UCID Letter n°2 del 2010

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2/2010 LETTER EDITORIALE Uniti nella gratuità e nel dono La globalizzazione: per formare un’unica grande famiglia Processi di globalizzazione economica e umanizzazione Ricomporre le separatezze. Il DNA dell’imprenditore credente GLOBALIZZAZIONE ED ECONOMIA BENE COMUNE CENTRALITÀ DEL DONO

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UCID Letter n°2 del 2010

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l e T T e R

EDItorIalE

Uniti nella gratuità e nel dono

La globalizzazione:per formare un’unica grande famiglia

Processi di globalizzazione economica e umanizzazione

Ricomporre le separatezze.Il DNA dell’imprenditore credente

GlobalIzzazIonEED EConomIa

bEnE ComUnE

CEntralItà DEl Dono

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l e T T e R

Periodico quadrimestrale dell’uCidUnione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Anno XIII, 2/2010

autorizzazione del Tribunale di Roma

N. 437/05 del 4/8/2005

UCIDUCID, Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, è un’Associazione privata, nata nel 1947, che impe-gna i propri Soci alla realizzazione del Bene Comu-ne mediante comportamenti coerenti con lo spirito evangelico e con gli indirizzi della Dottrina Socile della Chiesa Cattolica.Con questo impegno l’UCID pone al servizio della comunità civile le esperienze e le conoscenze che derivano ai propri Soci dalle loro attività imprendi-toriali e professionali.I fondamentali princípi etici ispiratori e di riferimento che l’UCID ha adottato e che propone a tutti i propri soci sono:• la centralitàdellapersona,accoltaevalorizzatanella sua globalità;• l’equilibratoutilizzodeibenidelCreato,nelpienorispetto dell’ambiente, sia per le presenti che per le future generazioni;• il sano e corretto esercizio dell’impresa e dellaprofessione come obbligo verso la società e come opportunità per moltiplicare i talenti ricevuti a bene-ficio di tutti;• laconoscenzaeladiffusionedelVangelo,appli-cando le indicazioni ideali e pratiche della Dottrina Sociale della Chiesa;• un’efficaceedequacollaborazionefraisoggettidell’impresa, promuovendo la solidarietà e svilup-pando la sussidiarietà.Da queste linee ideali e di impegno deriva una or-ganizzazione composta, a livello nazionale, di circa 4.000 soci. UCID Nazionale è articolata a livel-lo territoriale in 17 Gruppi Regionali e 89 Sezioni Provinciali e Diocesane. L’UCID Nazionale fa parte dell’UNIAPAC, “International Christian Union of Bu-siness Executives”.

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Periodico quadrimestrale dell’UCIDUnione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Direttore ResponsabileGiovanni Locatelli

RedazioneSegreteria UCID Nazionale

Via della Conciliazione 15 - 00193 RomaTel. 06 86323058 - fax 06 86399535e.mail: [email protected]

site web: www.ucid.it

Anno XIII 2/2010

Autorizzazione del Tribunale di Roma

N. 437/05 del 4/8/2005

Sped. in Abbon. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46)art. 1, comma 2, DCB Padova

Progetto graficoEditing

Impaginazione grafica

Germano Bertin

Tipografia Nuova GrafotecnicaVia L. da Vinci 8 35020 Casalserugo - PD

Tel.049 643195 - Fax 049 8740592site web: www.grafotecnica.it

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SOMMARIO

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EditorialE Uniti nella gratuità e nel dono 5

PartE Prima: tEmi gEnErali la globalizzazione: per formare un’unica grande famiglia del Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson 11

Processi di globalizzazione economica e umanizzazione di Francesco Merloni 18

ricomporre le separatezze di Angelo Ferro 24

PartE SEconda: aPProfondimEnti LacrisifinanziarianeiPaesiincrisi di Antonio Bertani 29

l’Europa della moneta e delle banche di Giovanni Scanagatta 37

Lasfida:impegnarsiacambiarelecose di Francesco Rabotti 52

PartE tErza: rEcEnSioni a cura di Silvia Paoluzzi e Rolando Murari

• Perunnuovomodellodisviluppo di D. Tettamanzi, L. Ornaghi, U. Folena 56

• Mercatoedisuguaglianza di Giovanni Bazoli 58

• Ilbuonodell’economia. Etica e mercato oltre i luoghi comuni di G. Salvini, S. Carrubba, L. Zingales 59

• Lepiccoleemedieimprese nell’economia italiana a cura di Istituto Guglielmo Tagliacarne e UNIONCAMERE 61

PartE QUarta AttivitàNazionaleeInternazionaleUCID 64

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È importante ricomporre le separatezze

per dare un nuovo senso allo sviluppo e alla vita.

Gratuità e dono costituiscono

il punto di incontro e il collante

tra libertà e uguaglianza

nella creazione di un’unica

famiglia umana in cui siamo tutti fratelli

in quanto figli di Dio Padre

Uniti nella gratUità e nel dono

Separare l’economico dal sociale, il mercato dalla democrazia, la ricchezza dal lavoro e il dividere, anziché l’unire, stanno alla base della crisi attuale

Apriamo questo numero di UCID Letter con un interes-sante contributo del Cardinale Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sui

rapporti tra la globalizzazione economica e la formazione di un’unica famiglia umana. Come è possibile coniugare questi due momenti? La globalizzazione è riuscita a rendere vicino il lontano, a trasmettere informazioni in frazioni di secondo da una parte all’altra del globo. Tuttavia essa, pur rendendoci piú vicini, non ci ha reso piú fratelli. Occorre quindi intendere la globaliz-zazione come uno strumento per l’unificazione dei popoli e per la costruzione del bene comune universale.

Su questo tema offre le sue stimolanti riflessioni anche il Past President Francesco Merloni. Partendo dalla considerazione che la crisi economico-finanziaria, di proporzioni globali, ha prodotto danni ingenti a livello mondiale con una diminuzione del reddito e una crescente disoccupazione, ci viene data la possibilità di utilizzare questa situazione negativa in chiave positiva, come un’opportunità per un nuovo modello di sviluppo. Occorre considerare la crisi come un’occasione per un cambiamento di rotta per affermare l’importanza dei valori etici e l’errore della completa separazione tra l’ordine morale e l’ordine economico, come profeticamente indicato nell’Enciclica Quadragesimo Anno del 1931 di Pio XI. L’imprenditore cristiano svolge, in questo panorama, un ruolo chiave, per l’affermazione di una cultura d’impresa che valorizzi la persona umana come il centro dei processi di sviluppo, con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività.

Angelo Ferro individua il fulcro della crisi nel concetto di sepa-ratezza. Il separare e il dividere anziché l’unire e il contemperare stanno alla base della crisi attuale. Separare l’economico dal sociale, il mercato dalla democrazia, la ricchezza dal lavoro.

È necessario quindi ricomporre queste separatezze per dare un nuovo senso allo sviluppo e alla vita. È quanto ci esorta a fare Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, partendo dal principio della gratuità e del dono, che costituisce il punto di incontro e il collante tra libertà e uguaglianza nella creazione di un’unica famiglia umana in cui siamo tutti fratelli in quanto figli di Dio Padre.

Apre la sezione approfondimenti l’articolo di Bertani che si interroga sulla causa profonda della crisi finanziaria. Bertani individua in questa crisi un fattore endogeno di importanza fon-

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damentale: ossia l’aver progressivamente messo in discussione i valori sui quali si basava la convivenza civile, non considerati piú né necessari né utili, ma di ostacolo a un maggior sviluppo. In tal senso, viene sottolineata l’importanza di recuperare tali valori, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, con il fonda-mentale contributo delle associazioni come l’UCID e del mondo del volontariato.

Scanagatta, nell’articolo che segue, “racconta” la storia della crisi economica che ha colpito l’Europa partendo dagli Stati Uniti estendendosi a livello mondiale. Questa crisi ha avuto come prima conseguenza una diminuzione di fiducia da parte degli operatori economici, i cui risvolti piú pesanti vengono subíti dalle piccole e medie imprese, che fronteggiano un forte razionamento del credito. È necessario ripartire dagli insegnamenti dei Padri Fon-datori dell’Europa, che sostenevano la necessità di integrare i mercati, partendo dal presupposto di dotare l’Europa di un’anima al sostanziale servizio del bene comune.

È fondamentale rivolgere il nostro sguardo verso il cambiamen-to, sostiene Rabotti, Vice Presidente della Sezione UCID della Provincia di Frosinone, nel suo intervento al convegno presso l’Abbazia di Casamari. Come uomini e come cristiani non possia-mo limitarci a osservare passivamente lo scorrere dell’esistenza e limitarci all’accettazione dello status quo. Dobbiamo dare nuovo vigore alla virtú del coraggio, che deve conferirci la forza di agire, partendo dai nostri saldi valori cristiani per operare un mutamento radicale della società.

La rubrica Recensioni si apre con un testo alla cui redazione hanno contribuito diversi autori, i quali hanno partecipato a un ciclo di seminari promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo sul tema “Per un nuovo modello di sviluppo”. Questo libro, a cura di Folena, raccoglie le riflessioni e le analisi di docenti e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore su temi di importanza cruciale quali il lavoro, l’ambiente, l’impresa e la sanità. Illuminante la prefazione del Cardinal Tettamanzi sul legame inscindibile tra carità e verità e la visione dell’uomo come “autore centro e fine” di tutta la vita sociale. In chiusura, la postfazione di Ornaghi, Magnifico Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sull’importanza dell’Università come propulsore di soluzioni nuove continuamente aperta al futuro.

Segue la recensione del libro di Bazoli, Presidente di Banca

Come uomini e come cristiani non possiamo limitarci a osservare passivamente lo scorrere dell’esistenza e limitarci all’accettazione dello status quo. Dobbiamo dare nuovo vigore alla virtú del coraggio, che deve conferirci la forza di agire, partendo dai nostri saldi valori cristiani per operare un mutamento radicale della società

Per superare la crisi economica attuale è necessario ripartire dagli insegnamenti dei Padri Fondatori dell’Europa, che sostenevano la necessità di integrare i mercati, partendo dal presupposto di dotare l’Europa di un’anima al sostanziale servizio del bene comune

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Intesa San Paolo, che si articola in tre capitoli, dedicati rispet-tivamente, alla globalizzazione, al rapporto tra democrazia e mercato e all’azione del cristiano necessaria al perseguimento di un’economia libera e solidale. L’autore si pone una domanda di rilevanza fondamentale: è possibile conciliare e rendere com-patibili il sistema capitalistico vigente nei Paesi Occidentali con i princípi ispiratori della democrazia? Appare necessario, in tal senso, il ruolo del Cristiano improntato a un’ottica di persegui-mento del bene comune.

Di grande attualità è il Rapporto 2009 sulle piccole-medie imprese realizzato dall’Istituto Tagliacarte, in collaborazione con Unioncamere. Dai dati raccolti emerge chiaramente una situazione di crisi profonda, che ha colpito questo settore cosí importante per l’economia italiana. Allo stesso tempo appare forte la volontà degli imprenditori italiani di reagire in modo propositivo per superare la crisi, puntando su un miglioramento della loro “competitività” sul mercato.

Molto stimolante appare la recensione di Rolando Murari sul volume “Il buono dell’economia-Etica e mercato oltre i luoghi comuni”, pubblicato presso l’Editrice dell’Università Bocconi. Un religioso e un economista a confronto su tematiche di grande attualità, domande e risposte incalzanti coinvolgono il lettore facendo sí che si interroghi sul problema dell’applicazione dei princípi etici in campo economico. Al di là delle conclusioni perso-nali tratte dai due interlocutori, emerge dal volume un’indicazione univoca di fondo sulla necessità di norme, regole e l’inserimento e la compenetrazione tra ottica di mercato e valori etici.

Concludiamo, come di consueto, con la parte dedicata alle attività dell’UCID, con attenzione ai rapporti con la CEI, con i gruppi e le sezioni, con diversi movimenti e associazioni laicali e le relazioni internazionali con l’UNIAPAC.

Gli amici della Presidenza Nazionale

Per un nuovo modello di sviluppo

appare fondamentale salvaguardare

il legame inscindibile che esiste

tra carità e verità e rispettare la visione

dell’uomo come “autore, centro e fine” di tutta la vita sociale

È possibile conciliare e rendere compatibili

il sistema capitalistico vigente nei Paesi

Occidentali con i princípi ispiratori

della democrazia? Appare necessario,

in tal senso, il ruolo del Cristiano

improntato a un’ottica di perseguimento del bene comune

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EDITORIAL

We open this UCID letter number with an interesting contribution by Cardinal Turkson, President of the Pontifical Council for Justice and Peace, about the

relationships between economic globalization and the formation of a unique human family. In which way it’s possible to combine these two moments? Globalization is able to make the distant near, to transmit information in fractions of seconds across the globe. However it, while bringing us closer, doesn’t make us more brothers. It’s therefore necessary to understand globalization as a tool for the unification of peoples and for the construction of the universal common good.

On this issue offers his stimulating reflections also the Past President Francesco Merloni. Starting from the consideration that the economic and financial crisis of global proportions, produced extensive damage in the world, with a reduction in income and a rising unemployment, we are given the opportunity to turn this negative situation into a positive one, as an opportunity to a new development model. We have to consider the crisis as an opportunity to change course to affirm the importance of ethical values and the error of the complete separation of the moral order from the economic order, as prophetically indicated in the Encyclical Quadragesimo Anno in 1931 by Pius XI . The Christian entrepreneur has, in this view, a key role to the success of a business culture that values the human person as the centre of the development processes, with his values of freedom, responsibility, dignity, creativity.

Angelo Ferro identifies the core of the crisis in the concept of separateness. To separate and divide, instead of unite and reconcile are the basis of the current crisis. Separate economic from social, market from democracy, wealth from work. It’s necessary to reconcile these separations to give a new meaning to life and development. It’s that suggests us Benedict XVI, in Caritas in Veritate, starting from the principle of generosity and of the gift, which is the meeting place and the glue between freedom and equality on the creation of one human family, in which we are all brothers as children of God Father.

Bertani’s article opens the deepening wondering the root cause of the financial crisis. Bertani identifies, in this crisis, an endogenous factor of fundamental importance: that is, to have gradually undermined the values on which it was based the civil coexistence, not regarded as neither necessary nor useful, but an obstacle to a major development. In this sense, it is emphasized the importance of recovering these values, according to the Social Doctrine of the Church, with the fundamental contribution of associations like the UCID and the world of volunteering.

In this crisis, an endogenous factor of fundamental importance: that is, to have gradually undermined the values on which it was based the civil coexistence, not regarded as neither necessary nor useful, but an obstacle to a major development

it’s necessary a new meaning to life and development

It’s necessary to start from the principle of generosity and of the gift, which is the meeting place and the glue between freedom and equality on the creation of one human family, in which we areall brothers

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It is possible to reconcile and

make compatible the existing capitalist

system, in Western countries,

with the guiding principles

of democracy? Appears necessary i

n this regard, the role of the Christian

imprinted with a view to pursuing the common good.

This crisis has had, as a first result,

a decline of confidence by the economic agents,

whose implications are the heaviest suffered

by small and medium enterprises,

which face a strong credit rationing.

It’ necessary to share the lessons of the Europe

founding fathers, who support the need

to the integration of markets, starting from the assumption of giving

to Europe a soul, at the substantially

service of the common good

Scanagatta, in the following article, “tells” the story of the economic crisis that hit the Europe, spreading from the United States, extending worldwide. This crisis has had, as a first result, a decline of confidence by the economic agents, whose implications are the heaviest suffered by small and medium enterprises, which face a strong credit rationing. It ‘necessary to share the lessons of the Europe founding fathers, who support the need to the integration of markets, starting from the assumption of giving to Europe a soul, at the substantially service of the common good.

It’s fundamental turn our gaze towards change, says Rabotti, Vice President of the UCID section of Frosinone, in his speech at the conference at the Abbey of Casamari. As men and as Christians we cannot just watch the flow of life and simply accepting the status quo. We must reinvigorate the virtues of courage, which should give us the strength to act, starting from our firm Christian values to make a radical change of society.

The part dedicated to the Reviews opens with a book, which drafting have contributed several authors, who participated to a series of seminars promoted by Giuseppe Toniolo Institute on the theme “Towards a new development model”. This book, edited by Folena, collects and analyzes the reflections of teachers and researchers of the Catholic University of Sacro Cuore on issues of critical importance such as employment, environment, enterprise and health. Illuminating the preface, by Cardinal Tettamanzi, on the unbreakable bond between love and truth and the vision of man as “author, centre and end” of all the social life. In closing, an afterword by Ornaghi, Rector of the Catholic University of Sacro Cuore on the importance of the university as an engine of new solutions continuously open to the future. Following the review of the Bazoli’s book, President of the Banca Intesa San Paolo, which is divided into three chapters, devoted respectively to globalization, the relationship between democracy and market and the Christian action necessary to pursue a “free and united economy” . The author poses a question of fundamental importance: it is possible to reconcile and make compatible the existing capitalist system, in Western countries, with the guiding principles of democracy? Appears necessary in this regard, the role of the Christian imprinted with a view to pursuing the common good. Of great relevance is the 2009 Report on small-medium enterprises carried out by the Tagliacarne Institute, in collaboration with Unioncamere. Data shows, clearly, a situation of deep crisis, which hit this area so important for the Italian economy. At the same time there is a strong desire of Italian entrepreneurs to respond proactively to the crisis, focusing on improving their

EDITORIAL

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EDITORIAL

“competitiveness” in the market. It’s very stimulating Roland Murari’s review of the volume “ Il buono dell’economia-Etica e mercato oltre i luoghi comuni “, published by Bocconi University. A clergyman and an economist in comparison on highly topical issues, pressing questions and answers involve the reader, making him to wonder on the problem of the application of ethical principles in economics. Beyond the personal conclusions, drawn from the two interlocutors, emerges a clear indication of the need to fund standards, rules and penetration between market and ethical values.

We conclude, as usual, with the section devoted to the UCID activities, with attention to relations with the CEI, with groups and sections, with different movements and lay associations and international relations with UNIAPAC.

Friends of the National Presidency

We must reinvigorate the virtues of courage,

which should give us the strength to act,

starting from our firm Christian values

to make a radical change of society

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PARTE PRIMA

TEMI GENERALI

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GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

Globalizzazione economica e formazione di un’unica famiglia umana, come coniugare questi due aspetti fondamentali? La nozione di globalizzazione deve essere intesa come uno strumento, che colto nel suo aspetto positivo, può contribuire alla realizzazione del secon-do elemento, la realtà di un’unica grande famiglia umana. Si pone, dunque, il quesito se la globalizzazione costituisca effettivamente un cammino dell’umanità verso l’unificazione e, qualora così non fosse, come poterlo governare in tale direzione. In tal senso fattore unifican-te del mondo globalizzato risulta essere il perseguimento del bene comune.

Economic globalization and the formation of a unique human family, how to combine these two fundamental issues? The concept of globalization must be understood as an instrument, which took in its positive aspect, may contribute to the second element, the reality of one great human family. It arises, therefore, the question of whether globalization is indeed a path towards the unification of humanity and, if not, how you can govern in this direction. Thus, the unifying factor of the global world appears to be the pursuit of the common good.

Cardinale Peter Kodwo Appiah TurksonPresidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

la globalizzazione: per formare Un’Unica grande famiglia Umana

La globalizzazione costituisce un cammino dell’umanità verso l’unificazione e ottiene il perseguimento del bene comune

Prima di offrire una va-lutazione analitica del processo di globalizza-

zione economica, vorrei bre-vemente accennare alla con-cezione cristiana dell’unità del genere umano, per compren-dere quale sia la meta verso la quale dirigere, secondo il pensiero sociale della Chiesa, la crescente interdipendenza economica dei Paesi.

fondamenta cristiane al concetto di Unità della famiglia Umana

Il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana, dunque tutte le persone umane, sono create da Dio a sua immagine e somiglianza. La comunione universale delle persone ha la sua origine in questa comune discendenza, in questa univer-sale figliolanza e fratellanza. Dobbiamo guardare a noi stessi come “figli di Dio in Cristo” da cui deriva una comune figlio-lanza, la confiliazione con tutta l’umanità1.

La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna2.

La somiglianza con Dio mette in luce che l’essenza e l’esistenza

dell’uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo piú profondo. È una relazione che esiste per sé stessa, non arriva in un secondo tempo e non si aggiunge dall’esterno.

La relazione tra Dio e l’uo-mo si riflette nella dimensione sociale della natura umana. La persona è relazione e la relazione diventa per la persona un ele-mento assoluto e non relativo. L’uomo, infatti, non è un essere solitario, bensí «per sua intima natura è un essere sociale, e non può vivere né esplicare le sue doti senza relazione con gli altri»3. Infatti, non è isolandosi che l’uomo valorizza sé stesso, bensí ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. Tali relazioni assumono un’importanza fonda-

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

È la mancanza di fraternità fra i popoli e fra gli uomini una causa importante della povertà e del sottosviluppo. Lo sviluppo dei popoli dipende dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in comunione per il perseguimento di un bene comune universale, che fa riferimento al “mondo” come al grande spazio di un bene non piú riconducibile ad orizzonti particolaristici

sviluppo nel mondo, che invece di settorializzare e dividere la famiglia umana in Paesi sviluppati e Paesi sottosviluppati, integra tutti in un’opera comune di collaborazione. Propone, quindi, un’integrazione in un mondo in cui ogni essere umano si senta inserito e responsabilizzato nei confronti degli altri.

Nell’enciclica Caritas in Veritate Benedetto XVI ci ricorda che in una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, cosí da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio5.

ambivalenza del fenomeno della globalizzazione

Dalla globalizzazione - fe-nomeno ambivalente - emerge il volto di una famiglia umana unificata ma anche sperequata. La globalizzazione è un processo nato dentro i Paesi economicamente sviluppati che per sua natura ha prodotto un coinvolgimento di tutte le economie. Si può affermare che l’interdipendenza planetaria sia stato il principale motore per la fuoriuscita dal sottosviluppo di intere regioni come nel caso del Sud-Est asiatico e di taluni Paesi dell’America Latina. La crescente integrazione mondiale rappresenta di per sé una grande

nella salute, nella sorte, nei legami personali, chiamati da Dio nostro Padre alla salvezza, alla vita eterna.

La globalizzazione è riuscita a porre in rete ciò che era sepa-rato, a immettere nel circuito internazionale sempre piú ampio ciò che era isolato, ad aprire e a mobilitare ciò che era chiuso e statico. Oggi l’umanità appare sempre piú interattiva: questa maggiore vicinanza si deve trasformare in vera comunione. La società globalizzata ci rende vicini ma di per sé non fratelli. È appunto la mancanza di fraternità fra i popoli e gli uomini una causa importante della povertà e del sottosviluppo. Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in comunione per il perseguimento di un bene comune universale, che fa riferimento al “mondo” come al grande spazio di un bene non piú riconducibile ad orizzonti particolaristici. La sua essenza è antropologica ed etica. Deriva da una visione trascendente della persona umana, creata ad immagine di Dio. Su di essa si fondano la dignità inviolabile, l’unità e l’uguaglianza di tutte le persone.

La prospettiva del bene co-mune universale dà contenuto alla vita della famiglia umana. La nostra confiliazione in Cristo ci introduce a un significato del bene comune inclusivo. Ci porta alla convergenza, all’unione, a condividere. Ad un tipo di

mentale anche per i popoli. I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità; hanno una sola origine e un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il cui disegno di salvezza si estendono a tutti4.

Inoltre, la crescente interdipen-denza mondiale, fa sí che oggi nessuno possa realmente pensarsi indipendentemente dagli altri abitanti del globo. Siamo sempre piú interconnessi e condividiamo sempre piú il medesimo destino. L’uomo condivide con i suoi fratelli non solo una comune origine e discendenza, ma an-che un destino comune, quello di creature fragili e vulnerabili

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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Nel 2003, Papa Giovanni Paolo II

segnalava chiaramente come una globalizzazione

che non sia ben governata inasprisca

le condizioni dei piú bisognosi,

e non contribuisca a risolvere

in modo sufficiente situazioni di fame,

povertà e disuguaglianza sociale

GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

Benedetto XVI sottolinea nella sua prima enciclica sociale Caritas in Veritate che la cosid-detta delocalizzazione produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti degli stakeholders (portatori di interesse), quali i lavoratori, i fornitori, i consu-matori, l’ambiente naturale e la piú ampia società circostante, a vantaggio degli shareholders (azionisti), che non sono legati a uno spazio specifico e godono di una straordinaria mobilità. L’impresa del passato era, in un certo senso, naturale che si sentisse responsabile della società locale di riferimento. Oggi l’impresa che può spostarsi da un luogo

maggio del 2003, Papa Giovanni Paolo II segnalò chiaramente come una globalizzazione che non sia ben governata inasprisca le condizioni dei piú bisognosi, e non contribuisca a risolvere in modo sufficiente situazioni di fame, povertà e disuguaglianza sociale. Questi aspetti della globalizzazione, sottolineava il Sommo Pontefice, possono suscitare reazioni estreme, por-tando al nazionalismo eccessivo, al fanatismo religioso e perfino ad atti terroristici7.

delocalizzazione prodUttiva

Una seconda caratteristica che accompagna il fenomeno della globalizzazione è la delocalizza-zione delle attività produttive, il progressivo spostamento di parte della catena produttiva in Paesi compresi in aree economicamente e socialmente piú povere. La motivazione che spinge i pro-duttori verso la delocalizzazione è essenzialmente la ricerca della massimizzazione dei profitti. Infatti, la delocalizzazione delle attività produttive consente alle imprese di sfruttare i vantaggi presenti nei mercati dei Paesi di “destinazione”, quali la ma-nodopera e le materie prime a basso costo, gli sgravi fiscali, riducendo i costi di produzione. In tal modo viene, tuttavia, meno la corrispondenza biunivoca tra il luogo in cui si prendono le decisioni produttive e il luogo in cui l’attività produttiva si esplica e produce i suoi effetti immediati.

opportunità di crescita e riduzione della povertà. È, per usare un termine economico, un gioco a somma positiva.

Tuttavia, se una prima carat-teristica della globalizzazione è quella di ridurre la povertà in senso assoluto mediante un aumento della ricchezza complessiva, non va dimenticato che essa aumenta la povertà in senso relativo, cioè le disuguaglianze tra i diversi gruppi sociali. Ciò non avviene solamente tra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno degli stessi Paesi avanzati e non. La globalizzazione risulta essere un meccanismo molto efficiente nella produzione di nuova ricchezza, ma non lo è altrettanto nella redistribuzione tra tutti coloro che hanno par-tecipato alla sua creazione. La globalizzazione tende, infatti, a remunerare due beni economici particolari, la conoscenza e la capacità tecnologica, che però non sono accessibili e assimi-labili da tutti in eguale misura. Accade cosí che mentre i lavo-ratori superqualificati vedono progressivamente aumentare la loro posizione di benessere, quelli a qualificazione minore vedono progressivamente peggiorare le loro condizioni di vita: i sistemi economici basati sulla produzione di idee tendono, coeteris paribus, a generare piú ineguaglianze dei sistemi basati sulla produzione di materie prime e merci6.

In un suo discorso all’Assemblea Plenaria della Pontificia Acca-demia delle Scienze Sociali, nel

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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Annota la Caritas in Veritate:«le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa»

GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

delocalizzazione, alla nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile9.

È proprio cosí che gli impren-ditori e gli investitori possono contribuire alla realizzazione del bene comune universale e, dunque, anche all’unificazione della famiglia umana nel segno della fraternità.

imprenditori e bene comUne: Una finanza e Un’economia al servizio della società, dei lavoratori

Gli imprenditori possono con-correre in maniera decisiva alla realizzazione di una economia e di una finanza al servizio della persona umana, dei lavoratori e del bene comune quando pongono alla base del loro agire economico motivazioni di tipo etico, non utilitaristiche, fon-date sulla passione per l’altro, sull’amore per il prossimo, non piú visto come strumento dell’affermazione del proprio ego e di massimizzazione dei rendimenti. Un imprenditore animato da queste motivazioni organizzerà l’impresa centran-dola nella reciprocità fraterna (ben differente dallo scambio di equivalenti), con un processo produttivo basato sulla mutua fiducia, sul senso di equità, sul rispetto delle soggettività.

Ciò oggi va realizzato, tra non poche difficoltà, in un contesto in cui le imprese sono chiamate a riscoprire la loro vocazione di servizio agli stessi imprenditori,

il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa»8.

Per l’individuazione di un criterio etico alla responsabilità sociale d’impresa, conforme alla Dottrina sociale della Chiesa, è fondamentale richiamare il princi-pio della centralità della persona umana creata “ad immagine di Dio”, un dato da cui discende l’inviolabilità della sua dignità, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali. Da questo principio consegue la strumentalità dell’attività eco-nomica rispetto alla vita umana e al bene comune. Il fine ultimo dell’attività imprenditoriale e la guida per la gestione aziendale - orientata non solo a generare profitti per i proprietari - sono rappresentati dal bene di tutti, che include quello delle famiglie, dei lavoratori e del territorio.

La delocalizzazione delle imprese - qualora implichi trasferimenti di tecnologie, in-vestimenti di capitali e creazione di posti di lavoro - può favorire nella popolazione che la ospita crescita e sviluppo economico. Tutto dipende in un qualche modo dalle motivazioni che spingono gli imprenditori e gli investitori. Se le loro motivazioni vanno al di là dei calcoli della massimizzazione del profitto, acquisendo una natura metaeco-nomica, di servizio ai piú poveri, esse possono effettivamente contribuire al bene dei Paesi di

all’altro senza gravi impedimenti, si sente meno vincolata.

Per fortuna sta crescendo, negli ambiti accademici ma non solo, la consapevolezza circa la necessità di una piú ampia “responsabilità sociale” dell’impresa, il con-vincimento in base al quale la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di riferimento di soggetti che contribuiscono alla vita d’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. E, tuttavia, annota la Caritas in Veritate «le impo-stazioni etiche che guidano oggi

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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«La dignità della persona e le esigenze

della giustizia - recita la “Caritas in Veritate” -

richiedono che, soprattutto oggi,

le scelte economiche non facciano aumentare

in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza

e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo

dell’accesso al lavoro e al suo mantenimento,

per tutti»

GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

e dall’altro lato all’eclettismo culturale. Infatti, per un verso l’integrazione economica dei Paesi comporta un appiattimento culturale e una omogeneizza-zione degli stili di vita, delle norme sociali e delle tradizioni. I contatti e le frequentazioni tra individui appartenenti a culture diverse provocano aggiustamenti comportamentali per rendere piú agevole il coordinamento interpersonale e piú immediate le transazioni economiche. «Le modifiche intervenute nei com-portamenti retroagiscono, per via endogena, sui valori e i tratti culturali. In questo modo viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni,

umana. La Caritas in Veritate al riguardo è chiara:

«La dignità della persona e le esigenze della giustizia richie-dono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro e al suo mantenimento, per tutti» (n. 32).

Evidentemente, l’impegno dei singoli imprenditori non è sufficiente per tale obiettivo. È necessario il contributo degli Stati, dei vari soggetti sociali. Sono necessarie, anzitutto, politiche attive del lavoro che, tenuto conto della globalizzazio-ne dei mercati, debbono essere impostate eticamente, ossia in modo da salvaguardare sia i diritti oggettivi degli uomini del lavoro del proprio Paese sia i diritti dei lavoratori che operano in quelle Nazioni con le quali esistono legami commerciali, ma che sono spesso sprovviste di forti sindacati e di adeguate legislazioni sociali, oltre che ad essere deboli dal punto di vista economico.

omologazione ed eclettismo cUltUrale: Un’antropologia reale e concreta come condizione di Un dialogo Universale e frUttUoso per l’Unificazione dell’Umanità

Una terza caratteristica della globalizzazione è la tendenza da un lato all’omologazione culturale

ai lavoratori e alla società. La crisi, che stiamo vivendo, è la prova di come, anche nel settore imprenditoriale, si sia talvolta perso di vista il fine ultimo di qualsiasi attività: il bene comu-ne. Infatti, la finanziarizzazione delle imprese ha comportato un passaggio di produzione di profitti sempre piú rivolto alle attività speculative, le quali, a loro volta, hanno visto un au-mento del peso degli investitori finanziari come intermediari fra mercato finanziario e imprese. La finanziarizzazione ha portato a una diminuzione degli inve-stimenti nell’economia reale e a un aumento di investimenti di capitali nei mercati finanziari.

In un momento di crisi econo-mica e di aumento della disoc-cupazione, soprattutto giovanile, gli imprenditori devono tornare ad investire nell’economia reale, in un’economia che “produca” ricchezza sociale. Ciò avviene solamente se sono guidati da uno sguardo lungimirante, che preferisce l’investimento a lungo termine al profitto speculativo, che promuove l’innovazione produttiva rispetto al gioco finanziario, che predilige la promozione del bene comune all’interesse dei pochi.

L’imprenditore, in altre parole, deve portare nel mercato quella cifra di valore che si esprime non solamente nella capacità di far fronte alla concorrenza del mercato, ma di lavorare per rendere il mercato strumento di promozione della dignità

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delle tradizioni dei vari popoli, entro le quali la persona si misura con le domande fondamentali dell’esistenza»10. Ci troviamo di fronte a un fenomeno che si può descrivere con il termine di deterritorializzazione della cultura: la globalizzazione va generando una crescente sepa-razione tra i luoghi in cui viene prodotto la cultura e i luoghi in cui può essere fruita. Sul piano sociale, l’omologazione culturale causa lo sradicamento, la perdita di radici da parte di sempre piú numerosi gruppi sociali e induce le migrazioni.

Per un altro verso, l’interazio-ne tra le culture favorita dalla globalizzazione può compor-tare il rischio di un relativismo culturale, le culture vengono accostate e considerate come sostanzialmente equivalenti e tra loro interscambiabili. Sul piano sociale il relativismo non aiuta il dialogo interculturale, vi è accostamento o convivenza tra i gruppi culturali senza dialogo autentico e vera integrazione.

In tal senso sono eloquenti le parole di Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: «eclettismo e appiattimento culturale con-vergono nella separazione della cultura dalla natura umana. Cosí, le culture non sanno piú trovare la loro misura in una natura che trascende, finendo per ridurre l’uo-mo a solo dato culturale» (n. 26). Quando questo avviene, diviene difficile la realizzazione di una

GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

anche l’appiattimento oppure il relativismo culturale. A questo punto sorge il quesito relativo alla modalità con cui governare la globalizzazione, per attenuare le disuguaglianze delle quali essa fino adesso è stata fonte, per portarla a essere uno strumento unificante della famiglia umana, al servizio del bene di ogni e di tutti gli uomini in ogni parte del globo. La globalizzazione ha certo bisogno di una autorità, in quanto pone il problema di un bene globale da perseguire. Tuttavia l’autorità mondiale richiesta non deve dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico. Essa deve allora essere di natura sussidiaria, per non attentare alla libertà e per essere concretamente efficace.11

Dunque se da un lato occorre un’autorità politica mondiale, resa necessaria dall’esistenza di un bene comune universale che non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata, dall’altro lato quest’ultima deve essere orga-nizzata in maniera sussidiaria e poliarchica, articolata su piú livelli e con piú centri di potere.

Le istituzioni non mancano a livello regionale o mondiale. Si tratta, allora, di riformare talune istituzioni e al contempo istituirne di nuove in base alle esigenze fatte emergere dal processo di globalizzazione. Tra gli esperti si va sempre piú affermando la necessità di riformare le Nazioni Unite affiancando all’attuale assemblea delle Nazioni Unite

grande famiglia umana perché viene cosí messa in discussione la concezione della persona umana creata “ad immagine di Dio”, con un’inviolabile dignità, aperta verso la trascendenza. Questa chiusura alla trascendenza non solo mina alla radice il concetto stesso di persona umana, ma - come mostra la storia - mette in pericolo la vita stessa dell’uomo. Nel suo messaggio per la Gior-nata Mondiale della Pace 2007, Benedetto XVI affermava «una visione “debole” della persona, che lasci spazio a ogni eccentrica concezione, solo apparentemente favorisce la pace. In realtà im-pedisce il dialogo autentico e apre la strada all’intervento di imposizioni autoritarie, finendo cosí per lasciare la persona stessa indifesa e, conseguentemente, facile preda dell’oppressione e della violenza» (n. 11).

governance globale

Dalla breve analisi degli ele-menti caratteristici della globa-lizzazione emerge l’opportunità di governarla per promuovere l’unità della famiglia umana e perseguire il bene comune universale. Come si è visto il processo della globalizzazione da solo non riesce nell’intento: riduce la povertà nel mondo ma aumenta le disuguaglianze, fa-vorisce la delocalizzazione delle attività produttive all’estero ma non sempre favorisce lo sviluppo umano integrale nei Paesi di delo-calizzazione, comporta l’incontro fra le diverse culture ma induce

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GLOBALIzzAzIONE ECONOMICA

finanziaria e commerciale. Senza accordi, regole di trasparenza fissate e fatte rispettare dall’intera comunità internazionale, i mercati finanziari non funzionano12.

conclUsione

Vorrei concludere richiamando alla nostra memoria quanto Papa Giovanni Paolo II affermava nel suo discorso ai membri della Pon-tificia Accademia delle Scienze Sociali, del 27 aprile 2001, «la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno». Senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può, infatti, concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni nella famiglia umana13.

Nel giorno della festa di Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, Patrona d’Italia e d’Eu-ropa, non posso esimermi dal ricordare che Santa Caterina, la mistica illetterata, concepiva la carità come l’amore ineffabile che l’anima trae dal suo Creatore. «Perché dono ricevuto da tutti, la carità nella verità è una forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini. La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità vera-mente universale: l’unità del genere umano, una comunione

una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale per dare reale attuazione al principio di sussidiarietà. Si consentirebbe cosí alle organizzazioni della società civile di andare oltre i compiti di advocacy e di de-nuncia per assumere ruoli ben definiti di “policy making”. Nel contempo per evitare il ripetersi di quel concatenarsi di eventi che ha portato all’attuale crisi economico-finanziaria, potrebbe risultare opportuno dare vita al Consiglio di Sicurezza socio-economico delle Nazioni Unite in appoggio all’attuale Consiglio di Sicurezza militare.

Potrebbe, in aggiunta, risul-tare opportuno istituire una Organizzazione Mondiale delle Migrazioni e una Organizzazione Mondiale per l’Ambiente sul modello dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, ossia aventi la facoltà di far rispettare mediante un processo sanzionatorio dalle parti le proprie decisioni. In mancanza di ciò il diritto internazionale rischia di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i piú forti. Infine, potrebbe rivelarsi opportuno aggiornare l’opera svolta nel 1944 a Bretton Woods quando si disegnò un nuovo ordine economico internazionale.

La crisi, infatti, ha indubbia-mente riportato in primo piano l’urgenza di individuare nuove forme di coordinamento inter-nazionale in materia monetaria,

fraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola Dio-Amore»14.

Relazione presentata in occasione dell’incontro del 20 aprile 2010 a Roma del Comitato Tecnico Scientifico dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID).

1) Cfr. Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Relatio post-disceptationem, in “Bollettino Synodus Episcoporum, II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi 4-25 ottobre 2009”, 13.10.2009, n. 23, pag. 6.2) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, n. 19.3) Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 8 dicembre 1965, n. 12.4) Concilio Vaticano II, Nostra Aetate, 28 ottobre 1965, n. 1.5) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 7.6) Cfr. Stefano Zamagni, Relazione su Democrazia, Sviluppo Economi-co e Governance Globale, pag. 3, Convegno dell’Istituto Culturale di Scienze Sociali Nicolò Rezzara, 2005, Recoaro Terme.7) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 2 maggio 2003.8) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 40.9) Ibid.10) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 26.11) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 57.12) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Un nuovo Patto Finanziario Internazionale, 18 novembre 2008, n. 3a.13) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 33.14) Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 34.

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PARTE PRIMA

TEMI GENERALI

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La crisi economico-finanziaria ha prodotto ingenti danni a livel-lo mondiale, soprattutto per i lavoratori che hanno sperimentato e sperimentano tuttora disoccupazione e diminuzione di reddito. Tutti noi abbiamo la grande opportunità di ripartire da queste basi per affermare l’importanza dei valori etici nell’affrontare le sfide che la globalizzazione ci pone, quali la lotta contro la povertà e l’incremento dell’occupazione. In tal senso l’imprenditore cristiano si pone come fi-gura centrale per l’affermazione di una cultura d’impresa che valorizzi la persona umana e sia tesa alla realizzazione del bene comune.

The economic and financial crisis has resulted extensive damage, worldwide, especially for employees who have experienced, and still experience, unemployment and decreased income. We all have a great opportunity to start from this basis, to affirm the importance of ethical values in addressing the challenges that globalization presents us, such as, combating poverty and increasing employment. Thus, the Christian entrepreneur acts as a central figure for the establishment of a corporate culture, that values the human person and it is aimed in achieving the common good.

Francesco MerloniPresidente del Comitato Tecnico Scientifico UCID

La crisi finanziaria ed economica internazio-nale sembra oggi av-

viata alla sua conclusione. Vi sono segni di una nuova ripre-sa; il prossimo futuro ci dirà se è affidabile e durevole.

Ma i danni che questa crisi ha provocato hanno messo in luce quali drammatiche conseguenze possono avere origine se si parte da una visione distorta della finanza e della globalizzazione.

Perché è distorto il concetto di un mercato finanziario globale privo di qualunque regola, come è stato teorizzato e applicato in larga misura da molti operatori internazionali.

Perché è distorto un sistema di transazioni finanziarie svicolato da ogni riferimento all’economica

produttiva, la sola in grado di creare vero sviluppo.

Perché, infine, una finanza e un’economia globali che non abbiano fondamenti etici creano soltanto l’illusione dello svi-luppo, ma in realtà alimentano l’ingiustizia e l’iniquità.

Gli effetti di questa crisi si sono abbattuti pesantemente sulle imprese, in particolare su quelle piú piccole e piú fragili finanziariamente: molte sono state costrette a ridurre l’attività, se non addirittura a chiudere.

Ne hanno sofferto, per gran parte, i lavoratori che hanno dovuto affrontare la disoccu-pazione, la diminuzione del reddito, la riduzione del tenore di vita.

Molto meno ne hanno sof-ferto le banche e le istituzioni finanziarie, che pure hanno la prima e vera responsabilità di questa crisi.

Ma ancora piú gravi sono le conseguenze che si manifestano sul piano dell’opinione pubblica e dei Governi, in particolare nei Paesi piú industrializzati.

L’economia mondiale sta correndo il rischio di richiudersi nel protezionismo.

Le due maggiori potenze economiche mondiali - gli Stati Uniti e la Cina, il cosiddetto G2 - si stanno confrontando in un acceso conflitto commerciale, presupposto di una competizione per la supremazia economica mondiale.

L’Unione Europea, che, sulla base dei numeri, sarebbe la prima

Processi di globalizzazione economica e di umanizzazione

Gli imprenditori cristiani sono impegnati a propagare i propri valori nella pratica quotidiana del lavoro e in un rapporto costruttivo con le realtà locali

BENE COMUNE

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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La grande opportunità che abbiamo oggi

è la possibilità reale di superare

molte ingiustizie. Cogliere questa

opportunità è la sfida epocale che

la globalizzazione propone a tutti noi.

È una sfida politica, per-ché combattere

la povertà significa allontanare

le prospettive di conflitti sanguinosi e devastanti

BENE COMUNE

sfida morale; nel dettato evangelico «fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te», gli “altri” non sono una cerchia ristretta, e non sono, neanche, i poveri piú “vicini” a noi, ma sono tutti gli uomini, con uguali dignità e uguali diritti a migliorare la loro esistenza.

La globalizzazione è, quindi, l’ambiente e la condizione in cui è possibile, ancor piú che in passato, perseguire il bene comune dell’intera umanità.

E “bene comune” non è un’astra-zione intellettuale.

Afferma la Dottrina Sociale della Chiesa che «dalla dignità, unità e uguaglianza deriva il principio del bene comune, al quale deve riferirsi ogni aspetto della vita

il merito di aver accelerato la crescita dell’economia mon-diale e di aver fatto emergere dall’arretratezza e dalla povertà piú di due miliardi di persone, che in meno di un decennio sono entrate nell’area dello sviluppo e procedono verso livelli di vita piú accettabili.

Ma dobbiamo anche riflet-tere sul fatto che alla crescita mondiale si è accompagnato un aumento delle disparità fra ricchi e poveri, sia tra diverse aree del mondo, sia all’interno degli stessi Paesi avanzati. Credo che debba turbare profondamente la nostra coscienza di uomini e di cristiani il fatto che, tuttora, un miliardo di esseri umani soffre la fame e non ha accesso all’acqua potabile, alle cure piú elementari, a un minimo di istruzione.

La grande opportunità che abbiamo oggi è la possibilità reale di superare queste ingiustizie, che nessuno può piú fingere di non vedere.

Cogliere questa opportunità è la sfida epocale che la globaliz-zazione propone a tutti noi.

È una sfida politica, perché combattere la povertà significa allontanare le prospettive di conflitti sanguinosi e devastanti; ce lo ricorda Paolo VI, quando afferma che «lo sviluppo è l’altro nome della pace». (Populorum Progressio, 87).

È una sfida economica, perché da uno sviluppo esteso all’intera comunità umana l’economia di tutti ne trarrebbe giovamento.

E, infine, e soprattutto, è una

economia del mondo, non solo non progredisce, ma sembra mettere in discussione i suoi princípi cardine, quelli della solidarietà e della pari dignità fra i Paesi Membri.

Ma le difficoltà della crisi contribuiscono anche ad attenuare le regole della convivenza civile e il senso della comunità. Si vanno diffondendo sentimenti di nazionalismo esasperato e di rifiuto dello straniero e del “diverso”.

Si va diffondendo un calo dello spirito di solidarietà che pervade tutti i gangli della società civile: aumentano gli egoismi e si attenuano le regole della convivenza civile.

L’Italia, purtroppo, è un triste esempio di questa situazione.

Si assiste a un impressionante degrado della moralità pubblica a tutti i livelli.

Si rafforzano i privilegi corpo-rativi, ostacolo a quella mobilità sociale che è uno dei presupposti per il riconoscimento del merito e per la promozione dell’equità distributiva.

E titolo di particolare demerito per il nostro Paese è quello di avere bloccato ogni risorsa a sostegno delle attività caritatevoli e di essere ultimi negli aiuti allo sviluppo.

Eppure, è la globalizzazione il «traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta» per usare le parole di papa Benedetto XVI (Caritas in Veritate, 27).

Certo, la globalizzazione ha

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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“Dignità, unità, uguaglianza”, per tutti gli uomini, sono, da piú di duemila anni, il senso profondo del Messaggio di Gesú Cristo che ha cambiato radicalmente la concezione antica dei rapporti fra le persone e fra i popoli. Non sempre, tuttavia, ha trovato applicazione contro il prevalere degli egoismi e dei particolarismi personali, di categoria, di nazione

BENE COMUNE

evitando di dedicare il suo scopo istituzionale esclusivamente al profitto di breve.

Ma l’impresa, per il suo ruolo sociale, ha anche la responsabi-lità dell’esempio, che compete in primo luogo alle persone dell’imprenditore e dei suoi principali collaboratori.

L’imprenditore, infatti, è un rappresentante autorevole della classe dirigente, dei “primi” della società.

In un mondo mediatico come quello di oggi, ogni suo atteggia-mento, ogni sua dichiarazione sono esposti alla valutazione del pubblico e generano processi di imitazione.

C’è quindi, per l’imprenditore, un’ulteriore responsabilità, che è quella di propagare i princípi dell’onestà e della correttezza personale e professionale.

Per tutte queste ragioni, da qualche tempo l’argomento “etica di impresa” richiama l’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni, dello stesso mondo imprenditoriale.

Ad esempio, già nel 2001, la Commissione Europea aveva ritenuto opportuno pubblicare un Libro Verde sulla “Responsabilità sociale dell’impresa”.

E sempre piú vengono pubblicati dalle imprese Manuali Etici che dettano regole di comportamento per i collaboratori e per i loro rapporti con il mondo esterno.

Si calcola che, negli Stati Uniti, l’85% delle Aziende ha emanato un “manuale etico”.

Se si apre Google, su Internet,

uomini si è allontanato dalla luce del Vangelo e ha ceduto alle suggestioni dell’interesse economico, del guadagno, del potere.

Credo, allora, che proprio sulle sfide che la globalizzazione ci propone noi cristiani dobbiamo trarre motivo per rafforzare ed estendere l’obbligo di essere “mis-sionari” del bene comune.

È su questa ricerca del bene comune universale che si colloca la nostra responsabilità di im-prenditori, in particolare di noi “cristiani” imprenditori.

Sul tema della “responsabilità” si confrontano opinioni diverse e contrastanti.

C’è chi afferma che le finalità dell’impresa sono diverse da quelle dello sviluppo sociale; l’impresa, si dice, deve pre-occuparsi di fare profitto e di remunerare gli investitori.

È una visione ristretta e ridut-tiva, anche da un punto di vista, per cosí dire, “laico”.

Ma ancor piú dal punto di vista cristiano.

In realtà, l’impresa non è un corpo separato dalla società; al contrario, ne fa parte integran-te, con ruoli e responsabilità primarie.

All’impresa si chiede, certo, di creare occupazione e reddito, ma anche di promuovere e diffondere conoscenze e professionalità nel mondo del lavoro e contribuire allo sviluppo culturale e civile.

A questo scopo, è essenziale che l’impresa imposti la sua attività su una visione di lungo periodo,

sociale» (Compendio, 164.)Non sono concetti nuovi. “Dignità, unità, uguaglianza”,

per tutti gli uomini, sono, da piú di duemila anni, il senso profondo di quel Messaggio di Gesú Cristo che ha cambiato radicalmente la concezione antica dei rapporti fra le persone e fra i popoli.

Questo Messaggio è stato costantemente ripreso dalla dottrina e dall’insegnamento della Chiesa.

Non sempre, tuttavia, ha trovato applicazione contro il prevalere degli egoismi e dei particolari-smi personali, di categoria, di nazione.

Questo è accaduto ogni volta che il comportamento degli

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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Dobbiamo ricordare che la concorrenza

da parte dei Paesi un tempo arretrati è il segno di uno sviluppo cui anche

essi hanno diritto. Un diritto che

non possiamo negare, se vogliamo

corrispondere al principio della

solidarietà universale, che è uno dei cardini

dell’insegnamento cristiano.

Propagare l’area dello sviluppo è anche

il modo piú corretto per frenare

la pressione migratoria

BENE COMUNE

Un tema su cui dovremmo porre particolare attenzione è l’internazionalizzazione delle imprese.

Di fronte alla crescente ag-gressività della concorrenza, è diventato sempre piú necessario, per le imprese proiettate sui mercati internazionali, presidiare localmente anche i mercati piú lontani, soprattutto quelli con maggiore potenzialità di crescita, come quelli dell’Asia e dell’Est Europeo.

In una prima fase, le imprese hanno esportato i loro prodotti in questi Paesi collocandoli attraverso operatori locali, e, successivamente, attraverso reti commerciali dirette.

asiatici, esercitano sulle nostre produzioni piú tradizionali.

Si invocano misure di prote-zione, tariffe doganali, contin-gentamenti.

È, a mio avviso, una battaglia di retroguardia.

Certo, possiamo e dobbiamo pretendere che le regole del commercio internazionale ven-gano applicate in egual misura da tutti.

Ma alla nuova competizione le nostre imprese devono saper corrispondere migliorando la qualità delle produzioni e dei prodotti, l’innovatività della tecnologia, il livello del design.

Non con la chiusura dei mercati.

Dobbiamo avere ben chiaro che la concorrenza da parte dei Paesi un tempo arretrati è il segno di uno sviluppo cui anche essi hanno diritto.

Un diritto che non possiamo negare, se vogliamo corrispon-dere, nella sostanza, e non solo a parole, al principio della so-lidarietà universale, che è uno dei cardini dell’insegnamento cristiano.

Propagare l’area dello sviluppo è anche il modo piú corretto per frenare la pressione migratoria; ricordiamo che gli italiani hanno smesso di emigrare quando si sono moltiplicate le opportunità economiche in patria.

Forse dovremmo, anche, ricor-darci che un tempo eravamo noi italiani i fastidiosi concorrenti di Paesi allora piú industrializzati del nostro.

la voce “manuale etico” dà oltre 760.000 entrate!

Ma tutto questo non basta certo a garantirci che tutte le imprese siano “socialmente responsabili”.

Forse, tutti ricordiamo il caso Enron, come esempio di ammini-strazione corrotta; ma forse, non tutti sanno che Enron, nel 2003 vinse il premio per il miglior manuale etico, appena un anno prima che i suoi massimi dirigenti venissero arrestati per frode e bancarotta fraudolenta!

La realtà è che un compor-tamento etico, per essere vero e credibile, deve nascere dal radicamento nella cultura e nella coscienza delle persone.

Da questo punto di vista, noi cristiani imprenditori abbiamo un “supplemento di responsabi-lità”; è quella di uniformare il nostro operato all’insegnamento del Vangelo.

Motivo centrale di questo in-segnamento è il riconoscimento della centralità della persona umana.

Per citare ancora l’Enciclica, «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, nella sua persona e nella sua integrità» (Caritas in Veritate, 25).

A questo proposito, una que-stione particolarmente critica, nel momento attuale, è il cambiamento radicale del quadro competitivo generato dalla globalizzazione dell’economia.

Ci si lamenta, spesso, della concorrenza che i Paesi emer-genti, e in particolare, quelli

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La presenza di un’attività produttiva in un Paese emergente impone l’obbligo di applicare anche qui le regole fondamentali dell’impresa responsabile: contribuire allo sviluppo economico e civile, anche attraverso la formazione, il trasferimento di tecnologie, la trasmissione di pratiche manageriali. Per l’imprenditore cristiano, internazionalizzazione significa anche farsi portatore del Vangelo

BENE COMUNE

Dall’altro, la presenza di un’attività produttiva in un Paese emergente impone l’ob-bligo di applicare anche qui le regole fondamentali dell’impresa responsabile: contribuire allo sviluppo economico e civile, anche attraverso la formazione, il trasferimento di tecnologie, la trasmissione di pratiche manageriali. Per l’imprenditore cristiano, internazionalizzazione significa anche farsi portatore del Vangelo.

È un ruolo, certamente, piú pacifico di quello che, in passato, si arrogavano le potenze coloniali, che spesso usavano il Messaggio evangelico come giustificazione di esclusivi interessi economici, talvolta sostenuti anche dagli eserciti.

Oggi, questa è una pratica oramai cancellata dalla storia.

Non ci sono piú dubbi sul fatto che la Fede non debba e non possa essere imposta con la forza o con la costrizione.

L’impegno che compete a noi imprenditori cristiani è quello di propagarla con la pratica quotidiana del lavoro e in un rapporto costruttivo con le realtà locali.

È un impegno che comporta di comprendere le diversità, apprez-zare i valori altrui, rispettare le loro tradizioni e la loro cultura, senza cedimenti sulla nostra Fede e sui nostri princípi. In questo senso, l’internazionalizzazione ha anche l’aspetto e i contenuti della “missione” cui tutti i cri-stiani sono chiamati, ciascuno

Delocalizzare soltanto per fruire di un costo del lavoro piú basso è, infatti, una scelta di breve respiro, dal momento che l’aumento inevitabile delle retribuzioni locali, combinato spesso con la minore produttività, ne limita sensibilmente i vantaggi nel medio periodo.

Al contrario, l’internazionaliz-zazione di cui noi parliamo è una scelta di strategia imprenditoriale con tutte le sue implicazioni, le sue complessità, i suoi problemi da affrontare.

C’è, talvolta, una certa difficoltà a cogliere questi aspetti; allora, si critica la delocalizzazione produttiva come sottrazione di opportunità di lavoro nel luogo di origine dell’impresa.

In realtà, molto spesso, si tratta di una condizione indispensabile per garantire la competitività e la continuità dell’impresa nel tempo, evitando di mettere a rischio la sua sopravvivenza anche in patria.

D’altra parte, la nuova divisio-ne internazionale del lavoro ha spostato verso i Paesi emergenti la convenienza per le attività produttive piú elementari, e di questo occorre tenere con-to nelle strategie di sviluppo dell’impresa.

Tutto ciò pone nuove sfide etiche all’imprenditore cristiano.

Da un lato, il principio della centralità della persona umana impone gradualità e cautela nel modificare la situazione dell’occupazione nel territorio di origine.

Ma oggi, di fronte alla globaliz-zazione dell’economia e all’emer-gere della nuova concorrenza, è diventato necessario fabbricare, sul posto, prodotti che avrebbero oneri di trasporto incompatibili con le lunghe distanze, e sarebbero, inoltre, colpiti da dazi doganali eccessivi.

Questa presenza diffusa delle imprese nel mondo è l’interna-zionalizzazione; un tempo poteva essere un’opzione, ma oggi, di fronte alla competizione globale, è divenuta una scelta inevitabi-le. Qualche volta si confonde l’internazionalizzazione con la delocalizzazione produttiva, che ne è solo un aspetto parziale e riduttivo.

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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UCID Letter • 2/2010

Di fronte alla globalizzazione di oggi,

noi cristiani abbiamo come riferimento, da piú di duemila anni, un’altra

globalizzazione: quella dell’universalità

del Messaggio evangelico e della Chiesa.

Un’universalità che comprende tutti gli

uomini, senza confini di territorio, di lingua,

di cultura e riconosce a tutti, senza distinzione,

l’uguale diritto a partecipare

al cammino verso il bene comune

BENE COMUNE

In un mondoin cui diventa

sempre piú diretto e serrato il confronto

fra diverse realtà economiche, politiche e

sociali, il principio cristiano

dell’uguaglianza di fronte a Dio

è la guida etica fondamentale

dei nostri comportamenti; anche, e soprattutto, di noi imprenditori.

cinesi, per essere accettato dal popolo e dalle classi dirigenti. Parlò ai cinesi del Dio dei cri-stiani, chiamandolo “Signore del Cielo”, perché essi potessero piú facilmente accettarlo come Dio unico e vero.

Matteo Ricci fu anche uno dei primi “globalizzatori” della cultura e della scienza occi-dentale; la sua autorevolezza di “sapiente” contribuí a dare prestigio e credibilità alla sua missione. Per tutto ciò soffrí anche i rigori dell’Autorità ecclesiastica, che guardava con diffidenza al suo innovativo metodo missionario.

Ma fu proprio con questo metodo che riuscí ad aprire al Messaggio evangelico la Cina, di cui fu il primo evangelizzatore.

Questi meriti, oggi, gli sono ampiamente riconosciuti; si parla di un suo processo di beatificazione.

Credo, allora, che la figura di questo grande Missionario possa essere presa come esempio da tutti noi imprenditori cristiani.

Matteo Ricci propagava la Fede attraverso la cultura e la scienza; a noi, imprenditori cristiani, spetta trasmetterla attraverso il nostro lavoro, il nostro esempio, il nostro impe-gno nella costruzione del bene comune universale.

Relazione presentata in occasione dell’incontro del 20 aprile 2010 a Roma del Comitato Tecnico Scientifico dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID).

nel proprio ruolo. Di fronte alla globalizzazione di

oggi, noi cristiani abbiamo come riferimento, da piú di duemila anni, un’altra globalizzazione: quella dell’universalità del Messaggio evangelico e della Chiesa. Un’universalità che comprende tutti gli uomini, senza confini di territorio, di lingua, di cultura e riconosce a tutti, senza distinzione, l’uguale diritto a partecipare al cammino verso il bene comune.

È San Paolo a ricordarci che «non c’è piú né giudeo né greco, né schiavo né libero, perché tutti siete un sol uomo in Cristo Gesú» (Gal 3,28).

In un mondo in cui diventa sempre piú diretto e serrato il confronto fra diverse realtà economiche, politiche e sociali, il principio cristiano dell’ugua-glianza di fronte a Dio è la guida etica fondamentale dei nostri comportamenti; anche, e soprat-tutto, di noi imprenditori.

Di questo comportamento abbiamo, proprio quest’anno, un esempio luminoso in Padre Matteo Ricci, di cui ricorre il quattrocentesimo anniversario della morte.

Gesuita, Missionario in Cina dal 1583, si fece interprete dell’universalità della Chiesa calandosi nelle diversità di un popolo lontano e, all’epoca, quasi sconosciuto all’Occidente.

Imparò e praticò la lingua cinese per far comprendere meglio la sua predicazione.

Si adattò agli usi e alle tradizioni

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PARTE PRIMA

TEMI GENERALI

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Questa Enciclica inter-viene in un periodo particolare di crisi

che stiamo vivendo. In gene-re le crisi si manifestano in due modi: nel primo, c’è una situazione di fatto gestita in un certo modo e, all’esterno, sono presenti forze o situazio-ni che cercano di modificare quell’assetto.

Cosí storicamente è successo con la Rivoluzione Francese e con la Rivoluzione di Ottobre comunista; cosí è stato nel 1929, quando la crisi nasceva su chi possedeva l’oro e invece si voleva che la moneta fosse mezzo per crescere, senza le limitazioni derivanti dalle provenienze minerarie.

Nel secondo caso, le crisi pro-

vengono dall’interno, perché non c’è piú un senso, una direzione di marcia comune e condivisa. Ne è esempio il Medioevo che ha avuto nella regola benedettina e nella capacità di san Francesco, l’opportunità di dare un nuovo orientamento all’economia e un nuovo senso alla vita.

Le separatezze, segno di crisi. La crisi che stiamo vivendo si manifesta come una crisi di implosione di una situazione interna soprattutto del mondo economico che non riesce piú a dare un senso organico allo sviluppo.

Le ragioni della crisi presente sono da ricercare soprattutto nelle separatezze, e cioè nel ritenere che piú frammento una tendenza, un problema, piú è facile risolverlo.

Ma questa genesi provoca un modo disarticolato, incapace di unitarietà. Esaminiamo le principali separatezze.

L’economico separato dal sociale. La società è organizzata con sistemi politici che non hanno a cuore le problematiche dell’efficienza e dell’efficacia, ma altri tipi di criteri-guida. I due elementi guida nell’eco-nomia - efficienza ed efficacia - dissociano l’economico dal sociale per cui nel mondo della produzione questi sono decisivi, nel mondo del sociale valgono altri (populismo, demagogia, interesse della propria parte politica ecc.).

Il separare anziché l’ unire sta alla base della crisi attuale: sepa-rare l’economico dal sociale, il mercato dalla democrazia, la ricchezza dal lavoro. Per dare un vero senso allo sviluppo e alla vita è necessario ricomporre queste separatezze. Così Benedetto XVI, nella sua encicli-ca Caritas in Veritate, ci esorta all’unione, al principio della gratuità del donarsi agli altri e alla fratellanza che costituisce il collante tra libertà e uguaglianza nella creazione di una sola famiglia umana ac-comunata dall’essere tutti figli di Dio.

The separation rather than the union; it’s behind the current crisis: separate the economic from the social the market from democracy, the wealth from work. To give a real sense to development and life is necessary to reconstruct these separations. Thus, Benedict XVI in his encyclical, Caritas in Veritate, urges us to the union, the principle of giving to others as a gift and to brotherhood, which is the tie between freedom and equality in the creation of one human family united from being all God’ children.

Angelo FerroPresidente UCID Nazionale

ricomPorre le seParatezze

Fraternitàe reciprocità: sono queste le componenti del DNA imprenditoriale che rendono credibile il credente

CENTRALITà DEL DONO

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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UCID Letter • 2/2010

Il Papa dice: «Non c’è l’intelligenza

e poi l’amore, ma c’è l’amore ricco di intelligenza

e l’intelligenza piena di amore». Quando

noi facciamo solo un discorso razionale di

efficienza e di efficacia e non comprendiamo

che esiste tutta una serie di dimensioni relazionali

legate al rapporto con gli altri sulla base

della comune fratellanza,

non riusciamo a dare un senso

alla nostra attività

CENTRALITà DEL DONO

l’esistente, ma per andare oltre, (anche nel trascendente) secondo un progetto divino pensato per te. Cosí, il cristiano, il credente diventa credibile. Come? Il Papa esamina tutte le realtà, e per chi è legato al mondo dell’economia c’è il grande recupero della di-mensione dell’impresa.

il rUolo dell’impresa

L’impresa è stata vista come uno strumento per fare soldi, il Papa invece dice che l’impresa è uno strumento che serve per coagulare energie e fare in modo che attraverso l’insieme (non le separatezze), di queste energie, con l’unione delle diverse realtà, delle diverse componenti, si

unità le separatezze. Per quanto riguarda l’economia, nell’En-ciclica sono presenti due frasi, che a mio avviso colgono la necessità di ricomporre tutte queste separatezze. Il Papa dice: «Non c’è l’intelligenza e poi l’amore, ma c’è l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore». Quando noi facciamo solo un discorso razio-nale di efficienza e di efficacia e non comprendiamo che esiste tutta una serie di dimensioni relazionali legate al rapporto con gli altri sulla base della comune fratellanza, cioè dall’amore, non riusciamo a dare un senso alla nostra attività.

Fare, conoscere, avere per

essere di piú. “Fare”, “cono-scere” e “avere” sono tre verbi che fanno parte del linguaggio imprenditoriale. Il fare è l’azione, la capacità di intraprendere. Per intraprendere devo conoscere, applicare le conoscenze in modo che non rimangano al livello teorico, ma si confrontino nei comportamenti, nelle scelte, nei processi produttivi e nella distribuzione. Infine, avere, nel senso che deve accumularsi un processo. Questi verbi visti separatamente non funzionano, occorre una sequenza per cui il fare, il conoscere e l’avere servano per essere di piú.

Essere di piú: ecco il punto. Tu, persona, aspiri ad anda-re oltre, non sei venuto qui per custodire, per mantenere

La separatezza della ricchezza dal lavoro. Era consuetudine che la ricchezza provenisse dall’at-tività lavorativa, che consentiva di accumulare risparmio e di creare risorse; oggi la dinamica finanziaria non tiene piú conto delle problematiche del lavoro e si separa da questo. Spesso proviamo solo tristezza quando un’azienda che ristruttura licenzia i lavoratori e intanto il titolo in borsa guadagna. Separare la ricchezza dal lavoro crea un circuito vizioso, non virtuoso.

Il mercato separato dalla democrazia. Il mercato è un’isti-tuzione della democrazia perché consente a tutti di poter eserci-tare le proprie scelte in termini equilibrati, e quindi deve avere delle regole. Oggi assistiamo alla grande esplosione dell’economia cinese, che però non ha niente a che vedere con gli aspetti della democrazia, e il mercato assume una forma che non è la nostra degli anni del dopoguerra, ma una forma totalmente diversa. Viene separato: l’economico dal sociale, il mercato dalla democrazia, gli strumenti dai fini, l’uomo dalla comunità, l’uomo nell’essere persona (il corpo dall’anima). Tutto ciò sta alla base dell’incapacità di dare un senso complessivo all’azione dell’uomo.

la ricomposizione delle separatezze

Per dare senso allo sviluppo e alla vita, occorre riportare a

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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La libertà “da” e la libertà “di” sono indispensabili ma non bastano, dice il Papa, occorre la libertà “per” per essere di piú. È la libertà per essere di piú che dà senso a quella relazione fondamentale che a livello orizzontale è la relazione tra gli uomini e, a livello verticale, è la relazione con Dio

CENTRALITà DEL DONO

libertà “da”, libertà “di” e libertà “per”

Nella Dottrina sociale della Chiesa si è notato spesso una certa attenzione alla tendenza anglosassone a vedere nella ricchezza già il segno di be-nedizione. (We trust in God, è scritto nel dollaro degli Stati Uniti). Non basta, dice il Papa, occorre aggiungere il “per”: fare, conoscere, avere “per” essere di piú.

La libertà, che è la caratteristica principale dell’attività impren-ditoriale, sprigiona creatività e risorse, dimostra di essere in grado di liberarci dai bisogni. È il libera nos a malo, del Padre Nostro: liberi dalle malattie, tanto è vero che abbiamo allungato l’età della vita; liberi dalla mor-talità infantile, tanto è vero che l’abbiamo ridotta con la libertà “di” iniziativa, “di” ricerca, “di” trovare soluzioni.

La libertà “da” e la libertà “di” sono indispensabili ma non bastano, dice il Papa, occorre la libertà “per” per essere di piú. È la libertà per essere di piú che dà senso a quella relazione fonda-mentale che a livello orizzontale è la relazione tra gli uomini e, a livello verticale, è la relazione con Dio. Il comandamento è: «Amatevi gli uni con gli altri», dimensione orizzontale, «come io ho amato voi», dimensione verticale. È qui la nostra ca-pacità di essere credibili per essere credenti. La dimensione della gratuità e del dono assume dunque nell’Enciclica la forza

dimensione del rapporto con i propri collaboratori consiste nel trovare dei fini comuni per produrre di piú; sa che l’essenza di tutto è dare qualcosa di piú perché solo dando di piú si è qualcosa di piú. Ecco il discorso dell’“andare oltre”. Dobbiamo guardare dentro le cose, le realtà e capirne il significato.

Queste parole del Papa segnano il grande salto culturale della dottrina sociale cristiana rispetto alle altre religioni, si capisce che il linguaggio del cristianesimo è linguaggio di amore. Perché è l’amore la forza interiore che fa andare oltre.

L’approccio cristiano è entusia-smante, non si trova in nessuna altra religione un Dio che si è fatto uomo per vivere con noi tutte le ambiguità della nostra esistenza, e accompagnarci nel capire che c’è una finalità superiore.

È entusiasmante questo ap-proccio di un Dio che si fa uomo come noi; è venuto in terra per amore nostro e ci dona con la sua morte, il riscatto dai limiti dell’esistenza terrena.

Ho trovato molto bello il mes-saggio del Vescovo Golser sul dono, sull’amore sulla volontà di fare il bene.

E il bene non lo fa chi lo teorizza, ma chi lo pratica, chi si sporca le mani e comunque cerca di avere la forza morale per realizzarlo, perché attraverso il bene si riesce a distribuire e a fare giustizia. Questa è la chiave di tutto.

riesca a produrre di piú, a fare qualcosa che non c’è, ad “andare oltre”. L’impresa diventa cosí una struttura organizzata che collega le volontà e l’attività di diverse componenti per avere un valore aggiunto.

L’impresa come comunità. L’impresa diventa un paradig-ma dell’Enciclica, è forma di comunità, non di separatezze. Nella nostra epoca si è molto discusso della separazione del capitale dal lavoro, ora il Papa dice che tecnologia, tecnica, chi esegue, tutto deve essere unito. L’operatore di azienda sa che la ricerca va fatta all’interno della fabbrica, non fuori; sa che la

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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Le aziende sono abituate a dire il prezzo per scambiare

un bene con l’altro, a usare cioè la

dimensione commutativa; ora bisogna aggiungere

stabilmente, strutturalmente

la gratuità e far entrare nella nostra mentalità

il concetto che la dimensione del dono

e della gratuità è essenziale non solo

quando si ottengono utili e si sente il bisogno

di essere compassionevoli

CENTRALITà DEL DONO

tra “fare un sacrifico per” e un “donarsi per”. È strabiliante. La donazione diventa cosí un atto sacro perché si collega alla di-mensione del Dio che è morto in croce per riscattarci dalla morte, per liberarci dal male. Ha avuto la libertà di patire per darci la libertà, per essere portatori di una speranza.

Se nelle enormi difficoltà di ogni giorno (la crisi, i mercati che si chiudono, le difficoltà di andare avanti), riusciamo a ca-pire che c’è questa dimensione, forse riusciamo a dare un senso a quella trilogia straordinaria che ha dato forza all’uomo moderno dopo la Rivoluzione Francese: liberté, egalité, fraternité. La

l’elemosina, che non esprime nessuna relazione (do, quindi sono a posto); fare del bene significa invece compenetrarsi nell’altro che riesce ad essere “di piú”, a superare la condizione di prima, grazie al mio impegno di supportarlo.

Questo è il grande significato della gratuità, del dono che porta a «superare la dimensione commutativa».

Le aziende sono abituate a dire il prezzo per scambiare un bene con l’altro, a usare cioè la dimensione commutativa; ora bisogna aggiungere stabilmente, strutturalmente la gratuità e far entrare nella nostra mentalità il concetto che la dimensione del dono e della gratuità è essenziale non solo quando si ottengono utili e si sente il bisogno di essere compassionevoli o quando c’è una disgrazia e si sente il deside-rio di collaborare. Deve entrare nella nostra mentalità il concetto che la dimensione del dono e della gratuità è essenziale. Solo noi cristiani credenti possiamo esprimere questo valore quando da un lato, c’è lo Stato che con il welfare pretende di fare tutto, dall’altro c’è il privato che vuol fare del mecenatismo, usare la compassione.

Né la compassione, né il welfare è coerente con la dimensione del dono, di chi ha donato la vita. Dio ha mandato il figlio sulla terra e l’ha fatto morire, non per volere un sacrificio, ma per donarsi. Dio si è donato agli altri ed è fortissima la differenza

rivoluzionaria che dà senso al nostro essere cristiani.

Beneficenza e welfare. Era-vamo abituati a pensare che il mercato fosse in grado di fare umanità con la compassione. Ma quando si esercita la capacità compassionevole nei confronti di qualcuno, non lo si considera alla pari, ma diventa un oggetto perché manca la relazione, non c’è rapporto. Neppure quando si pensa che lo Stato debba provve-dere a tutti (il pagamento delle tasse come prova di solidarietà) si esprime relazionalità gratuita, dono, fraternità. Semplicemente si scarica tutto sullo Stato, non si esprime l’ansia di libertà per gli altri.

la costrUzione del bene comUne

Se continuiamo a cammi-nare su questi due binari della compassione e del welfare, l’efficacia del dono diventa un fatto legato alla capacità di dare senso relazionale, di unire le situazioni diverse, di superare le separatezze.

E allora - dice il Papa - nel processo produttivo mentre si fa profitto, si deve anche badare a costruire il bene comune. Non è sufficiente fare solo profitto e non basta solo distribuirlo. Nella Carta Caritatis del dopo San Benedetto, per la prima volta si è passati dal termine “elemosina” al termine “beneficenza”, cioè fare del bene. E fare del bene è un salto enorme rispetto al dare

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PARTE PRIMA - TEMI GENERALI

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CENTRALITà DEL DONO

per tutti con la libertà se questa è una libertà dai mali, una libertà di iniziativa, di scelta, di coraggio, ma anche una libertà “per” sé stesso e gli altri. E allora l’etica non è un insieme di protocolli o di definizioni, ma è relazione con sé e con gli altri per costruire il bene comune. E cosí l’etica nel costruire il bene comune dà il primato alla costruzione del bene, perché è attraverso il bene che si costruisce la giustizia. Questo aspetto che ci toglie dall’etica nelle mani dei giudici, che ci toglie dall’etica del giusnaturali-smo, e che riporta all’etica come dimensione del proprio essere dà una prospettiva straordinaria a questa Enciclica, e dà soprattutto a noi credenti, a noi cristiani, la capacità di trovare la completa dimensione cristiana .

Questa Enciclica, da infatti pienezza di contenuti al mes-saggio cristiano. La separatezza dell’economico dal sociale, sostanzialmente indicava per noi imprenditori l’obbligo di creare sviluppo, poi la giustizia, l’equità erano compito dello Stato.

Benedetto XVI ci dice che è compito nostro - anche nella fase del processo produttivo indirizzato al profitto e alla creazione del valore economico - tendere alla costruzione del Bene Comune. È anche qui - nel “durante” - che si realizza la giustizia e l’equità. E come? Con l’amore, con la fraternità, con la reciprocità: sono queste le componenti del DNA imprenditoriale che rendono credibile il credente.

è espressione della speranza che è in noi. La speranza che è nel regno dell’aldilà, come possiamo realizzarla in questo mondo se non dimostrando di voler bene al fratello? Non per compassione, non per aver pagato le tasse, ma come relazione diretta. Ecco, questa Enciclica ha una forza rivoluzionaria, ci introduce in un’era nuova dell’economia, con grande difficoltà, perché è piú semplice seguire le regole dell’efficienza e dell’efficacia, basarsi sui numeri. I numeri sono asettici, le persone sono miliardi, i problemi che ciascuno porta sono enormi: gli immigrati, le nuove generazioni, i vecchi, ecc.

l’etica come relazione con gli altri

Il finale straordinario di questa Enciclica recita: «Alziamo le mani al Signore per pregare». Pregare non perché Dio ci dia la soluzione dei problemi, perché ci ha fatto uomini perché qui in terra troviamo le soluzioni, ma pregare per avere la forza interio-re, il coraggio di testimoniare la nostra fede. Sant’Agostino dice che «la speranza ha due figli: la rabbia nel constatare le cose che non vanno, il male che c’é, e il coraggio di voler cambiare con l’impegno diretto». La chiave antropologica di questa Enciclica sta nel discorso di libertà, di uguaglianza, di fraternità che è dentro di noi, lo stesso che aveva dato spazio alla modernità dopo l’era del feudalesimo e dei potentati economici. C’è spazio

forza rivoluzionaria di queste tre parole ha vinto su un sistema di potere enorme. Poi abbiamo cominciato a separare le cose. Hanno cominciato i francesi. Dopo quindici anni da questo editto, Saint-Just ha detto no alla fraternité perché il termine era troppo francescano. E la parola fraternità è stata eliminata. Poi viene Marx, e dice di voler fare l’uguaglianza. A lungo si è pensato con il comunismo e con la pianificazione, di dare senso alla vita e alla comunità degli uomini, abbiamo assistito invece a disastri che ancora oggi sono presenti.

la fraternità collante fra libertà e UgUaglianza

Negli ultimi tempi abbiamo pensato che la libertà ci consentisse di soddisfare tutte le aspirazioni comperando i bisogni con i soldi, e quindi abbiamo creato meccanismi per fare soldi per poter comprare. Abbiamo otte-nuto una società che non ha piú capacità di senso, che si droga, che si consuma in sé stessa, che esprime egoismo immediato senza limiti; ma questa libertà è arbitrio, non è correlata con le altre dimensioni.

Il collante tra libertà e ugua-glianza è la fraternità per la quale siamo tutti figli di Dio, e in questo senso fratelli. Una Chiesa che ristabilisce in questo ordine gli elementi attraverso il credente che per questo diventa credibile,

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PARTE SECONDA

APPROfONDIMENTI

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CRISI fINAzIARIA

Quale la causa profonda della crisi finanziaria? Domanda a cui Bertani risponde individuandola in un fattore endogeno di progres-siva messa in discussione dei valori sui quali si basava la convivenza civile, non considerati più necessari né utili, ma di ostacolo ad un maggior sviluppo.

In tal senso viene sottolineata l’importanza di recuperare tali valori alla luce della Dottrina Sociale Cattolica, con il fondamentale contributo delle associazioni e del mondo del volontariato.

Which is the root cause of the financial crisis? Question to be answered by Bertani, finding it on a factor endogenous of neglecting of the values on which it was based the civil coexistence, no longer considered necessary or helpful, but an obstacle to a major development.

Thus, it’s emphasized the importance of recovering these values, according to the Church’s Social Doctrine, with the fundamental contribution of the associations and the world of volunteering.

Antonio BertaniPresidente del Gruppo Regionale UCID Lazio

la crisi finanziaria nei Paesi in crisi

La crisi nasce dalla progressiva messa in discussione dei valori sui quali si basava la convivenza civile: gratuità, solidarietà,dono, condivisione

Una associazione di uomini di fede, pram-matici e di pensiero

che ha come finalità l’appro-fondimento, la diffusione e l’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa può e deve, di concerto con gli altri soggetti attivi del mondo del volontariato, dare un contri-buto sostanziale a diffondere nella società civile uno spirito di perseguimento del bene co-mune: approfondendo il signi-ficato del principio di gratuità e promuovendolo con la co-scienza che qualunque attività dell’uomo, anche se prestata senza corrispettivo economi-co, è tesa a creare ricchezza.

La conservazione, lo sviluppo e la diffusione in àmbiti sempre piú vasti della società civile dei valori su cui poggia lo sviluppo, non solo economico, dell’uomo è un obiettivo concreto da perseguire nell’attesa che si verifichino le condizioni per il superamento dell’attuale fase di crisi perché il novus ordo del potere pubblico che verrà trovi un terreno piú fertile per una società tesa al rispetto della dignità dell’uomo e alla sua valorizzazione, fine ultimo della Dottrina Sociale della Chiesa.

C’è stato un tempo in cui gli Stati erano sovrani; il potere legislativo emanava leggi che erano cogenti all’interno dello Stato e a tutti era dato rispettarle e farle rispettare.

Una tipica prerogativa di tali Stati era l’emissione in esclusiva

della moneta e il suo conseguente governo.

Al delicato compito di emis-sione e gestione della moneta provvedevano le Banche centrali, organismi variamente configu-rati, che avevano il compito di garantire la stabilità della moneta nazionale, all’interno del quadro generale di politica economica del governo.

Per perseguire tale fine le Banche centrali, pur in armonia col potere esecutivo e legislativo, dovevano necessariamente godere di una sostanziale autonomia dal potere politico; quest’ultimo infatti per acquisire il necessario consenso popolare tendeva naturalmente ad avere la propensione a misure di politica monetaria non sem-pre compatibili con l’obiettivo

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Dopo secoli di saggezza e prudenza nel governo della moneta nella consapevolezza che la moneta non è un bene come gli altri e il mercato monetario e finanziario non può essere regolato dal libero incontro della domanda con l’offerta, si è progressivamente andati verso un regime di libero mercato

CRISI fINANzIARIA

potere (scientifico, militare, economico e culturale) è stato finora detenuto dagli Stati Uniti; corrispondentemente il dollaro USA è divenuto la moneta inter-nazionale e gli Stati Uniti hanno progressivamente inondato il resto del mondo di dollari al fine di finanziare il proprio deficit e mantenere elevato il livello di vita dei cittadini americani.

Il dollaro è quindi la moneta mondiale che viene gestita, non nell’interesse mondiale, ma nell’interesse dei residenti americani.

Negli anni Settanta negli Stati Uniti è stata avviata una politica di deregulation e liberalisation in materia finanziaria e mone-taria applicando anche a questo delicato comparto dell’economia la teoria dei mercati finanziari perfetti.

Dopo secoli di saggezza e prudenza nel governo della moneta nella consapevolezza che la moneta non è un bene come gli altri e il mercato monetario e finanziario non può essere regolato dal libero incontro della domanda con l’offerta, si è progressivamente andati verso un regime di libero mercato.

Alcuni autorevoli economisti, sulla scia delle prestigiose scuole classiche, hanno fornito la base teorica; le banche d’affari (che banche non sono con tutto ciò che questa distinzione compor-ta) hanno colto la straordinaria opportunità creando strumenti finanziari (che per inciso rap-presentano debito similmente

no i propri bilanci o il binomio lavoratori-imprese in condizioni di difficoltà rispetto agli Stati che non adottano tali misure; se stabiliscono una imposizione fiscale piú gravosa gli operatori si spostano o vengono sostituiti dove si trovano condizioni fiscali piú convenienti; se lo Stato disciplina il matrimonio in un certo modo, ancorché conforme a una consolidata tradizione, il cittadino può andare a contrarre matrimonio in altro Stato che non pone gli stessi vincoli; se uno Stato disciplina la ricerca scientifica, ad esempio vietando l’uso di cavie, la ricerca si sposta in uno Stato che lo consente e cosí via.

Per quanto riguarda la moneta, oggi la maggior parte degli Stati europei ha spontaneamente rinun-ciato alla sovranità monetaria a favore di una istituzione europea, dotata di ampia autonomia ancorché controllata dalle Banche centrali nazionali; è mancato tuttavia il passo ulteriore della creazione di altra istituzione europea cui affidare il collegato potere in campo economico.

La speranza che la creazione di una moneta unica avrebbe promosso e accelerato, dapprima l’unificazione delle politiche economiche nazionali, e di conseguenza l’unione politica dell’Europa è andata delusa.

L’emissione e il governo della moneta, come sopra detto, è una prerogativa tipica del potere sovrano.

In àmbito internazionale il

della conservazione del valore della moneta. Oggi tutto questo è profondamente mutato.

La cosiddetta globalizzazione provocata dallo straordinario sviluppo della telematica e dall’in-gresso nel sistema dell’economia di libero mercato di popolazioni dapprima escluse per propria scelta politica, la conseguente libertà di circolazione di idee, capitali, merci e persone ci pongono di fronte a una realtà nuova, sostanzialmente diversa e destinata a configurare una nuova era.

Gli Stati piú sviluppati (Nord America, Europa, Giappone) se adottano un sistema di welfare o misure a tutela del lavoro metto-

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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L’invenzione della carta moneta

ha rappresentato un pericolo terribile,

ma la società è stata ca-pace di organizzarsi, di darsi delle regole

che quando sono state rispettate hanno

mantenuto i benefici della carta moneta

e ne hanno neutralizzato i potenziali effetti negativi; quando

le regole non sono state rispettate abbiamo avuto

inflazioni terribili con conseguenze disastrose

CRISI fINANzIARIA

Banche centrali, hanno potuto piú facilmente finanziare ogni “buona” iniziativa e cosí ottenere il consenso popolare, ne hanno beneficiato i cittadini per tenere elevato il loro tenore di vita.

Anche l’invenzione della carta moneta ha rappresentato un pericolo terribile per il mondo di allora, ma la società è stata capace di organizzarsi, di darsi delle regole che quando sono state rispettate hanno mantenuto i benefici della carta moneta e ne hanno neutralizzato i potenziali effetti negativi; quando le regole non sono state rispettate abbiamo avuto inflazioni terribili con conseguenze disastrose.

Oggi di fronte al nuovo occorre

le grandi società di consulenza e persino i vertici di Banche centrali.

A queste ultime sembra rimasto il controllo della stabilità della moneta inteso riduttivamente come controllo della stabilità dei prezzi di beni e servizi.

Non so se la buona fede degli economisti che hanno teorizzato l’applicabilità del laissez-faire all’àmbito finanziario sia pari a quella del Cancelliere che all’Imperatore nel Faust di Volfang Goethe (1831) in una sera di sbornia fece firmare l’editto: “Sia reso noto a tutte le persone: questo biglietto vale mille corone. Lo garantisce in tutta sicurezza nel suol sepolta l’imperial ricchezza. Ora in coscienza si provvederà a che il tesor, nello stesso momento in cui dal suolo cavato sarà, serva al biglietto di risarcimento”.

L’invenzione della carta moneta, “naturale” evoluzione della moneta metallica passata attraverso il gold standard prima e il gold exchange standard poi, aveva “l’aria d’una truffa colossale”, come dichiarato dall’Imperatore, ma certamente i sudditi dell’Imperatore hanno goduto di larghi benefici a seguito della sua introduzione.

E certamente anche noi tutti abbiamo beneficiato largamente della straordinaria massa di liquidità aggiuntiva creata a seguito della liberalizzazione della finanza.

Ne hanno beneficiato le aziende, ne hanno beneficiato i governanti che, liberi dalla austerità delle

alla moneta) e offrendoli sia al settore privato che al settore pubblico.

E gli operatori di entrambi questi settori hanno altamente gradito le nuove possibilità che venivano cosí offerte loro: le imprese per promuovere nuovi investimenti per produrre e offrire nuovi beni e servizi a un mercato tendenzialmente in espansione per l’aumento della massa monetaria; i governanti, finalmente liberi dal vincolo monetario in quanto i nuovi strumenti non generavano di per sé inflazione, potevano distribuire benessere a tutti i cittadini; si è cosí diffusa la convinzione che il benessere di tutti era un diritto ormai comunque acquisito da ognuno, non essendoci piú le ristrettezze di un vincolo di bilancio insuperabile.

In tal modo sia la grande impresa che i governanti, sia centrali che locali, si sono trovati a dipendere quali debitori di importi sempre crescenti dalle banche d’affari: e certamente, almeno per quanto riguarda i debitori pubblici, si tratta di soggetti sicuramente insolventi.

Le Banche d’affari, forti della posizione di potere acquisita e della straordinaria accumulazione di capitale realizzata, sono ar-rivate a controllare la politica, l’industria, la stampa e hanno progressivamente occupato, con uomini di loro espressione, tutte le istituzioni rilevanti per il controllo dei mercati: i media, le Borse, le società di rating,

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

32UCID Letter • 2/2010

È necessario ricordare che il regime di libero mercato non può essere applicato a tutti i campi dell’attività umana, ma solo al campo dell’attività economica di produzione e di scambio di beni e servizi e peraltro non di tutti.Infatti, vi sono settori di attività economica che non possono essere semplicemente lasciati ai meccanismi di mercato (cultura, media, istruzione, sanità, sicurezza, giustizia...)

CRISI fINANzIARIA

mizzare il proprio guadagno: in un sistema di libero mercato il guadagno di una persona o di una impresa deve essere in funzione del beneficio che la società nel suo complesso riceve dallo svolgimento dell’attività della persona o dell’impresa. Se questo rapporto viene meno il sistema si configura come un regime di prevaricazione, non di libero mercato.

Quest’ultimo infatti richiede necessariamente un complesso di regole che pongono il guadagno in correlazione con il beneficio sociale derivante dall’attività svol-ta. Tanto maggiore è il beneficio che la società riceve in termini di valore non solo economico dall’attività svolta, tanto mag-giore deve essere il compenso ottenuto dall’operatore.

Questa è una legge assolu-tamente necessaria e fondante il sistema di libero mercato e questa relazione richiede che siano identificati i valori su cui si basa la convivenza sociale

E questo a sua volta richiede una weltanschauung fondata sulla teologia.

S.S. Benedetto XVI ci ha recentemente donato la sua ultima enciclica “Caritas in Veritate”. Quest’enciclica, che si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali, non è come affermato da taluni un trattato di economia: essendo il prodotto di un grande teologo l’enciclica ci fornisce la visione attuale dei fondamenti teologici che regolano la nostra società e

meccanismi di mercato. Settori quali ad esempio la cultura, i media, l’istruzione, la sanità, la sicurezza, la giustizia sono sí servizi economici nel senso che essi sono finalizzati a soddi-sfare bisogni anche economici, ma possono essere forniti solo in parte, piú o meno estesa, dall’iniziativa privata; tali servizi richiedono evidentemente un preciso intervento dello Stato che deve fornirli direttamente o comunque regolarli e, in ultima istanza, garantirli. E certamente la moneta rientra fra questi.

La logica imprenditoriale che deve essere tesa al profitto per-ché in tal modo genera benefici all’intera collettività in questi settori non può trovare piena applicazione, ma deve essere lo Stato a stabilire quanto e come il servizio debba essere fornito dall’iniziativa privata in una logica che sostanzialmente non è quella di libero mercato.

Servizi come la giustizia o la sicurezza possono sí essere ef-fettuati da organizzazioni private in logica di profitto, si pensi alle camere arbitrali o alla vigilanza armata agli sportelli bancari, ma sono servizi che devono essere svolti primariamente e essenzialmente, e comunque in ultima istanza, dallo Stato.

In secondo luogo, va ricordato che il guadagno nelle sue varie forme di profitto, di utile o di remunerazione non può essere lasciato alla determinazione di rapporti di forza a seguito dei quali ciascuno tende a massi-

che la classe dirigente si interroghi e risponda prontamente con regole adeguate alla nuova realtà.

Nell’attesa che il mondo sia maturo per un ordine fondato sulla giustizia, il sistema di li-bero mercato si è dimostrato il migliore per garantire la massima diffusione dello sviluppo.

Tuttavia è in primo luogo necessario ricordare che il re-gime di libero mercato non può essere applicato a tutti i campi dell’attività umana, ma solo al campo dell’attività economica di produzione e di scambio di beni e servizi e peraltro non di tutti.

Infatti, vi sono settori di atti-vità economica che non possono essere semplicemente lasciati ai

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Oggi il potere economico, e non solo, è detenuto dalle banche d’affari

che sono creditrici di Stati, di enti pubblici

territoriali e non, di grandi imprese e

che di fatto controllano i mercati attraverso

media, società di rating e istituzioni finanziarie.

Negare questo solo perché taluni o molti

non vorrebbero che fosse cosí

sarebbe un grave errore

CRISI fINANzIARIA

oggi la finanza si è impadronita del sistema economico e non solo. Certo restando all’apologo di Menenio Agrippa la finanza tradizionalmente era non il cervello, ma il sistema nervoso dell’economia.

• Il mercato, tendente al mercato perfetto, che esisteva al tempo degli stati sovrani, oggi in campo internazionale (alias mondiale) non c’è piú. Le condizioni di libero mercato sono rimaste operanti solo in piccoli mercati marginali di estensione locale.

Il mercato di tutte le materie prime è in mano alle multinazio-nali nel mondo ed è in regime di oligopolio ormai da decenni.

Analogamente in campo eco-nomico perché non continuare a lasciar creare strumenti finanziari e chi può si arricchisca quanto piú può, usando le risorse ot-tenute per mantenere in buona pace gli altri?

Cosa fare? Io non lo so ma quando si ha di fronte un malato, e qui il malato c’è ed è il mondo sviluppato (Nord America, Eu-ropa occidentale e Giappone), si può mutare la metodologia utilizzata dalla scienza medica che distingue tre fasi: anamnesi, diagnosi e terapia ovvero, nel nostro caso l’individuazione dei punti rilevanti e la loro esposi-zione ordinata, la condivisione delle ragioni o cause all’origine del male e infine la scelta e l’applicazione dei rimedi.

Occorre quindi innanzitutto prendere atto della situazione individuando i principali aspetti che caratterizzano la realtà attuale.

• Oggi il potere economico, e non solo, è detenuto dalle banche d’affari che sono creditrici di Stati, di enti pubblici territoriali e non, di grandi imprese e che di fatto controllano i mercati attraverso media, società di rating e istituzioni finanziarie. Negare questo solo perché taluni o molti non vorrebbero che fosse cosí sarebbe un grave errore.

Non so perché sia stato detto che la finanza è il cervello dell’economia: forse è stato scritto per mero errore, forse si è trattato di un lapsus freudiano, forse si è voluto evidenziare che

che si sintetizzano nei seguenti enunciati che rispondono alla condizione sufficiente di essere stati rivelati e alla condizione necessaria del riscontro, effet-tuato dalla ragione, di conformità alla intima coscienza interiore dell’uomo:

1) Dio esiste, è sempre stato e sempre sarà;

2) Dio è creatore di tutte le cose visibili e invisibili;

3) Dio è infinitamente buono;

4) Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza.

Da questi quattro punti discende tutta la costruzione della nostra società e questi quattro punti sono le pietre angolari della nostra weltanschauung.

Viceversa in mancanza o negazione di uno solo di questi punti, crolla tutto il nostro si-stema occidentale come è stato costruito finora.

In mancanza anche di una sola di queste quattro pietre non si capisce infatti perché non prevaricare l’altro, o rubare, o uccidere uno che è di ostacolo a realizzare i propri desideri o violare un altro qualunque dei dieci comandamenti o delle altre regole morali che su quelle quattro pietre sono state costruite.

Perché porre una questione ecologica. Se il problema eco-logico è solo tecnico e solo tec-niche sono le relative soluzioni, come ritengono taluni, lasciamo che lo risolva il tecnico della generazione futura quando si esaurirà una certa risorsa.

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Oggi le caratteristiche degli assetti proprietari dei soggetti che dominano i mercati fanno sí che le logiche di profitto siano tutte di breve periodo; l’unico obiettivo di lungo periodo è quello di conservare il controllo del mercato

CRISI fINANzIARIA

dell’azienda che obbedisce ad altre logiche; peraltro anche le azioni vengono rappresentate da altri titoli o strumenti finanziari che a loro volta presentano an-damenti dei prezzi difformi da quelli delle azioni rappresentate e cosí via in una specie di catena di Sant’Antonio.

• L’interesse degli operatori richiede che le oscillazioni dei prezzi siano ampie e rapide: se c’è stabilità nei corsi i margini di profitto sono sempre modesti, forti guadagni si fanno solo su forti oscillazioni di masse rilevanti. È lontano il tempo in cui al NYSE (principale borsa americana) gli specialists, operatori paragonabili al nostro agente di borsa di un tempo, avevano il compito e la responsabilità di stabilizzare il corso del singolo titolo (o gruppi di piccoli titoli) intervenendo in acquisto in fase di discesa del corso e servendo il mercato quando il titolo correva.

• Un tempo una persona che avesse dato i propri risparmi ad una altra persona chiedendogli di impiegarli come riteneva meglio, sarebbe stato ritenuto incapace di intendere e volere; oggi questo rappresenta un comportamento comune. Notare che neppure coloro che consigliano l’impiego al risparmiatore conoscono la destinazione e addirittura l’effet-tivo destinatario della somma.

• La crisi in atto è oggetto da noi di una imponente attività convegnistica e mediatica che tende a presentarci il fenomeno come globale, ma cosí non è.

massa viene orientato a favore dell’interesse di quei pochi.

• La concentrazione del potere in mano ai manager di vertice ha creato situazioni di conflitto d’interessi estese, strutturali e permanenti.

• Mentre le società a ristretta base azionaria erano di norma in mano a imprenditori formati alla cultura d’impresa e le grandi società un tempo avevano insito al loro interno un meccanismo di controllo basato sulla divisione fra la proprietà e la gestione, con il passaggio al c.d. capitalismo manageriale il meccanismo del controllo della proprietà sulla gestione non funziona piú.

Il manager al vertice della grande società è padrone senza essere proprietario: il potere su tutti gli stake-holders, azionisti compresi, è nelle sue mani.

L’ovvia conseguenza è che i manager stabiliscono per sé compensi tali da lasciare tutti esterrefatti.

• Le caratteristiche degli assetti proprietari dei soggetti che dominano i mercati fanno si che le logiche di profitto siano tutte di breve periodo, l’unico obiettivo di lungo periodo essendo quello di conservare il controllo del mercato.

• Occorre quindi prendere atto che oggi nelle società di maggiori dimensioni l’utile degli azionisti non coincide piú con l’utile dell’azienda, poiché le azioni rappresentative della proprietà partecipano a un mercato diverso da quello

Le leggi antitrust americane si applicano e possono solo trovare applicazione all’interno degli Stati Uniti; nel resto del mondo vale il cartello stabilito dai grandi operatori del settore.

Anche il mercato dei principali beni sia durevoli che di consumo è in mano a pochi produttori o a pochi distributori organizzati in potenti reti di vendita.

• I mercati finanziari per effetto della globalizzazione sono diventati un unico merca-to nel quale si è passati da una scarsità di informazione a una sovrabbondanza di informazione disponibile a tutti, ma controllata da pochi. La conseguenza ovvia è che il comportamento della

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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La crisi è stata originata negli Stati Uniti

da un eccesso di attività finanziarie e si

è propagata nel resto del mondo sviluppato

e si è riflessa inevitabilmente

nell’economia reale: non occorrono

doti divinatorie per prevedere che avrà

conseguenze sugli assetti politico-istituzionali

di alcuni Stati

CRISI fINANzIARIA

mente concepita nella sua sacra-lità, costituiscono testimonianze evidenti a tutti.

Dobbiamo ricercare nuovi valori su cui fondare la convi-venza sociale, aggiornare i nostri valori tradizionali o dobbiamo riprendere e rilanciare i valori che hanno sostenuto finora lo sviluppo dell’Occidente?

A questo punto, se le osserva-zioni sopra esposte corrispondono a verità e se le deduzioni sono condivise la terapia, o almeno alcuni interventi terapeutici, possono essere individuati di conseguenza.

Nell’attesa e nella speranza che il lavoro di rivalutazione dei valori possa creare condizioni

affermazioni andrebbero peraltro provate. Tuttavia la circostanza che si tratta di fotografie di aspetti della realtà mi fa pensare che sia preferibile, perché piú facile e piú consistente, che ciascun eventuale lettore riscontri di-rettamente quanto esposto con la realtà dei fatti.

Certamente data la parzialità e incompletezza delle rilevazioni espresse fa si che ulteriori os-servazioni e il completamento e l’approfondimento di quanto espresso può portare a considera-zioni piú complete e profonde.

Voglio comunque tentare ora di proporre alcune riflessioni conseguenti a quanto rappre-sentato.

La causa profonda della crisi non è nei titoli subprime, ma sta nell’abbandono dei valori su cui si fonda la nostra società: è una crisi di valori che avviene nella fase di passaggio da un’epoca industriale, iniziata alla fine del 1700 in Inghilterra con la rivolu-zione industriale e in Francia con la rivoluzione Francese, all’epoca della globalizzazione.

La crisi è dunque endogena ai Paesi sviluppati, Paesi nei quali si è affermata la convinzione che i valori sui quali si basava la convivenza e lo sviluppo non erano piú necessari né utili, ma anzi essi erano di ostacolo a un maggior sviluppo.

Le battaglie condotte contro la famiglia, la religione (si pensi al divieto di esposizione di simboli religiosi), le istituzioni statali e la vita stessa, come tradizional-

Mentre il mondo occidentale e il Giappone, cioè il mondo sviluppato, che fino a pochi anni fa costituiva l’intero sistema di libero mercato, sta subendo una crisi straordinaria, i Paesi del lontano oriente, Cina, India e altri Paesi dimensionalmente minori dell’Asia, stanno vivendo una fase di eccezionale ed entusiasmante sviluppo economico, culturale e politico.

• La crisi è stata originata negli Stati Uniti da un eccesso di attività finanziarie e si è propagata nel resto del mondo sviluppato e si è riflessa inevitabilmente nella economia reale: non occorrono doti divinatorie per prevedere che avrà conseguenze sugli assetti politico-istituzionali di alcuni Stati anche perché i provvedi-menti presi per contrastarne gli effetti finora sono consistiti in un ulteriore massiccio incremento delle attività finanziarie.

• I Paesi del lontano Oriente, la Cina in particolare, sono ca-ratterizzati da un assetto politico istituzionale tale per cui la classe dirigente politica è effettivamente dominante e forma e realizza progetti nell’interesse del proprio Paese, mentre la classe politica dei paesi sviluppati è condizionata da quelli che noi chiamiamo poteri forti e agisce non nell’ottica di lungo periodo, ma in vista della successiva scadenza elettorale.

Le osservazioni sopra riportate sono molto sintetiche e apodittiche e meriterebbero sia una descri-zione piú accurata e completa sia una piú rigorosa analisi; talune

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Nell’ultima enciclica il Santo Padre ha affermato il principio di gratuità fondato sulla constatazione che l’essere umano è fatto per il dono.Lo straordinario mondo del volontariato, già esistente e ampiamente esteso, dà corpo alla speranza che su questo possiamo contare per lo sviluppo dell’uomo e non certo su un mondo costruito sull’egoismo

CRISI fINANzIARIA

l’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa può e deve, di concerto con gli altri soggetti attivi del mondo del volontariato, dare un contributo sostanziale a diffondere nella società civile uno spirito di perseguimento del bene comune: approfondendo il significato del principio di gratuità e promuovendolo con la coscienza che qualunque attività dell’uomo, anche se prestata senza corrispettivo economico, è tesa a creare ricchezza.

La conservazione, lo sviluppo e la diffusione in àmbiti sempre piú vasti della società civile dei valori su cui poggia lo sviluppo, non solo economico, dell’uomo è un obiettivo concreto da perseguire nell’attesa che si verifichino le condizioni per il superamento dell’attuale fase di crisi perché il novus ordo del potere pubblico che verrà trovi un terreno piú fertile per una società tesa al rispetto della dignità dell’uomo e alla sua valorizzazione, fine ultimo della Dottrina Sociale della Chiesa.

tutta l’attività di volontariato e cioè di attività prestata a favore di altri sostanzialmente priva di contropartita economica per chi la presta; sia essa di natura laica o religiosa l’assistenza agli anziani, ai disabili, la cura degli animali, il volontariato nel campo dello sport, o dell’ecologia, degli hobbies o di mille altri settori anche minori coinvolge nel nostro paese milioni di persone.

Nell’ultima enciclica il Santo Padre ha affermato il principio di gratuità fondato sulla con-statazione che l’essere umano è fatto per il dono.

La cellula sociale nella quale in primis si attua e si sviluppa questa tendenza dell’animo uma-no è la famiglia, entità fondata sul principio che chi piú ha piú da a chi ha meno, sia in senso materiale che morale.

Lo straordinario mondo del volontariato, già esistente e ampiamente esteso, dà corpo alla speranza che su questo possiamo contare per lo sviluppo dell’uomo e non certo su un mondo costruito sull’egoismo.

La società civile organizzata in associazioni, cooperative, società no profit o società che dedicano il profitto a fini sociali costitui-scono un variegato e complesso sistema, anche economico, di grande importanza.

Inserito in questo quadro, l’im-pegno della UCID è chiaro.

Una associazione di uomini di fede, prammatici e di pensiero che ha come finalità l’appro-fondimento, la diffusione e

favorevoli allo sviluppo, occorre impegnarsi per l’individuazione e l’applicazione di nuove regole tese sia ad evitare il pericolo di collasso del sistema che ad age-volare una convivenza sociale piú ordinata.

Su questo fronte è in atto un forte impegno della comunità internazionale sia al di qua che al di là dell’Oceano per ripristinare un corretto funzionamento dei mercati. Certamente è almeno altrettanto importante che si re-cuperi il corretto funzionamento del settore pubblico.

Ma vi è un terzo settore che merita la massima attenzione ed è l’associativismo.

Per associazionismo intendo

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PARTE SECONDA

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Per comprendere la grave crisi che ha colpito l’Europa occorre ripartire dagli insegnamenti dei Padri Fondatori che sostenevano la necessità, per costruire l’Europa, di integrare i mercati e aumentarne la dimensione per uno sviluppo duraturo. La crisi finanziaria è partita dagli Stati Uniti con i mutui subprime estendendosi a livello mondiale. Tale crisi si manifesta altresì come crisi di fiducia che ha colpito tutti gli operatori economici, la cui manifestazione più acuta si riflette sul mercato del credito bancario, sul quale è in atto un forte razionamento che colpisce soprattutto le piccole medie imprese. Appare necessario adottare dei correttivi sostanziali, partendo dal presupposto di dotare l’Europa di un’anima che sia al servizio del bene comune.

To understand the serious crisis, that has invested Europe, we need to restart from the Founders Fathers’ teaching, who supported the necessity, to build the Europe, to integrate markets and increase their dimension for a durable development. The financial crisis, started from USA with “subprime loans” extending worldwide. This crisis manifests itself also as a trust-crisis, that has affected all the economic operators, whose the most acute manifestation is reflected on the market of the bank credit, on which is in action a strong rationing, which particularly affects medium and small enterprises. It seems necessary to take substantial correctives, starting from the assumption of giving a soul to Europe that serves the common good.

Giovanni ScanagattaSegretario Generale UCID

STORIA DI UNA CRISI

l’eUropa della moneta e delle banche

Si è generata una crisi di fiducia.l’Europa deve riappropriarsi di un’anima che sia al servizio del bene comune

Di fronte alla grave crisi dell’Unione Europea che stiamo vivendo,

occorre domandarsi sulle fon-damentali motivazioni storiche e politiche che hanno portato alla costruzione europea e sui modi in cui essa è avvenuta.

È opportuno per questo fare un passo indietro, ricordando brevemente le radici dell’Unione Europea nata nel 1992.

I grandi Padri fondatori della Comunità Economica Europea, nata nel 1957 con il Trattato di Roma, sono partiti, oltre che da una forte motivazione spirituale e cristiana, da esigenze concrete dell’economia reale e dello svi-luppo basato su un mercato piú ampio e integrato. È per questo importante ricordare che prima della Comunità Economica Europea è nata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca) con il Trattatto di Parigi del 18 aprile 1951 su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman, con lo scopo di mettere in comune le produ-zioni di queste materie prime in un’Europa di sei Paesi: Belgio, Francia, Germania Occidenta-le, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Si tratta di Paesi grandi produttori di carbone e acciaio, con l’eccezione dell’Italia.

Il nostro Paese non primeggia infatti nella produzione di quelle materie prime ed è distante dall’area interessata dall’Accordo e confina soltanto con uno degli Stati membri (Francia), ma in una regione completamente

differente. Gli uomini politici del tempo, tuttavia, e fra essi Alcide De Gasperi, ritengono la futura Ceca un ottimo sbocco per rinvigorire la povera econo-mia italiana e inserire il nostro Paese nelle direttrici politiche ed economiche internazionali, distaccandosi totalmente da altri Stati, fra tutti il Regno Unito, che rifiutano in toto il progetto ritenendolo non conforme agli interessi e alle aspettative nazionali.

Un’altra importante istituzio-ne che nasce con la Comunità Europea è la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom), un’organizzazione internazionale istituita con i Trattati di Roma

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STORIADI UNA CRISI

I Padri fondatori avevano capito molto bene che per costruire un’Europa dotata di ali in grado di volare lontano era necessario partire dai problemi reali dell’economia, dalla necessità di integrare i mercati e di aumentarne la dimensione per un duraturo sviluppo. Tutto il resto, comprese la moneta, le banche e la finanza, avrebbero seguito e sostenuto il disegno

finanze pubbliche degli Stati membri, stabilendo un tetto (3%) all’incidenza del deficit pubblico sul prodotto interno lordo e a quella del debito pubblico sul prodotto interno lordo (60%).

Questo, naturalmente, significava la possibilità da parte degli Stati membri di gestire liberamente e senza alcun coordinamento le loro finanze pubbliche, dal lato delle entrate e da quello delle spese, salvo le barriere sul deficit e sul debito pubblico di cui si è accennato. Non esisteva una seria politica fiscale comune a livello di Unione Europea.

Il compito fondamentale della Banca Centrale Europea, in spirito di grande indipendenza, è quello di assicurare la stabilità del potere d’acquisto della moneta come bene prezioso per assicurare lo sviluppo economico equilibrato nel lungo periodo.

La crisi della Grecia e degli altri Paesi dell’euro che po-trebbero seguirla, ha messo a nudo la fragilità intrinseca della costruzione europea basata sulla moneta unica e sulle banche.

Il vulnus, per la verità, si è manifestato, prima, con la crisi internazionale del 2007-2008 del sistema finanziario e delle banche, poi scaricatasi pesantemente sul settore reale dell’economia nel 2009 in termini di caduta del tasso di crescita e di forte aumento del tasso di disoccupazione. In altre parole, la crisi finanziaria internazionale nata al di fuori dell’Europa ha intaccato seriamen-te, in un’economia globalizzata,

economico1.In estrema sintesi, con questo

breve richiamo storico, si vuole sottolineare il fatto che i Padri fondatori avevano capito molto bene che per costruire un’Europa dotata di ali in grado di volare lontano era necessario partire dai problemi reali dell’economia, dalla necessità di integrare i mercati e di aumentarne la dimensione per un duraturo sviluppo. Tutto il resto, comprese la moneta, le banche e la finanza, avrebbero seguito e sostenuto il disegno.

Anche l’idea dell’Unione Europea, nata nel 1992, ha costituito una grande risposta positiva all’appuntamento con la storia, al pari della nascita della Comunità Economica Europea.

Seri dubbi sussistono invece sulle modalità della sua realiz-zazione, a partire dal 1999 con la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio tra le monete che fanno parte dell’euro e la successiva circolazione effettiva della moneta europea nel 2002, gestita dal Sistema Europeo di Banche Centrali (Sebc) e in stretto collegamento con il sistema bancario europeo.

Si era pensato, forse troppo illuministicamente, che si pote-va partire dalla moneta e dalle banche per costruire l’Europa e che poi tutto il resto, cioè l’economia reale, avrebbe in qualche modo seguito.

Per la verità, dei vincoli sul piano reale erano stati posti soprattutto con riferimento alle

del 25 marzo 1957 allo scopo di coordinare i programmi di ricerca e sviluppo degli Stati membri relativi all’energia nucleare ed assicurare un suo uso pacifico.

È la visione lungimirante dei Padri fondatori dell’Europa, che avevano capito l’importanza fondamentale dell’energia per la crescita, in un’ottica di indipen-denza energetica e di disponibilità a prezzi competitivi del propulsore dell’economia.

Questa grande intuizione andrà poi persa per visioni demagogiche del problema energetico, che farà pagare un prezzo elevato al nostro Paese in termini di disponibilità e di costo dell’energia e quindi di competitività dell’intero sistema

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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STORIADI UNA CRISI

Rimane cruciale il ruolo del sistema

bancario europeo nel meccanismo di trasmissione

della politica monetaria e nel finanziamento

dell’economia, ora ampliato dalla

possibilità di acquistare titoli del debito pubblico

e di creare quindi moneta da parte

della Banca Centrale Europea per finanziare

i disavanzi pubblici degli Stati che

fanno parte dell’euro

Dobbiamo ora volgere la nostra attenzione alla crisi finanziaria internazionale e delle banche che è venuta prima della crisi dell’euro, per capirne la natura e le conseguenze.

la crisi negli Usa

La grande crisi finanziaria inter-nazionale e delle banche, iniziata negli Stati Uniti nell’estate del 2007 con i mutui subprime, può essere interpretata alla luce del pensiero del grande economista svedese K. Wicksell.

Il merito di Wicksell è stato quello di analizzare in modo rigoroso il funzionamento del sistema economico in presenza di un sistema bancario organiz-

alti, la possibilità di espansione è bassa e diventa nulla nel caso di riserve obbligatorie pari al 100% dei depositi. È l’esempio estremo che offre Irving Fisher per annullare il potere delle ban-che nell’espansione del credito e dei depositi, soprattutto per fini di salvaguardia del potere d’acquisto della moneta.

La crisi del sistema bancario europeo, anche se meno grave di quella delle altri parti del mondo, aveva compromesso il funzionamento di un sistema basato sulla moneta unica e sulle banche. Non era possibile creare moneta per il finanziamento dei disavanzi dei settori pubblici o acquistare titoli del debito pubblico.

Questa decisione è stata ab-bandonata in seguito alla crisi della Grecia, con una posizione critica da parte della Germania che sempre ha guardato con gelosia la salvaguardia della stabilità del potere d’acquisto della moneta, dopo la dolorosa esperienza storica della distru-zione della propria moneta negli anni Venti.

Rimane il ruolo cruciale del sistema bancario europeo nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria e nel finanziamento dell’economia, ora ampliato dalla possibilità di acquistare titoli del debito pubblico e di creare quindi moneta da parte della Banca Centrale Europea per finanziare i disavanzi pubblici degli Stati che fanno parte dell’euro.

il meccanismo di trasmissione della politica monetaria europea basata sulle banche. La catena logica che è stata spezzata con la crisi finanziaria internazionale e delle banche era la seguente: la Banca Centrale Europea im-mette o drena liquidità attraverso il sistema bancario europeo attraverso il meccanismo del rifinanziamento a un determinato tasso di interesse.

Inoltre, la Banca Centrale Europea accetta depositi da parte delle banche europee a un determinato tasso di interesse. In questo modo si controllano la liquidità, i tassi di interesse a breve termine e la loro struttura per scadenza. La sequenza logica può essere sintetizzata nel modo seguente: base monetaria, credito e depositi2.

Queste grandezze sono legate da moltiplicatori che dipendono dal comportamento delle banche e del pubblico che domandano base monetaria. Se i moltiplicatori del credito e dei depositi sono abbastanza stabili, l’offerta di credito e di depositi è esogena e la Banca Centrale Europea li può controllare attraverso la creazione della base monetaria.

Un punto cruciale di questo meccanismo di trasmissione riguarda i coefficienti di riserva obbligatoria di liquidità, la cui altezza condiziona l’offerta di credito e di deposito da parte delle banche. Se questi sono bassi, la possibilità di espansione da parte delle banche del credito e dei depositi è alta; se invece sono

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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La crisi finanziaria è partita dagli Stati Uniti con i mutui subprime, e si è poi estesa, sia pure con intensità diversa, a tutto il mondo e, in particolare, alla nostra Europa. La chiave di lettura riguarda i rapporti tra il sistema finanziario e, in particolare, gli intermediari finanziari, e il mercato immobiliare nei principali Paesi industrializzati

STORIADI UNA CRISI

esercizio di statica comparata. Emergerà in questo modo il ruolo fondamentale del sistema bancario nel meccanismo di formazione e di variazione dei prezzi del mercato immobiliare attraverso il credito, evidenziando l’importanza dell’elasticità delle curve di domanda e di offerta di credito bancario.

Uno dei piú importanti con-tributi all’analisi economica di Wicksell riguarda il funziona-mento del sistema economico, e in particolare la determinazione del livello generale dei prezzi, in presenza di un sistema ban-cario organizzato. Un sistema economico caratterizzato dalla presenza organizzata e diffusa delle banche rende insufficiente l’impiego della tradizionale teoria quantitativa della moneta per la determinazione del livello generale dei prezzi.

Il meccanismo di trasmissione degli impulsi monetari muta profondamente con la presenza delle banche e Wicksell ci offre un diverso modello interpretativo che supera la teoria quantitativa della moneta.

Le banche hanno infatti la possibilità di concedere prestiti per un ammontare, sotto talune ipotesi, pressoché illimitato6, sempre per un valore multiplo del deposito originario ricevuto. «Le banche - afferma Wicksell - non hanno, come i privati, un limite alle operazioni di prestito nei fondi di loro proprietà o anche nei mezzi che i risparmi mettono a loro disposizione.

Un grande economista italiano del Novecento, Marco Fanno, è stato uno dei primi a includere nelle sue analisi il pensiero di Wicksell, come si può vedere nella sua opera del 1913 Le banche e il mercato monetario, verso la quale Hayek ebbe a esprimere lusinghieri apprezzamenti. Lo stesso Hicks afferma che «Il prof. Fanno è stato uno dei primi economisti fuori della Svezia a incorporare elementi wickselliani nel suo pensiero sulle questioni monetarie» (Hicks, 1934)5.

La crisi finanziaria è partita dagli Stati Uniti con i mutui subprime, e si è poi estesa, sia pure con intensità diversa, a tutto il mondo e, in particolare, alla nostra Europa. La chiave di lettura riguarda i rapporti tra il sistema finanziario e, in particolare, gli intermediari finanziari, e il mer-cato immobiliare nei principali Paesi industrializzati.

Dobbiamo per questo guardare all’incidenza del valore aggiunto delle costruzioni e dell’interme-diazione finanziaria sul prodotto interno lordo degli Stati Uniti, della Germania della Francia, dell’Italia, della Spagna e del Regno Unito (anno 2006).

Iniziamo con la presentazione del funzionamento dell’econo-mia in presenza di un sistema bancario organizzato secondo il pensiero di Wicksell. Si farà uso per questo di un semplice modello matematico per deter-minare i valori di equilibrio del mercato del credito bancario e dei prezzi e per compiere un

zato, superando l’impostazione della teoria quantitativa della moneta3.

Due grandi economisti come Keynes e Hayek sono debitori nei confronti del pensiero dell’eco-nomista svedese. Basti pensare che le equazioni fondamentali di Keynes per la determinazione dei prezzi dei beni di consumo e del livello generale dei prez-zi, contenute nel Trattato sulla moneta del 1930, costituiscono una rappresentazione formale del modello wickselliano sugli effetti degli squilibri tra risparmi e investimenti determinati dalle differenze tra il tasso di interesse naturale e il tasso di interesse bancario4.

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Nelle sue operazioni di prestito la banca

applica un certo tasso di interesse ci pone cosí

di fronte a due tassi: un tasso di interesse

definito naturale, che corrisponde

al rendimento atteso del capitale di nuova creazione, e un tasso

di interesse bancario. Quando questi due tassi

coincidono, i risparmi e gli investimenti sono

in equilibrio e non si hanno effetti sul livello generale

dei prezzi

STORIADI UNA CRISI

Si tratta di un modello di sette equazioni in sette variabili endo-gene, per dati valori del reddito in termini reali, della moneta di base complessiva, del tasso di interesse naturale.

Il modello è determinato e la sua soluzione consente di deter-minare i valori di equilibrio della moneta di base che va al pubblico, di quella che va alle banche, la domanda di equilibrio di credito bancario, l’offerta di credito, il livello generale dei prezzi, il tasso di interesse sui crediti bancari e quello sui depositi.

Viene qui di seguito forma-lizzato il modello composto da sette equazioni in sette variabili endogene9:

determina un aumento del livello dei prezzi che continua fino a quando permane la causa, cioè la differenza positiva tra tasso di interesse naturale e tasso di interesse bancario. L’espansione del credito bancario porta a una tensione sulla liquidità delle banche che alla fine reagiran-no alzando i tassi di interesse bancari. L’equilibrio tra i due tassi si ristabilisce, come pure quello tra risparmi e investimenti ma ad un livello dei prezzi piú elevato.

Volendo rappresentare il pro-cesso cumulativo di Wicksell8 con un semplice modello, possiamo considerare la moneta di base che si distribuisce tra il pubblico e le banche; la domanda di moneta di base da parte del pubblico come funzione inversa del tasso di interesse sui depositi e diretta del reddito monetario (prodotto tra livello generale dei prezzi e reddito in termini i reali); la domanda di credito bancario in funzione del reddito monetario e del tasso di interesse sui crediti bancari; l’offerta di credito ban-cario dipendente dalla moneta di base che affluisce alle banche (differenza tra la moneta di base totale e quella trattenuta dal pub-blico) e il tasso di interesse sui crediti bancari: la condizione di equilibrio tra domanda e offerta di credito bancario; il legame tra tasso sui crediti bancari e tasso sui depositi; la condizione di equilibrio tra il tasso di interesse naturale esogeno e il tasso sui crediti bancari.

Concentrando nelle loro mani i fondi liquidi dei privati, conti-nuamente ricostituiti da nuovi versamenti a mano a mano che sono assottigliati dai prelievi, esse posseggono un fondo per i prestiti, sempre elastico e, a certe condizioni, inesauribile»7.

Il Wicksell allude qui al fatto che il sistema bancario mette in moto il meccanismo di espan-sione del credito e dei depositi, la cui ampiezza e i cui limiti dipendono dai coefficienti di riserva obbligatoria e di liquidità delle banche.

Nelle sue operazioni di prestito la banca applica un certo tasso di interesse e ci troviamo cosí di fronte a due tassi: un tasso di interesse definito naturale, che corrisponde al rendimento atteso del capitale di nuova creazione, e un tasso di interesse bancario.

Quando questi due tassi coincidono, i risparmi e gli investimenti sono in equilibrio e non si hanno effetti sul livello generale dei prezzi.

Quando invece il tasso di interesse naturale supera quello bancario, la domanda di investimenti supera i risparmi perché aumentano le occasioni di profitto. Aumenta nel contempo la domanda di beni di consumo perché i tassi di interesse bancari troppo bassi frenano i risparmi.

La domanda cresce pertanto in direzione dei beni di investi-mento e dei beni di consumo, di fronte a un’offerta che è data al livello di piena occupazione. Ciò

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Nel modello Wicksell, essendo esogeni il reddito in termini reali, la quantità complessiva di moneta e il tasso di interesse naturale che assicura l’equilibrio tra risparmi e investimenti, il livello medio generale dei prezzi viene determinato sul mercato del credito bancario in corrispondenza del punto di incontro tra la domanda e l’offerta di credito

STORIADI UNA CRISI

la prima in cui tutta la moneta aggiuntiva creata viene trattenuta dal pubblico senza essere spesa; in questo caso non si ha alcun effetto sul livello generale dei prezzi e si registra una contrazione della velocità di circolazione della moneta.

Nella seconda ipotesi, tutta la moneta aggiuntiva creata affluisce alle banche le quali espandono il credito grazie a una riduzione del tasso di interesse sui crediti bancari. Un tasso di interesse sui crediti bancari inferiore a quello naturale determina uno squilibrio tra risparmi e investimenti e tra domanda e offerta di beni consumo. La domanda di beni di investimento e di consumo si espande oltre l’offerta di piena occupazione, determinando un aumento del livello generale dei prezzi. La crescita dei prezzi conduce a un aumento della domanda di credito e quindi ad una spinta verso l’alto del tasso di interesse sui crediti fino a raggiungere il tasso di interesse naturale. A questo punto si ristabilisce l’equilibrio tra domanda e offerta di credito bancario, ma ad un livello piú elevato dei prezzi p1. Tale nuovo livello di equilibrio dipende dalla moneta aggiuntiva che affluisce alle banche, dal molti-plicatore potenziale del credito, dall’elasticità della domanda e dell’offerta di credito bancario rispetto al livello generale dei prezzi.

L’ipotesi intermedia si ca-ratterizza per un afflusso della

Mb = quantità di moneta detenuta dalle banche;

Cbd = domanda di credito ban-cario da parte del pubblico;

Cbo = offerta di credito ban-cario;

p = livello medio generale dei prezzi;

idb = tasso di interesse nominale sui depositi bancari;

icb = tasso di interesse nomi-nale sui crediti bancari;

in = tasso di interesse na-turale.

Il sistema è composto di sette equazioni in sette incognite e la sua soluzione consente di determinare i valori di equili-brio della quantità di moneta che va al pubblico, di quella che affluisce alle banche, del tasso di interesse sui depositi bancari, del livello generale dei prezzi, del tasso di interesse sui crediti bancari, della domanda di credito bancario, dell’offerta di credito bancario.

Nel presente modello, essendo esogeni il reddito in termini reali, la quantità complessiva di moneta e il tasso di interesse naturale che assicura l’equilibrio tra risparmi e investimenti, il livello medio generale dei prezzi viene deter-minato sul mercato del credito bancario in corrispondenza del punto di incontro tra la domanda e l’offerta di credito.

Supponiamo ora, seguendo l’esempio di Wicksell10, che ci sia un aumento dell’offerta di moneta e che questa passi dal livello M0 al livello M1. Pos-siamo fare due ipotesi estreme:

dove:y = reddito in termini reali

corrispondente al livello di piena occupazione;

M = quantità complessiva di moneta;

Mp = quantità di moneta de-tenuta dal pubblico;

1. M = Mp+Mb2. M = Mp+f2(idb,p.y)3. Cbd = f3(p.y, icb) Cbo = f4[M-f2(p.y, icb)] M = Mp + Mb Mp = f2(idb, p.y) Cbo = Cbd idb = f6(icb) icb = in

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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UCID Letter • 2/2010

All’origine della crisi in America c’è

il comportamento degli intermediari finanziari,

degli investitori istituzionali e delle

assicurazioni che hanno sostenuto senza limiti

la propensione all’indebitamento

delle famiglie americane per l’acquisto

di immobili. La propensione

all’indebitamento delle famiglie europee,

fatta eccezione per l’Inghilterra,

si mantiene su livelli piú contenuti

STORIADI UNA CRISI

generava un vastissimo mercato mobiliare dei titoli collocabili presso gli intermediari finanziari e gli investitori istituzionali di tutto il mondo.

Il meccanismo ha potuto fun-zionare fino a quando non si sono manifestate le prime insolvenze da parte delle famiglie americane, con effetti depressivi sui prezzi delle abitazioni e quindi sui valori delle garanzie. Piú di due milioni di famiglie americane sono diventate insolventi e questo ha spinto il Congresso a estendere alle famiglie l’istituto del falli-mento, un tempo previsto solo per le imprese. Si è cosí passati alla fase discendente dei prezzi degli immobili che ha messo in crisi

Europa e in Italia a partire dal mese di marzo del 2008 e hanno subíto una forte accelerazione in giugno. D’altra parte, i prezzi delle abitazioni continuavano a salire in Europa fino al 2007, quando negli Stati Uniti si vedevano già vistosi rallentamenti.

All’origine della crisi in America c’è il comportamento degli intermediari finanziari, degli investitori istituzionali e delle assicurazioni che hanno sostenuto senza limiti la pro-pensione all’indebitamento delle famiglie americane per l’acquisto di immobili. La pro-pensione all’indebitamento delle famiglie europee, fatta eccezione per l’Inghilterra, si mantiene su livelli piú contenuti. Il debito delle famiglie italiane rispetto al prodotto interno lordo si colloca infatti intorno al 60%, rispetto al 90% di quelle francesi e al 105% delle famiglie tedesche. Le famiglie del Regno Unito hanno un indebitamento pari al 170% del prodotto interno lordo.

Gli acquisti di abitazioni sono avvenuti, nella fase ascendente dei prezzi, attraverso un’enorme offerta di mutui a tassi di interesse molto bassi grazie alla politica monetaria americana espansiva e a garanzie ipotecarie insufficienti. Gli intermediari finanziari che concedevano i mutui provve-devano poi alla loro cessione facendoli uscire dai loro bilanci per abbassare gli obblighi di tipo patrimoniale in relazione ai rischi assunti. La successiva cartolarizzazione dei mutui

moneta aggiuntiva creata in parte al pubblico e in parte alle banche. Ciò porta a una riduzione della velocità di circolazione della moneta inferiore a quella del caso estremo. Si accresce nel contempo l’offerta di credito bancario che conduce a una riduzione del tasso sui crediti e quindi a un aumento dei prezzi al livello p2, una volta che sia ristabilito l’equilibrio con il tasso di interesse naturale. Il livello di equilibrio p2 dei prezzi si colloca al di sotto di quello p1 che si ha quando tutta la moneta aggiuntiva creata affluisce alle banche.

In definitiva, l’aumento della quantità di moneta può de-terminare un incremento piú che proporzionale, meno che proporzionale o, come caso particolare, proporzionale del livello generale dei prezzi. I prezzi dipendono non solo dal comportamento della banca cen-trale che crea moneta, secondo la teoria quantitativa della moneta, ma anche dal comportamento del pubblico e delle banche.

la crisi in eUropa

La crisi finanziaria internazio-nale è stata innescata da quella dei mutui subprime americani nell’estate del 2007. In Europa, l’onda della crisi è giunta con un certo ritardo, tanto è vero che sino alla fine del 2007 non se ne vedevano i segni attraverso la dinamica delle percentuali delle sofferenze. I tassi di sofferenza hanno cominciato a salire in

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

44UCID Letter • 2/2010

Nei Paesi in cui esiste un’alta incidenza del valore aggiunto dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno lordo e una bassa incidenza del valore aggiunto del settore delle costruzioni sul prodotto interno lordo, si ha un’alta probabilità di un rigonfiamento dei prezzi del mercato immobiliare per ragioni di domanda e offerta

STORIADI UNA CRISI

lordo e un piú ridotto peso del valore aggiunto del settore dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno lordo. Come si osserva nel grafico seguente, la prima condizione è quella degli Stati Uniti e del Regno Unito mentre la seconda è tipica dei Paesi europei, cioè di, Francia, Italia e Spagna, fatta eccezione per la Germania ma in maniera molto contenuta (cfr.: grafico A) Possiamo anche dire che Stati Uniti e Regno Unito sono molto finanziarizzati rispetto al peso del settore delle costruzioni, mentre i Paesi europei lo sono meno. Le posizioni rovesciate dei due gruppi di Paesi sono evidenziate dal coefficiente di correlazione lineare tra le due serie di dati pari a - 0,34.

Possiamo rappresentare gra-ficamente il significato delle differenze tra l’incidenza del valore aggiunto del settore delle costruzioni sul prodotto interno lordo e il peso del valore aggiunto dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno

di valore aggiunto sul prodotto interno lordo e quello del valore aggiunto dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno lordo.

Abbiamo una semplice chiave di lettura di questo fenomeno attraverso il confronto dell’in-cidenza in sei Paesi (Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito) del valore aggiunto del settore delle costruzione sul prodotto interno lordo e del va-lore aggiunto degli intermediari finanziari sul prodotto interno lordo. Nei Paesi in cui esiste un’alta incidenza del valore aggiunto dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno lordo e una bassa incidenza del valore aggiunto del settore delle costruzioni sul prodotto interno lordo, si ha un’alta probabilità di un rigonfiamento dei prezzi del mercato immobiliare per ragioni di domanda e offerta. Il contrario ci si attende per i Paesi che hanno un’alta incidenza del valore aggiunto del settore delle costruzioni sul prodotto interno

tutto il sistema. In un primo tempo sono risaliti i tassi di interesse a causa dei maggiori rischi, ma poi la Riserva Federale americana ha dovuto abbassare a piú riprese il costo del denaro e immettere grandi quantità di moneta nel sistema per evitare il collasso degli intermediari finanziari, degli investitori istituzionali e delle assicurazioni.

crisi del mercato mobiliare e dei mUtUi

Segue ora la presentazione di una chiave di lettura della crisi del mercato mobiliare e dei mutui nei principali Paesi industrializzati attraverso il confronto tra il peso del settore immobiliare in termini

Grafico A

14

12

10

8

6

4

2

0

Stati Uniti Germania Francia italia SpaGna reGno Unito

Valore aggiunto delle costruzioni sul prodotto interno lordo (Vac/Pil)dell’intermediazione finanziaria sul prodotto interno lordo (Vab/Pil)

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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La grave crisi che abbiamo sperimentato

è fondamentalmente una crisi di fiducia che ha colpito tutti

gli operatori economici. La manifestazione piú

acuta di questa crisi la vediamo sul mercato

del credito bancario. Su tale mercato è in atto

un forte razionamento che colpisce soprattutto le

piccole e imprese, le imprese artigiane,

le famiglie e il Mezzogiorno

STORIADI UNA CRISI

bloccano di fatto l’erogazione di nuovi crediti alle imprese piccole e medie e alle famiglie, danneggiate dall’applicazione del metodo del rating per la va-lutazione del merito del credito e per la conseguente applicazione del pricing.

Per fronteggiare questa crisi del credito bancario che colpisce una quota larghissima delle imprese su cui si basa la nostra economia, lo Stato dovrebbe svolgere la funzione di “assicuratore di ultima istanza”. Si tratta, in effetti, di uno strumento alternativo rispetto a quello della ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dello Stato, come avviene in sostanza con i Tremonti bonds (convertibili

banche stanno reagendo alla crisi innalzando in modo forte gli spread al di sopra del costo della raccolta.

Almeno due sono gli stru-menti fondamentali per aiutare il sistema ad uscire dalla crisi: il primo, di piú lungo respiro, riguarda la nota politica degli investimenti pubblici e della spesa pubblica di stampo keynesiano per risollevare la domanda e la crescita del reddito.

Il nuovo corso della politica economica negli Stati Uniti d’America si caratterizza per un larghissimo ricorso a questo tipo di politica, con un deficit del bilancio federale superiore al 12% del prodotto interno lordo.

Il secondo strumento riveste carattere di urgenza e riguarda lo sblocco del mercato del cre-dito bancario, causato, da una parte, dal venire meno della soddisfazione dei requisiti pa-trimoniali minimi delle banche nella concessione del credito e, dall’altra, dall’operare perverso delle regole di Basilea 2 che

lordo per i Paesi che abbiamo considerato nel modo seguente (cfr.: grafico B)

In definitiva, i Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito con un alto indice di intermediazione finanziaria rispetto all’indice del valore aggiunto del settore delle costruzioni, hanno regi-strato delle spinte prima verso l’alto e poi verso il basso dei prezzi del settore immobiliare maggiori di quelle registrate nei Paesi europei.

Una crisi di fidUcia

La grave crisi che abbiamo sperimentato è fondamentalmente una crisi di fiducia che ha colpito tutti gli operatori economici. La manifestazione piú acuta di questa crisi la vediamo sul mercato del credito bancario. Su tale mercato è in atto un forte razionamento che colpisce soprattutto le piccole e imprese, le imprese artigiane, le famiglie e il Mezzogiorno.

Pur essendo in regime di tassi di interesse bassi e calanti, le

Grafico B

8

6

4

2

0

-2

-4

Stati Uniti Germania Francia italia SpaGna reGno Unito

Differenze tra incidenza del valore aggiunto del settore delle costruzioni sul prodotto interno lordo e il valore aggiunto dell’intermediazione

finanziaria sul prodotto interno lordo in percentuale

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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In generale, il ruolo delle garanzie può essere esaminato sulla base di un semplice schema di domanda e offerta di credito bancario, dipendente non solo dal tasso di interesse ma anche dalle garanzie e da altre variabili considerate esogene. Si può cosí vedere che la presenza delle garanzie, a parità di altre variabili, può abbassare il valore di equilibrio del tasso di interesse e aumentare la quantità di credito disponibile per le imprese

STORIADI UNA CRISI

la quantità di credito disponibile per le imprese. Il nuovo punto di equilibrio del tasso di interesse e della domanda e offerta di cre-dito dipende naturalmente dalla elasticità delle due schede. Una parte della letteratura sostiene pertanto che le garanzie riducono il razionamento del credito che danneggia le piccole e medie imprese. Il problema è tuttavia che l’accesso e la disponibilità di garanzia non sono uguali per le piccole imprese e le grandi. Ricadiamo pertanto nel problema delle asimmetrie, sottolineato da Stiglitz e Weiss, che può essere superato solo con la presenza di garanzie pubbliche. È questo il punto che ci interessa in questa sede parlando di Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese alimentato da fondi pubblici11.

L’intervento del Fondo av-viene attraverso operazioni di co-garanzia con i confidi, di garanzia diretta a favore delle banche, di contro-garanzia verso i confidi. L’intervento del Fondo è a “primo rischio”, con ponde-razione zero per i nuovi crediti coperti da garanzia concessi dalle banche. Per tali operazioni le banche beneficiano pertanto di assorbimenti patrimoniali pari a zero.

Il Fondo centrale di garan-zia è attualmente gestito dal Mediocredito Centrale (Banca del Gruppo UniCredit), in con-venzione con il Ministero dello Sviluppo Economico. L’istruttoria delle pratiche viene effettuata

a causa di una serie di misure contabili di compensazione tra voci attive e passive del bilancio dello Stato.

Si tenga poi presente che negli ultimi tempi l’operatività del Fondo è aumentata moltissimo, con un raddoppio del numero delle operazioni presentate nel 2009.

La letteratura sul ruolo delle garanzie e dei consorzi fidi nel mercato del credito è molto vasta. Il suo sviluppo è stato particolarmente vivace sulla scia dei contributi di Stiglitz e Weiss sulle asimmetrie informative e sui comportamenti di adverse selection e di moral hazard nel mercato del credito. Per superare i problemi riguardanti le garanzie nell’accesso al credito, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese, va esaminato il ruolo delle garanzie in relazione alle diverse tipologie (personali, reali, fondi pubblici e cosí via). Un capitolo a parte riguarda poi l’efficienza gestionale dei confidi, in relazione alla loro dimensione e alla loro operatività sul piano settoriale e geografico. In gene-rale, il ruolo delle garanzie può essere esaminato sulla base di un semplice schema di domanda e offerta di credito bancario, dipendente non solo dal tasso di interesse ma anche dalle garanzie e da altre variabili considerate esogene. Si può cosí vedere che la presenza delle garanzie, a parità di altre variabili, può abbassare il valore di equilibrio del tasso di interesse e aumentare

in azioni) previsti dalla legge n. 2 del 2009. Lo strumento già esiste ed è il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese e per le imprese artigiane del Ministero dello Sviluppo Economico, ai sensi della legge 662 del 1996 e del decreto legge anti-crisi 185 del 29 novembre 2008, convertito con modifiche e integrazioni nella legge 2 del 2009. L’articolo della legge 2 del 2009 che ci interessa è il numero 11 che ha integrato le risorse del Fondo fino a un massimo di 450 milioni di euro, aggiungendosi alle disponibilità esistenti del Fondo pari a circa 300 milioni di euro. In realtà, le risorse disponibili sono molto minori,

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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UCID Letter • 2/2010

Uno dei difetti fondamentali

delle modalità operative del Fondo centrale

di garanzia per le piccole

e medie imprese e per le imprese artigiane

riguarda il massimale di 500mila euro

sull’importo garantito. Tale massimale

è largamente inadeguato per qualsiasi

tipo di operazione

STORIADI UNA CRISI

di finanziamento delle Pmi senza disintermediare le banche, e anche valorizzare le nostre Pmi come sistema (per esempio emettendo bond per le Pmi italiane sul mer-cato internazionale); potrebbe, volendo, essere agente di quella politica industriale che in molti auspicano»12.

Ma un Istituto centrale per il credito a medio termine alle piccole e medie imprese (Me-diocredito centrale), con fondo di dotazione del Ministero del Tesoro, esisteva già fin dal 1952, quando fu costituito sulla base della legge 949 del 1952 assieme ad Artigiancassa. Esso aveva il compito di agevolare gli inve-stimenti delle piccole e medie

ranzia è stato per questo innalzato con apposito provvedimento a 1,5 milioni di euro, ma appare ancora inadeguato.

Si tratta, quello delle garanzie dello Stato, di uno strumento ben visto dall’Unione Europea perché poco distorsivo della concorrenza, rispetto agli altri strumenti di politica industriale. Si ricorda infine che il tasso di sofferenza delle operazioni ga-rantite dal Fondo del Ministero dello Sviluppo Economico sui finanziamenti concessi alle imprese si mantiene su livelli contenuti e, in ogni caso, al di sotto di quello medio del sistema bancario.

Il Fondo centrale di garanzia sta funzionando a pieno ritmo, ma appare insufficiente in un’ottica di finanziamento stabile e adeguato del processo di accumulazioine e sviluppo delle piccole e me-die imprese nel lungo periodo. Come afferma Pietro Modiano «Qualcosa è in movimento, ma temo che il fondo di garanzia per le Pmi sia troppo piccolo, con limiti troppo bassi dei sin-goli interventi, e carente sotto il profilo distributivo, almeno fino a quando non si realizza una piú adeguata mobilitazione delle banche e dei confidi migliori. Una banca di garanzia nazionale con fondi pubblici sarebbe utile in questa fase ciclica, e aiuterebbe il mercato a funzionare; potreb-be essere dotata di un capitale limitato a sostegno - grazie al moltiplicatore - di interventi massicci; potrebbe creare canali

dal Mediocredito Centrale, mentre l’approvazione spetta a un Comitato presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Finora il Fondo ha accolto circa 50mila operazioni, di cui il 46% riguardanti il Nord, il 14% il Centro e il 40% il Sud. L’importo complessivo garantito è intorno ai 5 miliardi di euro, rispetto ad operazioni pari a circa 10 miliardi. Sull’importo garantito, le contro-garanzie ai confidi pesano per circa il 60%, le garanzie dirette alle banche per il 39% e per l’1% le cogaranzie. Le operazioni di garanzia sui crediti a breve termine incidono per il 23% e su quelli a medio e lungo termine per il 77%. Gli accantonamenti del Fondo rispetto alle garanzie concesse oscillano tra il 10 e il 20%, in relazione alla rischiosità dei finanziamenti.

Uno dei difetti fondamentali delle modalità operative del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese e per le imprese artigiane riguarda il massimale di 500mila euro sull’importo garantito. Tale massimale è largamente ina-deguato per qualsiasi tipo di operazione: nuovi impianti, ampliamenti, ammodernamenti, ristrutturazione del debito. Esso risulta largamente incongruente rispetto ai parametri dimensio-nali dell’Unione Europea per la definizione di piccole e medie imprese, in termini di occupazione, fatturato, totale attivo e passivo di bilancio. Il massimale di ga-

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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STORIADI UNA CRISI

Ci si è resi anche conto che una certa dose di specializzazione degli intermediari fa bene al sistema, in termini di sostegno efficace ai processi di accumulazione e sviluppo delle piccole e medie imprese. Una riscoperta dei punti di forza della vecchia organizzazione del sistema bancario è pertanto sommamente utile, come pure il ritorno a una banca per le piccole e medie imprese

fragilità della costrUzione eUropea

Non a caso la crisi della Grecia e le difficoltà del Portogallo e della Spagna, che hanno messo in seria difficoltà l’euro, siano giunte dopo la grande crisi fi-nanziaria internazionale e delle banche del 2007-2008.

Quest’ultima ha messo a nudo la grande fragilità della costruzio-ne europea basata sulla moneta unica e sulle banche, piuttosto che sull’integrazione economica e sul coordinamento delle po-litiche economiche, soprattutto sul piano fiscale. Si pensava che gli aggiustamenti reali sarebbero stati la logica conseguenza della moneta unica e dell’efficienza del sistema bancario europeo. Ma questo è stato un grave errore perché è stata rovesciata la giusta filosofia che aveva ispirato la nascita prima della Ceca e dell’Euratom, e poi della Comunità Economica Europea con i Trattati di Roma del 1957. L’innesco della crisi in Europa è avvenuto attraverso gli effetti negativi della crisi finanziaria internazionale e delle banche sul sistema bancario europeo su cui si regge il funzionamento della moneta unica.

I canali di creazione e di distruzione di base monetaria attraverso le banche europee sono stati ora ampliati con la possibilità da parte della Banca Centrale Europea di acquistare titoli del debito pubblico per concorrere al salvataggio della Grecia. Ma è sempre il meccani-

a quello della banca universale. Il nostro sistema è stato quindi investito da un vasto processo di concentrazioni e fusioni, con la nascita di grandi gruppi bancari.

L’idea era quella che la grande dimensione della banche potesse arrecare notevoli vantaggi in termini di economie di scala e di scopo. Ma, come l’esperienza ha insegnato, le economie di scala non sono cosí sicure nel settore dell’intermediazione finanziaria. Si è ritornati cosí a parlare della virtuosità delle piccole e medie banche molto legate al territorio e alle sue vocazioni, come sono ad esempio le banche di credito cooperativo. Ci si è resi anche conto che una certa dose di spe-cializzazione degli intermediari fa bene al sistema, in termini di sostegno efficace ai processi di accumulazione e sviluppo delle piccole e medie imprese. Una riscoperta dei punti di forza della vecchia organizzazione del sistema bancario è pertanto sommamente utile, come pure il ritorno a una banca per le piccole e medie imprese con operatività nel campo della concessione delle garanzie.

È un sistema che si dovrebbe adattare molto bene alle esi-genze del federalismo, grazie ai Mediocrediti regionali e ad un Istituto centrale che assicura un’efficiente distribuzione delle risorse a condizioni agevolate per il sostegno dell’accumulazione e dello sviluppo delle piccole e medie imprese.

imprese attraverso il sistema dei Mediocrediti regionali e degli altri Istituti di credito speciale. Il Mediocredito centrale integrava le risorse dei Mediocrediti regionali anche attraverso la concessione di mutui, a fronte dell’emissione di obbligazioni dell’Istituto cen-trale. Era un sistema che aveva funzionato benissimo, sostenendo l’accumulazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese e delle aree distrettuali che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro sistema industriale, soprattutto di alcune aree geografiche13. Questo sistema è andato distrutto con la nuova legge bancaria del 1993, con il passaggio dal principio della specializzazione del credito

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

49

UCID Letter • 2/2010

Serve un nuovo rapporto tra banca e impresa

per uscire dalla crisi e per un nuovo modello

di sviluppo nel nostro Paese, partendo dai

metodi di valutazione del merito del credito

e dalle tecniche di valutazione del rischio.

Nel nostro Paese esiste una grave emergenza

riguardante il rapporto tra banche e imprese

di cui quasi nessuno parla

STORIADI UNA CRISI

crisi che stanno attraversando e per imboccare la strada di un nuovo modello di sviluppo. Le imprese, soprattutto di piccole dimensioni, sono colpite da un pesante razionamento del credito da parte del sistema bancario nel suo complesso. E quello di cui soffre il Mezzogiorno, poi, è ancora piú grave.

Nessuno vuole mettere in di-scussione il diritto-dovere delle banche di valutare il merito di credito delle imprese. Il problema è quello del metodo e i criteri di valutazione introdotti con l’accordo di Basilea (Basilea 2) sono penalizzanti per il nostro sistema fondato sulle piccole e medie imprese e sulle imprese

del debito pubblico. Per un Paese come l’Italia che ha un elevato debito pubblico ciò significa la possibilità di evitare effetti devastanti sul deficit dello Stato conseguenti all’aumento degli interessi da pagare sul debito stesso. Ma allora viene da chie-dersi se lo stesso principio non debba valere anche per le imprese che devono acquisire il rating per ricorrere al finanziamento delle banche o per raccogliere risparmio sul mercato sotto forma di strumenti di debito. È evidente che si tratta di un punto assai delicato che investe tutto il sistema di valutazione del rating secondo le regole di Basilea 2, sia con riferimento al rating esterno fatto dalle agenzie che a quello interno fatto dalle banche.

Molto opportuna ci sembra per questo la presa di posizione della Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, per un nuovo rapporto tra banca e impresa per uscire dalla crisi e per un nuovo modello di sviluppo nel nostro Paese, partendo dai metodi di valutazione del merito del credito e dalle tecniche di valutazione del rischio.

Esiste nel nostro Paese, come sottolinea la Presidente Marce-gaglia, una grave emergenza riguardante il rapporto tra banche e imprese di cui quasi nessuno parla. Un punto di vi-tale importanza se si vogliono creare le condizioni di sostegno creditizio e finanziario per l’uscita delle nostre imprese dalla grave

smo del debito a reggere tutto il castello europeo, rispetto al quale la moneta creata dalla Banca Centrale Europea segue con grandi iniezioni di liquidità per evitare i fallimenti. Ciò significa naturalmente prendere tempo per i necessari aggiustamenti reali delle economie che fanno parte dell’euro. Risiede qui l’opposizione della Germania all’allentamento del rigore monetario da parte della Banca Centrale Europea per la possibilità di acquistare titoli del debito pubblico creando moneta.

Ma vi è un altro punto che va ricordato come reazione alla crisi greca. «Lunedí 3 Maggio la Banca Centrale Europea ha deciso di non seguire piú le agenzie di rating14 per valutare il debito sovrano di un paese che ha un programma di risanamento con il FMI e con l’Unione europea - programma sul quale la BCE ha dato un giudizio positivo».

Questa è una decisione di enorme importanza perché va ad incidere sul costo che i singoli Paesi aderenti alla moneta unica sostengono per collocare il loro debito sul mercato, attraverso la valutazione del rischio Paese. Per esempio, per un Paese come l’Italia che ha un elevato debito pubblico sul prodotto interno lordo significa non dipendere piú dalle agenzie di rating per la valutazione del rischio paese e quindi dallo spread conse-guente che va caricato sui tassi di interesse di mercato privi di rischio e che influenza il costo

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

50UCID Letter • 2/2010

STORIADI UNA CRISI

artigiane, in cui piú che i bilanci contano gli imprenditori e le loro capacità di creare sviluppo duraturo. L’illusione di unifor-mare, attraverso procedure fissate dall’alto, la valutazione del merito del credito delle imprese attra-verso il rating sta creando forti danni alle possibilità di sviluppo della nostra economia. I modelli econometrici non hanno infatti antenne sufficienti per distinguere un imprenditore buono da uno cattivo. Dobbiamo per questo ridare autorità e autonomia al lavoro del banchiere, in una visione di prossimità del territorio, per valutare le capacità imprenditoriali e la validità dei progetti.

Le valutazioni del merito di

ni chiave di natura sociale ai tecnocrati. Una critica centrale alla globalizzazione presente in questo volume rileva come quest’ultima abbia tentato di “depoliticizzare” decisioni squisitamente politiche»15.

Dobbiamo ritornare ai grandi insegnamenti dei padri fonda-tori dell’Europa: De Gasperi, Adenauer, Schuman. Sono tre grandi politici cristiani europei che ci hanno insegnato che non possiamo costruire l’Europa se non gli diamo un’anima e una spinta spirituale che deve unire tutti i cittadini europei.

La soluzione della maggior parte dei problemi e, dunque, il soddisfacimento dei bisogni umani, deve venir lasciata a quanti sono in possesso di quelle conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, disperse tra milioni e milioni di uomini, conoscenze di cui non potrà mai disporre nemmeno il piú potente governo, né il piú sapiente e potente tiranno (Tockeville).

1) Enrico Mattei ebbe la grande intuizione dell’importanza dell’energia nucleare per lo sviluppo competitivo del nostro Paese, come risulta dalle seguenti parole di Giuseppe Accorinti, mio predecessore come Segretario Generale dell’Ucid nazionale. Ecco le sue parole: «Nella seconda meta degli anni Cinquanta, il problema dell’indipendenza energetica nazio-nale continuava ancora ad assillare Mattei, convinto come era che il nostro paese avrebbe avuto biso-

credito di Basilea 2 si basano sui bilanci passati, hanno il grave difetto di essere pro-cicliche e non sono in grado di vagliare la validità dei progetti di investimento e di sviluppo delle imprese.

Le metodologie di Basilea 2 appaiono ancora piú inadatte se passiamo dal sostegno creditizio e finanziario delle imprese esi-stenti al sostegno della nascita di nuove imprese per un nuovo modello di sviluppo. Le nuove imprese non hanno infatti storia né bilanci e diventa fondamen-tale saper valutare le capacità dell’imprenditore di realizzare nuovi progetti. È l’uomo ban-chiere che deve imparare a va-lutare l’uomo imprenditore per un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla centralità della persona umana e sullo sviluppo umano integrale, come ci insegna l’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.

Un’ultima considerazione riguarda l’Europa della moneta e delle banche da cui, come si è cercato di dimostrare, dipende la grave crisi della costruzione europea che stiamo vivendo. La politica, che è servizio per il bene comune, deve riappropriarsi del suo ruolo e non lasciare ai tecnocrati le scelte fondamen-tali della nazione europea. È il grande ammonimento di Joseph E. Stglitz, vincitore nel 2001 del Premio Nobel per l’Economia, che nel libro La globalizzazione che funziona afferma che «non è possibile delegare le decisio-

La soluzione della maggior parte dei problemi e, dunque, il soddisfacimento dei bisogni umani, deve venir lasciata a quanti sono in possesso di quelle conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, di-sperse tra milioni e milioni di uomini, conoscenze di cui non potrà mai disporre nemmeno il piú potente governo, né il piú sapiente e potente tiranno

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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STORIADI UNA CRISI

credito bancario e livello dei prezzi: una nota sul pensiero di K. Wicksell, in Rivista Bancaria, marzo-aprile 1978.10) Wicksell, Lezioni ..., op. cit. p. 456. 11) La letteratura sulle garanzie e sul ruolo dei consorzi fidi nel mercato del credito è molto vasta. Facciamo solamente alcuni riferimenti: Flavio Bazzana, L’efficienza gestionale dei confidi, un’analisi empirica, 2006; Giovanni Busetta, Confidi, piccole imprese e banche. Un’analisi empirica, 3 dicembre 2007; Attilio Pasetto, Gaetana Raffa, Antonio Riti, Giovanni Scanagatta, Il ruolo dei consorzi fidi nel mercato del credito. aspetti teorici ed evidenza empirica, in Quaderni di Politica Industriale, n.16, 1997. 12) P. Modiano, Due leve per cam-biare marcia, in Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2010.13) Si veda su questo punto il volume sulla storia dell’Ucid, presentato a Torino il 5-6 ottobre 2007, per la celebrazione dei sessant’anni dell’associazione.14) La teoria dell’oligopolio e del progresso tecnico sviluppata da Paolo Sylos Labini nel 1956 per il settore industriale potrebbe essere applicata a molti altri settori, da quello energetico a quello bancario e anche al settore del rating che in questi giorni ha lanciato degli allarmi molto discutibili sulla tenuta dei debiti sovrani di diversi Paesi europei provocando il crollo delle borse di tutto il mondo. 15) J. E. Stglitz, La globalizzazione che funziona, Un mondo migliore è possibile, Gli struzzi Einaudi, 2006.

opposte. Keynes interpreta la crisi come da sovrarisparmio (sottocon-sumo), mentre Hayek la attribuisce al sovrainvestimento. Da tali visioni discendono ricette opposte per uscire dalla crisi: sostegno alla domanda aggregata per Keynes e nessun intervento per Hayek, lasciando che la flessibilità dei prezzi e dei salari e dei tassi di interesse riporti il equi-librio il sistema. Hicks descrive in modo efficace questo periodo: «Chi aveva ragione? Hayek o Keynes?... Avevano in comune - ed era tutto quanto sembravano avere in comu-ne - la discendenza intellettuale da Wicksell che ciascuno sosteneva: ma Wickselle piú Keynes diceva una cosa e Wicksell piú Hayek ne diceva un’altra»; J. Hicks, La storia di Hayek, in Saggi critici di teoria monetaria, Etas Libri, 1971, pp. 161-170. Su tale tema è utile vedere anche D. H. Robertson, Banking policy and the price level, An essay in the theory of the trade cycle, Augustus M. Kelley, New York, Staples Press Limited, London, 1949. Si tratta dell’ultima delle quattro edizioni della monografia di Robertson. La prima e la seconda sono del 1926 mentre la terza è del 1932. 5) Sui rapporti tra Fanno e Wicksell si rinvia alla Prefazione di Michio Morishima contenuta nel volume curato da Davide Cantarelli, Il Magistero scientifico di Marco Fanno tra passato e futuro, Cedam, Padova 1996, pp. 5-29. 6) Nel caso in cui la percentuale di riserva tenuta dalle banche sia molto bassa. 7) K. Wickesell, Lezioni di eco-nomia politica, Utet, Torino 1966, p. 452.8) D. Patinkin, Il processo cu-mulativo di Wicksell nella teoria e nella pratica, Moneta e Credito, Dicembre 1968.9) Il presente modello costituisce una versione riveduta di quello pre-sentato in questa Rivista nel 1978; G. Scanagatta, Tassi di interesse,

gno, per il suo ulteriore sviluppo, di maggiori quantitativi di energia a prezzi sempre piú competitivi, malgrado l’Eni, attraverso Agip e Snam, coprisse gia oltre il 35% del fabbisogno interno. Nel 1956 ebbe l’incredibile intuizione che sarebbe stato necessario il ricorso alla nuo-va fonte energetica, rappresentata dall’energia atomica. Costituí, quindi, l’Agip Nucleare, della quale assunse lui stesso la presidenza nominando Amministratore delegato Gino Martinoli che aveva in precedenza lavorato con Adriano Olivetti e che poi, anni dopo, fondò il Censis. Dal 1956 fu avviata la progettazione della centrale di Latina, felicemente ubicata per portare energia elettrica a Roma. La tecnologia impiegata fu quella inglese: Mattei rinunciò alla tecnologia americana che invece era stata scelta nelle stesso periodo dall’impianto sul Garigliano della società privata Sme (Società meridionale elettricità). La centrale di Latina aveva una capacita pro-duttiva importante per i tempi, 250 megawatt; la prima pietra, l’ingegner Mattei la pose nel 1958 e l’impianto fu ultimato agli inizi del 1963, in poco piú di quattro anni».2) Su questo meccanismo, si veda per tutti: A. Fazio, Base monetaria, credito e depositi, Quaderni di Ricerche Ente Einaudi, 1968. 3) Sugli sviluppi teorici, intorno alla metà degli anni Cinquanta, ri-guardanti il ruolo degli intermediari finanziari nei sistemi economici, si ricordano i lavori fondamentali di Gurley and Shaw; si veda, ad esempio, Gurley, J.G., Shaw, E.S., “Financial Intermediaries and the Saving-Investment Process”, in Journal of Finance, 1956, pp. 257-276. 4) La teoria di Wicksell riveste fondamentale importanza perché su essa si innesteranno le analisi di Keynes e Hayek per interpretare la grande crisi del 1929, ma giungendo ad interpretazioni completamente

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PARTE SECONDA

APPROfONDIMENTI

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Innanzitutto devo sottoli-neare il valore profetico, non solo del luogo, ma an-

che del giorno prescelto per il nostro incontro: la Pentecoste. Inizio, e concluderò, il mio in-tervento, con un augurio, e una certezza, quello che lo spirito inondi i nostri cuori e le nostre vite, per renderci virtuosi e consapevoli di quello che pos-siamo fare per noi stessi e per gli altri.

Il convegno di oggi è stato organizzato per illustrare il nuovo cammino che l’UCID si appresta ad intraprendere soprat-tutto nella nostra provincia. Un rinnovamento per raccogliere le sfide che i mutamenti sociali pongono e contribuire con sempre maggiore consapevolezza allo

sviluppo del bene personale e collettivo.

Perché oggi l’UCID, gli uomini e le donne che si riconoscono nei valori portanti che l’Asso-ciazione vuole promuovere e diffondere, sente il bisogno di aprire una fase nuova?

Tutti oggi dobbiamo fare i conti con una storia piena di contraddizioni e orrori, da un lato una scienza che sterilizza la coscienza, pur potenziando i mezzi, dall’altro, una domanda di senso che, abbandonata l’ideologia, nel porsi il dubbio dell’assenza di Dio, riscopre la fede, il suo significato esistenziale, politico e antropologico.

Sperare, allora, è raccogliere la sfida di testimoniare in un dialogo vivo, consapevoli della responsabilità verso gli altri e abbracciando la prospettiva che bisogna stare con gli altri, sempre, anche quando ti sembra che non ci siano, quando hai la sensazione di essere in compagnia soltanto di te stesso.

Perché l’umanità non è solo “ nella propria ombra” ma nella concreta relazione con gli altri che ci spinge a costruire una cultura condivisa.

La storia e la sua interpretazione, il viaggio intorno all’uomo deve diventare il centro della nostra esistenza. Entrare e restare in questa dinamica di dialogo è una sfida che ci coinvolge tutti per rovesciare l’anima del mondo.

Si annuncia la sfida delle opere: non possiamo piú stare a guardare, se vogliamo bene

Avere il coraggio di cambiare le cose di non limitarsi ad osservare passivamente lo status quo, ma raccogliere le sfide proposteci dai mu-tamenti sociali e contribuire allo sviluppo dell’umanità è il messaggio centrale del Convegno UCID di Frosinone, ripropostoci da Rabotti nel suo contributo. Il coraggio, inteso come virtù quotidiana, conferisce la forza di agire, consapevoli dei valori cristiani, come base solida di partenza per operare un cambiamento radicale della società.

Having the courage to change things and not just to passively observe the status quo, but facing the challenges proposed to us by the social transformations and contributing to social development of humanity is the central message of the conference of Frosinone UCID, offered by Rabotti in his contribution. Courage, understood as a daily virtue, gives the strength to act, aware of Christian values, as a strong starting basis for a radical change of society.

Francesco RabottiVice Presidente della Sezione UCID di Frosinone

IL CORAGGIO: vIRTú qUOTIDIANA

la sfida:impegnarsi a cambiare le cose

Il coraggio, come virtú quotidiana, conferisce la forza di agire, consapevoli dei valori cristiani, come base solida di partenza per operare un cambiamento radicale della società

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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La dignità dell’uomo è offesa non soltanto

quando per cause indipendenti

dalla propria volontà si resta al di fuori

del circuito lavorativo, ma anche quando,

per entrarci o per restare dentro questo circuito,

si è costretti a subire ricatti, angherie

e soprusi morali, dover ricorrere

a raccomandazioni, sopportare umiliazioni

IL CORAGGIO:vIRTú qUOTIDIANA

e indipendenza economica e morale .

Invece assistiamo nel mondo del lavoro al propagarsi del fenomeno antitetico, del lavoro come violazione della dignità della persona.

Del lavoro che c’è e di quello che non c’è.

Perché la dignità dell’uomo è offesa non soltanto quando per cause indipendenti dalla propria volontà si resta al di fuori del circuito lavorativo, ma anche quando, per entrarci o per re-starci dentro questo circuito, si è costretti a subire ricatti, angherie e soprusi morali, dover ricorrere a raccomandazioni, sopportare umiliazioni.

del vuoto morboso di chi vuole solo convincerci che l’amore sia solo istinto ed emozione casuale relegando il cuore, l’anima, la volontà, l’intelligenza e la costanza ad altri campi.

È veramente deplorevole do-ver constatare come il bene piú prezioso di una società, che sono da una parte i bambini (perché ne rappresentano il futuro) e dall’altra gli anziani (perché ne sono la memoria portante), venga dissipato cosí stupidamente e mellifluamente.

Non possiamo stare a guar-dare, abbiamo detto, e allora come UCID provinciale, con l’aiuto di tutti gli amici e i sim-patizzanti e in rete con le altre associazioni che operano sul territorio, penso all’Università della Terza Età e alla Fondazione Kambo, proponiamo in tutti i luoghi della nostra provincia, soprattutto nelle scuole, la tutela degli anziani e dei bambini con iniziative territoriali, mediatiche e comunitarie, mediante il loro coinvolgimento attivo, nel bene piú prezioso che hanno, l’esperienza e l’accoglienza del bene.

E ancora un altro esempio : la dignità del lavoro.

Oggi assistiamo a un feno-meno paradossale, ma sempre piú diffuso e preoccupante nella nostra organizzazione sociale e del lavoro.

Il lavoro è, o meglio dovrebbe essere uno strumento di eleva-zione della dignità dell’uomo in quanto foriero di autonomia

a noi stessi, ai nostri figli, all’umanità tutta.

Non possiamo stare a guar-dare, dobbiamo agire operati-vamente.

A proposito di “guardare”, riporto l’esempio mediatico della trasmissione “Uomini e Donne” condotta da Maria De Filippi su Canale 5. I protagonisti sono persone anziane che si trattano e vengono trattate come adole-scenti alla ricerca del principe azzurro o, a seconda dei casi, della principessa rosa. Ebbene, questa trasmissione, come molte altre, del resto, sono il risultato di una società smarrita, frivola e vuota, ove non esistono piú le generazioni, c’è solo la ricerca dell’emozione e della morbosità, per essere protagonisti e apparire davanti allo schermo.

La società post-moderna, tecnologica ed emotiva, sembra trastullarsi davanti al vuoto te-levisivo, inconsapevole che sta contribuendo a perpetrare due abominevoli delitti: l’adultizzazio-ne infantile e l’infantilizzazione degli adulti.

Riflettiamoci bene, per non essere attaccati da questo im-percettibile quanto insidioso virus: l’adultizzazione infan-tile, obbliga i nostri bambini a vivere da grandi, senza il minimo rispetto del loro mondo interiore, della bellezza e dello stupore che sono presenti nella loro anima; l’infantilizzazione degli anziani, cancella in un solo colpo tutta la saggezza e l’esperienza dell’adulto a scapito

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Non siamo soddisfatti di come vanno le cose, dell’ipocrisia che avvolge sovente le istituzioni e gli uomini che le incarnano, della cappa di interessi che copre la verità e la giustizia, della pervasiva tracotanza degli egoismi che soffoca ogni piú profondo anelito di amore

IL CORAGGIO:vIRTú qUOTIDIANA

altro grande Vescovo, don Tonino Bello, per fare ciò non indosseremo mai l’armatura di Saul, siamo consapevoli che spenderemmo troppo tempo a lucidarla, ma andremo fieri piuttosto della fionda di Davide, capace di abbattere la minaccia di Golia.

Aiutiamoci, allora, ad aiutarci, rispolverando il coraggio quale virtú collettiva coltivata nella quotidianità.

Il coraggio, badiamo bene, non di chi è disperato (approccio egoistico ed interessato), ma di chi vuole donare una speranza agli altri (approccio altruistico e gratuito).

Concludo con un augurio che faccio a me stesso e a tutti voi qui presenti.

Tra i ragazzi, soprattutto, io l’ho sentito tante volte, quando si vuole fare un complimento particolarmente elevato, si usa dire “mitico” .

Vediamo, allora, un mito che può fare al caso nostro

Ercole, chiamato dal re Augia per liberare gli abitanti dell’Elide sommersi dal letame, ripulisce le stalle in un solo giorno, in una delle sue piú famose fatiche.

Nella rilettura del mito che ne fa lo scrittore svizzero Durren-matt, Ercole non riesce a pulire le stalle.

Troppo gravoso il lavoro. Dovranno farlo tutti i cittadini con pale e forconi.

La morale della storia è illu-minante: non spetta all’eroe ma al popolo ripulire la sporcizia

di altre organizzazioni espo-nenziali di categoria, pronti a portare il proprio contributo di idee e di impegno fattivo per partecipare ai tavoli di lavoro politico - economico - sociali della nostra provincia .

E pertanto chiederemo for-malmente al Presidente della Provincia di essere invitati a far parte del Comitato provinciale per lo sviluppo e delle costituite Commissioni operative.

Intendiamo, inoltre, in rete con la Confcooperative e la Compa-gnia delle Opere esprimere la nostra progettualità al servizio della Camera di Commercio di Frosinone, istituzione fondamen-tale per il rilancio produttivo e occupazionale del nostro territorio, che ad oggi non sembra avere completamente dispiegato tutte le proprie enormi e propulsive potenzialità.

Certamente non siamo sod-disfatti di come vanno le cose, dell’ipocrisia che avvolge sovente le istituzioni e gli uomini che le incarnano, della cappa di interessi che copre la verità e la giustizia, della pervasiva tracotanza degli egoismi che soffoca ogni piú profondo anelito di amore e al riguardo vengono in mente le parole del grande Vescovo brasiliano dom Helder Camara, quando, a seguito della protesta dei campesinos brasiliani disse: «questa loro protesta è amore puro».

Amare, forse, vuol dire anche andare controcorrente.

Certamente per citare un

Ed attenzione, il fenomeno non riguarda solamente i lavo-ratori dipendenti, ma investe prepotentemente anche la sfera delle libere professioni e sono veramente pochi quelli che sanno resistere alle sirene, del potere, della ricchezza, del successo, in nome della propria umanità e dignità e della ricerca della verità per affermare il principio del bene e non dell’utile.

Ebbene anche qui l’UCID può svolgere un ruolo decisivo, dare una mano concreta per rimediare e prevenire le ingiustizie indi-viduali e sociali, rivendicando ed esercitando, con forza e fer-mezza, il ruolo di attore sociale al servizio del territorio, al pari

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PARTE SECONDA - APPROfONDIMENTI

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Non serve il coraggio dell’eroe, occorre

esercitare il coraggio legato alle piccole cose

di ogni giorno. Serve coraggio per uscire

dalle nostre sicurezze, per pensare che

possiamo impegnarci in prima persona

e assumerci dei rischi non soltanto per il bene

nostro, ma anche di quello degli altri.

Ci vuole coraggio per ri-schiare l’incomprensione degli altri, specialmente

dei piú vicini

Il coraggio non è una virtú innata,

la si apprende praticandola

giorno dopo giorno. È l’intelligenza

del cuore che ci fa guardare

con lucidità le situazioni di paura

per vincerle, ci spinge a cercare quello

che innalza e migliora la nostra vita

IL CORAGGIO:vIRTú qUOTIDIANA

valori, anche quando si accorgono di essere i soli ad agire cosí nel loro ambiente.

D’altro canto, il coraggio può divenire virtú collettiva quando le persone di una comunità si sostengono e si incoraggiano con la certezza della fiducia l’uno nell’altra.

La certezza di non essere soli accresce il loro coraggio e li spinge a fare cose piú grandi di loro.

Ed Ercole non è piú solo con la sua fatica.

Oggi questo l’UCID ci propone e ci dà l’occasione per essere protagonisti della nostra esistenza e quella degli altri.

Per migliorare noi stessi e la convivenza sociale, viviamo tutti da coraggiosi e dunque diventiamo “mitici”.

Intervento di Francesco Rabotti al Convegno UCID di Frosinone presso l’Abbazia di Casamari, Veroli, il 23 maggio 2010.

del proprio Paese e trasformare il letame in concime .

Quando le parole d’ordine sembrano essere paura e in-sicurezza, urge riflettere sulla essenzialità del coraggio.

Il coraggio non è una virtú innata, la si apprende praticandola giorno dopo giorno.

È l’intelligenza del cuore che ci fa guardare con lucidità le si-tuazioni di paura per vincerle, ci spinge a cercare quello che innalza e migliora la nostra vita.

Se la paura ci rende schiavi, il coraggio ci rende liberi.

Non serve il coraggio dell’eroe, occorre esercitare il coraggio legato alle piccole cose di ogni giorno.

Rinunciare alla via piú facile, sfuggire la banalità, mostrare il nostro lato debole e ammettere l’errore, dire la verità, criticare il potente, richiede coraggio.

Serve coraggio per uscire dalle nostre sicurezze, per pensare che possiamo impegnarci in prima persona e assumerci dei rischi non soltanto per il bene nostro, ma anche di quello degli altri.

Ci vuole coraggio per rischiare l’incomprensione degli altri, specialmente dei piú vicini, pur di tenere comportamenti coerenti con la propria coscienza e visione della vita.

Il coraggio è virtú del sin-golo.

Quanti “eroi per caso”, anche oggi, non rinunciano ad agire, parlare, vivere, come se tutto dipendesse da loro. Li sostiene nelle scelte la certezza dei propri

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PARTE TERzARECENSIONI

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Lavoro, ambiente, impresa, sanità

D. Tettamanzi, L. Ornaghi, U. Folena,Per un nuovo modello di sviluppo,Vita e Pensiero, 2010 (1)

(1) Proponiamo una recensione dell’estratto del libro che raccoglie i contributi emersi dal ciclo di se-minari “Per un nuovo modello di sviluppo”, promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori a Palermo, Napoli, Verona e Ancona tra gennaio e febbraio 2010, Vita e Pensiero 2010. Il resoconto giornalistico di Umberto Folena è accompagnato dalla prefazione di Dionigi Tettamanzi e dalla postfazione di Lorenzo Ornaghi.

teorie sulla finanza, sull’impresa e sul mercato, occorre ripen-sare l’idea stessa di persona. È necessario scardinare il mo-dello affermatosi negli ultimi trent’anni basato su una visione profondamente individualistica dell’essere umano e iniziare a vedere la persona non come singola unità ma come par-tecipe di una rete di relazioni in famiglia, nella società, a scuola, nel lavoro, in politica, persona al centro di una rete comunitaria.

Partendo da questo presupposto è possibile rivedere un azione nel mercato in cui trovino spazio i valori etici e l’andare al di là del proprio interesse-profitto personale, per il conseguimento di uno sviluppo integrale basato sui valori di altruismo solidarietà e sussidiarietà.

Quali le modalità di intervento? Dell’Arringa individua cinque punti fondamentali:

1) interventi che aiutino i Paesi in difficoltà a risanare i propri bilanci;

2) potenziare i servizi all’impiego e gli interventi nel campo della formazione e dell’aggiornamento professio-nale;

3) incrementare gli ammor-tizzatori sociali;

4) rafforzare e riqualificare il settore delle piccole medie imprese;

«... Prendi il tuo denaro: il denaro è il veleno peggiore per l’anima umana» affermava Romeo Montecchi rivolgendosi allo speziale nella famosa tra-gedia schakespiriana.

Come nel dramma veronese del ‘500, cosí il dramma econo-mico iniziato nel 2007, sostiene Campiglio, è stato scatenato da una crisi finanziaria globale che affonda le sue radici nel veleno dell’abuso di denaro, nel prevalere di una volontà di accumulare profitti finanziari senza limiti e remore.

Per venire fuori da questo tunnel non basta però elaborare nuove

L’istituto Giuseppe Toniolo ha promosso il ciclo di seminari “Per un nuovo modello di sviluppo” tenutisi in varie città italiane tra gen-naio e febbraio 2010. Le riflessioni e le analisi di docenti e ricerca-tori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore si sono concentrate su ambiti di importanza cruciale per la società e la comunità cristiana: lavoro, ambiente, impresa, sanità. Il progetto nasce dall’esigenza di contribuire ed avviare quella “revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo” cui richiama Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate.

The Institute Giuseppe Toniolo has promoted the cycle of seminars “For a new model of development”; held in several Italian cities between January and February 2010. Reflections and analysis of Professors and Researchers of the Catholic University of Sacro Cuore, focused on crucial areas for the society and the Christian community: environmental, business, health. The project stems from the need to contribute and start that “profound and far-reaching revision of the development model”, which Benedict XVI refers to, in the encyclical Caritas in Veritate.

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5) valorizzare le opportunità di investimento e di crescita occupazionale nei settori e nelle imprese che mostrano buone prospettive di uscire dalla crisi.

Altresí è di primaria impor-tanza “investire” nell’ambiente nel rispetto del creato, il che non rappresenta una spesa ulteriore, bensí un ritorno di utilità per tutti noi per la nostra salute e anche per il settore occupazionale: investire nella green economy contribuirebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro soprattutto nel settore delle energie rinnovabili.

In tale ottica, sostiene il Car-dinale Tettamanzi, è necessario ripartire dal monito dell’enciclica Caritas in Veritate, che ci esorta a creare un nuovo modello di sviluppo per il rilancio del nostro Paese e dell’umanità intera, nella direzione del ri-spetto integrale della persona, di un’etica pubblica e privata all’altezza del bene di tutti, di una giustizia aperta a considerare le piú alte forme di fraternità, solidarietà e gratuità.

In tale ottica Ornaghi sottolinea l’importanza dell’Università Cattolica di cui egli è Magni-fico Rettore come motore di cambiamento, come un campo di forze aperto verso il futuro atta a proporre nuove soluzioni,

per fronteggiare le novità dei nostri tempi.

È possibile uscire dalla crisi ma occorre correggere il modello di sviluppo e soprattutto agire insieme come un’unica e unita famiglia.

a cura di Silvia Paoluzzi

RECENSIONIPARTE TERzA

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PARTE TERzARECENSIONI

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Scandito in tre capitoli dedicati alla globalizzazione, al rapporto tra democrazia e mercato, all’agire del cristiano in un’economia libera e solidale, il libro di Bazoli si presenta come un tentativo di porre luce su alcuni paradossi dei nostri tempi. Appare necessario un incontro tra il mercato e i principi ispiratori della democrazia e in tal senso si rivela di fondamentale importanza il ruolo del Cristiano nel persegui-mento del bene comune.

Divided in three chapters devoted to the globalization, the relationship between democracy and market, the Christian acting in a free and solidarity economy, Bazoli’s book presents itself as an attempt to bring some light on the paradoxes of our times. It appears necessary a meeting between market and guiding principles of democracy and, in this sense, it’s reveal of fundamental importance the role of Christian in pursuing the common good.

mercato, e bene comune

G. Bazoli,Mercato e diseguaglianza,Morcelliana

Quando si parla di globalizza-zione occorre tenere presente che ci si trova di fronte a un fenomeno molto complesso dai risvolti mol-teplici: economici, politici, sociali, culturali, ambientali.

Il termine globalizzazione, secondo Bazoli, deve essere inteso in due accezioni: “globa-lizzazione dei prodotti” e “glo-balizzazione delle conoscenze”. Con “globalizzazione dei prodotti” si intende l’ampia diffusione da un Paese all’altro di beni e servizi, che porta purtroppo con sé, prodotti negativi, inquinanti l’ambiente e nocivi per la salute. La “globalizza-zione delle conoscenze” comporta una diffusione e un’accessibilità delle informazioni, grazie a tec-

e compenetrare? L’elemento da cui occorre partire è quello del riconoscimento pieno dei fondamentali diritti di libertà e di uguaglianza.

Non si chiede agli imprenditori, operanti sul mercato, di rinun-ciare al profitto personale, ma è necessario contemperarlo con l’interesse dell’intera collettività. Si parla di inserire il principio di uguaglianza all’interno dell’at-tività economica per conseguire una “democrazia economica”. Se tuttavia si vogliono innestare nel sistema economico princípi e valori democratici, occorre coinvolgere in tale processo, tutte le categorie di soggetti interessati, all’interno e all’esterno dell’impresa. Come deve porsi il cristiano in questo panorama?

Per i credenti è indispensabile una continuità tra il momento della preghiera e quello dell’azione. Nella Dottrina Sociale Cattolica si fa costante riferimento alla centralità dell’uomo quale soggetto e fine di tutti i rapporti economici, nonché l’insistenza sul dovere di solidarietà, in specie verso i soggetti piú deboli della società.

Coniugare i valori di libertà, dignità, solidarietà e uguaglianza, nell’ottica cristiana del perseguimento del bene comune, consentirebbe di correggere gli squilibri dati dall’economia di mercato, costituendo un modello per un cambiamento profondo dell’umanità intera.

a cura di Silvia Paoluzzi

nologie sempre piú sofisticate, rapide e a costi sempre piú ridotti. Le informazioni vengono trasmes-se “in tempo reale” da una parte all’altra del mondo.

Si tratta di una straordinaria attività per mettere in comunicazione Paesi e popoli molto distanti fra loro. Tut-tavia la conoscenza delle realtà dei diversi Paesi genera inevitabilmente confronto, mettendo in evidenza le diverse condizioni di civiltà, di cultura, di religione, di stili di vita, ingenerando invidia e intolleranza. Senza poi contare i problemi legati ai massicci fenomeni migratori conseguenti e all’alterazione dell’ecosistema. È dunque neces-sario interrogarsi sulla relazione esistente tra il sistema economico definito “di mercato” o capitalistico, vigente nei Paesi Occidentali e il sistema politico che si conforma ai principi della democrazia.

È possibile rendere compatibili questi sistemi fino a farli integrare

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PARTE TERzA RECENSIONI

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Questione di grande attualità quella trattata nel libro dell’Univer-sità Bocconi Editore “Il buono dell’economia- Etica e mercato oltre i luoghi comuni”, che mette a confronto due forti personalità, estre-mamente diverse per storia, professione e collocazione ideale - un religioso ed un economista - ma accomunate tra loro da una lettura aperta dei fatti economici e sociali, volta alla ricerca di soluzioni o quantomeno a fornire riflessioni stimolanti al dibattito tra quanti sono interessati alla costruzione di un mondo a dimensione più umana.

Issue of great actuality the one affronted in the book edited by Bocconi University “Il buono dell’economia- Etica e mercato oltre i luoghi comuni”; which compares two strong personalities, very different for history, profession and ideal location - a religious and an economist - but united by an open reading of economic and social facts, looking for solutions or, at least, providing stimulating ideas to the debate between those who are interested in building a more human world.

etica e mercato

G.Salvini, S.Carrubba, L.Zingales,Il buon dell’economia.Etica e mercato oltre i luoghi comuni,Univ. Bocconi Editore

Il religioso in questione è padre Giampaolo Salvini, che dirige da quasi 25 anni la rivista dei Gesuiti “La Civiltà Catto-lica”, mentre l’economista è il professore Luigi Zingales di scuola liberale e docente presso la Graduate School of Business dell’Università di Chicago.

Il confronto tra i due studiosi è stato coordinato da Salvatore Carrubba, editorialista de “Il Sole 24 Ore” (di cui è stato anche direttore responsabile).

Il libro si apre con un’interes-sante ed assai ampia introduzione di Salvatore Carrubba, che, con accattivante piglio giornalistico, fornisce ai suoi due interlocutori il contesto entro il quale si svolgerà il loro confronto, ma aiuta anche il lettore meno esperto a capire come il dibattito sul tema del rapporto tra etica ed economia, divenuto di grande attualità a seguito della drammatica crisi globale iniziata alla fine del 2007, abbia visto un coinvol-gimento profondo di quanti si sono occupati storicamente di scienze sociali ed economiche, sia da un punto di vista laico

un’economia di mercato come “realtà selvaggia e autoreferen-ziale, sorda al richiamo della legge morale e delle leggi degli uomini, condannata a considerare l’avidità singola come misura del successo dell’impresa”.

Il confronto tra l’economista e il religioso è sostenuto da un crescendo di domande (di Sa-vatore Carrubba) e di risposte, che assicurano al libro un alto livello di tensione intellettuale, in grado sicuramente di coinvol-gere ed appassionare il lettore interessato.

Ovviamente, nel contesto di una recensione è piú utile dar conto delle domande, lascian-do che le risposte diventino il

che religioso. A questo riguardo, l’analisi

storica è accompagnata da nu-mero di puntuali riferimenti a protagonisti di primo piano, a partire da Adam Smith fino ad arrivare all’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate.

L’introduzione di Salvatore Carrubba fa tuttavia percepire come le perturbazioni provocate dalla richiamata crisi globale, tra cui la forte crescita delle disuguaglianze, abbia spinto il tema del rapporto tra etica ed economia a un livello di atten-zione inusitato, fino al punto da far emergere l’immagine - forse caricaturale, ma capace di presa sull’opinione pubblica - di

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aperta alla componente del dono e della gratuità?

Si può insegnare l’applica-zione dell’etica all’economia di mercato?

Su queste domande, Padre Salvini e il professor Zingales si sono confrontati apertamente.

Su alcune questioni hanno convenuto, come sul fatto, bene evidenziato dal coordinatore, «che l’economia di mercato resta il migliore, o il meno imperfetto, degli strumenti a disposizione per l’agire economico. Ma anche sul fatto che essa non può sentirsi, come spesso viene accusata dai suoi detrattori, onnipotente e autosufficiente: servono norme, regole e un ethos comune che esprimano non un disegno autoritario di società, ma un insieme di convinzioni diffuse nella mentalità profonda di una società».

Su altre questioni i punti di vista sono risultati difformi, in misura piú o meno grande.

In questi casi, per il religioso la discriminante di fondo è stata il richiamo, sia pure senza dog-matismi, alla morale cattolica (con riferimenti continui alla Caritas in Veritate), mentre per l’economista il richiamo è stato ai princípi del liberalismo economico (libertà d’impre-sa in primo luogo), sia pure senza pregiudizi rispetto alle domande nuove provenienti dalla società.

Ma un aspetto, che arricchisce

L’eventuale applicazione di principi etici in economia deve essere sostenuta da un sistema di sanzioni sociali (riprovazione sociale) o-legali?

Non è difficile affermare comportamenti etici in economia anche a causa del fatto che il resto ella società non da prova di particolare propensione a comportamenti virtuosi e so-cialmente responsabili?

Se il rapporto tra etica ed economia è profondamente in-fluenzato dalla cultura di fondo di una società, come affrontarlo in Italia, dove la cultura di mercato è scarsamente radicata?

Perché molti scienziati teo-rizzano l’assoluta libertà della ricerca scientifica, che dovrebbe rimanere indipendente da qua-lunque valutazione etica, mentre proprio l’attività economica dovrebbe essere condizionata dalle considerazioni etiche?

Qual è il grado di compati-bilità con la logica economica dei principi di giustizia, ricerca del bene comune, solidarietà e sussidiarietà?

Il mercato è capace di creare una propria etica?

È rilevante, nell’ambito del rapporto tra etica ed economia, il riconoscimento del valore civile della religione o delle religioni?

Che grado di concretezza attribuire al richiamo di Bene-detto XVI (Caritas in Veritate) che l’economia di mercato sia

giusto premio della curiosità del lettore.

Le domande - che si innestano su definizioni di “economia di mercato” e di “ etica” che i due interlocutori marcano con accenti diversi - stimolano la riflessione su una pluralità di aspetti.

Innanzitutto, nell’economia c’è uno spazio per l’etica?

E poi: la crisi economica in corso è stata particolarmente grave solo per le sue dimensioni quantitative oppure anche perché ha rivelato un degrado particolar-mente accentuato degli standard etici e una grande mancanza di responsabilità?

Che significato dare all’enfasi posta sulle “regole” in tempi di crisi?

È possibile individuare un’intesa tra laici e cattolici sul terreno della legittimazione dell’economia di mercato; come si pongono i laici rispetto all’affermazione dei cattolici che il mercato e il profitto non sono fini a sé stessi, ma rappresentano strumenti utili per l’azione nella prospettiva di collocare la persona al centro dello stesso sistema economico e dell’intera società?

Che valore attribuire alle po-litiche retributive seguite negli ultimi anni e all’allargamento che esse hanno provocato nella forbice tra i salari piú alti e quelli piú bassi?

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RECENSIONI

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Il rapporto 2009 sulle piccole-medie imprese, realizzato dall’Isti-tuto Tagliacarne, nell’ambito dei programmi di ricerca condivisi con Unioncamere, costituisce un appuntamento annuale di riflessione sul posizionamento del sistema produttivo delle PMI italiane, basato su un’ampia e articolata architettura d’indagine. Dai dati raccolti emerge una situazione di crisi profonda ma al contempo una volontà degli im-prenditori italiani di reagire pro-positivamente per migliorare la loro “competitività” sul mercato.

The 2009 report on small-medium enterprises, carried out by the Institute Tagliacarne, within research programs shared with Unioncamere, constitutes an annual reflection on the positioning of the production system of Italian SME, based on a large and complex architecture of investigation. The collected data show a situation of deep crisis but, at the same time, a willingness of Italian entrepreneurs to respond proactively to improve their ”competitiveness” in the market.

straordinariamente il libro, è costituito dalle numerosissime esemplificazioni e testimo-nianze che accompagnano le argomentazioni dei due interlo-cutori,· che fanno sí che, anche partendo da tesi astratte, venga sempre mantenuto uno stretto collegamento con la concretezza della realtà.

Questo aspetto, insieme all’approccio autorevole ma non dogmatico, mette il lettore nella condizione migliore per elaborare giudizi autonomi e per ricavare da quelle argo-mentazioni le proprie libere “istruzioni per l’uso”.

Tuttavia, al di là delle conclu-sioni di ciascuno, dal confronto sembra emergere un’indicazione di fondo e cioè che il futuro dell’economia di mercato - oltre, quindi, la contingenza della crisi attuale - sarà tanto piú luminoso quanto piú dosi massicce di etica condivisa ne saranno parte costituente.

a cura di Rolando Murari

il 4 e il 5%. Nelle analisi realizzate per

l’edizione 2009 del rapporto sulle PMI (piccole e medie imprese) manifatturiere, l’istituto Taglia-carne si è prefisso l’obiettivo di verificare i riflessi della crisi nel nostro Paese.

Onde tentare un rafforzamento patrimoniale per rientrare nei parametri indicati da Basilea 2 e ricercare un riequilibrio finanziario le imprese hanno seguito una strategia basata sulla razionalizzazione dei costi, sulla riduzione delle spese, sul rinvio degli investimenti non

piccoLe e medie imprese neLL’economia itaLiana

Istituto Guglielmo Tagliacarne,UNIONCAMERE,Rapporto 2009. Riorganizzazione e riposizionamento delle PMI italiane “oltre” la crisi,Franco Angeli 2010

A partire dall’autunno 2008, a seguito dell’avvento della crisi finanziaria sui mercati internazionali, i risultati dell’an-damento economico del nostro Paese hanno subito una grave flessione con una retrocessione del PIL nazionale attestatasi tra

PARTE TERzA

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PARTE TERzA RECENSIONI

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favorire con strumenti fiscali e politici adeguati, l’opportunità di inserimento nei network di recente formazione.

Dalle analisi effettuate emerge come l’universo delle PMI pre-senta aspetti negativi ma anche gli incoraggianti segnali di una volontà imprenditoriale di reagire alla crisi migliorando la loro competitività sul mercato.

a cura di Silvia Paoluzzi

cui esse operano per conseguire un’auto-percezioni della propria posizione competitiva maggior-mente attendibile.

In tale quadro si inserisce la realtà delle imprese del Mez-zogiorno. I dati dell’indagine mostrano che le piccole e medie imprese meridionali hanno risposto alla crisi al pari del resto del Paese con innovazioni organizzative se pur a fronte di risorse piú limitate.

Per il Mezzogiorno in partico-lare e per il resto del territorio nazionale in generale, appare utile compiere un ulteriore differenziazione tra le imprese. In particolare viene individuato il cosiddetto tipo Middle Class ossia un gruppo di imprese minori che rappresenta appunto una classe media, le quali al di là dei limiti dimensionali per numero di addetti, si configurano come soggetti di maggiore spessore realizzando performance mi-gliori rispetto agli altri operatori compresi nella stessa classe dimensionale.

Per le imprese non facenti parte della middle class è ne-cessario rafforzare il rapporto col sistema bancario, istituire fondi di garanzia con un ac-cesso al credito a condizioni piú facilitate.

Per le imprese midde class operanti in settori particolarmente dinamici occorre rafforzare la costruzione di reti d’impresa sia formali che informali e

strategici e sulla rinegoziazione dei debiti con le banche.

La crisi può e deve quindi essere considerata un’occasione di profondo cambiamento e di riorganizzazione interna.

Dall’indagine svolta emerge che ben il 27% delle imprese per fronteggiare tale fase re-cessiva intende non limitarsi ad un atteggiamento di difesa e conservazione ma bensí adottare una strategia di innovazione costruttiva, tramite investimenti finalizzati a una maggiore effi-cienza organizzativa.

Altro dato rilevante nelle dinamiche aziendali è rappre-sentato dall’auto-percezione del proprio posizionamento competitivo valutabile in fun-zione di fattori sia economici che psicologici.

In tal senso errori di overcon-fidence (eccessiva fiducia) nelle proprie capacità imprenditoriali dati dalla scarsa informazione e conoscenza debbono essere assolutamente evitati.

In questa direzione dovrebbero essere adottate misure macro-economiche, capaci di creare un clima di maggiore stabilità e conseguente minore incertezza, per fornire aiuto alle PMI. In tal senso esse saranno messe in condizione di acquisire infor-mazioni migliori sul comparto di appartenenza dei mercati in

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PARTE qUARTAATTIvITàNAzIONALE

E INTERNAzIONALE

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RAPPORTI CON LA CONfERENzA EPISCOPALE ITALIANA

Sono proseguiti i rapporti dell’UCID Nazionale con la CEI.

Si è trattato della partecipa-zione a tutte le riunioni avve-nute nel periodo, organizzate dall’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro e dalla Consulta.

In particolare, il Segretario Generale ha partecipato con una relazione a un Seminario di formazione per 150 giovani che si è svolta a Policoro.

In tale occasione, il Segre-tario Generale ha presentato l’esperienza dell’UCID nel campo del microcredito e della microfinanza per favorire la nascita di microimprese giovanili nel Sud, secondo il modello del senior partner.

Giovanni Scanagatta ha inol-tre partecipato a una riunione della Consulta dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro dedicata all’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.

associativa. Gli Atti di questo Conve-

gno sono stati raccolti in un volume che è stato distribu-ito ai Presidenti dei Gruppi Regionali.

RAPPORTI CON I GRUPPI E LE SEzIONI DELL’UCID

Numerosi sono state le iniziative a cui l’UCID Nazionale ha partecipato, organizzate dai Gruppi e dalle Sezioni.

Molti di questi incontri hanno avuto come tema l’Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate.

Di notevole interesse è stata la partecipazione al Seminario organizzato dalla Sezione UCID di Milano nel mese di maggio sul tema dei mercati, dell’etica e della finanza.

Il Seminario è stato tenuto dal Dott. Lorenzo Bini Sma-ghi, rappresentante dell’Italia nel Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea.

L’intervento del Dottor Bini Smaghi è stato diffuso ai Presidenti e Segretari dei Gruppi e delle Sezioni, che hanno risposto con le loro va-lutazioni e considerazioni.

Altro evento a cui ha par-tecipato l’UCID Nazionale è il Convegno organizzato dalla Sezione UCID della Provincia di Frosinone presso l’Abbazia di Casamari, sul tema degli assetti organizzativi della nostra associazione sul territorio e sui passi di fare per futuri sviluppi qualitati-vi e quantitativi della base

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PARTE qUARTA ATTIvITàNAzIONALE

E INTERNAzIONALE

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RAPPORTI CON LE ALTRE ASSOCIAzIONI

I rapporti con le altre as-sociazioni si sono svolti, in particolare, con l’Azione Cattolica Italiana e altre sette aggregazioni laicali per la predisposizione di un sussidio per la lettura domenicale del Vangelo, alla luce della Dot-trina sociale della Chiesa e di esempi di uomini retti e santi che hanno manifestato con la vita la loro fede al Vangelo.

L’UCID, ha curato in par-ticolare una lettura sinottica tra la Caritas in Veritate di Benedetto XVI e i vari passi del Vangelo domenicale dell’anno liturgico.

Altri rapporti si sono svolti con la Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali (una settantina di aggregazioni). L’UCID nazionale fa parte del Comitato Direttivo di questa Consulta e il Segretario Gene-rale Scanagatta ha presieduto l’assemblea generale del 29 maggio scorso, alla presenza di Mons. Miglio, Presidente del Comitato delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.

Durante l’Assemblea è stato presentato dal Dott. Patriarca e dal Prof. Diotallevi il Do-cumento preparatorio della prossima Settimana Sociale che si terrà a Reggio Calabria nel mese di ottobre prossimo.

Altro evento importante a cui ha partecipato l’UCID Nazionale è stato l’incontro del 16 maggio scorso in Piazza S. Pietro per pregare con il Santo Padre in questo periodo difficile per la Chiesa.

All’incontro erano presenti circa 200 mila aderenti ai vari movimenti e associazioni ec-clesiali e l’UCID, guidata dal Presidente Ferro, ha partecipato con oltre 200 soci.

L’incontro con il Santo Padre è stato preceduto da un momento preparatorio di preghiera, gui-dato dal Cardinale Bagnasco. L’UCID nazionale ha infine partecipato alle varie riunione e Convegni organizzati dal Comitato promotore della Carta per le pari opportunità, di cui fa parte la nostra associazione assieme ad un numero ristretto di associazioni imprenditoriali femminili.

Al Comitato promotore sovraintendono il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e il Ministero delle Pari Opportunità.

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PARTE qUARTAATTIvITàNAzIONALE

E INTERNAzIONALE

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ATTIvITà INTERNAzIONALI UCID

In questo periodo, l’UCID nazionale ha partecipato a tutte le riunioni di UNIAPAC Europe e di UNIAPAC International, attraverso il suo rappresen-tante Dott. Giovanni Facchini Martini.

A tali riunioni ha partecipato spesso anche il Dott. Franco Nava, Presidente della Sezione UCID di Milano, per progetti speciali, come ad esempio le attività di microcredito a favore dei Paesi in via di sviluppo e, in particolare, dell’Africa.

Nei Board dell’UNIAPAC si è piú volte affrontato il tema della costituzione della Fon-dazione, secondo il progetto portato avanti con impegno e determinazione dal Presidente, Pierre Lecocq.

Ora tale progetto è partito e verrà via via implementato secondo le linee statutarie approvate.

Si è anche spesso discusso della posizione dell’UNIAPAC in merito alla Responsabilità Sociale dell’Impresa, con elementi di differenziazione rispetto alla Business Ethics di stampo anglosassone.

Tale differenziazione è stata

particolarmente sottolineata dall’UCID, soprattutto alla luce del grande patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa e dell’Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate.

Per questo l’UCID preferisce parlare di responsabilità impren-ditoriale per il bene comune, secondo un approccio di analisi e di valutazione delle “buone pratiche” condotto dal Centro Cardinale Giuseppe Siri.

Si ricorda infine che l’UNIA-PAC, in stretta collaborazione con l’UCID, ha partecipato alla realizzazione, nel mese di giugno, del Simposio Internazionale di Roma sulle Università (Ufficio della Pastorale Universitaria di Roma).

L’UCID ha partecipato a due tavole rotonde organizzate da questo Simposio: la prima coordinata dal Presidente Ferro e la seconda coordinata da Mons. Vincenzi, Vice Consu-lente Ecclesiastico dell’UCID Nazionale.

Alla prima tavola rotonda ha altresí partecipato Jean Baptiste Homsi, imprenditore cameru-nese Presidente di UNIAPAC Africa.

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UCID 2010

17 Gruppi regionali89 Sezioni Provinciali e Diocesane4.000 Soci

I Gruppi regionaliGruppo Regionale lombardoGruppo interregionale Piemonte e Valle d’aostaGruppo Regionale ligureGruppo Regionale VenetoGruppo Regionale Trentino alto adigeGruppo Regionale friuli Venezia Giulia Gruppo Regionale emiliano RomagnoloGruppo Regionale ToscanoGruppo Regionale umbroGruppo Regionale del lazioGruppo Regionale marchigianoGruppo Regionale CampanoGruppo Regionale basilicataGruppo Regionale abruzzo moliseGruppo Regionale PugliaGruppo Regionale CalabroGruppo Regionale siciliano

le Sezioni Provinciali e Diocesane

AltAmurA - GrAvinA - AcquAvivAAnconA Ascoli Piceno - s. BenedettoArezzoAstiBellunoBerGAmoBiellABoloGnABolzAnoBresciABresciA - mAnerBioBresciA - vAlle cAmonicABrindisiBusto Arsizio - vAlle olonA - Alto milAnesecAltAnissettAcAsAle monferrAtocAtAniAcAtAnzArochieticivitAvecchiAcomoconversAno monoPolicosenzAcremonAcuneo

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Unione Cristiana Imprenditori DirigentiPresidenza Nazionale - Via della Conciliazione 15 - 00193 RomaTel 06 86323058 - fax 06 86399535 - e.mail: [email protected]

TaR. assoCiazioNi seNza fiNi di luCRo: PosTe iTaliaNe s.P.a. - sPediz. iN abboN. PosTale - d.l. 353/2003 (CoNV. iN l. 27/02/2004 N° 46) aRT. 1, Comma 2, dCb PadoVa