8 Interni Domenica28gennaio2007 TIPIITALIANI · to, qui sparano a tut-ti”. E io che c’entro?,...

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STEFANO LORENZETTO I l democristiano torinese abitante in corso Unione Sovietica cadde, quasi per una nemesi storica, sot- to i colpi della Nagant calibro 7,62 che era in dotazione all’esercito del- lo zar, fabbricata in Urss e in Ceco- slovacchia fino alla seconda guerra mondiale. Di sicuro i brigatisti rossi non l’avevano ereditata dalla scorta di Nicola II. Era il 13 luglio 1977. Con quella pistola, ad aprile gli stes- si terroristi avevano ammazzato Ful- vio Croce, presidente dell’Ordine de- gli avvocati. Con la medesima arma, a novembre avrebbero assassinato Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa. Contro Maurizio Puddu, consigliere provinciale, esplosero 16 colpi. Sette andarono a segno. Uno è ancora nella gamba destra e ci rimarrà per sempre, appena so- pra il ginocchio, accanto a una lami- na metallica fissata da 18 viti che tiene insieme i resti del femore. Sono passati 30 anni, ma Puddu, che un mese fa ne ha compiuti 75, non dimentica. Non può dimentica- re, neppure se lo volesse: ogni matti- na, per entrare nella sede dell’Asso- ciazione italiana vittime del terrori- smo di cui è fondatore e presidente, deve salire uno scalino di 27 centi- metri, quasi il doppio dei gradini normali. «Da allora mi manca l’ap- poggio, credo d’aver superato l’osta- colo e invece il piede è ancora a me- tà. Sapesse quante volte sono ruzzo- lato per terra, spaccandomi la fac- cia». Quel giorno, mentre boccheggia- va sull’asfalto con l’arteria femorale recisa, la portinaia dello stabile ten- tò d’avvicinarsi per tamponargli le ferite. Un brigatista la dissuase spa- randole due colpi fra i piedi. «Al- l’ospedale il medico di guardia sen- tenziò: “Pressione a 50, è spaccia- to”. Invece una delle pallottole s’era infilata dentro l’arteria e fungeva da tappo. Un miracolo. Piero Coggiola, dirigente della Lancia di Chivasso, per una ferita analoga morì dissanguato». La moglie di Puddu, Nives, il giorno dell’at- tentato si trovava a Ro- ma col figlio Massimo. Nel 1977 le notizie non arrivavano sui tre- ni in viaggio. Quando giunse alla stazione di Porta Nuova e vide che ad attenderla al bi- nario c’era l’altro fi- glio, Andrea, insieme con i cronisti France- sco Bullo della Stam- pa e Giuseppe Sangior- gio della Gazzetta del Popolo, attorniati da un nugolo di fotorepor- ter, urlò: «Me l’hanno ammazzato!». Nel tra- gitto verso l’ospedale Mauriziano tentarono invano di tranquilliz- zarla. Solo quando le fecero infilare il corri- doio che portava alla rianimazione, anziché all’obitorio, si convin- se che c’era ancora speranza. Il terribile spavento le fece cessa- re per sempre il ciclo mestruale. Il conseguente disequili- brio ormonale le provocò una gravis- sima osteoporosi. Nell’anca destra dovettero impiantarle due protesi, un’altra nell’anca sinistra, due nelle dita. A salvargli le mani fu il profes- sor Renzo Mantero, primario a Savo- na. «Rifiutò l’onorario: “Lei ha già dato”», si commuove Puddu. A decidere di gambizzare «questo individuo della cricca dc», come an- nunciava il comunicato di rivendica- zione, fu lo stato maggiore compo- sto dai brigatisti che un mese prima avevano azzoppato Indro Montanel- li (Lauro Azzolini e Franco Bonisoli) e che l’anno dopo avrebbero rapito e ucciso Aldo Moro (Mario Moretti, Prospero Gallinari, Valerio Moruc- ci). Il sinedrio comprendeva Patrizio Peci, che sarebbe diventato il primo pentito nella storia del partito arma- to, e la sua compagna Nadia Ponti, in seguito accusata dallo stesso Peci di sei omicidi nella sola Torino (oltre a Croce e a Casalegno, i poliziotti Ro- sario Berardi, Salvatore Lanza, Sal- vatore Porceddu e la guardia carce- raria Lorenzo Cotugno). «La Ponti fa- ceva parte del commando di tre per- sone che mi ferì. Le hanno inflitto cinque ergastoli, ma da parecchio tempo è a casa sua, agli arresti domi- ciliari. In carcere ha sposato un bri- gatista. Gli altri due sicari erano Lo- renzo Betassa e Dante Di Blasi, ope- rai della Fiat. Furono tutti condan- nati a quattro anni. Betassa non li ha mai scontati, perché nel 1980 fu ucciso durante l’irruzione dei cara- binieri nel covo di via Fracchia a Ge- nova. Una sorella della Ponti, diri- gente al Comune di Torino, dove la- voravo anch’io, venne a scusarsi. Avresti fatto meglio a non dirmi di questa parentela, le risposi». La Provincia che servì fino all’effu- sione del sangue ha messo a disposi- zione di Puddu una polverosa stan- zetta di 20 metri quadrati, ingom- bra di carte, dove il presidente del- l’Associazione vittime del terrori- smo aggiorna la contabilità del dolo- re e continua a inseguire i colpevoli con la perseveranza di un Simon Wiesenthal. Il martirologio degli an- ni di piombo comprende 142 morti e 59 gambizzati. Nell’elenco non figu- rano i lutti più recenti: Massimo D’Antona, Marco Biagi, Emanuele Petri. Includendo le stragi dal 1969 al 1989, si arriva a 5.000 attentati, con 455 caduti e 4.529 feriti. In questo bugigattolo è giunta a Puddu la notizia che l’azzoppacri- stiani Di Blasi, nome di battaglia Leo, sardo come lui, a 56 anni fa il campanaro vicino a Orgosolo e vor- rebbe tanto «stringergli la mano e guardarlo in faccia per la prima vol- ta». Le sparò senza guardarla? «Per lui non ero nemmeno una per- sona, come ha dichiarato all’Unione Sarda: “Puddu non mi rappresenta- va nulla al di fuori del bersaglio da colpire. Mi avessero detto di ammaz- zarlo, l’avrei ammazzato, ma avevo l’ordine di gambizzarlo. Dovevamo servirlo in mattinata. Poi, per ragio- ni che ora mi sfuggono, fu rinviato al pomeriggio”. Servirlo, ha capito?». Il lessico non è cambiato. «Mi ha telefonato un giornalista del quotidiano di Cagliari. Voleva orga- nizzare la stretta di mano. “Cosa si prova mentre si spara a un uomo?”, ha chiesto il cronista a questo Di Bla- si. E lui: “Niente, io non provavo as- solutamente niente. Nessuna emo- zione e neanche pietà. Non lo cono- scevo ma mi avevano detto che era un amico da abbattere: per me ba- stava questo. Avrei sparato contro chiunque: era l’organizzazione a de- cidere i bersagli. Io ero un esecuto- re”. Ma si può?». Non gli stringerà la mano. «No. Mai. La misericordia è di Dio, la giustizia è dello Stato, il perdono è degli uomini». E lei non l’ha perdonato. «Non voglio parlarne. Il perdono è un fatto intimo che non va esterna- to. Io sono tenuto a un solo obbligo: il rispetto dei morti. Ogni tanto i ma- gistrati mi chiamano per chiedermi un parere sulle scarcerazioni dei de- tenuti. Non capisco perché. Tanto, nono- stante la mia opposi- zione, li liberano lo stesso». Perché i brigatisti scelsero proprio lei? «Non l’ho mai capito. Mi diedero del servo delle multinazionali. Proprio a me, che non ho mai bevuto una Coca-Cola. Disse- ro che cercavo il dialo- go fra Dc e Pci, mi de- finirono “berlingue- riano”. Io manco m’ero accorto che il mio partito dialogava con i comunisti, pensi un po’ che ingenuo. Lo venni a sapere dal loro volantino. Mia moglie, al telefono da Roma, m’aveva mes- so in guardia: “Han- no ferito Antonio Si- billa, segretario ligu- re della Dc. Sta’ atten- to, qui sparano a tut- ti”. E io che c’entro?, obiettai». Come andò? «Tornavo a casa alle 14.30. Appena parcheggiata la mia 124, vedo questi tre. Li credevo piaz- zisti. Uno s’avvicina, era Betassa, estrae qualcosa dalla borsa. Non ca- pisco che è una pistola e non sento alcun rumore: aveva messo il silen- ziatore. Avverto una fitta lancinante al ginocchio. Tento di ripararmi fra due auto. La gamba cede e sbatto con la faccia contro la carrozzeria incandescente di una Volkswagen parcheggiata al sole. La pelle cuoce- va sulla lamiera. Mi spara un secon- do colpo, che viene deviato dal porta- foglio nella tasca posteriore dei pan- taloni. Sopraggiunge un complice, era Di Blasi, e mi colpisce più volte con la sua Nagant. “Per favore, ba- sta”, lo imploro, ma il tamburo del revolver continua a girare. Scappa- no. Un dentista, chiamato dalla por- tinaia, tenta di fermare l’emorragia con un laccio e una borsa ghiaccia- ta. Per fortuna l’ospedale era a soli 300 metri. Ma i chirurghi non dispo- nevano di un bypass per l’aorta fe- morale. Lo portò da Milano, corren- do come un disperato, un carabinie- re motociclista, che scoppiò a pian- gere quando gli annunciarono che non serviva più». Credeva che lei fosse morto. «Sì. Invece il professor Aschieri nel frattempo era riuscito a creare un bypass prelevandomi dall’altra gam- ba cinque centimetri di vena safena e innestandomela sull’arteria femo- rale troncata dal proiettile». Oltre a essere claudicante, ha altri disturbi? «L’osso sacro s’è deformato. L’im- possibilità di fare esercizio fisico mi ha provocato obesità, duodenite e al- terazione della frequenza cardia- ca». Ripercussioni psicologiche? «La sensazione d’essere sempre pe- dinato da qualcuno. Lo scoppio di un petardo mi fa salire il cuore in gola. Per me la notte di San Silve- stro, con tutti quei mortaretti, è un anticipo d’inferno». Lo Stato le versa una pensione? «No. Dopo 13 anni mi ha riconosciuto un’in- validità del 55% e un risarcimento di 80 mi- lioni di lire. Ho dovu- to sottopormi a 40 ra- diografie. All’ultimo di cinque ricoveri, presso l’ospedale mili- tare del Celio a Roma, la commissione medi- ca era presieduta da un ammiraglio della Marina che s’è indi- gnato: “Non bastava- no i proiettili nelle gambe? Anche radio- attivo a furia di scher- mografie, dovevate farlo diventare”». L’invalidità non le dà diritto a un assegno mensile? «Il vitalizio di 1.500 euro, non reversibile, è arrivato soltanto due anni fa, dopo una battaglia condotta dalla nostra associa- zione. Ma chi ha un’invalidità inferio- re al 25% non lo per- cepisce. E il ministero del Tesoro respinge gli ordini di pagamento dei nuovi vi- talizi, decisi dal ministero dell’Inter- no, con la giustificazione che il capi- tolo di spesa è vuoto. Insomma, per noi vittime i soldi non ci sono mai». Ha più ricevuto minacce? «Per anni, fino al 1997. Telefonate anonime notturne: “Sei stato colpito una volta, la prossima mireremo al- la testa”. Ma gli investigatori soste- nevano che non era nelle abitudini delle Br fare così, che i terroristi non si ripetono. Come Paganini». Dunque, chi poteva essere? «Nel 1987 fui nominato revisore dei conti dell’ospedale Maria Vittoria dell’Asl 3. Scoprii che la spesa per la sopraelevazione di un edificio era stata gonfiata. L’appalto, oltre un miliardo di lire, fu tolto alle coopera- tive rosse di Reggio Emilia e affidato a un impresario edile di Torino. Rice- vetti parecchie intimidazioni. Di lì a poco il costruttore fu rapito. Non è più tornato a casa». Quanti sono i terroristi che sconta- no una pena in carcere per i loro delitti? «Un’ottantina, credo. Meno dei lati- tanti, almeno un centinaio, rifugiati quasi tutti in Francia, che non vi so- no mai entrati». E quanti sono all’ergastolo? «Li hanno fatti uscire tutti. La prigio- ne è solo una zona transiti. Vanno a lavorare fuori, dormono a casa. I 18 giorni di permesso annuale gli ven- gono addirittura scalati dalla pe- na». Hanno scarcerato anche quelli che non si sono ravveduti? «Altroché. Renato Curcio non s’è né pentito né dissociato». Però non ha mai ucciso. «Uno condannato per concorso in omicidio, lei come lo chiama? Io lo chiamo assassino. Curcio fu il man- dante dei primi due delitti delle Bri- gate rosse. Il 17 giugno 1974, nella sede del Msi a Padova, per colpa sua furono uccisi i militanti di destra Graziano Giralucci e Giuseppe Maz- zola, che lasciarono due vedove e cinque figli orfani. Questa è senten- za dello Stato, passata in giudicato». Chi è il peggiore di tutti? «Per la loro falsità disprezzo Valerio Morucci e Adriana Faranda, gli aguzzini di Moro che furono ricevuti dal presidente Cossiga. La Faranda, in particolare, disse che voleva ripa- rare al male compiuto devolvendo alle famiglie delle vittime il ricavato della vendita di un appartamento che stava per ereditare. Una duplice menzogna, giacché, avendo perso i diritti civili, non poteva accedere al- l’eredità, e in ogni caso la legge di- spone che in primis il condannato debba risarcire lo Stato. Un modo per fare bella figura a nostre spese sui giornali. Le obiettai: perché non regala l’alloggio a un’associazione che assiste i disabili? Mai avuta ri- sposta». Che cosa pensa del fatto che questi signori vengano di continuo intervi- stati dai giornali, ospitati nei salot- ti televisivi, invitati a tenere confe- renze nelle scuole? «Sono inorridito. Oreste Scalzone e Toni Negri da Parigi predicano anco- ra, stavolta dal video, la liceità della lotta armata. A Milano nel 2002 ha preso il via un cantiere, coordinato da Curcio con la partecipazione di lavoratori di varie aziende, sui “di- spositivi relazionali totalizzanti al- l’opera nelle grandi catene della di- stribuzione commerciale e sulle ri- sposte di sopravvivenza a tali dispo- sitivi”. L’anno dopo questo cantiere ha riaperto i lavori per “affrontare il nodo del dominio aziendale attraver- so la flessibilità, con i malesseri che esso genera”. Sembra di leggere i lo- ro comunicati di trent’anni fa, il lin- guaggio è lo stesso». Sergio D’Elia, ex dirigente di Pri- ma linea, è stato eletto in Parla- mento. L’Unione lo ha nominato se- gretario della Camera. «Se Fausto Bertinotti mi ricevesse a Montecitorio e incrociassi nei corri- doi D’Elia, me ne andrei subito, que- sto è poco ma sicuro. Badi bene, io non contesto agli ex terroristi il dirit- to a rifarsi una vita dopo aver salda- to il debito con la giustizia, bensì la loro spudoratezza nel pretendere di ricoprire ruoli pubblici, incuranti dell’immenso dolore che hanno se- minato. C’è un solo modo per chiude- re questa terribile pagina di storia: riconoscano, una volta per tutte, d’aver sbagliato senza attenuanti. E la smettano con le distinzioni cavillo- se fra reati di sangue e reati politi- ci». Li mette sullo stesso piano? «Certo. Ho avuto colleghi d’ufficio che anni dopo sono venuti a chieder- mi scusa perché erano stati telegrafi- sti di Prima linea. Bravi! A una confe- renza che ho tenuto a Vercelli, alcu- ni pensionati in sala hanno ammes- so: “È vero, alla Fiat Rivalta i brigati- sti rossi stavano con noi alla catena di montaggio”. E voi che cosa faceva- te mentre quelli sparavano e am- mazzavano? Niente. Allora siete complici». Perché entrò nella Dc? «Sono cresciuto all’oratorio. Servi- vo la messa a don Costantino Maren- go, un antifascista coraggiosissimo, che nel 1945 per salvare la vita a un repubblichino, certo Viarengo, cat- turato dai partigiani, non esitò a ir- rompere nella caserma di via Bolo- gna, pistola in pugno, intimando: “Quell’uomo è mio. Consegnateme- lo!”. Io ero tredicenne e avevo già la tessera del partito, firmata da Alci- de De Gasperi». Flaminio Piccoli mi confessò che Curcio, prima di fondare le Br, lavo- rò per la Dc a Trento. «Di Piccoli non ho mai avuto simpa- tia. Ero fanfaniano». Piccoli gli fece persi- no avere attraverso suor Teresilla Barillà 20 milioni di lire, frut- to di una tangente pa- gata a Enrico Panche- ri, presidente dell’Au- tobrennero. «L’ho conosciuta suor Teresilla. Secondo me aveva tutte le stimma- te tranne quelle della religiosa. Volle incon- trarmi in un caffè di Roma, zona piazza Ve- nezia. Mi faceva stra- ne domande sull’asso- ciazione, insisteva per- ché intervenissi in fa- vore dei terroristi dete- nuti. Ebbi l’impressio- ne che lavorasse per i servizi segreti». Ad Hammamet, un anno prima di mori- re, Craxi mi rivelò che il presidente Leo- ne era pronto a firma- re la grazia per Paola Besuschio, la compa- gna detenuta che le Br volevano scambia- re con Moro, ma un leader dc di lungo cor- so, anzi lunghissimo, all’ultimo mi- nuto pose il veto. La circostanza trova conferma nei diari di Fanfa- ni. Ed è lo stesso nome che mi ave- va fatto anche Piccoli. «Se è il nome al quale penso anch’io, temo che sia vero». Conosce la vedova di Moro? «L’ho incontrata a Torrita Tiberina, dove lo statista è sepolto, dieci anni dopo l’assassinio. M’è sembrata una donna ancora in attesa di sapere la verità. Ma se non c’è arrivata l’Ame- rica per i due Kennedy...». Fece bene lo Stato a non piegarsi al ricatto delle Br? «Per anni ho creduto che bisognas- se rifiutare qualsiasi trattativa con i terroristi. Oggi mi sono convinto che non sia affatto giusto. Moro andava salvato. La vita è più importante. Un uomo, un marito, un padre di fami- glia, viene prima di tutto, anche dei principii. Troppi politici ho sentito inneggiare ai principii, e poi erano i primi a non rispettarli». (361. Continua) [email protected] , , Maurizio Puddu assistito dalla moglie Nives in ospedale nel 1977. Uno dei tre attentatori perse la vita a Genova tre anni dopo TIPI ITALIANI Dante Di Blasi vorrebbe incontrarmi Ero a terra, lo imploravo: «Per favore, basta», ma lui continuava a sparare. Oggi fa il campanaro e dice che avrebbe potuto benissimo uccidermi. La complice Nadia Ponti, sei omicidi e cinque ergastoli, è a casa da anni Puddu parla a un incontro della Dc pochi mesi prima dell’attentato. «Avevo la tessera già a 13 anni, firmata da De Gasperi» «Ho ancora i proiettili nelle gambe Non do la mano ai brigatisti rossi» È presidente dell’Associazione vittime del terrorismo. Trent’anni fa fu gambizzato con la pistola dell’esercito zarista che uccise Croce e Casalegno. Per lo shock, sua moglie s’ammalò: operata quattro volte La misericordia appartiene solo a Dio La giustizia è dello Stato, il perdono è degli uomini, però non va esternato. Mi sento pedinato e ho paura anche dei petardi. Curcio predica in fabbrica come allora, ma la Faranda è peggio. Su Moro sbagliai: bisognava salvarlo SERVIRE IL POPOLO Maurizio Puddu, 75 anni, ex consigliere provinciale della Dc a Torino, mostra un’intervista rilasciata all’«Unione Sarda» da Dante Di Blasi, uno dei tre brigatisti rossi che gli tesero l’agguato nel 1977. L’ex terrorista racconta: «Dovevamo servirlo in mattinata, ma poi fu rinviato al pomeriggio» MAURIZIO PUDDU 8 Interni il Giornale Domenica 28 gennaio 2007

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STEFANO LORENZETTO

I l democristiano torinese abitantein corso Unione Sovietica cadde,quasiperunanemesi storica, sot-

to i colpi della Nagant calibro 7,62che era in dotazione all’esercito del-lo zar, fabbricata in Urss e in Ceco-slovacchia fino alla seconda guerramondiale. Di sicuro i brigatisti rossinon l’avevano ereditata dalla scortadi Nicola II. Era il 13 luglio 1977.Con quella pistola, ad aprile gli stes-si terroristi avevanoammazzatoFul-vioCroce, presidentedell’Ordine de-gli avvocati. Con lamedesima arma,a novembre avrebbero assassinatoCarlo Casalegno, vicedirettore dellaStampa. Contro Maurizio Puddu,consigliere provinciale, esplosero16 colpi. Sette andarono a segno.Uno è ancora nella gamba destra eci rimarrà per sempre, appena so-pra il ginocchio, accanto a una lami-na metallica fissata da 18 viti chetiene insieme i resti del femore.Sono passati 30 anni, ma Puddu,

che un mese fa ne ha compiuti 75,non dimentica. Non può dimentica-re,neppure se lo volesse: ognimatti-na, per entrare nella sede dell’Asso-ciazione italiana vittime del terrori-smo di cui è fondatore e presidente,deve salire uno scalino di 27 centi-metri, quasi il doppio dei gradininormali. «Da allora mi manca l’ap-poggio, credod’aver superato l’osta-colo e invece il piede è ancora a me-tà. Sapesse quante volte sono ruzzo-lato per terra, spaccandomi la fac-cia».Quel giorno, mentre boccheggia-

va sull’asfalto con l’arteria femoralerecisa, la portinaia dello stabile ten-tò d’avvicinarsi per tamponargli leferite. Un brigatista la dissuase spa-randole due colpi fra i piedi. «Al-l’ospedale il medico di guardia sen-tenziò: “Pressione a 50, è spaccia-to”. Invece una delle pallottole s’erainfilata dentro l’arteria e fungevadatappo. Un miracolo. Piero Coggiola,dirigente della Lancia di Chivasso,per una ferita analogamorì dissanguato».La moglie di Puddu,

Nives, il giornodell’at-tentato si trovavaaRo-ma col figlio Massimo.Nel 1977 le notizienonarrivavano sui tre-ni in viaggio. Quandogiunse alla stazione diPorta Nuova e videcheadattenderlaal bi-nario c’era l’altro fi-glio, Andrea, insiemecon i cronisti France-sco Bullo della Stam-paeGiuseppeSangior-gio della Gazzetta delPopolo, attorniati daunnugolodi fotorepor-ter, urlò: «Me l’hannoammazzato!».Nel tra-gitto verso l’ospedaleMauriziano tentaronoinvano di tranquilliz-zarla. Solo quando lefecero infilare il corri-doio che portava allarianimazione, anzichéall’obitorio, si convin-se che c’era ancorasperanza. Il terribilespavento le fece cessa-re per sempre il ciclomestruale. Il conseguente disequili-brioormonale leprovocòunagravis-sima osteoporosi. Nell’anca destradovettero impiantarle due protesi,un’altra nell’anca sinistra, due nelledita. A salvargli le mani fu il profes-sorRenzoMantero, primarioaSavo-na. «Rifiutò l’onorario: “Lei ha giàdato”», si commuove Puddu.A decidere di gambizzare «questo

individuo della cricca dc», come an-nunciava il comunicatodi rivendica-zione, fu lo stato maggiore compo-sto dai brigatisti che unmese primaavevanoazzoppato IndroMontanel-li (Lauro Azzolini e Franco Bonisoli)e che l’anno dopo avrebbero rapitoe ucciso Aldo Moro (Mario Moretti,Prospero Gallinari, Valerio Moruc-ci). Il sinedrio comprendevaPatrizioPeci, che sarebbe diventato il primopentitonella storiadel partito arma-to, e la sua compagna Nadia Ponti,in seguito accusata dallo stesso Pecidi sei omicidi nella sola Torino (oltreaCroce eaCasalegno, i poliziotti Ro-sario Berardi, Salvatore Lanza, Sal-vatore Porceddu e la guardia carce-rariaLorenzoCotugno). «LaPonti fa-

cevaparte del commandodi tre per-sone che mi ferì. Le hanno inflittocinque ergastoli, ma da parecchiotempoèacasasua, agli arresti domi-ciliari. In carcere ha sposato un bri-gatista. Gli altri due sicari erano Lo-renzo Betassa e Dante Di Blasi, ope-rai della Fiat. Furono tutti condan-nati a quattro anni. Betassa non liha mai scontati, perché nel 1980 fuucciso durante l’irruzione dei cara-binieri nel covo di via Fracchia a Ge-nova. Una sorella della Ponti, diri-gente al Comune di Torino, dove la-voravo anch’io, venne a scusarsi.Avresti fatto meglio a non dirmi diquesta parentela, le risposi».LaProvincia che servì finoall’effu-

sionedel sanguehamesso adisposi-zione di Puddu una polverosa stan-zetta di 20 metri quadrati, ingom-bra di carte, dove il presidente del-l’Associazione vittime del terrori-smoaggiorna la contabilità del dolo-re e continua a inseguire i colpevoli

con la perseveranza di un SimonWiesenthal. Ilmartirologio degli an-ni di piombo comprende 142morti e59 gambizzati. Nell’elenco non figu-rano i lutti più recenti: MassimoD’Antona, Marco Biagi, EmanuelePetri. Includendo le stragi dal 1969al 1989, si arriva a 5.000 attentati,con 455 caduti e 4.529 feriti.In questo bugigattolo è giunta a

Puddu la notizia che l’azzoppacri-stiani Di Blasi, nome di battagliaLeo, sardo come lui, a 56 anni fa ilcampanaro vicino a Orgosolo e vor-rebbe tanto «stringergli la mano eguardarlo in faccia per la prima vol-ta».Le sparò senza guardarla?«Per lui non ero nemmeno una per-sona, come ha dichiarato all’UnioneSarda: “Puddu nonmi rappresenta-va nulla al di fuori del bersaglio dacolpire.Mi avesserodettodi ammaz-zarlo, l’avrei ammazzato, ma avevol’ordine di gambizzarlo. Dovevamoservirlo inmattinata. Poi, per ragio-ni che orami sfuggono, fu rinviato alpomeriggio”. Servirlo, ha capito?».Il lessico non è cambiato.

«Mi ha telefonato un giornalista delquotidiano di Cagliari. Voleva orga-nizzare la stretta di mano. “Cosa siprovamentre si spara a un uomo?”,hachiesto il cronista aquestoDiBla-si. E lui: “Niente, io non provavo as-solutamente niente. Nessuna emo-zione e neanche pietà. Non lo cono-scevo ma mi avevano detto che eraun amico da abbattere: per me ba-stava questo. Avrei sparato controchiunque: era l’organizzazioneade-cidere i bersagli. Io ero un esecuto-re”. Ma si può?».Non gli stringerà lamano.«No. Mai. La misericordia è di Dio,la giustizia è dello Stato, il perdono èdegli uomini».E lei non l’ha perdonato.«Non voglio parlarne. Il perdono èun fatto intimo che non va esterna-to. Io sono tenuto a un solo obbligo:il rispetto deimorti. Ogni tanto ima-gistrati mi chiamano per chiedermiunparere sulle scarcerazioni deide-

tenuti. Non capiscoperché. Tanto, nono-stante la mia opposi-zione, li liberano lostesso».Perché i brigatistiscelsero proprio lei?«Non l’ho mai capito.Mi diedero del servodelle multinazionali.Proprio a me, chenon ho mai bevutounaCoca-Cola.Disse-rochecercavo il dialo-go fra Dc e Pci, mi de-finirono “berlingue-riano”. Io mancom’ero accorto che ilmio partito dialogavacon i comunisti, pensiun po’ che ingenuo.Lo venni a sapere dalloro volantino. Miamoglie, al telefono daRoma, m’aveva mes-so in guardia: “Han-no ferito Antonio Si-billa, segretario ligu-redellaDc.Sta’ atten-to, qui sparano a tut-ti”. E io che c’entro?,obiettai».Come andò?«Tornavo a casa alle

14.30. Appena parcheggiata la mia124, vedoquesti tre. Li credevopiaz-zisti. Uno s’avvicina, era Betassa,estraequalcosadalla borsa.Nonca-pisco che è una pistola e non sentoalcun rumore: aveva messo il silen-ziatore. Avverto una fitta lancinanteal ginocchio. Tento di ripararmi fradue auto. La gamba cede e sbattocon la faccia contro la carrozzeriaincandescente di una Volkswagenparcheggiata al sole. La pelle cuoce-va sulla lamiera.Mi spara un secon-docolpo, chevienedeviatodalporta-foglio nella tascaposteriore dei pan-taloni. Sopraggiunge un complice,era Di Blasi, e mi colpisce più voltecon la sua Nagant. “Per favore, ba-sta”, lo imploro, ma il tamburo delrevolver continua a girare. Scappa-no. Un dentista, chiamato dalla por-tinaia, tenta di fermare l’emorragiacon un laccio e una borsa ghiaccia-ta. Per fortuna l’ospedale era a soli300metri.Ma i chirurghi non dispo-nevano di un bypass per l’aorta fe-morale. Lo portò da Milano, corren-do comeundisperato, un carabinie-

re motociclista, che scoppiò a pian-gere quando gli annunciarono chenon serviva più».Credeva che lei fossemorto.«Sì. Invece il professor Aschieri nelfrattempo era riuscito a creare unbypassprelevandomidall’altragam-ba cinque centimetri di vena safenae innestandomela sull’arteria femo-rale troncata dal proiettile».Oltre a essere claudicante, ha altridisturbi?«L’osso sacro s’è deformato. L’im-possibilità di fare esercizio fisico mihaprovocatoobesità, duodeniteeal-terazione della frequenza cardia-ca».Ripercussioni psicologiche?«La sensazione d’essere sempre pe-dinato da qualcuno. Lo scoppio diun petardo mi fa salire il cuore ingola. Per me la notte di San Silve-stro, con tutti quei mortaretti, è unanticipo d’inferno».Lo Stato le versa una pensione?«No. Dopo 13 anni mihariconosciutoun’in-validità del 55% e unrisarcimentodi 80mi-lioni di lire. Ho dovu-to sottopormi a 40 ra-diografie. All’ultimodi cinque ricoveri,presso l’ospedalemili-taredel Celio aRoma,la commissionemedi-ca era presieduta daun ammiraglio dellaMarina che s’è indi-gnato: “Non bastava-no i proiettili nellegambe?Anche radio-attivoa furia di scher-mografie, dovevatefarlo diventare”».L’invaliditànon le dàdiritto a un assegnomensile?«Il vitalizio di 1.500euro, non reversibile,è arrivato soltantodue anni fa, dopo unabattaglia condottadalla nostra associa-zione. Ma chi haun’invalidità inferio-re al 25% non lo per-cepisce.E ilministerodel Tesoro respingegli ordini di pagamento dei nuovi vi-talizi, decisi dalministero dell’Inter-no, con la giustificazione che il capi-tolo di spesa è vuoto. Insomma, pernoi vittime i soldi non ci sonomai».Ha più ricevutominacce?«Per anni, fino al 1997. Telefonateanonime notturne: “Sei stato colpitouna volta, la prossimamireremo al-la testa”. Ma gli investigatori soste-nevano che non era nelle abitudinidelleBr fare così, che i terroristi nonsi ripetono. Come Paganini».Dunque, chi poteva essere?«Nel 1987 fui nominato revisore deiconti dell’ospedale Maria Vittoriadell’Asl 3. Scoprii che la spesa per lasopraelevazione di un edificio erastata gonfiata. L’appalto, oltre unmiliardodi lire, fu tolto alle coopera-tive rosse di Reggio Emilia e affidatoaun impresario edilediTorino.Rice-vetti parecchie intimidazioni. Di lì apoco il costruttore fu rapito. Non èpiù tornato a casa».Quanti sono i terroristi che sconta-no una pena in carcere per i lorodelitti?

«Un’ottantina, credo. Meno dei lati-tanti, almeno un centinaio, rifugiatiquasi tutti in Francia, che non vi so-nomai entrati».E quanti sono all’ergastolo?«Lihanno fatti uscire tutti. Laprigio-ne è solo una zona transiti. Vanno alavorare fuori, dormono a casa. I 18giorni di permesso annuale gli ven-gono addirittura scalati dalla pe-na».Hanno scarcerato anche quelli chenon si sono ravveduti?«Altroché. Renato Curcio non s’è népentito né dissociato».Però non hamai ucciso.«Uno condannato per concorso inomicidio, lei come lo chiama? Io lochiamo assassino. Curcio fu il man-dante dei primi due delitti delle Bri-gate rosse. Il 17 giugno 1974, nellasede delMsi a Padova, per colpa suafurono uccisi i militanti di destraGraziano Giralucci e GiuseppeMaz-zola, che lasciarono due vedove e

cinque figli orfani. Questa è senten-zadello Stato, passata in giudicato».Chi è il peggiore di tutti?«Per la loro falsità disprezzoValerioMorucci e Adriana Faranda, gliaguzzini diMoro che furono ricevutidal presidente Cossiga. La Faranda,in particolare, disse che voleva ripa-rare al male compiuto devolvendoalle famiglie delle vittime il ricavatodella vendita di un appartamentoche stavaper ereditare. Unaduplicemenzogna, giacché, avendo perso idiritti civili, non poteva accedere al-l’eredità, e in ogni caso la legge di-spone che in primis il condannatodebba risarcire lo Stato. Un modoper fare bella figura a nostre spesesui giornali. Le obiettai: perché nonregala l’alloggio a un’associazioneche assiste i disabili? Mai avuta ri-sposta».Che cosa pensa del fatto che questisignori venganodi continuo intervi-stati dai giornali, ospitati nei salot-ti televisivi, invitati a tenere confe-renze nelle scuole?«Sono inorridito. Oreste Scalzone eToniNegri daParigi predicanoanco-

ra, stavolta dal video, la liceità dellalotta armata. A Milano nel 2002 hapreso il via un cantiere, coordinatoda Curcio con la partecipazione dilavoratori di varie aziende, sui “di-spositivi relazionali totalizzanti al-l’opera nelle grandi catene della di-stribuzione commerciale e sulle ri-sposte di sopravvivenza a tali dispo-sitivi”. L’anno dopo questo cantiereha riaperto i lavori per “affrontare ilnododeldominioaziendaleattraver-so la flessibilità, con i malesseri cheessogenera”. Sembradi leggere i lo-ro comunicati di trent’anni fa, il lin-guaggio è lo stesso».Sergio D’Elia, ex dirigente di Pri-ma linea, è stato eletto in Parla-mento.L’Unione lohanominato se-gretario della Camera.«Se Fausto Bertinotti mi ricevesse aMontecitorio e incrociassi nei corri-doiD’Elia,meneandrei subito, que-sto è poco ma sicuro. Badi bene, iononcontesto agli ex terroristi il dirit-to a rifarsi una vita dopo aver salda-to il debito con la giustizia, bensì laloro spudoratezza nel pretendere diricoprire ruoli pubblici, incurantidell’immenso dolore che hanno se-minato.C’èunsolomodoperchiude-re questa terribile pagina di storia:riconoscano, una volta per tutte,d’aver sbagliato senza attenuanti. Ela smettano con ledistinzioni cavillo-se fra reati di sangue e reati politi-ci».Limette sullo stesso piano?«Certo. Ho avuto colleghi d’ufficiocheanni dopo sono venuti a chieder-mi scusaperchéerano stati telegrafi-sti diPrima linea.Bravi!Aunaconfe-renza che ho tenuto a Vercelli, alcu-ni pensionati in sala hanno ammes-so: “È vero, alla FiatRivalta i brigati-sti rossi stavano con noi alla catenadimontaggio”.Evoi checosa faceva-te mentre quelli sparavano e am-mazzavano? Niente. Allora sietecomplici».Perché entrò nella Dc?«Sono cresciuto all’oratorio. Servi-vo lamessaadonCostantinoMaren-go, un antifascista coraggiosissimo,che nel 1945 per salvare la vita a unrepubblichino, certo Viarengo, cat-turato dai partigiani, non esitò a ir-rompere nella caserma di via Bolo-gna, pistola in pugno, intimando:“Quell’uomo è mio. Consegnateme-lo!”. Io ero tredicenne e avevo già latessera del partito, firmata da Alci-de De Gasperi».Flaminio Piccoli mi confessò cheCurcio,primadi fondare leBr, lavo-rò per la Dc a Trento.«Di Piccoli non ho mai avuto simpa-

tia. Ero fanfaniano».Piccoli gli fece persi-no avere attraversosuor Teresilla Barillà20milioni di lire, frut-todiuna tangentepa-gataaEnricoPanche-ri, presidentedell’Au-tobrennero.«L’ho conosciuta suorTeresilla. Secondo meaveva tutte le stimma-te tranne quelle dellareligiosa. Volle incon-trarmi in un caffè diRoma, zonapiazzaVe-nezia. Mi faceva stra-ne domande sull’asso-ciazione, insistevaper-ché intervenissi in fa-voredei terroristi dete-nuti. Ebbi l’impressio-ne che lavorasse per iservizi segreti».Ad Hammamet, unanno prima di mori-re, Craxi mi rivelòche il presidente Leo-neeraprontoa firma-re la grazia per PaolaBesuschio, la compa-gna detenuta che leBr volevano scambia-re con Moro, ma unleaderdcdi lungocor-

so, anzi lunghissimo, all’ultimomi-nuto pose il veto. La circostanzatrova conferma nei diari di Fanfa-ni. Ed è lo stesso nome che mi ave-va fatto anche Piccoli.«Seè il nomeal qualepensoanch’io,temo che sia vero».Conosce la vedova diMoro?«L’ho incontrata a Torrita Tiberina,dove lo statista è sepolto, dieci annidopo l’assassinio.M’è sembrataunadonna ancora in attesa di sapere laverità.Ma senon c’è arrivata l’Ame-rica per i due Kennedy...».Fecebene lo Stato anonpiegarsi alricatto delle Br?«Per anni ho creduto che bisognas-se rifiutare qualsiasi trattativa con iterroristi. Oggimi sono convinto chenon sia affatto giusto. Moro andavasalvato. La vita è più importante. Unuomo, un marito, un padre di fami-glia, viene prima di tutto, anche deiprincipii. Troppi politici ho sentitoinneggiare ai principii, e poi erano iprimi a non rispettarli».

(361. Continua)[email protected]

,‘ ,MaurizioPudduassistito dallamoglie Nivesin ospedalenel 1977. Unodei treattentatoriperse la vitaa Genovatre anni dopo

TIPI ITALIANI

Dante Di Blasi vorrebbe incontrarmiEro a terra, lo imploravo: «Per favore,basta», ma lui continuava a sparare.Oggi fa il campanaro e dice cheavrebbe potuto benissimo uccidermi.La complice Nadia Ponti, sei omicidie cinque ergastoli, è a casa da anni

Puddu parlaa un incontrodella Dcpochi mesiprimadell’attentato.«Avevola tessera giàa 13 anni,firmata daDe Gasperi»

«Ho ancora i proiettili nelle gambeNon do la mano ai brigatisti rossi»

Èpresidente dell’Associazione vittimedel terrorismo. Trent’anni fa fu gambizzatocon la pistola dell’esercito zarista cheuccise Croce e Casalegno. Per lo shock, suamoglie s’ammalò: operata quattro volte

La misericordia appartiene solo a DioLa giustizia è dello Stato, il perdonoè degli uomini, però non va esternato.Mi sento pedinato e ho paura anchedei petardi. Curcio predica in fabbricacome allora, ma la Faranda è peggio.Su Moro sbagliai: bisognava salvarlo

SERVIRE IL POPOLOMaurizio Puddu, 75 anni,ex consigliere provincialedella Dc a Torino, mostra

un’intervista rilasciataall’«Unione Sarda» da

Dante Di Blasi, uno dei trebrigatisti rossi che gli

tesero l’agguato nel 1977.L’ex terrorista racconta:

«Dovevamo servirlo inmattinata, ma poi fu

rinviato al pomeriggio»

MAURIZIO PUDDU

8 Interni il Giornale � Domenica28gennaio2007