Uscita di Sicurezza | Anno XXXII | n. 2 | apr. 2016

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Uscita di Sicurezza aprile 2016 il periodico occasionale dell’Associazione Studenti Universitari Indice Perché è importante parlare ancora del TTIP ....................... Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi ................. Cevapcici for breakfast • Glossario .......................................... Un naso rosso contro l’indifferenza ......................................... Storia di una ragazza perbene ................................................. 18 e 19 maggio: elezioni universitarie • Riforma delle tasse L’Ombra di Galileo • Costituiamoci! • Mondayscreen ............. Genere, femminismo e rivendicazioni LGBT .......................... Che palle ‘sta sinistra! ............................................................. Un’intervista col Sindacato degli Studenti ............................ 2 3 4 5 6 7 8 9 10 14 Sono passati molti anni ormai da quando un gruppo di studenti dell' Associazione Studenti Universitari, in modo forse un po' azzardato (o intraprendente, coraggioso, idealistico: la storia in fondo la facciamo noi) decise di dare inizio ad un nuovo ciclo di incontri culturali, L'Ombra di Galileo. Sin da quel giorno la parola chiave è stata una: convivialità. L'idea che potesse diondersi tra gli studen- ti una nuova visione di università, molto vicina alle prime accademie, in cui il docen- te avesse la possibilità di raccontare e raccontarsi senza forzature o formalismi didattici, in cui ogni persona fosse libera di aprire un dialogo volto “solo” a un arricchi- mento personale, ecco, a loro non dispiace- va aatto. Chi sa se furono la platoniana ispirazione, i caè letterari o che altro a far emergere l'idea di accompagnare tali momenti da un buon bicchiere di vino e un ricco buet! L’Ombra di Galileo di Francesca Tonolo (segue a pagina 8) Il progetto “Costituiamoci!”, nato nel 2011, consisteva inizialmente in un ciclo di dibattiti e seminari nalizza- ti ad analizzare di volta in volta un diverso articolo della nostra Costituzione e a discutere la selva di questio- ni che da esso derivavano. Il progetto ha tuttavia vissuto Costituiamoci! di Giovanni Comazzetto (segue a pagina 8) negli anni un’importante evoluzione ed espansione, al punto che attualmente i temi degli incontri non sono vincolati a singoli articoli della Carta costituzionale, e anzi possono spesso appari- re lontani da questioni giuridiche costituzionali in senso stretto.

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L'ASU e Il Sindacato degli Studenti presentano il secondo numero del 2016 di Uscita di Sicurezza.

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Uscita diSicurezza

aprile 2016il periodico occasionale dell’Associazione Studenti Universitari

IndicePerché è importante parlare ancora del TTIP .......................

Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi .................

Cevapcici for breakfast • Glossario ..........................................

Un naso rosso contro l’indifferenza .........................................

Storia di una ragazza perbene .................................................

18 e 19 maggio: elezioni universitarie • Riforma delle tasse

L’Ombra di Galileo • Costituiamoci! • Mondayscreen .............

Genere, femminismo e rivendicazioni LGBT ..........................

Che palle ‘sta sinistra! .............................................................

Un’intervista col Sindacato degli Studenti ............................

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Sono passati molti anni ormai da quando un gruppo di studenti dell' Associazione Studenti Universitari, in modo forse un po' azzardato (o intraprendente, coraggioso, idealistico: la storia in fondo la facciamo noi) decise di dare inizio ad un nuovo ciclo di incontri culturali, L'Ombra di Galileo. Sin da quel giorno la parola chiave è stata una: convivialità.L'idea che potesse diffondersi tra gli studen-ti una nuova visione di università, molto vicina alle prime accademie, in cui il docen-te avesse la possibilità di raccontare e raccontarsi senza forzature o formalismi didattici, in cui ogni persona fosse libera di aprire un dialogo volto “solo” a un arricchi-mento personale, ecco, a loro non dispiace-va affatto. Chi sa se furono la platoniana ispirazione, i caffè letterari o che altro a far emergere l'idea di accompagnare tali momenti da un buon bicchiere di vino e un ricco buffet!

L’Ombra di Galileo

di Francesca Tonolo

(segue a pagina 8)

Il progetto “Costituiamoci!”, nato nel 2011, consisteva inizialmente in un ciclo di dibattiti e seminari finalizza-ti ad analizzare di volta in volta un diverso articolo della nostra Costituzione e a discutere la selva di questio-ni che da esso derivavano. Il progetto ha tuttavia vissuto

Costituiamoci!

di Giovanni Comazzetto

(segue a pagina 8)

negli anni un’importante evoluzione ed espansione, al punto che attualmente i temi degli incontri non sono vincolati a singoli articoli della Carta costituzionale, e anzi possono spesso appari-re lontani da questioni giuridiche costituzionali in senso stretto.

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2Perché è importante parlare ancora del TTIP

di Elena LorenziDal 2012 l’Unione Europea porta avanti una serie di importanti negoziati commerciali con paesi come gli Stati Uniti, il Canada e la Cina. Dopo la crisi che ha colpito gli USA e l’Europa nel 2007, il principale obiettivo della Commissione Europea per il Commercio Internazionale (INTA) e del suo omologo, il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR), è stato quello di rafforzare il libero mercato e di creare un’area commerciale più robusta e compe-titiva, in modo da favorire nuovi investimenti, nuovi posti di lavoro e prezzi più bassi. A questo scopo è nato il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), trattato di liberalizzazione commerciale, i cui negoziati tra UE e USA si stanno svolgendo dal 2012. Oltre al TTIP, esistono altri accordi che sono in corso di nego-ziazione, ma di cui si sente poco parlare: ad esempio, il Trans-Pacific Partnership (TPP), in cui sono coinvolti gli Stati Uniti e i Paesi dell’area del Pacifico, e il Trade in Services Agreement (TiSA), a cui stanno partecipando l’UE, gli USA, il Canada e altri 20 Paesi.

Come membro dell’Unione Europea, anche l’Italia subirà le conseguenze dell’applicazione del TTIP, quando questo entrerà in vigore. Allora perché, negli ultimi mesi in particolare, la stampa e la televisione italia-ne hanno tralasciato questo argomento? Come mai si discute così poco di quello che potrà significare per un’azienda italiana avere come potenziale

concorrente una multinazionale statunitense, senza tutti i vincoli e le restrizioni oggi vigenti? Anche se questo scenario sembra difficile da visualizzare, le questioni su cui Unione Europea e Stati Uniti si stanno accordando fanno supporre che ci saranno rilevanti cambiamenti nel mondo del mercato globale. Il TTIP punta a rendere il mercato accessibile alle grandi e alle piccole aziende europee, abbattendo molte delle barriere doganali esistenti e regolando gli standard produttivi tra Unione Europea e Nord Ame-rica: questo dovrebbe portare alla nascita di un’area commerciale in cui l’importazione e l’esportazione delle merci risulterebbe più facile e proficua. Infatti la riduzione delle tariffe doganali porterebbe a un aumento dei profitti e a una riduzione del costo dei prodotti. Dando un’occhiata al portale Internet della Commissione Europea, si viene puntualmente rassicurati sugli enormi vantaggi che il TTIP porterà ai cittadini europei e all’economia globale. Se, però, si consi-dera con chi l’Unione europea sta negoziando, allora è impossibile non chiedersi quali saranno gli effetti reali che comporterà entrare in competizione con multinazionali come Kraft Foods, IBM, Google, Johnson & Johnson e Bayer. Uno dei punti su cui in particolare alcuni parlamentari tedeschi sono più dubbiosi riguarda la trasparenza: è possibile accedere alle informazioni sulle decisioni prese soltanto dopo che entrambe le parti si siano accordate sul renderle pubbliche (iniziativa spesso contrastata da parte degli statunitensi); inoltre, la quasi totalità degli incontri dei commissari con gli investitori o con le associazioni sono chiusi al pubblico. A tal proposito, l’Osservatorio Corporativo Euro-peo (CEO), organizzazione non-profit che analizza l’operato delle lobby nell’ambito degli organismi dell’UE, fornisce una serie di dati specifici: dal gennaio 2012 al febbraio 2014 si sono tenuti 597 incon-tri a porte chiuse tra la Commissione europea per il commercio e le diverse organizzazioni: l’88% di questi incontri erano con investitori

e rappresentanti delle principali multinazionali, mentre solo il 9% con associazioni in difesa dei diritti dei lavoratori e dei consumatori e con organizzazioni ambientaliste. Tutto ciò rende molto difficile capire quali siano i reali obiettivi degli investitori coinvolti nei nego-ziati: con la regolamentazione degli standard produttivi (regulatory co-operation) tra Europa e Stati Uniti, il trattato intende assicurare la vendita di prodotti abbattendo le barriere superflue, ma anche alcuni dei principi sulla sicurezza dei prodotti alimentari e farmaceutici che aumentano i costi di produzione e di esportazione. Da una parte, quindi, verrebbero eliminate operazioni superflue, come il doppio controllo effettuato sulle automobili da UE e USA; d’altra parte, alcune norme fondamentali vigenti in Europa, sul cibo o sui farmaci, potrebbero uscire ridimensionate dalle trattative con gli investitori, interessati ad aumentare i propri profitti. Non bisogna dimenticare, infatti, che gli Stati Uniti basano la loro produzione agricola sulla coltivazione intensiva e sullo sviluppo degli OGM, che in Europa non sono permessi. Per evitare che gli interessi delle multinazionali vengano messi in discussione dai governi, il TTIP prevede la possibilità per le lobby di fare causa allo Stato. Questo meccanismo prende il nome di ISDS (Investor State Dispute Settlement) e permette soltanto agli investitori e alle grandi multinazionali di citare davanti a una corte internazionale un governo, se questo si rosse opposto ai progetti della lobby. La multinazionale del tabacco Philip Morris, per esem-pio, ha chiesto due miliardi di dollari all’Uruguay perché il governo aveva scelto di stampare sui pacchetti di sigarette avvertimenti sui rischi del fumo; oppure, l’azienda svedese Vattenfall, produttrice di energia elettrica, ha chiesto alla Germania 3,7 miliardi in seguito alla decisione del governo di abbandonare il nucleare, dopo i fatti di Fukushima. Ci sono altre centinaia di casi di questo genere e non si può certo pensare che, con queste premesse, il TTIP favorirà la risoluzione democratica delle controversie tra lo Stato e le aziende.I negoziati del TTIP si stanno svolgendo all’ombra della corsa alla presidenza degli Stati Uniti. La Commissione Europea e gli USA au-spicano di ottenere l’approvazione del trattato entro il novembre del 2016, perché, se questo non dovesse succedere, il futuro dell’accordo rimarrebbe incerto e dipenderebbe dalla posizione del successore di Barack Obama: considerando che sia Donald Trump sia Hillary Clinton e Bernie Sanders sono, per motivi diversi, contrari al TTIP o vorrebbero modificarlo, le sorti del TTIP e di altri trattati simili risultano molto difficili da prevedere.

Fonticorrectiv.org • corporateeurope.org • linkiesta.it TTIP & CETA – A one-way street of liberalisationISDS – A corporate system of injusticeCETA: An assault on democracy

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Nella vita di un ricercatore accade talvolta che, per scelta consape-vole o per un “turbine di circostanze”, l’oggetto dei propri studi non sia un mero esercizio concettuale ma un’esperienza profonda e radicale che si alimenta di desideri, aspirazioni, relazioni e trasformazioni di cui è intessuta la realtà politica e sociale.

Era proprio quest’apertura verso la concretezza e la varietà dei rapporti sociali e culturali che ha spinto Giulio Regeni, dottoran-do di ricerca in Commercio e sviluppo internazionale presso l’Università di Cambridge, a svolgere parte del suo percorso di studi presso l’American University del Cairo: nella capitale egiziana Giulio aveva finalmente la possibilità di osservare sul campo l’evoluzione delle lotte sindacali in un paese attraversato da profonde fratture economiche e sociali e sottoposto da alcuni anni al regime dispotico e illiberale dell’ex generale al-Sisi.Ricerca e passione politica si intrecciavano in lui fino a formare un nodo indissolubile, come emerge da alcuni suoi articoli pubblicati su Il Manifesto in cui si raccontano le contestazioni operaie, gli attacchi ai diritti dei lavoratori, gli arresti arbitrari degli oppositori politici, e si denunciano con vigore le politiche neoliberiste del regime di al-Sisi dando spazio alla viva voce di alcuni leader dei movimenti sindacali indipendenti.Di fronte alla storia di Giulio Regeni, al suo corpo martoriato e all’inaccettabile opera di mistificazione messa in atto dal governo egiziano in questi due mesi di indagini, le reazioni sono state molto varie, dal prevedibile exploit di teorie complottiste fino alle energiche richieste di verità e giustizia da parte di associazioni e organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Non è tuttavia diffi-cile notare come la figura del dottorando friulano, a dispetto del persistente clamore mediatico, non abbia mai davvero alimentato quella retorica agiografica che la stampa ama snocciolare in casi almeno in parte analoghi. Come mai? La domanda pare più che legittima. In un’epoca che crea e dimentica simboli incessantemente, con velocità furiosa, alla categoria dei “precari della ricerca” si attinge spesso e quasi sempre per motivi poco nobili. Ad agire è in questi casi quel malcelato e vetusto orgoglio nazionale che oblitera, falsifica e riscrive le storie individuali per creare una narrazione confortante e consolatoria in cui i “nostri giovani” illustrano il proprio paese all’estero e sono innalzati loro malgrado ad eroi di battaglie altrui che difficilmente, da vivi, avrebbero condiviso (si pensi, tra i molti, al becero tentativo di strumentalizzare la morte di Valeria Solesin ai fini della solita crociata anti-islamica).Tale paradigma difficilmente può replicarsi nel caso di Giulio Regeni: come potrebbe diventare simbolo dei giovani italiani un ricercatore scomodo, comunista, che raccontava le contestazioni

Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervidi Giovanni Comazzetto

sindacali in un paese con il quale l’Italia ha un giro d’affari che am-monta a svariati miliardi ed il cui dispotico Presidente era definito solo qualche mese fa “un grande leader” dal nostro Presidente del Consiglio?Le minacce di ritorsioni diplomatiche e le richieste di coinvolgi-mento nelle indagini avanzate in questi mesi dal governo italiano costituivano atto dovuto, anche in forza dell’attenzione mediatica, e non valgono certo a contraddire quanto fin qui sostenuto.Qual è l’obiettivo del nostro governo? A quali conseguenze porterà l’eventuale scoperta della verità sull’omicidio di Giulio Regeni sul piano dei rapporti diplomatici, politici e commerciali tra i due paesi? Sarà davvero sufficiente che l’Egitto “chieda scusa” per il barbarico atto, affinché le relazioni tra i paesi tornino ad una condizione di presunta normalità?Di certo il pieno disvelamento della natura autoritaria del regime di al-Sisi, così come l’acquisita conoscenza delle centinaia di atti di tortura e arresti arbitrari messi in atto contro attivisti politici, giornalisti, studenti, scrittori negli ultimi tre anni in Egitto, costituiscono ostacolo quasi insormontabile ad un disinvolto ripristino dello status quo. Il comportamento omertoso e negligente del governo egiziano corrisponde d’altra parte allo schema classico usato dai governi autoritari di ogni epoca per coprire una verità imbarazzante, una colpa inconfessabile. La falsificazione orwelliana dei misfatti compiuti diviene una difesa protettiva innanzitutto contro se stessi e contro la propria coscienza. Versioni contrastanti, spesso irritanti per l’inverosimiglianza, dei medesimi fatti si susseguono senza sosta in una indegna spirale contraffattoria dietro alla quale si staglia, evidente agli occhi di qualsiasi spettatore appena razionale, un unico possibile intento: il depistaggio.Di certo la verità non potrà emergere dal prevedibile siparietto messo in scena dai due governi coinvolti, a base di energiche richieste di chiarezza da una parte, promesse (non mantenibili) di trasparenza dall’altra. Forse è vero che coraggio intellettuale della verità e pratica politica sono ancora due cose inconciliabili in Italia, e lo sono ancor più nelle relazioni internazionali.Peter Gomez ha affermato polemicamente che è inutile chiedere verità per Giulio Regeni, perché è una verità che l’Italia non può permettersi: troppi sono gli interessi in gioco tra i due paesi.Vero il primo punto, incompleto il secondo: è inutile chiedere verità perché la verità già la conosciamo, fin dall’inizio. In un paese dove sparizioni e torture sono all’ordine del giorno, denun-ciate da anni dalle organizzazioni non governative, possiamo davvero pensare che la morte di Giulio Regeni non sia imputabile alla responsabilità del governo egiziano?È dunque giunta l’ora di chiedere giustizia per Giulio Regeni. Ed è giunta l’ora di riconoscere alla figura di Giulio quella valenza simbolica che, per una volta, è pienamente meritata. Nella sua generosità, nella sua passione verace per la conoscenza, nella sua consapevolezza che il fine ultimo del sapere è consentire di prendere posizione, di trasformare la realtà e di lottare contro le disuguaglianze, Giulio rappresenta un esempio per chiunque intenda consacrare la propria vita alla ricerca, e non solo. Rappre-senta l’Italia migliore.

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Koliba è l’unico locale a Padova dove si possano mangiare i cevapcici, le famose polpette tipiche dell’area balcanica. Famose, sì! E se ancora non le conosceste vi converrebbe provarle: si tratta di carne di manzo cotta sulla piastra e infilata in un panino caldo insieme a verdure e diverse salse; ovviamente il completamento migliore è una birra fresca, altrimenti come si farebbe a mandar giù tutta quella carne?Insomma, l’eccezionalità di Koliba e il suo successo tra gli studenti padovani meritano un’intervista, così decido di far visita a Nikola e Aleksandar, i due proprietari della cevapciceria.Appena entro sono accolta dal profumo della carne (amici vegetariani, mi dispiace per voi!), così penso bene di ordinare un pljeskavica, un panino con cevapcici ripieni di provola e pancetta. Aleksandar mi ci mette dentro anche la salsa urnebes e della rashina, ché a me il piccante piace molto. E poi una birretta, mentre, seduta sul ciocco di legno appena fuori dal piccolo esercizio, chiacchiero con Nikola.

Cominciamo. Nikola, come siete arrivati qua a Padova?Siamo entrambi serbi. Io sono nato a Mala Vrbica, sul confine con la Romania (aggiunge: sul più bel tratto del Danubio, ndr), poi mi sono trasferito a Belgrado, e, dieci anni fa, in Veneto. Aleksandar invece è nato in Croazia, ma con la guerra è fuggito a Belgrado, dove ci siamo conosciuti; due anni fa mi ha raggiunto qui a Padova.

Quando vi siete conosciuti?Ci siamo conosciuti nel 1999 a Belgrado, quando eravamo entrambi studenti di Scienze forestali. Il 1999 non è stato un anno facile per la Serbia: pensa solo ai 72 giorni di bombardamenti su Belgrado...

Ma quindi si può dire che siate scappati dalla guerra?No, anzi: io sono venuto qui per proseguire gli studi universitari, anche se poi ho cominciato a svolgere diversi lavori, finché due anni fa non ho aperto Koliba insieme ad Aleksandar.

A Padova come vi trovate? Si può dire che in due anni abbiate vissuto appieno il Portello, con tutti i suoi cambiamenti.Il Portello è una zona piacevole! Un tempo, con lo spaccio nella piazza, sarebbe stato più difficile avere la clientela che abbiamo adesso. Ora ci si sta tranquilli, e i nostri clienti amano passare addirittura la serata intera sotto il portico di Koliba. Diciamo che offriamo una serata diversa dal solito, un’occasione per socializzare mangiando qualcosa che altrove non si può trovare. Inoltre i clienti non sono solo studenti, ma anche persone più “adulte”! E con tutti riusciamo a stabilire un buon rapporto, un po’ perché Koliba sta diventando un simbolo della convivialità del Portello, un po’ per i prezzi popolari nonostante la qualità degli ingredienti che usiamo.

E con l’amministrazione comunale come ve la cavate? L’attuale giunta ha dichiarato guerra ai kebabbari, mentre voi non sembrate essere toccati dalle ostilità che si respirano a Padova.Appunto, i kebabbari! Noi vendiamo cevapcici, è un altro discorso: non veniamo additati come possibili “dissidenti”, anche se siamo stranieri. L’importante è che la situazione non diventi come quella di Verona, dove diversi etnici hanno dovuto chiudere. La possibili-tà di assaggiare diversi cibi dal mondo è importante!

Cevapcici for breakfastdi Sara Martinello

Uscita di Sicurezza

Anno XXX - Numero 2 - Aprile 2016

Redazione: Giovanni Comazzetto, Claudia D’Agostini, Gabriele Gazzaneo, Elena Lorenzi, Sara Martinello, Riccardo Michielan, Edoardo Montresor, Luna Rovolon, Francesca Tonolo

Tipografia: Copylogos

Editore: Associazione Studenti UniversitariVia Santa Sofia 5, 35121 PadovaTelefono: 3282705360 - 0498753923Mail: [email protected]://www.asupadova.it/

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 978 del 18/11/1986

ReferendumOggi si vota! Solo oggi si vota! Rarissima occasione di democrazia diretta, approfittane.TrasparenzaPer rendere trasparente un bicchiere basta un po’ di olio di gomito, ma per rendere trasparente una pratica ci vogliono dedizione e fatica. Per rendersi trasparenti non sono sufficienti degli scontrini che attestino le spese elettorali.ApartiticoIl Sindacato degli Studenti non dipende da partiti: il che significa che i suoi rappresentanti non devono rendere conto ad altri del loro operato, realizzando così l’indipendenza della lista.ApoliticoTutto ciò che non dipende da partiti. Ah, no.Associazione che si autofinanzia. Ah, no, nemmeno questa.Chi fa rappresentanza universitaria e partecipa alla politica cittadina portando avanti le proprie idee dal 1984. Ehm… no.Forse si dovrebbe dire che apolitico è ciò che si dissocia dalla collettività con atteggiamento autistico, per non dire egoistico, ma ci limiteremo a definirlo come soggetto che non si rapporta all’altro.

Glossariodi Sara Martinello

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Avete mai sentito parlare dei bambini di strada di Bucarest? Un migliaio di minori vivono nei sotterranei della capitale rumena in veri e propri tunnel in cui, forniti di corrente elettrica, bambini con o senza le rispettive famiglie conducono la loro esistenza. La porta principale è il tombino, la camera da letto è un materasso gettato a terra in mezzo alle feci di umani e di cani randagi, il cibo è frutto di un’elemosina che soprattutto per i più adulti si traduce in un tasso alcolemico più alto piuttosto che in una pancia piena.Bucarest è divisa in una decina di settori, ciascuno dei quali ha la propria rete di canali ed è gestito da pochi individui che, oltre a decidere le regole da seguire, rappresentano il punto di riferimento per tutto ciò che concerne l’uso e la vendita di droga. Le persone che vivono nelle strade di Bucarest (o, meglio, sotto di esse) hanno assunto negli anni diversi nomi, e quindi è facile anche oggi sentirli chiamare boschettari, zigani o aurolaci.L'aurolac è la sostanza stupefacente più diffusa nelle vie sotterranee della città: si tratta di una vernice industriale biancastra che, una volta versata in piccoli sacchettini di plastica, viene inalata con un gesto che rimane particolarmente fisso nella testa di chi come me l'ha visto fare per mesi: una mano nel collo del sacchetto, l'altra sotto per muovere il liquido in maniera che le sostanze tossiche vengano inalate meglio, gli occhi che lentamente si spengono di ogni qual tipo di lucidità.Oltre alla droga, la seconda piaga di questa realtà è la prostituzione; ragazzine e ragazzini vengono introdotti nel mondo del commercio sessuale molto presto e, come spesso succede, uscirne è quasi impossibile. Ricordo ancora quando dalle finestre della Fondazione Parada vedemmo arrivare in taxi B., che ci spiegò poi come avesse fatto tutto d'un tratto ad avere ogni giorno il portafogli pieno, o quando un mio collega appena arrivato in associazione non fu immediatamente riconosciuto come tale da A., che in piena notte gli si avvicinò proponendogli un rapporto sessuale a pagamento, in evidente stato confusionale.Non mi dilungo ulteriormente nella descrizione della grave situazione rumena poiché sono informazioni che trovate facilmente su internet, ma voglio raccontarvi una storia a lieto fine: la storia di P., 7 anni, che per quattro anni è stata la mascotte dell'associazione, e che continua ad essere fonte di energia per tutto lo staff. La mamma consumatrice di eroina, dentro e fuori da Gara de Nord, la stazione. Il papà, quello vero, fisso a Gara de Nord, consuma tutto ciò che capita: qualsiasi tipo di droga, qualsiasi tipo di alcolico. Il papà ufficiale, quello messo sul certificato di nascita, scomparso anni fa, non si sa dove. Quello che P. chiama “papà” è il fratello di quello vero. Sei fratelli in tutto, cui si aggiungono C. e F., 18 e 19 anni, consumatrici (eroina e colla), una a Gara de Nord a prostituirsi “per una dose” e una in canale a passare da un fidanzato all’altro, incapace di rimanere sola e di badare a se stessa. P. però è stata presa al volo da Parada, e con grande determinazione e perseveranza da parte dello staff ora vive in una casa-famiglia e va a scuola. Una delle poche storie a lieto fine in una nazione in cui si fa finta di non vedere e non si interviene, come se ai politici facesse quasi schifo parlare di queste persone "perché sono zingare, con la pelle più scura, sporche, diseducate, ecc".Ancora una volta si nota come l'assenza di politiche di integrazione e la promozione dell'odio razziale non porti a educazione e integrazione sociale, bensì a differenziazione e perpetuazione di delinquenza, diseducazione, dissociazione dalla società in cui si vive. Per caso trovate qualche somiglianza con l'attualità italiana? Ebbene sì. A Roma, la nostra capitale, sta crescendo il numero di bambini in strada che condu-cono una vita poco diversa dai nostri vicini di casa rumeni. Eppure l’Unione Europea dovrebbe impegnarsi nella questione rumena visto che l’ha accolta nella rosa delle nazioni europee ma ciò non avviene perché la Romania è una delle nazioni a cui commercialmente l'Europa è meno interessata.

È inutile nascondersi dietro a un dito quando anche noi abbiamo governi razzisti, mentalmente arretrati e ciechi ai cambiamenti sociali in atto. È inutile credere che le realtà che vi ho raccontato non ci riguardino quando, anche in Italia, i bambini senza cibo e beni primari sono sempre di più. È inutile che ci chiudiamo in casa per non sbattere la faccia sulla realtà, perché prima o poi dovremo aprire gli occhi e renderci conto che la passata indifferenza e il mancato soccorso si traducono in odio e paura per il diverso e si sviluppano verso una direzione di ostilità ancora maggiore.La storia insegna, ma non a tutti, perché altrimenti la collettività si sarebbe già adoperata per accogliere; ciò che invece viene fatto è di non concedere nemmeno bisogni primari come acqua, cibo, pannolini e assorbenti a coloro che si spostano in Italia per trovare un rifugio sicuro e una nazione in cui ricominciare a vivere con dignità.

Un naso rosso contro l’indifferenzadi Claudia D’Agostini

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Sono stata una madonna e sono stata una puttana.“Che cos’hai sul collo?”“Niente, è solo il gatto che ieri mi è saltato addosso”.Sguardi divertiti, una risatina. Mi rivesto e abbandono lo spogliatoio della palestra. Lo so che era un succhiotto, uno di quei lividi che ti lasciano addosso i baci troppo focosi; lo so che la mia compagna di classe mi crede tanto ingenua da pensare davvero che il gatto le abbia lasciato quel segno. Chissà perché gliel’ho chiesto, poi.Quello che a sedici anni non sapevi era che i succhiotti molto spesso te li fanno per lasciarti addosso un indizio malizioso, per donarti qualcosa da nascondere, o per segnare il territorio. Non sapevi che cosa venisse dopo i baci, forse perché eri l’eterna amica, quella che nel segreto del letto sognava un amore sconvolgente ma che dopotutto alle persone preferiva i libri. Amici ne avevi; ma un ragazzo no, troppo difficile, troppo lontano. Non eri nemmeno certa di poter piacere a qualcuno.Con l’università arrivò anche l’amore, e con esso la gratificazione, la sicurezza nel noi e l’insicurezza nell’io; e quando l’amore se ne andò non rimasero altro che i cocci dell’io. Ti gettasti alla ricerca di qualcosa che potesse rimetterli insieme, questi cocci, senza però accorgerti che tutti i rimedi che man mano trovavi non facevano altro che disperderli. A suo modo era una ricerca meticolosa: selezionavi con cura chi avrebbe dovuto colmare le lacune della tua autostima e del tuo letto. Non dovevano essere persone troppo interessanti, perché avresti temuto un loro possibile rifiuto; non dovevano essere troppo affettuose, perché sapevi che non avresti potuto ricambiare il loro amore; non dovevano appartenere alla tua cerchia di amici, perché sapevi che prima o poi le avresti lasciate. Fu così che finisti in quella che inizialmente ti sembrò una magnifica scala verso il paradiso, mentre invece scivolavi nella gola della solitudine. Qualcuno pensava “zoccola”, “puttana”, “stronza”, e magari era proprio uno di quelli con cui andavi a letto.“Spero di non avere mai figlie femmine. Voi femmine siete più difficili da gestire…”“Che vuoi dire?”“Che una femmina è più facile che diventi una poco di buono.”“Ah. E io secondo te sono una poco di buono? Insomma, noi due scopiamo e non ho nessuna intenzione di mettermi con te sul serio, e lo sai che l’ho fatto anche con gli altri.”“No no, tu non sei una poco di buono. Sei… Sei una che si diverte.”“L’hai detto solo perché vuoi scopare anche stanotte.”

Eri diventata la puttana, la ragazza che andava bene per una storiella da niente, quella che avrebbe fatto da riempitivo tra una storia vera e l’altra. Eri una parentesi giocosa, nulla più; e ti dicevi che in fondo ti andava bene così, che eri tu quella che con gli uomini ci giocava, e che le storie serie erano per gli illusi. Tanto prima o poi si mollano tutti. Al primo accenno di affezione da parte dell'altro ti ritraevi, dirigendoti verso nuovi approdi del tuo egoismo. La solitudine ti infastidiva, perché lasciava spazio a riflessioni dolorose che non avevi voglia di affronta-re, e intanto i cocci si perdevano, li dimenticavi, e pensavi che per il tuo nuovo “io” avresti trovato una dimora migliore. Dov’eri?Nella vaga ricerca di te stessa eri finita dalla parte sbagliata della dicotomia

madonna/puttana, tanto da costituire un elemento di disturbo presso il comune, quieto ben pensare: non bastava la tua distruzione, ora si aggiungevano anche gli sguardi di riprovazione degli altri e quelli concupiscenti di chi ti desiderava per una notte.L’ultima volta che ho fatto l’amore, e la prima dopo due anni di peregrinazioni sessuali, è stata con uno di quelli che inizialmente mi ero prefis-sata di non avvicinare mai. Ci è voluto tutto il calore delle sue mani per abbandonarmi a una tenerezza solida e segreta, e per darmi la forza di ritrovare i cocci di colei che sarò.Il complesso “madonna-puttana” è ciò che porta moltissimi uomini a considerare esclusive la dimensione sessuale e quella affettiva, secondo una semplificazione per la quale la donna sarebbe meno interessata al sesso e quindi solo oggetto. Questa visione patriarcale di controllo sociale agisce ancestralmente, intimorendo la donna di fronte all'idea di poter essere vista come soggetto attivo del piacere sessuale e instillando nell'uomo la convinzione che una donna che scelga liberamente il proprio partner (indipendentemente dalle prospettive di prosecuzione del rapporto) sia una puttana.Il dato drammatico è che questa convinzione legittima ogni successivo atto inumano di violenza.

Storia di una ragazza perbenedi una donna

"Tanto giovane e tanto puttana":ciài la nomina e forse non è

colpa tua - è la maglia di lananera e stretta che sparla di te.

E la bocca ride agra:ma come ti morde il cuore

sa chi t'ha vista magrafarti le trecce per fare l'amore.

Giovanni Giudici, I versi della vita, 28

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Consiglio di Amministrazione Formato da rettore, 5 interni, 3 esterni, 2 rappresentanti degli studenti. Decide su tutti gli aspetti finanziari e amministrativi, sull’apertura e sulla chiusura di corsi e sedi, sull’assunzione di docenti e ricercatori, sulle tasse studente-sche… È l’organo in cui sono accentrati tutti i poteri.Senato Accademico È il luogo di elaborazione politica di proposte e di pareri su didattica e ricerca. È composto da rettore, 9 direttori di dipartimento, 9 docenti, 3 tecnici amministrativi, 4 rappresentanti degli studenti e un rappresentante dei dottorandi.Consiglio di Amministrazione dell’ESU Si occupa dell’Azienda regionale per il Diritto allo Studio, delle mense e delle residenze. Da anni questo organo è commissariato.Comitato Universitario per lo Sport Ha il compito di gestire le attività del Centro Universitario Sportivo.Consigli di Scuola Ne fanno parte i dipartimenti della stessa area e hanno compiti di coordinamento e valutazione dell’attività di diparti-menti e corsi. Come per corsi e dipartimenti, la rappresentanza studentesca ha un peso pari al 15%.Consigli di Corso Riuniscono tutti i docenti e i rappresentanti degli studenti dei singoli corsi e deliberano nell’ambito della didattica, dal manifesto degli studi all’ammissione di studenti da altri atenei o corsi, fino al regolamento di laurea e alla valutazione della didattica; le decisioni vanno poi avallate dagli organi “superiori”, in primis i dipartimenti.

Il 18 e il 19 maggio si vota!Ma... per cosa?

Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari è l’organo consultivo di rappresentanza a livello nazionale che riunisce 28 studenti, un rappresentante dei dottorandi e un rappresentante degli specializzandi. Ha i compiti di portare (tramite mozioni e interrogazioni) alcune tematiche all'attenzione del Ministero dell’Istruzione, di far parte dei tavoli di lavoro ministeriali sulle diverse tematiche e di farsi collettore delle istanze che provengono dai diversi atenei.Cos’abbiamo fatto come Link - Coordinamento Universitario?• grande vittoria sull'ISEE: abbiamo contribuito ad alzare la soglia a 23mila euro;• 50 milioni in più in legge di stabilità sul diritto allo studio (grazie alle nostre mobilitazioni); • lavoro sul Tirocinio Formativo Attivo che ha portato alla riforma delle classi di concorso e all'attivazione del terzo ciclo di TFA (per ora solo annunciato);• documento sul diritto allo studio per la riforma sui LEP, su cui è attivo un tavolo ministeriale;• lavoro sulle accademie per l'approvazione dello Statuto dei Diritti nelle accademie.

...si vota anche per il CNSU: di che cosa si tratta?

di Caterina Chiocchetta,rappresentante del Collegio Nordest presso il CNSU

Basta lobby. Basta partiti. Ci vuole un Sindacato degli Studenti. Quelli che non prendono né soldi né ordini.

Ogni anno gli studenti si ritrovano a pagare molti soldi per poter frequentare l’Università: sì, parliamo di loro, le tasse universitarie!Uno studente che studia a Padova spende in tasse mediamente 1800 euro; aggiungiamo poi tutte le spese collaterali che vanno affrontate per studiare: libri di testo, abbonamenti ai mezzi urbani, affitto e bollette… Nel complesso spese non sempre facilmente sostenibili! Volendo essere precisi l’importo massimo delle nostre tasse universitarie, ovvero ciò che paga chi ha una famiglia con buon reddito e non presenta l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), non è più alto rispetto agli altri atenei italiani. A pagare molto di più rispetto alla media nazionale sono invece gli studenti che si trovano in una situazione economica peggiore e che presentano un ISEE medio/basso. Ovvia-mente stiamo escludendo dal ragionamento gli idonei alle borse di studio che sono esonerati dal pagamento delle tasse (non che per loro le cose siano rose e fiori… ma questo è un altro discorso). Insomma, sembra di capire da questa prima analisi che la tendenza implicita del nostro sistema di tassazione sia quella di allontanare le fasce più povere dall’Università, impedendo loro di poter accedere ai livelli più alti di formazione e bloccando la mobilità sociale. E tutto ciò non è soltanto una sensazione, ma è provato dai dati, i quali dicono che negli anni sempre meno studenti “poveri” si sono iscritti all’università. Come invertiamo la rotta? Come rendiamo più accessibile a tutti la nostra università? Come rappresentanti degli studenti abbiamo discusso a lungo e analizzato i problemi dell’attuale sistema, ci siamo confrontati sulle possibili soluzioni e infine abbiamo elaborato una vera e propria proposta complessiva di riforma della tassazione.Una prima riflessione si è incentrata sulla riduzione generale dei contributi studenteschi, cominciando con l’introduzione di una “NoTax Area”: consiste nell’esonero di tutti gli studenti che hanno un ISEE inferiore a 15mila euro dal pagamento della seconda e della terza rata. A partire quindi da questa soglia minima abbiamo pensato ad un sistema di contribuzione progressivo fino a una soglia massima di 70mila euro di ISEE. A cui si aggiunge per tutti il pagamento della tassa d’iscrizione all’Università, che verrebbe ridotta a 200 euro e anch’essa fascia-ta a seconda della propria situazione economica.Secondariamente ci siamo concentrati sul sistema di maggiorazione o riduzione delle tasse chiamato “Bonus/Malus”. A primo acchito potrebbe sembrare uno strumento di redistribuzione delle tasse sensato, se non fosse che l’unico parametro preso in considerazione è il merito: quanto sei più bravo rispetto ai tuoi compagni di corso, senza tenere in considerazione il tempo che uno potrebbe dover dedicare allo svolgimento di lavoretti per mantenersi.Crediamo sia essenziale valorizzare il merito senza penalizzare i “non meritevoli”, e per questo abbiamo chiesto che agli studenti “bravi” vengano piuttosto riconosciuti i propri meriti con agevolazioni ai servizi universitari e riconoscimenti non economici.Altra riflessione invece per gli studenti lavoratori o iscritti all’università come part-time: non è pensabile avere soglie di reddito minimo annuo percepito alte come sono ora, pur sapendo che moltissimi studenti sono costretti al lavoro in nero.Infine, una riflessione sugli studenti fuoricorso. Da sempre sosteniamo che il costo per l’Ateneo di uno studente fuoricorso, che dei servizi universitari usufruisce considerevolmente meno, non sia quello di tutti gli altri studenti; ma ora uno studente fuoricorso si trova a pagare dal 15% al 100% in più. È inammissibile, e per questo chiediamo l’eliminazione di qualsiasi tipo di maggiorazione.

Riforma delle tasse universitarie: una proposta dal bassodi Riccardo Michielan

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In verità tutto ciò che trattiamo riguarda la Costituzione. Perché? Perché ogni aspetto, ogni questione della vita collettiva può “costituzionalizzarsi” quando divenga terreno di lotta politica per il dominio o luogo di disuguaglianze e sopraffazioni. Tutto questo avviene nonostante alcuni costituzionalisti parlino di un “processo di decostituziona-lizzazione” in atto da alcuni decenni (nel senso che rimane il “lessico costituzionale” ma si è ormai persa la sintassi del costituzionalismo, ovvero che tutto l'insieme di concetti e categorie tramandato dalla scienza costituzionalistica risulta oramai inadat-to a “pensare” la realtà giuridico-politica e perciò a fornire gli strumenti utili a incidere su di essa), dato che noi continuiamo a ragionare secondo categorie e simboli dettati dalla Costituzione, formuliamo proposte e pretese in termini di “diritti” e interroghia-mo la Costituzione anche quando essa non può darci risposte. Il fil rouge che attraversa tutti gli incontri è dato in particolare dai “diritti negati”. Espressione da intendersi in due sensi: sono tali sia i diritti formalmente riconosciuti ma di fatto compressi o svuotati in quella che i politologi amano chiamare “costituzio-ne materiale”, sia i diritti nuovi o diritti della terza generazione che ambiscono a un riconoscimento formale (pensiamo al diritto a un ambiente salubre e a una corretta informazione, ai diritti delle famiglie omogenitoriali, ai diritti concernenti la tematica del fine-vita).Ciò che caratterizza questo progetto non è solo l’apertura verso il reale, ma anche la pluralità di prospettive da cui si guarda a ogni tema. I relatori che invitiamo sono generalmente esperti delle più svariate discipline (si pensi all’ultimo apprezzato incon-tro concernente la crisi della democrazia, a cui hanno partecipato un professore di Teoria della letteratura, uno di Storia del diritto romano e uno di Filosofia del diritto), così da offrire una visione prospettica e multidimensionale della materia trattata. Del resto se si parla di Costituzione un approccio monolitico, che non tenga conto dell’ine-vitabile intreccio di discipline coinvolte, cioè diritto, filosofia e politica, risulterebbe ingenuo e sterile. I nostri incontri non sono meramente cattedratici: in genere i vari relatori offrono una breve dissertazione sul tema trattato per poi aprirsi, nella seconda parte dell’incontro, alle domande del pubblico e al confronto con gli studenti. Quest’approccio, per cui si tende a problematizzare ogni tema e ad interrogare in merito una Costituzione intesa in senso non statico ma dinamico, credo sia ciò che realizza lo spirito di Costituiamoci, il “costituirsi” nel senso di prodursi come cittadini consapevoli in un incessante processo di soggettivazione.

Da qui il nome Ombra di Galileo. Per chi non lo sapesse, in Veneto si è soliti utilizzare il termine ombra per indicare il bicchiere di vino, in ricordo delle prime osterie veneziane che vendevano vino all' ombra del campanile di San Marco.Questi incontri sono sempre stati incentrati su tematiche soprattutto a carattere scientifico. Purtroppo, nel nostro Paese, talvolta anche in ambito universitario, il metodo scientifico stenta a prevalere. Troppo spesso la disinformazione e la mancanza di un’adeguata cultura scientifica danno spazio anche tra noi studenti universitari ad argomentazioni prive di ogni fondamento.Pensiamo che esercitare lo spirito critico possa essere il metodo migliore per tener testa con la necessaria rigorosità a dibattiti ancora molto controversi all'interno della cittadinanza: sperimentazione animale, ogm, vaccini, omeopatia, cambiamenti climatici… e molto altro ancora!Nata molti anni fa all' interno del Circolo Arci La Mela di Newton, l' Ombra di Galileo è man mano cresciuta fino a sfociare in aule universitarie contententi più di 200 persone senza mai perdere quel carattere di informalità di cui si è sempre nutrita e per cui oggi vive bella più che mai.Nell'ultimo incontro, il 22 marzo, siamo stati felici di avere con noi Silvio Garattini, medico di fama internazionale, a parlarci di farmaci e omeopatia. È proprio in questi momenti, quando un illustre medico quasi novantenne decide di prendere la macchina e arrivare in serata a Padova sin da Milano per conoscere la nostra realtà e condividere con grande vitalità le proprie conoscenze in compagnia di

(segue dalla prima pagina)

Costituiamoci!

di Giovanni Comazzetto

L’Ombra di Galileo

di Francesca Tonolo

Silvio Garattini durante l’incontro

(segue dalla prima pagina)

Mondayscreen

di Edoardo Montresor“Ecco, ora basta con questi articoli pesanti e questi temi difficili, mi rilasserò un po’ leggendo l’articolo di cultura cinematografica di questo numero di Uscita” starete pensan-do. E vi assicuro che vorrei poter soddisfare in maniera classica e semplice questo vostro pensiero. Invece no. Panico. Panico è quello che ho provato quando la redazione mi ha chiesto di scrivere quest’articolo: non sono un giornalista, non sono uno scrittore, ma allora perché sto scrivendo? Purtroppo per voi che leggete, sento necessario fare una premessa: un anno e mezzo fa, grazie alla mia coinquilina, sono entrato a far parte del pubblico del Mondayscreen, il cineforum organizzato dall’ASU. Senza nemmeno rendermene conto, in poche settimane non solo partecipavo alle proiezioni, ma restavo per i dibattiti in sala, e seguivo i ragazzi del gruppo per continuare a parlare di cinema di fronte a una birra. Ho sempre pensato di avere una certa cultura in ambito cinemato-grafico, ma dopo ogni proiezione scoprivo di dovermi ricredere: tornavo sempre a casa con parecchi nomi di registi su cui informar-mi e film da guardare. Ed ecco perché ho accettato di scrivere: ad oggi faccio parte del gruppo organizzativo da più di un anno, ma ogni volta che ci troviamo a parlare scopria-mo nuovi film o nuovi punti di vista su film che già conosciamo, e costruiamo discorsi tra noi e il pubblico utilizzando i film come linguaggio, in un continuo fluire di idee da parte di ciascuno di noi. Questo è un cinefo-rum, come hanno fatto altri prima di noi, e come spero faranno altri nei prossimi anni.

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Una delle prime conquiste avvenute nell'attività legislativa italiana fu l'approvazione della legge Merlin, oggetto di infinite discussioni, che abolì lo sfruttamento della prostituzione e mise al bando le case chiuse. Ma vi è stato un anno in particolare che rivoluzionò la concezione della donna. Era il 1975: in quell’anno si riuscirono ad avere la riforma del diritto di famiglia e la raccolta di 800 mila firme per un nuovo referendum abrogativo sull'aborto. Nel 1978 veniva approvata la legge n. 194, attraverso la quale veniva riconosciuta alle donne la facoltà di interrompere in strutture pubbliche e gratui-tamente una gravidanza indesiderata: le donne di tutte Italia videro riconosciuti così i loro diritti, identificando le differenze di fatto che impedivano la piena egualianza tra individui. I movimenti femministi fecero da filo conduttore anche ad altri gruppi sottoposti a gravissime discriminazioni, come quelli omos-sessuali; nel 1971 gli italiani videro la nascita di F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), la prima vera associazione gay italiana, sotto cui gli omosessuali cominciarono a manifestare collettivamente la propria identità.Tirando le somme, per identità di genere si intende l’insieme dei comportamenti collegati all’essere femmina e all’essere maschio che concorrono a definire l’appartenenza al genere maschile o femmini-le anche riguardo alla percezione individuale del sé: maschi e femmina si nasce, ma uomini o donne si diventa.

Inauguriamo così una rubrica che si occuperà delle tematiche di genere e LGBTQIA, che oggi si trovano al centro dell'attenzione mediatica e che spesso vengono dibattute senza la necessaria conoscenza dell’ambito: qui offriamo un primo inquadramento storico che verrà sviluppato nei prossimi numeri.Negli ultimi tempi sta suscitando scalpore il termine Gender Studies. Questi studi concentrano la loro attenzione sull'ambito socio-cultu-rale, sia femminile sia maschile, in maniera tale da creare una costruzione sociale di entrambi i sessi, fondando una nuova modali-tà di interpretazione della vita umana. Desiderano, infatti, differen-ziarsi dagli altri studi facendo perno sulla caratteristica emancipati-va e politica, tanto è vero che un legame stretto con gli Studi di Genere è quello col movimento femminista. I Gender Studies nascono intorno agli anni '70 nel mondo anglosas-sone, per poi approdare in numerosi e differenti contesti - come quello italiano, dove sono giunti proprio grazie al movimento femminista, che cercherà sempre più di rivendicare la piena legitti-mazione dei diritti della donna. Fino agli anni '70 la Costituzione italiana e le sue leggi avevano preservato un'egualianza solo dal punto di vista formale, un'egua-lianza antidiscriminatoria, non tenendo conto delle differenze di fatto tra gli individui e limitando così la logica delle pari opportuni-tà.

Studi di genere, emancipazione femminile e rivendicazioni LGBTdi Luna Rovolon

parte narrativa, ma solo espressione di idee e concetti, ultimo barlume di guida tematica fornita. Guardare una sola volta uno di questi film significa uscirne affranti; bisogna farsi coraggio e guardarli una seconda o terza volta per cogliere più sfumature, cogliere la profondità dei livelli di ragiona-mento che giacciono sotto la dura crosta di queste pellicole.Con un’analisi come questa, peraltro derivante da opinioni personali, ho appena scalfito la superficie di quello che il cinema può trasmettere, e dei modi in cui può farlo. E ho già scritto che questo non è il solito articolo, anche perché tuttora sono un neofi-ta in fatto di cinema. Non vi darò la programmazione del Mondayscreen per i prossimi sei film. Perché l’ordine di proiezio-ne non sarà lineare, ma scomposto e ricom-posto appositamente per calare meglio il pubblico negli stili che ho cercato di descri-vere. E no, non ho scritto il nome di nessun regista, né alcun titolo di film, perché il cinema non è solo diffusione della cultura, il cinema è confronto, dibattito, condivisione, e, seppure con arroganza, vi impedisco di leggere queste informazioni in un articolo e pensare di sapere. Vi sfido invece, non come membro organizzativo, ma come pentito e convertito, a venire a vedere questi film per capire veramente, a contraddirmi in ogni singola frase perché avrete maturato le vostre idee e impressioni.

Il linguaggio cinematografico è molto complesso, fatto di scelte tematiche e tecni-che: spesso non è nemmeno possibile inqua-drare queste scelte in categorie ben definite, i contenuti e i mezzi si confondono. Il ciclo con cui il Mondayscreen vuole chiudere quest’anno di proiezioni esplora alcune delle scuole di pensiero della fotografia cinemato-grafica che hanno lasciato il segno nella storia del cinema: sono la fotografia noir, quella post-moderna e quella onirica. La fotografia noir è sicuramente quella svilup-patasi per prima tra le tre - infatti nasce, sfrutta e gioca con le caratteristiche del bianco e nero: la luce non è più un elemento utile al realismo della rappresentazione scenica, ma diventa parte attiva della narra-zione, caratterizza le sensazioni e le emozioni dello spettatore; un’ombra o un fascio di luce sono in grado di rivelare l’essenza di un personaggio. Questo uso mirato della luce è più efficiente se calato in ambienti poco illuminati, spesso con angolazioni particolari delle luci ambientali: le scenografie abbando-nano il fine realista per votarsi al racconto, un racconto che affascina al punto da sembrare reale. Le ambientazioni cupe, confuse, vengono riprese a partire dagli anni Ottanta all’interno del filone che verrà cono-sciuto poi come cinema postmoderno. La fotografia in questi film vede un distacco tra la realtà e il cinema; perfino la narrazione viene maltrattata, frammentata e rimescola-ta, al punto che lo spettatore si trova di fronte

a una scelta: sforzare la propria capacità interpretativa per seguire la trama, lenta e spesso costretta ad avanzare per inerzia, o arrendersi completamente alle volontà di regia, abbandonare la figura di spettatore e restare un “consumatore” di film, accettando una sequenza di elementi diversi accatastati nella propria mente (spenta) senza legami logico-causali. In questo ambiente il rimescolamento dei generi e le continue citazioni si affastellano senza gerarchie nel pensiero dello spettatore, colpevole dell’ulti-mo sforzo di provare a dare risposte alle domande aperte che sono quasi l’unica via d’uscita da questi film. La crisi d’identità dello spettatore, insieme ad altri elementi della fotografia postmoderna, viene ripresa ed esasperata nella fotografia onirica: la narrazione diventa allucinazione, derisione dello spettatore, che ad ogni cambio di scena crede di avere finalmente capito qualcosa ma subito scopre di essere perso nel caos che il regista sceglie di fargli vivere. In questa fotografia la realtà è sogno, in cui tutto è possibile e non tutto è reale, sta allo spettato-re scegliere a quali elementi dare un senso per creare la propria personalissima interpretazione del film. In questo cinema regna l’anarchia, ogni elemento è valido purché due grosse mani escano dallo scher-mo e dopo un paio di schiaffi riescano a trascinare lo spettatore nella realtà filmica. I frammenti scomposti e rimescolati di quella che un tempo era la trama, non sono più

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10Che palle 'sta sinistra, sempre coi "poveri Rom e poveri migranti”

Un ultimo articolo, scritto a quattro mani e condiviso dall'Associazione Studenti Universitari; speriamo il lettore possa leggerlo con la stessa attenzione con cui noi l'abbiamo pensato e redatto. Buona lettura.

Primo. Dove si racconta una possibilità.Siamo in piazza: oggi si manifesta contro la democrazia.Basta col pluralismo, basta coi partiti, basta con tutto questo proliferare di opinioni! Basta coi contrasti, basta con le lotte. Da oggi nessuno più sarà in conflitto col prossimo, i dissidi si appianeranno, saremo cullati da un clima sereno. Siamo il movimento che mette fine ai movimenti.Se siamo tutti uguali e tutti liberi, nessuno dovrà più essere escluso. Nessun italiano dovrà chiedere il permesso di vivere in pace a casa propria. Nessun italiano dovrà più scontrarsi con altri italiani che vogliono la polemica, l'ospitalità buoni-sta e ipocrita, la guerra intestina. E per chi, poi? Per un'orda di stranieri? Per professare il credo del dissidio?La nostra sarà una nazione vera, legata dall'amore, unita contro gli attacchi esterni che corrompono le menti dei deboli. Ci prenderemo cura di voi, vi preserveremo dalle idee che falsificano il Vero.

Secondo. Dove si ricorda un episodio.Siamo ancora in piazza, ma le coordinate dello spazio e del tempo questa volta sono precise e note: Piazza Maggiore, a Bologna, ed è l’8 novembre 2015, una giornata che vedrà riunita l’auto-definitasi “opposizione per bene” al Governo, ma che sostanzialmente è riunita per assistere all’ennesimo one-man-show di Matteo Salvini, il quale lancia per l’occasi-one lo slogan “Liberiamoci e ripartiamo”. Facile intuire di cosa sia necessario liberarsi: in questa ritro-vata unità fra leghisti e fascisti, fra cittadini qualunque, stanchi ed esasperati, e imprenditori, il nemico comune è il conflitto col prossimo, sono le divisioni e le lotte (fra italiani) istigate da chi divide la società in persone e bestie (per essere chiari, fra le persone troviamo i buonisti, e fra le bestie chi viene tacciato di razzismo). Il nemico da sconfiggere è il “parassita” che in nome dell’universalismo e della pari dignità per tutti alimenta il fuoco della “guerra fra poveri” e, insolen-te, contesta e prova a zittire l’inno della libertà e dell’uguagl-ianza (basta che ognuno stia a casa propria), sotto i colpi dei manganelli e fronteggiato dalle forze dell’ordine. E questi parassiti diventano infine i co-protagonisti della giornata: i più determinati sono i dissidenti e i violenti dei centri sociali, tutti gli altri sono ovviamente strumentalizzati dai primi o loro complici. Minacciano di voler far tacere - a quanto si può osservare dalle loro pratiche, come le manife-stazioni e i cortei, gli slogan e i cori, o addirittura la danza e la musica. Se vi aspettavate i sanpietrini e gli scontri c’è da aspet-tare - il comizio in piazza, trasmesso sui principali canali della televisione e riportato dalla quasi totalità delle testate giornalistiche italiane, provando a esprimere il loro dissenso per chi conduce una propaganda xenofoba e razzista la quale, godendo della massima agibilità e visibilità, continua a mette-rere uno contro l’altro i soggetti marginalizzati e deboli della società, producendo esclusione, creando confini fra culture e

persone, negando la solidarietà e le possibilità di inclusione e di integrazione, invece di rivolgere il dissenso e la volontà di cambiamento verso chi determina questi rapporti di potere.Se nel primo episodio si raccontava una possibilità, il vero paradosso risiede chiaramente nella realtà: quelle descritte sono opinioni che accusano la narrazione presentata dai microfoni del palco (quella che deride e attacca gli altri, perché gli altri dividono) di istigare all’odio e alla violenza, e perciò la contestano. Decostruiscono la coerenza del discorso salviniano (che da vittima diventa artefice della divisione fra le persone): sono quindi pericolose e vanno represse, o almeno marginalizzate. In nome della democrazia e della libertà di espressione di tutti, è opportuno che le forze dell’ordine agiscano e impedi-scano la libera espressione di questi gruppi, che la disperda-no. Il resto lo conosciamo un po’ tutti, alcuni l’hanno vissuto o vi hanno assistito, altri ne hanno sentito parlare o l’hanno letto sui giornali. E un po’ tutti ci permettiamo di parlare di prati-che, giuste o sbagliate. Non è questa la pagina in cui vogliamo esprimere questo giudizio, ma ci limitiamo a definire le coor-dinate della democrazia e a proporre chiavi di lettura critiche e non semplicistiche (e c’è chi dice che questo basti per raccontare la verità).

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11Il paradosso è servito. La libertà d’opinione deve essere garan-tita - anche a chi ha da sempre il microfono in mano - a costo di reprimere con la forza le opinioni altrui, qualora esse provino ad emergere dal nulla in cui sono relegate.Si sono ormai assunte, nella “gestione” della nostra democra-zia, delle regole per le opinioni, per classificarle e giudicarle. È un processo possibile?

Terzo. Dove si parla di una cosa molto antica e molto attua-leFacciamo un po’ di epistemologia: nella costruzione di un terreno di conoscenza concorrono le opinioni degli attori sociali; e queste opinioni, che per chiarezza chiameremo dóxai, sono sempre soggettive e non universali. È la presun-zione di assolutezza a convalidare la doxa come certezza di verità, in un processo sempre soggettivo e sempre falso.Qualsiasi discorso che voglia introdurre o sviluppare rapporti di subordinazione sociale (per esempio, l’istigazione all’odio razziale) prende le mosse da un’opinione, collettivizzando quelle che l’antropologia culturale chiama “credenze comuni”, e attribuisce a questa doxa valore universale, legittimandone la riproduzione e, di fatto, l’esistenza. Ma allora, quali sono le opinioni sbagliate e quali quelle giuste, ed è possibile un discorso di giustezza?Innanzitutto va precisato che l’opinione nasce dall’esperienza soggettiva, e che nel momento dello scambio interpersonale essa contribuisce a formare, limare, arricchire l’opinione altrui; e così via, fino alla cristallizzazione in teorie del vero attraverso la scrittura, il discorso alla collettività, il manifesto politico, le dichiarazioni statutarie.Il sistema su cui è fondato il nostro paese è il regime demo-cratico. Nella partizione aristotelica delle forme di governo la degenerazione della democrazia è l’oclocrazia, il governo degli stupidi; e spesso il confine tra le due non è palmare. Democrazia non significa esattamente che nel politico (come incontro di due o più cittadini) ognuno possa dire la propria giustificandone l’attaccabilità attraverso il carattere personale dell’esternazione, o, peggio, impedire ad altri di esprimersi, facendo leva su un carattere di condivisibilità della doxa. Democrazia significa che tutti si possono esprimere, a patto che non impediscano ad altri di farlo.Non è quindi utile parlare di opinione in termini di giustezza, mentre è doveroso inserirla come fatto sociale nel contesto democratico, dove acquisisce valenza politica di conoscenza con pretese universali.In soldoni: l’opinione nasce sul terreno dell’esperienza perso-nale e si consolida come verità quando un gruppo di persone la assume come paradigma che spieghi il reale. La si può abbattere in due modi, cioè decostruendone le premesse (il classico sillogismo aristotelico: da falsi assunti derivano false verità) o facendo forza sul suo carattere personale, anche se la risposta dell’interlocutore potrebbe essere “Ma è la mia opinione! Ognuno può pensare quello che vuole, siamo in democrazia, fatti i fatti tuoi”: eh no, è pericoloso. L’esternazi-one di un proprio pensiero rende quest’ultimo un pensiero

politico, pubblico, non più soggettivo. Lo rende vero per chi condivida lo stesso retroscena esperienziale. Lo rende vero per chi ne voglia fare una bandiera - ed ecco la pancia, l’abietta strumentalizzazione del sentimento personale in funzione di un manifesto collettivo basato su false premesse la cui falsità non è più chiaramente controvertibile.

Quarto. Dove si parla di satira.A questo punto però bisogna compiere lo sforzo di non fermarsi alla considerazione per cui il discorso che incita all’odio o che denigra e annichilisce le libertà altrui non è assimilabile a un’opinione liberamente esprimibile, sebbene la giurisprudenza nazionale e internazionale non sia altrettanto manichea, altrimenti rimane insoluta la questione della contestazione (che rischia di essere collocata su un terreno non molto diverso da quello di chi opprime e censura). Ancora più difficilmente si può riuscire a spiegare il fatto che oggi il discorso razzista e xenofobo, così come quello omofo-bo, maschilista, fascista, securitario, militaristico, guerrafon-daio (la lista potrebbe continuare a lungo, e il filo che le dà coerenza risiede nell’annullamento dei diritti e dei principi universali delle Costituzioni) sia pronunciato indisturbato, quando non difeso strenuamente in nome della libertà di espressione.Può sembrare una descrizione allarmistica o viziosa della realtà, ma è una condizione costantemente presente nelle nostre vite, a partire dai social network (chi non è rimasto deluso quando la segnalazione di un post della pagina ufficia-le di Salvini è stata giudicata non valida in base al regolamen-to di facebook?) fino ad arrivare nelle nostre città, in cui un sindaco può permettersi di promettere ai suoi elettori di chiu-dere le moschee o i Centri di Informazione e Servizi per Immigrati, quando non arrivi a farlo davvero (welcome to Padova).Esistono delle dinamiche per cui alcuni tipi di opinioni riescono a inserirsi nello spazio di comunicazione globale imponendosi sul resto: la diffusione che viene concessa a queste doxai permette che esse diventino una narrazione comune, una verità incontestabile e assoluta; ed è una diffu-sione funzionale a volontà politiche per cui il clima che deter-minate opinioni pubbliche possono generare nella società risulta strumentale alla loro agibilità - basti pensare alle politiche sulle migrazioni o di gestione delle frontiere in Europa, o agli equilibri geopolitici che connettono l’interve-nto militare in medio-oriente agli interessi sul mercato del petrolio.

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12È uno strumento che nasce quindi non per intrattenere e divertire, né per deridere genericamente, ma come azione politica diretta ad umiliare il potere e le sue declinazioni opprimenti, esaltandone le contraddizioni e le storture e calcandone i tratti più grotteschi. Oggi rispetto alla satira c’è un interrogativo importante da porsi: non tanto se sia ancora uno strumento adatto al fine per cui è stata concepita, ma se sia diffusa la capacità di interpretarla come tale e di distingue-re, da questa, ciò che satira non è. È un quesito che si alimenta della desertificazione di senso che aggredisce le nostre parole e le nostre vite, abilmente manipolata dalle propagande populiste per dettare quella visione del mondo per cui c’è sempre un noi e un loro, e un confine fra questi, da difendere.È quello che è successo dopo l’attacco a Charlie Hebdo, nel gennaio 2015, quando il dirompente e dissacrante messaggio di totale laicità del giornale è stato strumentalizzato dallo stesso razzismo religioso, per renderlo infine lo specchio delle ipocrisie e delle profonde contraddizioni che hanno posto un ripiego di chiusura comodo e sicuro alla questione: la libertà (elevata sull’altare nella sua definizione più com-prensibile, quella d’espressione e d’opinione), insieme agli altri valori “occidentali”, è minacciata dal fondamentalismo islamico.Ed ecco che si chiude ogni spazio per comprendere e storiciz-zare il senso universale del messaggio di laicità, ogni possibi-lità di riconoscere la debolezza della libertà, il soffocamento della fraternità e l’impossibile affermazione dell’uguaglianza intrinseca nel nostro mondo, “a casa nostra”.

Quinto. Dove si affrontano i due concetti cardine.L’occasione che l’Europa non è ancora riuscita a cogliere dai fenomeni che l’hanno attraversata negli ultimi anni, allora, è proprio quella di dedicarsi a individuare connessioni, piutto-sto che a tracciare solchi e confini. Connessioni che possano dare un senso a ciò che l’ha attraversata, dalle folle di migran-ti in fuga dalla miseria delle guerre, dalla devastazione ambientale e dalla povertà, alla solidarietà che ha unito le generazioni nell’abbraccio delle bandiere di (alcuni) paesi colpiti dall’orrore del terrorismo e sotto le matite alzate al cielo.La risposta presentata a tutto ciò, alla violenza e alla crudeltà, è stata quella della “guerra di civiltà”, che con ulteriore violen-za ha barricato l’occidente nei suoi valori giusti e universali, a difendersi dalle minacce del diverso. È una risposta che giace sulla linea della guerra al terrorismo, ma anche nel rafforza-mento dell’opinione xenofoba e razzista, nella gestione della crisi migratoria e nelle forme di esclusione che avanzano nelle nostre società, ostacolando l’integrazione.La risposta che fatica ad emergere ancora è quella per cui non si possono difendere identità definite nel contrasto con il diverso, ma che è possibile capire invece quali siano i valori realmente universali per costruire una società aperta e solida-le, contro l’esclusione, la violenza, i fondamentalismi e i fana-tismi.

Ciò passa dal riconoscere come ciò che definiamo universali-smo oggi sia la codificazione di una cultura, un’etica, una visione del mondo e dei comportamenti sociali distorta dal privilegio di occupare un posto che la storia ha reso più alto e centrale rispetto agli altri. Siamo davvero convinti di essere i custodi di valori volti alla costruzione di un “comune” reale e positivo? Rispetto alla laicizzazione della società abbiamo visto come forse abbiamo ceduto ad una strumentalizzazione che ha cancellato il signi-ficato di questo ideale. E per il resto? Che spazio diamo in questo disegno all’’ideologia del consumo, all’individualismo, alla competitività (eletta a principio negli articoli fondanti dell’Unione Europea)?Quale senso invece concediamo all’incontro, alla contamina-zione e al rispetto delle diversità? Il nostro è un modello che giustappone la nostra statica cultura al resto, che chiede “adattamento” all’ospite, o riusciamo a dare valore reale al confronto, a rendere dinamica la nostra società rifiutando l’approccio miope del relativismo estremo e assumendo l’”altro” come risorsa critica per ripensare noi stessi?Ernesto De Martino definiva l’universalismo come “quel fondo universalmente umano in cui il proprio e l’alieno sono soppressi come due possibilità storiche di essere uomo”, aprendo la via a un discorso sull’etnocentrismo: un sentire connaturato all’uomo in quanto individuo cresciuto in una cultura e non in tutte le culture (ovviamente), e originato dalla società proprio in quanto salda rete di pratiche culturali.L’etnocentrismo è ciò che induce a ritenere i valori e le regole del proprio gruppo sociale migliori rispetto a quelli altrui, che sono visti con occhio pregiudiziale e accomunati tutti nel calderone dell’altro, del diverso, del non-noi; e ad essi si ascri-vono valori e regole umanamente rigettabili o quantomeno passibili di critica. Si tratta quindi di un procedimento valuta-tivo che porta a conclusioni qualitative, e che instaura una visione del mondo in termini di opposizioni che si semplifi-cano binariamente: giusto/sbagliato, maschile/femminile, noi/loro, destra/sinistra, bianco/nero. Ma ancora, nord/sud, buoni/comunisti (si ripensi alla Guerra Fredda), cristiani/mi-scredenti (nel Medioevo), occidente/musulmani, occiden-te/regimi oppressivi.A questo punto il termine “etnocentrismo” non è più adegua-to, se il gruppo che lo applica non è propriamente un’etnia, così si ricorre a un’altra parola, “noi-centrismo”, ovvero un concetto che, a partire dalla creazione di un gruppo “noi”, esclude gli altri, rinsaldando al tempo stesso i confini del “noi”. Ricollegandoci al discorso leghista, possiamo indivi-duare un primo noi di matrice puramente etnica, seppure con tutte le inesattezze storiche e gli astuti accentramenti geogra-fici del caso padano, che dal discorso di Bossi slitta in quello salviniano attraverso un noi italico contrapposto a un loro non italico. Il vero “padano” confluisce nel vero italiano, mentre il sud d’Italia diviene il sud del mondo, l’Africa dei negri sporchi e fannulloni, il Medio Oriente assassino, la Cina del forsennato neocapitalismo che uccide il made in Italy, e tutto ciò che non è noi è inumano. Inumano, subdolo, e pure

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parricida: siamo stati noi a portar loro il capitalismo, la democrazia, la civiltà, e ora loro usano male tutti i nostri doni, addirittura rivoltandoceli contro. Quando non si può muove-re un’accusa del genere, invece, si passa a un’azione di scredi-tamento, perché la loro non è una vera democrazia. Vi si inserisce prepotente il tema della libertà individuale, dal “noi” si passa senza pudore all’”io”, e il discorso fascista può muovere i propri sostenitori-pedina nella scacchiera della solitudine del benzinaio Stacchio che è tutti noi.La soluzione? Bisognerebbe trovare una soluzione alla solitu-dine, alle credenze, alla doxa fattasi certezza, alle tradizioni svuotate e riempite funzionalmente alla creazione di barriere.In tutto questo, e intendo nelle linee guida dei movimenti xenofobi europei e statunitensi, l’idea di “occidente” sembra godere di uno status di felice inattaccabilità, e anzi si configu-ra come fondamento ideologico. Ma che si direbbe di un rovesciamento, o, meglio, di un abbattimento del concetto di occidente? Che cosa si direbbe se il suo valore di verità venis-se confutato?

Sesto. La contestazione non è un pranzo di galaAncora una volta, come per la satira, il tema è quindi quello del rovesciamento, del ribaltamento, della conquista di uno spazio di critica del reale e di una sua interpretazione che rompa gli schemi di ciò che è il disegno diffuso, dominante.È una questione di libertà che non vede più uno schieramen-to limpido e riconoscibile, se non si compie lo sforzo di com-prendere come lo strumento per reprimerla non siano bava

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13gli, fucili, ordinanze, ma in primo luogo il potere che nelle sue forme avvalora le opinioni utili e argina quelle pericolose.Episodi emblematici accadono persino nei luoghi della cono-scenza, come le università: si pensi all’episodio della contesta-zione al professore Angelo Panebianco, scienziato politico fra i più noti e riconosciuti in Italia, autore e co-autore di manua-li sui quali si sono formati gli studenti di numerose universi-tà, nonché editorialista del Corriere della Sera. Nei giorni in cui il Consiglio Supremo di Difesa preparava un piano per invadere la Libia, il dibattito pubblico si è concen-trato sulla presunta limitazione alla libertà d’insegnamento del professore, avvenuto ad opera di un collettivo studentesco che non ha accettato che l’università diventasse il palcosceni-co di chi rivendica l’impiego dei cannoni per raggiungere l’unità politica dell’Europa.La contestazione al senso dell’insegnamento delle teorie belli-ciste e a coloro che usano lo strumento della didattica e del sapere accademico per concedere ulteriore agibilità politica a chi invoca l’intervento armato, diventa subito strumento di repressione, un ”segnale brutto e inquietante”, per cui al Mini-stro dell’Istruzione "dispiace che una cosa simile accada nei luoghi in cui si genera la democrazia, vale a dire le Universi-tà".Sicuramente il tema è proprio quello della democrazia, perché se la libertà di espressione del Prof. Panebianco non è stata di certo limitata dall’interruzione di una sua lezione, l’articolo 11 della Costituzione viene ignorato nel silenzio generale.E non sono solo le parole del Ministro a rivelarci quella che è stata l’interpretazione comune dell’episodio: è uno dei casi in cui il ripiego comodo grida al diritto di parola, all’intralcio al diritto allo studio e alla libertà d’insegnamento, in cui il giudizio non riesce a rompere il muro del perbenismo delle libertà e a vedere come chiaramente la questione centrale questa volta sia il “sapere” ed il suo utilizzo, il suo ruolo. In un momento in cui si rivela davvero come strumento per prendere posizione, ci si astiene dal giudizio reale, quello sullo stato della nostra democrazia.

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Uscita di SicurezzaAsu PadovaIl Sindacato degli Studenti

Passa a conoscerci!L’assemblea de Il Sindacato degli Studenti

si trova tutti i lunedì alle 18 presso la storica sede dell’Associazione Studenti Universitari

in via Santa Sofia 5.Libertà è partecipazione!

Un’intervista col Sindacato degli StudentiPerché ci chiamiamo “Il Sindacato degli Studenti”?Ci chiamiamo così perché abbiamo voluto rendere subito chiara la nostra funzione: “sindaca-to” significa più persone che si riuniscono per tutelare i propri interessi. Essendo studenti, il nostro fine è tutelare i diritti e gli interessi di noi studenti.

Perché il Sindacato degli Studenti non è un'associazione?Un'associazione ha una struttura rigida, uno statuto e un organo assembleare cui hanno accesso solo i soci. Abbiamo deciso di non adottare una struttura simile per permettere in ogni momento la massima partecipazione e per agevolare un processo decisionale basato sul consenso. Questo significa che le decisioni vengono prese solo in un'assemblea aperta a chiunque voglia partecipare: non si arriva mai a una votazione, ma si cerca di adottare una decisione condivisa da tutti i partecipanti. Adottando questo metodo nessuno ha maggior potere decisionale, nemmeno i rappresentanti, che agiscono così con vincolo di mandato di tutti gli studenti.Che rapporti ha con l’ASU?L’ASU (Associazione Studenti Universitari, in via Santa Sofia 5), storica associazione studen-tesca padovana indipendente, autogestita e autofinanziata, dal 2002 ha completamente delegato al Sindacato degli Studenti la gestione della politica universitaria. Il Sindacato però collabora con l’ASU per progetti come il Summer Student Festival, Costituiamoci! L’Ombra di Galileo e Uscita di Sicurezza.L’ASU mette a disposizione la propria sede e le proprie strutture per le attività del Sindacato degli Studenti quando sia necessario; inoltre, svolgendo attività di sportello, mette in contatto gli studenti coi loro rappresentanti.Come si finanzia il Sindacato degli Studenti?Le attività del Sindacato degli Studenti sono autofinanziate. La campagna elettorale, i volan-tini e il materiale necessario sono pagati con la totalità dei contributi liberamente offerti in occasione di banchetti, incontri culturali e feste, con i gettoni di presenza dei nostri rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione dell’Università, nel Senato Accademico e nel Nucleo di Valutazione e con parte dei proventi del Summer Student Festival.Abbiamo stimato che per questa campagna informativo-elettorale spenderemo circa 2500 euro.Perché l’“alternativa”? Quando Il Sindacato degli Studenti è nato, nel 2002, si è affermato nel mondo della rappre-sentanza studentesca, come primo gruppo completamente indipendente da organizzazioni esterne (giovanili di partito, gruppi confessionali). Se non si è liberi e indipendenti a livello finanziario e politico si rischia di dover sempre “rendere il favore” a qualcuno, e di non poter agire nel totale interesse degli studenti. Allora, alcune decisioni “scomode” potrebbero essere prese solo in base a quello che dicono i partiti di riferimento e non discusse insieme agli studenti; allo stesso modo sarà più difficile opporsi a un rettore o direttore di dipartimento che simpatizza per l’organizzazione che ti paga la sede…Perché il Sindacato degli Studenti non ha mai cercato o voluto il sostegno di forze esterne all’Università?Abbiamo deciso di rifiutare qualunque tipo di apporto esterno perché il rischio di dover “rendere il favore” sarebbe sempre troppo alto e andrebbe a discapito degli interessi degli studenti, del lavoro dei rappresentanti e della possibilità di elaborare decisioni in assemblee aperte. Preferiamo la libertà.Perché sceglierci?Presentiamo programmi generali e di Scuola molto dettagliati, ma sempre in divenire: questo perché riteniamo che la campagna elettorale non sia una vetrina, ma un momento importante per discutere e ampliare le proposte. Garantiamo indipendenza e sappiamo che la nostra attività di rappresentanza non sarà mai soggetta a “forze esterne”. Inoltre ci rendia-mo conto che per quanto un rappresentante possa fare, al contrario di quanto accade nelle scuole superiori, difficilmente riuscirà a conoscere e a farsi conoscere da tutte le migliaia di persone iscritte alla sua Scuola, per non parlare degli eletti agli organi maggiori… Tutto questo è aggravato da un annoso problema: non sempre si concede la possibilità di istituire un ufficio studenti. Per questo motivo riteniamo fondamentale l'uso dei gruppi Facebook, delle mailing list e soprattutto di poter usufruire della sede dell’ASU per mettersi in contatto velocemente con i rappresentanti più indicati a risolvere problemi specifici.