Sviluppo sostenibile lobascio arianna 3a

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Sviluppo Sostenibile....…

Religione.&

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Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali.

-Rapporto Brundtland, 1987

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� A partire dalla seconda metà del secolo scorso , con l’impetuosa trasformazione economica ed industriale, l’uomo ha modificato la natura più rapidamente e profondamente che in qualsiasi altro periodo della storia. Lo sviluppo delle nostre società sembra, per la prima volta, aver superato le capacità del pianeta di fornire risorse naturali e di assorbire ulteriori alterazioni e inquinamento. Fornire cibo, acqua, energia e materiali a una popolazione in crescita continua ha comportato in molte aree un prezzo altissimo per i complessi sistemi biologici.Nonostante l’attuale crisi ecologica la connessione uomo-natura è consapevolmente trascurata nell’Europa moderna, pur essendo diventata così ovvia che ci si pone ormai il problema della sopravvivenza dell’umanità.

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L’uomo vive in una comunità�di elementi creati, perché senza luce e aria, acqua e vento, senza il benefico alternarsi delle stagioni, senza piante e animali, non potrebbe vive. Per questo l’uomo è oggi anche responsabile del fatto che essa

rimanga benevola, che le sue forze positive non si esauriscano, ma rimangano inalterate per le future generazioni, perché non

scompaia la capacità di esaltare ciò che non dall’uomo è�stato originato. È quindi necessario un essenziale mutamento dell’uomo nel suo rapporto con la natura.

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ecologia nell’ebraismo

e nel cristianesimo…

Il cristianesimo e l’ebraismo si trovano quindi di fronte a un grave problema: come applicare in modo credibile e pratico il messaggio biblico di salvezza nella nostra era tecnologica?Una risposta possibile ci viene dal libro di Giobbe, il grande accusatore

di Dio, che pretende da Lui giustizia a tutti i costi e, dalla domanda che Dio stesso gli rivolge: “Dov’eri tu quando ponevo le fondamenta della terra?” (Gb 38,4), giunge a riconoscere i limiti del proprio essere creatura. Questa stessa domanda viene rivolta oggi, agli inizi del XXI secolo, a tutti gli uomini, i quali, indipendentemente da un’interpretazione biblica della natura come creazione, non possono evitare di riconoscere la natura, a cui comunque essi appartengono, come entità esistente di per sé, senza di loro.

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Ancora un riferimento al contemporaneo “mondo dei consumi” è in Osea, attraverso cui JHWH lancia la sua

accusa al popolo senza Dio (Os 4,1-3): quando tra gli uomini non esistono più amore e sincerità, quando nel paese scompare la conoscenza di Dio e la natura rimane coinvolta da questo degrado, allora l’irresponsabilità e l’infedeltà dell’uomo nei confronti di Dio e del prossimo hanno come conseguenza ineluttabile la distruzione della vita in tutta la creazione. Di conseguenza il

grido di Abacuc nell’VIII secolo a. C. non è rivolto soltanto ai conquistatori assetati di ricchezze, ma anche contro la

strage degli animali, contro la violenza fatta alla terra.

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…e nell’islamismo

La teologia della creazione nell’islam, date le sue radici monoteiste, è

simile alla dottrina ebraico-cristiana del rapporto creatore-creatura.

Nel Corano il valore della creazione consiste nel garantire la vita dell’uomo e a mostrare il volto di Dio. I versi del Corano sottolineano che Dio ha creato il mondo intero in sei giorni, poi si è seduto sul trono per

governare il mondo; infine Egli ha creato l’uomo, plasmandolo dalla povere, per porlo in questo mondo come suo vicario (sura 2,28), generazione dopo generazione (sure 27,63; 10,15.74; 35,37; 6,165). Ora l’uomo deve saper conservare l’impegnativa ricchezza che gli è stata

affidata (sura 33,72). Può utilizzare il mondo, addirittura goderne, ma deve sforzarsi di averne cura e di conservarlo. Come servitore e rappresentante di

Dio, infatti, l’uomo è in grado di assumersi le proprie responsabilità verso il mondo e dovrà renderne conto a Dio nel giorno del giudizio.

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La risposta induista…

Secondo il Bhagavad Gita il mondo costituisce un�unità indissolubile (karman). Ogni azione non ha solo un effetto esteriore, ma si riflette direttamente anche su chi la compie, influenzandone i pensieri e le azioni future; perciò l’uomo che agisce sulla natura alterandone gli equilibri, è destinato a subirne le conseguenze.Nel mondo indù sorge nel 1970 un nuovo movimento religioso, il

culto di Adi-Paraśakti, fondato da Bangaru Adigalarnato nel 1958; questo movimento è caratterizzato dalla volontà di superare la divisione in caste e non solo: ciò che caratterizza maggiormente questo movimento è l’interesse per la salvaguardia dell’ambiente, culminato in una grande cerimonia sacrificale tenutasi nel 1988 sulla spiaggia di Madras a cui parteciparono intellettuali, scienziati esponenti delle varie religioni.

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…e quella buddhista

Secondo il credo biddhista spirito e natura costituiscono un tutt’uno. Ogni essere animato è dotato di uno spirito e ciò spiega alcuni dettami particolari della regola monastica (Vinaya):

“Non è consentito sporcare il terreno o le acque, per esempio orinando nei ruscelli e nei laghi, e tanto meno conviene ai monaci, in quanto la terra stessa è animata; si possono consumare i frutti solo se precedentemente sono stati resi inanimati�, cioè se sono stati danneggiati manualmente; si possono consumare i frutti solo se precedentemente hanno perso il loro seme, in modo da non sopprimere alcun germe di vita.”

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