[UNICO] people&style 20/13

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Gianni Giuliano e Giovanni Quaglia| Italiane vip a Monaco | Vino e design | Scherma a Cuneo | Parco Alpi Marittime il piacere dell’alta provenza olio di mare e di montagna i 40 anni del teatro regio risvegliarsi con la voglia di riscoprirsi TRADUCTION FRANÇAISE e 5,00 Poste Italiane spa - Spedizione in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, DCB/CN - anno V - numero 20 - Marzo - Aprile 2013 - Contiene I.P.

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Il magazine dalle Alpi al mare marzo/aprile 2013

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Gianni Giuliano e Giovanni Quaglia| Italiane vip a Monaco | Vino e design | Scherma a Cuneo | Parco Alpi Marittime

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Incertezza e curiosità. Sono i sentimenti che maggiormente descrivono lo stato d’animo degli italiani, in questi giorni post elezioni. Incertezza per la situazione politica che, né a destra, né a sinistra, riesce ad assicurare un minimo di stabilità con cui sperare di costruire il domani. Curiosità per come il futuro potrà mai tornare a portare fiducia per sperare in un nuovo sviluppo. Ma, con un po’ di fantasia, guardando il bicchiere mezzo pieno anziché quello mezzo vuoto, le ultime elezioni potrebbero essere viste come un colpo di teatro, degno di un genio alla Molière. Abbiamo gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, incuriositi dall’esito inaspettato e paradossale che ha stravolto le regole tradizionali della politica, portando la fantasia al potere. E dal punto di vista turistico la visibilità, si sa, è un valore fondamentale. Chi non vorrà venire in Italia per rendersi conto di quale strano popolo abiti questo Paese? Sarà l’acqua, l’aria, il sole, il cibo o il vino: proveranno tutto per cercare di capire. In termini di marketing, una simile visibilità ci sarebbe costata almeno un miliardo di euro. E poi il Conclave di marzo per l’elezione del nuovo pontefice: anche qui, solo un genio poteva creare la trama che ha portato alle dimissioni del papa. Non accadeva da 719 anni! È l’occasione ideale per vendere il Made in Italy in tutto il mondo. Che cosa dobbiamo fare? Creare uno, dieci, mille Louvre aprendo i musei anche nei giorni festivi, spolverando tele e statue accatastate negli scantinati, “portando in tournée” i bronzi, le sculture, i quadri nascosti dei musei meno frequentati, vestendo a festa le nostre belle città e i borghi storici spesso dimenticati. Diamoci da fare. Il 2013 potrebbe essere l’anno della rinascita, dell’Italia e del turismo italiano. Noi di [UNICO] da sempre ci crediamo, proponendovi il meglio di un angolo di territorio vivace e operoso, fra Piemonte e Liguria, dove il vino si veste di design e un teatro come il “Regio” di Torino, rinato dalle proprie ceneri 40 anni fa, rappresenta il fiore all’occhiello della cultura piemontese, dove un piccolo frutto come l’oliva diventa attrazione gastronomica e la natura dei parchi si fa spettacolo. E oltre il confine politico, nella vicina Provenza, ritroviamo profumi e sapori vicini al nostro stile, dove le tradizioni alpine si uniscono ai colori della Costa Azzurra. Noi siamo pronti.

Roberto Audisiodirettore artistico

[email protected]

EDITORIALE

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AlessioBotto DIRETTORERESPONSABILE

[email protected]

CONTRIBUTORS

con il patrocinio di: in collaborazione con:

Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero

hanno scritto:

Roberto Audisio

Maria Bologna

Vilma Brignone

Vanina Carta

Riccardo Celi

Fiorenzo Cravetto

Francesco Doglio

Claudia Ferraresi

Roberto Fiori

Giovanna Foco

Fabrizio Gardinali

Axel Iberti

Luca Lingua

Luca Morosi

Camilla Nata

Emanuele Orsi

Alessandro Parola

Monia Re

Luca Revelli

Francesca Tablino

Giorgio Trichilo

traduzioni: Lidia Dutto

credits fotografici:

Alpes de Haute Provence

Art Gallery La Luna

Associazione Ca dj’Amis

ML Briane

Alberto Basso

Oscar Bernelli

Maria Bologna

Cantine Ceretto

Cantine Damilano

Casina Bric

Centre de Presse Monaco

Cesare Barone Urbani

Comune di Badalucco

Francesco Doglio

Festival Mirabile Dictu Dario Fusaro

Daniele Molineris

Luca Morosi

Eloise Nania

Camilla Nata

O.d.T. de Moustiers-Sainte-Marie

Ferruccio Carassale

Press Office Autostrada dei Fiori

Press Office Autostrada Verdemare

Press Office Parco

Naturale Alpi Marittime

Ramella & Giannese

SGA corporate & packaging

design – Maurizio Grisa

Baronessa Zerilli Marimò

aderente a:

RobertoAudisio DIRETTOREARTISTICO

[email protected]

Rivista bimestrale dalle Alpi al MareAnno V • Numero 20 • Marzo - Aprile 2013

Direttore responsabile:Alessio Botto • [email protected]

Direttore artistico:Roberto Audisio • [email protected]

Redazione centrale:Giovanna Foco • [email protected]

Redazione Monaco:Maria Bologna • [email protected]

Editing:Vanina Carta • [email protected]

Concessionaria unica di pubblicità:BB Europa Edizioni • via degli artigiani, 17 - Cuneo • Provincie di Cuneo e Torino:

Jolanda Bivona – [email protected]. +39.388.61.86.091Valerie Chiodo – [email protected]. +39.340.32.23.656

• Liguria:Gabriele Di Costanzo – [email protected]. +39.331.39.19.781

• Monaco e Côte d’Azur:Com & Pro – [email protected]. +33.6.77.06.52.38 - +39.338.11.47.237

[UNICO] è una pubblicazione di BB Europa EdizioniVia degli Artigiani, 17 • 12100 Cuneo tel. +39.0171.60.36.33Reg. Trib. di Cuneo n. 617 del 1 Agosto 2009

Stampa:TIPOLITOEUROPA • [email protected] • www.tipolitoeuropa.com

Tutti i diritti riservati, è vietata la pubblicazione, anche parziale, senza l’autorizzazione dell’Editore© BB Europa Edizioni. Nell’eventualità che testi e illustrazioni di terze persone siano riprodotti in questa pubblicazione, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non citati. L’editore porrà inoltre rimedio, a seguito di segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.

Garanzia di riservatezza per gli abbonati.L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: “BB Europa Edizioni” - Responsabile dati UNICO - Via degli Artigiani, 17 - 12100 Cuneo. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della “BB Europa Edizioni” saranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96).

Puoi trovare [UNICO] nelle migliori edicole della provincia di Cuneo e Liguria di Ponente, a Torino nella Libreria Internazionale Luxembourg, nei migliori locali della Liguria, del Principato di Monaco e della Côte d’Azur.

Questo numero è stato chiuso in redazionel’8 marzo 2013.

In copertina: quarrel squirreldi Daniele Molineris.

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RITRATTO

12 | piemonte – liguria via terra

SOCIETÀ E COSTUME

16 | regio il teatro

20 | principato per donne “in”

26 | vino e design

SPORT

30 | moschettieri del duemila

GUSTO

38 | olio, in bilico tra mare e montagna

ARTE

46 | pentameter resilienze

48 | rufino lo sconosciuto

ITINERARI

52 | alta provenza, piacere sommo

TERRITORIO

58 | uomini e lupi

AZIENDE

62 | boite d’or e il bd’mag

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SOMMARIO

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3 | EDITORIALE7 | SOMMARIO9 | PRIMO PIANO51 | L’INTERVISTA IMPOSSIBILE66 | LIFESTYLE 69 | PASSAPAROLA71 | DA ROMA72 | BEAUTY74 | BONTÀ A TAVOLA76 | BON TON77 | LIBRANDO78 | BENESSERE79 | ARTE80 | MOTORI83 | LEGGE84 | PASSEPARTOUT87 | IN VETRINA – DESIGN88 | MONEY, MONEY, MONEY90 | TRADUCTION FRANÇAISE

RUBRICHE

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PrimoPianoMILANO SANREMO.VOLARE SU DUE RUOTE

“Finalmente, dopo un lungo iter durato tre anni, grazie anche all’assiduo lavoro svolto in collaborazione con la Camera di Commer-cio di Cuneo, è stato raggiunto l’obiettivo e la ‘Mela Rossa Cuneo’ ha ottenuto l’indicazione geografica protetta (IGP) per l’Italia, che la tutela dalle imitazioni e dai falsi”, commentano Marcello Gatto e Bruno Rivarossa, presidente e direttore di Coldiretti Cuneo, in seguito al via libera definitivo dato dalla Commissione Europea per registrare questa eccellenza agricola nel Registro dell’Ue. La registrazione è effettiva a partire dal 15 marzo, con la pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Uf-ficiale dell’Unione Europea. Domenico Sacchetto, presidente del Consorzio Mela Rossa Cuneo: “Dal 15 marzo l’IGP diventa ufficiale per la punta di diamante della frutticoltura della nostra provincia: auguriamoci che questo traguardo dia visibilità anche alle altre produzioni d’èlite della Granda e possa garantire un maggior reddito ai produttori”.

PLANETARIO A TORINO.TRA SOGNO E REALTÀ

E’ sempre atteso l’appuntamento con la Milano-Sanremo, corsa in linea ma-schile di ciclismo su strada, una delle più importanti corse ciclistiche del circu-ito internazionale e prima grande classica nel calendario della stagione. Dal 1989 al 2004 la corsa ha fatto parte del circuito di Coppa del mondo, e dal 2005 al 2007 è stata inclusa fra le prove dell’UCI ProTour. Dal 2011 è inserita nel programma dell’UCI World Tour. Conosciuta con il nome di Classica di Primavera o la Classicissima, è la più importante e famosa corsa di un giorno che si corre in Italia e, con una lunghezza 298 km, è anche la più lunga. Il percorso ed il chilometraggio sono rima-sti pressoché invariati sin dalla prima edizione, particolare che rappresenta una rarità nel panorama delle grandi classiche internazionali. Nel 1937 fu stabilita la data fissa della gara il 19 marzo, giorno della festa di San Giuseppe. Dopo l’abrogazione di tale festività, la corsa oggi avviene il sabato più vicino al 19 marzo.

Domenica 17 marzo 2013, in occasione della “Giornata Nazionale dei planetari”, si inaugura il nuovo Planetario di Torino, con la proiezione di uno spettacolo inedito che include contenuti originali e nuovi effetti tridimensionali che permettono un viaggio sempre più profondo. “Grazie alla nuova tecnologia”, afferma il prof. Attilio Ferrari, presidente di “Infini.To”, “è possibile scoprire nuovi mondi, sorvolare pianeti osservando da vicino spettacolari dettagli 3D del terreno, seguire satelliti e sonde spaziali a “spasso” per il cosmo e ammirare un cielo notturno sempre più realistico”. Il Planetario è un simulatore del cielo, ciò che si vede non è reale ma ricostruito. È costituito da due componenti fondamentali: un sistema di proiezione (ottico-meccanico o digitale), pre-disposto per rappresentare il cielo e i moti celesti, e uno schermo semisferico. Quello che si trova all’interno del Museo di Infini.To è un sistema di proiezione che utilizza grafica digitale computerizzata tecnologica-mente d’avanguardia (Digistar 5 della Evans & Sutherland) unita alla realizzazione grafica 3D, allo storyboarding e alla colonna sonora spesso creati dallo Staff di Infini.To. Senza muoversi dalla poltrona è possibile vedere il cielo a una certa ora in un determinato luogo, oppure grazie all’innovativo sistema digitale, compiere un vero e proprio viaggio alla scoperta dei più affascinanti oggetti che popolano l’Universo.

LA MELA ROSSA CUNEO OTTIENE L’IGP

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serata di galas a v e t h e d a t e

3 maggio ore 20,30

i n f o r m a z i o n i : c u n e o @ a s f - i t a l i a . o r g

Dal 1996 il club cuneese di “Amitiè sans Frontieres” è impegnato in attività di sensibilizzazione sui temi umanitari e di solidarietà fondati sui tre principi fon-

damentali dell’Associazione Internazionale presieduta dal principe Alberto di Mo-naco: Giustizia, Tolleranza e Amicizia. “Ogni anno proponiamo iniziative benefi che per raggiungere gli obbiettivi proposti dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” afferma Gianluca Pasquale, Presidente in carica del Club di Cuneo. I fondi raccolti nella Serata di Gala 2013, saranno devoluti per un terzo al progetto internazionale “Soccorso Siria” per portare aiuto a migliaia di bambini rifugiati nei campi profughi, proteggerli e dar loro possibilità di frequentare la scuola, mentre i due terzi sarà devoluto ad una Onlus cuneese che svolge attività di benefi cenza sul territorio. Ospiti d’eccezione Jessica Cochis con il suo sassofono e la star Laritza Baccallao che animerà il dopocena con il ritmo travolgente della musica cubana. A seguire il Dj Francesco Fontes per una chiusura all’insegna del divertimento. Una serata d’eccezione, con alto valore sociale, a cui non puoi mancare. Dress code: black tie.

Valerio Liboni ex “Nuovi Angeli”

Direttore artistico serataValerio Liboni ex “Nuovi Angeli”

Direttore artistico serata

a m i t i e s a n s f r o n t i e r e sc l u b d i c u n e o

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PrimoPiano

GENOVA - MOSCA, L’AEROPORTOCRISTOFORO COLOMBO OFFRE UN NUOVO VOLO S7 Siberia Airlines annuncia l’ingresso dello scalo genovese tra le destinazioni del proprio network per l’estate 2013. Prende il via il 20 aprile e opera fino al 26 ottobre il volo di linea Genova – Mosca operato dalla Russa S7. Il collegamento ha una frequenza iniziale di un volo a settimana (il sabato), per passare a due voli a settimana a maggio (mercoledì e sabato), a quattro voli alla settimana a giugno (mercoledì, giovedì, sabato e domenica) e infine a cinque voli alla settimana a partire da luglio (lunedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica. Il mercato del turismo da Mosca alla Liguria è in costante espansione, e rappresenta un’occasione importantissima per l’incoming nella nostra regione. «La decisione di S7 Siberia Airlines di puntare sul nostro scalo attraverso l’introduzione di un collegamento diretto con Mosca con più frequenze settimanali conferma le potenzialità turistiche del nostro territorio. Da tempo lavoriamo per moltiplicare le opportunità di incoming e rendere il Cristoforo Colombo la porta della Liguria per i turisti in arrivo da tutto il Mondo», ha commentato Marco Arato, presidente dell’Aeroporto di Genova. I biglietti possono essere acquistati sul sito www.s7.ru e nelle Agenzie di Viaggio. Info e prenotazioni anche al Call center di S7 Siberia Airlines al numero 8-800-200-000-7 (chiamate gratuite dalla Russia). Orario Voli (soggetto a variazioni) S7 607 Moscow, Domodedovo (DME) - Genoa (GOA) 13:55 15:50 – S7 608 Genoa (GOA) - Moscow, Domodedovo (DME) 16:40 22:30.

ARTE TERRITORIOE CULTURA, ACCENDERE NUOVI ORIZZONTI

BIOLOGICO CUNEESEPRESENTATO A BORDIGHERA Prosegue l’attività dell’As-sociazione Produttori Biologici Terramica volta alla valorizzazione del prodotto biologico piemontese inserita nell’ambito della Misura 133 del PSR Attività di informazione per la promozione di prodotti che rientrano nei sistemi di qualità alimentare. E’ da queste intenzioni che è nata la collaborazione tra Terramica e l’Hotel Parigi di Bordighera centro benesse-re Maurice Mességué volta a far conoscere il prodotto biologico delle aziende associate ai clienti della struttura ricettiva. L’iniziativa è stata presenta nella struttura ricettiva dell’Hotel Parigi nell’ambito di una serata nella quale sono stati serviti in degustazione piatti preparati con prodotto biologico cuneese. Con questa collaborazione – dichiara Marcello Pellegrino, responsabile provinciale Terramica – possiamo inserire il prodotto biologico cuneese all’interno del Centro Benessere Mésségue dell’Hotel Parigi. L’alimen-tazione biologica abbinata al concetto di salute e benessere è un binomio vincente. La preparazione di piatti con prodotto biologico delle aziende Terramica permetterà di far conoscere al cliente della struttura le nostre aziende e l’eccellenza del territorio”. “La volontà da parte nostra di contattare direttamente l’Associazione Produttori Biologici Terramica - dichiara Davide Sattanino, titolare dell’ Hotel Parigi - è volta a interagire direttamente con le aziende agricole per reperire prodotto biologico di qualità. Questa collaborazione ci permette di accorciare la filiera distributiva ordinando il prodotto che inseriremo all’interno di alcuni nostri piatti direttamente all’azienda agricola a garanzia della qualità e della freschezza.”

La provincia di Cuneo attira sempre di più visitatori alla ricerca di valori unici e autentici, luoghi e stili di vita che consentono di riappro-priarsi di ritmi e sapori a dimensione umana, ricordi indelebili da conservare nel proprio in-timo una volta ritornati a casa. Molti operatori stanno prendendo consapevolezza di questa sensibilità, maturata attraverso il confronto fra viaggiatori e ospiti. Con questo spirito è nata l’Associazione “Ar.Te.C. - Accendi la cultura!” - www.accendilacultura.it - un nuovo strumen-to per la conoscenza della cultura locale, delle risorse ambientali e paesaggistiche e delle numerose testimonianze storico-artistiche della “Granda”, senza trascurare gastronomia e valorizzazione dei prodotti locali. Propone visite e pacchetti su misura del richiedente, per consentire esperienze emozionali alla scoperta del territorio, accompagnati da figure altamente professionali. Si rivolge a turisti, ma anche scuole e aziende, e a chiunque, singo-larmente o in gruppo, desideri “immergersi” nella provincia di Cuneo.

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A TU PER TU CON GIOVANNI QUAGLIA E GIANNI GIULIANO, PRESIDENTI DELLE AUTOSTRADE CHE COLLEGANO I TERRITORI FAVORENDO ACCESSIBILITÀ E SCAMBI DEI SISTEMI COMMERCIALI.

DI FIORENZO CRAVETTTOPHOTO: AUTOSTRADA TORINO-SAVONA SPA

AUTOSTRADA DEI FIORI SPA

negli anni ’50 per iniziativa della Fiat e attual-mente di proprietà del Gruppo Gavio, che vo-gliamo parlare con Quaglia.

Ne è passata di acqua nel Po da quando la Torino-Savona era una lingua d’asfalto a una sola carreggiata, che serviva alle 500 e alle 600 dei Torinesi per correre in Riviera...È la mia più bella soddisfazione aver potuto collaborare alla trasformazione della Torino-Savona in una vera autostrada, al suo totale raddoppio e alla conseguente messa sicurezza con i più moderni apparati tecnologici. Oggi, la Verdemare è un’arteria all’onor del mondo e corrisponde in pieno a quello che è sempre stato il mio progetto: favorire l’accessibilità dei territori e dei relativi sistemi industriali e commerciali.

GIOVANNI QUAGLIAÈ uno dei professori che hanno fatto la storia della provincia Granda negli ultimi decenni. Giovanni Quaglia, giovanissimo, è sindaco del suo paese, Genola. Poi spicca il volo: presi-dente del Comprensorio Saluzzo-Savigliano-Fossano, segretario della Dc provinciale, consigliere regionale e, per una lunga stagio-ne, dal 1988 al 2004, “presidentissimo” della Provincia. Dal 2000, comincia anche l’espe-rienza di vertice tra banche e le grandi con-glomerate industriali: diventa vicepresidente della Fondazione CRT e presidente dell’Auto-strada Torino-Savona. Oggi, a 65 anni, conti-nua a sedere nel board di Unicredit e a tenere saldamente la presidenza dell’autostrada, nel frattempo ribattezzata “Verdemare”. Ed è di questa importante realtà infrastrutturale, nata

L’Autostrada Torino-Savona, conosciuta come “Verdemare”, è stata completamente trasformata negli ultimi anni con il raddoppio e la messa in sicurezza con i più moderni apparati tecnologici.

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Giovanni Quaglia, esponente di spiccodella provincia di Cuneo, è presidente

della “Verdemare” dal 2000.

Nel futuro del sistema autostradalesono previste nuove opere per facilitare

ancor più i rapporti fra la provincia di Cuneo,la Riviera ed il sistema portuale ligure.

È un concetto che ripete spesso: l’autostra-da, dunque, non è soltanto una via protetta per raggiungere più in fretta località lontane.Chiaro che la riduzione dei tempi di percor-renza rappresenta un vantaggio.Ma io ritengo che, specialmente nel nostro caso, con una geografia difficile che espone le aree periferiche al rischio dell’isolamento, un’autostrada come la Verdemare diventa un elemento di interazione e un vero driver di sviluppo.

Si riferisce alla crescita integrata dei nuovi assi autostradali che incrociano la Torino-Savona, immagino.Certamente. Ora finalmente c’è il collegamen-to fino a Cuneo, che entro qualche anno si completerà con la saldatura autostradale fra le

Langhe e Asti. In questo modo, abbiamo faci-litato i rapporti fra l’intera provincia, la Riviera e il sistema portuale ligure. Con l’innervamen-to di Asti, avvicineremo il nostro territorio a Milano e alla pianura padana.

I cantieri non si fermano mai. Ci dica come state lavorando per noi.La prima novità è la prossima apertura del casello di Carmagnola Sud, per cui l’Anas sta completando la bretella presso Racconigi. Un nuovo casello è previsto alla Tagliata di Fossano, dove c’è un polo industriale stra-tegico. Terzo obiettivo: aspettiamo risposte per realizzare un collegamento rapido tra la Regionale 20, a Savigliano sud, e la maxiroton-da di Marene e di qui al casello della Cuneo-Asti a Veglio di Cherasco.

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GIANNI GIULIANOPer testimoniare il ruolo attivo di Autofiori nella promozione della Riviera dei Fiori, il presidente Gianni Giuliano, l’estate scorsa, è salpato con la Goletta “Liguria” ed ha navigato lungo le coste per stilare un rapporto sullo stato del mare e del-le spiagge. D’altronde Gianni Giuliano, avvoca-to, 62 anni, nel suo lungo corso politico, è stato anche assessore al turismo di Sanremo, la città del Casinò e del Festival, e in seguito, dal 2001 al 2010, ha mantenuto la presidenza della Provincia di Imperia, che sul turismo vive, insieme a un ricco comparto agroalimentare. Dal marzo del 2011, Giuliano è al vertice dell’Autostrada dei Fiori, che ha come azionista di riferimento la Salt di Gavio (60%), mentre il 20% è suddiviso fra le Province di Imperia e di Savona, il 16% è in quota Carige e il restante 4% della Cassa di Risparmio di Savona.

Avvocato Giuliano, partiamo dai numeri. Rispetto agli oltre 25 milioni di veicoli transita-ti nel 2001, negli ultimi anni c’è stato un calo dell’8%, dovuto alla crisi e all’aumento del costo dei carburanti. Meno transiti vuol dire anche meno turisti che vengono in Riviera. Per questo è salito sulla Goletta?La crisi è di sistema e l’aumento del costo della benzina ha fatto il resto. Ma sappiamo tutti che Autofiori resta un’insostituibile via mercantile e

turistica. Io ritengo che il nostro territorio vada propagandato, anche perché siamo bombardati da mille proposte esotiche quando, in realtà, ab-biamo il paradiso in casa. Per bellezze naturali, clima, offerta turistica non siamo secondi a nes-suno. E la nostra autostrada porta la conoscenza della Rivera dei Fiori agli Italiani.

Sospesa tra terra e mare, l’Autofiori è un gio-iello tecnologico di 113 km che si snoda da Savona al confine di Ventimiglia. E ora ha rag-giunto i 50 anni di vita: cos’è cambiato?Aggiungiamo anche che abbiamo il 60% del trac-ciato in galleria o su viadotto. Un impegno che tiene in strada quasi tutto il nostro personale. Ora, è chiaro che l’enorme affluenza che in ogni caso ci caratterizzerà in un prossimo futuro non potrà essere smaltita con un impossibile rad-doppio, ma lavorando sugli assi perpendicolari, come la strada del Colle di Tenda, la 28 del Colle di Nava e altri innesti in via di studio come l’asse Albenga-Garessio, che possono facilitare gli ac-cessi dal Piemonte.

Come dice l’ad di Società Autostrade, Castellucci, oggi è fondamentale la capacità di selezionare gli investimenti puntando su quel-li che migliorano la competitività, perché sup-portano il turismo internazionale e aiutano la mobilità nei centri urbani.Infatti, Autofiori è una realtà che assolve a en-trambi questi compiti. Non a caso abbiamo in corso, come investimento prioritario, la co-struzione della nuova barriera autostradale di Ventimiglia.

L’avete chiamata “nuova porta d’Italia”: a quando l’inaugurazione?Sarà pronta entro il 2015 e avrà 24 piste di esa-zione. Il design è ad ala di gabbiano, in sintonia con la finalità di questa grande opera che, oltre a ottimizzare i passaggi, rappresenterà anche una riqualificazione del sito dal punto di vista am-bientale e paesaggistico.

Gianni Giuliano, avvocato dal lungocorso politico imperiese, è il presidente

della “Autostrada dei fiori” dal 2011.

Da Savona a Ventimiglia l’autostrada è un gioiello tecnologico di 113 Km. con il 60% del tracciato

in galleria o su viadotto su cui transitano,ogni anno, oltre 20 milioni di veicoli.

Il progetto della nuova barriera di Ventimiglia,già denominata “nuova porta d’Italia”:

sarà pronta entro il 2015, con un design accattivante ad ala di gabbiano.

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LE TRE VITE DEL LUOGO DI CULTURA PIÙ RAPPRESENTATIVO DI TORINO: A QUARANT’ANNI DALLA RIAPERTURA DOPO L’INCENDIO DEL 1936, VA IN SCENA IL DON CARLO VERDIANO DIRETTO DA GIANANDREA NOSEDA

DI VILMA BRIGNONEPHOTO: ELOISE NANIA.JPEP

stelle come Ramón Vargas, Barbara Frittoli, Ildar Abdrazakov, Ludovic Tézier e Daniela Barcellona. Si festeggeranno così anche i numeri della pro-duzione che il Regio vanta dopo ben quattro decenni dall’avvio della sua “terza vita”: 375 titoli operistici, 3.250 rappresentazioni, oltre 3.800.000 spettatori e grandissimi interpreti. “La Storia del Regio conosce tre grandi fasi storiche – scrive il musicologo di fama inter-nazionale Alberto Basso, torinese di nascita e saluzzese di adozione, uno dei massimi esperti di storia dell’opera in musica e di Bach, non-ché autore di numerosi volumi sulla storia del Teatro Regio di Torino (tra questi: L’arcano in-canto: il Teatro Regio di Torino, 1740-1990 per la mostra dei 250 anni di fondazione). “C’è un teatro Regio (o ci sono i “regi teatri”) prima del

È un grande titolo verdiano, il Don Carlo – in scena dal 10 aprile al Teatro Regio di Torino

– a celebrare, in questa data della prima, i 40 anni dalla riapertura. Era il 10 aprile del 1973 quando, con un’altra opera di Giuseppe Verdi, I Vespri siciliani, si alzava il sipario sulla nuo-va vita del Regio, ricostruito dopo l’incendio del 1936. Per l’anniversario è stato scelto uno degli allestimenti più suggestivi: quello ideato da Hugo de Ana, mentre la direzione musicale è di Gianandrea Noseda, uno dei grandi diret-tori d’orchestra sulla scena internazionale, “la grande forza del Teatro Regio”, come lo ha de-finito il sovrintendente della Fondazione Lirica, Walter Vergnano. In scena fino al 23 aprile, per approdare poi al Theatre des Champs Elysées di Parigi, il Don Carlo porta sul palcoscenico un cast di

L’elegante platea nel suo attuale allestimento, firmato da Carlo Mollino e da Marcello Zavelani-Rossi, rifulge di porpora. Il giorno dell’inaugurazione, seduti nel palco reale c’è chi ricorda il presidente della Repubblica, Giovanni Leone e Donna Vittoria. Ma la regina indiscussa della festa è Maria Callas.

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Il Teatro Regio è in fiamme, titolò La Stampa riportando la notizia di quel 9 febbraio, quando una colonna di fumo si sprigionava dalla cupola sopra il palcoscenico.

Domina il rosso nel luminoso foyer di 4000 metri quadri. Colpisce il lampadario, affascinante cascata dorata, con 1742 steli. Suggestivo l’intarsio nel pavimento, testimonianza del simbolo della città di Torino: il toro.

Nuovo Teatro Regio eretto da Benedetto Alfieri su ordine di Carlo Emanuele III e ora c’è, dal 1973, un altro nuovo Teatro Regio, firmato da Carlo Mollino e da Marcello Zavelani-Rossi, nel medesimo luogo e con la facciata dell’antica fabbrica alfieriana. In altre parole, un insieme di teatri ante 1740, il teatro degli anni 1740-1936 e quello del 1973. La sua messa in opera partì dal devastante incendio del 9 febbraio 1936.”Il Teatro Regio è in fiamme, titolò La Stampa riportando la notizia di quel 9 febbraio, quando una colonna di fumo si sprigionava dalla cupola sopra il palcoscenico: “Una folla numerosa in Piazza Castello contempla con occhi sbarrati la devastazione del caro teatro”. Sempre il quoti-diano torinese, il giorno dopo, descriveva: “La

recita (Liolà di Giuseppe Mulè) era finita pre-sto; l’incendio ha avuto tutto il tempo di svilup-parsi impetuosamente”. Sette autopompe, due autoscale, 120 pompieri, 50 condotte d’acqua per domare le fiamme. Sette vite tratte in salvo, ma nulla di salvato della sala e del palcoscenico. “Uno spettacolo di rovina là ove ieri splendeva-no gli ori settecenteschi.”Dopo 37 anni – anche se le stagioni del Regio non conobbero interruzioni – il 10 aprile 1973, il nuovo Regio di Mollino viene inaugu-rato. Seduti nel Palco reale, il presidente della Repubblica Giovanni Leone e Donna Vittoria. Regina della festa è Maria Callas. La “divina”, di nero vestita, è in scena come regista, con Giuseppe Di Stefano, ne I Vespri siciliani, l’uni-

L’istantanea del 2000 è quella di un teatro lirico multimediale, che va in

radio, televisione, internet.

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ca volta nella sua carriera. Un’idea considerata un coup de théâtre dell’allora sovrintendente Giuseppe Erba, che fa parlare tutte le testate del mondo. Scoop originali tengono vive le cronache, come quella di un’amicizia rafforzata dai grissini rubatà, che Erba spediva a Parigi alla Callas; le considerazioni sui presunti 8 milioni di cachet; le non benevoli critiche che piovono sulla cantante nelle vesti di regista...Un secolo prima dell’incendio, il Regio Teatro di Torino veniva edificato da Alfieri nel tempo record di due anni e inaugurato il 26 dicembre

1740 con l’Arsace di Francesco Feo. Fu conside-rato dai cronisti del tempo il più grande d’Eu-ropa: per la sua capienza di 2.500 posti (in una città che allora contava 60.000 abitanti), per le opere e per i personaggi che lo frequentarono. Tra questi, Wolfgang Amadeus Mozart, allora quattordicenne, il cui padre Leopold – anno-ta Alberto Basso nel suo volume I Mozart in Italia – parlando del soggiorno sabaudo, scris-se il 1° febbraio 1771 alla moglie di aver assi-stito, al Regio, a un’opera “davvero magnifica” (Annibale in Torino di Paisiello). Dal 1799 al 1814, cambiò nome con l’avvicendarsi di vari governi: fu Teatro Nazionale, Teatro delle Arti, Teatro Imperiale. Infine, nessun altro teatro al mondo vanta il suo primato, quello cioè di aver ospitato, dal 1740 al 1798 – periodo in cui fu diretto dalla Nobile Società dei Cavalieri – 111 “drammi per musica”, 105 dei quali in prima assoluta. Nel secolo successivo, gli eventi che vi si tenne-ro furono memorabili: tra questi, il 1° febbraio 1893, la prima della Manon Lescaut di Puccini, la prima de La Bohème, ancora di Puccini e diretta da Toscanini nel 1896, mentre un anno prima sempre Toscanini salì sul podio del Regio per la prima in Italia de Il crepuscolo degli dei di Wagner. Qui, infine, Richard Strauss diresse la Salomè, da lui composta nel 1906.L’istantanea nel Duemila è quella di un teatro lirico multimediale, che va in radio, televisione, internet, dialoga con il sito e su Facebook. È un regio live, (prima esperienza in Europa) collega-to Wi-Fi al sito www.regiolive.it. È un teatro con la valigia, impegnato in coproduzioni con altri palcoscenici italiani e stranieri. Nessuno spetta-colo nasce e muore a Torino: le opere vanno in Europa, come in Estremo Oriente. Quest’anno, per esempio, sarà in Giappone, con la Tosca e Un ballo in maschera, ma anche al Konzerthaus di Vienna e a Dresda per il bicentenario della nascita di Verdi. Nonostante i tagli alla cultura, qui si investe in cultura: le opere allestite sono passate da 10 a 11 per la stagione in corso, con

Nel Diciottesimo secolo fu considerato, dai cronisti dell’epoca, il più grande teatro del Vecchio Continente per la sua capienza, per le opere e per i

personaggi che lo frequentarono.

Nessuno spettacolo nasce e muore a Torino: le opere vanno in Europa come in Estremo Oriente.

Quest’anno, per esempio, sarà in Giappone con la Tosca e un ballo in maschera.

“Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi,stagione 2011-2012.

Photo: Ramella & Giannese.

OPERA SENZA CONFINI: LA STAGIONE 2012-2013Protagonisti i grandi classici, in un percorso che va dal tardo Settecento del Don Giovanni di Mozart e de Il matrimonio segreto di Cimarosa (dal 14 marzo) al belcanto ottocentesco de L’Italiana in Algeri (dal 9 giugno) e de L’elisir d’amore di Donizetti (dal 21 giugno). Dalla prima grande opera romantica di Wagner, Der fliegende Holländer, a due titoli di metà Ottocento di Verdi, come La traviata (dal 5 marzo) e Don Carlo (dal 10 aprile); dall’opera francese per antonomasia, la Carmen di Bizet alla sensibilità tardo-ottocen-tesca di Cajkovskij in Evgenij Onegin (dal 17 maggio), per giungere al Verismo italiano con La Bohème di Puccini (29 gennaio) e Andrea Chénier di Giordano (15 gennaio). Der fliegende Holländer (“L’Olandese volante”) ha inaugurato la stagione il 21 ottobre scorso.www.teatroregio.torino.it

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un totale di 83 rappresentazione e 13 date con il Béjart Ballet Lausanne, contro le 71 d’opera e le 22 di balletto precedenti.

SUGGESTIONI IN ROSSO È legata al simbolo della Città di Torino, il toro, la suggestione cromatica che avvolge chi entra al Regio. Domina il rosso del luminoso foyer di 4.000 mq e delle poltrone in platea (29 file di posti), così come della corona di palchi (1592 i posti nella sala a forma di conchiglia semia-perta). Colpisce il lampadario: un’affascinante cascata dorata sulla superficie della cupola, con 1.762 steli con punto luce e 1.900 riflettenti, di diversa lunghezza. Fra i più grandi d’Europa, il palcoscenico è sovrastato dall’imponente torre di scena (32 m) e si articola in una scena cen-trale, con sei ponti mobili, due scene laterali e una dorsale. Sotto il palco, 22 camerini, la sala orchestra, la sala trucco e la sartoria al secondo piano interrato.

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QUATTRO ILLUSTRI PERSONAGGI FEMMINILI ACCOMUNATE DA DOTI NON COMUNI: DONNA FERNANDA CASIRAGHI, LA MARCHESA MARIA GHILLA DI CANOSSA, LA BARONESSA MARIUCCIA ZERILLI MARIMÒ E LIANA MARABINI.

DI MARIA BOLOGNA

ria discrezione, eccezionale generosità e uno splendido sorriso... sarà un caso?Cominciamo con Donna Fernanda Casiraghi, at-tuale presidente dell’Associazione Imprenditori Italiani a Monaco e dell’Accademia Italiana della Cucina. Signora brianzola d’altri tempi, riservata e distinta, Donna Casiraghi è nota alle crona-che per essere la nonna di Andrea, Charlotte e Pierre, figli del compianto Stefano Casiraghi e di SAR la Principessa Carolina di Hannover. Imprenditrice ancora marginalmente impegna-ta nell’azienda di famiglia, vive sulla Rocca, ma spesso si reca dai figli nella tenuta di famiglia, a Murnaso, dimora a cui è molto affezionata. La si incontra agli avvenimenti monegaschi di alto profilo, ma soprattutto è fondamentale il suo contributo alla creazione dell’Associazione Imprenditori Italiani a Monaco, di cui è presi-

Principato di Monaco: una città-stato con ben 119 nazionalità tra i residenti, dove

la comunità italiana si distingue per essere la seconda più importante in termini di presen-za, dopo quella monegasca e quella francese. Qui vivono imprenditori, ma anche famiglie, cantanti, attori, banchieri, armatori, costruttori, sportivi e artisti. Per molti di loro è una scelta di vita, per la sicurezza, il clima e la qualità della vita che rendono questo piccolo paradiso un luogo invidiabile. In occasione della Festa delle donne, in esclusi-va per UNICO, abbiamo scelto alcune protago-niste della vita culturale locale. Una selezione non facile, che ovviamente non intende pena-lizzare coloro che non vengono menzionate. Si tratta di quattro donne accomunate da doti davvero non comuni: grande classe, straordina-

La celebre Rocca di Monte-Carlo, dimora della famiglia reale, si staglia sopra la città ed è riconoscibile da ogni dove.

Nella pagina seguente:Stefano Casiraghi e Carolina, ai tempi del loro matrimonio, sono ancora nel cuore dei monegaschi.

Donna Fernanda Casiraghi è presidente dell’Associazione Imprenditori Italiani a Monaco. E’ appassionata della buona cucina.

La Baronessa Mariuccia Zerilli Marimò, mecenate rara, è promotrice di innumerevoli progetti. Nel 2012 è stata insignita del Transatlantic Aword dell’American Chamber of Commerce in Italy per avere favorito lo sviluppo delle relazioni tra Italia e Stati Uniti.

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dente fin dalla fondazione, poiché, come ha lei stessa afferma, “credo che sia fondamentale dare una voce comune agli imprenditori, sia presso gli organi governativi del Principato sia quelli italiani”. Inoltre, anche in omaggio alla sua passione per la buona cucina – tempo fa ci aveva confidato di amare in particolar modo l’ossobuco alla milanese – ricopre la carica di presidente onorario della sede monegasca dell’Accademia della Cucina, affiancata dai de-legati Luciano Garzelli e Raffaella Stimamiglio. Non è raro, dunque, vederla dare il benvenuto a imprenditori e cuochi di fama mondiale. Ed essere accolti da Donna Casiraghi è sempre un onore...La Marchesa Maria Ghilla di Canossa è una donna speciale. Sposata dal 1979 con il Marchese Sigifredo di Canossa, Maria Ghilla si definisce soprattutto madre di tre splendide fi-glie, Costanza, nata nel 1980, Claudia ed Enrica, classe rispettivamente 1985 e 1990. Chi la co-nosce la apprezza per la gentilezza e sa bene che la sua allure ha origini lontane, anche in relazione all’antico e nobile lignaggio che la contraddistingue – la Marchesa nasce, infatti, Principessa Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Persona sensibile, generosa, sempre sorriden-te, con grande forza d’animo e profondamen-te orientata verso gli altri, fin dal suo arrivo a Montecarlo da Roma – tanto semplicemente e senza clamore – la Marchesa di Canossa si è sempre personalmente impegnata in attività caritative di ogni genere. A Monaco ha iniziato a dare il proprio personale contributo assistendo gli anziani e i bisognosi della comunità di Cap Fleuri, nell’ambito delle iniziative promosse dalla Croce Rossa monegasca. Presente in mol-te altre associazioni, è con l’AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro) di Verona che si occupa personalmente dell’organizzazione di importanti eventi, spettacoli e concerti di beneficenza, presso la storica villa sul Lago di Garda, di proprietà della famiglia del marito. Recentemente, Ghilla ha scelto di essere ma-

drina della manifestazione Danceforlife, tenu-tasi nel Principato, durante la quale la ballerina Erica Brindisi ha danzato per contribuire alla raccolta fondi da destinare alla ricerca sulla sclerosi multipla, malattia da cui entrambe sono affette. Maria Ghilla, splendida cinquan-tenne, sembra non volersi mai risparmiare per aiutare e assistere chi è in difficoltà, ma è arduo elencare tutti i suoi interessi filantropici, poi-ché, come si diceva, proprio nella discrezione brilla la sua generosità. Un’esistenza, quella della gentile Marchesa, che rivela una grande tenacia nel non mettere confini alla curiosità e alla voglia di vivere: un esempio per molti, una perla rara che tanti sanno ammirare e a cui voler bene.Per la Baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò, vi-vere a Monaco, invece, significa impegnarsi in prima persona affinché la cultura e i giovani di talento trovino la propria giusta collocazione. Attiva in seno ai consigli di amministrazione di numerose entità culturali presenti in tutto il mondo, nel Principato di Monaco la Baronessa dà il proprio prezioso contributo anche attra-verso le Associazioni Monaco-Italie e “Dante Alighieri”, dove promuove eventi legati all’ar-

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te e alla musica. Impegnata in prima persona nel finanziare importanti iniziative e borse di studio, è a lei che si deve la nascita della Casa Italiana “Zerilli Marimò”, fondata nel 1990 a New York, ora centro rinomato a livello inter-nazionale e dedicato ai giovani per lo sviluppo della cultura, della scienza e degli studi econo-mici. Mecenate rara e promotrice di innumere-voli progetti, la Baronessa, per i suoi meriti e le sue capacità, è stata insignita di vari premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Non ulti-mo, il Transatlantic Award 2012 dell’American Chamber of Commerce in Italy, conferitole lo scorso novembre a Milano per aver favorito lo sviluppo delle relazioni tra Italia e Stati Uniti.Liana Marabini è una donna attiva su molti fronti: dirige diverse aziende e una libreria mo-negasca con volumi di pregio e di antiquariato, oltre a essere regista, editore e ideatrice del Festival Internazionale del Cinema Cattolico, Mirabile Dictu, giunto quest’anno alla sua quar-ta edizione e patrocinato dai Dicasteri Vaticani della Cultura e della Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ma di cosa tratta? Ce lo rac-conta direttamente Liana: “Mirabile Dictu è un festival internazionale dedicato al cinema cattolico. L’idea nasce dalla necessità di evange-lizzare la difficile industria del cinema. Oggi, le persone hanno bisogno di modelli e il cinema, che è uno strumento accessibile a tutti, può promuovere valori morali ed eroi positivi. Così ho pensato che un festival internazionale fosse il palcoscenico ideale per coloro che hanno il coraggio di scrivere, dirigere, produrre e inter-pretare pellicole di questo genere, ma anche un luogo d’incontro per chi finanzia, distri-buisce e trasmette film di questo tipo” (www.mirabiledictu-icff.com). Ma non finisce qui, poiché Liana Marabini ha in progetto l’apertura, nel Principato di Monaco, di una scuola privata cattolica internazionale esclusivamente maschile, capace di preparare i giovani sotto ogni profilo, seguendo il modello dell’“uomo universale” del Rinascimento. Gli

La Marchesa Maria Ghilla di Canossa si è sempre, personalmente, impegnata in attività caritatevoli

di ogni genere: dall’assistenza agli anziani alla collaborazione con la Croce Rossa, e con la

Associazione Italiana Ricerca sul Cancro.

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Liana Marabini, nella foto ritratta con Christopher Lambert, è l’ ideatrice del Festival Internazionale del Cinema Cattolico “Mirabile Dictu”, giunto quest’anno alla sua quarta edizione. La manifestazione nasce dall’esigenza di evangelizzare la difficile industria del cinema.

allievi selezionati dovranno diventare dei “no-velli Leonardo da Vinci”, studiosi di materie scientifiche e umanistiche in ugual misura, con un diploma di maturità con cui potranno pro-seguire gli studi presso tutte le università del mondo. Infine, la passione per l’arte, che l’ha portata sostenere finanziariamente il restauro della nuova Sala Matisse dei Musei Vaticani: “Una scelta che rispecchia il mio amore per l’ar-te sacra e la mia convinzione che la stessa può convertire le anime. Henri Matisse stesso ne è la prova. La sua conversione, sopraggiunta po-chi anni prima della morte, è testimoniata dalla sua ultima opera, la Chapelle du Saint-Marie du Rosaire a Vence, i cui disegni originali (3 x 5 m), insieme al materiale progettuale, sono oggi esposti in questa magnifica sala. I lavori sono durati quasi due anni e oggi la Sala Matisse è aperta al pubblico. I Musei Vaticani sono i primi ad avere una sala intera dedicata esclusivamen-te a questo artista”.

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Atterri a Bucarest e inizi a respirare vitalità. Una città eclettica in cui convivono da protagonisti

passato e futuro, mixati con armonia in un presente frizzante. Palazzi grigi e parchi verdi, strabilianti esempi di architettura fi ne Ottocento accanto alla mastodontica Casa del Popolo, grandi viali ed un centro storico vivace, ridiventato cuore pulsante della città: questa è Bucarest, una capitale da scoprire che per anni è stata nascosta dietro il muro del comunismo ma che oggi si offre completamente ai turisti. La leggenda vuole che il suo nome derivi da quello del pastore Bucur, che in rumeno signifi ca gioioso; per questo Bucarest è spesso tradotta come Città della gioia. Passeggiando per i suoi viali si ha la sensazione di una città in continuo divenire in cui nuove e antiche architetture si fondono e si confondono in un quadro di luci, di strade, di negozi, di bar, di clubs e ristoranti che non sono da meno rispetto alle più blasonate capitali europee. E capisci perché è conosciuta come la Piccola Parigi dell’Est. Basta entrare nel cuore della città, la Corte Antica, per trovare l’essenza di questo clima. Una passeggiata

per perdersi tra gli atelier di giovani pittori e negozietti di antiquari, una visita alla bella chiesetta Curtea Veche, prima di provare una delle vere istituzioni dell’offerta gastronomica in città, il ristorante Caru cu Bere, che ti accoglie abbracciandoti con le sue vetrate colorate e ti riporta indietro nel tempo a fi ne ‘800. Ma è quando si spegne il giorno e si accendono le luci che Bucarest si sveglia e presenta la sua faccia più sorprendente. Un’infi nità di locali, lounge bar, disco pub alla moda animano il centro storico, restaurato completamente negli ultimi anni e vero centro del divertimento. Bucarest è rinata: eventi, festival, mostre, rassegne teatrali e concerti riempiono le pagine dei giornali. La proposta culturale della città è ricchissima e la primavera è il periodo migliore per conoscere uno dei costumi più interessanti della Romania, il Martisor, simbolicamente collegato alla rinascita e alla fertilità. Il Museo del Villaggio (Muzeul Satului), uno dei più grandi e famosi musei Etnografi ci all’aperto d’Europa, prende vita ed si entra in contatto con la vera essenza romena: canti, balli, teatro, fi ere enogastronomiche, atelier di pittura e scultura.

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• 25 aprile Sala del Palazzo Reale: concerto Mark Knopfl er, fondatore, compositore e chitarrista del gruppo Dire Straits.

• 25-28 aprile spazio Romaero Baneasa - Bucarest: Deco Stil Design, mostra di mobili, decorazioni interni.

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• 21-24 marzo Chiesa Luterana: Festival Jazz in Church con Nik Baertsch e Alexandru Balanescu.

• Dall’1 al 28 settembre: ventunesima edizione Festival e Concorso Internazionale “George Enescu”. Festival di fama internazionale che accoglie nelle più prestigiose location una rassegan di musica classica con delle orchestre e fi larmoniche di tutto il mondo. www.festivalenescu.ro

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Atterri a Bucarest e inizi a respirare vitalità. Una città eclettica in cui convivono da protagonisti

passato e futuro, mixati con armonia in un presente frizzante. Palazzi grigi e parchi verdi, strabilianti esempi di architettura fi ne Ottocento accanto alla mastodontica Casa del Popolo, grandi viali ed un centro storico vivace, ridiventato cuore pulsante della città: questa è Bucarest, una capitale da scoprire che per anni è stata nascosta dietro il muro del comunismo ma che oggi si offre completamente ai turisti. La leggenda vuole che il suo nome derivi da quello del pastore Bucur, che in rumeno signifi ca gioioso; per questo Bucarest è spesso tradotta come Città della gioia. Passeggiando per i suoi viali si ha la sensazione di una città in continuo divenire in cui nuove e antiche architetture si fondono e si confondono in un quadro di luci, di strade, di negozi, di bar, di clubs e ristoranti che non sono da meno rispetto alle più blasonate capitali europee. E capisci perché è conosciuta come la Piccola Parigi dell’Est. Basta entrare nel cuore della città, la Corte Antica, per trovare l’essenza di questo clima. Una passeggiata

per perdersi tra gli atelier di giovani pittori e negozietti di antiquari, una visita alla bella chiesetta Curtea Veche, prima di provare una delle vere istituzioni dell’offerta gastronomica in città, il ristorante Caru cu Bere, che ti accoglie abbracciandoti con le sue vetrate colorate e ti riporta indietro nel tempo a fi ne ‘800. Ma è quando si spegne il giorno e si accendono le luci che Bucarest si sveglia e presenta la sua faccia più sorprendente. Un’infi nità di locali, lounge bar, disco pub alla moda animano il centro storico, restaurato completamente negli ultimi anni e vero centro del divertimento. Bucarest è rinata: eventi, festival, mostre, rassegne teatrali e concerti riempiono le pagine dei giornali. La proposta culturale della città è ricchissima e la primavera è il periodo migliore per conoscere uno dei costumi più interessanti della Romania, il Martisor, simbolicamente collegato alla rinascita e alla fertilità. Il Museo del Villaggio (Muzeul Satului), uno dei più grandi e famosi musei Etnografi ci all’aperto d’Europa, prende vita ed si entra in contatto con la vera essenza romena: canti, balli, teatro, fi ere enogastronomiche, atelier di pittura e scultura.

INGREDIENTIANDATA

2,5 h. di volo Wizzair:Cuneo – Bucarest

20 minuti di auto: AeroportoOtopeni – Bucarest Centro e vv.

RITORNO

2,5 h di volo Wizzair:Bucarest – Cuneo

DURATA

da sabato ore 13:20a martedì ore 12:50

CONDIMENTI SPECIALIRistorante Caru Cu berewww.carucubere.ro

Ristorante Lacrimi si Sfi nti cucina romena reinterpretatawww.lacrimisisfi nti.com

Biutiful Lounge bar – biutiful.ro

Hanul cu tei Lounge Barwww.embassy-hanulcutei.ro

Carturesti libreria e musica dal vivo www.librarie.carturesti.ro

Maria PavelConsulente di viaggio proposte city break a Bucarest - [email protected]

CONTORNI DI STAGIONE• Dal 9 al 25 maggio Bucarest:

EUROPA FestFestival di musica jazz, blues,pop e classica che propone oltre 30 concerti con oltre 300 artisti provenienti dall’Europa,Stati Uniti e Australia.

• 14 maggio Sala del Palazzo Reale: concerto The Legendary Court Basie Orchestra (di Kansas City, vincitori di 17 premi Grammy).

• 25 aprile Sala del Palazzo Reale: concerto Mark Knopfl er, fondatore, compositore e chitarrista del gruppo Dire Straits.

• 25-28 aprile spazio Romaero Baneasa - Bucarest: Deco Stil Design, mostra di mobili, decorazioni interni.

• 10 al 14 aprile: settima edizionedel Festival Internazionaledel Film NexT per promuoverei giovani talendi locali,nazionali ed internazionali.

AEROPORTO CUNEOStrada Regionale 20, n.1 • Levaldigi (CN)www.aeroportocuneo.it

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la piccola e vivace Parigi dell’est

• Concerti: Yanni (31 marzo), Paul Gilbert (31 marzo), David August (30 marzo), Audiofl y (30 marzo), Eric Martin (29 marzo), Lee Burridge (23 marzo), The Masterpiece (23 marzo), Richard Clayderman (21 marzo), Ricchi e Poveri (16 marzo).

• 21-24 marzo Chiesa Luterana: Festival Jazz in Church con Nik Baertsch e Alexandru Balanescu.

• Dall’1 al 28 settembre: ventunesima edizione Festival e Concorso Internazionale “George Enescu”. Festival di fama internazionale che accoglie nelle più prestigiose location una rassegan di musica classica con delle orchestre e fi larmoniche di tutto il mondo. www.festivalenescu.ro

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L’ETICHETTA RIMANE PROTAGONISTA, MA NON C’È ELEMENTO CHE POSSA ESSERE TRASCURATO: IL PRESENTE DEL VINO È “GLOBAL” ED ANCHE IL DESIGN DELLA BOTTIGLIA RISULTA ESSERE DETERMINANTE.

Prese le giuste misure, si può iniziare a esplo-rare questo binomio chiedendo aiuto a uno dei massimi esperti in materia: il designer Giacomo Bersanetti che, con il suo studio SGA di Bergamo, ha vestito centinaia di botti-glie, contribuendo al successo di nomi come Gaja, Braida, Enrico Serafino e Villa Sparina. “Il design – dice Bersanetti – mira a conciliare aspetti tecnici, funzionali, economici degli og-getti prodotti in serie, che nel mondo vinicolo si arricchiscono anche di contenuti simbolici, emozionali e culturali. L’etichetta rimane pro-tagonista, ma non c’è elemento che possa es-sere trascurato; infatti, il risultato più efficace si raggiunge con la progettazione di tutti gli elementi coinvolti, in particolare con il design della bottiglia. Il tema è delicato, perché la forma del contenitore può influire sull’evolu-

Si può bere un’etichetta? Ci si può inna-morare della forma sinuosa di una botti-

glia? Può una confezione curata nei dettagli influenzare il palato? Comunque si risponda, una cosa è certa: “vino e design” è un binomio affascinante, quanto scivoloso. Affascinante, perché è innegabile. Negli ultimi anni, anche le cantine più polverose hanno rinfrescato la loro immagine, anche i produttori più restii si sono impegnati a costruire una strategia di comunicazione in grado di gareggiare alla pari con una concorrenza sempre più forte, sia casalinga sia soprattutto in arrivo dai compe-titor stranieri. Scivoloso, perché è altrettanto innegabile. Il contenitore non sarà mai il con-tenuto e se al museo vi capita di soffermarvi più sulla cornice che sul quadro, vi state per-dendo senza dubbio qualcosa.

Negli ultimi anni, sempre più aziende vedono il design come uno strumento fondamentale per affrontare le nuove sfide del mercato, che non si ferma a un singolo ambito (packaging), ma diventa global design (dall’architettura della cantina, al web fino alla creazione di eventi). Nell’immagine: gli esterni della cantina Damilano, oggetto di un recente intervento di ristrutturazione.Photo: Cantine Damilano

vinoe design DI ROBERTO FIORI

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zione del vino stesso, deve rispondere a esi-genze funzionali diverse. Inoltre, deve comu-nicare una personalità distintiva, valorizzare il prodotto senza prevaricarlo e integrarsi con gli altri elementi della vestizione.”Dunque, l’etichetta è la prima protagonista. Lo sa bene un personaggio come Cesare Baroni Urbani, zoologo marchigiano in pensione che ha speso buona parte del suo tempo libero a collezionare etichette di vino da tutto il mon-do. Ne ha raccolte quasi 300.000 e recente-mente le ha donate al Comune di Barolo, con il vincolo di creare un fondo al Museo del Vino allestito nel castello. Scorrendo la sua straordinaria collezione, si leggono stili e tendenze, si scoprono curiosità e ricerca-tezze. C’è l’etichetta dello Champagne Veuve Clicquot, quando la “vedova” non era ancora tale e sulle bottiglie campeggiava il nome del-lo sconosciuto marito Eugene.C’è la serie completa, dal 1945 a oggi, delle celebri etichette d’autore fatte realizzare

dal Barone de Rothschild per festeggiare la fine della guerra, coinvolgendo artisti come Picasso, Chagall, Mirò ed Andy Warhol. Un’altra serie originale è quella che ogni anno, dal 1985, la californiana Nova Wines dedica alla bionda più famosa del cinema con il titolo “Marilyn Merlot”.“I Paesi produttori del nuovo mondo – spie-ga Bersanetti – hanno uno spessore storico e culturale completamente diverso dal nostro; ciò si riflette non solo sul modo di vestire il vino, ma anche di pensarlo, produrlo e pro-porlo. L’avvio della produzione vinicola, a parte casi molto rari, è recente in questi Paesi, per cui riscontro nei packaging molta freschezza ma, nonostante l’elevato grado di sperimentalità, noto anche una relativa uni-formità: di conseguenza, non è facile stabilire se un vino proviene dal Sudafrica, dal Cile o dalla Nuova Zelanda.”Ma quali sono le nuove tendenze nelle eti-chette, nel packaging e nel formato delle

Alcune etichette della collezione di Cesare Baroni Urbani, recentemente donata al Museo del Vino di Barolo. Quelle più antiche, decisamente scarne e

semplici, spesso riportavano solo il nome del vino e non del produttore.

Dall’alto: Barolo Fontanafredda del 1900 e un pezzo rarissimo, un’etichetta di Rüdesheimer,

il vino preferito da Goethe, che porta la data della vendemmia (1775), anche se il vino è stato

imbottigliato certamente molto più tardi. La ditta produttrice, la Dilthey Sahl, risale infatti al 1815.

Photo: gentile concessione di Cesare Baroni Urbani.

Gli interni della cantina presso la Tenuta Monsordo Bernardina (Alba), quartier generale dell’A zienda

Ceretto. Photo: Ceretto

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li, grazie all’integrazione di linguaggi diversi: dall’architettura della cantina alla vestizione dei prodotti, dal disegno della bottiglia al sito web e ai social media; dal secondary pack alla creazione di eventi. Ciò che noi chiamiamo global design, il risultato di un lavoro sempre più interdisciplinare.”Un buon esempio è quello realizzato a Barolo da Gianluca Viberti, produttore che nel 2010 ha deciso di lasciare l’azienda di famiglia per iniziare un’avventura tutta sua. “Mi sono trova-to davanti a una pagina bianca, con l’esigenza di costruirmi un’identità e di renderla ricono-scibile – racconta Viberti. – Non è stato facile, ma ho potuto dare libero sfogo alla creatività, non dovendo ripiegare su un semplice lavoro di restyling.” È così nato il progetto di Casina Bric 460, che ha ottenuto anche un premio per il packaging al Top Application Award di Milano. “A partire dal nome, che richiama in

bottiglie stesse? “Sono in declino i virtuosismi grafici e la ridondanza estetica, in favore di maggiore pulizia e chiarezza. Lo spazio libe-ro – continua Bersanetti – trasmette auten-ticità ed eleganza e permette di apprezzare il valore di una carta pregiata, come la ricchezza di un dettaglio nobilitato da una lavorazione speciale. L’etichetta tende a tornare verso le forme primarie, allontanandosi dalle silhouet-te di fantasia. Parlando di bottiglie, le forme archetipiche, borgognotta e bordolese, negli anni si sono evolute raggiungendo sintesi di eleganza e praticità.” Il maggiore rispetto ver-so l’ambiente e l’attenzione per la sostenibili-tà produttiva, hanno poi creato un generale orientamento verso la riduzione del peso del vetro e una serie di riflessi positivi. “Oggi – afferma ancora il noto designer – le soluzioni più interessanti sono quelle capaci di creare sinergie e coerenza comunicativa su più livel-

Dalle prime etichette “spartane” alla collaborazione con artisti famosi. Dal 1945, ogni annata del Chateau Mouton Rothschild riproduce in etichetta un’opera creata appositamente da un artista diverso. La più famosa è certamente quella di un baccanale dipinta da Picasso per la vendemmia 1973. Photo: gentile concessione di Cesare Baroni Urbani

Gianluca Viberti alle prese con la vendemmia: immagine all’avanguardia per il packaging di Casina Bric 460 (Barolo), ma contenuto saldamente legato alla tradizione. Photo: Casina Bric.

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dialetto la località dove si trova la mia cantina e l’altimetria media dei vigneti, ho cercato un marchio originale, intuitivo e in grado di co-municare qualcosa”. La linea grafica è moder-na, il packaging è curatissimo, dall’etichetta alle confezioni fino alle bottiglie, per le quali Viberti è andato a rispolverare le forme bas-se e tozze della “poirinotta”, una bottiglia in voga a fine del XVIII secolo. Il contenitore è all’avanguardia, ma il contenuto è saldamente legato alla tradizione. “Abbiamo giocato sul contrasto: chi vede le mie bottiglie, pensa a un vino moderno, internazionale. Invece, sco-pre un Barolo classico, realizzato in vasche di cemento e grandi botti di legno. Sono convin-to che la cura del dettaglio sia la strada giusta, soprattutto se si vogliono portare i propri vini anche all’estero.”La pensa così anche un’altra rinomata cantina di Barolo, come Damilano. Un’azienda che,

pur essendo legata alla tradizione e alla sua lunga storia, sa anche essere molto dinamica e attenta al rinnovamento. Dal re Cannubi all’alfiere Cerequio, dalla torre Liste al caval-lo Brunate, tutti gli storici cru di Barolo di Damilano trovano in etichetta una propria collocazione e un’identità all’interno della scacchiera della vocazione territoriale e dei gusti dei consumatori. E il restyling non si è fermato solo al prodotto, ma ha coinvolto anche la cantina grazie a un importante inter-vento di ristrutturazione.Gli errori da non fare? “Destinare risorse a progetti non ben mirati e poco coerenti con le linee costitutive dell’identità aziendale, della comunicazione e delle attività di marketing – risponde ancora Bersanetti, – così come cer-care scorciatoie ricalcando idee altrui.” Anche con vino e design, meglio diffidare delle imi-tazioni.

Il design innovativo di Casina Bric 460 e alcune realizzazioni di Giacomo Bersanetti per Gaia e

Braida. Secondo il noto designer, le nuove tendenze grafiche, vanno verso il “declino dei virtuosismi e la

ridondanza estetica, in favore dimaggiore pulizia e chiarezza”. Al centro e in basso

progetti di SGA corporate & packaging design, photo by Maurizio Grisa.

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LA SCHERMA MODERNA È UNO SPORT CHE RICHIEDE FISICO BEN ALLENATOE SNELLA AGILITÀ, MA ANCHE FORZA INTERIORE E AUTOCONTROLLO.IL CIRCOLO SCHERMISTICO CUNEESE È FIORE ALL’OCCHIELLO IN PIEMONTE.

TESTI E PHOTO: FRANCESCO DOGLIO

poi agganciato alla spada. Il completo mortifica i movimenti e, più che agili come la Vezzali, ci si sente impacciati e maldestri. Eppure, a senti-re i giovani atleti che si allenano accanto a noi, è una sensazione destinata a svanire: dopo la prima volta, tutto diventa più facile e ci si può concentrare sullo stile e sulla tecnica.La spada, poi, ha un’impugnatura ergonomica e una punta leggermente retrattile. Proprio tale accorgimento permette al computer di attribu-ire il punto. In questa disciplina, a differenza del fioretto, chi tocca per primo vince: molto semplice.Naturalmente non c’è nulla di pericoloso, ma con una spada vera in mano è facile sognare e immaginarsi nei panni dei Moschettieri o di Zorro. Ma, poi, la finzione scompare in un atti-mo. Ancora non ci si è abituati alla posizione e

Quando, la prima volta, la maschera scivola sul viso, si rimane interdetti. La rete nera

è fine abbastanza da proteggere il volto, ma riduce la visuale di un bel po’. La punta della spada avversaria diventa difficile da scorgere: di un grigio scuro, si confonde tra le maglie del casco e ciò rende faticoso difendersi da un ne-mico che tenta ad ogni costo l’affondo poten-zialmente mortale.La scherma vista in TV, dove gli atleti che gareg-giano sono ai massimi livelli di preparazione, è uno sport velocissimo, fatto di azioni fulminee e grandi urla di gioia. Quando, invece, ci si ri-trova con la spada in mano per una serata di “prova”, il corpo è stretto all’interno di vari strati di tessuto bianco, molto protettivo, ma anche molto pesante. Già vestirsi è un’impresa. Nella giubba corre un cavo elettrico che verrà

Il Circolo Schermistico Cuneese ha ricevuto recentemente dalla F.I.S. il titolo di Scuola Magistrale: queste permette alla società di fermare nuovi Maestri. Attualmente, gli allievi sono una settantina, di cui oltre la metà sono under 14.

moschettieridel duemila

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Due allievi del Circolo Schermistico Cuneese, a undici anni, sono già nei primi venti del ranking nazionale e molti degli iscritti sono nel primo quaranta per cento della graduatoria italiana.

alle tecniche di parata e di affondo, che l’avver-sario fa una finta, attende la tua contromossa – peraltro portata con la foga del principiante e con la grazia di un elefante – e con facilità ti infilza la spalla. Il dolore non è fisico. L’unica ferita è quella inflit-ta all’orgoglio. Si sente, invece, un lungo suono e una luce si accende sul tabellone segnapunti. Il round è finito, 5 a 0. Naturalmente a favore del

giovane schermidore che si è gentilmente pre-stato a una breve dimostrazione. La scherma moderna è uno sport che richiede un fisico ben allenato e parecchia agilità, tutta-via si può imparare anche in età avanzata: ne è la prova la presenza, al Circolo di Cuneo, di un “giovane” sessantatreenne che ha iniziato a fre-quentare la palestra di corso IV Novembre dopo i 55 anni, una volta in pensione. Non gareggia,

Quando l’avversario ti tocca, il dolore non è fisico. L’unica ferita è quella

inflitta all’orgoglio.

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DUE DOMANDE AL GIORGIO SCARSO, PRESIEDENTE FISIl Maestro Giorgio Scarso, classe ’46, è il presidente della FIS (Federazione Italiana Scherma) dal 2005 e vicepresi-dente della Federazione Internazionale di Scherma dal 2009. A lui, che lo scorso settembre ha visitato il Circolo di Cu-neo e che ha visto da vicino le giovani promesse cuneesi, poniamo qualche domanda su questa disciplina.Presidente, succede sempre la stessa cosa: durante le Olimpiadi gli Italiani fanno abbuffata di scherma, con ori a ripetizione dei nostri grandi atleti, ma durante i periodi senza grandi impe-gni internazionali questo sport torna nel limbo… “Non è del tutto vero, la scherma italiana non è certo solo Olim-piadi. Proprio in questi mesi, ci sono state affermazioni nei campionati giova-nili e gli atleti italiani si fanno valere, che siano under 14 o professionisti. Anche la federazione non lavora solo in vista di quelle gare, ma è impegnata tutti i gior-ni. Certo le Olimpiadi sono un grande traino, ma tutti i circoli stanno crescen-do nuove generazioni di atleti.”Ci sono molte differenze tra i grandi centri schermistici nazionali e i piccoli circoli come quello di Cuneo?“I piccoli circoli sono la linfa vitale della federazione e l’attenzione che abbiamo per loro è altissima. Ci sono gruppi strutturati che hanno una lunga storia, ma sono soprattutto i piccoli centri che hanno bisogno di una vicinanza parti-colare. Negli ultimi anni, gli atleti più interessanti vengono sia dalle piccole città, sia dai circoli più blasonati. Ed è importante che sia così, significa che si sta facendo un buon lavoro.”

In questo sport non vi è nulla di pericoloso. E’ adatto sia ai maschi sia alle femmine. Nell’immaginario

di molti, è facile immaginare di essere nei panni di Zorro o dei Moschettieri.

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dice, perché il giorno dopo non riuscirebbe ad alzarsi dal letto per la fatica, ma una volta alla settimana incrocia la propria spada con gli altri schermidori cuneesi e si diverte moltissimo. Per questo, se si inizia da giovani è meglio.“Abbiamo più di 70 iscritti – racconta il presi-dente del Circolo Schermistico Cuneese, Mara Francescutto – di cui oltre la metà sono under 14. Buona parte di questi sono tra i 6 e i 10 anni: dunque un bel vivaio, sicuramente da incremen-tare e su cui lavorare nei prossimi anni.” A dirigere le lame dei giovanissimi – e di chi gio-vane non lo è più – è Juan José Paz-y-Miño, il Maestro della palestra. Equadoregno d’origine, con un passato nella squadra nazionale dell’E-quador, è stato più volte eletto miglior tiratore

del proprio Paese, oltre ad aver partecipato a parecchie coppe del mondo e a numerose gare internazionali con buoni risultati: insomma, l’uomo giusto per far crescere questo sport an-che nel Cuneese. “Juan José – racconta Mara Francescutto – è arrivato in Italia, e più precisa-mente a Modica, per iniziare il suo percorso for-mativo come Maestro. Dopo aver conseguito il titolo all’Accademia Nazionale della Scherma, é approdato a Cuneo. I risultati dell’ottimo lavoro svolto sono ben visibili: abbiamo molti ragazzini nel primo 40% del ranking nazionale. Due di loro, a 11 anni, sono già nei primi 20.” Il Circolo Schermistico Cuneese ha ricevuto recentemente dalla FIS (Federazione Italiana Scherma) il titolo di “Scuola Magistrale”, ovve-

Quando la maschera scivola sul viso, la prima volta si rimane interdetti. Poi, le maglie della rete divengono un tutt’uno con lo schermidore che si centra nella propria concentrazione e mira al punto.

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ro quello che permette a una società di formare nuovi Maestri. L’attuale direttivo si è insediato da un anno appena, ma ha già avuto ottimi ri-scontri a livello provinciale. “Stiamo lavorando – conclude la Francescutto – per costruire un buon vivaio che possa ga-rantire continuità nei numeri e nei risultati, che speriamo siano sempre migliori. Il nostro com-pito, ora, è dare crescente visibilità alla scherma sul nostro territorio. Per questo, stiamo lavo-rando per portare a Cuneo gare e manifestazio-ni di livello. Il mio auspicio, infine, è quello di trovare supporto negli sponsor affinché tutto questo possa essere possibile.”Intanto, chi volesse provare l’emozione di ve-stire casacca bianca e casco protettivo, per in-crociare la lama con un ragazzino che lo userà come puntaspilli, non ha che da contattare il circolo e da concordare una serata di prova. Adulti o giovanissimi non importa: è un’espe-rienza che non lascia indifferenti.

I piccoli circoli sono la linfa vitale della Federazione Italiana Scherma. Negli ultimi anni, le giovani promesse nazionali arrivano non solo dai circoli più blasonati, ma anche da realtà più

piccole.

“La comodità di trovarsi in pieno centro ad un passo dal casinòe dalle boutiques delle più note firme dell’alta moda”

SANREMO Corso Matteotti 3 | tel. +39.0184.577577 | fax +39.0184.541535

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“Il pane che avete in mano è il mio orgoglio. L’ho impastato, confe-zionato e cotto nel mio forno

con la più grande cura”.Parole che Nicolas Verdickt, artisan boulanger, ha scritto sui sacchetti di carta del pane che vende nei suoi due negozi: l’Atelier des Tartes in contrada Mondovì 24, aperto nel 2009, in cui lavora nel laboratorio a vista e l’Albero del pane, in corso Nizza 27.Parole che dicono la sua passione per questo alimento essenziale, reale e simbolico e per il mestiere che ha scelto di fare, l’artigiano pa-nifi catore, dopo la laurea in Economia inter-nazionale, assecondando l’amore per il buon cibo, ereditato dalla mamma e dalla nonna, appassionate di cucina.

L’arte l’ha imparata dal più grande maestro for-naio di Parigi e di Francia: Eric Kaiser, cinque generazioni di panettieri “fi ls, petit fi ls e arrière petit fi ls de boulanger”Pochi, semplicissimi elementi per fare questo cibo della terra, ma che proprio perché della terra, secondo Nicolas, c’è un dovere di rico-noscenza verso la stessa e deve essere prodotto rispettando l’ambiente, con coscienza ecologica e con consapevolezza che la buona alimenta-zione regala salute alla gente. “La terra se la la-vori bene, produrrà meglio e consumerà meno, perché se si continua con concimi, tra un po’ di anni sarà morta. E penso al futuro di mia fi glia e alle generazioni del domani.”Una fi losofi a di mestiere per arrivare ad pane di qualità, iniziando dagli ingredienti. “È una

scelta a monte, ma spero che la gente che viene qui abbia fi ducia nel suo panettiere come lo ha nel suo medico. – spiega Nicolas - Ogni gior-no produciamo un pane che contiene soltanto farine rigorosamente selezionate, acqua, sale, lievito madre naturale, composto da farina di segale biologica, miele, succo di mela e nient’al-tro. Ho scelto una farina di grande qualità con-fezionata con i migliori frumenti del Gâtinais e della Beauce. Una regione che alcuni chiamano il “giardino dei frumenti”. Questa farina è ma-cinata da molte generazioni dal Molin Fouché. Qui c’è la miglior terra per il pane ed è qui che con il mio miglior amico, il fi glio del mugnaio, andavo a giocare e osservare lo spettacolo di questi campi. Non uso grano troppo spogliato o raffi nato (Farina doppio 00), che può anche

scatenare intolleranza al glutine. Scelgo fari-ne con il germe del grano, la crusca, ricchi di sostanze nutritive e che aiutano la digestione”.Secondo la scuola del suo maestro francese, precursore in Europa della lavorazione del lie-vito madre liquido, il giovane boulanger panifi -ca con questo lievito a fermentazione comple-tamente naturale, combinato ad una fermenta-zione lenta , di 24 ore. Grazie a questo processo si ottengono una lunga conservazione, gusto e aromi unici. La “potenza” del lievito madre dipende anche dall’anzianità ce ne sono di cen-tenarie). “Noi lo abbiamo dal 2009, da quando abbiamo aperto e lo rinfreschiamo ogni gior-no per mantenerlo “vivo”. Per il “ bimbo” come viene in gergo chiamato il lievito madre, siamo obbligati a non chiudere per ferie e fare i turni.

L’arte del paneLa passione di Nicolas Verdickt per questo alimento essenziale

Non poteva mancare l’approccio consapevole al momento di crisi economica “Sconto del 10 per cento, il giovedì su tutta la produzione per gli over 60” informa il cartello in negozio. “Ci sono tante persone anziane che faticano ad arrivare a fi ne mese – continua Nicolas – . Il mio è un piccolo gesto, ma è un modo di manifestare partecipazione al problema. Quello che produciamo è pane di qualità ma non vuole essere un lusso. E’ un pane per tutti e per tutti i giorni, costa un pò di più, ma alla fi ne della fi era, non si butta via niente, ed è un pane gustoso e salutare. E, allora è un risparmio”.

Il pane in tavolaUn pane

per tutti i giorni Pane bio e solidaleBaguettes, Tronchetti cereali,

Panini, Pan focaccia alle olive.

Martedi’Integrale bio, Cereali, Kamut bio

Mercoledì’Viching, Micche bio,

Segale bio, Pane cioccolato

Giovedì’Noci,Frutta secca, Cereali, Integrale bio

Venerdì’Viching, Micche bio, Segale bio

SabatoKamut bio, Farro bio, Noci,

Frutta secca, Quinoa,

Pane cioccolato, Pan brioches

“Il pane in tavola – scrive Enzo Bianchi

Priore della Comunità di Bose – un

tempo era un vero e proprio rito,

soprattutto quando era costituito da

un’unica, grande pagnotta per tutti

i commensali. Doveva essere posato

diritto sulla tovaglia, disposto al centro

o accanto a chi presiedeva la tavola,

ne andava spezzato o tagliato solo

quel tanto che si sarebbe mangiato,

poi veniva distribuito, facendo

attenzione che non cadesse a terra, non

si dovevano avanzarne dei pezzi e le

stesse briciole venivano raccolte alla

fi ne del pasto e sparse sul davanzale

della fi nestra a nutrire gli uccelli,

soprattutto d’inverno, quando la neve

toglieva allo scricciolo, al pettirosso, al

passero la possibilità di trovare semi”.

Ci sentiamo responsabili” racconta scherzo-samente Nicolas 36 anni, che lavora a fi anco di Simone, 20 anni, panettiere ed Eleonora, 29 anni che si occupa della pasticceria, mentre Fulvia segue la vendita nel negozio di corso Nizza. La tecnica fa sì che il pane abbia una bella crosta, ottima ma anche importante per la conservazione. Più è spessa, più l’aria fa fatica a passare e il pane si conserva meglio.E, l’acqua: quanta importanza nel pane! E, l’ac-qua di Cuneo, è meglio di quella di Parigi. “Lo lavoriamo con un idratazione molto alta il 70/80 per cento, mentre normalmente è sul 50/60 per cento. Questo rende l’impasto molle, diffi cile da lavorare, ma sprigiona aromi spet-tacolari. Ci vuole lavoro e tecnica per questo impasto, perché dobbiamo recuperare il corpo,

la forza, della pasta.” Il meglio del sale, chia-mato anche il caviale del sale, apprezzato dai migliori chef di tutto il mondo è il “fl eur de sel de Camargue” un sale grezzo, poeticamente il frutto del matrimonio del Mistral e del mare, raccolto a mano da più di 2000 anni. Sarà l’ul-teriore elemento naturale ad entrare nel pane dell’atelier cuneese.

L’ATELIER DES TARTESContrada Mondovì, 24 - Cuneo

tel. +39 0171 480170

L’ALBERO DEL PANECorso Nizza, 27 - Cuneo

tel. +39 0171 480170

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“Il pane che avete in mano è il mio orgoglio. L’ho impastato, confe-zionato e cotto nel mio forno

con la più grande cura”.Parole che Nicolas Verdickt, artisan boulanger, ha scritto sui sacchetti di carta del pane che vende nei suoi due negozi: l’Atelier des Tartes in contrada Mondovì 24, aperto nel 2009, in cui lavora nel laboratorio a vista e l’Albero del pane, in corso Nizza 27.Parole che dicono la sua passione per questo alimento essenziale, reale e simbolico e per il mestiere che ha scelto di fare, l’artigiano pa-nifi catore, dopo la laurea in Economia inter-nazionale, assecondando l’amore per il buon cibo, ereditato dalla mamma e dalla nonna, appassionate di cucina.

L’arte l’ha imparata dal più grande maestro for-naio di Parigi e di Francia: Eric Kaiser, cinque generazioni di panettieri “fi ls, petit fi ls e arrière petit fi ls de boulanger”Pochi, semplicissimi elementi per fare questo cibo della terra, ma che proprio perché della terra, secondo Nicolas, c’è un dovere di rico-noscenza verso la stessa e deve essere prodotto rispettando l’ambiente, con coscienza ecologica e con consapevolezza che la buona alimenta-zione regala salute alla gente. “La terra se la la-vori bene, produrrà meglio e consumerà meno, perché se si continua con concimi, tra un po’ di anni sarà morta. E penso al futuro di mia fi glia e alle generazioni del domani.”Una fi losofi a di mestiere per arrivare ad pane di qualità, iniziando dagli ingredienti. “È una

scelta a monte, ma spero che la gente che viene qui abbia fi ducia nel suo panettiere come lo ha nel suo medico. – spiega Nicolas - Ogni gior-no produciamo un pane che contiene soltanto farine rigorosamente selezionate, acqua, sale, lievito madre naturale, composto da farina di segale biologica, miele, succo di mela e nient’al-tro. Ho scelto una farina di grande qualità con-fezionata con i migliori frumenti del Gâtinais e della Beauce. Una regione che alcuni chiamano il “giardino dei frumenti”. Questa farina è ma-cinata da molte generazioni dal Molin Fouché. Qui c’è la miglior terra per il pane ed è qui che con il mio miglior amico, il fi glio del mugnaio, andavo a giocare e osservare lo spettacolo di questi campi. Non uso grano troppo spogliato o raffi nato (Farina doppio 00), che può anche

scatenare intolleranza al glutine. Scelgo fari-ne con il germe del grano, la crusca, ricchi di sostanze nutritive e che aiutano la digestione”.Secondo la scuola del suo maestro francese, precursore in Europa della lavorazione del lie-vito madre liquido, il giovane boulanger panifi -ca con questo lievito a fermentazione comple-tamente naturale, combinato ad una fermenta-zione lenta , di 24 ore. Grazie a questo processo si ottengono una lunga conservazione, gusto e aromi unici. La “potenza” del lievito madre dipende anche dall’anzianità ce ne sono di cen-tenarie). “Noi lo abbiamo dal 2009, da quando abbiamo aperto e lo rinfreschiamo ogni gior-no per mantenerlo “vivo”. Per il “ bimbo” come viene in gergo chiamato il lievito madre, siamo obbligati a non chiudere per ferie e fare i turni.

L’arte del paneLa passione di Nicolas Verdickt per questo alimento essenziale

Non poteva mancare l’approccio consapevole al momento di crisi economica “Sconto del 10 per cento, il giovedì su tutta la produzione per gli over 60” informa il cartello in negozio. “Ci sono tante persone anziane che faticano ad arrivare a fi ne mese – continua Nicolas – . Il mio è un piccolo gesto, ma è un modo di manifestare partecipazione al problema. Quello che produciamo è pane di qualità ma non vuole essere un lusso. E’ un pane per tutti e per tutti i giorni, costa un pò di più, ma alla fi ne della fi era, non si butta via niente, ed è un pane gustoso e salutare. E, allora è un risparmio”.

Il pane in tavolaUn pane

per tutti i giorni Pane bio e solidaleBaguettes, Tronchetti cereali,

Panini, Pan focaccia alle olive.

Martedi’Integrale bio, Cereali, Kamut bio

Mercoledì’Viching, Micche bio,

Segale bio, Pane cioccolato

Giovedì’Noci,Frutta secca, Cereali, Integrale bio

Venerdì’Viching, Micche bio, Segale bio

SabatoKamut bio, Farro bio, Noci,

Frutta secca, Quinoa,

Pane cioccolato, Pan brioches

“Il pane in tavola – scrive Enzo Bianchi

Priore della Comunità di Bose – un

tempo era un vero e proprio rito,

soprattutto quando era costituito da

un’unica, grande pagnotta per tutti

i commensali. Doveva essere posato

diritto sulla tovaglia, disposto al centro

o accanto a chi presiedeva la tavola,

ne andava spezzato o tagliato solo

quel tanto che si sarebbe mangiato,

poi veniva distribuito, facendo

attenzione che non cadesse a terra, non

si dovevano avanzarne dei pezzi e le

stesse briciole venivano raccolte alla

fi ne del pasto e sparse sul davanzale

della fi nestra a nutrire gli uccelli,

soprattutto d’inverno, quando la neve

toglieva allo scricciolo, al pettirosso, al

passero la possibilità di trovare semi”.

Ci sentiamo responsabili” racconta scherzo-samente Nicolas 36 anni, che lavora a fi anco di Simone, 20 anni, panettiere ed Eleonora, 29 anni che si occupa della pasticceria, mentre Fulvia segue la vendita nel negozio di corso Nizza. La tecnica fa sì che il pane abbia una bella crosta, ottima ma anche importante per la conservazione. Più è spessa, più l’aria fa fatica a passare e il pane si conserva meglio.E, l’acqua: quanta importanza nel pane! E, l’ac-qua di Cuneo, è meglio di quella di Parigi. “Lo lavoriamo con un idratazione molto alta il 70/80 per cento, mentre normalmente è sul 50/60 per cento. Questo rende l’impasto molle, diffi cile da lavorare, ma sprigiona aromi spet-tacolari. Ci vuole lavoro e tecnica per questo impasto, perché dobbiamo recuperare il corpo,

la forza, della pasta.” Il meglio del sale, chia-mato anche il caviale del sale, apprezzato dai migliori chef di tutto il mondo è il “fl eur de sel de Camargue” un sale grezzo, poeticamente il frutto del matrimonio del Mistral e del mare, raccolto a mano da più di 2000 anni. Sarà l’ul-teriore elemento naturale ad entrare nel pane dell’atelier cuneese.

L’ATELIER DES TARTESContrada Mondovì, 24 - Cuneo

tel. +39 0171 480170

L’ALBERO DEL PANECorso Nizza, 27 - Cuneo

tel. +39 0171 480170

Phot

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DELLE 1275 CULTIVAR DI ULIVO CENSITE NEL MONDO, OLTRE 500 SONO CONCENTRATE IN ITALIA. UN PATRIMONIO CHE NON SI LIMITA A ZONE VOCATE COME LA LIGURIA, MA CHE INVESTE ANCHE IL NORD, PIEMONTE COMPRESO.

DI VANINA CARTA

o la marca che passava ieri in TV? Perché non rendere onore a un prodotto che ci identifica e che consumiamo – spesso senza contezza – ogni giorno?

CI VUOLE UN FRUTTO (E NON UN SEME…)Partiamo dalle basi. L’olio extravergine di oliva si distingue dagli altri di origine vegetale per un dato fondamentale: deriva da un frutto e non da semi. E ciò determina una serie di peculiarità che sono anche presupposto di qualità alimen-tare. Un frutto, infatti, a differenza di un seme, è ricco di acqua (l’oliva ne contiene circa il 50%) e ciò permette l’estrazione dell’olio con mezzi meccanici, dunque attraverso una tecnologia “delicata”. Semplificando molto, dopo la moli-tura (riduzione delle olive in pasta), si procede a una spremitura per staccare la materia solida

Si fa in fretta a dire “olio” e spesso senza cognizione di causa. Eppure, quando scru-

tiamo gli scaffali della grande distribuzione alla ricerca dell’offerta più conveniente, più o meno disorientati nella nostra ingenua sprovvedutezza di consumatori, dovremmo un po’ tutti prova-re imbarazzo per la nostra stessa (in)capacità di scelta. Ebbene sì, un po’ di autocritica ci vuole. Primo, perché l’ulivo è diventato, nei secoli, par-te integrante del nostro paesaggio, anche ad alti-tudini impensate; secondo perché l’olio d’oliva, da tempo remoto apprezzato per le capacità di conservazione dei cibi, è entrato a far parte del-la nostra cultura gastronomica, anche quando il mare è distante e la cucina reclama i sapori forti e succulenti della montagna. Allora, perché non imparare a distinguere la qualità? Perché non andare oltre il prezzo apparentemente migliore

Un prodotto di consumo quotidiano che spesso “diamo per scontato”, ma che dovremmo conoscere meglio. L’olio di oliva, infatti, è diventato nei secoli parte integrante del nostro paesaggio, anche ad altitudini impensate, ed è entrato prepotentemente nella nostra cultura gastronomica, a nord come a sud. Photo: Hhltdave5 - Stock Free Images & Dreamstime Stock Photos

olio, in bilico tra mare e montagna

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dalle parti oleose e dall’acqua e, infine, alla cen-trifugazione per separare l’olio dall’acqua – pro-verbialmente insolubili tra loro. Dunque, la tanto ricercata “verginità”, quanto spesso ostentata in etichetta, sta proprio nell’estraneità del prodotto finale a una serie di processi chimico-fisici (uti-lizzo di solventi e successiva neutralizzazione, decolorazione ecc.), a cui si ricorre invece nella produzione di olio di semi.L’oliva è un frutto vivo e dotato di un metabo-lismo attivo, a differenza del seme che è un or-ganismo “dormiente”: ecco quindi spiegata l’ori-gine dei molteplici aspetti salutari dell’extraver-gine. Così come un frutto non sano o immaturo non può generare un buon nettare, anche l’oliva deve essere integra e a giusta maturazione per dare un buon olio, cosa che invece non accade con semi di cattiva qualità, dai quali può nascere un prodotto conforme agli standard.

VERGINE O NON VERGINE?QUANDO L’ETICHETTA (NON) PARLAAldilà del titolo provocatorio, in pochi altri casi varianti tanto minime nella denominazione riportata in etichetta possono nascondere pro-cessi di produzione così diversi. Se nelle classi denominate “vergine” ed “extravergine”, l’estra-zione avviene meccanicamente, le altre tipologie di olio derivato dalle olive si ottengono dalla “correzione” chimica degli oli vergini, oppure per estrazione tramite solvente dalla sansa di olive, il sottoprodotto della spremitura dell’olio, composto da bucce, polpa residua e frammenti di nocciolo. Dunque, è chiaro, ora, come anche dal frutto stesso si possano ottenere prodotti qualitativi tanto diversi e che la discriminante sia davvero l’uso o meno di mezzi chimici, persino all’interno di quella stessa filiera che parte dall’u-livo. E poi, l’altra grande parola magica: “acidità”, vale a dire il contenuto in percentuale di acido oleico libero, che è inversamente proporziona-le al livello qualitativo della materia prima e che sarà inferiore allo 0,8% nell’extravergine, senza superare, invece, il 2% nell’olio di oliva vergine

(con un parametro superiore abbiamo l’olio d’oliva lampante, non commestibile). Va da sé, quindi, che tutti gli oli non classificati come “extravergine” sono inevitabilmente soggetti a forti alterazioni. Eppure, nemmeno una corretta conoscenza delle denominazioni ci salva, poi-ché neppure gli extravergini sono immuni da manipolazioni. La normativa europea per tale categoria, infatti, richiede requisiti così poco se-lettivi che è gioco facile per molte industrie ole-arie piazzare prodotti di bassa qualità – spesso frutto di miscelazioni con oli provenienti da altri Paesi – in un infernale meccanismo “al ribasso” che trasforma lo stesso l’extravergine in un bene del tutto privo di legami con un territorio (una cosiddetta commodity). Certamente un piccolo passo è stato fatto nel 2009, con le nuove norme europee per l’etichettatura degli extravergini, che prevedono l’obbligo di indicare l’origine delle olive e dell’olio (Ue/ non Ue), ma la con-fusione resta molta, soprattutto quando si tratta di miscele tra olio di oliva e altri oli vegetali, che tali norme consentono. Ecco perché diventano fondamentali la consapevolezza del consumato-re e la volontà di cercare prodotti che derivano da un legame reale con un territorio, unici veri strumenti per contrastare l’omologazione.

L’extravergine è la tipologia di olio più indicata per una cucina sana, poiché l’estrazione dalle olive avviene meccanicamente e senza interventi chimici. Tuttavia, non è sempre facile individuare un buon extravergine, poiché le indicazioni obbligatorie in etichetta non sono così determinanti per la scelta. Per questo, è importante per i consumatori imparare a distinguere la qualità, anche da un punto di vista organolettico. In basso: la degustazione dell’olio. Photo in alto: Ferruccio Carassale; in basso: Olio Capitale - Trieste

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TRE DOMANDE A FRANCO BOERI (OLIO ROI - BADALUCCO, IM)È possibile tracciare un profilo delle peculiarità dell’olio ligure rispetto ad altri oli delle regioni settentrionali?Per la produzione dell’olio ligure un ruolo fondamentale lo gioca la Taggiasca, che nasce proprio nella Valle Argentina, dove ha sede la nostra azienda. La varietà Taggiasca è diffusa soprattutto in provincia di Imperia e dà un olio molto dolce, delicatissimo, che piace molto ai Piemontesi, proprio perché non aggressivo e ideale anche con pietanze leggere. Sintetizzando si può dire che gli altri oli settentrionali, in generale, hanno un fruttato più marcato, a seconda delle zone e delle varietà, che è ancora più percepibile man mano che si scende a Sud. La vostra azienda collabora con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo: cosa vuol dire per voi sostenere questo tipo di formazione? Sostenere la formazione di giovani attenti a un determinato tipo di agricoltura e di produzione agroalimentare fa parte del nostro DNA. Oltre a essere sede didattica dell’Università di Scienze Gastronomiche, siamo anche Fattoria Didattica, poiché nella nostra azienda si attua una filiera chiusa. Si parte dalla conduzione biologica di 6.000 ulivi per passare alla trasformazione in frantoio (di ben 110 anni!) e arrivare all’imbottigliamento di circa 60-70.000 bottiglie annue. Il vostro target è senza dubbio il consumatore attento all’eccellenza, ma cosa direbbe a coloro che si lasciano attirare da offerte a basso costo, convinti che basti la dicitura “extra-vergine” a fare la qualità?In primo luogo è fondamentale leggere l’etichetta che – per quanto “imperfetta” e nonostante non metta al riparo purtroppo da eventuali frodi, spesso rintracciabili solo con attente analisi chimiche – ci indica la provenienza dell’olio (perlomeno se comunitario o non comunitario). Ma soprattutto consiglio oculatezza nel valutare il prezzo, perché un olio a pochi euro al litro deve far dubitare… Se pensiamo che una resa media per un extravergine di buona qualità si aggira sul 15% di estratto dalle olive, il motivo diventa chiaro.

LIGURIAANTICO FRANTOIO ELENA LUIGIBg. Richieri 8San Bartolomeo al Mare (IM)Tel. +39 0183 400470 www.anticofrantoioelenaluigi.com

AZIENDA AGRICOLAVITTORIO CASSINIFrazione Negri Perinaldo (IM)Tel. +39 0184 [email protected]

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PIEMONTE AZIENDA AGRICOLAPEJRONE PAOLO Via San Leonardo 112036 Revello (CN)Tel. +39 0175 257958

AZIENDAAGRICOLAMIMOSAVia Davico 9010064 Pinerolo (TO)Tel. +39 0121 [email protected]

AZIENDA AGRICOLA VEGLIO PIERO Cascina Coletto 214036 Moncalvo (AT)Tel. +39 0141 917869www.olioveglio.it

LUOGHI DEL GUSTO

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Nella pagina a fianco: il borgo di Badalucco nella Valle Argentina, la patria della Taggiasca. Photo: Comune di Badalucco.

In questa pagina: L’olivicoltura nella Valle Argentina, come in gran parte della Liguria, è un’agricoltura di montagna, dove la terra è strappata alla verticalità grazie ai terrazzamenti ( fasce) con muretti a secco. Qui tutto è estremo e la resa massima in 8 ore di raccolta lo testimonia: 3 q di olive rispetto a una media di 30-40 q su terreni collinari (Toscana) o pianeggianti (Puglia). Photo: © Certe Stock Free Images & Dreamstime Stock Photos – www.cepolina.com

IMPERIA, PATRIA DELL’OLIO In una terra tanto angusta quanto tortuosa – una lunga lingua stretta tra mare e montagna, avara di spazio – l’ulivo incarna la sopravviven-za, la tenacia, l’essenza di un territorio aspro, che sa però dare frutti di rara delicatezza. Attraverso la tecnica del terrazzamento con muri a secco (maxéi), furono i Benedettini, in epoca medievale – al sicuro tra gli anfratti mon-tuosi dell’entroterra – a diffondere la Taggiasca, che oggi rappresenta in assoluto la varietà principale, soprattutto in provincia di Imperia. In alcune zone, lontano dalla mondanità della riviera, tra le trincee dei muretti a secco di valli come la Argentina e la Armea nell’Imperiese, produrre olio è ancora un’arte. Qui, in autun-no, le reti annunciano l’inizio della raccolta e le Api Piaggio, il mezzo più versatile sulle viuzze scoscese, puntellano le “fasce” dei versanti. La raccolta è uno dei momenti più critici, perché uno schiacciamento o un trauma dei frutti può provocare ossidazioni e muffe pericolose. Per questo, la cosiddetta “bacchiatura” era condot-ta, un tempo, da donne e bambine e, oggi, in molti casi, con i “pettini”, il metodo più delica-to. “La nostra è un’agricoltura di montagna – ci racconta orgogliosamente Franco Boeri, titola-re dell’Azienda Roi di Badalucco, – dominata dalla verticalità. Per 2 m di terra coltivabile, 3 m di muro: sono dati che fanno capire la dif-

ficoltà della gestione di questi appezzamenti, distribuiti su fasce, dove la raccolta non può che essere manuale. Qui, in 8 ore di lavoro, si può sperare di raccogliere un massimo di 3 q di olive, rispetto a una resa di 30-40 q su terreni collinari, come in Toscana, o pianeggianti, come in Puglia: là tutto avviene con l’uso di trattori e scuotitori e le difficoltà sono minori.” Ma c’è il rovescio della medaglia, perché il dislivello ha i suoi lati positivi: “In mezz’ora di macchina, si passa dal mare ai 2.200 m del Monte Saccarello e questo è il bello della Valle Argentina: gli uliveti, trovandosi in forte pendenza, non soffrono di

A TUTELA DELL’ALTA QUALITÀPer proteggere la produzione di olio extravergine ligure di alta qualità, nel 2001 è nato il Consorzio di Tutela dell’Olio Extravergine di Oliva DOP “Riviera Ligure”, con il quale sono state individuate tre sottozone. Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese, Riviera di Levante – 3 menzioni geografiche, un comune denominatore: un olio DOP che si distingue per la bassa acidità (da 0,5% per Riviera dei Fiori e Riviera del Ponente Savonese a 0,8% della Riviera di Levante), il fruttato tenue e la dolcezza spiccata. Merito del territorio di media o forte pendenza, del clima, della bassa resa (la produzione non deve superare i 7.000 kg di olive per ettaro e il rendimento in olio il 25%), della maturazione scalare delle diverse cultivar (che determina il delicato equilibrio tra dolce e fruttato) e soprattutto delle varietà (Taggiasca, Lavagnina, Pignola e le altre riconducibili alla Frantoio). Ed è proprio la loro diversa concentrazione nelle tre sottozone a determinare le differenze organolettiche principali tra gli oli delle tre menzioni. Il disciplinare rispecchia tale proporzione: si passa, infatti, da un minimo del 90% e del 50% di Taggia-sca previsti rispettivamente per il Riviera dei Fiori e per il Ponente Savonese, fino a un minimo del 65% di Lavagnina, Razzola, Pignola e altre cultivar locali (da sole o congiuntamente) per il Riviera di Levante. Info: www.oliorivieraligure.it

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eventuali ristagni d’acqua, come avviene invece in pianura; inoltre, creano uno scambio con la vegetazione boschiva circostante (castagni e conifere) e ciò determina un’insolita varietà di aromi e profumi delle olive.” Un’eredità agroali-mentare, storica e sociale decisamente preziosa, quella dell’olivicoltura imperiese, che, lontano da un’idea di agricoltura legata ad alte rese, fa dell’integrazione con il territorio il proprio pun-to di forza.

ROMPERE I TABÙ: VERSO NORDDagli ultimi “censimenti” realizzati dalle guide di settore, risulta chiaro che l’ulivo “risale lo sti-vale” e sta arrivando in zone un tempo improba-bili. Che il motivo di tutto ciò sia il mutamento delle condizioni climatiche, è da dimostrare, ma il dato di fatto c’è ed è evidente: non solo intor-no al tanto rinomato Lago di Garda, ma anche in altre zone del Nord si sperimenta con varietà di-verse. Non sempre con successo e inverni come quello 2011-2012 hanno messo a dura prova di-versi appezzamenti, ma i risultati, complessiva-

mente, sono positivi. Varcate le Alpi Marittime, a ridosso delle montagne o non lontano dalle zone a vocazione vinicola, la nuova tendenza parte dall’Astigiano (in particolare Moncalvo, San Marzano Oliveto, Olivola – nomem omen) e dall’Alessandrino per investire aree come il Saluzzese, il Pinerolese, il Canavese il Biellese, fino ad arrivare alla conca di Donnaz, in Valle d’Aosta. Certo, le produzioni, spesso, non su-perano ancora la soglia dell’attività hobbistica ma, come ci conferma Antonino De Maria, tec-nico agronomo presso l’Associazione ASSPO (Associazione Piemontese Olivicoltori) e nu-merose aziende piemontesi, la qualità media è fortemente in crescita. “L’olio piemontese è un prodotto delicatissimo, dolce ma con spetta-colari profumi di erba fresca e talvolta di frutta verde, che sono peculiarità uniche – ci racconta De Maria – e ciò consente, nelle annate dove la produzione non è tendente a zero a causa delle gelate, come negli ultimi due anni, di spuntare prezzi molto concorrenziali che possono arri-vare anche a 30 euro al litro.” Poco ma buono

L’uliveto del Bramafam a Revello (CN), di proprietà di Paolo Pejrone. Photo: Dario Fusaro. La produzione di extravergine piemontese non

può essere paragonata a quella ligure dal punto di vista quantitativo, ma la qualità è in crescita, tanto che le aziende più organizzate spuntano

prezzi elevati e collaborano con la ristorazione di alto livello. In basso: l’extravergine ligure, come quello piemontese, sono così dolci e delicati da

poter essere utilizzati persino con la frutta. Photo: Ferruccio Carassale

LA VIA DELL’OLIOCome le acciughe risalirono le vallate piemontesi e le pianure insieme agli acciugai della Valle Maira, anche l’olio, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, partì alla conquista del Piemonte. Oggi, l’eredità di tutto questo sta nell’attività di marchi importanti che tramandano la tradi-zione, spesso di origine familiare, del porta a porta. Un commercio che nasce in una zona, quella di confine tra il basso Piemonte e la Liguria, dove molti commercianti o produttori si avventuravano oltre i valichi vicini per allargare il proprio mercato. C’era chi, come Luigi Vezza, dalle Langhe scendeva in Liguria per controllare personalmente la produzione dell’olio che poi distribuiva a domicilio in Piemonte, oppure chi, come Secondo Abbo, dal suo frantoio nei pressi di Ventimiglia, risaliva il colle di Tenda per trovare un mercato favorevole in Piemon-te. Esattamente come fece Giovanni Carli, il quale, anziché vendere l’olio ai negozianti di Oneglia, pensò di consegnarlo a singole famiglie. Prima in bicicletta, poi in moto, fu uno dei primi pionieri del commercio a domicilio, percorrendo Liguria e basso Piemonte. Sono storie di uomini “di confine”, pendolari tra il mare e la montagna, che hanno il merito di aver saputo identificare una tradizione e uno strumento commerciale (la distribuzione a domicilio) in un prodotto, “l’olio porta a porta”, di qualità superiore, basato sulla selezione della materia prima e sul controllo della filiera produttiva. Con grandi valori aggiunti: il legame con il territorio e il rapporto a tu per tu con il consumatore.

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Oggi, non ci sono più tabù per la coltivazione dell’ulivo, che compare sempre più a nord. In Piemonte, la nuova tendenza parte dall’Astigiano, per passare dall’Alessandrino, il Saluzzese e il Pinerolese, e arrivare fino al Canavese e il Biellese. Photo: www.cepolina.com

A 6 chilometri dal centro di Genova, direttamente collegato al sistema autostradale, per consentire un accesso rapido dalle due Riviere e dalle regioni confi nanti.

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diremmo, per sintetizzare. “Inoltre, da noi la sta-gione di raccolta è anticipata a fine ottobre-ini-zio novembre – aggiunge De Maria. – Avendo un periodo produttivo più concentrato, anche certi parassiti, come la mosca delle olive, fan-no meno danni e questo significa anche meno trattamenti. Infine, la coltivazione collinare tipi-ca del Piemonte (fino a 600 m) giova all’ulivo, perché il gelo di qualche giorno non lo uccide e, in collina, dopo il freddo arriva più facilmente il sole. In pianura, invece, si forma la galaverna che imprigiona la pianta nel gelo anche per set-timane, mettendola in pericolo.” Come a dire: nonostante le avversità, scommessa vinta! “Per far conoscere l’olio piemontese – conclude De Maria – non posso che diffondere l’invito alla prossima edizione di Ramuliva (Saluzzo, 24 marzo, presso la Fondazione Amleto Bertoni – ndr), dove sarà presente la nostra associazione con le aziende di maggior rilievo.” Info: www.asspo.it e www.fondazionebertoni.it

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Via Carlo Emanuele III, 20t. 0171 698648 – CUNEO

Via Felice Cavallotti, 6t. 0171 480071 – CUNEO

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IL GRUPPO PENTAMETER È COMPOSTO DA ARTISTI CON FORMAZIONI ED ESPERIENZE DIVERSE. ATTIVO DAL 2006, È NOTO IN PROVINCIA DI CUNEOPER UNA SERIE DI PRECEDENTI COLLETTIVE IN VARI CENTRI.

DI FABRIZIO GARDINALIPHOTO: ART GALLERY LA LUNA

ambienti artistici torinesi gravitanti attorno all’Accademia Albertina, all’insegnamento e alla frequentazione di artisti come Galvano, Scroppo, Paolucci, Saroni, Calandri, Franco – tranne che per Ambrogio, la cui formazio-ne, da ingegnere meccanico, è nettamente tecnica.Oltre al fondamentale denominatore comu-ne dell’essere rimasti in provincia, la vera identità del gruppo sta nel credere che sia possibile un’arte non figurativa, non iconica anche dove manca la dimestichezza con l’in-novazione culturale, dove, specie nel campo delle “belle arti”, si è ancora legati a una visio-ne consolatoria e rassicurante, “verista” e di immediata, facile comprensione.Pentameter nasce come punto di arrivo di un fare volutamente diverso da ciò che è più

I colori della resilienza è il titolo del proget-to espositivo organizzato dalla Art Gallery

La Luna di Borgo San Dalmazzo, in collabo-razione con la Città di Carmagnola, dove per altro si svolge la mostra, negli spazi di Palazzo Lomellini, dal 12 aprile al 12 maggio 2013.Curata da Ivana Mulatero, l’esposizio-ne comprende circa 40 opere, fra dipinti, sculture, installazioni e disegni, di Walter Accigliaro, Corrado Ambrogio, Cesare Botto, Mario Mondino e Silvio Rosso: il gruppo Pentameter, insomma, attivo dal 2006 e noto nella Granda per una serie di precedenti “uscite” collettive in vari centri, da Piozzo a Cherasco, da Cuneo a Saluzzo.Un gruppo di autori dalle esperienze e dalla formazione spesso profondamente diver-se, sia pure con il comune “transito” per gli

Nella foto, la scultura in ferro “ Fenicotteri” di Corrado Ambrogio. L’identità del gruppo, oltre all’appartenenza alla provincia, sta nel credere che sia possibile un’arte non figurativa, non iconica, non consolatoria.

pentameterresilienze

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Dall’alto verso il basso: Silvio Rosso – ARAG Transiti; Cesare Botto – Teorie contrastanti, acrilico su tela; Walter Accigliaro – Evocativo per quella bevanda dell’oblio; Mario Mondino – Medaglione ligneo.

I colori prediletti dal gruppo Pentameter sono, per lo più, non colori: dai grigi coniugati nelle loro varianti da Accigliaro, passando per i toni ferrosi, quasi ruggini, a quelli terrosi di Ambrogio, alle sculture di

Mondino dove domina l’ardesia, il bianco di Carrara, l’acciaio, per arrivare, alle policromie screziate di Botto e ai rossi urlati della scacchiera di Silvio Rosso.

“accogliente” e come punto di partenza di esperienze che, pur prendendo il via dal sen-so di appartenenza, si svincolano dalla realtà interiorizzandola e tramutandola, attraverso spazialità, colore, materie e simbologia, in sensazioni e letture subliminali del vero, anzi-ché in mere registrazioni dello stesso.Vi è in questo un’affinità culturale, un filo lieve ma solido, che riconduce alle matrici dell’Espressionismo astratto. In particolare, a Barnett Newman, uno dei padri del movimen-to, il quale asseriva, nel 1948, che l’astrattismo non era solo un distacco intellettualistico dal fatto visivo trasformato in idea o “un’illusio-ne purista con il suo sovraccarico di verità pseudoscientifiche”, quanto l’espressione del bisogno di rapportarsi con l’assoluto che noi uomini concepiamo pur essendo relativi. Una nuova visione e ricerca del sublime, inteso come completezza di sensazioni, altrimenti apparentemente contrastanti.Scriveva l’artista statunitense: “Noi ci stiamo liberando dagli impedimenti della memo-ria, delle associazioni, della nostalgia, della leggenda, del mito e di qualsivoglia mezzo e strumento tipici della cultura europea oc-cidentale. Invece di fare cattedrali di Cristo, dell’Uomo, della Vita, noi lo stiamo facendo di noi stessi, dei nostri sentimenti. L’immagine che noi produciamo è quella auto-evidente della rivelazione, reale e concreta che può es-sere intesa da chiunque guardi ad essa senza le nostalgiche lenti del passato”. (B. Newman,

The Sublim is now in “Tiger’s Eye”, dicembre 1948, cit. in F. Poli, a cura, Le nuove tendenze dell’arte, Torino, 1995, p. 56).Così, tale operazione è chiamata nella mostra di Carmagnola “resilienza”.Termine tecnico in metallurgia che sta a indi-care la capacità dei materiali di conservare la propria forma o di riprenderla anche in segui-to a deformazioni da urto o schiacciamento. Trasferita per processo analogico all’uomo, è la facoltà di perseguire un proprio ideale, di mantenere la propria forma esistenziale, pur tra le contingenti difficoltà e, nonostante le forze avverse, di continuare o riprendere un cammino che ci si è proposti. Come è stato fatto, per altro, dai cinque protagonisti dell’e-vento, che, nel caso specifico, si esercitano sull’indagine del colore come veicolo comu-nicativo, ma specialmente evocativo, dello spirito e dell’emotività.In verità, i colori prediletti dal gruppo Pentameter sono per lo più non colori: dai grigi coniugati nelle loro varianti da Accigliaro, passando per i toni ferrosi, qua-si ruggini, a quelli terrosi di Ambrogio, alle sculture di Mondino dove domina l’ardesia, il bianco di Carrara, l’acciaio, per arrivare, infine, alle policromie screziate di Botto e ai rossi urlati della scacchiera di Silvio Rosso. Quasi in una rappresentazione del processo alchemico della terra che, attraverso l’acqua e per mezzo del fuoco, giunge all’evanescenza dell’aria.

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AFFRESCHI, COLORI, SUGGESTIONI CHE RICONDUCONO ALL’OPERA DI RUFINO DI ALESSANDRIA: PITTORE IGNORATO DALLA GRANDE STORIA MA BEN NOTO, A SUO TEMPO.

TESTO E PHOTO: LUCA MOROSI

proveniente dalla Chiesa della Consolata – da dove era stato trafugato nel 1971 – e risalente circa al 1415-20: Rufinus de Alexa pinxit recita, infatti, un’iscrizione sulla tavola. Allo stato attuale, è ormai unanimemente ri-conosciuta dalla critica la partecipazione di Rufino alla decorazione dell’antica parrocchiale di Santa Caterina a Villanova Mondovì, in una fase precoce riconducibile presumibilmente al quinquennio 1410-15. La campagna del pittore dovette muovere da un progetto ambizioso e “massiccio” che, pri-ma delle scialbature che intervennero a offu-scare tutto quanto, interessava le due navate laterali e il presbiterio. L’edificio odierno, un misto di elementi romanici e gotici, risalente al XIV secolo, presenta in realtà una stratigra-fia decorativa molto complessa, fatta di fasi

ALLA SCOPERTA DI RUFINONel XV secolo, una cultura figurativa “mediter-ranea” accomuna una vasta area che dalle coste della Spagna attraversa la Provenza, travalica le Alpi e si estende dalla Liguria al Piemonte me-ridionale. Compartecipa a questa temperie un pittore sconosciuto alla “grande storia”, ma ben noto a suo tempo, poiché capace di fondare una scuola di seguaci sul territorio: il suo nome è Rufino e la sua città natale Alessandria. Le tracce di Rufino nelle cronache dell’epoca sono sporadiche e frammentarie: è documen-tato a Mondovì nel 1413-1414, dove dipinge le insegne di Ludovico di Savoia-Acaia sulle por-te della città; dopodiché, però, si brancola nel buio. L’unico altro appiglio ci viene offerto dallo splendido polittico raffigurante la Madonna con Bambino e Santi nel municipio di Marsaglia,

Interno della chiesa di Santa Caterina, a Villanova Mondovì, con visuale della nuova pavimentazione in cocciopesto. L’opera del pittore risale, presumibilmente al quinquennio 1410-1415 e interessava le due navate laterali e il presbiterio.

Nella pagina seguente:Rufino di Alessandria, San Bernardo: particolare dell’affresco della navata sinistra della chiesa Santa Caterina a Villanova Mondovì. Le tracce di Rufino nelle cronache dell’epoca sono sporadiche e frammentarie. Nel 1413-14, a Mondovì, dipinge le insegne di Ludovico di Savoia Acaja sulle porte della città.

rufinolo sconosciuto

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trecentesche che si alternano e si accavallano con una serie di episodi quattrocenteschi, per finire con i brani del XVI secolo e dell’epoca barocca. Molte mani diverse intersecate e so-vrapposte corrispondono quindi a cicli autono-mi che sono stati individuati via via a partire dai restauri degli anni ’80 e ’90. Fu proprio allora che riaffiorarono, prepotentemente, i riquadri rufiniani con il Battesimo di Cristo (completa-mente nascosto dalla tela della Natività, datata 1769), le Storie della vita di Santo Stefano, oltre a santi, re e profeti di varia estrazione e di iden-tità talvolta incerta. Immagini di una devozione lontana e sincera che evidenziano il legame del pittore con la cultura tardogotica ligure (si veda Barnaba da Modena), miscelata con i nuovi ap-porti degli artisti forestieri di provenienza pisa-na e senese (come Taddeo di Bartolo). Sicuramente all’abile Rufino non sono ascrivibi-

li gli affreschi della prima campata di sinistra, in cui è raffigurata la Vita di San Sebastiano: il dif-ferente approccio, oltre alla data presente sulla superficie (1469), rivelano infatti la paternità di un altro autore, tuttora discusso, prossimo ai modi di quel Segurano Cigna che fu attivo nel Santuario della Madonna del Carmine a Prunetto (1478), in San Francesco a Mondovì (1478), in San Bernardo a Pamparato (1482), oltreché nella cappella di San Ponzio presso Marsaglia, recuperata fra il 2008 e il 2010. A Rufino, figura dominante del panorama ar-tistico monregalese del XV secolo, sono infi-ne attribuiti anche gli affreschi raffiguranti la Madonna in trono col Bambino e Sant’Antonio Abate della facciata della Pieve di Santa Maria in Bredolo presso Breolungi (Mondovì), di cui si ipotizza una realizzazione più tarda, risalente al 1420-25.

Rufino di Alessandria, Madonna con Bambino e Santi: il polittico è nel Municipio di Marsaglia e

proviene dalla Chiesa della Consolata da dove era stato trafugato nel 1971. “Rufinus de Alexa pinxit”

recita una iscrizione sulla tavola.

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RESTAURI IN DIRITTURA D’ARRIVOSette anni, o poco meno, sono occorsi per completare l’opera di risanamento di un edificio sacro di grande fascino e dalla sto-ria pluricentenaria. La sua collocazione al culmine di Villavecchia, il borgo alto di Villanova Mondovì, rende l’antica Chiesa di Santa Caterina ancor più suggestiva e pre-ziosa, scrigno di una fede e di una tradizione tramandatesi nei volti dei personaggi che af-follano gli affreschi. I lavori di restauro, che termineranno presumibilmente nel corso del mese di giugno, sono stati affidati all’ingegner Lorenzo Eula, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Quando sono cominciati i lavori di restauro?Abbiamo aperto il cantiere nell’ottobre 2007 con la supervisione delle tre soprintenden-ze competenti (archeologica, architettonica, storico-artistica): attraverso un finanziamento di 950.000 euro, concesso interamente dalla Fondazione CRC, abbiamo dato il via al pro-getto di recupero dell’intero edificio, oggi sconsacrato, al fine di riconvertirlo a sala poli-valente per mostre e convegni.

Quali parti della chiesa sono state interes-sate?La campagna di restauro è stata piuttosto complessa e, tra l’altro, ha riguardato il raffor-zamento delle volte attraverso l’introduzione di una cappa armata estradossale, il rifacimen-to della pavimentazione in cocciopesto con inserimento del riscaldamento a serpentine e la realizzazione di una zona vetrata calpesta-bile, in corrispondenza di un’abside emersa durante gli scavi e risalente a una precedente fase del IX secolo. Inoltre, abbiamo provvedu-to al consolidamento dei capitelli e al rifaci-mento del manto di copertura dell’edificio.

Quali sono state le maggiori problematiche emerse durante i lavori?Fra tutte le criticità emerse, direi in assoluto il consolidamento della volta della navata si-nistra che, in seguito a un crollo, è stata ripri-stinata secondo le indicazioni impartite dalla soprintendenza. Inoltre, il ritrovamento di tombe nello scavo archeologico della navata della chiesa, anche se prevedibile, ha certa-mente rappresentato un momento molto de-licato durante le operazioni.

Rufino di Alessandria, San Sebastiano (in abiti cortesi): particolare della navata sinistra della

Chiesa di Santa Caterina a Villanova Mondovì. Al medesimo artista, figura dominante del panorama

artistico monregalese del XV secolo, sono attribuiti gli affreschi della facciata della Pieve di Santa Maria

di Bredolo, presso Breolungi (Mondovì).

EMANUELE ORSI STORIA SECOLARE DI UNA CHIESA STRAORDINARIALa storia dell’antica Chiesa parrocchiale di Santa Caterina può essere articolata sostanzialmente in tre fasi: la prima riguarda un periodo che inizia

nel XIV secolo e finisce nella seconda metà del XV. Quella successiva ha avuto luogo nel corso del XVI secolo, mentre l’ultima ha interessato

i secoli XVII e XVIII. Nel primo periodo, quello bassomedievale, la struttura era costituita da tre navate di sette campate ciascuna, con facciata

tripartita a corpo centrale più elevato. La copertura interna era garantita, per quanto riguarda la navata centrale e quella laterale sinistra, da assi

lignee, mentre quella laterale destra era in parte costituita da volte in muratura e in parte protetta direttamente dal tetto con tegole a vista. Il

campanile venne inserito sul corpo centrale della navata destra. Durante la seconda fase storica, ossia quella cinquecentesca, vennero modificate

diverse parti dell’edificio, tra cui le facciate sul fianco nord e sull’esterno del presbiterio. Il campanile venne ulteriormente innalzato e si realizzò

una totale copertura delle due navate laterali con volte a crociera. Tuttavia, la massima espressione decorativa dell’antica parrocchiale di Santa

Caterina si ebbe nel corso del periodo Barocco: la chiesa subì un ulteriore ampliamento con l’aggiunta, a destra, di una quarta navata che contri-

buì ad aumentare l’irregolarità planimetrica della struttura. Le pareti non vennero più decorate con affreschi, ma totalmente intonacate e questo

nuovo “gusto” portò alla decisione di scialbare i cicli pittorici quattrocenteschi. Successivamente, nel corso del XVIII secolo, anche la navata

centrale venne coperta totalmente con volte a crociera, mentre il presbiterio fu allungato. Ancora durante il XIX secolo, seguirono restauri con

l’aggiunta di decorazioni. Dal 1944, infine, con il trasferimento della sede parrocchiale nell’attigua Confraternita settecentesca di Santa Croce

(Arch. Bernardo Vittone, 1755-1764), Santa Caterina fu privata di vari arredi sacri e subì un graduale abbandono.

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di altezza sorreggeva un basamento con 24 colonne doriche in posizio-ne circolare, alternate, nella parte posteriore, da nicchie con statue dei comandanti che avevano preso par-te alle operazioni di conquista, fra i quali Druso, figliastro di Augusto. Il tutto era sormontato da un tetto a gradoni completato da una scultura in bronzo del signore di Roma e del mondo: Giulio Cesare Ottaviano, con due barbari in ginocchio ai suoi piedi a rendergli omaggio. Non fui tuttavia fortunato. In fin dei conti mi portavo dietro una maledizione originaria: celebravo la sottomissione di popoli, celebravo la privazione della libertà, celebravo la morte. Così – come av-viene per ogni cosa – quando anche l’Impero degli apparentemente in-vincibili Romani scomparve, cambiai uso pure io. Divenni una fortezza a difesa di quelle coste che si erano venute popolando. Poi, nel 1705, durante un’ennesima guerra, fatta da un altro che si credeva dio in terra, il Re di Francia Luigi XIV (si faceva chia-mare “Re Sole”, così, per modestia),

fui fatto saltare in aria. Divenni una zona di prelievo di materiali da costruzione, tanto che, alla fine, di me non restarono che quattro colonne.Venni poi parzialmente restaurato (in realtà ricostruito, visto il poco che era rima-sto) nel secolo scorso, grazie alle ricerche di un architetto, Jules Formigé, e alle finanze messe generosamente a disposizione da un americano, Edward Tuck. Ora frotte di persone provenienti da ogni dove vengono a visitarmi. Per la maggior parte neppure sanno di stare a guardare una ricostruzione. Un falso, insomma. Del resto, ci sono abituate ai falsi e manco più distinguono illusione e mondo re-ale. Nulla di strano. Ai miei piedi hanno costruito una città, Montecarlo: la natura e il paesaggio sono mutati e la storia di questi luoghi spesso è solo un richiamo in più. Si arriva qui per altre ragioni: attratti dal lusso, a volte un po’ ostentato, dalla fama del posto e, perché no, anche da quella speranza che un’antica casa da gioco, con il suo fascino, inevitabilmente trasmette.

Il Trofeo delle Alpi.Photo: Amaranta – Stock Free Images

Era tutto così diverso allora. Qui, a La Turbie, non c’era nulla. In

verità non c’era neppure il paese, neppure il suo nome, neppure quel-la lingua con la quale oggi viene de-nominato e che nascerà diversi secoli dopo. C’erano boschi che lasciavano il posto alla macchia mediterranea profumata di resine e rosmarino, a pochi campi malamente coltivati da gente orgogliosa e libera come il vento. Nei villaggi di sparute case dal tetto di paglia, in un idioma or-mai scomparso, ribadivano la loro indipendenza e la fratellanza con altri, simili, che dimoravano più su, verso quelle montagne altissime, az-zurre d’estate e argentate di ghiacci d’inverno, che segnavano i confini, i limiti del mondo. Così come altri li-miti erano dati dal mare, giù in basso, bellissimo e tremendo, che batteva le scogliere e le spiagge deserte e inac-cessibili. Poi vennero quelli. Non si sapeva da dove. Quasi non parevano umani. Erano macchine, macchine da guerra. Organizzati, precisi, ordi-nati in legioni, coorti, manipoli, sape-vano cosa fare: distruggere. Lanciavano ordini secchi e si muovevano al ritmo delle loro trombe dorate, dei tamburi cupi, in sincronia, come aveva voluto, su al nord, il loro comandante, Druso Claudio Nerone, detto “Germanico”, Legato per le Gallie.Ma coloro che popolavano quel luogo non lo avrebbero mai cono-sciuto quel nome; gli uomini con le armi scintillanti non diedero loro il tempo. Come non ne concessero alle tribù dei monti. Dietro di sé lasciarono solo grup-pi di case bruciate e silenzio su cui piantare il vessillo con l’aquila.Dato che si vantavano delle proprie imprese, pensarono bene di costruirmi: il Trophée des Alpes, o meglio Trofeo di Augusto – com’era il mio nome originale – in onore dell’Imperatore, il “divo” (nel senso di “divino”) Augusto, a memoria della conquista definitiva da parte dei suoi generali di 46 tribù celtiche dell’area alpina e a monito perenne per tutti coloro che avessero osato opporsi. Segnavo anche il confine fra l’Italia romana e la Gallia narbonense.Fui costruito in un paio d’anni, fra il 7 e il 6 a.C. A modello, i Romani (che erano grandi tecnici e pertanto poveri di fantasia) presero il Mausoleo di Alicarnasso e scavarono addirittura una cava per ottenere materia prima senza problemi di trasporto. All’epoca ero alto ben 50 m: una costruzione imponente che si vedeva da molto lontano, in segno di potenza, forza, dominio. Un piedistallo di 38 m

DI FABRIZIO GARDINALI

l’intervista impossibile

Il “Trofeo delle Alpi”

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SPORT, TRADIZIONE, SAPORI ED EMOZIONI. L’ALTA PROVENZA È UN VIAGGIO A RITROSO NEL TEMPO, DOVE IL PROFUMO DELLA STORIA SI COMBINA ALLE MERAVIGLIE DELLA NATURA.

DI GIORGIO TRICHILO

Michel: un piccolo salotto, ideale per una so-sta prima di riprendere la visita alla Cattedrale (1100) e al Convento dei Cordiglieri, i tesori di Forcalquier. Ambedue sono prospicenti la piazza centrale al di fuori del borgo storico: qui ogni settimana si può assistere all’esibizio-ne dei fabbri, maestri artigiani che tramanda-no una gloriosa tradizione del luogo. Ma quando la memoria incontra la natura, non si può non parlare di lavanda. La regina delle coltivazioni di questa parte di Provenza fiorisce a fine giugno-inizio luglio: nell’aria si espande un profumo che prima accarezza, poi coinvolge e seduce l’olfatto. Un piacere anche per gli occhi: i campi violacei si staglia-no lungo l’orizzonte contro il cielo cobalto e l’effetto diventa formidabile. Ma, a parte il profumo, poco si sa su questa pianta straor-

Storie che si collegano e s’intrecciano. Come i passi di montagna attraverso i

quali, nei secoli, hanno sconfinato merci e mestieri, parole e musiche, armi e preghiere. Si parte da Cuneo verso Vinadio, si oltrepassa la Valle Stura e, una volta giunti in Francia, è l’Alta Provenza a darci il benvenuto. Un tea-tro naturale, lussureggiante, sospeso tra le Alpi e il mare, tra la storia della montagna e le tradizioni e i profumi che arrivano dal Mediterraneo. Arte, musica, enogastronomia, paesaggio. Di tutto e di più. Da dove cominciare? Il no-stro viaggio inizia da Forcalquier. Situato tra la Montagne de Lure e i fiumi Durance e Luberon, è un borgo costruito ad anfiteatro, con viuzze anguste che si dipanano nel centro. Qui domina la piazza con la Fontana di Saint

Le Gole del Verdon spaccano le montagne per 25 chilometri, creando il più impressionante canyon d’Europa, con pareti di 1500 metri a strapiombo sul fiume verde smeraldo. La natura è lussureggiante e rigogliosa. La zona è meta di chi ama praticare sport nell’acqua, come il canyoning.Photo: Gimmy Firi

alta provenza,piacere sommo

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dinaria… E per quanto ci si consideri esperti in materia, passando da Forcalquier a Simiane La Rotonde, ci si renderà conto che intorno alla lavanda ruota una vera e propria cultura. Simiane La Rotonde è uno dei più suggesti-vi villaggi arroccati tra le montagne dell’Al-ta Provenza: un tuffo a ritroso, nella storia medievale, esaltata dalle testimonianze del passato, come il castello e il suo giardino. Al suo interno, ogni curiosità sulla lavanda sarà soddisfatta. Il castello ospita, infatti, il Laboratorio di Aromaterapia Saint-Victoire, dove è possibile assistere al processo di distil-

lazione e dove un esperto guida il visitatore alla scoperta dei segreti della pianta. Qualche esempio? La lavande n’est pas toujours vrai-ment lavande! Il y a une grande différence en effet entre lavande et lavandin, (“Quella che sembra lavanda non è sempre veramente la-vanda! C’è una grande differenza, infatti, tra la lavanda e il lavandino,”) ammoniscono i re-sponsabili del laboratorio. La lavanda cresce bene in collina e montagna: è di piccole dimensioni ed ha un solo fiore per ogni stelo. Si riproduce per seme e la sua resa in olio essenziale estratto in corrente di

La lavanda è la regina delle coltivazioni di questa parte di Provenza. Fiorisce a fine giugno, inizio luglio: nell’aria si espande un profumo che accarezza, coinvolge, seduce. Photo: ©Maxironwas 2 - Stock Free Images & Dreamstime Stock Photos

Intorno al borgo di Moustiers Sainte Marie, la natura offre scorci tipici e indimenticabili. Le montagne, aspre, si avvicendano è propongono la bellezza della propria caratteristica forma.Photo: Paesaggio presso Moustiers Sainte Marie© Davidmartyn - Stock Free Images & Dreamstime Stock Photos

Un teatro naturale,lussureggiante,

sospeso tra le Alpi e il mare.

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vapore è intorno allo 0,8%. Viene impiegata nella produzione di medicamenti e rimedi grazie alla presenza di linalolo, efficace contro l’emicrania o le malattie da raffreddamento. Il lavandino, invece, trova il proprio habitat ide-ale in pianura e in collina. È di dimensioni più grandi e ha 3 infiorescenze per ogni stelo. Il suo profumo è molto più intenso, è legger-mente canforato ed erbaceo, ma comunque fresco e piacevole. Non può essere usato per le preparazioni medicinali, ma è ottimo per profumare l’ambiente, la biancheria e i pro-dotti per l’igiene. Siamo tra le montagne e il mare: la varietà di erbe, fragranze e coltivazioni è impressionan-te. A Salagon, infatti, hanno sede il Museo Conservatorio Etnologico e il Giardino Botanico. Il Museo illustra, ancora una volta, la “civiltà della lavanda e delle spezie”: uno scrigno di saperi e sapori che si tramandano da secoli e che hanno segnato l’economia e la società di questo territorio, mentre una visita

al Giardino Botanico è una straordinaria espe-rienza dei sensi, oltre che dell’intelletto. Al suo interno, si susseguono, uno dopo l’altro, il “giardino dei semplici e delle piante campa-gnole”, utilizzate in cucina e per i rimedi casa-linghi, il “giardino medievale” con le varietà cresciute in loco, “il giardino delle fragranze”, un vero e proprio paradiso per l’olfatto, e il “giardino dei tempi moderni”, un viaggio in-torno al mondo attraverso la vegetazione dei cinque continenti. E ora… si ritorna a Forcalquier per l’ape-ritivo, ma prima, da non perdere una visita a Lures, la città delle lettere. Lo dimostra il monumento agli alfabeti di tutto il mondo e di tutti tempi, allestito all’ingresso del borgo. Proprio qui, infatti, si svolge ogni anno una delle fiere legate alla tipografia più importanti a livello internazionale. Ma torniamo al nostro aperitivo a Folcalquier, un piacere e un vero e proprio rito. Qui l’aperitivo si chiama Pastis: un tocco di liquore di assenzio diluito con acqua e il gioco è fatto! Ma attenzione: le proporzioni devono essere esatte. Il viaggio prosegue. Eccoci a Moustiers-Sainte-Marie, dove si susseguono, tra le viuz-ze del borgo, le botteghe dei mastri della maiolica e della terracotta: vanto artigianale di questo luogo. Ma lo sguardo sarà catturato da un altro particolare. Alzando gli occhi verso la chiesa romanica Notre-Dame de Beauvoir, posta sopra la rocca che domina il paese, ecco la Stella di Moustiers-Sainte-Marie, sostenuta da una catena a 227 m sopra il fiume Verdon. La leggenda ne attribuisce l’origine al Duca di Blacas, che nel XII secolo fu preso prigioniero dai Saraceni. Il Duca fece questo voto: se fos-se riuscito a fuggire avrebbe appeso la stella vicino alla chiesa… e così fu, almeno secondo la vulgata.A proposito del Verdon… spazio alle emozio-ni. Le Gole del Verdon spaccano le montagne per 25 km creando il canyon più impressio-

DOVE MANGIARELE TREILLEMUSCATE(Moustiers-Sainte-Marie)tel. +33 04 [email protected]

AUBERGEDU POINTSUBLIME(Rougon)tel. +33 04 [email protected]

L’APERITIVODISTILLERIEET DOMAINESDE PROVENCE (Forcalquier)Tel. +33 04 92750058www.distilleries-provence.com info@ distilleries-provence.com

DOVE DORMIREHOTEL CHAREMBEAU (Forcalquier)Tel. +33 04 [email protected]

HOTEL LA FERME ROSE (Moustiers-Sainte-Marie)Tel. +33 04 [email protected]

MAISON DE MELEN (Moustiers-Sainte-Marie)Tel. +33 04 [email protected]

HOTEL DES GORGESDU VERDON (La Palud Sur Verdon) Tel. +33 04 92773826www.hotel-des-gorges-du-verdon.fr [email protected]

LUOGHI DEL GUSTO

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Nella pagina precedente:Il tipico aperitivo si chiama Pastis: un tocco di liquore di assenzio, diluito con acqua. I luoghi del gusto

offrono la possibilità di assaporarlo là dove nasce. Photo: Alpes des Haute Provence.

In questa pagina:La stella di Moustiers Sainte Marie, sostenuta da una catena a 227 metri sopra il fiume Verdon, testimonia la

leggenda che ne attribuisce l’origine al voto fatto dal Duca di Blacas nel XII secolo.Photo: Office de Tourisme Moustiers Sainte Marie.

Uno scorcio di Moustiers Sainte Marie con le sue viuzze che si snodano nell’antico borgo, dove si incontrano le botteghe dei mastri della maiolica e della terracotta che sono il vanto artigianale di questo luogo. Photo:

Alpes des Haute Provence.

LA LEGGENDA DELLA STELLASecondo la leggenda, la stella è un ex-voto dedicato alla Vergine Maria e in-stallato per volontà del Cavalier Blacas, crociato fatto prigioniero dai Saraceni. Blacas promise, qualora fosse riuscito a tornare sano e salvo, di sospendere una stella a una catena, al di sopra di Moustiers. Altre versioni evocano sto-rie d’amore, i Re Magi o ancora la caval-leria, ma nessuna di queste, ad oggi, è ancora stata avvalorata da testimonian-ze storiche. La catena, lunga 135 m, pesa 150 kg, mentre la stella, ricoperta d’oro, misura 1,25 metri.

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nante d’Europa, con pareti di 1500 m a stra-piombo sul fiume verde smeraldo, immerse in una natura lussureggiante e rigogliosa. La meta ideale per gli amanti dei circuiti a tor-nanti e per tutti coloro che praticano sport estremi o acquatici. Il paradiso dei motocicli-sti e di chi cerca l’adrenalina con il canyoning. Ma non solo. Le pareti delle Gole del Verdon rappresentano anche un importante sito d’ar-rampicata, tra i più famosi di Francia e d’Eu-ropa: oltre 800 tra monotiri e vie lunghe su roccia calcare. L’avventura da queste parti incontra la storia. L’ultima tappa del nostro viaggio è Castellane. Situata sulla Route Napoléon – la strada che da Golf Juan arriva fino a Grenoble – ospitò il Generale di ritorno dall’isola d’Elba, che qui pernottò al 34 di Rue Nationale il 3 marzo 1815. Si sa, Napoleone si innamorava spesso. S’innamorò anche dell’Alta Provenza: impos-sibile non seguire il suo esempio.

La lavanda può essere acquistata nelle tipiche botteghe che testimoniano la cultura legata a

questa coltivazione. Simiane La Rotonde, paese arroccato tra le montagne dell’Alta Provenza,

ospita il castello nel quale si trova il laboratorio di aromaterapie Saint Victoire. Photo: Alpes de Haute

Provence.

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Era tanti anni fà il pane dei pastori e dei contadini, cotto una sola volta alla settimana durava per più giorni e costituiva l’alimento

insostituibile durante il lavoro nei campi e il prezioso compagno di viaggio di chi portava i greggi in montagna, oggi come allora il pane viene preparato con farina 1, sale lievito e la straordinaria acqua di Triora.

DE.CO. | DENOMINAZIONE COMUNALE DI ORIGINE

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La storica azienda ha le radici a Sanremo già dal-la prima metà dell'800, fondata da uno scalpellino della Società del Duomo di Milano: Bartolomeo For-

maggini. Da allora la collaborazione con i più grandi architetti del periodo “liberty” che soggiornano in ri-viera e la realizzazione di grandi opere come l'alta-re maggiore della Chiesa S.S. Maria degli Angeli di Sanremo o le innumerevoli sculture presenti al Cimitero Monumentale Foce di Sanremo e al Cimitero Staglieno di Genova, il Teatro Ariston, la fontana dello Zampillo o la passeggiata Imperatrice, hanno lasciato un segno. Oggi, nella sede di Valle Armea, i figli di Eugenio, Enri-co e Giovanni proseguono il lavoro con la professiona-lità e l'esperienza che gli hanno valso il riconoscimento di “Impresa Storica d'Italia”, per soddisfare imprese ed architetti, garantendo lavorazioni con marmi, graniti, travertini, ardesie e pietre selezionate fra il meglio che la natura offre, con risultati sempre unici.

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VITA DA GUARDIAPARCO. SENTINELLA DELLE ALPI. QUELLE PER UN TRATTO ITALIANE CHE, UN PO’ PIÙ IN LÀ, DIVENTANO FRANCESI SONO CHIAMATE MARITTIME. IL PARCO NE PRENDE IL NOME.

DI GIOVANNA FOCOPHOTO: PRESS OFFICE PARCO NATURALE ALPI MARITTIME

Aggiunge: “Diversi colleghi l’hanno visto. Ani-male elusivo: suscita entusiasmi, sia nel bene sia nel male, ma tra noi, nessuno lo teme”. Il lupo non è né buono né cattivo. Attacca altri animali perché così vuole il suo istinto: quella è la parte che gli è stata assegnata nella grande rappresentazione del ciclo della vita.

LA GIORNATA DEL GUARDIAPARCONon ce n’è una tipo. Ricopriamo una doppia funzione: una è strettamente legata alla vigilan-za, l’altra ci vede impegnati in progetti specifici, come le attività didattiche, la realizzazione tec-nica della segnaletica o la pulizia dei sentieri.

LE AREE PIÙ FATICOSE DA VIGILAREParadossalmente quelle a valle, dove ci sono ag-glomerati di turisti che, a partire dalla primave-

Gli animali non conoscono confini e, bradi, lasciano orme. Un po’ al di qua, ma an-

che al di là. Il lupo trova in questi spazi la sua dimora. Quel fascino, contrastante e narrato, nel bene e nel male. Lui, il lupo della favola di Cappuccetto Rosso che magari ha turbato il sonno di tanti bambini, ma anche quello de Il libro della giungla in cui si scoprono le sue eccellenti attitudini parentali. In questi spazi, c’è la sua dimora. Gianni Oppi, responsabile del Servizio Vigilanza del Parco Alpi Marittime, sostiene: “Non l’ho mai visto”. La sua voce è riflessiva, senza sbavature o colpi di scena. Pare idioma fuori campo, nel vociare epocale in cui si pavoneggiano sensazionalismi. Lui no. Piedi ben piantati per terra, è avvezzo a usare testa per governare il corpo di altitudine in altitudine e onorare il proprio ruolo di Polizia Giudiziaria.

Se in natura l’avvistamento di un lupo è evento quanto mai raro e fortuito, va detto che anche all’interno del Centro Faunistico “Uomini e lupi” di Entracque l’osservazione del lupo non è un evento scontato. Photo: Fulvio Beltrando/PNAM

Nella pagina seguente:Uno scorcio dal Vallone di Fenestrelle verso l’Argentera, dove crinali e declivi si avvicendano. Le Alpi Marittime, estremo lembo meridionale della catena alpina, dividono la pianura piemontese dalla costa nizzarda e sono comprese tra due valichi: il Colle di Tenda e il Colle della Maddalena.Photo: Augusto Rivelli/PNAM

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Gianni Oppi è il Responsabile del Servizio di Vigilanza del Parco Alpi Marittime. Insieme ai colleghi guardiaparco, controlla 28mila ettari ripartiti su tre valli: Gesso, Stura, Vermenagna. I guardiaparco hanno ruolo di Polizia Giudiziaria, ma seguono anche progetti didattici e di laboratorio.Photo: Augusto Rivelli/PNAM.

Nel 1983, in occasione dei lavori di allargamento della strada comunale “delle Ripe”, in direzione Valdieri, è venuta alla luce una necropoli a cielo aperto. Oltre all’area archeologica è stato allestito un percorso museale all’aperto e una mostra con i reperti recuperati nel corso degli scavi.Photo: Giorgio Bernardi/PNAM

Non prendete nulla, tranne foto.Non lasciate nulla, tranne impronte.Non portate via nulla, tranne ricordi.

LA NECROPOLIA CIELO APERTOLungo la strada vecchia per Valdieri, all’interno di una conca ampia e bene esposta si trova una necropoli a cielo aperto, venuta alla luce nel 1983 duran-te i lavori di allargamento della strada comunale “delle Ripe”. Grazie a una stretta collaborazione tra la Soprinten-denza per i Beni Archeologici del Pie-monte, il Comune di Valdieri e il Parco naturale delle Alpi Marittime, sono stati eseguiti i lavori di messa a punto dell’a-rea archeologica, con l’allestimento di un percorso museale all’aperto e di una mostra delle urne minerarie e dei reper-ti di corredo in bronzo e osso recuperati nel corso degli scavi.

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Uno scorcio del Rifugio Genova, intagliato nella natura, è occasione per riflettere sulla convivenza tra natura e uomo. Un rifugio, per definizione, è un luogo in cui si cerca ricovero e protezione per il corpo ma anche,

non di rado, per lo spirito. Photo: Augusto Rivelli/PNAM.

Nella pagina seguente: Il gipeto, meraviglioso rapace, è stato reintrodotto, grazie a specifici progetti volti alla sua salvaguardia. Non è raro scorgerlo, mentre disegna le sue rotte circolari nel cielo. Come non è inusuale

avvistare stambecchi ed altri selvatici, lungo i sentieri che si snodano nel Parco. Negli ultimi anni il progetto di reintroduzione del gipeto nelle Marittime Mercantour è sostenuto dalla Fondation Albert II di Monaco.

Photo: Michelangelo Giordano/PNAM.

ra, accendono fuochi per i barbecue, parcheg-giano le auto nei prati e, ancora, lasciano i cani liberi o li conducono dove non è consentito. Nel Parco delle Alpi Marittime, i cani sono am-messi solo al guinzaglio e su strada; inoltre pos-sono essere portati esclusivamente al Rifugio Soria Ellena, al Genova e al Valasco. È indubbio che le nostre azioni, in caso di infrazioni, siano state forti ma hanno portato a risultati evidenti: in questi anni, le contravvenzioni sono scese di tre quarti. Alla fine, è un turismo abitudinario e chi frequenta il Parco ha imparato a rispettarlo. Si tratta di regolamenti. Vigilare le aree a volte è snervante, ma da un punto di vista psicologico. Noi guardiaparco dobbiamo fare rispettare le regole e abbiamo l’obiettivo di porci in maniera corretta, senza innescare inutili conflittualità.

QUANTI CHILOMETRI AFFRONTA,IN MEDIA, OGNI GIORNO? Dai 15 ai 20. Eh già! Il Parco, re di sentieri e rifu-gi: sono decine e decine i chilometri di strade militari, piccole vie e sentieri, che risalgono i valloni. Molte mulattiere, oggi percorsi classici

LA STORIAIl Parco naturale delle Alpi Marittime è stato istituito nel 1995, in seguito alla fusione del Parco naturale dell’Argentera con la riserva del bosco e dei laghi di Palanfrè. Si estende su una superficie di circa 28.000 ettari ripartita su tre valli: Gesso, Stura, Vermenagna. Le Alpi Marittime, estremo lembo meridionale della catena alpina, dividono la pianura piemontese dalla costa nizzarda e sono comprese tra due valichi: il Colle di Tenda e il Colle della Maddalena. Entrambi i versanti delle Marittime sono sottoposti a protezione: sul lato francese si estende, infatti, il Parco nazionale del Mercantour, famoso in tutto il mondo per la Valle delle Meraviglie, sito che ospita migliaia di incisioni rupestri risalenti, per lo più, all’Età del Bronzo. I due Parchi confinano per oltre 35 km e formano, nel loro insieme, un’area protetta di oltre 100.000 ettari, che potrebbe diventare, in un futuro prossimo, il primo parco internazionale. Il patrimonio è mirabile. Patrizia Rossi, direttore del Parco delle Alpi Marittime, partendo da molto lontano, ha recentemente illustrato un antico progetto, che alla fine degli anni ’60 ipotizzava la creazione di una grande area protetta transfrontaliera che comprendesse le Alpi Marittime e liguri, francesi e italiane, dal Colle della Maddalena al mare. Già allora, in un convegno tenutosi presso l’Amministrazione Provinciale di Cuneo, gli scienziati e le autorità convenute si erano dichiarati convinti dell’eccezionalità del territorio e avevano previsto una cartografia, che includesse tutte le zone protette via via poi istituitesi nel tempo: il Parco nazionale del Mercan-tour in Francia, il Parco delle Alpi Marittime e il Parco del Marguareis in Piemonte, il Parco delle Alpi Liguri e varie riserve naturali fino ai Giardini Hanbury, sul mare, in Liguria. Questa vasta area potrebbe essere identificata con il nome evocativo di “Alpi del mare”, mutuando un’idea di Ferruccio Dardanello, storico presidente della Camera di Commercio di Cuneo. “In questo momento – sottolinea il presidente del Parco Alpi Marittime, Gianluca Barale – siamo impegnati per concludere progetti in corso, senza trascurare alcuna possibilità di crescere e promuovere questo meraviglioso territorio che rappresento.”

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Favorire l’utilizzo dei mezzi di trasporto collettivi e di forme di fruizione del territorio, dalla passeggiata in bicicletta all’escursione a piedi, a basso impatto ambientale: è questo uno degli obiettivi del Piano Integrato Transfrontaliero “Marittime Mercantour” e che ha tra i principali partner di progetto il Parco fluviale Gesso Stura.Photo: Giorgio Bernardi/PNAM.

MERCANTOURALPI MARITTIME:PARCHI SENZA FRONTIEREE BARRIERELa “condivisione della natura” è esempio concreto della volontà di essere accessi-bili a tutti. “Sono stati selezionati – spie-ga Giorgio Bernardi, referente italiano del progetto – 12 itinerari per persone, adulti o bambini, con mobilità ridotta. Due joelettes, acquistate dalla Comunità montana Alpi del Mare, affidate in gestio-ne al Parco. Sono carrozzine mono-ruota adatte a qualsiasi terreno. Permettono di effettuare passeggiate in sicurezza, con l’aiuto di almeno 4 accompagnatori in buona forma fisica.”

CENTRO FAUNISTICO UOMINI E LUPI Il Centro faunistico Uomini e Lupi comprende un re-cinto di circa 8 ettari al cui interno sono ospitati esem-plari di Canis lupus italicus. Si tratta esclusivamente di animali che non potrebbero vivere in libertà, perché vit-time di gravi incidenti o in quanto già nati in condizioni di cattività. Al centro dell’area, in frazione Casermette di Entracque, si alza una torretta di 3 piani da cui è possi-bile osservare una larga porzione dello spazio recintato. Se in natura l’avvistamento di un lupo è evento quanto mai raro e fortuito, va detto che all’interno del centro faunistico l’osservazione del lupo non è un evento scon-tato. Per altro, le probabilità crescono di molto negli orari in cui gli animali sono alimentati e, in ogni caso, tramite supporto di telecamere, è possibile entrare in contatto visivo con i lupi con maggiore facilità. Info: Uomini e Lupi. Sezione di Entracque: Piazza Giustizia e Libertà, 2. Sezione di Casermette: Strada Provinciale per San Giacomo, 3. Tel. +39 0171 978007-978616 – www.parcoalpimarittime.it

dell’escursionismo, furono costruite per rag-giungere i posti di caccia dove il re, con il suo seguito, si appostava in attesa di veder compa-rire i camosci, sospinti verso i punti prestabiliti da una schiera di 200-300 battitori. Ognuno con il proprio passo: benvenuti nel

Cuneese. Se, poi, si tratta di passeggiare nel Parco, ricordate ciò che magari anche i guar-diaparco vi hanno già, a volte, segnalato: “Non prendete nulla, tranne foto. Non lasciate nulla, tranne impronte. Non portate via nulla, tranne ricordi”.

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TORNA IL MAGAZINE DI BOITE D’OR IN VESTE RINNOVATA E IN TEMA CON LE NUOVE COLLEZIONI. LE PAROLE D’ORDINE SONO SEMPRE LE STESSE: UNICITÀ, SARTORIALITÀ, ECCELLENZA E UN NUOVO APPROCCIO VERSO IL PUBBLICO.

mate Italian Design, marchio che la stessa Boite d’Or distribuisce.

LA FILOSOFIA BOITE D’ORIl BD’ MAG ritorna in una versione rinnovata per rilanciare, con un linguaggio snello e imme-diato, la propria filosofia, che si basa su pochi e semplici punti cardine, ma rivoluzionari, in un panorama – quello della gioielleria attuale – che punta all’omologazione delle tendenze esteti-che, anziché alla sartorialità del prodotto.Il gioiello, infatti, è opera d’arte che s’identifica con la personalità di chi sceglie di indossarlo e che diventa una seconda pelle. Per questo la Maison sceglie di andare oltre il semplice “ogget-to prezioso” a cui occorre adeguare la propria individualità e femminilità, mirando, al contrario, sul valore intrinseco dell’opera e sulla sua uni-

Boite d’Or torna a far sognare e lo fa con uno strumento d’eccezione: il BD’ MAG. Un

magazine che si fa comunicazione innovativa per ribadire, in modo più mirato rispetto ai cataloghi tradizionali, l’identità della Maison Boite d’Or e il valore intrinseco delle proprie creazioni.Dal 1978, Boite d’Or punta, infatti, alla creativi-tà che diventa eccellenza e irripetibilità, grazie all’estro e alla capacità manifatturiera di alcuni tra i migliori maestri orafi italiani. Ma da oggi, tale straordinario patrimonio di cultura e sa-pere si arricchisce della collaborazione di un gruppo di giovani designer, guidati da Alberto Prandoni, gemmologo GIA e titolare dell’Azien-da insieme alla sorella Silvia e alla madre Vilma Arnaudo. Il team è costantemente impegnato nello studio di opere d’arte “su misura” per la Maison, così come nel concept delle novità fir-

boite d’or torna abrillare con il bd’mag

BOÎTE D’ORCuneo - Limonewwww.boitedor.it

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Ispirato all’omonima città fortificata spagnola, l’anello Alhambra è concepito come uno scrigno che nasconde esotici dettagli in miniatura. Sotto: l’anello Falene, dove l’ametista viola con taglio a cupola, nel suo splendore cromatico, rende omaggio alla primavera.

cità. Una vocazione che presuppone un nuovo approccio, dove al puro interesse commerciale della vendita si sostituisce l’ascolto e l’interazio-ne con il pubblico, per capirne le singole esi-genze, i desideri e il coinvolgimento. Boite d’Or si trasforma così in una Maison di nuova conce-zione, dove si intraprende un’inedita forma di relazione con il cliente, il quale sa di essere al centro e di trovare qui la propria valorizzazione. Per fare ciò, tuttavia, non basta fermarsi ad ascol-tare, ma occorre anche informare e comunica-re, soprattutto ai giovani, per diffondere la vera cultura dell’eccellenza e far comprendere la stra-ordinaria differenza tra un pezzo che nasce da un lungo lavoro di studio artistico e di realizzazione di altissimo livello, e un oggetto in serie, appeti-bile solo perché “di tendenza”.Il sogno, però, non vive solo di creatività, ma anche di capacità artigianale unita alla ricerca tecnica. Da oggi, infatti, la produzione altamente specializzata dei laboratori Boite d’Or si avvale anche di una propria manifattura per il taglio di pietre naturali: un enorme balzo in avan-ti nella costante tensione alla perfezione, che consente l’acquisto di materiale grezzo per la sperimentazione di nuovi tagli, come quello a cupola, presente nelle nuove collezioni Falene e Boccioli.

UN NUOVO MODODI COMUNICARE L’UNICITÀTutto ciò e molto ancora comunica il nuovo BD’ MAG, che presenta le novità in fatto di alta orologeria e le nuove creazioni Boite d’Or, affian-cando alla magia del design e alla fantasia dei colori, informazioni sul manufatto, così come sui materiali utilizzati. La parola d’ordine è “colore”, che spazza via l’u-niformità delle mode, per dare spazio all’unicità.Si parte con i diamanti, ora anche nella linea Fancy, una nuova serie di pietre colorate e raris-sime (i diamanti colorati rappresentano, infatti, lo 0,01% dell’estrazione mondiale), e si continua con le Perle Blu Eyris, che incarnano il concetto

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stesso di unicità. Proposta per la prima volta in Italia proprio da Boite d’Or, la Blu Eyris è ricavata da una varietà di lumaca di mare molto delicata e tipica della Nuova Zelanda, la Paua, caratterizzata da una conchiglia iridescente e co-loratissima al suo interno. La sua combinazione cromatica è determinata da fattori così variabili (mappatura genetica, dieta e ambiente naturale) che ogni pietra risulta differente e peculiare. Alla collezione tradizionale di Boite d’Or, si affianca-no così pezzi particolari e straordinari, firmati Italian Design e realizzati con le Blu Eyris, come il “multifunzionale” anello Alhambra. Ma per chi ama la tradizione e l’immortale mito della perla alla Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, ecco rivisitazioni classiche e più audaci, a seconda della propria personalità. E, ancora, il trionfo del colore con la linea Boccioli, dove domina la primavera con tutto il suo corredo di ispirazione, materializzata in veri e propri boccioli floreali, e in cui il nuovo taglio a cupola si presenta su varietà di gemme molto differenti ad esprimere la pluralità croma-tica della natura. Infine, da non dimenticare la vasta selezione di alta orologeria, che presenta le novità dei marchi più esclusivi. Si passa dal Type XXII, con cui Breguet lancia il cronografo più preciso al mondo funzionante a 72.000 alternan-ze-ora, alla collezione Rendez-Vous di Jeager Le Coultre, omaggio all’attrice Diane Kruger, fino ai Graham Chronofighter Oversize, studiato per gli amanti dell’avventura, e Silverstone, ispirato alla velocità e al mondo automobilistico.

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La Valle Argentina, una delle numerose vallate in provincia d’Imperia, prende il nome dall’omonimo torrente che scen-de dalle pendici del monte Saccarello

(m. 2200 s.l.m.) e che, raccolti alcuni corsi d’ac-qua secondari (il Carpasina e l’Oxentina), scor-re tra le sue colline verdeggianti per sfociare nel Mar Ligure, nei pressi di Arma di Taggia. In questa magnifi ca valle, sono molti i tesori da scoprire, per esempio l’oro bianco – ovvero i fagioli di Badalucco, legumi tipici della Ligu-ria di Ponente. Piccoli, completamente bianchi, carnosi, teneri, delicati e dalla forma ovoidale, i fagioli di Badalucco sono qui chiamati rundin, ma ne esiste anche un’altra varietà meno pre-giata, le mungette, dal colore simile, di forma però più allungata, analoga al cannellino. Si ritiene che il ceppo originario provenga dal-la Spagna e che abbia trovato il proprio habitat ideale nella vallata imperiese. Presidio Slow Food dal 2000, le pregiate leguminose si rico-noscono da lontano, dai tralci che si arram-

meravigliosa

ValleArgentina

Scrigno naturale custode di eccellenze e tipicità unichecome i fagioli di Badalucco, le olive taggiasche o il pane di Triora.

Un ambiente incontaminato che invita alla scopertadei suoi angoli più affascinanti.

COLORI, SAPORI E SUGGESTIONI TRA MARE E MONTAGNA

picano su minuscole capanne formate da tre canne intrecciate e disposte in fi le ordinate, an-che se, di recente, alcuni produttori hanno co-minciato a utilizzare reti tese in fi lari. L’eccel-lenza proviene, in particolare, dai terreni situati sui versanti posti a est delle valli e nel territorio di Badalucco. In ogni caso, il fagiolo migliore arriva dall’Oxentina, una valletta laterale sul versante del Monte Ceppo, e dalle campagne d’Argallo, Ciabaudo e Ginestro, ma altre buo-ne qualità si ottengono dai terreni di Lona, alle pendici del Monte Faudo e da quelli della piana d’Isolalunga, al confi ne tra i comuni di Montalto e Badalucco. La sua produzione non è elevata: solo 6 quintali circa! La capra con i fagioli e il classico primo a base di pasta e fagioli sono i piatti simbolo della cucina dell’entroterra im-periese, come pure della Valle Argentina, en-trambi cucinati e innaffi ati di olio extravergine d’oliva: il secondo oro, quello giallo! Un patrimonio davvero imprescindibile in tutta la regione, ma in questa zona particolarmente importante per l’eccezionale qualità del prodot-to. L’altitudine, infatti, è un fattore che favorisce

l’ottenimento di un olio dal sapore e dall’aroma inconfondibili, di grande consistenza ma, allo stesso tempo, leggerezza, con un corredo or-ganolettico diverso da quello di altri oli liguri da Taggiasche. Nella Valle Argentina, sono molte le azien-de locali che, negli anni, hanno assunto una posizione di rilevo nella coltivazione e produzione di olio e derivati, conqui-stando fette di mercato sempre più importanti.Un altro caratteristico alimento che caratterizza la zona di Badalucco, borgo medievale della media Valle Argentina, è il merluzzo essiccato, protagonista della Sagra du stoca-fi ssu a baücôgna. Durante la sagra, il merluzzo viene cucinato secondo una preziosa e antica ricetta locale e l’evento settembrino richiama nel borgo numerosi turisti e gourmet. Anche questo piatto, oltre che con le consuete patate, è accompagnato da un altro prodotto fondamenta-

le per la valle: il famoso, fragrante e saporito pane di Triora. Un pane preparato con farina tipo “1”, farina di grano saraceno e crusca, e lievitato per una notte con acqua tiepida e sale.

Il giorno successivo, all’impasto vengono aggiunti altro lievito e farina. Dopo aver ri-posato ancora qualche ora su uno strato di crusca, i pani ottenuti vengono lavorati in forme basse e larghe (dopo la cottura rag-

giungono un peso di circa 850 g ciascuno) che vengono cotte in forno con l’utilizzo

foglie di castagno per evitare che si at-tacchino alla base, e che presentano, una volta sfornate, un’incisione di for-ma quadrata sulla crosta. La fama di questo pane valica ormai i confi ni della regione e non è raro che tanti visitatori “foresti” arrivino fi n quassù per assa-porarlo caldo e fragrante, direttamente dal panifi catore. Percorrendo la Valle Argentina da Mo-lini di Triora fi no a Verdeggia e Realdo, non è raro imbattersi, sui fi anchi della montagna, negli ingressi bui delle cave

di ardesia, la roccia ornamentale più tipica e preziosa della provincia, denominata l’oro nero del territorio. Per le ottime caratteristi-che di resistenza, fi n dall’antichità, l’ardesia è stata utilizzata per la copertura dei tetti e per la costruzione di scale e portali scolpiti, come quelli pregevoli di molti palazzi nobiliari liguri. Impiegata anche per la produzione di lavagne scolastiche e di lastre di biliardo, è stata recen-temente soppiantata da materiali più economi-ci e scadenti, ma è ancora ampiamente ricer-cata da designer e scultori per la realizzazione di oggetti preziosi e di nicchia. Abbiamo fi n qui esaminato il fl orilegio della produzione locale, ma non bisogna dimenticare che nella Valle Ar-gentina, oltre ai magnifi ci percorsi naturalisti-ci tra monti, valli e corsi d’acqua, percorribili a piedi, a cavallo o in mountain bike – che ne rivelano gli angoli più ammalianti (non a caso l’Argentina è detta anche Valle Incantata) – tutti i comuni sono piccoli scrigni che conservano patrimoni artistici con proprie peculiarità. Badalucco, Carpasio, Castellaro, Ceriana, Molini di Triora, Montalto Ligure, Pompeiana,

Taggia, Terzorio e Triora: in ciascuna di queste località, gli appassionati di storia dell’arte po-tranno ammirare pregevoli chiese, oratori, pie-vi, santuari, ponti, dall’epoca romana a quella medievale per arrivare fi no al barocco.Senza dimenticare, però, il museo etnografi co e della stregoneria a Triora: memoria storica del lavoro agricolo, così come di un importan-te processo avvenuto qui e testimoniato anche dalla famosa “cabotina”, il luogo in cui si rite-neva le streghe tenessero i loro sabba. In ri-cordo di questo oscuro periodo, da alcuni anni, in estate, si tiene la Festa Strigoria, dedicata a tutte le streghe di ieri e di oggi.Ma non è tutto qui: la ricchissima e fl orida Valle Argentina ri-serva a chi la percorre anco-ra tante magnifi che sorpre-se… ma di questo potremo parlar-ne un’altra volta o, se preferite, potete scoprirle da soli.

AZIENDE AGRICOLEAntica distilleria Cugge

Az. agr. Bonello MarioAz. agr. Castellarone

Az. agr. GaaciAz. agr. Lanteri Ivana

Az. agr. Lanteri MaurizioAz. agr. Lanzone MassimoAz. agr. Panizzi Giuseppe

Az. agr. RaibaudoAz. agr. Rondinone Cristina

ALIMENTARIAu Conosorziu

Il Forno di Marvaldi GianniLa Canestra

Macelleria Oliva A. NelloPanifi cio Asplanato Triora

ARTIGIANIBig Motors

Elettric ImpiantiImp. Edile Colombo

Imp. Edile CurnisIntreccio creativo

Lanteri ArdesiaLoraschi sculture

Parrucchiera AntonellaPipe Giordano

Serramenti Argentina

BARbar Pradiobar Sport

bar Vecchi Ricordi

COMMERCIANTIBiscau

Piccolo EmporioTecno-Ben

Tintoria La PerlaTutto per l’edilizia

U TabachinFarmacie

Farmacia S. Giorgio

FRANTOI & OLEIFICIBoeri

GB PanizziRoi

Balestra GG. Boeri

RISTORANTI & CO.Cà MeaIl Ponte

La Capanna dei CeltiLe Macine del Confl uente

Vecchio FrantoioPizzeria La Stua

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La Valle Argentina, una delle numerose vallate in provincia d’Imperia, prende il nome dall’omonimo torrente che scen-de dalle pendici del monte Saccarello

(m. 2200 s.l.m.) e che, raccolti alcuni corsi d’ac-qua secondari (il Carpasina e l’Oxentina), scor-re tra le sue colline verdeggianti per sfociare nel Mar Ligure, nei pressi di Arma di Taggia. In questa magnifi ca valle, sono molti i tesori da scoprire, per esempio l’oro bianco – ovvero i fagioli di Badalucco, legumi tipici della Ligu-ria di Ponente. Piccoli, completamente bianchi, carnosi, teneri, delicati e dalla forma ovoidale, i fagioli di Badalucco sono qui chiamati rundin, ma ne esiste anche un’altra varietà meno pre-giata, le mungette, dal colore simile, di forma però più allungata, analoga al cannellino. Si ritiene che il ceppo originario provenga dal-la Spagna e che abbia trovato il proprio habitat ideale nella vallata imperiese. Presidio Slow Food dal 2000, le pregiate leguminose si rico-noscono da lontano, dai tralci che si arram-

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ValleArgentina

Scrigno naturale custode di eccellenze e tipicità unichecome i fagioli di Badalucco, le olive taggiasche o il pane di Triora.

Un ambiente incontaminato che invita alla scopertadei suoi angoli più affascinanti.

COLORI, SAPORI E SUGGESTIONI TRA MARE E MONTAGNA

picano su minuscole capanne formate da tre canne intrecciate e disposte in fi le ordinate, an-che se, di recente, alcuni produttori hanno co-minciato a utilizzare reti tese in fi lari. L’eccel-lenza proviene, in particolare, dai terreni situati sui versanti posti a est delle valli e nel territorio di Badalucco. In ogni caso, il fagiolo migliore arriva dall’Oxentina, una valletta laterale sul versante del Monte Ceppo, e dalle campagne d’Argallo, Ciabaudo e Ginestro, ma altre buo-ne qualità si ottengono dai terreni di Lona, alle pendici del Monte Faudo e da quelli della piana d’Isolalunga, al confi ne tra i comuni di Montalto e Badalucco. La sua produzione non è elevata: solo 6 quintali circa! La capra con i fagioli e il classico primo a base di pasta e fagioli sono i piatti simbolo della cucina dell’entroterra im-periese, come pure della Valle Argentina, en-trambi cucinati e innaffi ati di olio extravergine d’oliva: il secondo oro, quello giallo! Un patrimonio davvero imprescindibile in tutta la regione, ma in questa zona particolarmente importante per l’eccezionale qualità del prodot-to. L’altitudine, infatti, è un fattore che favorisce

l’ottenimento di un olio dal sapore e dall’aroma inconfondibili, di grande consistenza ma, allo stesso tempo, leggerezza, con un corredo or-ganolettico diverso da quello di altri oli liguri da Taggiasche. Nella Valle Argentina, sono molte le azien-de locali che, negli anni, hanno assunto una posizione di rilevo nella coltivazione e produzione di olio e derivati, conqui-stando fette di mercato sempre più importanti.Un altro caratteristico alimento che caratterizza la zona di Badalucco, borgo medievale della media Valle Argentina, è il merluzzo essiccato, protagonista della Sagra du stoca-fi ssu a baücôgna. Durante la sagra, il merluzzo viene cucinato secondo una preziosa e antica ricetta locale e l’evento settembrino richiama nel borgo numerosi turisti e gourmet. Anche questo piatto, oltre che con le consuete patate, è accompagnato da un altro prodotto fondamenta-

le per la valle: il famoso, fragrante e saporito pane di Triora. Un pane preparato con farina tipo “1”, farina di grano saraceno e crusca, e lievitato per una notte con acqua tiepida e sale.

Il giorno successivo, all’impasto vengono aggiunti altro lievito e farina. Dopo aver ri-posato ancora qualche ora su uno strato di crusca, i pani ottenuti vengono lavorati in forme basse e larghe (dopo la cottura rag-

giungono un peso di circa 850 g ciascuno) che vengono cotte in forno con l’utilizzo

foglie di castagno per evitare che si at-tacchino alla base, e che presentano, una volta sfornate, un’incisione di for-ma quadrata sulla crosta. La fama di questo pane valica ormai i confi ni della regione e non è raro che tanti visitatori “foresti” arrivino fi n quassù per assa-porarlo caldo e fragrante, direttamente dal panifi catore. Percorrendo la Valle Argentina da Mo-lini di Triora fi no a Verdeggia e Realdo, non è raro imbattersi, sui fi anchi della montagna, negli ingressi bui delle cave

di ardesia, la roccia ornamentale più tipica e preziosa della provincia, denominata l’oro nero del territorio. Per le ottime caratteristi-che di resistenza, fi n dall’antichità, l’ardesia è stata utilizzata per la copertura dei tetti e per la costruzione di scale e portali scolpiti, come quelli pregevoli di molti palazzi nobiliari liguri. Impiegata anche per la produzione di lavagne scolastiche e di lastre di biliardo, è stata recen-temente soppiantata da materiali più economi-ci e scadenti, ma è ancora ampiamente ricer-cata da designer e scultori per la realizzazione di oggetti preziosi e di nicchia. Abbiamo fi n qui esaminato il fl orilegio della produzione locale, ma non bisogna dimenticare che nella Valle Ar-gentina, oltre ai magnifi ci percorsi naturalisti-ci tra monti, valli e corsi d’acqua, percorribili a piedi, a cavallo o in mountain bike – che ne rivelano gli angoli più ammalianti (non a caso l’Argentina è detta anche Valle Incantata) – tutti i comuni sono piccoli scrigni che conservano patrimoni artistici con proprie peculiarità. Badalucco, Carpasio, Castellaro, Ceriana, Molini di Triora, Montalto Ligure, Pompeiana,

Taggia, Terzorio e Triora: in ciascuna di queste località, gli appassionati di storia dell’arte po-tranno ammirare pregevoli chiese, oratori, pie-vi, santuari, ponti, dall’epoca romana a quella medievale per arrivare fi no al barocco.Senza dimenticare, però, il museo etnografi co e della stregoneria a Triora: memoria storica del lavoro agricolo, così come di un importan-te processo avvenuto qui e testimoniato anche dalla famosa “cabotina”, il luogo in cui si rite-neva le streghe tenessero i loro sabba. In ri-cordo di questo oscuro periodo, da alcuni anni, in estate, si tiene la Festa Strigoria, dedicata a tutte le streghe di ieri e di oggi.Ma non è tutto qui: la ricchissima e fl orida Valle Argentina ri-serva a chi la percorre anco-ra tante magnifi che sorpre-se… ma di questo potremo parlar-ne un’altra volta o, se preferite, potete scoprirle da soli.

AZIENDE AGRICOLEAntica distilleria Cugge

Az. agr. Bonello MarioAz. agr. Castellarone

Az. agr. GaaciAz. agr. Lanteri Ivana

Az. agr. Lanteri MaurizioAz. agr. Lanzone MassimoAz. agr. Panizzi Giuseppe

Az. agr. RaibaudoAz. agr. Rondinone Cristina

ALIMENTARIAu Conosorziu

Il Forno di Marvaldi GianniLa Canestra

Macelleria Oliva A. NelloPanifi cio Asplanato Triora

ARTIGIANIBig Motors

Elettric ImpiantiImp. Edile Colombo

Imp. Edile CurnisIntreccio creativo

Lanteri ArdesiaLoraschi sculture

Parrucchiera AntonellaPipe Giordano

Serramenti Argentina

BARbar Pradiobar Sport

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COMMERCIANTIBiscau

Piccolo EmporioTecno-Ben

Tintoria La PerlaTutto per l’edilizia

U TabachinFarmacie

Farmacia S. Giorgio

FRANTOI & OLEIFICIBoeri

GB PanizziRoi

Balestra GG. Boeri

RISTORANTI & CO.Cà MeaIl Ponte

La Capanna dei CeltiLe Macine del Confl uente

Vecchio FrantoioPizzeria La Stua

triora trekking naturabadalucco montalto

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LA COMPAGNIA VORTICE DANCECOMPANY E EGRIBIANCODANZA

C’ERA UNA VOLTAIL FUOCO

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Proseguono gli appuntamenti della stagione I PUNTI DANZA Prima-vera 2013 della Fondazione Egri, che giungono quest’anno alla loro decima edizione, grazie ad un’escalation di successi legati alle nuove produzione delle due compagnie residenti, la EgriBiancoDanza e DAS (DanzAtelierStudios). Domenica 24 marzo, alle ore 18, nel teatro Toselli di Cuneo è il secondo appuntamento della rassegna che ha esordito proprio il giorno prima a Torino, con un prestigioso ospite internazionale, la compagnia portoghese, la Vortice Dance Company, che ha portato per la prima volta a Torino lo spettacolo “Soliloquy about wonderland” di Cláudia Martins e Rafael Carriço. Per il pubblico cuneese la Fondazione Egri decide di portare “Dittico Contemporaneo”, uno spettacolo che unisce le due compagnie, la portoghese e la torinese EgriBiancoDanza, con due estrapolazioni dai loro balletti: “Soliloquy about wonderland” e “Amor di mundo”, questa della EgriBiancoDanza, firmata da Raphael Bianco. Raphael Bianco ha recentemente ricevuto il Premio Roma inDanza 2013 e ha debuttato con la nuova creazione “Mystery Sonata #1” presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, con grande successo di critica e di pubblico. Info: Fondazione Egri per la danza 011 5183590 – 366 4308040, [email protected]

A la conquête du feu è la nuova esposizione allestita nella grande sala del Museo di Antropologia preistorica di Monaco – accessibile dal Jardin Exotique – completamente dedicata al fuoco e visitabile fino al 13 settembre. Organizzata in collaborazione con il Museo Archeologico di Nizza, la mostra intende raccontare, attraverso un percorso composto da pannelli, un documentario di 13 minuti, manufatti originali preistorici rinvenuti in vari siti del mondo e rarità recenti, l’utilizzo e l’addomesticamento del fuoco da parte dell’uomo, circa 400.000 anni fa. Un’occasione unica per sapere come il faraone Tutankhamon, i sovrani Bizantini e Giulio Cesare riuscissero ad avere bracieri accesi in ogni momento e per conoscere tutti i sistemi di accensione, in alcuni casi in uso fino ai giorni nostri e sorprendentemente simili, per certi versi, in tutti i continenti, anche in tempi remoti, quando le comunicazioni tra i popoli erano ben lontane dai moderni sistemi di trasporto.

SCRITTURE D’OC:PAROLE IN CAMPOL’appuntamento è per il 26/27/28 aprile a Brossasco, nella splendida cuneese Valle Varaita.Tre giorni non sono molti per farci stare dentro una lectio magistralis di Alessandro Baricco, una serata di letture e musica dal vivo, una partita di calcio e una decina di workshop con scrittori, registi e giornalisti. Così, dal 26 al 28 Aprile, si tiene la prima tre giorni di scrittura, musica e calcio organizzata dall’Osvaldo Soriano F.C., la Nazionale Italiana Calcio Scrittori, in collaborazione con Segnavia/Porta di Valle. Riassumendo: un posto splendido all’imbocco della Valle Varaita, l’avvio con una lezione di Alessandro Baricco e una serata di reading e musica completamente gratuiti, poi, la possibilità di lavorare in workshop a numero chiuso con alcuni fra i migliori scrittori, sceneggiatori e giornalisti italiani.

LA COMPAGNIE DES BALLETSDI MONTE-CARLORitorna in scena la Compagnie des Ballets de Monte-Carlo con Choré, la nuova creazione di Jean-Christophe Maillot. Un’opera intesa come un’evoluzione naturale delle commedie americane, con cinque sezioni indipendenti, con cui Maillot, dopo il successo riscosso nei teatri di mezzo mondo, racconta in diversi balletti, sempre originali e mai scontati, la propria visione sull’origine della danza, sul suo sviluppo, in un percorso che giunge fino alle espressioni creative delle commedie musicali oltreoceano prodotte dallo stile elegante e intramontabile di Fred Astaire o da quello concreto di Gene Kelly. Un viaggio nella danza, su musiche classiche e nuove creazioni, dal 25 al 28 aprile, alla Salle des Princes del Grimaldi Forum di Monaco.

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ACQUARIO DI GENOVA, LA NUOVA VASCA DEI DELFINI DI RENZO PIANO

PASQUA E PASQUETTADA BUONGUSTAI

A BORGO SAN DALMAZZOTORNA LA GRANDE BOXE

Piccoli Chef. A Pasquetta... Pic Nic Con Gli Amici. Data: 23 marzo (54 euro). Chi l’ha detto che i corsi di cucina sono solo per i grandi? In collaborazione con L’AICI (Associazione Insegnanti di Cucina Italiana), per la prima volta a Eataly, un laboratorio dedicato esclusivamente ai più piccoli. Ecco le ricette in cui si cimentano i giovani cuochi: plum cake ai wurstel, focaccia formaggiosa, tramezzini golosi, muffin di cioccolato e granella di nocciola. L’età consigliata è dai 5 ai 12 anni. I genitori, al termine del corso, possono unirsi ai giovani cuochi per gustare una merenda in compagnia.E poi? Ho fatto l’uovo... Con Marco Avidano. Data: 24/03/2013 (35 euro). Durante questo corso l’uovo è realizzato in diretta sotto gli occhi dei partecipanti che poi lo decorano con le loro mani dopo aver inserito al suo interno una bellissima sorpresa scelta apposta per chi lo riceverà. Il laboratorio è realizzato in collaborazione con Domori e lo chef Marco Avidano (della pasticceria Avidano di Chieri). Durante il laboratorio è offerta una golosa merenda per tutti. La sorpresa occorre portarla da casa. La misura dell’uovo di cioccolato che si realizza è: 20cm per 14cm.Info: www.eataly.it

Sabato 13 Aprile, a partire dalle 20.30, torna lo spettacolo della Boxe al Palazzetto dello Sport di Borgo San Dalmazzo, organizzato dalla “Boxe Cuneo”. L’evento, ormai giunto alla IV Edizione, propone la consolidata formula Dual Match, in cui l’incontro clou vede l’esordio del primo pugile professionista della società borgarina, Samuel Da Valle. I pugili dilettanti del Maestro Luca Piras incontrano una delegazione di atleti livornesi dando vita ad una sfida appassionante tra Piemonte e Toscana con ben 8 incontri nelle varie categorie di peso. È di scena anche la Boxe femminile con l’atleta di casa Edvina Damila-no. La serata inizia con un torneo che coinvolge tutti i bambini della “Boxe Cuneo” che possono provare l’ebbrezza di salire sul ring per una gara vera. “Serata ricca di emozioni e di spettacolo!” Assicura il Maestro Luca Piras: “Stiamo lavorando intensamente e abbia-mo già raggiunto una buona condizione tecnica ed atletica. I nostri ragazzi si aspettano un tifo caloroso!”

C’è attesa per la nuova vasca dei delfini a cielo aperto, un progetto unico ideato dal Renzo Piano Building Workshop: si tratta di un percorso di visita su due livelli. Questo permette di garantire al pubblico di poter ammirare gli esemplari dall’alto, sentendo personalmente vocalizzi, grazie alla parete laterale che è vetrata e può essere occasionalmente aperta. E’ possibile, poi, osservare gli animali da una prospettiva subacquea, “immergendosi” con gli occhi nei movimenti acquatici dei delfini. A tutti gli effetti è il nuovo Padiglione dei Cetacei. I numeri? 23 metri di altezza, 94 di lunghezza, 30 di larghezza e 3200 metri cubi di volume. La nuova dimora è quasi pronta e ospiterà delfini nati in cattività. Si tratta di un investimento non indifferente ed è indubbio che sia una scelta volta a sensibilizzare il mondo dei cetacei e promuovere, ancora una volta, la città di Genova e il Porto Antico.

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In Somalia, nella zona di Hargeisa, una delle più colpite dai disagi dei campi profughi, dall’inizio del 2013 “Persone Come Noi Onlus”, insieme alle Associazioni “Soomaaliya Onlus”, “AISPO” e “MAS-CTH Onlus”, con il contributo del Ministero degli Affari Esteri Italiano ha avviato un im-

portante progetto di assistenza sanitaria per i bambini e sta contribuendo a realizzare il sogno del dott. Mohamed Aden Sheik, somalo residente per molti anni a Torino: in sua memoria è nato un ospedale che porta soccorso ai bambini colpiti da denutrizione, tubercolosi, ustioni, malattie di ogni tipo, per i quali la cura ha un valore inestimabile. In molti hanno già creduto in questo progetto sostenendolo con offerte e contributi, a partire dalla “Marco Berry Onlus” e dalla “Fondazione Specchio dei Tempi” del quotidiano La Stampa, che dall’inizio del 2012 ha fi nanziato la maggior parte della costruzione della struttura pediatrica. Ma ci serve anche il tuo aiuto...

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SAVIGLIANO-FIRENZE A/RSULLA LINEA DEL GLAMOURDa Savigliano a Firenze il viaggio è breve per Vittorio Manghisi che, con il salone Effige di Savigliano, fa parte da anni di International Studio, gruppo di quattro hair stylist che hanno unito le loro forze per ottenere il massimo ri-sultato in termini di qualità di prodotti, servizi e creatività. Per la comunica-zione 2013 li ha scelti Luisa Via Roma, uno dei più importanti e all’avanguar-dia concept store italiani, che nel suo showroom fiorentino dedica spazio a stilisti affermati ed emergenti. In programma video, newsletter, sito e-com-merce, brochure, inviti e materiali per le sfilate. E per tutto questo, Vittorio e i suoi colleghi si dedicheranno ad attori, attrici e modelle e si potranno sbizzarrire con trucchi, acconciature, tagli e colori che detteranno legge nella moda del prossimo anno. Spiega Vittorio: “questa iniezione di vitalità creativa diventerà la linfa per ciascuno di noi, nel proprio salone, per tutto il 2013. La linea del glamour porta anche da Firenze a Savigliano!”

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CARPET MUSEUM – INTERIOR DESIGN A BAKU, AZERBAIJANCon lo studio austriaco di architettura Hoffmann-Janz, Maligno Industria Ar-redamenti è impegnata nella realizzazione degli interni del nuovo Carpet Museum di Baku: un progetto molto importante per il paese caucasico con una ricca tradizione locale nella produzione di tappeti e molto prestigioso per l’azienda italiana. In cantiere si lavora incessantemente per la prossima apertura, prevista nel corso del 2013. In Azerbaijan Maligno Industria Arredamenti ha già collaborato alla realizzazione di diverse opere, fra le quali il Teatro dell’Opera (o Mugham House) e l’Azerbaijan Diplomatic Academy di Baku oltre al Soykirim Memorial Kompleksi di Quba, museo dedicato alla memoria della guerra tra Ar-menia e Azerbaijan. Maligno Industria Arredamenti è un significativo esempio di laboratorio permanente dove sostanza e forma raggiungono la massima espres-sione e dove il rapporto con le arti è frutto di una sinergia produttiva. Una realtà che sa coniugare passato e presente con stile e coerenza, sinonimo di passione, di qualità tecnica abbinata a un profondo vissuto emotivo, di una progettualità in continua evoluzione e per questa ragione in grado di fornire risposte concre-te ai passaggi della storia, alle tendenze, all’innovazione del design. Un’azienda che opera nel mercato con una vocazione: sostenere e promuovere la creatività dell’architettura e del design.

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a cura di Camilla Natada Roma

Il 19 gennaio scorso, grande successo nella capitale per il tradizionale appuntamento

con la regina della tavola invernale piemontese: la bagna caoda, notissima anche oltre i confini piemontesi. Protagonisti indiscussi della scena, nella splendida cornice del fastoso Hotel Crow-ne Plaza St. Peter’s, i produttori di La Morra (CN) e l’Associazione Piemontesi a Roma in col-laborazione con l’Associazione culturale Ca dj’ Amis (La Morra), presieduta da Claudia Ferrare-si. Insieme, i diversi soggetti hanno promosso e valorizzato con eleganza uno dei sapori più tradizionali del nostro paniere invernale. L’e-vento si é tenuto presso il ristorante Le Jardin d’Hiver ed ha visto la partecipazione, oltre al Comune di La Morra, di ben 200 invitati, curiosi di provare i sapori tipici della pura tradizione subalpina, innaffiati dagli eccellenti vini di Lan-ga dei 70 produttori della Cantina Comunale di La Morra. Il grande merito dei maestri di cucina, tra cui Vito Nolé del ristorante Il Duca Bianco di La Morra, è stato quello di creare abbinamenti fantasiosi tra i sapori dell’orto e la celebre ba-gna a base di acciughe. Il convivio è stato ac-compagnato delle letture di Angela e Stefano Brusa, applauditi da un pubblico di estimatori e giornalisti, letteralmente deliziati dai “fiori all’occhiello” di una terra grande e ricca di ec-cellenze.

SOTTO IL SEGNO DELL’ACQUARIOGrande la festa per un nuovo Umanesimo sotto il trigono di Giove. Con un look impeccabile curato dalla saluzzese Atelier Serena ho par-tecipato al PazZodiaco Capitolino tra amici e personaggi noti romani e non solo. Quest’an-no la kermesse è stata ospitata nella stupenda

location del Grand Hotel d’Inghilterra a pochi passi da Piazza di Spagna a Roma. Il Direttore Generale della struttura Marco Milocco e uno staff di grande esperienza, scelto per dare il me-glio dell’ospitalità, sono stati un ulteriore nota di grande effetto che gli oltre 80 ospiti invita-ti, in modo molto selezionato perchè potesse essere una vera festa fra amici, hanno potuto apprezzare ed elogiare. La perfetta organizza-zione ha visto partecipi noti nomi del buon mangiare della Campania Felix come Marco Amoriello, giunto questa volta solo per fare gli auguri senza esibirsi nella sua arte di Campione del mondo di pizza senza glutine che però ha portato da Airola gli eccezionali prodotti case-ari dell’Azienda Agricola Ciaramella Marco. Tra i partecipanti spiccavano: Maria Monsè di Po-meriggio Cinque, Daniela Miniucchi di Italia sul due e Daniela Pulci di Domenica in.

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il piemonte a romaUNA FAMOSA SALSA PER PROMUOVERE

La tavola imbandita per gustare la “bagna cauda”.

All’evento mondano romano, fra i numerosi volti noti della tv: Debora Bettega, sociologa televisiva, Camilla Nata, l’avv. Antonella Sotira di Jus Gustando, Sara Jannone, famosa PR romana, e Daniela Pulci di Domenica In.

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a cura di Luca Revelli

la bella “isolana”OGNI DONNA HA IL LATO NASCOSTO DA “FEMME FATALE”

La protagonista di questo numero è una ragazza slovacca, con viso d’angelo, pelle

chiara, occhi azzurri più del cielo e lineamen-ti che sembrano disegnati da un abile pittore. È Andrea Lehotská, la bella “isolana”, vinci-trice morale dell’ultima edizione dell’Isola dei famosi, nonché “peperoncino piccante” che Chiambretti ha voluto nel cast del suo Chiambretti night e, ancora, musa di Vasco Rossi e interprete di alcuni suoi videoclip. Nella vita privata, Andrea indossa sempre abiti co-modi, pantaloni morbidi, maglie sovrapposte, scarpe basse e fasce nei capelli, ma in poco tempo e all’occorrenza, può diventare una femme fatale. Ho incontrato Andrea più volte,

in occasione di lavori diversi e l’ho “plasmata” in molteplici look creati per esigenze di copio-ne: è semplicemente camaleontica, poliedrica e si trasforma in maniera impressionante. Le foto nella pagina a fianco rappresentano lo stile scelto per il Festival del Circo di Monte-Carlo. Essendo la presentatrice dell’evento televisivo, ho interpretato per lei un’immagine anni ’20. Un total look da altezza reale.

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IL TRUCCO ANNI ’20Prima di passare al trucco vero e proprio, è sem-pre bene preparare la pelle con un primer, che ne aumenta la tenuta. [1] Partite con un fondo-tinta leggero, impalpabile e chiaro per enfatizza-re i colori di occhi e bocca, a cui farete seguire un velo di correttore beige chiaro, per illuminare maggiormente l’epitelio. [2] Per fissare i pro-dotti cremosi, applicate la cipria in polvere con

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Photo: Daniele Molineris

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oggettidi bellezza

il pennello, in modo circolare dall’interno verso l’esterno. [3] Nel caso di occhi azzurri come quelli di Andrea, scegliete un ombretto in contra-sto, utilizzando la tonalità marrone terra di Siena, calda, quasi ramata, ma necessariamente opaca. Quindi contornate l’occhio con la tecnica smo-key eyes (come nell’immagine). [4] Completate il trucco agli occhi con abbondante mascara nero e applicatelo spingendo le ciglia verso l’al-to e l’esterno. [5] Pettinate le sopracciglia verso l’alto, delineandole bene e intensificandole con l’apposita cera che si stende con facilità. [6] Il fard dovrà essere in tono naturale, poco eviden-te, per esempio un rosa antico leggero. [7] Per concludere, con una matita marrone scuro, de-finite la bocca in modo preciso, secondo linee leggermente angolate, tipiche degli anni ’20.

I CAPELLI ANNI ’20Raccogliete i capelli creando un effetto bagnato, rendendoli lucidi e aderenti; quindi, con l’aiuto di un pettine e becchi d’oca, disegnate onde

grafiche e scriminature profonde. Fermate i ca-pelli con un elastico e avvolgeteli in una retina sottile e trasparente, formando uno chignon basso e piccolo. Potere utilizzare un gel effetto bagnato, brillantina o cere molto lucide, e fis-sare con una lacca extra forte. Per completare, piccoli accessori di strass, pettini e mollette ar-ricchiranno l’acconciatura.

LO STYLINGPer questo look, consigliamo abiti preziosi, ricamati e lavorati con pietre e paillettes, ade-renti e con spalline sottili, talvolta adornati di frange, in stile Charleston, con una lunghezza sotto il ginocchio. Le calze dovranno essere a rete sottile, possibilmente nere; le scarpe con cinghietto alla caviglia e spuntate, in look “tango”. Al collo, spiccheranno collier preziosi e aderenti, strangolini di velluto o fili di perle lunghi. I bracciali andranno portati quasi ad al-tezza gomito e gli anelli dovranno essere vistosi e grandi.

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Da anni, ormai, l’Elogio della bagna caoda si dimostra efficace momento evocativo di

un territorio.Esempio concreto è la serata di gala del 19 gennaio all’Hotel Crowne Plaza che ha visto la presenza di oltre duecento invitati dall’Associa-zione Piemontesi a Roma e di altri simpatizzanti che hanno condiviso il rito della bagna caoda Come scenario principale, tutte le verdure cotte e crude della stagione invernale. Coloratissimi centritavola caravaggeschi di peperoni, sedani, tapinambour, cardi gobbi di Nizza Monferrato, cavoli e cavolfiori tra crudité ma anche patate, barbabietole, rape e cipolle cotte al forno e a va-pore, da cui attingere e intingere nell’apposito fouyot che, come tutti sanno, è capace di con-servare il calore ideale per far risaltare profumi intensi e intriganti.Ci sono mille modi per raccontare un territo-rio: dalla geografia, alla storia del costume, alla

letteratura e anche alla gastronomia, il modo più godereccio per apprendere, comodamente seduti a tavola, sapori e saperi. La bagna caoda si presenta come occasione di condivisione: un tempo, infatti, era servita in maniera collettiva, dove i commensali intingevano dallo stesso recipiente e non in modo individuale, come accade oggi. La bagna caoda: una preparazione antica e popolare di Langa e Monferrato, che nel corso dei secoli si è diffusa in tutto il Pie-monte. Solo il ricettario Cuoco piemontese del 1776 la consiglia come salsa per i cardi crudi. Il fatto più curioso è che alcuni ingredienti di questo intingolo non sono piemontesi, come l’olio d’oliva e le acciughe. Complice il percorso della famosa “Via del Sale”, corridoio di preziosi scambi con il vino dal Piemonte, mentre la Li-guria esportava fino a noi l’olio e il noto pesce azzurro. Le tariffe delle gabelle delle mercanzie che transitavano attraverso le città di Cuneo, Fossano e Racconigi dimostrano l’intenso traf-fico di barili di acciughe, che gli anciué di Borgo San Dalmazzo e Dronero commercializzavano.Già nel Medioevo, in Piemonte, si produce-va una piccola quantità di olio; quello di oliva giungeva in Piemonte dalla Provenza e poi dalla Liguria. Fino al secolo scorso, il più usato per questa salsa fu l’olio di noci, poiché quello li-gure non tutti potevano permetterselo. Il resto è storia recente, sempre vivida di emozioni. La stagionalità, l’intraprendenza dell’uomo e le di-stanze ravvicinate ci permettono di incrociare interessi e memorie sempre attuali, anche attra-verso una salsa che lambisce palati e cuori. L’elogio della bagna caoda non è solo golosità, ma anche letture che hanno accompagnato in ogni edizione l’evento romano. Sono Angela e Stefano Brusa, le voci narranti che gli ospiti ogni

a cura di - Claudia Ferraresi

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anno ascoltano anche in lingua piemontese. La salsa si riconferma, così, mosaico di memorie e nostalgie per un ritrovato Piemonte da gustare.

LA RICETTAIngredienti per 6 persone• 5 teste di aglio medie• 5 hg di acciughe sotto sale• 2-3 bicchieri di olio di oliva• 50 g. di burro• Verdure: 2 cardi, 4 peperoni, 1 barbabietola rossa cotta al forno, un piccolo cavolfiore, 6 ta-pinambour, 6 patate cotte in forno, 6 cipolle a vapore, 4-5 rape, 2 limoni.

PREPARAZIONEMondate tutte le verdure e tagliatele a piccoli pezzi. Per non fare annerire il cardo, dopo aver-lo pulito e privato dei filamenti, ponetelo, pri-ma dell’uso, in una bacinella contenete acqua acidulata con il succo dei due limoni. Sbucciate gli spicchi di aglio, togliete loro i ger-mogli, metteteli in un recipiente di coccio, co-prite con il latte (rivisitazione dell’antica ricetta per rendere più digeribile l’aglio) e aggiungete una noce di burro. Fate cuocere lentamente finché il tutto non diventa una purea densa. A questo punto, unite le acciughe ben dissa-late, ma non spinate; rimestate un attimo con un cucchiaio di legno affinché si disfino, poi togliete dal fuoco e passate il tutto al setaccio. Rimettete la purea di aglio e acciughe nel tega-me di terracotta, aggiungete l’olio e il burro, portate a fiamma bassissima e, appena la salsa sarà caldissima (l’olio deve essere bollente, ma non deve mai friggere), servitela con le verdure precedentemente pulite e sistemate su piatti da portata.

elogio della bagna caodaIL SAPORE ANTICO

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È considerato “l'oro rosa del Var”, celebrato in tutto il mondo per il suo profumo fi orito e sapore fruttato: è il Rosé de Pro-

vence, protagonista, insieme ad altri grandi vini del mondo, del 1° Concours Internatinal des Vins de Terroir 2013, ideato dall'e-nologa Régina Le Coz a Brignoles, comune francese che domi-na l'area della Provence Verte. Siamo nel cuore della Regione PACA - Provence-Alpes-Côte d'Azur - fra castelli, tracce templari, esclusive chambres d'hôtes e sconfi nate tenute vinicole, a pochi chilometri dalla Costa Azzurra. Meta preferita di VIP, cantanti e attori hollywoodiani che qui si recano in vacanza e acquistano dimore esclusive come Chateau Miraval, in cui furono incisi alcuni brani dell'album “The Wall” dei Pink Floyd, e che ha ispirato la produzione di vini locali bio, con l'etichetta dedicata al mitico gruppo britannico. Oggi è il rifugio di Brad Pitt e Angelina Jolie, non distante da un'altra tenuta acquistata da George Cloney, an-che lui amante della campagna e del bel vivere. Ma è lungo la Via Aurelia, l'antica strada romana che collegava Fréjus a Aix en Provence, che i vigneti ed i prodotti del territorio racchiudono tutti i loro segreti. Nelle cantine dello Chateau des Annibals, fon-date nel 1762, i proprietari hanno conservato la tradizione dei vini AOC Coteaux Varois de Provence e dei Vins de Pays du Var, guadagnando riconoscimenti mondiali. Per non parlare poi

dei Cuvée e i vini rosé, bianchi e rossi dello Chateau St. Julien, apprezzati anche in Australia. Visitiamo poi Correns, primo vil-laggio biologico della Francia, dove comprendiamo il signifi cato dei sapori e vita autentici: anche il parrucchiere, qui, è bio! Una fi losofi a di vita, la loro, difesa con forza dai giovani viticoltori della cooperativa dei Vignerons de Correns, che trasportano il raccolto della vendemmia con casse di legno trainate dai cavalli, coerenti fi no in fondo con le loro scelte etiche e culturali. L'area della Pro-vence Verte è anche meta ideale per un enoturismo culturale: dalla scoperta del miele della famiglia Guieu, titolare del marchio Les Ruchers du Bessillon dal 1890, all'olio del Moulin de Pascaline, non c'è tempo di annoiarsi fra una degustazione e l'altra. E per gli amanti della buona musica è d'obbligo una tappa allo Chateau des Vins, dimora storica e bed & breakfast gestita dal castellano Jean Bonnet, dove in estate è in programma “Les Nocturne”, con-certi da camera sotto le stelle all'intero della corte d'onore. Ma sarà anche sede di un evento culturale importante, visto che nei grandi saloni forse sarà ospitata un’esposizione estiva dedicata a Pablo Picasso con un’importante collezione privata di alcune sue opere originali.. Un evento UNICO, per commemorare i 40 anni dalla scomparsa del grande artista spagnolo che proprio in Costa Azzurra aveva uno dei suo atelier preferiti…

PROVENZAverdeALLA SCOPERTA DEL LA STRADA “ROSÉ” DEL LA

Offi ce de Tourisme LA PROVENCE VERTEwww.la-provence-verte.net

Region PROVENCE-ALPES-CÔTE D’AZURwww.regionpaca.fr

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che pasticcio il corteo nuziale!DOVE STAR SEDUTI O IN PIEDI NON È CASUALE

A pochi giorni dal matrimonio, le domande sul cosiddetto “corteo nuziale” sorgono

spontanee tra gli invitati e la famiglia degli spo-si. Di solito, ci si domanda chi deve varcare per primo la soglia della chiesa e dove ci si deve ac-comodare; quando entra lo sposo, dove deve at-tendere la sposa e quando possono accedere gli ospiti; oppure chi deve procedere davanti e chi dietro alla sposa, tra paggetti e damigelle. Tutto ciò genera un bel po’ di confusione. Il galateo, il vecchio come il nuovo, non lascia molto spazio all’improvvisazione, sia che il matri-monio si svolga in una piccola chiesetta sperduta, sia che la cerimonia abbia luogo in un duomo o una cattedrale, in centro città. Ciò che realmente accade, a volte, ha dell’incredibile, ma vi si assiste solo partecipando alle nozze. Se si prendessero a campione dieci matrimoni, si noterebbe che ogni corteo è “personalizzato”, in funzione del desiderio della sposa, della mamma, dell’emo-zione dello sposo e dei vari “indisciplinati” che, come sempre, faranno a modo loro! Su questo tema si potrebbero scrivere così tante parole da riempire intere enciclopedie, ma in questa sede ci limiteremo a dare una breve “rispolverata” alla versione “tradizionale”, per evitare almeno le brutte figure. Il primo dubbio riguarda su quale braccio le dame – sposa e mamme – dovranno adagiare la propria mano entrando in chiesa. Le signore lo appoggeranno a quello destro del ma-rito, mentre solo la sposa procederà alla sinistra del papà. Ci state pensando vero? Avete fatto un ingresso incrociato? Allora, sappiate l’avanzare della sposa alla destra del padre (anziché alla si-nistra) è un “privilegio” riservato ai soli matrimo-ni in alta uniforme, oppure alle nozze regali!... Vi sentite un po’ come Kate Middleton?In genere, alle invitate piace attendere la sposa

sul sagrato, ammirarla in tutto il suo splendore e fotografarla, mentre gli occhi lucidi rivelano il sogno di ognuna, in alcuni casi già vissuto, in al-tri prossimo a realizzarsi. Riportando il tutto alla realtà, lo sposo attenderà l’amata disponendosi alla destra dell’altare, dopo essere entrato con la mamma alla propria sinistra. Quest’ultima si po-trà accomodare nel primo banco, alla destra del-la navata. Da parte degli invitati, in questa fase, è buona creanza assistere già seduti nei banchi, insieme ai testimoni, per evitare di far sentire lo sposo “in disparte” quando avanza vero l’altare, senza marcia nuziale e con la chiesa vuota… in fondo il matrimonio è anche il suo!Accomodati a sinistra i testimoni, i parenti e gli amici della sposa, sistemati dall’altro lato quelli dello sposo, l’attenzione si sposta sulla mamma della sposa, che entrerà accompagnata da un fa-migliare di sesso maschile.A questo punto, tutti pronti… manca solo “lei”, che non dovrà farsi attendere più di dieci minu-ti. Eccola, all’orizzonte, mentre tutti si voltano a sbirciare e ad ammirarla durante l’ingresso. Il papà le apre la porta e in quel momento si fa lar-go il corteo solenne: davanti, paggetti in fila per due, con la speranza di non perderne nessuno

per strada vista la tenera età… (uno di loro po-trà portare le fedi), dietro, la sposa accompagna-ta dal papà e seguita dalle damigelle, sempre in fila per due e pronte ad aggiustarle lo strascico o a sorreggerle il velo. Potrete smentire tutto, per-ché probabilmente avrete assistito a cortei molti diversi. Lo sposo che aspetta l’amata sul sagra-to e che procede con lei verso l’altare, oppure il sacerdote che accoglie i nubendi all’ingresso della chiesa, quale segno di benvenuto nella casa del Signore, o ancora gli ospiti che entrano alla “spicciolata”. Lo so, ne avete viste “di tutti i co-lori”, ma è bello anche questo… Si spera però che non abbiate mai visto gli invitati seduti dalla parte opposta rispetto a quanto previsto. Questa è davvero l’unica regola che non bisognerebbe mai scordare, in nessun caso!

a cura di Monia Re

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KAIROSOrganizzazione Eventi e MatrimoniSedi: Cuneo – Milano – Novi – Verdunowww.kairoseventi.itTel: 0171.480148 - Mob:[email protected]

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a cura di Francesca Tablino

lèggere ed essereAMANTI, COMICANTI E CONTADINE: LA VITA DA DIVERSI PUNTI DI VISTA

I MARITI DELLE ALTREGuia Soncini

Siamo una repubblica fondata sull’adulte-rio. In principio era il Matrimonio e mai princi-pio fu più disatteso: che l’umanità non sia mo-nogama per natura è il segreto peggio custo-dito nella storia.” Così scrive Guia Soncini, la giornalista che affronta ne I mariti delle altre la fenomenologia dell’adulterio nell’era post-moderna, snocciolando esempi tratti dalla cronaca spicciola, dalla letteratura, ma anche da film leggendari e canzoni, mischiando con arguto cinismo Mrs. Robinson de Il Laureato, l’eterna quasi-tradita Melania Hamilton di Via col vento, l’emblema della cornuta consolato-ria Hillary Clinton e l’amante redenta Camilla Parker. Un libro che pare una commedia: intelligente, godibile e ad alto potenziale di immedesimazione, perché il tema coinvolge un po’ tutti. In libreria da gennaio, il volume è stato anticipato – visti i tempi digital – in versione ebook in tre puntate.

Ed. Rizzoli

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LA VENTURINAMaria Tarditi

Maria Tarditi, pubblicata per un lungo periodo da Araba Fenice, esce ora per i tipi di Dalai Editore. Oltre a essere un caso editoriale, la Tarditi è anche una scrittrice “dalla doppia vita”: fino al 2005 moglie, madre e maestra a Pievetta di Priola, Val Tanaro, poi, compiu-ti i 77 anni, autrice di bestseller con 14 titoli e oltre 60.000 copie vendute in 6 anni, nelle librerie subalpine e sulle bancarelle delle fiere tra Piemonte e Liguria. Protagonista del ro-manzo, ambientato in Langa tra le due guerre, è una “venturina” (in dialetto langarolo, “tro-vatella”). Spesso adottate in famiglia solo per incamerare l’assegno destinato l’assistenza, le venturine finivano per condurre esistenze ter-ribili, al servizio di chi le aveva, per così dire, “salvate”. Un racconto che è uno splendido affresco della cultura contadina con i suoi riti, le sue tradizioni e le sue durezze, sullo sfondo della storia italiana.

Ed. Dalai

COMICANTIGiangilberto Monti

Lo chansonnier milanese Giangilberto Monti, grazie anche alla collaborazione del giornali-sta Enzo Gentile, racconta in questo CD-book la storia della nostra comicità musicale e dei suoi “comicanti”: ovvero quegli artisti che trasmettono la loro poetica contaminando musica e comicità attraverso le loro canzoni. Si va dalle macchiette del café-chantant dei primi del XX secolo, fino ai personaggi più recenti usciti dalle pedane di Zelig e resi po-polari dal cinema e dalla televisione. Un lavo-ro editoriale che raggruppa biografie e brani delle canzoni più note dei maggiori artisti di questo genere, mescolando poesia, nonsensi surreali, invenzioni ironiche e perfino nuove sonorità musicali.Una fotografia della società lungo un secolo di storia del nostro Paese, in un libro e un dop-pio CD, dove G.G. Monti interpreta i comican-ti di ieri, duettando con quelli di oggi.

Ed. Egea

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medicina tradizionale ayurvedaL’ANTICA ARTE DEL BENESSERE

COS’È L’AYURVEDALe origini dell’ayurveda si perdono in un’epoca precedente al ritrovamento di documenti scritti che ne certificano l’esistenza. Ayurveda, in san-scrito, è composto da ayur (“durata della vita” o “longevità”) e veda (“conoscenza rivelata”). È un sistema medico vasto e completo che considera l’individuo nel suo complesso (corpo, mente e anima), in continua interrelazione e scambio con l’ambiente. Si occupa della salute fisica, mentale e spirituale, di ciò che è normale o anormale e patologico. Secondo l’Ayurveda, la salute non è solo assenza di malattia, ma uno stato di con-tinuo appagamento e di benessere, di felicità corporea, intellettiva e dello spirito. Il concetto di equilibrio non riguarda solo il funzionamento dei vari sistemi e organi. L’armonia tra i fattori che compongono gli esseri viventi genera, infat-ti, la salute (felicità), mentre il loro squilibrio è conosciuto come malattia (infelicità): lo scopo è, dunque, aiutare le persone malate a curarsi e quelle sane a mantenere il proprio benessere, ri-spettare il proprio corpo e prevenire le malattie. Le tre costituzioni principali (dosha), denomina-te vata, pitta, kapha, consentono di classificare le tendenze psico-fisiche presenti nel corpo e le disfunzioni che ne possono derivare. Ecco perché si prendono in esame, oltre che le condi-zioni fisiche, l’atteggiamento mentale (manasa), la forza di volontà (sattva), il regime alimentare (satmya), i tessuti corporei (dathu), l’età (vayas) e così via. Al contrario, la medicina occidentale si concentra sui sintomi, rischiando di perdere l’unicità del paziente.

RITROVARE L’EQUILIBRIOL’Ayurveda propone diverse modalità di cura; il medico ayurvedico non è quindi un “prescritto-

re” di farmaci, ma aiuta il paziente a ritrovare il proprio equilibrio e può prevedere per lui uno stile alimentare personalizzato, una corretta rou-tine igienica quotidiana (dinacharya), nonché vari trattamenti fisici, definiti spesso in modo riduttivo “massaggi”. Lo snehana, l’oleazione del corpo, aiuta a prevenire l’invecchiamento (jara) e aumentare la longevità (ayus), migliorare il sonno (svapna) e l’attività del sistema nervoso (vata). Altri tipi di trattamenti, come lo sveda-na (sudorazione), invece, servono a stimolare l’auto-depurazione e la rigenerazione del meta-bolismo. Il termine agni, in sanscrito, significa “fuoco” e viene usato per descrivere le forze che scom-pongono le sostanze che consumiamo, mentre la principale conseguenza del cattivo funzio-namento dei processi digestivi è la formazione di prodotti di scarto (mala) e tossine (ama che letteralmente significa “non digerito”) stagnanti a vario livello. Per contrastare gli squilibri e tale

a cura di Luca Lingua

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accumulo, si adottano molteplici tecniche di ma-nipolazione e stimolazione. Abbondanti quantità di olio vengono colate e massaggiate sulla pelle per nutrire i tessuti, oltre al ricorso a bagni di vapore e cataplasmi con erbe o spezie. Viene aumentata l’attività metabolica con l’obbiettivo di aiutare l’organismo a ritrovare l’equilibrio e a sostenere tutti i processi fisiologici di auto-guarigione, per una maggiore vitalità generale dell’organismo, dello stato mentale e psicologi-co, dell’immunità, così come per migliorare l’ef-ficacia della terapia somministrata.

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a cura di Luca Morosi

GLI SCAVI ARCHEOLOGICI DELLA CITTÀDI INDUSTRIA IN MOSTRA A TORINOFino al 5 maggio 2013La mostra intitolata Un abile dilettante presen-ta per la prima volta al pubblico alcuni oggetti provenienti dall’antica città di Industria, pres-so l’attuale Monteu da Po (TO), sopravvissuti alla dispersione della collezione del Conte Bernardino Morra di Lauriano (1769-1851), una delle figure più interessanti tra i pionie-ri dell’archeologia piemontese. Nobiluomo e ufficiale, i cui meriti furono riconosciuti du-rante il periodo napoleonico, si dedicò con passione allo studio della città di Industria, individuata verso la metà del XVIII secolo, mostrando una non comune abilità sia nella documentazione degli scavi, sia nello studio topografico. La sua collezione è alla base della ricca esposizione di bronzi che tuttora costi-tuisce uno dei nuclei originali più rilevanti del Museo di Antichità di Torino. Torino, Museo di AntichitàDal martedì alla domenica: 8.30-19.30Tel. +39 011 5211106 – 011.5212251museoarcheologico.piemonte.beniculturali.it

agendaDA NON PERDERE

IL FASCINO DEGLI ARCHIVI: VIAGGIOIN UNA CITTÀ PERDUTA E RITROVATA Fino al 30 aprile 2013L’Archivio di Stato di Torino organizza la mostra Il Re e l’Architetto. Viaggio in una città perduta e ritrovata, curata dall’ex direttore dell’Ente, Mar-co Carassi, e dall’architetto Gianfranco Gritella. L’esposizione propone al pubblico di imme-desimarsi in un immaginario visitatore che alla fine del XVIII secolo si fosse recato a Torino e dintorni per esaminare alcuni edifici significativi: attraverso casi emblematici di strutture effettiva-mente realizzate e ancora oggi visibili, costruzi-oni andate distrutte, progetti rimasti incompiuti, si potrà riflettere sulla complessità dello sviluppo della città, sulle scelte di gestione del territorio e di politica urbanistica. Torino, Archivio di Stato - Sale JuvarrianeOrario apertura Archivio di StatoTel. +39 011 540382 www.archiviodistatotorino.beniculturali.it

BLOCK ELF: LA TRAGEDIADELLA DEPORTAZIONECOMMEMORATA A SAVIGLIANOFino al 25 aprile 2013In occasione della Giornata della Memoria dello scorso 27 gennaio 2013, un vagone fer-roviario del 1933 destinato alla deportazione di prigionieri, denominato “il cellulare”, è diventa-to un eccezionale contenitore per una mostra d’arte all’insegna della speranza. Le sette celle all’interno del carro, in cui alloggiavano i pri-gionieri durante la tradotta, ospitano una mos-tra dell’artista Gaetano L’Abbate e conferiscono alle 14 opere esposte un’aura di profonda sug-gestione: raccontano il dramma di un individ-uo annientato dalla guerra e dall’irrazionalità umana, la prigionia e la volontà di sopravvivere a una delle più grandi tragedie della storia. La mostra si chiude simbolicamente il 25 aprile 2013, giorno della Liberazione. Savigliano, Museo Ferroviario PiemonteseGiovedì: 14.30-17.30; sabato: 10.00-12.00 / 14.30-17.30; domenica: 10.00-12.00 / 14.30-17.30 - Tel. +39 0172 31192www.museoferroviariopiemontese.com

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a cura di Riccardo Celi

utilitarie: una scelta non facileNON SOLO LUCI DELLA RIBALTA E SALONI INTERNAZIONALI

Su quasi 1,4 milioni di auto immatricolate in Italia nel 2012, il 19,2% erano citycar del

segmento “A” e il 37,9% utilitarie del segmento “B”. In pratica, ogni 10 auto vendute, quasi 6 appartenevano a questi due gruppi, con una netta rilevanza del “B” sul mercato nazionale. È logico, quindi, che anche l’offerta in termi-ni di modelli e versioni sia abbondante. Lo è pure troppo e, come sempre, la dilatazione dei listini, benché rappresenti una scelta maggiore, complica le decisioni sia del consumatore, sia di chi deve informarlo. Una prima semplifica-zione potrebbe consistere nell’identificare i modelli-fotocopia, ossia quelli commercializ-zati da marchi diversi, ma con base meccanica identica. Per esempio, Peugeot 107, Citroën C1 e Toyota Aygo sono esattamente la stessa auto, con un unico propulsore, ma con prezzi diffe-renti. Va comprata quella che, a parità di alle-stimento, costa meno, tenendo ben d’occhio non solo il prezzo di partenza, ma anche quello prezzo finale scontato e le promozioni. Per la

Fiat 500 e la poco diffusa Ford Ka (appartenen-ti al segmento “A” delle citycar), anche se non sono poi in molti a saperlo, vale quasi lo stesso: sotto il diverso vestito interno ed esterno dei due modelli, assemblati da Fiat in Polonia, si ce-lano l’identico telaio e, nelle versioni 1.2 a ben-zina, lo stesso motore Fiat (l’unico disponibile per la Ka). Dunque, a parte le considerazioni estetiche spesso decisive, una Ka 1.2 costa mol-to meno di una 500 1.2, visto che Fiat fa paga-re piuttosto salato il maggior appeal della sua iconica vettura, rispetto alla sorellina tedesca. Non fa eccezione il terzetto Volkswagen Up!, Seat Mii e Skoda Citigo, tre modelli-fotocopia con meccanica identica, ma prezzi differenziati in base al logo che portano sul cofano. In tutti gli esempi citati va considerato che un fattore da non trascurare nella scelta di un marchio è la presenza o meno, vicino a casa, di un punto di assistenza per la manutenzione. Per quan-to riguarda la scelta tra le auto da preferire e quelle da scartare, cominciamo dalle seconde:

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In apertura: La nuova Renault Clio offre contenuti estetici meno anonimi e più accattivanti della versione precedente.

La Fiat 500 S edizione 2013.

La Seat Mii e una mini-utilitaria disponibile in versione a 3 e 5 porte e con due motorizzazioni benzina a 3 cilindri da 60 e 75 CV.

Nella pagina seguente: La Peugeot 208, qui nella versione a 5 porte, è un’utilitaria che combatte nell’affollato segmento “B”.

La Ford Ka è basata sul telaio della Fiat 500 e viene prodotta nello stesso stabilimento.

Opel rilancia nel settore delle utilitarie con la Adam, una proposta che si caratterizza per innumerevoli possibilità di personalizzazione.

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a parte le DR 1 e DR 2 dell’azienda molisana DR Motor, che a meno di sviluppi clamorosi è ormai agonizzante, c’è da tener presente la cessazione delle attività europee di Daihatsu, il marchio di proprietà Toyota che ha deciso di ri-nunciare all’Europa. Di conseguenza, chi punta a una delle Daihatsu rimaste negli stock (Sirion, Charade e Terios), deve sapere che sta com-prando un “fondo di magazzino” per il quale potrebbe risultare problematico ottenere assi-stenza tecnica e ricambi. Tra le citycar, la benia-mina del mercato italiano rimane tuttora la Fiat Panda (quasi 118.000 immatricolate nel 2012), che tuttavia ha numerose e valide concorrenti, tra le quali la Nissan Pixo, la Renault Twingo, i già ricordati modelli del gruppo Volkswagen, il trio Toyota-Citroën-Peugeot, nonché l’esotica Suzuki Alto, l’outsider coreana Hyundai i10 e la Chevrolet Spark. L’affollatissimo segmento “B” delle utilitarie vedrà probabilmente la Fiat Punto sempre regina delle immatricolazio-ni, ma dalla nuova gamma 2013, semplificata

ATTENTI ALLE FINE SERIEIl mercato attende una raffica di novità che di certo movimenteranno il seg-mento delle utilitarie. Tuttavia, mentre alcune saranno proposte completamen-te nuove (per esempio la Mitsubishi Spacestar, nella foto) e perfettamente distinguibili dai precedenti modelli, altre saranno dei puri restyling di quel-li già esistenti, magari con importanti novità motoristiche in grado di rappre-sentare una vera svolta (per esempio, la nuova Fiesta con motori tricilindrici). In ogni caso, i consumatori meno attenti potrebbero fare confusione tra modelli vecchi e nuovi. Proprio per questo, è importante rendersi conto di ciò che si acquista. Gli sconti offerti per le versioni fuori produzione possono anche essere allettanti, a patto di sapere che, se si è abituati a cambiare auto con una certa frequenza, tutto ciò che si risparmia ac-quistando un modello fuori produzione verrà perso rivendendolo, se ciò accadrà nel giro di pochi anni. Se, invece, si in-tende tenere l’auto fino al termine della sua vita utile per poi demolirla, l’acqui-sto di una fine serie può anche rivelarsi un discreto affare. A patto di rendersi conto che si tratta di un veicolo non ag-giornato, con dotazione meno completa e spesso con motori obsoleti.

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negli allestimenti, è scomparso il motore più prestante, il MultiAir da 99 kW-135 CV sovra-limentato (che ha venduto poco e del quale non si sentirà molto la mancanza), così come la versione addolcita da 77 kW-105 CV. In ogni caso, la Punto sta invecchiando e sul mercato ci sono già almeno un paio di concorrenti temi-bili: la Renault Clio (finalmente con contenuti estetici accattivanti), la Peugeot 208 e la Seat Ibiza. Altre sono già pronte (la Opel Adam) o arriveranno presto, vale a dire le versioni rinno-vate della Mini (un’icona che fa classe a sé e che esordirà verso la fine dell’anno), della Citroën C3, della Ford Fiesta (con il celebrato pro-pulsore 1.3 a 3 cilindri da 74 kW-100 Cv e 92 kW-125 CV), nonché una nuova, imminente proposta Mitsubishi che per l’Europa si chiamerà Spacestar. Senza contare che ancora non si è del tutto fatto sentire sul mercato l’impatto della Hyundai i20 e della Kia Rio.

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Pittore infaticabile e soaveA Palazzo Samone è visibile dal 20 aprile al 12 maggio 2013 la mostra storico-retrospettiva del pittore Bartolomeo Giorgis (1862-1923), nato a Chiusa di Pesio e attivo su gran parte del territorio cuneese. A 90 anni dalla scomparsa, il Comune di Cuneo e quello di Chiusa Pesio hanno voluto rendere omaggio, attraverso il lavoro e la cura dell’Associazione Culturale MAGAU, a un artista attivo in modo straordinario sia nella produzione sacra che in in� niti altri soggetti. Lo stile del Giorgis si rivela raf� nato e sostenuto da una personalità versatile; egli ha saputo cogliere l’arte di � ne Ottocento con grande attenzione, specialmente rivolta alla cultura francese del periodo.

“In lui il mito, l’allegoria, la storia antica e biblica, il mondo degli umili nonché il ritratto e la � gura risaltano con grande trasparenza d’anima, culto del bello e per un tono affettivo e a volte quasi infantile, espresso magistralmente nella numerosa serie degli amorini che unisce, nella cifra pagana d’origine, queste immagini a quelle cristiane” (I.I.).

La presentazione della mostra stessa avverrà successivamente, dal 14 luglio al 25 agosto, nel Palazzo Comunale in Chiusa di Pesio.

BartolomeoGiorgis

1862 • 1923

■ Esposizioni: Palazzo Samone, Cuneo: 20 aprile - 12 maggio 2013, venerdì, sabato ore 16-19, domenica 10,30-12, 16-19. Per visite il mattino e per le scuole tel. 0171. 602193 Palazzo Comunale Chiusa di Pesio:14 luglio - 25 agosto 2013. Tutti i giorni feriali, 9-12, festivi 10,30-12

GiorgisGiorgis

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passaggio generazionale beniDIRITTO DI FAMIGLIA E SUCCESSIONI

Con l’avanzare dell’età delle persone e, più in particolare, con riferimento ai momen-

ti storici come quello che stiamo vivendo – alla vigilia cioè di elezioni e di nuovi governi che cercano nuove risorse fiscali tramite l’au-mento delle attuali imposte di donazione e successione – la domanda che molti si pongo-no è quale sia il modo migliore per trasferire il proprio patrimonio, mobiliare o immobiliare che sia, da una generazione all’altra in ambito familiare.Salvo situazioni particolari e lasciando da par-te i problemi legati al passaggio di aziende o di partecipazioni societarie tra genitori e figli, e quindi ai cosiddetti “patti di famiglia”, sui quali ci soffermeremo in un prossimo inter-vento, i cardini sui quali ruota il trasferimento di beni da una generazione all’altra sono fon-damentalmente tre: la vendita, la donazione o la successione a causa di morte, a sua volta regolata dalla legge o da testamento.Per ciascuna delle tre possibilità esistono dei risvolti differenti, sia giuridici che fiscali. Analizziamoli brevemente.La vendita genitori-figli è consigliabile unica-mente in caso di effettivo pagamento di un corrispettivo da parte del figlio a favore dei genitori. Dal luglio del 2006, infatti, è obbliga-torio menzionare nell’atto notarile di vendita le concrete ed effettive modalità di pagamen-to del prezzo, senza più poter ricorrere a una vendita “mascherata”, come poteva avvenire in passato, in pieno ossequio di ciò che la legge prevedeva. La vendita, pur consentendo un immediato trasferimento della proprietà in capo agli eredi, è però normalmente più one-rosa dal punto di vista fiscale, in quanto le im-poste dovute allo Stato sono proporzionali al

valore dei beni compravenduti. Tuttavia, ha il vantaggio, rispetto all’istituto della donazione che vedremo in seguito, di non creare remo-re in eventuali successive rivendite del bene, considerato che eventuali altri eredi non potrebbero vantare future pretese in ordine all’oggetto della vendita, proprio in conside-razione dell’effettività del pagamento.

La donazione, per parte sua, è normalmente meno onerosa dal punto di vista fiscale, spe-cialmente se abbinata alla riserva di usufrutto da parte del donante, ovvero alla facoltà di uti-lizzo del bene che quest’ultimo si riserva nor-malmente, fintantoché è in vita. Poiché, però, con la donazione si attua l’immediata perdita di titolarità del bene da parte del donante, è consigliabile valutarne l’opportunità caso per caso, soprattutto in relazione a eventuali fu-ture esigenze da parte del genitore donante di dover alienare in tutto o in parte il proprio patrimonio, per sopperire, per esempio, a necessità di mantenimento o di cure duran-te la propria vecchiaia. Inoltre, la donazione, specie se posta in essere a favore solo di alcu-ni dei figli o se generante disparità di tratta-mento tra gli stessi, può essere fonte di futuri dissidi, con conseguenti azioni giudiziarie po-tenzialmente esperibili anche nei confronti di terzi che avessero acquistato il bene oggetto di donazione dal figlio donatario. A fronte di queste difficoltà, esistono peraltro situazioni in cui la donazione appare la soluzione indub-biamente più indicata. Si pensi, per esempio, al caso in cui un figlio intenda ristrutturare a proprie spese una casa dei genitori, o costru-ire un’abitazione su un terreno degli stessi, oppure all’eventualità che si trasferisca in un

appartamento dei genitori con possibilità, in caso di donazione, di fruire delle riduzioni fiscali previste per la prima abitazione – la co-siddetta “agevolazione sulla prima casa”.L’ultima modalità di trasferimento della pro-prietà tra familiari è la successione ereditaria che, a sua volta, può essere regolata dalla legge o, almeno per la quota cosiddetta “di-sponibile”, da testamento. A differenza degli altri due istituti, che possono essere posti in essere mediante un “atto tra vivi”, tale moda-lità presuppone il decesso del familiare pro-prietario del bene. Le imposte della successio-ne ereditaria sono le medesime previste per la donazione (salvo, come detto, il possibile vantaggio in sede di donazione di dedurre fiscalmente il valore dell’usufrutto e sempre nella speranza che non sopraggiungano im-poste più onerose) e la proprietà del bene si trasferirà ai figli al momento del decesso del/dei genitori. I figli, in assenza di disposizioni testamentarie divisionali, ovvero di quelle di-sposizioni che prevedono quali beni debbano andare a quali figli, potranno quindi proce-dere – si auspica in modo amichevole – alla divisione dei beni ereditati.

a cura di Alessandro Parola - Avvocato

Studio Legale PAROLA - MARABOTTO - QUARANTA Corso Nizza 18, 12100 CuneoTel. e fax +39 0171 692855Mobile +39 338 7339360E-mail [email protected]

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a cura di Axel Iberti

i piaceri di primaveraWEEKEND TRA STORIA E CULTURA, SCEGLIENDO

SPRING SPLASHA PRATO NEVOSOlunedì 1° aprile

È di certo l’appuntamento più folle dell’arco alpino: lo Spring Splash di Prato Nevoso (CN) è un evento all’insegna della musica e del divertimento, condito da un pizzico di follia. Una gara aperta a tutti, dal tono goliardico e dal ritmo incalzante, preceduta la sera prima da numerose feste nei locali della stazione sciistica. I partecipanti (travestiti, ma spesso anche in costu-me da bagno), scendono a folle velocità dalla pista della Conca per planare con sci, snowboard o mezzi autocostruiti, sulla piscina piena d’acqua posta al fondo. La gara si conclude con un tuffo… o con il passaggio indenne sull’altra sponda della vasca. A voi la sfida! www.pratonevoso.com

L’ARMISTIZIO DI NAPOLEONEA CHERASCOsabato 27 e domenica 28 aprile

In occasione del 216° An-niversario dell’Armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, tra il Generale Napo-leone Bonaparte e Vittorio Amedeo III, a Cherasco (CN) si tiene la rievocazio-ne storica dell’evento con la partecipazione di più di 30 gruppi provenienti da tutta Europa. Oltre 400 soldati sfilano per le vie cit-tadine con armi e uniformi fedeli al periodo, facendo rivivere lo spirito dell’epoca in un’atmosfera di festa. Non potran-no mancare – nella città famosa per i suoi mercatini di antiquaria-to e di collezionismo – i banchi allestiti in tema napoleonico, dove trovare preziosi, oggetti, divise militari originali o altri manufatti ispirati al periodo.www.comune.cherasco.cn.it

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MAESTRI DI GUSTOIN FIERA A PAMPARATOdomenica 31 marzo e lunedì 1° aprile

Pamparato, antico borgo della Val Casotto (CN), saluta la primavera con una vetrina dell’artigianato, ospitando nelle proprie viuzze, nelle piaz-zette e nelle sale del seicentesco Castello dei Cordero, l’animata manife-stazione che si sviluppa intorno ai Maestri di Gusto in Fiera.Una festa e una fiera-mercato dai toni folkolristici, per rievocare i tempi in cui i montanari si rifornivano di attrezzature e vettovaglie. Il pro-gramma prevede svariati intrattenimenti, soprattutto in tema occitano (danze e balli).

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MACRA (CN) OSPITA L’ANTICAFIERA DEGLI ACCIUGAIsabato 27 e domenica 28 aprile

In occasione della 167ª Festa di San Marcellino, nel piccolo borgo pedemontano di Macra, in Valle Maira (CN), si tiene uno dei più eccellenti mercati dedicati all’acciuga.Una tradizione, quella del commercio del pe-sce azzurro, lunga quasi due secoli che vede raccolti in fiera gli acciugai provenienti da tutta Italia, con produzioni di alta qualità e svariate lavorazioni: salato, al verde, al naturale, mari-nato, sott’olio o fritto, comunque una bontà. Alla fiera-mercato si accompagnano convegni, incontri e vari momenti di intrattenimento.

XXI GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 2 GIORNI PER SCOPRIRE L’ITALIA, 365 PER AMARLAsabato 23 e domenica 24 marzo

Torna la Giornata FAI di Primavera, una grande festa popolare che dal-la sua prima edizione a oggi ha coinvolto oltre 6.500.000 di italiani e che quest’anno prevede l’apertura al pubblico di oltre 700 beni in tut-ta Italia. In Piemonte e Liguria le delegazioni locali hanno previsto un programma alla scoperta di siti inconsueti e suggestivi fra cui spicca Mondovì, in provincia di Cuneo, con l’antico “Rione Piazza”: i capola-vori pittorici di Andrea Pozzo, le architetture di Francesco Gallo, e le scenografiche facciate di piazza Maggiore. Fuori città si trova Montaldo Mondovì, sede di un importante quanto sconosciuto sito archeologico dell’età del ferro, insediamento dei liguri montani con resti del castello medioevale. Non può mancare il Castello della Manta, unico bene FAI della provincia, esempio concreto dell’opera di recupero del patrimo-nio artistico che la fondazione, da anni, sta svolgendo, che per l’occa-sione apre le sue sale stupendamente affrescate. Ad Alessandria si può visitare la Cittadella, fortificazione del XVIII secolo mentre in Val d’Aosta è previsto un percorso storico-culturale nella zona di Gressan e a Torino si può passeggiare nel Liberty del quartiere San Donato. Info: www.giornatafai.it

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C’È SOLO UN MODOPER VIAGGIAREDA TORINO IN BRASILE.

A BRACCIA APERTE.Tap Portugal vola da Torino via Lisbona per 10 destinazioni in Brasile:Rio de Janeiro, San Paolo (Guarulhos e Viracopos), Fortaleza, Salvador da Bahia, Recife, Natal, Brasilia, Porto Alegre e Belo Horizonte.Nessuno può offrirvi di più.

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MATERIALI E COLORI DANNO ANIMA AGLI OGGETTI DOMESTICI PER UNO STILE DI VITA

ALL’INSEGNA DELLA LEGGEREZZA

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economia, cuneo sa e fa“L’IGNORANZA – DICEVA PERICLE – PRODUCE BALDANZA, LA RIFLESSIONE INDUGIO”

È del Liceo Scientifico “Peano” di Cuneo la squadra prima classificata nel concorso na-

zionale “Conoscere la Borsa”: si tratta del team “Agorà”, staff tutto al femminile composto da Fe-derica Baudino, Assma Ghali, Alice Mandrile, Valentina Racca e Greta Viale, assistite dal pro-fessor Ettore Lo Nigro.“Conoscere la borsa” è un progetto europeo volto a promuovere tra gli alunni delle scuole superiori la cultura e la conoscenza dei mecca-nismi della finanza, mediante esercitazioni pra-tiche che simulano un’attività reale sul mercato borsistico. L’obiettivo è coinvolgere i ragazzi in un’attività che permetta loro di riflettere sull’im-portanza di una corretta gestione economica personale e famigliare e sulle dinamiche macro-economiche, in atto a livello locale e globale, che incidono sulla vita di tutti noi.L’iniziativa, nata in Germania nel 1983 ad opera dell’Associazione Casse di Risparmio Tedesche e

a cura di Giovanna Foco - Giornalista ex redattore infografico “Class CNBC”

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proposta in Italia dall’ACRI da una decina d’anni, ha visto per l’edizione 2012 la partecipazione inEuropa di oltre 40 mila squadre.Grande soddisfazione, anche, per il meeting di tre giorni a Cuneo - moderato da Gianni Marti-ni, caposervizio redazione Cuneo de La Stampa, ed Ezio Bernardi, direttore del settimanale La Guida - “l’Economia incontra gli studenti” che ha visto relatori Luciano Hinna, presidente del Centro Italiano di Scienze Sociali e docente per l’Università Tor Vergata di Roma, Franco Bec-chis, direttore scientifico della Fondazione per l’Ambiente di Torino e docente per la Saint John

“L’Alfabeto dell’economia. Un libro al mese” per darsi il tempo di vivere il tempo. “Tra Circolo dei lettori e Banca Regionale Europea i tratti comuni – puntualizza Ric-cardo Barbarini, direttore generale della Banca Regionale Europea sono molti. Su tutti si delinea la volontà di permettere alle persone di incontrarsi e di fruire di momenti che combinino il contenuto economico cul-

International University, Giuseppe Bertola, do-cente alla l’EDHEC Business School di Nizza.“La nostra società sta ridefinendo e ricercando, a seguito della crisi, nuovi stili di vita, nuovi ap-procci al mondo del lavoro e dell’imprenditoria-lità. Giovani ed adulti sono chiamati ad integrare i valori del risparmio e dello sviluppo economico con un’etica di solidarietà, di aiuto reciproco e di cooperazione. È in questa prospettiva che si col-loca l’impegno della Fondazione CRC nel cam-po dell’educazione economico-finanziaria, con l’obiettivo di rivolgersi in particolare alle giovani generazioni, stimolandone la curiosità, offrendo spunti di riflessione e promuovendo un rappor-to informato e responsabile con il denaro” com-menta Ezio Falco, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo “È poi per noi motivo di orgoglio premiare, quali vincitrici del concorso “Conoscere la borsa”, cinque giovani studentesse del Liceo Peano di Cuneo”.

formarsi e informarsiBRE CREA OPPORTUNITÀ

turale allo svago. Gli incontri mensili de “L’Alfabe-to dell’economia. Un libro al mese” rispecchiano proprio la volontà di promuovere una cultura finanziaria tra le pagine dei tanti capolavori pre-sentati nel centro culturale di Torino”. La sede è il Circolo dei lettori in via Bogino 9 a Torino.

PROSSIMI APPUNTAMENTI18 marzo 2013 ore 21 Presentazione del libro “Senza alibi. Perché il capitalismo italiano non cresce più” (Marsilio) di Marco Simoni (1974), economista e politologo che insegna alla Lon-don School of Economics, è un esperto di capi-talismo comparato e relazioni industriali e scrive per «Il Sole 24 ore». 16 aprile ore 21 Presenta-

zione del libro “L’intelli-genza del denaro. Perché il mercato ha ragione an-che quando ha torto” (Marsilio) di Alber-to Mingardi che attualmente è il direttore dell’Isti-tuto Bruno Leoni e collabora sia con «The Wall Street Journal Europe» sia con il supplemento domenicale del «Sole 24 Ore».

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les 40 ans du regio,théâtre royal de turinde Vilma Brignone - pg 16C’est un grand titre verdien, Don Carlos - en scène du 10 avril au Théâtre Regio de Turin - qui célébrera, lors de la première, les 40 ans de sa réouverture. C’était le 10 avril 1973 lorsque, avec un autre opéra de Giuseppe Verdi, Les Vêpres siciliennes, se levait le rideau sur la nouvelle vie du Théâtre Regio, reconstruit après l’in-cendie de 1936. Pour cet anniversaire, il a été choisi l’un des décors les plus suggestifs : celui imaginé par Hugo de Ana. La direction musicale est de Gianandrea Noseda, l’un des grands directeurs d’orchestre sur la scène internationale, « la grande force du Théâtre Re-gio », comme l’a défini le régisseur de la Fondation Lyr-ique, Walter Vergnano. En scène jusqu’au 23 avril, pour se déplacer ensuite au Théâtre des Champs-Élysées de

Paris, le Don Carlos met en scène une pléiade d’étoiles comme Ramón Vargas, Barbara Frittoli, Ildar Abdrazakov, Ludovic Tézier et Daniela Barcellona. Les chiffres de la production du Théâtre Regio après quatre décennies à compter du lancement de sa « troisième vie »sont également éloquents : 375 titres d’opéras, 3.250 représentations, plus de 3.800.000 spectateurs et de très grands interprètes. « L’histoire du Théâtre Regio s’est déroulée en trois phases - écrit le musicologue de renommée internationale Alberto Basso, l’un des plus grands experts de l’histoire de l’opéra en musique et de Bach, et auteur de nombreux volumes sur l’histoire du Théâtre Regio de Turin (parmi lesquels : « L’arcano incanto : il teatro Regio di Torino, 1740-1990 », « Le mystère enchanté : le théâtre Regio de Turin, 1740-1990 », pour l’exposition à l’occasion des 250 ans de la fondation). « Il ya eu un ou des Théâtres Royaux avant le Nouveau Théâtre Regio érigé par Benedetto Alfieri sur ordre de Charles Emmanuel III ; depuis 1973, c’est un autre Nouveau Théâtre Regio, signé par Carlo Mollino et Marcello Zavelani-Rossi. Le Théâtre Regio est en flammes, titra le journal « La Stampa » ce 9 février, lorsqu’une colonne de fumée s’échappa de la coupole juste au-dessus de la scène : « Une foule nombreuse sur la Piazza Castello contempla, les yeux écarquillés, la dévastation de leur cher théâtre ». Sept autopompes et 120 pompiers pour maîtriser les flammes. Sept vies sauvées, mais plus rien de la salle et de la scène. Un spectacle de désolation. 37 ans après - même si les saisons du Théâtre Regio ne subirent pas d’interruptions - le Nouveau Théâtre Regio de Mollino fut inauguré le 10 avril 1973. La reine de la fête ne fut autre que Maria Callas. La « divine », de noir vêtue, joua et mit en scène, avec Giuseppe Di Stefano, Les Vêpres siciliennes, la seule fois de sa carrière. Une idée considérée comme un coup de théâtre du régisseur d’alors Giuseppe Erba, qui fut repris par toutes les unes du monde entier. Des scoops originaux entretiennent la chronique, comme celle de l’amitié renforcée par les gressins « rubatà » (« pétris à la main »), qu’Erba expédia à Paris à la Callas. Un siècle avant l’incendie, le Théâtre Regio de Turin fut érigé par Alfieri dans le temps record de deux ans, et inauguré le 26 décembre 1740 avec l’Arsace de Francesco Feo. Il fut considéré, par les chroniqueurs de l’époque, comme le lus grand d’Europe : grâce à ses 2.500 places (dans une ville qui comptait alors 60.000 ha-bitants), aux œuvres représentées et aux personnages qui le fréquentaient. Parmi eux, Wolfgang Amadeus Mozart, alors âgé de quatorze ans, dont le père écrivit à sa femme, le 1er février 1771, avoir assisté, au Théâtre Regio, à un opéra « vraiment magnifique » (« Annibale in Torino » de Paisiello). Aucun autre théâtre au monde ne peut se vanter d’avoir accueilli, entre 1740 et 1798, 111 « drames pour musique », dont 105 en avant-première absolue. Au siècle suivant, les évènements qui s’y déroulèrent furent mémorables : le 1er février 1893, la première de Manon Lescaut de Puccini, la première de La Bohème, encore de Puccini et dirigée par Toscanini en 1896 ; un an plus tôt Toscanini monta sur l’estrade du Théâtre Regio pour la première, en Italie, du Crépuscule des dieux de Wagner. Ici, enfin, Richard Strauss dirigea Salomé, qu’il avait composé en 1906. De nos jours, l’image est celle d’un théâtre lyrique multimédia, qui passe à la radio, à la télévision et sur internet, et qui dialogue à travers son site et sur Face-book. C’est un « théâtre en direct » (première expérience en Europe), raccordé en Wifi au site www.regiolive.it. C’est un théâtre engagé dans des coproductions avec d’autres scènes italiennes et internationales. Aucun specta-cle ne naît et meurt à Turin : les œuvres parcourent l’Europe, comme l’Extrême-Orient. Cette année, par exemple, il se déplacera au Japon, avec La Tosca et Un bal masqué, mais également au Konzerthaus de Vienne et à Dresde pour le bicentenaire de la naissance de Verdi. Ici, on investit dans la culture : les œuvres montées sont passées de 10 à 11 pour la saison en cours, avec un total de 83 représentations et 13 dates avec le Béjart Ballet Lausanne.Suggestions en rouge La suggestion chromatique qui entoure ceux qui entrent dans le Théâtre Regio est liée au symbole de la ville de Turin, le taureau. Le rouge du lumineux foyer de 4.000 m2, des fauteuils du parterre (29 rangées) et de la couronne de loges (1592 places) y domine. Le lampadaire surprend également. Parmi les plus grands d’Europe, le plateau est surmonté par l’imposante tour de scène (32 m). Sous la scène, 22 loges, la salle d’orchestre, la salle de maquillage et l’atelier de couture.

italiennes illustresen principauté de monacode Maria Bologna - pg. 20La Principauté de Monaco : une cité-état avec des résidents de 119 nationalités, où la communauté italienne est la troisième en importance après les communautés monégasque et française. Ici vivent des entrepreneurs, mais également des familles, des chanteurs, des acteurs, des banquiers, des armateurs, des constructeurs, des sportifs et des artistes. Pour beaucoup d’entre eux, c’est un choix dicté par la sécurité, le climat et la qualité de la vie qui font de cette cité un véritable petit paradis. À l’occasion de la Fête de la femme, en exclusivité pour UNICO, nous avons choisi quelques protagonistes de la vie culturelle locale. Une sélection difficile qui, évidemment, n’entend pas pénaliser celles qui n’y sont pas mentionnées. Il s’agit de quatre femmes qui partagent des qualités peu communes : grande classe, extraordinaire discrétion, exceptionnelle générosité et un splendide sourire… serait-ce un hasard ?Commençons par madame Fernanda Casiraghi, actuelle présidente de l’Association des Entrepreneurs Italiens de Monaco et de l’Académie Italienne de Cuisine. Une dame de Brianza comme autrefois, réservée et distinguée, madame Casiraghi est connue des chroniques pour être la grand-mère d’Andrea, Charlotte et Pierre, enfants du regretté Stefano Casiraghi et de SAR la Princesse Caroline de Hanovre. Chef d’entreprise encore marginalement engagée dans la société familiale, elle vit sur le Rocher, mais se rend souvent chez ses enfants dans la propriété

familiale de Mornasco, une demeure à laquelle elle reste très attachée. Madame Casiraghi participe aux évènements monégasques d’importance, mais l’on retiendra surtout sa contribution fondamentale dans la création de l’Association des Entrepreneurs Italiens de Monaco, dont elle est présidente depuis sa fonda-tion, car, comme elle l’indique elle-même : « je crois qu’il s’avère primordial que les entrepreneurs parlent d’une même voix, aussi bien auprès des organes gou-vernementaux monégasques qu’italiens ». Par ailleurs, grâce également à sa passion pour la bonne cuisine, elle recouvre la charge de présidente honoraire du siège monégasque de l’Académie de Cuisine, assistée par les délégués Luciano Garzelli et Raffaella Stimami-glio. Il n’est donc pas rare de la voir souhaiter la bien-venue à des entrepreneurs et à des chefs cuisiniers de renommée mondiale.

La Marquise Maria Ghilla di Canossa : mariée, depuis 1979, au Marquis Sigifredo di Canossa, Maria Ghilla se définit surtout comme la mère de trois filles splendides, Costanza, Claudia et Enrica. Ceux qui la connaissent, l’apprécient pour sa gentillesse et savent bien que son allure a des origines lointaines d’un ancien et noble lignage : la Marquise est née, en effet, Princesse Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Personne sensible, généreuse, toujours souriante, profondément dévouée à autrui, la Marquise di Canossa s’est toujours personnellement engagée, dès son arrivée à Monte-Carlo en provenance de Rome, dans des activités cari-tatives variées. À Monaco, elle a assisté personnellement les personnes âgées et les nécessiteux de la communauté du Cap Fleuri, dans le cadre d’initiatives promues par la Croix Rouge monégasque. Présente dans de nombreuses associations, elle participe à l’AIRC (Association Italienne de Recherche sur le Cancer) de Vérone en organisant des évènements, des spectacles et des concerts de bienfaisance, dans la villa historique du Lac de Garde, de la pro-priété de la famille de son mari. Maria Ghilla a récemment choisi d’être marraine de la manifestation Dance for life, qui s’est tenue dans la Principauté, et à laquelle a participé la danseuse Erica Brindisi pour contribuer à la collecte de fonds destinés à la recherche sur la sclérose en plaques, maladie dont toutes deux sont atteintes. Maria Ghilla ne s’économise jamais pour aider ceux qui sont dans le besoin, et il s’avère difficile d’énumérer tous ses centres d’intérêts philanthropiques, car, comme on le dit, c’est justement dans la discrétion que brille sa générosité. Une existence qui révèle une grande ténacité afin de ne pas limiter sa curiosité et son envie de vivre : un exemple pour beaucoup, une perle rare admirée et aimée de tous.Pour la Baronne Mariuccia Zerilli-Marimò, vivre à Monaco signifie, par contre, s’engager en personne afin que la culture et les jeunes de talent trouvent leur juste place. Active au sein des conseils d’administration de nombreux organismes culturels présents dans le monde entier, la Baronne apporte également sa précieuse contribution à travers les associations Monaco-Italie et « Dante Alighieri », où elle promeut des évènements liés à l’art et à la musique. Engagée dans le financement d’importantes initiatives et de bourses d’étude, c’est à elle que l’on doit la création de la Maison d’Italie « Zerilli Marimò », fondée en 1990 à New York, désormais centre de renommée internationale dédié aux jeunes pour le développement de la culture, de la science et des études économiques. Mécène et promotrice d’innombrables projets, la Baronne a été récompensée, pour ses mérites et ses capacités, par différents prix et reconnaissances dans le monde entier. Parmi ces prix, le Transatlantic Award 2012 de l’A-merican Chamber of Commerce in Italy, qui lui a été conféré en novembre dernier à Milan pour avoir favorisé le développement des relations entre l’Italie et les États-Unis.Liana Marabini est une femme engagée sur plusieurs fronts : elle dirige différentes sociétés et une libraire monéga-sque de volumes de valeur et anciens ; elle est également réalisatrice, éditrice et créatrice du Festival International du Cinéma Catholique, Mirabile Dictu, à sa quatrième édition cette année, parrainé par les Congrégations Vatica-nes de la Culture et de la Promotion de la Nouvelle Évangélisation. Mais de quoi s’agit-il ? Liana nous l’explicite : « Mirabile Dictu est un festival international dédié au cinéma catholique. L’idée est née de la nécessité d’évangéliser la difficile industrie du cinéma. Aujourd’hui, les gens ont besoin de modèles et le cinéma, qui est un instrument accessible à tous, peut promouvoir des valeurs morales et des héros positifs. J’ai pensé qu’un festival international pouvait représenter la scène idéale pour ceux qui ont le courage d’écrire, de diriger, de produire et d’interpréter des films de ce genre, mais également un lieu de rencontre pour ceux qui les financent, les distribuent et les transmettent » (www.mirabiledictu-icff.com). Mais ce n’est pas tout, car Liana Marabini a le projet d’ouvrir, dans la Principauté de Monaco, une école catholique internationale privée, exclusivement réservée aux garçons, capable de préparer les jeunes sous tout profil, en sui-vant le modèle de « l’homme universel » de la Renaissance. Les élèves sélectionnés devront devenir des « nouveaux Léonard de Vinci », en étudiant des matières scientifiques et humanistes à parts égales, pour obtenir un bacca-lauréat leur permettant de poursuivre leurs études auprès de toutes les universités du monde. Enfin, sa passion pour l’art l’a porté à soutenir financièrement la restauration de la nouvelle Salle Matisse des Musées du Vatican : « Un choix qui reflète mon amour pour l’art sacré et ma conviction qu’il peut convertir les âmes. Henri Matisse en est la preuve. Sa conversion, quelques années avant sa mort, est illustrée dans sa dernière œuvre, la Chapelle de Sainte-Marie du Rosaire à Vence, dont les plans originaux (3 x 5 m) et les esquisses sont aujourd’hui exposés dans cette magnifique salle. Les travaux ont duré quasiment deux ans et la Salle Matisse est aujourd’hui ouverte au public. Les Musées du Vatican sont les premiers à présenter une salle entière exclusivement dédiée à cet artiste ».

L’huile, entre la mer et la montagnede Vanina Carta - pg 38L’huile, il faut la choisir. L’olivier fait partie de notre paysage depuis longtemps, même à des altitudes inattendues. Depuis toujours appréciée pour ses capacités de conservation des aliments, l’huile d’olive est entrée dans notre culture gastronomique, même là où la mer est éloignée et la cuisine demande des goûts forts et succulents, typiques de la montagne. Alors, pourquoi ne pas apprendre à reconnaitre la qualité? Tout en laissant le prix ou la marque de côté, pour rendre honneur à un produit qui participe de notre territoire...Il faut un fruitL’huile d’olive extra vierge a une caractéristique fondamentale: elle dérive d’un fruit, ce qui détermine sa qualité. Un fruit est riche en eau (l’olive en contient environ 50%) et cela permet l’extraction de l’huile par des moyens mécaniques, donc à travers une technologie que l’on peut définir délicate. Tout en simplifiant, après la mouture

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(là où on obtient des olives une pâte), on fait le pressurage pour détacher la partie solide des parties huileuses et de l’eau et, enfin, la centrifugation pour séparer l’huile de l’eau. Donc, l’huile vierge est celle qui ne passe pas par des procédés physi-co-chimiques (par exemple, par l’utilisation de solvants, etc.), ce qui arrive par contre pour la production de l’huile de graines. L’olive est un fruit “vivant” caractérisé par un métabolisme actif, ce qui explique les différents aspects salutaires de l’huile extra vierge. Vierge ou non? Quand l’étiquette parleSi dans les classes dénommées “vierge” et “extra vierge”, l’extraction se fait mé-caniquement, les autres qualités d’huile

dérivées des olives sont soumises à des différents procédés chimiques. Donc, à partir du fruit, l’on peut obtenir des produits qualitativement très différents où le facteur discriminant devient unique-ment l’utilisation de moyens chimiques. Et, ensuite, le deuxième mot magique: l’acidité, c’est-à-dire le contenu (pourcentage) en acide oléϊque libre, en dessous de 0,8% dans l’huile extra vierge, sans dépasser 2% dans l’huile vierge. Et pourtant, une bonne connaissance des appellations n’est pas suff-isante puisque même des huiles extra vierges parfois subissent des manipulations. La réglementation européenne pour cette catégorie, en effet, est faible, ce qui rend possible pour certaines entreprises de placer sur le marché des produits dont la qualité n’est pas optimale, parfois à cause de mélanges d’huiles provenants d’autres Pays. De tous petits pas ont été accomplis en 2009 par l’introduction de nouvelles normatives européennes concernant les étiquettes qui prévoyent l’obligation d’indiquer l’origine des olives et de l’huile (Ue /non Ue), mais la confusion reste, surtout quand il s’agit de mélang-es entre l’huile d’olive et des huiles végétales, que ces normatives d’ailleurs permettent. Il est donc important pour le consommateur de chercher des produits qui ont un lien réel avec le territoire afin de contraster l’homologation.La Ligurie, patrie de l’huile Dans une terre aussi étroite que tortueuse, une langue de terre entre la mer et la montagne, l’olivier c’est la survie, la ténacité, l’essence d’un territoire maigre mais capable d’offrir des fruits extraordi-naires. Par une spéciale technique à étagements (maxéi), les Bénédictins commencèrent à cultiver l’olivier au Moyen-Age, la qualité Taggiasca, qui aujourd’hui est la qualité principale, surtout dans la province de Imperia. Dans les Vallées Argentina et Armea, vallées éloignées de la riviéra, la production de l’huile est encore un art. Ici, où nacquit en effet la Taggiasca, au mois de Novembre les filets sur la terre annoncent le début de la récolte. “Ici, nous avons une agriculture de montagne – dit Franco Boeri, titulaire de l’entreprise Azienda Roi de Badalucco. On a 2 mètres de terre, 3 mètres de mur: des données qui font comprendre la difficulté de travailler ces étagements, où la récolte peut se faire uniquement à la main, où après 8 heures de travail on peut espérer d’avoir 3 q. d’olives, par rapport à 30-40 q. sur des terrains de collines, comme il arrive en Toscane ou sur les plaines de la région Puglia. (…) Mais il y a en cela des avantages aussi: à une certaine altitude, on trouve les bois, ce qui donne aux olives des arômes et des parfums très insolites”. Afin de protéger ce patrimoine agricole, aussi bien que culturel et social, l’année 2001 vit la naissance du « Consorzio di Tutela dell’Olio Extravergine di Oliva DOP “Riviera Ligure” », par lequel on a localisé trois zones de production: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese, Riviera di Levante. Ici la production ne doit pas dépasser 7000 kg d’olives par hectare et 25% d’huile. Rompre un tabou: vers le nordGrâce à des recherches faites, on remarque que l’olivier est en train de “monter” le long de l’Italie, pour arriver dans des zones qu’on ne pouvait que difficilement imaginer. La raison: un changement du climat? On ne sait pas encore, mais la preuve est qu’on trouve à present les oliviers tout autour du Lac de Garda, dans la région Veneto, au Frioul ainsi que dans certains endroits du Piémont. Les hivers 2011-2012 ont été durs pour les oliviers mais les résultats sont, malgré tout, positifs. A’ côté des Alpes Maritimes, on le trouve également dans des zones telles que celle de Asti, ou celle de Saluces, celle du Canavese, de Biella, jusqu’à arriver à Donnaz, Vallée d’Aoste. Il est vrai que, dans plusieurs cas, la production est uniquement à vocation familiale, mais quand on arrive à faire face au gel de l’hiver, le prix de vente peut arriver même à 30 Euro le litre.La route de l’huileAujourd’hui, l’héritage de cette production réside dans l’activité de certaines marques importantes qui trasmettent la tradition familiale de la vente “porte à porte”. Un commerce qui a vu ses origines entre le Piémont du Sud et la Ligurie et qui, dans le temps, voyait les commerçants dépasser les frontières et les cols de montagne pour agrandir leur marché. Comme le piémontais Luigi Vezza qui descendait vers la Ligurie contrôler personnellement la production de l’huile pour la commercialiser ensuite à domicile au Piémont, ou Secondo Abbo qui, à partir de son moulin à huile de Ventimille, montait le col de Tende chercher un marché plus favorable vers le Piémont. Ou, bien, comme Giovanni Oneglia qui, au lieu de vendre l’huile aux commerçants, il pensa de la vendre et la livrer directement aux familles. C’est l’histoire du commerce à domicile. Ce sont des histoires d’hommes qui ont vécu entre la mer et la montagne, qui ont su identifier une tradition et un commerce dans un produit, qui se base princi-palement sur le choix de la matière première et sur le contrôle de la filière de production. Et tout cela en considérant de grandes valeurs: le lien profond avec le territoire et le rapport avec le consommateur.

le parc naturel des alpes maritimes de Giovanna Foco - pg 58Les animaux ne connaissent pas de frontières et laissent des traces. Le loup trouve sa demeure dans ces vastes espaces. Le loup se retrouve dans les fables pour enfants et dans Le livre de la jungle. Gian-ni Oppi, responsable du service de surveillance du Parc des Alpes Maritimes, habitué à réfléchir sur

ces sommets et à honorer sa fonction d’offi-cier de police judiciaire, dit : « Des collègues l’on aperçu. Un animal élusif : il suscite l’en-thousiasme, en bien ou en mal, mais, parmi nous, personne ne le craint ». Le loup n’est ni bon, ni mauvais. C’est son instinct qui le pousse à attaquer d’autres animaux : tel est le rôle qui lui a été assigné dans la grande représentation du cycle de la vie ».La journée d’un gardien de parcIl n’y a pas de journée type. Nous re-couvrons une double fonction : l’une est strictement liée à la surveillance, l’autre à des projets spécifiques, comme les activités didactiques, la réalisation technique de la signalisation ou le nettoyage des sentiers. Les zones les plus difficiles à surveiller

Paradoxalement, ce sont les zones en aval, là où se trouvent des groupes de touristes qui, dès le printemps, allument des feux pour les barbecues, garent leurs voitures dans les prés et, encore, laissent leurs chiens en liberté ou les emmènent dans des endroits non autorisés. Dans le Parc des Alpes Maritimes, les chiens ne sont admis qu’en laisse et sur la route. Par ailleurs, ils ne peu-vent être emmenés qu’au Refuge Soria Ellena et au Genova. Nous, gardiens de parc, devons faire respecter ces règles.Combien de kilomètres parcourez-vous par jour ? De 15 à 20. Le Parc compte de nombreux sentiers et refuges avec des dizaines et des dizaines de kilomètres de routes militaires, de chemins et de sentiers, remontant dans les vallons. De nombreux sentiers muletiers, devenus aujourd’hui des parcours classiques de randonnée, furent ouverts pour atteindre les postes de chasse où le roi et sa suite attendaient de voir apparaître les chamois, poussés par une nuée de 200 à 300 rabatteurs. Et aujourd’hui, les gardiens de parc re-commandent : « Ne prenez rien, sauf des photos. Ne laissez rien, sauf des empreintes. N’emportez rien, sauf des souvenirs ».L’historiqueLe parc naturel des Alpes Maritimes a été institué en 1995, par la fusion du parc naturel de l’Argen-tera avec la Réserve de la forêt et des lacs de Palanfrè. Il s’étend sur une surface d’environ 28.000 hectares, répartie sur trois vallées : Gesso, Stura, Vermenagna. Les Alpes Maritimes, ultime pan méridional de la chaîne alpine, séparent la plaine piémontaise de la côte niçoise et sont comprises entre deux passages : le Col de Tende et le Col de Larche. Les deux versants des Alpes Maritimes sont protégés : du côté français, s’étend, en effet, le parc national du Mercantour, connu dans le monde entier pour la Vallée des Merveilles, un site abritant des milliers de gravures rupestres re-montant, en grande partie, à l’Âge du Bronze. Les deux parcs ont une frontière commune de plus de 35 km et forment, dans leur ensemble, une zone protégée de plus de 100.000 hectares, qui, dans un futur proche, pourrait devenir le premier parc international. Le patrimoine est digne d’un grand intérêt. Patrizia Rossi, directeur du parc des Alpes Maritimes, en remontant dans le temps, a récemment illustré un ancien projet qui, à la fin des années 60, portait sur la création d’une grande zone protégée transfrontalière incluant les Alpes maritimes et ligures, françaises et italiennes, du col de Larche à la mer. Déjà à cette époque, lors d’un congrès tenu auprès de l’administration de la Province de Coni, les autorités et les scientifiques présents avaient déclaré être convaincus du caractère exceptionnel du territoire et avaient prévu une cartographie incluant toutes les zones protégées qui ont vu le jour par la suite : le parc national du Mercantour en France, le parc des Alpes Maritimes et le parc du Marguareis au Piémont, le parc des Alpes Ligures et diverses réserves naturelles, jusqu’aux Jardins Hanbury, sur la mer ligure. Cette vaste zone pourrait être identifiée par le nom évocateur « Alpes de la mer », empruntant une idée de Ferruccio Dardanello, président de la Chambre de Commerce de Coni. « En ce moment - souligne le président du parc des Alpes Maritimes, Gianluca Barale - nous achevons les projets en cours, sans négliger aucune possibilité d’accroître et de promouvoir ce merveilleux territoire ».Mercantour - Alpes Maritimes : parcs sans frontières, ni barrièresLe « partage de la nature » est l’exemple concret de la volonté d’être accessible à tous. Giorgio Bernardi, référent italien du projet, indique que « 12 itinéraires pour les personnes, adultes ou en-fants, à mobilité réduite ont été sélectionnés. Le Parc a acquis, à cet effet, une joëlette, un fauteuil roulant à roue unique, adapté à tout type de terrain, qui permet d’effectuer des randonnées en toute sécurité, avec l’aide d’au moins 4 accompagnateurs en bonne forme physique. »Centre faunistique Hommes et Loups Le Centre faunistique Hommes et Loups comprend une enceinte d’environ 8 hectares dans laquel-le sont accueillis quelques exemplaires de Canis Lupus Italicus. Il s’agit exclusivement d’animaux qui ne pourraient pas vivre en liberté, car victimes de graves accidents ou nés en captivité. Au centre de la zone, dans le hameau de Casermette di Entracque, s’élève une tourelle de 3 niveaux d’où l’on peut observer une large partie de l’espace clôturé. À l’aide de caméras, on peut ainsi observer les loups assez facilement. Info : Hommes et Loups. Section d’Entracque : Piazza Giusti-zia e Libertà, 2. Section de Casermette : Strada Provinciale per San Giacomo, 3. Tél. +39 0171 97 80 07 - 97 86 16 - www.parcoalpimarittime.itLa nécropole à ciel ouvertLe long de l’ancienne route menant à Valdieri, à l’intérieur d’une large cuvette bien exposée, se trouve une nécropole à ciel ouvert, découverte en 1983 lors des travaux d’élargissement de la route communale « delle Ripe ». Grâce à la collaboration étroite entre la direction des biens archéologiques du Piémont, la commune de Valdieri et le parc naturel des Alpes Maritimes, les travaux de mise en place de la zone archéologique ont été exécutés, avec l’aménagement d’un parcours muséal en extérieur et d’une exposition des urnes cinéraires, des objets de décoration en bronze et en os récupérés lors des excavations.

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