Piccola raccolta di racconti e ricette… · penzoloni che non arrivavano ai comandi (perché a...

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Piccola raccolta di racconti e ricette… ..ispirata dai ricordi ed esperienze di alcuni cittadini del quartiere Certosa-Garegnano 1

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Piccola raccolta di racconti e ricette…

..ispirata dai ricordi ed esperienze dialcuni cittadini del quartiere

Certosa-Garegnano

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Ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia

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PremessaLa cucina fa parte della nostra storia, di quello che abbiamo vissuto e delle tradizioni che ci sono state tramandate dalle nostre madri.Infatti, le ricette ci accompagnano in ogni luogo e ci fanno sentire a casa nostra anche quando siamo lontani. Chi di noi in un viaggio turistico in un paese più o meno lontano non ha ceduto alla tentazione di cercare sul luogo un ristorante italiano? Per sentirci un po’ meno lontani, degustando i sapori di casa nostra?

Basta il profumo di un cibo per risvegliare in noi emozioni e ricordi di esperienze vissute anche molto tempo prima, magari nell’infanzia. Ricette che sbocciano dalla memoria ed il palato ricorda lontane golosità da rinnovarePer questo abbiamo chiesto ai concittadini del nostro quartiere di inviarci ricette e racconti legati a piatti particolari che stanno nel loro cuore, tipici della loro famiglia o di occasioni speciali.

L’idea è stata quindi quella, non tanto di creare un ricettario - che non potrebbe del resto competere con quelli importanti di alta cucina - ma appunto di destare emozioni e la voglia di condividerle con altri, tramite questa pubblicazione

Speriamo di aver suscitato con questa piccola cosa l’interesse di molti di voi con l’obiettivo di ripetere magari un’ esperienza simile su altri temi.

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La strada della fameLa mia ricetta nasce nella “strada della fame”.Alle tre del mattino, caricati sul carretto trainato dal nostro infedele mulo “Monaco”, ci avviavamo verso il podere (campo di grano pronto per il raccolto del mese di giugno) distante circa 25 Km dal paese dove vivevo con tutta la mia famiglia.A circa metà percorso, dopo due ore di viaggio, io e le mie sorelle ci svegliavamo e ciò accadeva sempre nello stesso punto del tragitto, cioè quando, dopo una svolta, cominciava un lungo rettilineo, ed ecco improvvisamente la nostra fame.“Cosa mangiamo mamma ?”chiedevamo noi impazienti di mangiare“Pasta e rucola selvatica” ci rispondeva nostra madre “guardate che bella rucola, la raccogliamo e quando arriviamo faccio della pasta Pezzelle (maltagliati), un sugo di pomodori freschi e ce la gustiamo!” continuava mia madre “Bleeee che schifo !!” era il nostro commento.A quel punto la mamma ci descriveva la preparazione sino al punto che ne sentivamo il profumo.“Bene, mamma, ci hai convinti; raccogliamo la rucola insieme!” era allora il nostro commento

Antonio Ragni4

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Pezzelle (maltagliati) alla rucola selvatica con sugo di pomodoro

Ingredienti1 mazzetto di rucola (possibilmente selvatica)1 cipollaPomodori pelati in scatola o perini freschiPasta maltagliati o un tipo a vostra scelta (quantità in base alla vostra abituale dose di pasta a testa)

Preparazione

Prendete la parte alta della rucola (la più tenera), lavatela e cuocetela in abbondante acqua.A parte preparate un soffritto di cipolle e schiacciateci i pomodori dentro (non tagliateli, ma schiacciateli con le dita; avranno un altro sapore!)Salate “a gusto” il sugo. Quando la rucola è a metà cottura mettete a cuocere la pasta, i maltagliati o un altro tipo di pasta da Voi scelta, insieme alla verdura.Appena pronta scolatela e condite con il sugo ancora liquido, non stracotto.

Antonio Ragni5

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Pasta e patate alla genovese in moto con papà Stesso viaggio verso il “podere”questa volta però più rilassante, divertente e soprattutto più veloce, con la moto di papà ! Eravamo in sella ad una MV AUGUSTA 125 CC, 2 tempi, 3 marce, io davanti seduto sul serbatoio della moto con le gambe a penzoloni che non arrivavano ai comandi (perché a 10/11 anni non si è abbastanza cresciuti in altezza per guidare la moto di papà) però al manubrio ci arrivavo ed era una festa per me quando, appena fuori paese, da dietro mi giungeva il via per prendere i comandi: dimenticavo tutto tranne la svolta ed il lungo rettilineo da dove iniziava la “strada della fame” ma stavolta non c’era il tempo di raccogliere la rucola selvatica… già…“Cosa si mangia papà?”chiedevo io affamato“Pasticcio di papà” rispondeva lui sicuro“E che cos’è?” ribattevo io un po’ diffidente“Pasta e patate alla genovese” diceva papà “E come la prepari?” chiedevo ormai deciso ad indagare fino in fondo su ciò che avrei mangiatoLo vedrai quando la prepareremo” diceva mio padre cercando di essere misterioso“Va be’ ci rinuncio tanto tra un quarto d’ora arriviamo a destinazione e lo scoprirò…” pensavo io rassegnatoLa MV AUGUSTA 125 CC, 2 tempi, 3 marce, parcheggiata sotto il portico emanava un odore d’olio bruciato misto alla polvere della strada bianca appena percorsa. Io ero esausto, con le braccia a pezzi a causa delle numerose buche che avrei dovuto evitare, però era comunque una gioia preparare il pasticcio di papà.Niente di complesso: pasta e patate alla genovese. Uno spettacolo d’alta cucina !“ Ma quando sei stato a Genova?” chiedevo io curioso “Mai” rispondeva lui e io pensavo “forse ha conosciuto qualche genovese in prigionia in Libia durante l’ultima guerra, oppure è una ricetta di mamma, lei sì che ci sa fare in cucina……ma questa è un’altra storia…."

Antonio Ragni6

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Pasta e patate alla genovese

Ingredienti

Patate ( 1 a testa di medie dimensioni)Cipolle ( 1 a testa di medie dimensioni)Olio di oliva extra vergine q.b.Pasta: ditalini di media grandezza

Preparazione

Pelate le patate e tagliatele a crudo a cubetti.In abbondante acqua, in cui avrete messo del sale grosso, lessate i cubetti di patate e la pasta.A parte fate un abbondante soffritto di cipolle dorate in olio d’oliva.Scolate la pasta e condite con le cipolle dorate.

Antonio Ragni

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Piccola storia

Questa è una piccola storia di specialità ferraresi tramandate da secoli.

Vorrei presentarvi alcune specialità (uniche nel suo genere) della città di Ferrara. La salamina da sugo (conosciuta da 500 anni) La Ciupeta (il tipico pane locale) 1536 L’Anguilla di Comacchio, la cui storia si perde nei tempi.

La Salamina da sugo conserva ormai da 5 secoli un traguardo ineguagliato: buongustai, storici, critici, la ricordano come una tradizione tipica ferrarese che, se continuerà ad essere curata e perfezionata, rimarrà nei secoli.Le prime notizie di questo succulento piatto risalgono al XV secolo quando un tale Domenico venne accusato di aver usato sale di contrabbando per fare dei salami alla ferrarese.Lo storico Frizzi ritiene che i primi produttori della Salama fossero i porcaioli, montanari di Trento e Bormio, scesi nella valle del Po, dove poi si erano stabiliti nel ferrarese.La tipica forma della Salama è testimone della sua età.La divisione a spicchi era infatti un motivo ricorrente del vasellame del XV – XVI secolo.L’interno della salama costituito da carne scelta si chiamava investitura e ricorda i feudi numerosissimi nel territorio ferrarese.Letterati e storiografi hanno ricordato questa specialità nei loro scritti per esempio il francese Valere, che elencò le specialità di tutte le regioni italiane, di Ferrara ricordò: l’anguilla di Comacchio al sale, la salsiccia da sugo e il vino rosso di Codisoro.L’erudito ferrarese Luigi Napoleone Cittadella ricorda che la salama da sugo fu celebrata da quasi tutti i poeti italiani ed il primo fu il marchese Scipioni Sacrati che scrisse una specie di opera “La porcheide”.In effetti se la salama da sugo è così preziosa il merito è proprio della materia rpima da cui è composta; la carne di porco.

Flavio Pambianchi8

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La Ciupeta è una forma di pane definita da Riccardo Bacchelli la migliore del mondo. È sempre stata considerata il gioiello della produzione culinaria ferrarese.La sua origine è molto antica, in un banchetto Estense del 1536 viene presentato per la prima volta un pane ritorto con crostini.Nessuno ne ha mai scoperto il mistero della sua bontà; sarà l’acqua, l’aria, la sua lievitazione o le materie prime locali come lo strutto, fatto sta che è ritenuto inimitabile, un prodotto DOC.

Infine l’Anguilla di Comacchio.Questo pesce è diverso rispetto a tutte le altre specie del mondo; non è un pesce di mare, ne di acqua dolce, vive nelle valli un ambiente paludoso salmastro, particolare, unico.Una figura tradizionale della Comacchio di un tempo (chiamata una piccola Venezia per la sua caratteristica bellezza) era la cuocitrice di anguille.Era consuetudine cuocere le anguille sulla graticola, sotto il camino, per almeno 9 mesi all’anno.Nel lungo locale con tanti camini allineati lavoravano le donne che cuocevano l’anguilla allo spiedo; il locale era dell’Azienda Valli e qui si cuocevano i pesci quasi industrialmente.Le cuocitrici di anguille erano il vanto della marinatura del paese, che trova le sue origini in tempi lontanissimi.Nel 1709 assurgeva ad industria con la fondazione della Società dei Mercantini.

Flavio Pambianchi9

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Anguilla alla maniera di Comacchio

Ingredienti

1 kg di anguille medie300 gr. di cipolle1 spicchio d’aglio, olio extra vergine d’oliva, aceto di vino, salsa di pomodoro , sale, pepe

Preparazione

Pulire l'anguilla con la cenere posta su carta robusta da pescivendoli. Se ciò non è possibile, privarla delle interiora, lavarla e tagliarla a pezzi. Fare 1 trito di cipolla e aglio e soffriggerlo in olio. Spruzzare con aceto, far evaporare e unire salsa di pomodoro diluita in poca acqua tiepida in modo da ottenere 1 fondo di cottura di 2 dita. Aggiungere sale e pepe. Dopo 15 minuti unire l'anguilla e farla cuocere a fuoco basso per 30 minuti senza rimestare. Servirla con polenta abbrustolita.

Flavio Pambianchi11

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Antiche ricette ferraresi ereditate dalla zia Zila

A 18 anni, quando conobbi mio marito, dopo qualche mese di frequentazione, mi portò a Ferrara a conoscere sua zia Zila .Ricordo questa cascina, poco lontana dalle valli di Comacchio, abitata da una grande famiglia. Appena arrivata mi ritrovai in un grande cortile e vidi una gigantesca pentola su un enorme focolare fatto di pietra. Rimasi colpita per le dimensioni di quello che vedevo e la suggestione del luogo.

Chiesi subito a zia Zila cosa stesse cucinando e cosa c’era dentro in quell’enorme recipiente.Mi spiegò che stava bollendo vari tipi di carne che sarebbero servite per fare il ripieno dei cappelletti: quello che in dialetto ferrare viene chiamato Batù.Il mattino seguente la zia stava preparando la sfoglia: un impasto di uova e farina. Rimasi allibita nel vedere che venivano impiegate ben 20 uova!

Mi spiegò come confezionare il cappelletto:la sfoglia veniva tagliata a strisce e successivamente in quadretti. Ogni quadretto veniva poi riempito con un cucchiaio di batù e quindi chiuso a triangolo e mi insegnò la parte più difficile e cioè come dargli la forma.

Quella fu la mia prima lezione di cucina.Ritornata a Milano, iniziai a fare i cappelletti alla ferrarese e negli anni successivi zia Zila mi insegnò anche a fare i cappellacci e i tortellini.

Graziella Chiarini12

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Cappelletti ferraresi

Ingredienti (dosi per 300 cappelletti)

Per il ripieno 1 h ½ di polpotto ( carne magra di maiale)1 h ½ di vitello1 h ½ di petto di pollo1 h di salame da pentola 75 gr. di goletta di maiale2 h di formaggio grana grattugiato1 uovoNoce moscata, sale La sfoglia si prepara con 4 h di farina, 4 uova intere ed un pizzico di sale

Preparazione

Il “batù” si prepara cocendo le carni arrosto senza odori, oppure lessate, poi si tritano.Impastare il tutto con l’uovo, a seconda della grandezza e dell’umidità del trito, aggiungere eventualmente un cucchiaio di brodo per ricavarne un impasto omogeneo, consistente ma morbido.Impastare e tirare la sfoglia di uno spesore di 1 mm. Poi tagliare, prima a strisce, poi le strisce in quadrati, al centro dei quali si metterà un cucchiaio di ripieno che le massaie ferraresi chiamano “batù”.Unire due punte non contigue del quadrato in modo da ricavarne un triangolo ripieno. Le due punte libere si uniranno tra loro avvolgendo il triangolo delicatamente attorno ad un dito: ecco il cappelletto di Ferrara.I cappelletti possono essere serviti asciutti o in brodo. Se si vorranno cuocere in brodo, bisognerà diminuire le dosi della metà.E’ antica tradizione fare il brodo con il cappone.Graziella Chiarini

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Frittelle di polenta

Ingredienti

1kg di farina gialla fine con la quale preparare una polenta ¼ di latte17/18 cucchiai di zuccheroAbbondante parmigiano grattugiato e pecorino grattugiatoLiquore d’anice (o a proprio gradimento)

Preparazione

Fare cuocere una bella polenta che poi si lascerà raffreddare. Tagliare la polenta a fette spesse. A parte sciogliere lo zucchero nel latte, aggiungere le uova sbattute, la buccia grattugiata dei limoni, il liquore, il parmigiano ed il pecorino in modo da ricavare una pastella cremosa.Passare ciascuna fetta prima in questa crema e poi nella farina e quindi friggere in abbondante olio.

Graziella Chiarini14

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La ciambella (brazadèla in dialetto ferrarese)

Questo semplice dolce veniva fatto già nel 1250 alla corte degli Estensi

Ingredienti

3 uova250 gr di zucchero500 gr. di farina150 gr di burro fuso1 bustina di lievito in polvere, latte se necessario

Preparazione

Battere le uova in una terrina con lo zucchero. Quando il composto sarà ben montato, unire poco per volta la farina ed il burro fuso ed eventualmente qualche cucchiaio di latte se l’impasto risultasse troppo duro, infine la bustina di lievito.Imburrare abbondantemente uno stampo con il buco, cospargerlo di farina e versare l’impasto.Spennellare la superficie con rosso d’uovo e mettere nel forno caldo per mezz’ora.Prima di mettere in forno potete guarnire la ciambella con zucchero in granelli bianchi o colorati (i diavolini)

Graziella Chiarini15

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Mistocchine (la mistuchina in dialetto ferrarese)

Ingredienti

300 gr di farina di castagneStrutto (pochissimo)Latte e sale

Preparazione

Mescolare accuratamente in una zuppiera la farina di castagne con un po’ di latte, un pizzico di sale e acqua quanto basta per ottenere un impasto abbastanza sodo.Con un pezzetto dell’impasto fare una palla ed appiattirla dandole una forma ovale caratteristica della mistocchina. Farne altre fino ad esaurimento della pasta.Cuocerle a fiamma viva, mettendole in una padella leggermente unta con lo strutto.Servirle calde.

Graziella Chiarini

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Il Castagnaccio (Tamplun antico nome ferrarese)

Ingredienti

500 gr di farina di castagneOlio d’olivaUn po’ d’acqua50 gr. uvetta sultanina (facoltativa)

Preparazione

Per arricchire la ricetta si può aggiungere dell’uvetta sultanina, ma i veri tamplun ferraresi non la prevedono.Versare in una zuppiera la farina di castagne con l’acqua ed eventualmente l’uvetta ben strizzata. Lavorare il tutto con un cucchiaio e lasciare poi riposare per alcune ore.Versare il castagnaccio a cucchiaiate nell’olio bollente e lasciare friggere.Quando le frittelle saranno pronte, scolarle dal grasso adagiandole su una carta assorbente.Si possono servire sia calde che fredde.

Graziella Chiarini17

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La domenica a pranzo dalla nonna

Quando ci si ritrovava tutti insieme, generalmente alla domenica, mia nonna (grande cuoca di cose semplici) si prodigava ben volentieri a “sfamare “ un’orda di volenterosi ed entusiasti commensali: era il momento più bello di tutta la settimana.

Lo si aspettava con piacere misto ad ansia, un po’ per la voglia di stare tutti insieme, ma anche, e specialmente, per assaporare quei piatti che, ora, a distanza di anni, ricordo ancora, perché mai nessuno è riuscito a rifarli come li faceva lei.Sono le cose belle e uniche di una vita lontana e molto diversa da quella attuale, che, devo confessare, molte volte rimpiango, anche se quella di oggi ti offre tante cose in più che, purtroppo, non hanno lo stesso (è il di dirlo) sapore.

Daniela Jacomelli18

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RICETTE PIEMONTESIPranzo completo

Zuppa grassa

Ingredienti:

gr. 200 pane di segalegr. 200 toma gr. 50 burrobacche di gineprocipollabrodosale, pepe, noce moscata

Preparazione

Spezzettare il pane di segale.In una casseruola fate sciogliere metà burro e la toma sminuzzata; unite il pane, fate insaporire mescolando per qualche minuto ed aggiungete 1 litro e mezzo di brodo con mezzo litro di acqua.Lasciate cuocere per 40 minuti a fuoco moderato e, pochi minuti prima che la zuppa sia pronta, fate soffriggere in casseruola con l’altra metà del burro una cipolla tritata finemente con poche bacche di ginepro e sale e, quando la cipolla è appassita, incorporate il soffritto nella zuppa.Controllate il sale, spruzzate di pepe e noce moscata e servite caldissima.

Daniela jacomelli19

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FricandòIngredienti:

gr. 700 di vitellogr. 50 lardogr. 25 burrotimo, rosmarino, laurovino bianco seccosale e pepe

Preparazione

In una casseruola fate rosolare la cipolla nel burro e fare sciogliere il lardo tritato finissimo, unite le erbe aromatiche e la carne tagliata a pezzetti, salate, pepate e lasciate insaporire, mescolando, per qualche minuto.Bagnate con due cucchiai di vino, coprite e finite di cuocere a fuoco basso.Servite accompagnando con patate tagliate a pezzetti e saltate nel burro.

Daniela Jacomelli20

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Funghi alla piemontese

Ingredienti:

gr. 500 funghi porcinigr. 100 burro4 acciughe salatecipolla, aglio, prezzemolovino bianco seccobrodofarinasale e pepe

Preparazione

Mondate i funghi dalla terra, asciugateli con un panno pulito ed affettateli.In una casseruola fate sciogliere 2/3 del burro, unite una cipollina, uno spicchio d’aglio ed un cucchiaio di prezzemolo tritati; quando l’insieme sarà appassito, aggiungete le acciughe dissalate e diliscate, mescolando bene sino a che saranno sciolte, poi mettete i funghi che lascerete insaporire a fuoco lento.In un’altra casseruola fate sciogliere il burro rimasto, amalgamate mezzo cucchiaio di farina e, versando a filo un bicchiere di vino bianco e mezzo di brodo, salate, pepate e mescolate sino ad ottenere una salsina liscia e cremosa.Quando i funghi sono cotti, amalgamate la salsina e dopo 3-4 minuti ritirate dal fuoco e servite subito.

Daniela Jacomelli21

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Sformato di riso e mele

Ingredienti:

kg. 1 melegr. 250 risogr. 250 zuccherogr. 25 burrolt. 1 lattelimonecannella in stecchesale

Preparazione

Sbucciate le mele togliendo loro il torsolo senza tagliarle; mettetele in casseruola con un terzo dello zucchero, un bicchiere di acqua e un pezzetto di cannella e fate cuocere a fuoco moderato senza che si disfino.In un’altra casseruola, in acqua bollente, fate scottare il riso per cinque minuti, scolatelo e con il burro, una scorzetta di limone ed il latte caldo, rimettetelo sul fuoco finché non sia cotto.Scolatelo, mettetelo in uno stampo, pressando bene e lasciate raffreddare.Sformatelo, cospargetelo con il fondo di cottura delle mele e mettete queste ultime tutt’intorno come guarnizione.

Daniela Jacomelli22

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La giornata del maialeDosso, un piccolo abitato inserito su un fianco dei colli piacentini, il paese della mia infanzia. Quattro case, sei famiglie, quaranta anime, sette galline e un maiale, già, il maiale. L’animale più importante per la sopravvivenza delle genti, l’animale che …non si butta via niente, l’animale sinonimo di sporcizia ma anche di infinite bontà culinarie; per me l’animale della festa. Quando si era poveri non vi erano altre feste che quelle cadenzate dall’attività contadina e i ricordi di quei giorni li porto sempre in un angolo della mia mente oramai incanutita. Alla giornata dell’uccisione del maiale partecipavano tutti, dal più piccolo che reggeva giocoso la coda del maiale alla persona più anziana che sminuzzava la carne per le salsicce. Ogni attimo derivava dagli insegnamenti che generazione dopo generazione i genitori trasmettevano ai propri figli, dai ritmi della natura, dal sudore dei campi, dal rispetto per la povertà.Nulla era casuale: il freddo che conserva le carni, l’acqua bollente che le ammorbidiva e aiutava a togliere la peluria, i coltelli speciali per sezionarne le parti e le aste di legno per vari usi.Anche il rito della verifica delle nostre mani svolto da Pedro il macellaio era un momento di eccitazione per me; troppo calde rovinavano la carne, troppo fredde non erano abbastanza agili, odoranti di sigaretta appena fumata avvelenavano la carne. Alla fine ognuno aveva un suo preciso ruolo a seconda delle sue mani.Il maialino lo si acquistava in primavera al mercato di Bettola trasportandolo in corriera chiuso in un sacco di iuta e lo si coricava nel suo giaciglio dove iniziava l‘ingrasso. Avanzi di cibo, ghiande, crusca mista ad acqua, pezzi di zucca, mele, e bucce di patata a volontà. Bisognava portarlo sino al peso di circa due quintali ma l’uccisione era legata soprattutto al tempo meteorologico che non permetteva di prolungare oltre i mesi rigidi tale operazione. La carne si manteneva solo con il grande freddo e gli insaccati si conservavano in una grande stanza riscaldata dal braciere.L’operazione di taglio delle carni avveniva in una stanza molto fredda posta accanto alla cucina e dopo, sempre in quella stanza, quando venivano appesi i salami la si riscaldava piano piano con un

Lella Polledri24

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braciere per “rompere” l’aria fredda. I salami venivano conservavano in quel luogo sino a che le corde si stringevano e solo allora, seguendo un processo completamente naturale di invecchiamento, era giunto il momento di portare quei profumati trofei in cantina.Il giorno dell’uccisone ci si alzava alle quattro del mattino, si accendeva il fuoco per far bollire cento litri di acqua che sarebbero stati utilizzati per eliminare le setole del maiale una volta ucciso. La parte meno festosa erano i versi strazianti dell’animale che intuiva la sua fine e che facevano dileguare spaventati gli animali da cortile, e a noi bambini nasconderci sotto le vesti delle nonne.Ucciso, appeso, raccolto il sangue, tolte le viscere, squartato e sezionato in ogni sua parte, con tutte le persone attorno a svolgere il proprio lavoro. Chi svuotava e lavava le budella, chi come me tritava la carne per preparare gli insaccati, chi faceva bollire il grasso per farne lo strutto, le cuoche che apparecchiavano per tutti i convitati mettendo in tavola polenta fumante e fegato di maiale.La soddisfazione si completava quando la stanza era finalmente in festa con queste corde appese ai ganci del soffitto ricche di dita di salsicce, coppe, cotechini e zamponi. Poi si preparavano le parti per le famiglie che avevano lavorato alla giornata del maiale dando loro un osso, ciccioli, sanguinaccio e cotechini. Ognuno di noi ha dei sapori legati ai ricordi che non si riescono più ad assaporare da nessuna parte, forse perché la memoria è ingannatrice, forse perché il tempo trasforma il ricordo di quei sapori di una volta rendendoli incompatibili con il palato di oggi.

Lella Polledri25

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San Rocco e la torta di patate

Come in tutti i paesi anche a Dosso ad agosto si festeggia San Rocco. Dopo la messa si faceva la processione portando la statua del santo morto il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379.Oltre alla statua con bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia, che sono i suoi ornamenti, le famiglie portavano un cestino di cibo contenete gallina lessa, pan dolce e, chi poteva, la torta di patate. Finita la processione ci si radunava tutti in un grande prato per consumare assieme il cibo, cantare e giocare, ed aspettare con emozione l’arrivo del carretto del gelato che acquistavo con la moneta risparmiata nei giorni precedenti.Nel prato c’era anche qualche piccola bancarella e i tavoli dell’osteria dove gli uomini, oltre a bere il vino nelle scodelle, passavano il tempo giocando alla morra.Oggi per fortuna tutto è più semplice da ottenere, il gelato lo si mangia tutti i giorni.Quello che mi manca? La ritualità delle tradizioni legate ai sapori.Ora proverò a formulare la ricetta legata al sapore di casa mia

Lella Polledri26

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Torta di patate

Ingredienti per 4 persone

2 kg di patate50 grammi di burro½ bicchiere di olio2 cucchiai di lardo pestatograna grattugiato in abbondanza2 porri3 etti farina biancasale q.b.

Preparazione

Lessare le patate e passarle al setaccio.Preparare il condimento mettendo in un tegame burro, olio, lardo, porri tagliati fini e sale, cuocere a fuoco lento, senza far soffriggere, sino a d imbiondire i porri.Mettere nella fontana di patate il condimento, il grana, sale, e lavorare il tutto sino a renderlo un impasto omogeneo.Preparare a parte la sfoglia impastando la farina con acqua e sale. Tirare la pasta e formare dei quadrati da 30 cm per lato.Sulla sfoglia ora si versa l’impasto di patate e si rialzano i bordi della sfoglia per formare una torta.Prendere del rosso d’uovo e spennellare il tutto prima di inserirlo nel forno.Cuocere per 30 minuti a 180° (meglio se il forno è a legna)

Lella Polledri

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Il libro cuore e la carne in pasticciata

Ne è passato di tempo, ma il ricordo è ancora vivo. Sì, è come se fossi ancora lì, seduta al grande tavolo della cucina con il mio libro “Cuore” che tanto mi emozionava da farmi venire certi nodi alla gola!Era sicuramente inverno, e sicuramente era prossimo il Natale, perché mia madre si dava da fare con un bel pezzo di carne, e questa la si mangiava nelle grandi occasioni. Ricordo quell’unico grande stanzone che era cucina, soggiorno e anche bagno, perché il lavandino (con il suo secchio di metallo pesante sempre pieno d’acqua di pozzo) serviva, oltre che per lavare i piatti, anche per lavarci il viso. Lo stanzone era “arredato” con una credenza di legno verniciato beige, una madia per fare il pane e la pasta, e un camino, poi messo in disuso perché sostituito dalla “cucina economica”, quella che si riscaldava a legno, e aveva la caldaietta di acqua calda sempre fumante. Sulla sua piastra bollente poggiavamo le fette di pane ad abbrustolire insieme a fette di pancetta grassa o, nella bella stagione, ci si posavano le vongole appena prese dalla riva del mare durante la secca, che subito col calore si aprivano come bocche affamate, e invece gli affamati eravamo noi. Noi che gustavamo ingordi quei profumati molluschi senza alcun condimento, “nature”, come si dice adesso.Beh, mi sto perdendo, torniamo al nostro bel pezzo di carne: mia madre, dopo averlo lardellato e condito a dovere, lo metteva in

pentola con l’olio, la pancetta, l’aglio e le spezie. Sfrigolando vivacemente, emanava un profumo a dir poco inebriante.Le emozioni si sovrapponevano, quelle della lettura e quelle della cucina. I racconti, i profumi si legano per me a questa vecchia ricetta marchigiana che ora merita di essere spiegata: provatela! Vi sembrerà poetica ed emozionante come i racconti di De Amicis con una differenza: a fine pasto sarete certamente più allegri!!

Olga Pucci28

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Carne in pasticciata

Ingredienti1 kg polpa di manzo / vitellone 1 etto di pancetta4 spicchi di aglio½ bicchiere di olio1 scatola di pomodori pelati2 bicchieri di vino rosso corposo2 chiodi di garofanosale e pepe

PreparazionePrendete un bel pezzo di carne di manzo, praticate dei buchi con la punta di un coltello, intingete il vostro dito indice nel barattolo del sale fino, poi infilatelo nei fori praticati con il coltello, fate così anche con il pepe macinato di fresco. Mettete poi, negli stessi fori, un pezzetto di aglio e un pezzetto di pancetta grassa, la carne dovrà risultare ben lardellata, dopo di che con uno spago da cucina legatelo come un arrosto. Ora ponete in un tegame dai bordi piuttosto alti il pezzo di carne con olio abbondante e un po’ di pancetta tritata, rosolate a fuoco vivace finché la carne sarà ben dorata. A questo punto abbassate la fiamma, ponete sulla pentola, in modo che sporga di qualche centimetro, un foglio di carta da forno (ai tempi si usava una carta giallognola pesante), su questa appoggiate una scodella di ceramica e riempitela con del buon vino rosso corposo. In sostanza, il vapore non deve uscire dalla pentola, e vedrete che a poco a poco il vino si consumerà fino a diventare quasi uno strato denso, è una cottura lunga e lenta. Verificate almeno un paio di volte che la carne non si attacchi al fondo, quando il vino è evaporato (e, incredibile, avrà comunque dato il suo aroma alla carne), spegnete, mettete la carne sul tagliere e, quando si è raffreddata, tagliatela a fette. Nell’intingolo che si è formato in pentola mettete 3 o 4 cucchiai di passata di pomodoro o pomodori a pezzi, aggiungete 2 chiodi di garofano, regolate di sale e cuocete ancora qualche minuto per amalgamare la salsa, dopo di che fatevi ancora insaporire le fette di carne almeno per 15 o 20 minuti.Si accompagnava questo piatto con verdura di campo lessata e passata in padella con olio e aglio, oppure con fagiolini (cornetti) cotti in umido, ma si accompagna bene anche con un purè o spinaci al burro.P.S. Attenzione: usate un piatto di ceramica a cui non tenete particolarmente perché si macchia e può anche screpolarsi.

Olga Pucci

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Sformato della Signora Adele

Ricordo che mia nonna preparava un budino salato, molto nutriente e “chic...Ricordo che lo serviva con frattaglie di pollo in umido al centro dell’anello e pisellini al burro intorno.Una volta, abitavamo a Roma, venne il figlio più piccolo di suo fratello a trovarci e la nonna gli preparò, fra gli altri piatti, il famoso budino…… faccia stralunata di Chicco…….detesta le frattaglie! La nonna Jole è morta a 101 anni, senza lasciarmi la ricetta. Per caso l’ho ritrovata in un ristorante nel Veneto su un vecchio volume.Ho lasciato da parte le frattaglie e io ora la servo con funghetti e catalogna ritagliata, ripassata con olio, aglio e peperoncino.

Dalila Hendel30

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Sformato della Signora Adele

Ingredienti

100 gr di burro80 grammi di farina70 grammi di gruviera½ litro di latte 4 uova

Preparazione

Fate una besciamella con la farina il latte ed il burro, prima di levarla dal fuoco aggiungete il gruviera grattugiato o tagliato a pezzettini, salate.Non più a bollore, aggiungete le uova, prima i rossi uno alla volta, poi le chiare montate a neve.Versate il composto in uno stampo liscio con il buco in mezzo, dopo averlo unto con il burro e spolverizzato con il pangrattato. Mettete in forno e servite caldo ponendo al centro del buco un umido di rigaglie di pollo e di animelle.

Dalila Hendel31

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Povero ma gustoso

Questa ricetta fa parte dei miei ricordi d’infanzia; era spesso il piatto invernale del sabato sera. Ricordo che la mamma, quando andava in polleria ad acquistare il pollo o la gallina, chiedeva sempre alla negoziante di darle pure le rigaglie, le zampe o teste e colli che altre persone, all’acquisto, non volevano, quindi anziché buttarle via, ce le teneva da parte senza farsele pagare, così la mamma riusciva a preparare, anche con le parti meno nobili, un piatto gustoso, ma soprattutto molto economico, cosa che a quei tempi era molto importante. Chiaramente ora si acquista tutto al supermercato già confezionato, comunque il risultato non cambia.

Marilena Scarinzi32

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Spezzatino con rigaglie di pollo o gallina

Ingredienti

Ali di un pollo o una gallina, con zampe, collo e testa 1 confezione di durelli1 confezione di fegatini1 confezione di creste3 o 4 patate 1 rametto di salvia1 cipolla4 o 5 cucchiai di olio extravergine1 dado1 cucchiaino di concentrato di pomodoro½ bicchiere di vino rossospezie e sale q.b.

Preparazione

Far appassire la cipolla nell’olio, aggiungere tutte le parti del pollo o gallina tranne i fegatini, che verranno aggiunti dopo in quanto cuociono più velocemente.Fare insaporire il tutto, aggiungere il vino rosso, il sale, le spezie, la salvia,il dado e un cucchiaino di concentrato di pomodoro, far cuocere lentamente e a metà cottura aggiungere i fegatini e le patate a tocchetti.Se si presenta troppo asciutto, aggiungere un po’ d’acqua. A cottura ultimata, schiacciare con la forchetta parte dei fegatini, creando così un “ puccio” più denso; servire con la polenta e Buon appetito!!!!!

Marilena Scarinzi33

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I miei ricordi

I miei ricordi più dolci sono legati a quando ero piccola, con i miei fratelli e la mamma che preparava qualcosa di ‘speciale’.Per noi quel qualcosa di ‘speciale’ consisteva nella: Cioccolata del sabato. La Cioccolata del sabato non era altro che: fecola, cacao dolce e naturalmente latte, ma la preparava la mamma solo per noi. La promessa, il sabato sera, stare tutti insieme a cena faceva della cena con la Cioccolata una serata speciale, diversa da tutte le altre serate e per noi era una grande festa. Poi tutti a letto, senza ‘Buoni, eh!’, e senza capricci.

Un altro ricordo indelebile è legato al periodo in cui c’era la guerra.Guerra per noi cittadini significava la fame. Il mio papà però aveva una gallina. Una gallina con tanto di nome - che naturalmente non ricordo più - che scorrazzava per casa, lungo la ringhiera e con cui noi dividevamo i nostri giochi. Era una gallina molto amata in famiglia e, cosa molto importante, la gallina di papà ogni mattina faceva un uovo. Passò un po’ di tempo ed ad un certo punto la gallina smise di fare l’uovo. Papà decise allora di utilizzarla diversamente: le tirò il collo, la spennò e la mise a bollire in pentola per noi tutti. Nessuno in casa ebbe il coraggio di mangiare la gallina e fu una scelta dolorosa per tutti perché tutti a quel tempo avevamo molta fame. Non ricordo che fine fece, ma sicuramente mamma la diede a qualcuno del cortile che poteva apprezzarla senza vincoli sentimentali.

Un ultimo ricordo in qualche modo legato al cibo si riferisce sempre al periodo della guerra (1942/1943) quando mio papà ritornò da Trieste con gli animali di marzapane – maialino, gallo, ochetta, ecc. – che io e i miei fratelli non avevamo mai visto prima. Eravamo contenti, ma soprattutto lo eravamo perché era tornato nostro padre.Il fatto è che papà era di mestiere pulitore di metalli d’argento e così si era preso la silicosi, per cui era già dovuto andare in sanatorio più volte, pur non avendo ancora 30 anni. Aveva anche dovuto cambiare mestiere per ragioni di salute, ma gli

Mirella Maroscutti

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era arrivata ugualmente la cartolina dell’esercito e lui era dovuto partire soldato per Trieste Un vicino, che era fascista ma che aveva anche dei buoni sentimenti evidentemente, aveva chiesto alla mamma perché era così triste e preoccupata. Lei gli raccontò l’accaduto e lui la consolò dicendole che non doveva preoccuparsi.Tre giorni dopo papà era di ritorno… con gli animali di marzapane.

Il dito della mamma

Poco prima del Natale1942, la mamma aveva portato a casa una meraviglia quasi sconosciuta in quegli anni: un panettone! Noi figli piccoli (le 2 sorelle più grandi non erano così affamate e golose), quando ci eravamo accorti che la mamma si preparava a tagliarlo per farcelo assaggiare, l’avevamo circondata e ci eravamo chinati sul dolce per controllare bene che le fette fossero tagliate tutte uguali per non dovere poi litigare su chi si era presa la fetta più grossa. La mamma continuava a dirci di lasciarle più spazio, di non starle così addosso, ma noi … niente! Non stavamo più nella pelle. E così la mamma si tagliò un dito lasciando delle gocce di sangue sul panettone, e noi ci meritammo tutti uno scappellotto.

La cioccolata del sabato

Ingredienti

1 etto cacao dolce (quello amaro non c’era)1 litro latte1 cucchiaio di fecola1 cucchiaino di zucchero di canna (se c’era)

Preparazione

Sciogliere il cacao e la fecola con un po’ del latte senza formare grumi. Aggiungere poi il resto del latte e portare il tutto all’ebollizione mescolando di continuo.

Mirella Maroscutti35

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Quando si comunicava per lettera – I tozzetti

Rovistando recentemente tra vecchie lettere, risalenti a quando ancora i rapporti erano fatti di scambi di lettere, ho ritrovato quelle di una vecchia amica di Roma. Ora non abbiamo più tempo di scrivere e perciò ci affidiamo al cellulare e quindi la telefonata arriva quando magari si è per strada e non si ha la disponibilità d’animo giusta per una chiacchierata. In tal modo si consuma il rapporto (come tutto del resto) in modo frettoloso, senza approfondire.

Dicevo che ho ritrovato questa lettera di un’amica di Roma, con cui mi inviava la ricetta di biscotti che avevo potuto assaggiare in casa sua e che mi erano piaciuti molto. Soprattutto mi piaceva molto come li chiamava lei e come pronunciava la parola, con quell’accento caratteristico un po’ romanesco: i tozzetti, con la “e” stretta e con tante “z” come è usuale nella pronuncia romanesca di rafforzare le doppie.I tozzetti sono così chiamati perché la forma viene data tagliando la pasta un po’ grossolanamente.

Elda Mandelli36

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I Tozzetti (biscotti secchi)

Ingredienti

1 kg di farina4 uova350 gr di zucchero2 bustine di lievito 1 bicchiere di latte1 bicchiere di olio½ etto di burro da far sciogliere nel latteMandorle o nocciole quanto basta

Preparazione

Impastare tutti gli ingredienti tranne le nocciole (o mandorle) e fare una pasta piuttosto consistente. Stendere la pasta sul tavolo a forma rettangolare, mettere le nocciole (o mandorle) su metà dell’impasto e ricoprire il tutto con l’altra metà della pasta. Spennellare la superficie con la chiara dell’uovo e mettere in forno .A metà cottura tirare fuori dal forno e tagliare l’impasto dando la forma di “tozzetti”. Poi si rimettono in forno per farli ben tostare.

Elda Mandelli37

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Il profumo del pane

Il profumo del pane caldo, appena sfornato mi ha sempre provocato un piacere dolce e intenso, riaccendendo ricordi d’infanzia, quando da ragazzo tornavo al paese nativo per le vacanze estive.Vengo dalla Puglia, da un paese in estate coperto da un cielo azzurrissimo, abbagliato da un sole ardente e immerso in un mare giallo di spighe di grano.Qui il grano era ovunque, nei campi lavorati come in tutte le case, in sacchi di canapa pieni, pronto per essere macinato e trasformato in quella farina che le mani delle donne impastavano con l’acqua e il “ crescente “ (il lievito naturale o pasta madre ) e portavano al mattino, dopo quasi una notte di lievitazione, al forno comune per essere cotto al fuoco violento di paglia di grano e sterco seccato.Oltre al pane con la farina di grano si faceva la pasta ( sempre con le mani fino all’arrivo di quella prodotta industrialmente ) i taralli o “scavdatill”, che una volta lessati si lasciavano asciugare nelle strade, al sole prima di essere anch’essi portati al forno con pizze, biscotti e altri dolci tipici.Il lievito naturale, chiamato appunto crescente, perché fa crescere l’impasto, era ottenuto togliendo un poco di pasta da quella lavorata e lasciato fermentare fino alla volta successiva.Il crescente non si poteva comprare ma si regalava o veniva prestato a chi aveva esaurito il proprio e in paese si sapeva chi aveva le “mani calde” e faceva il pane migliore con il crescente più buono, ma l’origine di questo era sconosciuta, si perdeva nella notte dei tempi.Parecchi anni fa cominciai anch’io a fare del pane, prima timidamente con il lievito di birra per passare poi al “crescente”, grazie a un amico cuoco che, contagiato dalla mia passione, ne aveva prodotto un poco lasciando fermentare farina, acqua e sciroppo di mele.

Antonio Schiavone38

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Da allora non ho più cessato quella che è diventata un’abitudine settimanale:tirare fuori dal frigo il crescente al mattino,impastare durante la pausa del mezzogiorno,lavorarlo ancora e formare delle pagnotte al ritorno dal lavoroe infine infornarlo alla sera.Il “crescente” che uso è sempre quello, anche se dell’originario oramai ve ne sarà rimasto solo una traccia omeopatica, anch’io lo ho regalato e offerto a chi ha voluto provare l’emozione di vedere la pasta lievitare e la “magia” del pane crescere nel forno.Questa abitudine mi ha permesso di coltivare il piacere infantile di impastare con le mani e di riscoprire tradizioni che i racconti di mia madre, ottima panificatrice dalla “mano calda”, non avevano completamente obliato, ma soprattutto mi fa rivivere ogni volta il piacere intenso che mi dà il profumo del pane caldo appena sfornato, oltre naturalmente al gusto di mangiarlo.

Antonio Schiavone39

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Fare il pane con il lievito madre

Ingredienti:

Farina, la scelta del tipo dipende dai gusti, quelle integrali consiglio di miscelarle con grano tenero e grano duro per non avere un pane troppo compatto, stesso discorso per quelle di segale e di farro in quanto essendo povere di glutine non lievitano.Consiglio naturalmente farina biologica e di evitare le miscele già pronte vendute al supermercato in quanto additivate con lieviti chimici per facilitare il risultato.Acqua tiepidaSale, io uso quello integrale dell’atlantico, circa un cucchiaino da caffé ogni ½ kg di farinaOlio exstravergine di oliva naturalmente. Circa un cucchiaio da minestra per un kg di farinaLievito madre circa il 30% del peso della farina, è ottenuto dalla fermentazione di acqua, farina e zuccheri, consiglio di farsene regalare un poco già maturo per l’usoA piacere: semi di lino, di sesamo, di girasole, frutta secca, olive o quanto la vostra fantasia vi suggerisce

Preparazione:

Sciogliere il lievito madre in acqua tiepida e versare nella farina preparata in un contenitore, sufficientemente grande da contenere il doppio dell’impasto.Lavorare fino ad ottenere un impasto morbido che non si attacca troppo alle mani, aggiungere acqua o farina per ottenere la giusta consistenza.Staccare una parte dell’impasto e metterlo in un contenitore a chiusura ermetica, sarà il prossimo lievito madre, e riporre in frigorifero.

Antonio Schiavone40

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Aggiungere il sale, l’olio, eventuali semi o altro e lavorare ancora.Formare una palla, spolverare con farina di grano tenero, tagliare con il dorso della mano formando una croce e coprire il contenitore con uno strofinaccio bagnato.La lievitazione deve avvenire a una temperatura costante di circa 25 gradi, io metto il contenitore a lievitare nel forno spento per evitare sbalzi di temperatura, si usava metterlo sotto le coperte nel luogo più caldo della casa.Dopo circa 4/5 ore o più a seconda della temperatura stagionale (il freddo allunga i tempi della lievitazione e il caldo li accorcia ) quando l’impasto sarà raddoppiata di volume, lavorarlo nuovamente, formare una o più pagnotte e riporle ognuna in un canestro di vimini avvolta in uno strofinaccio cosparso di farina, sempre di grano tenero.Lasciare lievitare per 1 ora, massimo 2.Scaldare il forno a 220 gradi e, quando ha raggiunto la temperatura, girare la pagnotta su una teglia, inciderla profondamente con un coltello e infornare; mia madre mi ha insegnato a benedire questo momento per un risultato migliore, non so se è vero ma mi piace pensarlo, così io dico sempre “b’n’dic”, che in dialetto corrisponde appunto a una benedizione.Il tempo di cottura varia dalle dimensioni della pagnotta, per una di 1 kg è necessario circa un’ora.Per tutto quanto descritto sopra vale l’esperienza per cui consiglio di apportare piccole modifiche personali fino ad ottenere il pane preferito.Il lievito madre conservato in frigorifero va usato almeno una volta alla settimana e in caso contrario rinnovato, cioè sciolto in un poco di acqua e lavorato con della farina perché si mantenga sempre vivo, quando prevedete di non poterlo fare per periodi più lunghi di 8/10 giorni si può congelare.

Antonio Schiavone41

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Quando non si buttava via neanche il pane – la torta dei pane

Sono nato in una cittadina di provincia. Allora, quando ero ragazzino io (50 anni fa) era poco più di un paese, dove esistevano ancora tradizioni molto forti che venivano seguite da tutta la comunità.In occasione della fiera del paese a Santa Caterina il 25 novembre in tutte le famiglie si preparava la torta di pane che veniva chiamata “paciarella” (chissà perché? Non conosco l’etimologia della parola). Caratteristica di questa preparazione era innanzitutto il fatto che costava poco, in quanto si utilizzava il pane raffermo e poi, siccome nelle case non esisteva il forno, ciascuno portava la propria teglia con l’impasto crudo a cuocere nel forno del panettiere del paese. A me era riservato il compito di andarla a ritirare e quanta fatica per resistere alla tentazione di assaggiarla!

Gianni Petrogalli

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La torta di pane

Ingredienti

4 h di mollica di pane1 lt di latte1 kg di zucchero Pinoli e uvetta 7/8 amaretti4 uovaUn bicchierino di alkermesUna bustina di vaniglia1 h di burro

Preparazione

Far bollire il latte con la vaniglia e un pizzico di sale, versarlo sulla mollica di pane e lasciare assorbire, quindi passare al setaccio.Unire lo zucchero, gli amaretti sbriciolati, il burro fuso a bagno maria, le uvette, i pinoli, i tuorli d’uovo, il liquore (se si desidera la versione al cioccolato aggiungere il cacao)Per ultimo aggiungere molto delicatamente gli albumi montati a neve.Imburrare e infarinare una pirofila, versare il composto e cuocere in forno a 180°-200° per ca. 45 ‘Attenzione! Prima di capovolgere lasciare raffreddare completamente.

Gianni Petrogalli 43

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Un dolce inglese – il trifleLa ricetta del ‘trifle’ (che vuol dire ‘dolce a strati’, quindi una sorta di zuppa inglese) era stata data a mia sorella dalla sua amica inglese Rona MacKay. Nel corso degli anni mia sorella se l’è dimenticata mentre io l’ho adottata come la ricetta più leggera, fresca e comoda per un dolce estivo.

Rona ci raccontava che, nella zona agricola della Scozia da cui proviene in origine la famiglia MacKay, c’erano molte fragole e quindi con questo dolce celebravano il ricordo della loro terra, dalla quale erano stati cacciati nell’Ottocento. In questo periodo, con lo sviluppo e la diffusione dell’industria tessile in Inghilterra, c’era bisogno di molti pascoli per le pecore che fornivano la lana per i filati e dunque gli agricoltori erano stati, con diversi mezzi anche violenti, espulsi dalle terre del nord per farle diventare terre di pascolo.Molti contadini erano emigrati in America, dove talvolta avevano fatto una brutta fine, mentre la sua famiglia era stata fortunata e si era spostata molto più a sud dove era riuscita a rimettersi in sesto.

Arna Orlandi44

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Trifle

Ingredienti

10/12 savoiardi circaMarmellata di fragole, lamponi, mirtilli o frutti di bosco misti3 cestini di frutti di bosco 1 o 2 budini di vaniglia1 tazzina di marsala

Preparazione

Inzuppate i savoiardi con il marsala e fate lo strato di base, poi ricoprite i biscotti con uno strato di marmellata. Sopra la marmellata distribuite i frutti di bosco (si può fare anche solo con le fragole, dice Rona) e sopra questi ancora il budino che li deve ricoprire.Tenete in frigorifero per qualche ora e…. buon appetito!

Arna Orlandi45

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A Gorizia lo strudel si chiama struccolo Lo struccolo (o strudel) era il dolce che mia nonna preparava in continuazione quando ero piccola: di carne non ne mangiavamo quasi mai, ma di struccoli eravamo quasi stanche, mia sorella ed io. Solo quando siamo cresciute, ci siamo rese conto della fortuna che avevamo avuto, nel vivere con una nonna che cucinava spesso minestre che non ci piacevano, ma anche questi dolci che lei preparava in un batter d’occhio.Gli struccoli non erano un dolce ma un modo di utilizzare le mele. Nella campagna, ora slovena, dove aveva vissuto da giovane la nonna Veronica, abbondavano gli alberi di mele e uno dei ricordi più piacevoli per la mia mamma era quello del profumo delle mele che venivano conservate in soffitta. La soffitta diventava così una dispensa deliziosa per quei bambini che negli anni ’30 del secolo scorso ( così raccontava mia madre) erano costantemente accompagnati da una fame che non riuscivano mai a calmare, malgrado i numerosi alberi da frutto che circondavano la loro casa. Solo quando mia nonna era morta da qualche anno e io ero già sposata da un po’ di tempo, mi sono resa conto che il suo struccolo era il migliore di quanti avessi mai assaggiato in giro (sarà stato il dolce ricordo dell’infanzia….) e ho fatto di tutto per trovare una ricetta che fosse simile alla sua. L’ho trovata grazie ad un’amica di mia mamma, molto brava in cucina, anche lei di Gorizia ed è quella che vi propongo.Naturalmente, più le mele sono saporite e asprigne, meglio riuscirà lo struccolo.

Arna Orlandi

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Lo struccolo goriziano

Ingredienti

Le quantità indicate si riferiscono a 2 struccoli che cuociano in una teglia di 23 cm. per 31 cm alta 5 cm.

Per la pasta:250 gr. di farina125 gr. di burro (tenerne 25 gr. per il ripieno)5 cucchiai di latte tiepido1 pizzico di saleScorza di limone grattugiata1 cucchiaio di zucchero1 rosso d’uovo ( un altro rosso d’uovo serve per la decorazione finale)

Per il ripieno:2 o 3 mele renette (circa ½ Kg)1 etto di uvetta ( lavata e tenuta a bagno per un’ora prima dell’uso)Cannella50 gr. Pinoli2 o 3 cucchiai di zucchero Poco pane grattugiato per assorbire l’acqua delle mele (se serve)Pezzetti di burro (i 25 gr. tenuti dal burro per la pasta)

Arna Orlandi47

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Preparazione:

1- Fare la pasta con tutti gli ingredienti impastati energicamente fino a fare una palla che non si attacchi alle maniN.B. burro e uovo devono essere a temperatura ambiente

2- Lasciare riposare la palla di pasta per mezz’ora avvolta in un panno in luogo tiepido

3- Sbucciare le mele, tagliarle sottili, e aggiungervi gli altri componenti il ripieno eccetto il burro, che andrà aggiunto solo alla fine.

4- accendere il forno a 200/220 gradi

5- usare il panno, o meglio un foglio di carta da forno, per stendere molto sottile, metà della pasta, in forma quasi quadrata.

6- tirata la pasta, spennellarla con burro fuso, stendere metà del ripieno al centro, sul ripieno mettere pezzettini di burro.

7- chiudere la pasta sul ripieno aiutandosi col panno,o la carta da forno. La pasta può anche rimanere aperta sopra.

8- Spennellare la pasta col rosso d’uovo, aggiungendo zucchero e piccoli pezzetti di burro.

Ripetere le fasi 5-6-7-8 per il secondo struccolo.

9- imburrare la teglia e riporvi i 2 struccoli

10- cuocere gli struccoli per circa 45 minuti, finche la pasta assume un colorito marrone bruciacchiato. (per togliere gli struccoli dalla teglia aiutarsi con la carta da forno, la pasta è molto friabile).

Arna Orlandi

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Torta di mele della nonna Lena

Ingredienti

gr.100 farina biancagr.140 burrogr.140 zucchero1 bicchiere di latte2 uova intere1 kg di mele

Preparazione

Mettere in uno stampo di circa 28/30 cm la carta forno. Sbucciare, togliere il torsolo e tagliare a rondelle le mele, distribuirne uno strato sulla carta forno, aggiungere zucchero e cannella per ogni strato. A parte preparare la pastella da mettere sopra le mele nel seguente modo: sbattere i tuorli con lo zucchero, aggiungere il burro fuso e la farina, il latte mescolando bene fino ad ottenere un composto omogeneo. A parte montare gli albumi a neve ed aggiungerli alla pastella. Nel versare la pastella cercate di farla penetrare bene tra le mele e di ricoprirle completamente usando una spatola. Infornare a 180° per 1 ora.

Nicla Garbelli49

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Siete buongustai?

Dieci domande per provare le vostre conoscenze

1. La caponata siciliana si prepara con il pesce o con la verdura?

2. Per la coltivazione di quali legumi è famosa la Piana di Castelluccio presso Norcia in Umbria?

3. L’anatra laccata è una preparazione della cucina francese?

4. Il churrasco, la specialità gastronomica dell’America Latina, è un piatto a base di fagioli?

5. Com’è detta la variante della tipica pasta al pesto ligure arricchita con patate e fagiolini lessati: avvantaggiata o rinforzata?

6. E’ l’Edam o il formaggio dei Pirenei che viene popolarmente chiamato testa di moro?

7. Che cosa differenzia la mostarda di Mantova da quella di Cremona?

8. I principali ingredienti della torta caprese sono il cioccolato e le mandorle oppure la ricotta e le noci?

9. Lo champagne si ottiene anche da uve scure?

10. Quale pietanza si cucina “alla fiorentina” aggiungendovi salsa di pomodoro e cospargendola di parmigiano grattugiato?

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Risposte:

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Aforismi gastronomici

"A tavola perdonerei chiunque, anche i miei parenti" (O. Wilde)

"Quando lo stomaco è pieno è facile parlare di digiuno"(S. Gerolamo)

"Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo"(Ippocrate)

"L’uomo è ciò che mangia" (L. Feuerbach)

"Il nutrimento del corpo si effettua a poco a poco.Pienezza di cibo e poco di sostanza"

(B. Pascal)

"Verrà il tempo in cui l'uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l'uccisione di un solo animale sarà considerato

un grave delitto"(L. da Vinci)

"Solo gli imbecilli non sono ghiotti... si e' ghiotti come poeti, si e' ghiotti come artisti ..."

(G. de Maupassant)

"E' preferibile un cibo anche un po' nocivo ma gradevole, a un cibo indiscutibilmente sano ma sgradevole."

(Ippocrate)

"Dio fece il cibo, il diavolo i cuochi." (J. Joyce)

“Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo”(Confucio)

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Iniziativa promossa dal Gruppo di Acquisto Solidale “al 77”

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