetri quelle scritte da noi cronisti. Primo osservatore italiano al Bir (Bureau of international recycling) di Bruxelles, del quale è oggi vice- presidente, e componente dell’Os- servatorio nazionale dei rifiuti pres- so il ministero dell’Ambiente, Maso- tina compra robaccia in tutto il mon- do («come ho fatto a imparare le lingue? Volontà, volontà, volontà. Parlo il francese, anche dialettale, l’inglese, un discreto spagnolo e un pessimo tedesco») e vende il mate- riale riciclato che ne ottiene non sol- tanto in Italia ma anche in Cina, In- donesia, India, Tunisia, Siria, Fran- cia e Germania. Da Cuba, oltre alle cataste intonse del Granma, proba- bilmente il quotidiano meno vendu- to e meno letto del pianeta, per un lungo periodo ha importato a 2.000 lire il chilo anche le lenzuola delle caserme e le vecchie divise dei pio- neros («sterilizzate e tagliate, diven- tavano ottime pezze per la pulizia delle macchine industriali»). Il suo motto è: «Girare sempre. Se non concludi, vedi. E se non vedi, ascol- ti. Quindi qualcosa porti sempre a casa». Gli è persino capitato di rile- vare una partita di documenti custo- diti nei bunker sotterranei del Con- gresso americano, «ma ancora non capisco che bisogno c’era di chiama- re proprio me: gli atti riservati era- no già passati attraverso tritacarte talmente efficienti da essere ridotti in polvere più che in striscioline». Gli incarichi societari del gruppo Masotina, che comprende anche le cartiere di Modena, Cologno Monze- se e Borgo San Dalmazzo, sono de- mocraticamente redistribuiti a tur- no dal ragionier Peppino tra i fratel- li Saverio, 73 anni, Andrea, 69, e Franco, 42. Assoluta parità di ri- schio. Per un periodo è presidente il più vecchio, per un periodo il più giovane. Attualmente il primogeni- to s’è ritagliato il ruolo di ammini- stratore delegato, «mica per altro: al giorno d’oggi un imprenditore ha un piede nella fossa e uno in gale- ra», e intanto schiuma con grande accuratezza il caffè, depositando sul bordo del piattino la cremina che manda in visibi- lio i maniaci del- l’espresso. Dev’esse- re una deformazione professionale. Che cosa si conside- ra? «Uno stracciaiolo evoluto. Ogni giorno raccolgo 1.000 ton- nellate di carta, 150 tonnellate di spazza- tura del Comune di Milano e dei centri dell’hinterland, 80 tonnellate di plastica che diventeranno 150 da novembre. Il deferrizzatore toglie i rifiuti metallici, il na- stro a corrente nega- tiva spara fuori le lat- tine in alluminio, il vaglio rotante separa le frazioni pesanti da quelle leggere, l’im- pianto a fibre ottiche suddivide le varie qualità di plastica per polimero e per co- lore». La carta da dove ar- riva? «Farei prima a dirle da dove non arriva. Ricevo l’inven- duto da Mondadori, Rizzoli, De Ago- stini, Stampa, Giorno e molti quoti- diani statunitensi, dal New York Ti- mes in giù; i cartoni da Esselunga, Ikea, Metro, Carrefour, Amsa; gli scarti da RR Donnelley & Sons, che è il più grande rilegatore del mon- do. Disinchiostrata e sbiancata con l’ossigeno, la carta da macero sarà trasformata in bobine per la stam- pa dei giornali». Qual è la percentuale di recupero? «Dell’85% per la carta dei quotidia- ni, del 70% per quella patinata». Sono soldi. «La prima vale 75 euro la tonnella- ta, la seconda 67-70. I libri un po’ meno: 60-65». Ma come fa ad aggiudicarsi le com- messe in giro per il mondo? «Da anni me le vado a cercare. C’era una bellissima tipografia a Riad, in Arabia Saudita. Ottenuto il visto, mi sono recato laggiù. E ho visto l’oro! Montagne di carta bian- chissima gettate nel deserto. Pur- troppo allora non esistevano tra- sporti marittimi convenienti. Già che stavo lì, tanto valeva andare in Somalia. Sapevo che a Chisimaio c’era uno scatolificio. All’aeroporto di Mogadiscio, una baracca, spara- vano. Ho regalato il dopobarba che tenevo nel bagaglio a mano, spac- ciandolo per acqua di colonia, a una funzionaria che mi aveva se- questrato la valigia in un hangar. Il primo aereo per Chisimaio partiva dopo due giorni. Troppi. Ho preso a noleggio una Land Rover con auti- sta nero. Novecento chilometri di sobbalzi fra andata e ritorno. Un so- lo pasto a Gelib: carne di cammello pescata da un pentolone messo a bollire in mezzo alla strada. L’auti- sta ne staccava un pezzo a morsi, saggiava la consistenza sotto i den- ti: se era troppo dura, ributtava il taglio di carne nella brodaglia e s’avventava su un altro. Un facoce- ro ci ha caricati a testa bassa: fortu- na che s’è rotto il grugno contro il mozzo della ruota, al- trimenti avremmo ca- pottato. Siamo incap- pati due volte in un’imboscata di guer- riglieri. Mi tenevano la canna del kalash- nikov premuta sul collo. M’avevano scambiato per un trafficante d’armi». Come se l’è cavata? «Ho scucito la fodera della valigia e ho di- stribuito un po’ di rivi- stine con donne nude che avevo salvato dal macero prima di par- tire dall’Italia. Final- mente arrivo a Chisi- maio. Infilo la mano nella carta straccia per saggiarne la qua- lità: era infestata dai serpenti». A che età ha comin- ciato? «A 12 anni già aiuta- vo mio padre a spin- gere il carretto per le vie di Milano. Ricor- do ancora l’itinera- rio: via Pietro Custo- di, viale Col di Lana, viale Bligny, viale Sabotino, piazza Medaglie d’Oro. Qui papà si ferma- va all’agenzia della Banca popolare e da un librettino di risparmio color arancione prelevava i quattrini per pagare le massaie. Andavamo di cortile in cortile, urlando “strascée, strascée”. Chi ci dava un paio di pantaloni vecchi, chi una forchetta storta. Papà pesava e pagava in con- tanti. Poi si riprendeva il giro: via Muratori, via Calvi, via Sciesa, cor- so di Porta Vittoria, Santa Maria del Suffragio, via Bonvesin de la Riva, via Fiamma». Attraversavate tutta la città. «Momento, non ho finito: via Bron- zetti, via Morgagni, piazzale Baco- ne, viale Abruzzi, piazzale Loreto, via Padova. Capolinea in via Ponte Nuovo. Si girava il carretto e lo si riportava stracolmo a casa, sempre a forza di braccia. Così tutti i giorni, dal ’37 al ’46». Quando arrivò suo padre a Mila- no? «Nell’ottobre del ’37. A Canosa ave- va un forno dove le donne portava- no a cuocere il pane fatto in casa. Venne quassù, ospite di uno zio cal- zolaio, e scoprì che si guadagnava il doppio. Tornò e disse a sua moglie: “Dobbiamo vendere il forno, il mobi- lio, tutto, e salire al Nord. Ho deciso di dare un futuro ai nostri figli”. Lei piangeva, non voleva partire. Biso- gnerebbe farlo raccontare a mia madre Rosa». Quanti anni ha? «Ne fa 98 a novembre. Una roccia. Ha passato la vita a caricarsi quinta- late di carta sulle spalle. Papà inve- ce è morto nell’88. “Ricordatevi che io non ho mai disonorato il sacra- mento del matrimonio, mai!”, ci ri- peteva orgoglioso. Ha avuto solo fa- miglia e lavoro, nient’altro. Non co- me me, che sono stato ammesso nel- la Società del Giardino. Un bel bi- glietto da visita per uno stracciven- dolo, no? Le patacche fanno parte del bagaglio perbenistico dell’indivi- duo. Ma al club lascio solo la mac- china in parcheggio. Non ho tempo per la vita di società». Se lo sarebbe mai aspettato que- sto successo? «Be’, un po’ sì. A 9 anni passavo sempre davanti a una bella villa in via Vetere. Nel giardino vedevo un bambino. Lei sa quanto riescono a essere crudeli i bambini, a volte. Il ritornello era sempre lo stesso: “Te- rùn, va’ al tò paès!”. Dentro di me pensavo: boia d’un can, quando sa- rò grande la voglio anch’io una villa così». Ce l’ha fatta. «Amo il Foscolo. Ha presente i So- netti? “Quello spirto guerrier ch’en- tro mi rugge”. Qui nel petto mi ha sempre ruggito. Nel dopoguerra vi- di un lampione stile Liberty in ferro battuto nel magazzino di Callisto Galletti, rigattiere in via Santa So- fia. Me lo regali?, gli chiesi. “Pepi- no, per quest chi ghé vor una villa”, ribatté lui. Tu intanto dammelo, che se il buon Dio mi aiuta un gior- no ci metterò intorno la villa, rispo- si. E così è stato. Oggi il lampione ce l’ho in giardino». È stata dura integrarsi con i mila- nesi? «I milanesi sono molto generosi. Ma noi eravamo gli extracomunita- ri degli Anni 30. Vivevamo in sei, come maiali, al numero 2 di via Gau- denzio Ferrari, zona Porta Genova. Due sole stanze. Poi ci allargammo: quattro locali bui, col soffitto basso, in via Vetere 10. Ci siamo rimasti per 25 anni. A scuola non portavo né il fiocco azzurro né il colletto ina- midato, perché i miei non potevano comprarmelo. La maestra era catti- vissima. Mi conficcò una matita nel collo, lo vede qua?, ho ancora la ci- catrice». Una kapò. «Chiedeva agli alunni: “Che mestie- re fa tuo padre?”. Il figlio dell’opera- io rispondeva: “Capo operaio”. Il fi- glio dell’impiegato: “Capo ufficio”. Erano solo capi, i padri degli altri. Arrivato il mio turno: straccieio am- bulente, con l’accento pugliese. Ri- devano tutti. Quando la presa in gi- ro è così feroce, lei non ha idea di quale forza d’animo t’infonde». Ha sofferto molto. «Ho sofferto, sì. Rammento che un giorno, dopo che la mia famiglia si era trasferita dal primo tugurio al secondo, dissi a mia madre: lo sai, mamma, che adesso i bambini mi trattano come se fossi uguale a lo- ro? Glielo dissi con estrema natura- lezza, mi sembrava la cosa più nor- male di questo mondo. Solo oggi, al ripensarci, rabbrividisco». Quand’ebbe la percezione d’aver- cela fatta, d’essere arrivato? «Mai, mai. Il giorno in cui mio pa- dre annunciò a noi figli che presto avremmo sostituito il carretto con un Leoncino, accadde l’irreparabi- le e dovetti ricominciare tutto dac- capo». Che accadde? «Era il 15 aprile del 1955, un vener- dì sera, lo ricordo come fosse oggi. Io tornavo dal cinema Rialto. Trovai mia nonna in lacrime sull’uscio di casa: “Corri, Peppino, corri. Sta bru- ciando tutto”. Arrivai trafelato in via Riva di Trento, dove avevamo il deposito. Le fiamme rischiaravano il cielo. Mio padre e mia madre pian- gevano abbracciati sul marciapie- de. Non ci restava più nulla. Il lune- dì successivo firmai due cambiali da 20.000 lire, comprai un motori- no Parilla 49 e ripresi la raccolta con più slancio di prima. Ecco per- ché dico sempre che posso essere d’aiuto a chi cade in disgrazia. Se sono arrivato fin qui, è stato grazie a quell’incendio». Non teme che i gior- nali vengano soppian- tati da Internet? Avrà letto l’Econo- mist: pare che l’ulti- mo quotidiano chiu- derà nel 2043. Addio carta da macero. «La carta non morirà mai. Non c’è attimo della nostra vita che non sia segnato dalla carta. Scusi tanto, non diciamo sempre che siamo sommersi dalle carte? La Tv ha forse ucciso il cine- ma? No. E allora! Gli orologi digitali hanno forse soppiantato quelli svizzeri a carica manuale?». (Picchia l’indice sul quadrante di un Vacheron Con- stantin degli Anni 30). Vede qualcosa che va sprecato nelle nostre case? «L’energia. Basti pen- sare a quanto consu- mano gli elettrodome- stici tenuti in stand by. Un delitto. Se qui dentro non ci fossi io la sera a fare il giro degli uffici per spegnere le luci...». Lei non butta via proprio nulla? «Nel ’44 per salvarci dai bombarda- menti sfollammo vicino a Casteg- gio. Papà arrivava in bici da Milano il sabato sera con 35 chili di pentole di rame schiacciate da vendere ai contadini, che aggiungevano acido solforico e ottenevano così il verde- rame per le vigne. Col ricavato mi comprò una fisarmonica a Stradel- la e mi mandò a lezione dal maestro Guglielmo Bonfoco. Pagò lo stru- mento 12.400 lire. Un sacrificio enorme. Le cinghie erano fatte con le giberne di un poliziotto. Ce l’ho ancora. Il sabato sera mi ritrovo a suonarla». Si considera un ambientalista? «Direi di sì, ma non accanito. Ho tre figli e sette nipoti. Ce la sto metten- do tutta per lasciargli un mondo più pulito di come l’ho trovato. Guardo quest’oceano di rifiuti e il mio vanto è di poter dire a ciascuno di loro: tutto questo un giorno non sarà tuo». (346. Continua) [email protected] , , Giuseppe Masotina fra la carta da macero nella sua piattaforma di Corsico (Milano), la più grande d’Europa per il riciclo TIPI ITALIANI Cercavo gli scarti in Arabia e Somalia Ma l’avventura iniziò da una banana e da un funerale in Costa d’Avorio. Ho triturato anche il «Granma» di Fidel Castro e le divise dei pioneros cubani. Lavoro per i miei nipoti, con un motto: tutto questo un giorno non sarà tuo I Masotina col primo Leoncino negli Anni 50. Al volante, papà Giacomo. Al centro, vestita di nero, la madre Rosa, che oggi ha 98 anni Lo stracciaiolo divenuto re del riciclo «Ho rottamato persino la “Pravda”» Ogni anno produce 300.000 tonnellate di carta da macero. Ogni 20 secondi entra un camionnella sua azienda. Ogni giorno tratta 230 tonnellate dirifiuti e plastica. Pure il Congresso americano s’affida a lui Spingevo il carretto per tutta Milano Gridavo «strascée», pesavo forchette storte e pagavo in contanti. A scuola mi prendevano in giro per l’accento pugliese: «Terùn, va’ al tò paès!». La mia fortuna è nata da un incendio. Cosa sprechiamo di più? L’energia LA VILLA COSTRUITA ATTORNO A UN LAMPIONE Giuseppe Masotina, 74 anni. «Ero straccivendolo. Vidi un lampione stile Liberty. Me lo regali?, chiesi al rigattiere Galletti. “Pepino, per quest chi ghé vor una villa”, ribatté lui. Tu intanto dammelo, che se il buon Dio mi aiuta... Oggi quel lampione si trova nel mio giardino» GIUSEPPE MASOTINA il Giornale Domenica 1 ottobre 2006 Cronache 17

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STEFANO LORENZETTO

A distingueredal restodell’uma-nità il Grande Riciclatore del-l’Universo, alias il ragionier

Masotina Giuseppe, detto Peppino,di anni 74, da Canosa di Puglia, è ilpunto di vista. Questione di imprin-ting: nella Milano della secondaguerramondiale vide suopadreGia-como, straccivendolo, raccogliereungrappolo d’uvamarcia dalla fon-tana di piazza Bacone, lavarlo auna fontanella emangiarselo, azio-ne che egli definisce «il testamentospirituale di papà». Per cui ancoroggi, di fronte a una banana, men-tre i comuni mortali pensano allapolpa, Masotina s’appassiona allabuccia. Meglio: a quello che vieneprima.Un giorno stava appunto ad-dentando una banana, affranto peraverne dovuto gettare il tegumentonell’immondizia, quand’ecco l’oc-chio gli cadde sulla scatola che laconteneva. «C’era stampato sopra:“Made in Ivory Coast”. Mi dico: se èfatta in Costa d’Avorio, laggiù de-v’esserci per forza lo scatolificioche la fa. Indago. Lo scatolificio c’è,e anche bello grosso. A dirigerlo èun certo Emissa, che però non mivuol darenemmenounchilodi scar-to cartaceo. Motivo: è ammanicatoconun’aziendaaustriacadi import-export. “Se non mi dà un po’ di ro-ba, vuol dire che c’è sotto qualco-sa”, lo minaccio al telefono. “Vengaa trovarmi”,mi rispondequello. Do-po unmese salgo su un aereo e voloadAbidjan. E lì scopro cheEmissa èmorto.Mimetto a piangere: ohi ohi,che dolore, il mio amico Emissa...se solo avessi saputo, povero Emis-sa... mai sarei mancato al funerale.“Guardi che lo seppelliscono oggi”,m’interrompono i colleghi. Ah sì?Ma tu guarda la combinazione! Edove? “A Grand Bassam”. Da Abi-djan sono una quarantina di chilo-metri. Corro. Tre ore di cerimoniasotto il sole. Un caldo della madon-na.Leautorità locali fanno il panegi-rico di questo Emissache manco conosco.Alla fine del rito fune-bre individuo gli altridirigenti dello scatoli-ficio e li affronto: “Si-gnori, abbiate pietà!Datemi almeno duecontainer di roba inmemoria delmio ami-co Emissa”. Risultato:da 15 anni nei porti diGenova e Livorno miarrivano dalla Costad’Avorio residui di la-vorazionepercentina-ia di tonnellate».Milano, Lombardia,

Italia, Europa, mondointero per GiuseppeMasotina non sonoche un’immensa di-scaricadallaqualepe-scare il meglio. Nellapiattaforma industria-le che ha costruito aCorsico, 60.000 metriquadrati, la più gran-de del continente, en-tra un autotreno o uncamionogni 20 secon-di recandogli il bendi-dio: carta, plastica,metalli, vetro, legno,calcinacci. Tecnicamente si chiama-no rifiuti speciali non pericolosi, as-similabili a quelli urbani, ma la so-stanza non cambia: sono 50.000tonnellate l’anno di spazzatura. Lacernita meccanica, con benne checostano come miniappartamenti enastri trasportatori che scalanoem-pirei di sudiciume, riesce persino arestituire il terriccio inghiottito dal-le spazzatrici stradali e a separare isassi in base al diametro, cosicché il60% di ciò che era stato buttato viatornerà a nuova vita con vari impie-ghi.Ma da mezzo secolo il core busi-

ness del gruppoMasotina è la cartada macero. In un anno ne produce300.000 tonnellate. Il leader italia-no del riciclo, fra i primi cinquegruppi privati del settore in Euro-pa, si vantad’essere riuscito con lar-go anticipo là dove le democrazieoccidentali e la guerra fredda ave-vano fallito. C’erano ancora il Murodi Berlino e l’Urss quando distrug-geva milioni e milioni di copie dellaPravda e delle Izvestia, nonché i li-bri fuori catalogo degli editori di re-

gime Molodaya Gvardia e Kniga.Per la faccenda dei punti di vista ri-chiamataall’inizio, lamedesimaat-tività dev’essere stata interpretatacomeuna benemerenza pure da Fi-del Castro, e così permolti anniMa-sotina ha rottamato anche le resedel Granma, l’organo ufficiale delpartito comunista cubano, che glidedicò persinoun servizio su tre co-lonne con tanto di foto. «Ora non nevale più la pena: s’è ridotto a duefoglietti in tutto. Però fra venti gior-ni devo tenereuna lezioneaMetani-ca, la conferenza mondiale sul rici-clo che si svolge all’Avana». Insom-ma, può ben dire d’essere il re delleballe di carta, quelle da 800 chiliche le sue pressemostruose, capacid’esercitare una pressione pari auna tonnellata emezzo, confeziona-no dopo che le maceratrici hannoridotto a brandelli di 4-5 centimetriquelle scritte da noi cronisti.Primo osservatore italiano al Bir

(Bureau of international recycling)di Bruxelles, del quale è oggi vice-presidente, e componente dell’Os-servatorionazionale dei rifiuti pres-so ilministero dell’Ambiente,Maso-tinacomprarobaccia in tutto ilmon-do («come ho fatto a imparare lelingue? Volontà, volontà, volontà.Parlo il francese, anche dialettale,l’inglese, un discreto spagnolo e unpessimo tedesco») e vende il mate-riale riciclato cheneottienenon sol-tanto in Italia ma anche in Cina, In-donesia, India, Tunisia, Siria, Fran-cia e Germania. Da Cuba, oltre allecataste intonse del Granma, proba-bilmente il quotidianomeno vendu-to e meno letto del pianeta, per unlungo periodo ha importato a 2.000lire il chilo anche le lenzuola dellecaserme e le vecchie divise dei pio-neros («sterilizzate e tagliate, diven-tavano ottime pezze per la puliziadelle macchine industriali»). Il suomotto è: «Girare sempre. Se nonconcludi, vedi. E se non vedi, ascol-ti. Quindi qualcosa porti sempre acasa». Gli è persino capitato di rile-vareunapartitadi documenti custo-

diti nei bunker sotterranei del Con-gresso americano, «ma ancora noncapisco chebisognoc’eradi chiama-re proprio me: gli atti riservati era-no già passati attraverso tritacartetalmente efficienti da essere ridottiin polvere più che in striscioline».Gli incarichi societari del gruppo

Masotina, che comprende anche lecartierediModena, ColognoMonze-se e Borgo San Dalmazzo, sono de-mocraticamente redistribuiti a tur-nodal ragionierPeppino tra i fratel-li Saverio, 73 anni, Andrea, 69, eFranco, 42. Assoluta parità di ri-schio. Per un periodo è presidente ilpiù vecchio, per un periodo il piùgiovane. Attualmente il primogeni-to s’è ritagliato il ruolo di ammini-stratore delegato, «mica per altro:al giorno d’oggi un imprenditore haun piede nella fossa e uno in gale-ra», e intanto schiuma con grandeaccuratezza il caffè, depositandosul bordo del piattino la cremina

che manda in visibi-lio i maniaci del-l’espresso. Dev’esse-re una deformazioneprofessionale.Che cosa si conside-ra?«Uno stracciaioloevoluto. Ogni giornoraccolgo 1.000 ton-nellate di carta, 150tonnellate di spazza-tura del Comune diMilano e dei centridell’hinterland, 80tonnellate di plasticache diventeranno150 da novembre. Ildeferrizzatore togliei rifiutimetallici, il na-stro a corrente nega-tiva spara fuori le lat-tine in alluminio, ilvaglio rotante separale frazioni pesanti daquelle leggere, l’im-pianto a fibre ottichesuddivide le variequalità di plasticaperpolimeroeper co-lore».La carta da dove ar-riva?«Farei prima a dirle

da dove non arriva. Ricevo l’inven-dutodaMondadori, Rizzoli, DeAgo-stini, Stampa, Giorno e molti quoti-diani statunitensi, dal New York Ti-mes in giù; i cartoni da Esselunga,Ikea, Metro, Carrefour, Amsa; gliscarti da RR Donnelley & Sons, cheè il più grande rilegatore del mon-do. Disinchiostrata e sbiancata conl’ossigeno, la carta da macero saràtrasformata in bobine per la stam-pa dei giornali».Qual è la percentuale di recupero?«Dell’85%per la carta dei quotidia-ni, del 70% per quella patinata».Sono soldi.«La prima vale 75 euro la tonnella-ta, la seconda 67-70. I libri un po’meno: 60-65».Macome faadaggiudicarsi le com-messe in giro per il mondo?«Da anni me le vado a cercare.C’era una bellissima tipografia aRiad, in Arabia Saudita. Ottenuto ilvisto, mi sono recato laggiù. E hovisto l’oro! Montagne di carta bian-chissima gettate nel deserto. Pur-troppo allora non esistevano tra-

sporti marittimi convenienti. Giàche stavo lì, tanto valeva andare inSomalia. Sapevo che a Chisimaioc’era uno scatolificio. All’aeroportodi Mogadiscio, una baracca, spara-vano. Ho regalato il dopobarba chetenevo nel bagaglio a mano, spac-ciandolo per acqua di colonia, auna funzionaria che mi aveva se-questrato la valigia in un hangar. Ilprimo aereo per Chisimaio partivadopo due giorni. Troppi. Ho preso anoleggio una Land Rover con auti-sta nero. Novecento chilometri disobbalzi fra andata e ritorno.Un so-lo pasto a Gelib: carne di cammellopescata da un pentolone messo abollire in mezzo alla strada. L’auti-sta ne staccava un pezzo a morsi,saggiava la consistenza sotto i den-ti: se era troppo dura, ributtava iltaglio di carne nella brodaglia es’avventava su un altro. Un facoce-ro ci ha caricati a testa bassa: fortu-na che s’è rotto il grugno contro ilmozzodella ruota, al-trimentiavremmoca-pottato. Siamo incap-pati due volte inun’imboscatadi guer-riglieri. Mi tenevanola canna del kalash-nikov premuta sulcollo. M’avevanoscambiato per untrafficante d’armi».Come se l’è cavata?«Ho scucito la foderadella valigia e ho di-stribuitounpo’di rivi-stine con donne nudeche avevo salvato dalmaceroprimadi par-tire dall’Italia. Final-mente arrivo a Chisi-maio. Infilo la manonella carta stracciaper saggiarne la qua-lità: era infestata daiserpenti».A che età ha comin-ciato?«A 12 anni già aiuta-vo mio padre a spin-gere il carretto per levie di Milano. Ricor-do ancora l’itinera-rio: via Pietro Custo-di, viale Col di Lana,viale Bligny, viale Sabotino, piazzaMedaglie d’Oro. Qui papà si ferma-va all’agenzia della Banca popolaree da un librettino di risparmio colorarancione prelevava i quattrini perpagare le massaie. Andavamo dicortile in cortile, urlando “strascée,strascée”. Chi ci dava un paio dipantaloni vecchi, chi una forchettastorta. Papàpesavaepagava in con-tanti. Poi si riprendeva il giro: viaMuratori, via Calvi, via Sciesa, cor-so di Porta Vittoria, SantaMaria delSuffragio, via Bonvesin de la Riva,via Fiamma».Attraversavate tutta la città.«Momento, non ho finito: via Bron-zetti, via Morgagni, piazzale Baco-ne, viale Abruzzi, piazzale Loreto,via Padova. Capolinea in via PonteNuovo. Si girava il carretto e lo siriportava stracolmo a casa, semprea forza di braccia. Così tutti i giorni,dal ’37 al ’46».Quando arrivò suo padre a Mila-no?«Nell’ottobredel ’37. ACanosa ave-va un forno dove le donne portava-

no a cuocere il pane fatto in casa.Venne quassù, ospite di uno zio cal-zolaio, e scoprì che si guadagnava ildoppio. Tornò e disse a sua moglie:“Dobbiamovendere il forno, ilmobi-lio, tutto, e salire al Nord. Ho decisodi dare un futuro ai nostri figli”. Leipiangeva, non voleva partire. Biso-gnerebbe farlo raccontare a miamadre Rosa».Quanti anni ha?«Ne fa 98 a novembre. Una roccia.Hapassato la vitaa caricarsi quinta-late di carta sulle spalle. Papà inve-ce èmorto nell’88. “Ricordatevi cheio non ho mai disonorato il sacra-mento del matrimonio, mai!”, ci ri-peteva orgoglioso. Ha avuto solo fa-miglia e lavoro, nient’altro. Non co-meme, che sono statoammessonel-la Società del Giardino. Un bel bi-glietto da visita per uno stracciven-dolo, no? Le patacche fanno partedel bagaglio perbenisticodell’indivi-duo. Ma al club lascio solo la mac-

china in parcheggio. Non ho tempoper la vita di società».Se lo sarebbe mai aspettato que-sto successo?«Be’, un po’ sì. A 9 anni passavosempre davanti a una bella villa invia Vetere. Nel giardino vedevo unbambino. Lei sa quanto riescono aessere crudeli i bambini, a volte. Ilritornello era sempre lo stesso: “Te-rùn, va’ al tò paès!”. Dentro di mepensavo: boia d’un can, quando sa-rò grande la voglio anch’io una villacosì».Ce l’ha fatta.«Amo il Foscolo. Ha presente i So-netti? “Quello spirto guerrier ch’en-tro mi rugge”. Qui nel petto mi hasempre ruggito. Nel dopoguerra vi-di un lampione stile Liberty in ferrobattuto nel magazzino di CallistoGalletti, rigattiere in via Santa So-fia. Me lo regali?, gli chiesi. “Pepi-no, per quest chi ghé vor una villa”,ribatté lui. Tu intanto dammelo,che se il buon Dio mi aiuta un gior-no ci metterò intorno la villa, rispo-si. E così è stato. Oggi il lampione cel’ho in giardino».

È stata dura integrarsi con i mila-nesi?«I milanesi sono molto generosi.Ma noi eravamo gli extracomunita-ri degli Anni 30. Vivevamo in sei,comemaiali, al numero2di viaGau-denzio Ferrari, zona Porta Genova.Due sole stanze. Poi ci allargammo:quattro locali bui, col soffitto basso,in via Vetere 10. Ci siamo rimastiper 25 anni. A scuola non portavoné il fiocco azzurro né il colletto ina-midato, perché i miei non potevanocomprarmelo. Lamaestra era catti-vissima. Mi conficcò una matita nelcollo, lo vede qua?, ho ancora la ci-catrice».Una kapò.«Chiedeva agli alunni: “Chemestie-re fa tuopadre?”. Il figlio dell’opera-io rispondeva: “Capo operaio”. Il fi-glio dell’impiegato: “Capo ufficio”.Erano solo capi, i padri degli altri.Arrivato ilmio turno: straccieio am-bulente, con l’accento pugliese. Ri-devano tutti. Quando la presa in gi-ro è così feroce, lei non ha idea diquale forza d’animo t’infonde».Ha sofferto molto.«Ho sofferto, sì. Rammento che ungiorno, dopo che la mia famiglia siera trasferita dal primo tugurio alsecondo, dissi a mia madre: lo sai,mamma, che adesso i bambini mitrattano come se fossi uguale a lo-ro?Glielo dissi con estremanatura-lezza, mi sembrava la cosa più nor-male di questo mondo. Solo oggi, alripensarci, rabbrividisco».Quand’ebbe la percezione d’aver-cela fatta, d’essere arrivato?«Mai, mai. Il giorno in cui mio pa-dre annunciò a noi figli che prestoavremmo sostituito il carretto conun Leoncino, accadde l’irreparabi-le e dovetti ricominciare tutto dac-capo».Che accadde?«Era il 15aprile del 1955, un vener-dì sera, lo ricordo come fosse oggi.Io tornavo dal cinemaRialto. Trovaimia nonna in lacrime sull’uscio dicasa: “Corri, Peppino, corri. Stabru-ciando tutto”. Arrivai trafelato invia Riva di Trento, dove avevamo ildeposito. Le fiamme rischiaravanoil cielo.Miopadreemiamadrepian-gevano abbracciati sul marciapie-de. Non ci restava più nulla. Il lune-dì successivo firmai due cambialida 20.000 lire, comprai un motori-no Parilla 49 e ripresi la raccoltacon più slancio di prima. Ecco per-ché dico sempre che posso essered’aiuto a chi cade in disgrazia. Sesono arrivato fin qui, è stato graziea quell’incendio».

Non teme che i gior-nali venganosoppian-tati da Internet?Avrà letto l’Econo-mist: pare che l’ulti-mo quotidiano chiu-derà nel 2043. Addiocarta damacero.«La carta non moriràmai. Non c’è attimodella nostra vita chenon sia segnato dallacarta. Scusi tanto,non diciamo sempreche siamo sommersidalle carte? La Tv haforse ucciso il cine-ma? No. E allora! Gliorologi digitali hannoforse soppiantatoquelli svizzeri a caricamanuale?». (Picchial’indice sul quadrantedi un Vacheron Con-stantin degli Anni30).Vede qualcosa che vasprecato nelle nostrecase?«L’energia. Basti pen-sare a quanto consu-manogli elettrodome-stici tenuti in standby. Un delitto. Se quidentro non ci fossi io

la sera a fare il giro degli uffici perspegnere le luci...».Lei non butta via proprio nulla?«Nel ’44per salvarci dai bombarda-menti sfollammo vicino a Casteg-gio. Papà arrivava in bici da Milanoil sabato sera con 35 chili di pentoledi rame schiacciate da vendere aicontadini, che aggiungevano acidosolforico e ottenevano così il verde-rame per le vigne. Col ricavato micomprò una fisarmonica a Stradel-la emimandòa lezione dalmaestroGuglielmo Bonfoco. Pagò lo stru-mento 12.400 lire. Un sacrificioenorme. Le cinghie erano fatte conle giberne di un poliziotto. Ce l’hoancora. Il sabato sera mi ritrovo asuonarla».Si considera un ambientalista?«Direi di sì, manon accanito. Ho trefigli e sette nipoti. Ce la sto metten-do tutta per lasciargli unmondo piùpulito di come l’ho trovato. Guardoquest’oceano di rifiuti e il mio vantoè di poter dire a ciascuno di loro:tutto questo un giorno non saràtuo».

(346. Continua)[email protected]

,‘ ,GiuseppeMasotinafra la cartada maceronella suapiattaformadi Corsico(Milano),la più granded’Europaper il riciclo

TIPI ITALIANI

Cercavo gli scarti in Arabia e SomaliaMa l’avventura iniziò da una bananae da un funerale in Costa d’Avorio. Hotriturato anche il «Granma» di FidelCastro e le divise dei pioneros cubani.Lavoro per i miei nipoti, con un motto:tutto questo un giorno non sarà tuo

I Masotinacol primoLeoncino negliAnni 50. Alvolante, papàGiacomo. Alcentro, vestitadi nero, lamadre Rosa,che oggiha 98 anni

Lo stracciaiolo divenuto re del riciclo«Ho rottamato persino la “Pravda”»

Ogni anno produce 300.000 tonnellatedi carta damacero. Ogni 20 secondi entraun camionnella sua azienda. Ogni giornotratta 230 tonnellate di rifiuti e plastica.Pure il Congresso americano s’affida a lui

Spingevo il carretto per tutta MilanoGridavo «strascée», pesavo forchettestorte e pagavo in contanti. A scuolami prendevano in giro per l’accentopugliese: «Terùn, va’ al tò paès!».La mia fortuna è nata da un incendio.Cosa sprechiamo di più? L’energia

LA VILLA COSTRUITAATTORNO A UN LAMPIONE

Giuseppe Masotina, 74anni. «Ero straccivendolo.

Vidi un lampione stileLiberty. Me lo regali?,

chiesi al rigattiere Galletti.“Pepino, per quest chi ghé

vor una villa”, ribatté lui.Tu intanto dammelo, chese il buon Dio mi aiuta...

Oggi quel lampionesi trova nel mio giardino»

GIUSEPPE MASOTINA

il Giornale � Domenica1ottobre2006 Cronache 17